Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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CAPITOLO TERZO
IL CONGRESSO
STRAORDINARIO
Sommario: 1 - L'impostazione politica degli autonomisti. 2 - La mozione di Riscossa Socialista.
3 - Le posizioni della sinistra. 4 - I problemi di
fronte al Congresso. 5 -Nenni e Pertini: operazione concordata? 6 - La relazione di Basso. 7 - La
vittoria di Riscossa e la Direzione centrista.
1. L'impostazione politica degli autonomisti
Dall'altro versante l'attività degli autonomisti. Essa
non si esplicò soltanto sul piano della contestazione polemica alla linea della Direzione, ma anche con una serie
di contributi politici svolti in diverse sedi, alcuni dei quali, come ad esempio quello di Guido Calogero, si segnalano anche per dovizia d'argomenti e originalità di pensiero
rispetto alla socialdemocrazia, di cui gli autonomisti venivano accusati di essere una coda ed una proiezione
all'interno del PSI104. Ma è necessario cominciare dalla po104
La componente autonomista tradizionale che aveva determinato la
scissione e fondato il PSLI aveva quasi per intero abbandonato il partito
nel gennaio 1947. I residui gruppi autonomisti facevano capo ad Ivan
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sizione espressa da Giuseppe Romita nel discorso del 25
aprile a Villa Malta105; la sua posizione politica è chiara
fin dall'inizio e questo è il suo programma che egli espone
subito:
a)evitare prevedibili scissioni nel nostro partito, gli
sfaldamenti di sezioni, di gruppi, gli allontanamenti
personali;
b) impedire lo slittamento verso la confusione e la fusione del nostro partito con il partito comunista, per il
quale slittamento il Fronte costituisce, per i vari Lizzadri, una indovinata via conduttrice;
c) mirare all'unità socialista, unità da conseguirsi non
attraverso un accordo di carattere personale fra capi o
gregari dell'uno o dell'altro partito socialista, ma su un
chiaro programma e su un preciso piano d'azione, lasciando fuori coloro che non hanno né l'animo, né la
convinzione, né il temperamento socialista siano essi a
destra, siano essi a sinistra;
d) stabilire la linea politica concepita nel pensiero e
nell'azione socialista per vincere la reazione capitalista, per stroncare l'offensiva dei ceti di destra, monarchici e neofascisti, per impedire alla strapotente e vittoriosa Democrazia Cristiana [il che vuol dire l'associazione cattolica, il che vuol dire il Vaticano] di avere
Matteo Lombardo, che uscì dal PSI dopo il Congresso dell'Astoria, ed a
Romita, ma avevano importanza nettamente contenuta. Più consistente
invece era un settore intermedio che a quel Congresso si schierò per le
liste separate e nel cui ambito Romita raccolse molti consensi dopo il voto del 18 aprile. Tuttavia il relativo successo che la corrente romitiana
conseguì al XXVII Congresso aveva soprattutto forti componenti emozionali e poteva senz'altro esser ritenuto provvisorio, tanto che al successivo Congresso di Firenze, per effetto anche di silenziose dimissioni di
iscritti dal Partito, ma anche per il ritorno di molti sulle posizioni originarie, gli autonomisti ottennero risultati poco rilevanti.
105
Il discorso tenuto da Giuseppe Romita alla riunione di Villa Malta è
riportato integralmente nell'opuscolo precongressuale Per il Socialismo,
che contiene inoltre il saggio di GUIDO CALOGERO: "Presente e avvenire del socialismo" e quelli di CARLO SPINELLI: "Dopo il Congresso dell'Astoria - 19/24 gennaio 1948" e "Per il Congresso di Genova 27/30 giugno 1948". Dal testo del discorso romitiano, che è integrale, ma
sottoposto a revisione successiva, sono tratte tutte le citazioni contenute
nelle prossime pagine.
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con le destre e negli interessi dei ceti di destra il dominio su tutti i gangli dell'apparato statale; e portare la
classe lavoratrice, la democrazia e il socialismo al potere;
e) rientrare nel Comisco, ossia nella grande famiglia
della Internazionale socialista;
f) irrobustire il partito e preparare il nuovo clima politico atto a poter sostenere con successo le elezioni politiche regionali e quelle amministrative nei grandi centri per chiedere per il 1949 nuove elezioni politiche generali.
Tale linea d'iniziativa è, secondo il leader autonomista, resa necessaria dalle pesanti condizioni ereditate dalle
elezioni, da "due gravissime crisi, quella democratica nel
paese, quella organizzativa ed ideologica del partito ".
Romita afferma che la DC si è presa una clamorosa rivincita rispetto al 2 giugno 1946, quando la sua vittoria era
stata tutt'altro che trionfale e le aveva dato, sì, la maggioranza relativa, ma anche una minoranza nei confronti della somma delle forze dei socialisti e dei comunisti. La vittoria attuale della DC invece è molto grave, perché
… attorno allo Scudo Crociato si sono coalizzate
tutte le forze più retrive del paese: reazionari, ceti bancari, industria pesante ed agraria, i superstiti del fascismo e della parte più reazionaria dei monarchici e dei
clericali che imprimeranno un carattere conservatore,
antidemocratico alla nuova politica governativa, politica che sentirà il peso delle destre, consolidatesi nella
DC.
Romita nutre inoltre serie preoccupazioni attorno alla laicità dello stato e sulla sorte di quelle conquiste laiche
e fondamentali "che furono gloria e successo della passata
generazione politica, scuola, enti pubblici e collettività ",
che potranno finire in mano alle organizzazioni clericali.
Ma il dato politico più preoccupante, secondo l'ex Ministro degli Interni, è che, venendosi "a creare una lacera- 101 -
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zione pericolosa tra proletariato e ceti medi ", subentra il
pericolo dello "sviluppo di una forza di estrema destra
che peserà duramente sull'avvenire del paese "; e questo è
avvenuto per la politica sbagliata del PSI.
Ora subentra la seconda gravissima crisi, che è quella interna al PSI, una crisi che - soggiunge Romita - deriva
da una disfatta elettorale che comunque
… non è una disfatta del partito e tanto meno disfatta del socialismo. Essa è disfatta dei suoi organi, è
disfatta dei suoi capi. Sarebbe disfatta del partito, e ciò
sarebbe veramente grave, se il partito fosse stato sconfitto nel programma, nella tattica, nella strategia,
nell'ideologia corrispondenti alla sua tradizione. É stato sconfitto l'indirizzo politico uscito dall'ultimo Congresso di Roma, è stata sconfitta l'azione dell'attuale
Direzione, sono stati sconfitti quei capi che furono gli
artefici del Congresso di Roma e gli esecutori del lavoro elettorale. […] chi scrive che non abbiamo sbagliato,
che si è scelta la politica giusta, che solamente i risultati non corrispondono al successo che si sperava, è gente che non sa riconoscere la sconfitta e prepara una
nuova sconfitta che sarebbe allora definitiva.
E’ evidente come gli autonomisti, anziché scavare
sulle cause esterne del fallimento socialista preferiscano
invece puntare il dito sulle insufficienze interne, organizzative, ma soprattutto politiche. E il punto è sempre lo
stesso: l’aver accettato di mescolarsi, nelle liste del Fronte,
non solo alla presenza organizzativa dei comunisti, ma
anche alla loro preponderanza politica, che portava il
Fronte, tutto il Fronte, all’allineamento internazionale con
l’URSS. Ora, questo allineamento ha indubbiamente influito in senso negativo, in quanto la politica dell’URSS si
è rivelata non gradita all’elettorato italiano. E Romita si riferisce non solo agli avvenimenti cecoslovacchi, che comunque ebbero una grossa eco nella campagna elettorale,
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ma anche di altri atteggiamenti del mondo orientale ed in
particolar modo dei sovietici, che hanno direttamente investito gl’interessi italiani, quali “il rifiuto russo per Trieste e la nostra entrata all’ONU, il silenzio russo sulla possibilità e volontà di aiutare l’Italia negli approvvigionamenti alimentari e industriali”, fatti questi che “hanno resa più dura la battaglia e ridotta l’efficacia delle nostre
armi polemiche”.
C’è da notare inoltre che il leader autonomista fa carico alla Direzione socialista anche della mancata comprensione di un latente atteggiamento della DC e del PCI,
volto al ridimensionamento elettorale dei socialisti.
Noi socialisti non abbiamo capito che è stata
proprio la DC che sottomano ci sospinse sul terreno
del blocco socialcomunista, ma alla DC interessava di
fatto e innanzi tutto la lotta contro noi socialisti, contro
il nostro partito che è il suo nemico numero uno, mentre il PCI è il suo nemico peggiore, più detestato, ma
meno pericoloso, perché non comprometterà mai la
saldezza del partito democristiano, compattezza che
noi possiamo mirare e sfaldare con un’azione coerentemente democratica.
Allo stesso modo, secondo Romita, che cita Dimitrov, il Fronte per il PCI, altro non è, nella tattica comunista, se non il modo per avvicinare le posizioni dei comunisti e dei socialisti, annullare le differenze e vincere le
diffidenze di questi ultimi nei confronti della politica sovietica, portando così a maturazione quel processo di fusione che è stato uno dei cardini della strategia comunista
nei paesi dell’est. In questo senso Romita, come del resto
avevano già fatto altri esponenti socialisti, come Basso ad
esempio, non può non notare la differenza da quello che
avrebbe dovuto essere il Fronte nelle sue premesse, cioè
l’alleanza di tutte le forze democratiche e repubblicane
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nel paese, e quello che invece fu, cioè “un connubio social-comunista, con lo spolverino di qualche indipendente
di valore o di convinzione dubbia”, quest’ultima configurazione essendo certo più congeniale al disegno comunista.
E’ soltanto per recuperare l’originaria funzione del
Fronte, perciò, che l’esponente socialista piemontese non
giunge, almeno in questa fase, a negare la validità del
Fronte, il quale non dovrà essere
… organo contrario agli istituti democratici del
paese e contrario alle Camere legislative, ossia una
specie di soviet, un organo rivoluzionario, in un momento che non è possibile un’azione rivoluzionaria,
[bensì dovrà servire a] costituire una formidabile se
pur semplice arma per imporre attraverso le vie legali
e democratiche quelle riforme di struttura che il capitalismo oggi trionfante ostacola ad ogni costo. […]
Concludendo: d’accordo sul Fronte, ma che esso sia
veramente democratico, agisca sul terreno democratico, funzioni sotto la guida degli organi politici e sindacali, abbia l’impronta socialista e dei partiti democratici, racchiuda tutte le forze, i partiti, gli organismi democratici, non si limiti ad un blocco socialcomunista,
con egemonia comunista, pena altre sconfitte, pena la
fine del partito socialista, pena l’oscuramento delle
forze democratiche del paese con duraturo successo
delle forze reazionarie, tutto a spese della classe lavoratrice.
Occorre comunque osservare che questa impostazione romitiana appare volutamente provocatoria e strumentale ad uso soltanto del dibattito interno: una tale
concezione del Fronte – e Romita lo sa bene – è già fallita
in passato per il rifiuto del PSLI e del PRI ad accedervi e
non può non fallire anche per il futuro, sia per la radicalizzazione della lotta politica in Italia dopo il 18 aprile, sia
per lo stesso interesse dei comunisti a non mantenere in
piedi il Fronte semplicemente come fatto elettorale e pun- 104 -
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tare piuttosto ad una ridefinizione del Patto d’unità
d’azione. Del resto è lo stesso esponente autonomista, il
quale tende in questo modo a confondere, forse con piena
consapevolezza, il concetto di Fronte democratico con
quello di unità d’azione, a restringere l’area della collaborazione tra socialisti e comunisti ad un patto perfezionato
e limitato, attraverso il quale i socialisti siano liberi comunque, non solo di “avere e manifestare illimitata fiducia nella funzione storica e nel contenuto storico del PSI
ed essere convinti della superiorità programmatica ed ideologica della dottrina e dell’azione socialista su tutti gli
altri partiti, compreso quello comunista”, ma anche di
mantenere “rapporti di buon vicinato con gli esistenti
gruppi socialisti per i quali dobbiamo creare le basi per la
prossima unificazione”.
Tale preciso riferimento all’unità socialista, con
quanto comportava in materia di rapporti col gruppo di
Matteo Lombardo, ma soprattutto col PSLI, pone Romita
su di un piano del tutto differente dalle posizioni più articolate della sinistra, ma anche da quelle della corrente
centrista di Riscossa, più caute, sì, ma decise su questo
punto e sempre da considerarsi, come si vedrà più avanti,
nell’ambito di una mai rinnegata concezione di sinistra
all’interno del partito. É inutile dire che questo stacco è
avvertito nelle altre componenti, ma è avvertito anche dal
partito nel suo insieme, il cui complesso, una volta passato lo stato largamente emozionale conseguente allo scacco
del 18 aprile, prendeva decisamente le distanze dal partito di Saragat e dal ruolo da questo svolto, non solo nella
competizione elettorale, ma soprattutto per quanto riguardava le scelte di politica internazionale.
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Pur agendo nella stessa posizione all’interno del partito, Guido Calogero invece attutiva i toni strettamente
polemici per accentuare quelli politici, agganciandosi ad
un’analisi che tendeva a considerare il particolare per
quello che effettivamente era ed a ricondursi a motivazioni più profonde, certo influenzate da molte delle peculiarità liberalsocialiste che del pensiero di Calogero erano
parte determinante.
Il punto centrale della sua impostazione è la non accettazione della concezione unitaria della classe lavoratrice, per sostenere la quale si affrontano due posizioni che,
ad avviso di Calogero, debbono essere considerate veri e
propri equivoci di fondo. Il primo è quello di rivolgersi,
affermandone l’esigenza unitaria, ad una classe lavoratrice che non può più essere analizzata e presa in carico in
termini ristretti, ottocenteschi quasi, come semplice classe
operaia, ma presenta invece tutta una serie di riferimenti
più ampi che la portano a costituire la grande maggioranza dell’elettorato italiano, e che non guarda soltanto ai
partiti della sinistra, ma anche ad altre formazioni politiche, non ultima la DC. Il secondo equivoco è quello di
non interpretare correttamente le esigenze di queste masse, non soltanto offrendo loro una rigida scelta di versante solo scarsamente ancorata alle condizioni nazionali [ ma
con questo non è da intendersi astratte dal contesto europeo] della lotta politica, ma anche giungendo a teorizzare
lo stretto rapporto tra PCI e PSI con slogan – sostiene Calogero – del tipo due partiti, una politica oppure, ancor più
crudamente, della distinzione soltanto organizzativa
dell’uno e dell’altro.
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La somma di questi due equivoci ha portato perciò a
svolgere una politica, non unitaria, ma addirittura antiunitaria nei confronti della classe lavoratrice, la quale ha
visto artificialmente separare i suoi interessi in nome di
un’adesione sic et simpliciter alla politica portata avanti in
Italia dal PCI, impedendo in tal modo all’intera classe lavoratrice, non tanto di raggiungere l’obiettivo dell’unità,
quanto di formarsi una coscienza unitaria che solo può
svolgersi se parte da premesse interne alla classe e di cui
il PSI deve essere interprete se vuole svolgere una politica
socialista.
Di fatto, quel che conta – afferma Calogero in un
suo scritto precongressuale – non è l’unità di classe
che già c’è, ma quella che si fa: ossia (per parlare in
termini marxistici) non la semplice unità di classe, ma
la coscienza dell’unità di classe. Ci si è dimenticati della elementare verità marxistica, che l’unità di classe,
come semplice unità di appartenenza economica ad
uno degli elementi del processo di produzione, è
un’unità solamente potenziale e politicamente inoperante finché non si trasforma in coscienza di questa
unità, cioè in coscienza di quella comunità d’interessi
che di per sé esige concordia di azioni. E per fare nascere questa coscienza bisogna già intervenire, agire:
bisogna estendere il proprio appello volta per volta in
determinate direzioni, cioè non lasciarsi portare dalle
cose, ma svolgere azione politica di orientamento. Ossia: se l’unità della classe lavoratrice è il presupposto
potenziale di ogni politica socialista, soltanto una vera
politica socialista può poi rendere effettiva e sempre
più larga e forte quella unità. Tutto dipende dalla politica che si fa, da ciò che si vuole e dal sapere chiaramente che cosa si vuole.106
In realtà il PSI – è l’opinione di Calogero – una siffatta politica non l’ha mai praticata. Anzi, numerose sono le
106
GUIDO CALOGERO: “Presente e avvenire del socialismo”, in Per il
Socialismo, cit., da cui sono tratti i brani riportati successivamente nel
testo.
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testimonianze che esso ha praticato proprio la politica
contraria, una politica cioè strettamente collegata con
l'impostazione comunista e ad essa così strettamente affine. In particolar modo ciò è avvenuto sul piano internazionale, ossia lo scenario principale su cui si è giocata la
battaglia elettorale, arrivando anche a "battere le mani e
illustrare la notizia delle fusioni sull'Avanti! […] quando
in quasi tutti gli stati di influenza russa i partiti comunisti
procedono più o meno lentamente, ma inesorabilmente
all'assorbimento dei partiti socialisti".
L'esponente autonomista contrappone perciò alla rigida e deterministica concezione dell'unità che ha caratterizzato il PSI nella condotta del Fronte e che è anche espressione politica di fondo di ben precisi settori del partito, la sua ispirazione attenta principalmente ai valori
umani, individuali e, se vogliamo, iniziativistici del socialismo.
Un socialista - egli afferma - non si illude che esista un sistema economico perfetto e che, una volta realizzatolo, si sia fatto tutto per la civiltà: egli sa benissimo che la lotta contro lo sfruttamento capitalistico e
contro ogni altra specie di privilegio e di oppressione
non è tale che ad un certo punto ci si possa addormentare soddisfatti, con la fatua illusione di aver vinto per
sempre. Un socialista, insomma, sa che oltre all'interesse per la liberazione dell'uomo dallo sfruttamento
economico c'è anche quello per la sua liberazione
dall'assoggettamento di ogni altra specie: dal campo
della religione e del pensiero e della critica a quello
dell'intervento nella vita pubblica in ogni suo aspetto.
Non si affranca veramente l'uomo se non lo si avvicina
sempre più ad una situazione di giustizia sociale, cioè
di pari disponibilità di potere economico, e se nello
stesso tempo non gli si garantisce in ogni forma la libertà d'intervento spirituale, sociale e politico nella vita comune: sia perché ciò è un suo essenziale diritto,
sia perché è l'unico rimedio per controllare l'ammini- 108 -
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strazione di quella stessa giustizia economica, e per
farne salire lo standard a un livello sempre più ampio.
La debolezza socialista, secondo Calogero, trova riscontro anche nella politica internazionale del partito, a
proposito della quale il PSI ha sì tentato di assumere posizioni neutraliste e indirizzate a una posizione "critica e
non negativa" verso il Piano Marshall, ma la mancata indicazione nel senso di rendere attiva la neutralità e ugualmente attiva e operativa la proposta critica del PSI riguardo agli aiuti americani, rende inoperanti le aperture
contenute nella posizione socialista, tanto che questa ha
finito per portarsi "sul terreno dell'espansionismo comunista quando, propugnata in un primo tempo la neutralità
dell'Italia tra i due blocchi, l'ha poi concepita come suo isolamento nazionalistico, conformandosi in fondo all'esigenza sovietica dei patti soltanto bilaterali". Quella che è
mancata perciò è stata una vera strategia di neutralità, da
legarsi magari ad un'analisi più puntuale dei concreti riferimenti che avrebbero potuto caratterizzare una tale
strategia, nonostante i limiti oggettivi che la stessa situazione europea presentava e di cui lo stesso Calogero era
naturalmente consapevole, nel senso che
… è evidente che un'adesione dell'Italia al sistema dell'Europa occidentale è ancora un ideale parziale
o provvisorio a paragone di quello dell'unità di tutta
l'Europa e infine del mondo, e che bisogna evitare che
l'unione dell'Europa occidentale acquisti aspetti troppo churchilliani107. Ma è altrettanto evidente che bisogna cominciare da qualche parte, se si vogliono superare gli assurdi ed i pericoli delle superstiti divisioni
nazionali e assicurare, in un mondo progressivamente
federato, la libertà democratica e lo sviluppo della
pianificazione socialista. Una neutralità equivalente a
isolazionismo è un semplice assurdo per l'Italia, la
107
Il corsivo non è nel testo.
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quale non può certo ritornare all'autarchia, né sul piano economico, né su quello etico-politico.
E’ da queste premesse perciò che deve scaturire la fisionomia di un partito socialista che voglia operare nella
società italiana in maniera autonoma e determinante nello
schieramento di sinistra e che al tempo stesso, "superando
gli antichi motivi della scissione, permetta la riunificazione di tutte le forze socialiste nella loro antica e gloriosa
casa, ma altresì richiami tutti quei voti socialisti potenziali, i quali, di fronte all'indifferenziata fisionomia del Fronte, si sono (com'era stato previsto) sgomentati e dispersi".
La posizione di Calogero, di cui ho dato una breve
sintesi, è perciò da situarsi ad un livello diverso rispetto
all’impostazione di Romita, che sembra poggiare su motivi più marcatamente polemici, ma che comunque resta il
capofila e l’uomo più autorevole della corrente di destra.
Livello diverso perché Romita, come conferma anche in
altre occasioni, in special modo nelle interviste con le
quali chiarisce ulteriormente le sue posizioni congressuali, tenta in qualche modo ed in ogni momento di mantenersi il più possibile aderente alla dinamica immediata
delle forze, anche per predisporsi il terreno migliore per
la raccolta di consensi congressuali, ma ciò finisce per
confinare le sue posizioni nel vicolo cieco di un rapporto
pressoché esclusivo, anche se non direttamente ricercato,
con la socialdemocrazia. Da parte di Calogero invece si
assiste alla formulazione di temi più originali e motivati,
fors’anche più completi, che puntano ad ipotesi politiche
di maggior respiro e tentano di coinvolgere a questo tipo
di disegno, o quanto meno ad un dibattito su questo piano, altre forze presenti nel partito, che potevano rivelarsi
disponibili, non ultimi proprio i compagni ex azionisti,
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nei confronti dei quali, nonostante il retaggio di vecchie
polemiche, poteva valere anche l’esperienza di battaglie
condotte assieme.
Se l’impostazione di Calogero finì per non avere un
seguito pratico ed operativo, ciò si deve in larga misura al
prevalere, all’interno della sua corrente, di spinte che avrebbero portato fatalmente ad un‘altra scissione, ma anche – e soprattutto – alla scarsa maturazione, a livello nazionale ed internazionale, di quelle condizioni che di quel
tipo di politica avrebbero dovuto costituire la premessa
necessaria, ciò che fu anche tra le cause, come già accennato, del prematuro tramonto delle ipotesi dell’altra corrente critica, Riscossa socialista.
C’è da dire comunque che, come per Romita, anche
in Calogero risulta abbastanza evidente la tendenza a voler presentare, al di fuori delle parole e delle espressioni,
una concezione improntata al terzaforzismo, che lo avvicina, per esempio, ad alcune elaborazioni dei settori della
sinistra indipendente raccolta attorno a Garosci, Vittorelli
ed al quotidiano L’Italia Socialista; tale concezione è rintracciabile nell’ambito nazionale, dove netta è la preoccupazione di separare, anche attraverso l’accentuazione
programmatica, la funzione del PSI da quella del PCI, riducendo al contempo a schemi abbastanza nominalistici
l’esigenza unitaria a sinistra; ma ancor più in campo internazionale, dove al rifiuto netto dell’esperienza sovietica si accompagnano le riserve formali, in complesso comunque abbastanza deboli, alla concezione churchilliana
dell’Europa. Ed è probabilmente su questo punto che
dobbiamo registrare il momento più deciso e forse definitivo di differenziazione delle posizioni degli uomini di
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Riscossa, per i quali il pericolo di scivolamento nel terzaforzismo era incombente, ma nella sua grande prevalenza
respinto.
2. La mozione di Riscossa Socialista
Un atteggiamento intermedio tra i vari modi di essere della sinistra e gli autonomisti romitiani si manifestò
solo dopo lo svolgimento del Consiglio Nazionale e la
convocazione del XXVII Congresso108. La posizione di Ri108
Il XXVII Congresso [straordinario] fu convocato dal Consiglio Nazionale del partito tenutosi nei giorni 15 e 16 maggio. La convocazione
del Congresso, il cui svolgimento fu previsto per i giorni dal 27 al 30
giugno, fu fatta dal Consiglio Nazionale dopo che una complicata polemica si era intrattenuta nei giorni precedenti tra la Direzione e gli autonomisti di Romita: questi ultimi sostenevano infatti che doveva essere la
Direzione a convocare al più presto possibile il Congresso senza dover
apssare attraverso il filtro del Consiglio Nazionale e, di fronte
all’atteggiamento non deciso della Direzione, avevano iniziato una campagna per la raccolta delle firme di base necessarie per portare avanti
questa richiesta secondo le norme statutarie. La Direzione preferì invece
ricorrere ad una decisione formalizzata dal Consiglio Nazionale. Secondo lo statuto allora vigente, l’organo dirigente del partito, direttamente
eletto dal Congresso, era la Direzione, mentre il Consiglio Nazionale
rappresentava soltanto l’istanza, consultiva e non permanente, di collegamento tra le federazioni e tra queste e la Direzione. A rigor di logica
perciò la richiesta di Romita per investire direttamente la Direzione della
responsabilità di convocare il Congresso era assolutamente corretta, tanto che l’atteggiamento dei dirigenti in quella occasione può esser considerato, anche su questo specifico episodio, un’ulteriore riprova dello stato d’incertezza che aveva investito il vertice socialista e che si rifletteva
proprio nel momento in cui dovevano essere affrontati i problemi del
partito, della sua linea politica e della sua dimensione organizzativa dopo
la sconfitta elettorale. D’altronde la confusione sulle scelte operative
conseguiva direttamente dalle incertezze sulla linea politica e rifletteva
anche le questioni di organigramma, che da alcune parti venivano ritenute prevalenti, anche per la soluzione dei problemi più importanti derivanti dalla sconfitta elettorale. In questo senso non era del tutto fuori luogo
che il timore nutrito dagli autonomisti nei confronti di una convocazione
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scossa Socialista, che si espresse subito sotto forma di
mozione congressuale, ebbe tra i suoi principali ispiratori
Riccardo Lombardi, Giovanni Pieraccini, Sandro Pertini,
Fernando Santi, Vittorio Foa e Alberto Jacometti109. Essa
non poteva comunque dirsi costruita sulla scorta di un
congressuale passata attraverso il filtro del Consiglio Nazionale, anche
perché l’utilizzo di questa sede avrebbe potuto costituire un’occasione
per eventuali operazioni diversive dal Congresso, come ad esempio
l’eventualità di un cambio di segreteria. Si trattava comunque di tentativi
che rimasero al puro stadio delle ipotesi, tanto che anche Basso, introducendo i lavori del Consiglio Nazionale, doveva ammettere che “dopo la
convocazione del CN, la Direzione ebbe modo di prendere contatto con
tutte le istanze periferiche del partito e pertanto poté constatare che
l’immensa maggioranza dei compagni è per il Congresso straordinario”.
[LELIO BASSO: “Relazione al Consiglio Nazionale del 15/16 maggio
1948”, sunto in Avanti! del 16 maggio 1948]. Le due giornate del Consiglio Nazionale, a parte una discussione sommaria su alcuni temi relativi
al Comisco ed alla Conferenza internazionale di Vienna, non fecero registrare un vero e proprio dibattito politico, che invece, con l’accordo di
tutti, fu rinviato allo svolgimento congressuale.
109
La mozione di Riscossa Socialista, se si eccettuano appunto la pubblicazione del testo congressuale sull’Avanti! del 27 maggio 1948 ed un intervento successivo di Nicola Perrotti, si rivelò singolarmente avara di
contributi al dibattito. Ma le intenzioni favorevoli ad un equilibrio diverso all’interno del PSI erano già espresse sia pure sotto altre forme. Per
esempio, nel corso del dibattito in Direzione, che risente delle contraddizioni di fondo di quella fase, tanto Lombardi che Jacometti avevano cercato di delineare posizioni più articolate rispetto a quelle della sinistra, di
Basso ed anche rispetto a quelle degli autonomisti. Inoltre fu proprio nei
giorni del Consiglio Nazionale che Lombardi fece pervenire le proprie
dimissioni dal direttivo del gruppo parlamentare socialista alla Camera.
Di tali dimissioni non si sa molto per vie ufficiali, ma la stampa di allora
colse in questo atto l’inizio di fatto del distacco politico di Lombardi dalla maggioranza della Direzione e l’avvio di un’esperienza autonoma che
potesse prospettare una diversa collocazione nel partito. Il primo atto di
manifestazione della nuova corrente è perciò la pubblicazione della mozione congressuale sul giornale del partito. Scritta, come pare, da Giovanni Pieraccini, con il contributo di altri componenti del gruppo, fu sottoscritta da Sandro Pertini, Riccardo Lombardi, Fernando Santi, Giovanni Pieraccini, Vittorio Foa, Alberto Jacometti, Andrea Fabbricotti e Cesare Lombroso.
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dibattito, critico ed autocritico, come sarebbe stato per le
posizioni espresse dalla sinistra, da Basso e dagli autonomisti; possiamo dire anzi che essa era lo svolgersi, in
termini pratici congressuali, di una percezione dello stato
d’animo del partito, frustrato, deluso nelle aspettative, attaccato da destra per i supposti residui del fusionismo,
ma anche considerato da sinistra, dal PCI, niente più che
un comodo alleato su cui poter esercitare volta per volta
forti e pesanti influenze110. Tale stato d’animo conduceva
una parte non trascurabile dei quadri e dei militanti a subire il fascino deviante delle argomentazioni romitiane,
un’altra parte a contestare apertamente sia l’operato della
segreteria, sia l’influenza non indifferente che la sinistra
più vicina alle posizione del PCI esercitava sulla linea politica del partito. Porre un freno a queste tendenze, incanalare in rivoli politici congruenti alla tradizione di classe
del PSI l’area della protesta, fu il proposito più immediato
dei promotori di Riscossa e, possiamo dire, anche il risul110
Cfr. ad esempio [PALMIRO TOGLIATTI]: “Considerazioni sul 18
aprile”, editoriale non firmato in Rinascita, n. 4/5, aprile-maggio 1948, il
quale afferma: “L’azione conseguente del Fronte ha però una condizione
essenziale, primordiale: l’unità delle forze che lo costituiscono, e per
mantenere questa unità la stretta collaborazione tra comunisti e socialisti
è prima di tutto indispensabile. Vi è un pericolo in questa direzione nel
momento attuale? Sarebbe ingenuo e anche dannoso negarlo: è meglio
guardare le cose come sono. La massa elettorale del partito socialista,
meno legata alla organizzazione di partito e più eterogenea di quella comunista, ha subito ilo 18 aprile una notevole riduzione di cui fornisce la
riprova il successo delle liste saragattiane. Questo è un primo fatto negativo, che rivela una frattura tra le forze più avanzate della democrazia e
gruppi di lavoratori di ceto medio su cui ha avuto una certa presa la generale propaganda anticomunista, mascherata, questa volta, di socialismo
riformista. L’altro pericolo è che in seno al partito socialista stesso si
manifesti la tendenza a cercare un’uscita dalla situazione attuale non in
un rafforzamento dell’unità dei partiti operai, ma in un’artificiale differenziazione, che oggi non si può ottenere se non scivolando verso posizioni di più o meno larvato anticomunismo”.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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tato più evidente conseguito dalla mozione centrista.
Questo risultato non fu di secondaria importanza, se si
considera la pesante delicatezza del momento socialista e
se si considera soprattutto che la posizione che emergeva
rappresentava, per la prima volta dopo molti anni,
un’esperienza che rifiutava contrapposizioni e schematismi tradizionali per il movimento socialista: ciò che avveniva anche per il particolare contributo di coloro che, come Lombardi, Foa ed altri, avevano raggiunto la militanza socialista attraverso l’esperienza politica e culturale del
partito d’azione e che, in questo quadro, tentavano di definire uno specifico socialista, che, almeno nelle premesse,
fosse in grado di superare le vecchie antinomie.
La preoccupazione maggiore che ispira gli uomini di
Riscossa è infatti quella di definire il PSI non solo nel particolare momento politico, ma anche nella sua concezione
di fondo, che è quella unitaria e di sinistra, inserita in un
confronto col PCI sui maggiori temi nazionali ed internazionali. In conseguenza di questa impostazione, la mozione congressuale si pone su un livello diverso rispetto
agli interlocutori interni ed esterni al PSI nella interpretazione del voto del 18 aprile, sia distinguendosi dalla posizione emersa nella Direzione ed anche da parte degli esponenti della sinistra, sia respingendo le argomentazioni
sostanzialmente non unitarie ed in gran parte terzaforziste portate avanti da Romita e dagli autonomisti. In questo quadro, il voto del 18 aprile, diversamente dalle opinioni delle anime estreme del PSI, ma anche diversamente da quelle espresse dal PCI111, non è soltanto una scon111
cfr. l’intervista, citata, di Togliatti all’Unità del 22 aprile 1948: “Dappertutto, dove il successo delle liste del Fronte dipendeva da noi questo
successo vi è stato, perché i comunisti si sono battuti con convinzione e
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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fitta socialista, ma si ripercuote sull’intera sinistra e sulla
classe lavoratrice in generale, di cui forte responsabilità
hanno non solo i socialisti, ma anche il PCI, che nel corso
degli ultimi mesi aveva rappresentato per la classe lavoratrice la guida e l’ispirazione principale; ed è al PCI in
particolare che può essere indirizzata la critica che Riscossa muove a proposito dei comportamenti e
dell’effettivo contenuto di classe della politica di sinistra
in Italia.
C’è stata in Italia – si legge infatti nella mozione
– una deficiente politica di sinistra. Non si è saputo utilizzare l’entusiasmo delle forze popolari all’indomani
della Liberazione per tradurlo in conquiste definitive.
Tutto il moto della classe lavoratrice ha talora oscillato
tra posizioni meramente agitatorie e compromessi
corporativi con i maggiori gruppi industriali e finanziari. Nel gioco della lotta per i miglioramenti salariali
non si è sempre stati capaci di avere presente la situazione generale, ma ci si è legati a rivendicazioni di categoria che in definitiva non rafforzavano la politica di
alleanze tra i ceti medi, operai e contadini.
Avrebbe dovuto essere questa, invece, la funzione
del Fronte: quella cioè di rappresentare il momento di superamento di queste contraddizioni, il momento unificante della politica di alleanza tra i ceti medi, i contadini e la
classe operaia, allo scopo di “trasportare la lotta politica
dal vecchio piano di guerra ideologico tra partito e partito
a quello della lotta di tutti i lavoratori uniti dal loro comune interesse, contro la minoranza capitalistica reazionaria, per le riforme di struttura”.
senza esitazioni, mettendo al di sopra di tutto la causa delle democrazie e
dell’unità popolare. Non vi è una sola delle nostre posizioni che sia stata
espugnata dal nemico. Coloro che pensavano o pensano tuttora di poter
schiacciare il comunismo in Italia sappiano che il comunismo, dopo il 18
aprile, si sente più forte di prima”.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Il motore fondamentale della posizione di Riscossa
fu la forte esigenza di partire dall’affermazione della “alternativa socialista della neutralità e della pace”, che sul
piano internazionale, “dinanzi agli aiuti americani ed alle
vaste manovre e ai piani internazionali dei gruppi capitalistici” deve far prevalere la necessità della cooperazione
economica tra le nazioni ed i popoli, sul piano interno
deve affermare lo specifico unitario della classe che nasce
dalle lotte e dalla forte pressione per le riforme di struttura, anziché venire indotta dalle condizioni di lotta tra le
potenze sul piano internazionale.
Questa posizione apre la via ad una critica serrata alla logica dei blocchi e si ricollega al tradizionale neutralismo socialista che, riaffermato negli anni ‘44/45, era stato
notevolmente attutito nel corso degli esordi della guerra
fredda. Era stato in particolare Lombardi, già fin dal suo
discorso al Congresso dell’Astoria, ad entrare in maniera
decisa e penetrante sul tema dei rapporti internazionali
ed a sottolineare le differenti caratteristiche, qualitative e
di rendimento, che il Fronte poteva assumere, a seconda
che facesse derivare le proprie motivazioni – e quindi anche le linee della sua propaganda – da supporti di politica
interna oppure internazionale. Ma era proprio
dall’esistenza di questi supporti interni che Lombardi faceva derivare la necessità, per lo meno per il PSI, di ridefinire una posizione neutralista e di superamento dei
blocchi, come terreno specifico di azione e di lotta socialista112 e come riferimento per definire una politica di ri112
Nel suo intervento al XXVI Congresso, Riccardo Lombardi aveva
sviluppato una serrata polemica con ogni concezione che tendesse a far
derivare le ragioni del Fronte da fatti internazionali, dalla spaccatura del
mondo in blocchi contrapposti, dall’identificazione tra scelta nel campo
di classe come scelta del campo sovietico. “Questo pericolo – affermava
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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forme di struttura collegate alla cooperazione internazionale, di cui lo stesso Piano Marshall poteva in
quest’ambito costituire un utile – e necessario – punto
d’appoggio.
Su queste basi Riscossa conduce la sua critica al processo di formazione e di svolgimento del Fronte. Esso infatti non è stato in grado di rappresentare il momenti unificante delle esigenze dei ceti progressisti del paese proLombardi – esiste. Ho già seguito il Congresso comunista e le deliberazioni che ne sono venute. Evidentemente il Partito comunista ha una sua
storia, una sua posizione ed impegni internazionali altamente rispettabili.
[…] Le decisioni del nostro partito devono dare al Fronte Democratico
un indirizzo non soltanto propagandistico, ma tutto un indirizzo politico,
basato essenzialmente su problemi di politica estera, cioè su una determinata congiuntura della vita internazionale nella quale la grande democrazia russa è effettivamente minacciata di isolamento. […] Ma non
penso che gli interessi della classe operaia e gli interessi obiettivi della
ricostruzione in Europa; non penso che la politica del Fronte Democratico possano essere legati agli interessi necessariamente mutevoli della politica dell’Unione Sovietica”. Il problema nodale del Fronte era invece
per Lombardi quello di definire innanzi tutto se stesso in rapporto alle
proprie ragioni, alle pressanti domande di riforma che nascevano dal
basso e che del Fronte dovevano costituire il momento unificante. “Se
noi daremo al Fronte democratico della pace e della libertà e del lavoro
scopi precisi, non programmi massimalistici, se noi ci prospetteremo
problemi maturi […] e se noi impediremo che la politica del Fronte sia
indirizzata a fini diversi dalle fondamentali riforme di struttura, il cui
problema coincide con lo stesso problema dei nostri rapporti internazionali, noi avremo dato al Fronte democratico una potenzialità d’inserzione
nella vita democratica del paese, un potere di attrazione dei ceti, un potere realizzatore tale, che allora potremo veramente contare sulla certezza
della vittoria, o almeno su una ragionevole prospettiva di vittoria. Se invece noi sminuzzeremo il Fronte, assegnandogli scopi di agitazione per
obiettivi che non sono realizzabili, o ne faremo un’arma per tradurre nel
nostro paese gli urti di forze che agitano tutta l’Europa e tutto il mondo,
allora lo devieremo dai suoi fini propri e ne faremo una creatura inerte e
flaccida, la quale non rappresenterà che un ricordo di sconfitta anzi che
di vittoria”. [RICCARDO LOMBARDI: “Discorso al XXVI Congresso,
cit.]
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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prio perché, risolvendosi quasi esclusivamente ad essere
la composizione a mero livello elettorale di socialisti e
comunisti, era fatale che l’opinione pubblica vi scorgesse
l’influenza determinante del PCI e dei suoi legami internazionali: ed è soprattutto in questo ambito che la mozione di Riscossa critica l’atteggiamento del PSI nel Fronte,
atteggiamento che in alcun modo aveva potuto corrispondere allo slogan bassiano “un forte Partito Socialista
all’avanguardia del Fronte” ed a determinare uno specifico socialista nell’alleanza elettorale.
Facendo leva sugl’insegnamenti della sconfitta del
18 aprile, il documento tenta poi di indicare l’azione che
deve caratterizzare il PSI, inserendola ancora nella politica unitaria e riassumendola in quattro punti: l’ opposizione al governo, la difesa del tenore di vita dei lavoratori, la politica meridionalista, la difesa della pace. Su
quest’ultimo punto, l’affermazione dell’esigenza di neutralità assoluta ed il rifiuto di concludere alleanze o blocchi di qualsiasi genere, oltre ad una presa d’atto del Piano
Marshall [“in questa realtà viviamo e dobbiamo lottare
perché gli interessi dei lavoratori non siano danneggiati e
gli aiuti non si trasformino per noi in un permanente stato
d’inferiorità e di subordinazione politica e militare”] portarono alla mozione di Riscossa accuse di opportunismo e
di cedimento rispetto ai principi della politica unitaria,
che pure la stessa mozione riproponeva con forza.
Ci sono da fare, a questo proposito, alcune considerazioni. La prima è che assistiamo alla netta distinzione
tra politica unitaria e politica del Fronte: non solo, ma a
differenza di Romita che ne ammetteva ancora strumentalmente l’attualità, il Fronte viene criticato profondamen- 119 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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te per non aver rappresentato il nuovo, quella politica,
cioè, d’attacco della classe lavoratrice e dei ceti progressisti contro la conservazione e contro il mantenimento delle
vecchie strutture che l’adesione alla DC ed alle forze che
la spalleggiavano rappresentava nella consultazione del
18 aprile. Per svolgere questo ruolo – l’abbiamo visto – il
Fronte avrebbe dovuto il più possibile liberarsi dai condizionamenti partitici ed in particolar modo dal PCI, con
tutto quello che il PCI rappresentava sul piano internazionale, pervenendo ad una nuova sintesi democratica
che facesse, appunto, dell’unità progressista il suo momento determinante e si ponesse quale alternativa democratica e riformatrice alle forze della conservazione. Se invece lo stretto blocco elettorale PCI-PSI, come in definitiva si era ridotto ad essere il Fronte, si era posto su posizioni difensive e sul terreno di battaglia prediletto
dall’avversario, cioè su quello della competizione internazionale tra mondo occidentale e mondo comunista, ciò
voleva dire che era la formula del Fronte a dover essere
riveduta e, se del caso, abbandonata, non però quello della politica unitaria della classe lavoratrice.
In secondo luogo Riscossa Socialista – o per lo meno
la sua parte più consapevole, ché molte furono le aggregazioni e non sempre tutte controllabili – sviluppò la sua
argomentazione e poi anche la sua azione politica prendendo l’avvio principalmente dalle motivazioni e dalle
esigenze della sinistra nel suo complesso. L’approccio a
questa concezione viene vissuto tuttavia in termini diversi sia da Basso, sia dagli altri esponenti della sinistra da
Morandi a Nenni. Basso infatti poneva il rapporto unitario – ed al tempo stesso competitivo – a sinistra sostanzialmente come un tentativo, anche fortemente argomen- 120 -
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tato dal punto di vista teorico, di rovesciamento dell’ egemonia, da quella del PCI a quella del PSI, sull’intero
campo della sinistra rivoluzionaria, in cui la posizione
sottilmente antileninista del segretario del PSI veniva sostenuta da esigenze provenienti da analisi e da indicazioni pratiche giudicate più idonee per la sinistra italiana, in
quanto inserita in un modello di tipo occidentale. Per
Nenni e per gran parte della sinistra, invece, i presupposti
dell’unità risentivano fortemente dalle motivazioni della
politica internazionale, in cui caratteri d’emergenza finivano per accostare tutta la sinistra, socialisti compresi,
all’esigenza di trovare sostegni alla difesa dell’Unione
Sovietica, in ciò vanificando quel tanto di neutralismo che
Nenni soleva esprimere nei suoi discorsi, ma che, in questo contesto, finiva per ritrovarsi subalterno alla politica
comunista. Abbiamo visto invece che, per Riscossa, le radici del prevalere delle esigenze unitarie della sinistra sulla stessa logica del PSI intesa in senso stretto stanno nel
carattere nazionale delle richieste e delle spinte della classe
lavoratrice e della collocazione di queste in un ambito
prevalentemente riformatore. Ciò che consentiva, soprattutto a Lombardi, di ipotizzare nuovamente una caratterizzazione più decisa del PSI, non tanto per la sua forza
numerica, quanto le la caratterizzazione delle sue idee e,
di conseguenza, delle sue ragioni politiche.
3. Le posizioni della sinistra
L'avvio congressuale della sinistra, per doversi caratterizzare non in seguito a posizioni critiche precostituite,
come per Romita, o a posizioni che comunque scaturivano largamente dallo stato del partito, come per Riscossa,
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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fu indubbiamente più faticoso e maggiormente determinato da contraddizioni ed incertezze, condizioni queste
che non mancarono di ripercuotersi negativamente anche
sull'esito del Congresso. Gli uomini della sinistra, infatti,
per la loro opzione in favore delle liste unitarie del Fronte
e per la gestione, discutibile e discussa, della campagna
elettorale (Basso, con tutte le sue riserve, era pur sempre
uomo a sinistra) costituivano il bersaglio principale di
ogni polemica, interna o esterna al partito. Il procedere di
questa posizione, pertanto, come si è potuto osservare anche nella condotta tenuta dai suoi esponenti in Direzione,
non poté essere affatto lineare, tanto che i contrasti tra gli
uomini più rappresentativi, la necessità di dover ripiegare
su posizioni difensive, oltre la naturale reazione al risultato elettorale, determinarono le premesse per una gestione
della fase congressuale incerta e non sufficientemente caratterizzata per quanto riguarda l'analisi della sconfitta e
le proposte per una risoluzione della crisi socialista.
Sul piano del contributo al dibattito, comunque, più
che al testo della mozione113, i cui contenuti non presentavano novità rilevanti e la cui forma era quella classica,
vagamente apodittica, che è tipica in genere delle mozioni
congressuali, vale la pena di ricollegarsi all'articoloappello che da Luigi Cacciatore e Rodolfo Morandi fu rivolto al partito, ma particolarmente ai vecchi militanti
113
La "Mozione di sinistra", che fu pubblicata sull'Avanti! il 5 giugno
1948 fu sottoscritta da Mario Berlinguer, Luigi Cacciatore, Giacinto
Cardona, Giuseppe Casadei, Achille Corona, Giorgio Grazia, Domenico
Grisolia, Foscolo Lombardi, Rosetta Longo, Lucio Luzzatto, Carmine
Mancinelli, Giacomo Mancini, Pietro Mancini, Rodolfo Morandi, Giuliana Nenni, Gennaro Palumbo, Raniero Panzieri, Luigi Renato Sansone,
Tullio Vecchietti, Massimo Severo Giannini, Elena Caporaso.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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della sinistra114 e che costituisce il documento più interessante prodotto da questo settore del PSI nel suo complesso, per quella occasione: ad esso perciò è opportuno rivolgersi per presentare un minimo di rivisitazione delle
posizioni con cui questo schieramento, pur nella sua variegazione, affrontò il Congresso.
L'impegno prevalente di Cacciatore e Morandi è
quello di richiamare un deciso serrate le file di tutta la
componente. La sua forza e la sua compattezza erano infatti messe seriamente in discussione sia dalle reazioni al
risultato elettorale, sia dal passaggio silenzioso di molta
base e dirigenza intermedia direttamente al PCI115, sia dalle incertezze sulla linea da seguire che, pur in diverse direzioni, venivano espresse da parte di uomini come Basso
e Lizzadri; ma soprattutto il rischio maggiore era costituito dall'attrazione che su gran parte dei quadri veniva esercitata dalla posizione di Riscossa116.
Fu perciò sostanzialmente in direzione di questa eventualità che, proprio con l'articolo-appello si voleva esorcizzare, Cacciatore e Morandi diressero prevalentemente le loro argomentazioni, cercando di operare un serio tentativo per prenderne le distanze, senza tuttavia lasciare il fianco scoperto alla critica più efficace che gli
114
LUIGI CACCIATORE - RODOLFO MORANDI: "Ai compagni di
sinistra", in Avanti! del 1 giugno 1948, da cui sono state tratte le citazioni successive.
115
Si veda la testimonianza di Lizzadri in Il socialismo italiano, cit.,
pag. 86
116
Ancora nel volume di Lizzadri a pag. 89, ma soprattutto nello scritto
di GIUSEPPE PERA: "L'alternativa socialista del PSI", cit. pag. 579 e
sgg., in cui, al di là della violenta polemica di segno antimorandiano,
l'Autore fornisce alcune testimonianze interessanti del clima esistente nel
PSI dopo il 18 aprile e del movimento dei quadri, soprattutto della sinistra, verso il centro.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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uomini di Riscossa portavano avanti: la critica cioè ad una
concezione dell'unità delle forze della sinistra, che lasciava il PSI del tutto subalterno alla politica dell'altro partner
dello schieramento. Inutile sottolineare come questa fosse, sul piano congressuale, una delle argomentazioni più
adatte per determinare un rovesciamento dei rapporti di
forza a favore dei centristi.
Perciò i due firmatari dell'appello, riconvertendo,
soprattutto per quanto riguarda Morandi, alcune posizioni precedentemente espresse 117, dovettero appoggiare la
loro analisi su alcuni aspetti della situazione che avevano
prodotto il risultato del 18 aprile, più direttamente riferibili al quadro internazionale ed alle condizioni, quelle incipienti della guerra fredda, al cui interno i partiti della
classe lavoratrice erano costretti ad operare. Su questo
terreno la sinistra socialista non concesse niente al neutralismo lombardiano, anzi operò una scelta di campo sul
piano internazionale ancora più marcata di quella espressa in sede di campagna elettorale: "le elezioni del 18 aprile
- scrivono infatti i due esponenti della sinistra - vanno
considerate come un episodio della lotta di classe che si
svolge sotto la guida dell'imperialismo anglo-americano",
lotta che si dilata fino ad assumere i contorni di un rinnovato scontro tra le forze popolari contro l'essenza di un
nuovo fascismo, che stavolta coincide con le potenze occidentali, a cui lo schieramento internazionale della socialdemocrazia ha dato la propria completa adesione.
Ritorna perciò l'esigenza morandiana di riconferire
alla sinistra il compito di svolgere una politica di classe, al117
Cfr. RODOLFO MORANDI: "Questioni davanti al Congresso", in
Democrazia diretta, cit., soprattutto per ciò che concerne il campo di reciproci rapporti tra PCI e PSI
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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la quale tuttavia si finisce per fare riferimento con contorni del tutto modificati rispetto all'impostazione originaria.
Il problema di indirizzo scaturito dalle elezioni
non è propriamente quello dei rapporti tra PSI e PCI,
rapporti che possono variare per ragioni di circostanze, senza incidere sulla direttiva generale di una politica di classe. É invece un problema di fondo, per cui
occorre precisare pregiudizialmente la posizione che il
partito intende assumere nella lotta intrapresa sul piano mondiale contro il comunismo.
L'identificazione tra politica di classe e politica dell'Unione sovietica è perciò il nuovo punto di approdo della sinistra socialista o, per lo meno, degli esponenti che ne
tracciano più autorevolmente la linea: è in definitiva l'accettazione della guerra fredda come asse portante della
politica internazionale ed italiana e, sul piano delle conseguenze interne alla sinistra ed al PSI, rappresenta l'inizio di una fase nuova in cui si determina la prevalente identità delle posizioni socialiste con quelle comuniste.
Fatta questa puntualizzazione, che ha valore estremamente fermo all'impostazione che da parte della sinistra si voleva ribadire con forza, non mancano poi alcune
concessioni a spunti autocritici vero la condotta del partito nel confronto elettorale, anche con la denuncia di alcune manchevolezze del Fronte. Ma prima di queste, anche
la di là delle energiche affermazioni circa la scelta di
campo, restava per Cacciatore e Morandi l'esigenza di
non lasciare appigli alla critica che le posizioni di Riscossa
esprimevano: da qui la necessità di portare alcune delle
posizioni più rigide ad un livello di compatibilità con le
espressioni dello stato d'animo del partito e nel dibattito
conseguente; e, per la stessa difficoltà di un attacco frontale a quelle posizioni che momentaneamente godevano
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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di forte credito, si rendeva necessaria cercare una linea
d'attacco diversa, individuandola in termini negativi nella
critica che poteva essere rivolta alle posizioni di Romita.
Sotto quest'aspetto ci sono nell'articolo di Cacciatore e
Morandi alcune affermazioni estremamente restrittive
che possono anche non essere riferite non esclusivamente,
come invece poteva sembrare, alle posizioni degli autonomisti, ma tendono anche a mettere in guardia l'intero
partito dai rischi che un'accettazione generalizzata ed acritica delle tesi di Riscossa avrebbe potuto comportare
per l'intero PSI. Anche sotto questo particolare aspetto
possono infatti essere interpretate queste affermazioni:
… lo schieramento della socialdemocrazia nella
coalizione anticomunista viene giustificato col pretesto
di inserirsi come terza forza neutra nello sviluppo della lotta di classe sul piano dei rapporti internazionali:
idea questa che si collega direttamente alla concezione
corporativa, la quale pretende di superare la lotta di
classe all'interno della nazioni. […] Il partito non deve
indugiare nella ricerca di vie diverse da quelle che
questa lotta [la lotta contro il fascismo e la reazione,
n.d.a] si è aperte sviluppandosi in Europa e nel mondo
…
Ma non veniva sottovalutata anche l'esigenza di fare
alcune parziali concessioni allo stato di necessità imposto
dalla situazione del partito, più che da Riscossa, e per
questo motivo Cacciatore e Morandi tracciano una critica
alla condotta della dirigenza socialista e del PSI in generale nel periodo elettorale, volendo con questo significare
un formale riconoscimento degli errori compiuti ed un
tentativo d'imbrigliare in qualche modo l'azione di chi
potrebbe "accaparrarsi l'orgoglio ferito del partito, il malcontento ed il risentimento che si sono diffusi nelle nostre
file", ma al contempo sortendo, forse intenzionalmente,
l'effetto di colpire anche chi di una tale condotta doveva
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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esser ritenuto maggiormente responsabile, ossia il Segretario del partito Lelio Basso, personaggio assai scomodo
anche per la stessa sinistra. Non diverso significato infatti
può essere attribuito alle argomentazioni seguenti.
L'asprezza della battaglia elettorale, le difficoltà
insite in essa, sotto lo specifico aspetto dell'azione di
partito, hanno scoperto gravi debolezze che noi tutti
siamo impegnati a riparare. É indispensabile rafforzare la disciplina, che ha subito, per cause diverse, una
continua corrosione nei suoi elementi fondamentali di
rottura e di coerenza politica. Tali elementi non devono essere avviliti dall'opportunismo dei militanti e dal
trasformismo dei dirigenti. É necessario rinsaldare la
compattezza ideologica del partito, dopo che si sono
manifestati nella recente campagna elettorale cedimenti pericolosi ed una insufficiente capacità di reazione
alle insidie che ad essa venivano tese. I militanti devono essere chiamati ad esercitare più vigile controllo sui
quadri, non indulgendo a debolezze quando si manifesti, per qualsivoglia ragione, una tendenza a cedere
alle manovre di aggiramento che svolgono i nostri avversari. Infine si richiede che sia accresciuta l'efficacia
organizzativa, intraprendendo in primo luogo l'azione
più energica per spezzare incrostazioni di clientele e
gli interessi personalistici, che sono cause principali di
rilassamento. É da ritenere abbia dato risultati nel loro
complesso negativi il sistema di sovrapporre quadri
centrali, troppo sovente impreparati, a quelli locali. Le
federazioni devono essere assistite dagli organi centrali, sovvenendole di quei mezzi d'informazione, di propaganda, di sempre migliore qualificazione nel lavoro
di partito di cui non possano direttamente disporre.
Ma in nessun caso devono essere ridotte a meri compiti di esecuzione, il che finisce alla lunga per atrofizzarle.
Riguardo a questi punti, tuttavia, può essere utile fare alcune precisazioni ulteriori che attenuino certe possibili schematicità di giudizio. Se infatti, di fronte alle oggettive difficoltà che la sinistra aveva a riproporre a cuor
leggero, non tanto la politica del Fronte, quanto la tattica
delle liste unitarie, un esponente come Oreste Lizzadri,
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che da lungo tempo aveva legato il suo nome alle battaglie più decise della politica di alleanza col PCI, fino ad
essere considerato il leader della tendenza fusionista, poteva permettersi di affermare che
… una sinistra all’interno del PSI, maggioranza o
minoranza, deve sostenere il potenziamento del FDP
[Fronte Democratico Popolare, n.d.a.], il funzionamento attivo del patto d’unità col PCI, lo sviluppo degli
organismi di massa, [e che] perché tale funzione si esplichi è pregiudiziale l’affermarsi di una sinistra qualificata, coerente e compatta, ed è ovvio che una tale
sinistra non può scaturire da un compromesso, anche
se ben congegnato su formule e su alcuni esponenti
…118,
nondimeno rimane abbastanza materiale di riflessione sul
fatto che, da parte di Cacciatore e Morandi si registri, sì,
un certo attutimento riguardo ad un rapporto più stretto
col PCI, ma che questo attutimento rimanga su un piano
prevalentemente formale, mentre i contenuti del discorso
sono tali da far garantire la prosecuzione – e finanche
l’accentuazione – dell’originaria impostazione della sinistra.
Su due punti, in particolare, occorre a mio avviso
volgere l’attenzione. In primo luogo alla critica della gestione elettorale: se infatti questa non può essere considerata solo un’autocritica, ma soprattutto essa viene determinata anche da una serie di appunti rivolti a Basso ed al
metodo che dall’aggancio teorico bassiano direttamente
derivava, è allora utile considerare anche che i nuovi richiami che Morandi rivolgeva per determinare nuovi e
più larghi momenti di responsabilità nella funzione organizzativa e per collegare l’azione e l’elaborazione politica
118
ORESTE LIZZADRI: “Intervento alla Tribuna del Congresso” in Avanti ! dell’8 giugno 1948
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all’azione di massa, costituiscono le premesse da cui sorgerà il lavoro teorico e pratico dello stesso Morandi, premesse che egli svilupperà fino a rivolgerle in termini di
messaggio al Convegno giovanile di Modena del 1950
(quando cioè la sinistra avrà ripreso il pieno controllo del
partito e sarà già avviato il processo morandiano di riconversione119), attraverso l’acquisizione, “ideologicamente, senza riserva alcuna […] del leninismo come interpretazione e sviluppo del marxismo”120.
In secondo luogo nessun equivoco può esser fatto
sull’approccio internazionale, soprattutto in contrapposizione con Lombardi, per gli effetti di valutazione e poi di
pratica politica che esso produce. Nell’analisi lombardiana infatti, che rimaneva ancorata ad una visione del
mondo in generale e della politica interna in particolare in
cui la lotta tra i blocchi doveva essere considerata solo
come un capitolo della storia diplomatica e militare, i destini della lotta di classe avevano prevalentemente sviluppo nelle singole nazioni, pur inquadrati in un generale
contesto europeo, e così si veniva a superare un concetto
deviante dell’internazionalismo, riferito semplicisticamente all’accettazione della natura socialista dell’Unione
Sovietica e del ruolo socialista di questa nell’azione internazionale. L’analisi di Cacciatore e Morandi invece, più
119
L’opera politico-organizzativa intrapresa dal PSI a partire dal 1949
sotto la spinta di Morandi viene chiamata “riconversione”, anziché “rinnovamento” o “ristrutturazione” da ALBERTO BENZONI – VIVA TEDESCO in Il movimento socialista nel dopoguerra, Padova 1968, pag.
88, con motivazioni del tutto condivisibili.
120
RODOLFO MORANDI: “Le ragioni e gli obiettivi della nostra politica unitaria”, discorso tenuto al Convegno nazionale dei giovani socialisti
di Modena (13/16 aprile 1950), ora in RODOLFO MORANDI: La politica unitaria, Torino 1975, pag. 58, da cui è tratta anche la successiva citazione.
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rigida, ma realistica ed immanente rispetto alle forze in
gioco, parte da una concezione dello scontro di classe che
avviene in una dimensione internazionale e coincide nella sua interezza con lo scontro tra i blocchi. Ciò significa
che la scelta di un campo di lotta deve necessariamente
comportare la scelta di un blocco: all’interno di questa logica, per immediata esigenza tattica, potevano anche restare non definite alcune forme della collaborazione unitaria, ma non sussistevano margini per interpretazioni
equivoche ed incomplete della direzione politica. E, se la
concezione unitaria di Lombardi presupponeva pur sempre una leadership socialista (non dal punto di vista della
prevalenza di partito, ma dei con tenuti della politica socialista), in Morandi e nella sinistra veniva via via affermandosi quella tendenza in cui la politica unitaria sarebbe stata definita “se mai sul piano delle identità e non sul
piano delle differenze”.
4. I problemi di fronte al Congresso
Le questioni che si ponevano davanti al Congresso non
erano perciò né semplici né schematicamente definibili.
Sul versante della sinistra – abbiamo visto – avevano
larga presa quelle motivazioni di politica internazionale
che riconducevano la sostanza dello scontro politico e di
classe che avveniva in Italia alla dimensione internazionale dei problemi, alla fase ormai in pieno svolgimento della
guerra fredda, alle considerazioni sulla natura socialista
dell’URSS ed alle posizioni che, in questo quadro,
l’influenza del PCI induceva su settori abbastanza larghi
del Partito socialista.
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La lettera di Morandi e Cacciatore, prima, la mozione della sinistra, ma anche altri interventi successivi, come ad esempio un opuscolo-documento di Raniero Panieri e Giacinto Cardona edito proprio in occasione del Congresso o la dichiarazione dei giovani socialisti di sinistra121 sono estremamente indicativi a questo proposito,
tanto che le esplicitazioni verbali finiscono per non differire nello stesso tipo di linguaggio adottato. Se infatti
Cacciatore e Morandi, quest’ultimo definito “inquisitore e
teologo del partito”122, si riferiscono come abbiamo visto
ad una “lotta di classe che si svolge sotto la guida
dell’imperialismo anglo-americano”, Panzieri e Cardona
riconducono il dibattito interno al PSI alla “più vasta lotta
che la classe lavoratrice europea conduce sia all’interno
121
Il documento di Panzieri a Cardona ha come titolo Aut Aut ed è edito
a cura dell’Istituto di studi socialisti, a capo del quale era Morandi, con
la collaborazione di Ruggero Amaduzzi, Raffaele Di Primio, Giorgio
Fenoaltea, Massimo Severo Giannini, Giacomo Mancini, Vincenzo Milillo, Giorgio Montalenti, Giulio Pietranera, Emanuele Rienzi. Distribuito in occasione del Congresso, ne esiste anche una sintesi pubblicata
sull’ Avanti ! a firma e.r. (Emanuele Rienzi) il 26 giugno 1948, col titolo
“Una lotta che trascende il partito: aut aut ai collaborazionisti”. Il secondo documento, pubblicato sulla tribuna congressuale del quotidiano socialista, anch’esso il 26 giugno e si apre con questa premessa: “Alla vigilia del XXVII Congresso un gruppo di giovani compagni della mozione
della sinistra nazionale, ritenendo che essi costituiscano la piattaforma
permanente della politica socialista e che ogni compromesso, significandone l’abbandono, porterebbe il partito su posizioni socialdemocratiche,
facendone un nemico della classe operaia …”. É espressione di esponenti
del Movimento giovanile e porta le forme, tra gli altri, di Carlo Badini,
Walter Briganti, Venerio Cattani, Libero Cavalli, Carlo Crescenzi, Bruno
Di Pol, Sergio Garavini, Giorgio Granzotto, Mario Livigni, Libero Lizzadri, Marisa Passigli, Roberto Palleschi, Franco Pedone, Sandro Petriccione, Carlo Polli, Gianni Savoldi, Giulio Scarrone, Dario Valori, Aldo
Venturini.
122
La definizione è in L’Italia Socialista, giornale ispirato dal PSLI, del
2 giugno 1948: “Nettamente autonomista la mozione dei sindacalisti del
PSI”, non firmato.
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che all’esterno del tentativo di ricostruzione capitalistica,
guidata dalla centrale monopolistica americana”123 e fanno propria l’identificazione del campo orientale con lo
schieramento della classe lavoratrice e del socialismo realizzato. La distinzione tra i blocchi – essi affermano –
… non ha origini militari o strategiche, ma costituisce uno stadio dell’incalzante processo di sviluppo
della società. […] La formazione delle Democrazie popolari nell’Europa danubiano-balcanica ha già mostrato le prodigiose capacità di realizzazione delle forze
produttive liberate dai vincoli delle vecchie strutture.
Non è stato l’intervento russo a costruire le nuove
Democrazie popolari: la presenza della Russia sovietica ha solo favorito lo spontaneo processo di sviluppo
di quei popoli, isolando le oligarchie parassitarie indigene dalla solidarietà del capitalismo mondiale e togliendo così ad esse ogni forza di sopravvivenza. In tal
modo in questi Paesi la lotta contro il fascismo e il movimento anti-imperialista per l’indipendenza nazionale si sono coerentemente sviluppati nella costruzione
di un’economia socializzata.124
123
e.r. (EMANUELE RIENZI): “Una lotta che trascende il partito”, cit.,
sintesi del documento di Panzieri e Cardona.
124
RANIERO PANZIERI – GIACINTO CARDONA: Aut aut, cit., pag.
6. Si legge tuttavia, nell’impostazione panzieriana, un tipo di preoccupazione che non può essere del tutto liquidata come rigido portato della
guerra fredda. Alle conseguenze di questa è logico riferirsi nell’adesione
al blocco sovietico come blocco di classe, ma, sia pure in questa logica, è
da considerarsi rilevante la concezione dei compiti riservati alla classe
lavoratrice italiana, per la quale si pensa di superare la concezione strettamente difensiva che caratterizzava le impostazioni del PCI, della sinistra socialista e dello stesso Morandi. Pur richiamando la classe lavoratrice italiana ad operare “sul terreno reale dei contrasti di classe contemporanei, sul fronte internazionale”, Panzieri e Cardona hanno netta la
percezione della necessità di collegare, come contenuto reale di lotta,
all’azione internazionale anche un’azione nazionale, “coordinata e decisa
in tutti i settori minacciati: nella lotta per difendere l’esistenza degli organismi produttivi, nella lotta per attuare l’esigenza democratica in forme dirette che neutralizzino la monopolizzazione in atto delle vecchie istituzioni”. Questa azione, che prefigura la conquista di momenti di lotta
sempre più avanzati e quindi la necessità di agire in maniera organica e
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Analogamente, nell’appello rivolto al partito dai
giovani socialisti “alla vigilia del congresso”, la logica politica internazionale, all’interno della quale ancora una
volta si considera tutto il processo politico così come si
svolge anche nel nostro paese, viene ricondotta ad
un’alternativa tra “l’offensiva del capitalismo, che è portatore per tutti i popoli di negazione di civiltà” e, “accomunati nella stessa lotta, i popoli della Russia sovietica e
delle Democrazie popolari – che difendono le realizzazioni della società socialista – e, in tutti gli altri paesi,
compresa l’America, tutte le altre forze per le quali la libertà è condizione di vita”.125
coordinata nell’ambito di una domanda di trasformazione e di rinnovamento, che “porterà inoltre a convergere gli sforzi di tutte le categorie
sane del Paese”, è “azione veramente nazionale” ed è “un’azione rivoluzionaria” e quindi “lungi dall’essere un’azione puramente difensiva, è
un’azione di avanguardia”. [Le citazioni ancora dal saggio di cui sopra, a
pag. 14]. Sembra di rintracciare, in nuce, tutte le premesse per la successiva elaborazione panzieriana al di fuori del PSI.
125
Dal documento dei giovani socialisti citato nella nota 121. Tutto il
complesso dell’analisi del quadro internazionale che si ricava dalla lettura di questi testi, compresa la lettera di Cacciatore e Morandi e la Mozione della sinistra non si discostano sostanzialmente, come già osservato, da quella espressa dal PCI, così come è possibile ricavare anche da
quanto Togliatti affermava ancor prima delle elezioni. “Gli Stati Uniti –
egli scriveva infatti – non nascondono più a nessuno quali sono gli scopi
immediati della loro azione politica in Europa. Col pretesto della lotta
contro il comunismo essi vogliono imporre alle nazioni dell’Europa occidentale il ritorno a regimi reazionari che impediscono qualsiasi forma
di trasformazione sociale nell’interesse dei lavoratori, qualsiasi misura
contro i privilegi del grande capitale monopolistico. […] La cosiddetta
Europa Occidentale dovrebbe diventare, attraverso questa degenerazione
reazionaria, una solida base di guerra per la politica di provocazioni e
d’avventure che è quella degli attuali dirigenti della politica americana.
Alcuni stati dell’Europa sono stati già obbligati a formare un’alleanza
militare; il governo italiano […] ha rinviato sinora la sua adesione a questo blocco di guerra, unicamente perché sapeva che, se vi avesse aderito
sarebbe stato travolto dall’opinione pubblica del Paese. […] Il voto del
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Sull’altro versante, il versante degli autonomisti,
queste prese di posizione non sono ovviamente condivise,
in particolar modo perché si stenta a dare giudizi, non
tanto a favore della natura socialista dell’Unione Sovietica, sulla quale comunque si nutrivano fortissimi dubbi,
quanto in riguardo ai rapporti che nei paese dell’Est si erano sviluppati tra comunisti e socialisti.
Si può ben continuare a sperare – affermava
Guido Calogero – che quella tendenza verso la dissoluzione del socialismo nelle nazioni dell’Europa orientale, la quale è senza dubbio in atto, si arresti ad un
certo punto e s’inverta, e che lo spirito della democrazia politica comici prima o poi a fiorire nella stessa
Russia sovietica, venendosi a integrare e a rendere più
vere le grandi conquiste sociali che intanto vi sono state compiute. Per questo non bisognerà mai rompere i
ponti in nessuna direzione, ma anzi intensificare i
rapporti: il socialismo deve sempre stare accanto al
comunismo, proprio per farlo a poco a poco crescere
alla sua altezza. E il fatto che quest’ultimo debba accorgersi che al di fuori dell’area in cui opera l’Armata
Rossa essa non può sperare di affermarsi attraverso la
legalità se non trasformandosi in socialismo democratico, avrà probabilmente efficacia determinante per
una più propizia soluzione futura delle cose. Tuttavia,
finché la situazione resterà quella che è adesso, noi
non potremo non guardare verso ogni forma di compressione autoritaria del socialismo con la stessa preoccupazione che vive nel cuore degli innumerevoli
compagni del socialismo democratico europeo. La solidarietà con questi compagni non dovrà mai essere
spezzata, se veramente ci stanno a cuore pace, giustizia e libertà.126
Si confrontano perciò due concezioni che sono antipodiche rispetto all’analisi e, di conseguenza, anche rispetto alla proposta politica: l’una, come abbiamo visto,
18 aprile deciderà”. (PALMIRO TOGLIATTI): “Fascismo e guerra”, editoriale non firmato in Rinascita, n. 3 del marzo 1948, pag. 91
126
GUIDO CALOGERO: “Presente e avvenire del socialismo”, in Per il
socialismo, cit., pag. 9
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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fortemente influenzata dalla tematica comunista, e questa
riferita più alla solidarietà internazionale con l’Unione
Sovietica che alle posizioni interne, che del resto Togliatti
esprimeva con molta prudenza127; l’altra invece che non
poteva sfuggire al rischio di ripercorrere i motivi classici
delle posizioni socialdemocratiche, con le intuizioni che la
socialdemocrazia offriva sul piano dell’analisi e della polemica politica, ma anche per le possibilità di essere attratti nell’orbita filoamericana che una tale posizione finiva per comportare.
Su questi temi Riscossa tentò, però con esiti poco uniformi e alla fine non positivi, di presentare una sintesi
che fosse unificante per tutto il partito. Le premesse di
analisi della situazione mondiale ed europea da cui Riscossa partiva potevano essere considerate oggettive e
corrette, quanto alla volontà ispiratrice; per certi versi furono anche anticipatrici di un certo modo del tutto socialista di concepire i rapporti internazionali, come si sarebbe affermato soprattutto negli anni successivi, dopo la
prima metà degli anni cinquanta: ne ho parlato in precedenza. Ma le conseguenze di questa impostazione, o non
risolvevano, come per esempio in Pertini, in termini dialettici il problema dei rapporti col PCI128, o si riducevano a
127
Una testimonianza della prudenza del leader comunista sulle questioni interne è anche in (PALMIRO TOGLIATTI): “Considerazioni dopo il 18 aprile”, cit., editoriale non firmato, in cui la polemica svolta sul
piano interno era tutto sommato abbastanza corretta nei confronti della
DC e dei suoi alleati, non senza qualche frecciata, come si è visto, contro
possibili degenerazioni antiunitarie che avrebbero potuto presentarsi nel
PSI in dipendenza del risultato elettorale.
128
Si veda a questo proposito il resoconto del discorso di Pertini al Congresso provinciale di Genova riportato in Avanti ! del 24 giugno 1948,
col titolo: “Sola autonomia: la coscienza di classe”. Si veda anche
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presentare al dibattito politico una serie di affermazioni,
che potevano essere scambiate per formulismo, se ad esse
non venivano collegate ipotesi di azione socialista nel
particolare momento politico.
La nostra funzione – affermava ad esempio Giovanni Pieraccini – la funzione di socialisti moderni che
hanno di fronte l’enorme problema dell’esistenza
dell’URSS e dei partiti comunisti è quello di riuscire a
salvare, nella propria azione, lo schieramento democratico, altrimenti irrimediabilmente fratturato, rappresentando per gli uni la garanzia del rispetto dei
metodi democratici e per gli altri la garanzia del superamento dell’assurdo anticomunismo.129
Questa impostazione di mediazione fu bersaglio di
tutte le polemiche, tuttavia Riscossa non rinunciò ad esercitare una propria funzione mediana sui residui argomenti che più pressantemente si manifestavano all’ordine del
giorno del Congresso, segnatamente quello del mantenimento del Fronte e del Patto d’unità d’azione e, dall’altro
versante, quello della problematica inerente alla riunificazione delle forze socialiste in un unico partito: questioni
interdipendenti, ma che, nella polemica congressuale, venivano considerate separatamente.
Cacciatore e Morandi, nella loro lettera, pongono,
come si visto, con rigore il problema dei rapporti col PCI:
se infatti questi “possono variare per ragioni di circostanze, senza incidere sulla direttiva generale di una politica
di classe”, per cui “nessuno può pretendere di prevedere
quali potranno essere nei suoi sviluppi le forme più apl’intervista rilasciata dallo stesso Pertini al quotidiano La Repubblica
dell’11 giugno 1948.
129
“I centristi non faranno blocco e aspirano al potere”, intervista a Giovanni Pieraccini di Antonio Spinosa in L’Italia Socialista del 17 giugno
1948.
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propriate della politica del Fronte”, nella apparente concessione delle parole, la coerenza ideologica con cui viene
sviluppata l’analisi non lascia più adito a dubbi sul tipo di
relazioni che i due esponenti socialisti auspicano
all’interno della sinistra, tanto che la successiva mozione
congressuale, anch’essa comunque con una certa cautela,
ribadisce la necessità della continuità del Fronte e la sua
permanente validità, non potendosi alla sua esistenza e
formazione ricondurre le cause della sconfitta.
Sorto con una motivazione che oggi ancora si
conferma incontrastabilmente valida, per contrapporsi
all’attacco della reazione clerico-capitalista, il Fronte
non poté realizzarsi in tutta la sua pienezza, ma rimase
allo stato di cartello elettorale, venendo attuato in verità solo imperfettamente anche sotto questo aspetto.
Non sfugge comunque al Congresso come la causa
principale dell’insuccesso del Fronte sia da ricercarsi
nell’inaudita violenza con cui si è spiegata la controrivoluzione in tutto l’Occidente europeo sotto la guida
dell’imperialismo americano.130
Cauto anche il dispositivo della mozione congressuale, col quale si
… affida al nuovi organi direttivi del Partito di
realizzare la politica di alleanza delle forze popolari e
democratiche imprimendo a tali alleanze la sua fisionomia inconfondibile radicata nell’idea e nel metodo
democratico. In base a tale direttiva dovranno essere
regolati i rapporti col Partito comunista per assicurare
efficacia non soltanto formale al patto d’unità
d’azione, e con le altre forze democratiche aderenti al
Fronte, il quale dovrà evolvere verso le forme più appropriate alle condizioni obiettive e ai nuovi sviluppi della lotta politica [il corsivo non è nel testo], in vista di acquistare
forza propulsiva sempre maggiore nel paese.
130
Questo e quello successivo sono brani tratti dalla “Mozione della sinistra”, cit. che fu pubblicata in Avanti! del 5 giugno 1948
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Ci sono da notare, in questi passi della mozione di
sinistra due punti principali. Da una parte, la sottile, ma
non deposta polemica nei confronti di Basso, per la cui responsabilità il Fronte non era stato in grado di mantenere
le sue premesse e sotto la cui guida il PSI aveva espresso
tante incertezze e tante titubanze operative ed organizzative, una posizione questa che richiama anche gli apprezzamenti negativi espressi precedentemente da Cacciatore
e Morandi; dall’altra parte, la tendenza verso tentativi di
elasticità e di adattamento nella politica del Fronte, il cui
obiettivo era quello di indebolire alcune punte della argomentazioni di Riscossa.
Ma il processo non era indolore. Si è già accennato
ad alcuni irrigidimenti di Lizzadri, il quale ha modo di
precisare con estrema puntigliosità il suo angolo di visuale in due interviste rilasciate alla stampa, delle quali una
risulta particolarmente acida nei confronti dei suoi compagni di sinistra. Il fatto che l’intervista sia stata pubblicata il 30 maggio131, che la lettera di Cacciatore e Morandi
sia del 1° giugno e che la mozione sia stata pubblicata solo alcuni giorni più tardi può essere significativo di un
dibattito animato, o per lo meno di divergenze e di insoddisfazioni tra i maggiori esponenti della sinistra. Ad
esempio, alla domanda del giornalista che chiede notizia
se tra i firmatari ci fossero, oltre Lizzadri stesso, anche
Nenni, Basso, Morandi e Cacciatore, l’ex segretario della
CGL così risponde:
Nel giro di pochi giorni l’Avanti! pubblicherà la
mozione che lei chiama di sinistra, ma essa non porterà come firmatari i nomi che ha ora elencati. […] Una
131
ORESTE LIZZADRI: “Contro tutte le tendenze purezza dell’area
frontista”, intervista a cura di Antonio Spinosa in L’Italia Socialista del
30 maggio 1948, da cui è tratta anche la citazione successiva.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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mozione di sinistra è fatta solo a condizione di riaffermare, senza mezzi termini, la politica del partito in
formule chiare e oneste. Per esempio così: patto
d’unità d’azione, sì; fronte popolare, sì; unità sindacale; autonomia del partito, sì, ma non a chiacchiere. […]
Perché il partito sia effettivamente autonomo è necessario dargli una linea diritta e sicura come questa Direzione non ha saputo, o non ha voluto, dargli. É necessario rafforzare la sua organizzazione e migliorare i
quadri nello spirito della tradizione del vecchio PSI.
Non basta proclamare che si è costituito un apparato,
quando si vuole che l’apparato risponda ad esigenze
personali e non di partito. […] Perché la base si convinca che la mozione della sinistra risponde alle esigenze di quei compagni che sono orientati a sinistra e
non le giudichi il frutto del solito compromesso, essa
deve portare […] le firme di coloro che da quattro anni
si battono onestamente e coerentemente per una politica di sinistra, come Tolloy, Casadei, Sacconi, Gaeta,
Grisolia, Mancinelli132 e altri.
Infine, alla domanda se l’operazione tentata da Nenni, Basso, Morandi e Cacciatore fosse da considerarsi “definitivamente una pseudo-sinistra”, Lizzadri non aveva
esitazioni nel rispondere : “definitivamente!” Tali temi, in
maniera meno schematica e più argomentata, Lizzadri
stesso aveva poi occasione di riprendere anche successivamente, nel suo intervento, già menzionato, alla Tribuna
congressuale dell’Avanti! l’8 giugno, ed anche in una successiva intervista nella quale precisava di nuovo il suo
pensiero riguardo al Fronte
Il Fronte – affermava - è sorto nei suoi organismi
popolari: consigli di gestione, costituente della terra,
ecc., come necessità istintiva delle masse di crearsi
nuovi organismi democratici di lotta, per operare
nell’interno stesso delle strutture economiche e delle
strutture democratiche. Il corso della lotta politica nei
132
Si tratta dei nomi dei più noti fusionisti, per alcuni dei quali era forte
il sospetto della doppia tessera col PCI. Su Mancinelli in particolare si
confronti quanto affermato in GIORGIO AMENDOLA: Lettere a Milano, pag. 98
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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mesi immediatamente precedenti le elezioni ha dimostrato che la politica del FDP era l’unica possibile dinanzi all’organizzazione di tutte le forze capitalistiche
e reazionarie italiane. E senza l’intervento aperto e
massiccio di fattori estranei alla competizione nazionale, quali l’intervento di una potenza straniera e del Vaticano, il terrorismo religioso, ecc., il Fronte poteva
conseguire anche sul piano elettorale un successo adeguato. La formazione di un organismo che, come il
FDP, raccogliesse le forze popolari e progressiste del
paese, se si dimostrò necessaria prima delle elezioni,
oggi, dopo l’esito del 18 aprile, per cui un partito tenta
di innestarsi nella vita politica nazionale come un partito-regime, è indispensabile e urgente. Il PSI non può
ignorare ciò e deve agire in conseguenza. Fedele a se
stesso e alla politica seguita dalla liberazione in poi e
riaffermata in tutti i congressi, il PSI non soltanto deve
consolidare la sua alleanza col PCI, ma deve, attraverso il miglioramento della propria organizzazione e dei
suoi quadri, rendere effettivo il programma del XXVI
Congresso: un forte Partito socialista all’avanguardia
del FDP.133
Contro la politica del Fronte, così come si era estrinsecato nella campagna elettorale, ma anche come era stata
concepita fin nei suoi primordi, avevano invece buon gioco quanti, schierati nel filone autonomista, ne sottoponevano a critica serrata gli stessi presupposti ideologici. Se
infatti, come si afferma nella mozione autonomista “Per il
socialismo”, “il più grave sbaglio è stato quello per cui
l’impostazione del Fronte non ha saputo differenziarsi
dalla prospettiva comunista, dando così buon gioco alla
propaganda avversaria”134, non è men vero che dal nuovo
atteggiamento che il PSI dovrà tenere nei confronti del
Fronte deriva un’implicita critica di fondo a tutto lo svolgersi della politica unitaria delle sinistre, sempre oscillante tra interpretazioni offensive o difensive, ma comunque
133
ORESTE LIZZADRI: “Intervista” a cura di Elio Mastracchi in La
Repubblica, del 13 giugno 1948
134
Mozione “Per il Socialismo” in Avanti! del 3 giugno 1948
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rivolta a cementare una unità d’azione che scaturiva da
un comune denominatore nell’analisi della società nazionale ed internazionale e nel comune riferimento classista.
Tale atteggiamento, afferma la mozione,
… non potrà non essere preciso e differenziato.
Ci sono infatti esigenze come la comune difesa dei
partiti contro l’eventualità di una politica provocatoria
di Governo che tendesse a mettere fuori legge qualunque organizzazione che rispetti la norma democratica e la tutela del diritto civile di sciopero e della libertà sindacale. In vista delle quali sarebbe assurdo non
tener ferma la solidarietà di tutte le forze di sinistra.
Questa solidarietà non deve però cancellare il carattere proprio dell’azione che ogni partito è chiamato
a svolgere nell’interesse comune. Da tale punto di vista il PSI non deve lasciare alcun dubbio che il fine a
cui esso mira non è quello dell’instaurazione di un regime a partito unico, bensì quello proprio del socialismo democratico, il quale, nel rispetto delle fondamentali libertà e dell’insopprimibile diritto all’ esistenza dell’opposizione, attuerà quelle riforme di struttura, anche rivoluzionarie, che il Paese chiede, senza né
attendere né provocare spostamenti di forze sul piano
mondiale che presupporrebbero la guerra.135
Tale concezione, che relega la funzione del Fronte ad
occasioni meramente ed episodicamente difensive, è più
volte ripresa nelle argomentazioni degli autonomisti e
nelle interviste che essi concedono, in gran numero, alla
stampa che seguiva le vicende del Congresso socialista.136
Si comprende bene che , in questa ottica, gli autonomisti
potessero pensare sempre più favorevolmente al mantenimento del Fronte, sia pure mutandone radicalmente i
modi di essere e gli obiettivi, che al Patto d’unità che invece presupponeva il mantenimento di una politica uni135
Ib.
Si vedano particolarmente quelle di Guido Calogero in L’Italia Socialista del 1 giugno 1948 e in La Repubblica del 12 giugno 1948 e quella
di Giuseppe Romita, ancora su L’Italia Socialista del 15 giugno 1948.
136
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taria col PCI, ciò che era del tutto fuori della logica, ormai
orientata in senso riformista e socialdemocratico, con forti
venature di terzaforzismo, di Romita e dei suoi amici.
Tuttavia, se nella sinistra il problema delle forme dei rapporti col PCI investiva – e non altro – un modo di essere a
sinistra, per gli autonomisti si produceva uno stretto legame tra questo tipo di problemi e quelli inerenti all’unità
delle forze socialiste, problemi sui quali si esercitavano
forti pressioni anche dall’esterno, ossia da larghi settori di
quelle componenti che, col Psli, avevano dato vita alle liste di Unità Socialista e per le quali l’abito governativo,
pur accettato, risultava stretto ed in gran parte insoddisfacente.
Era comunque naturale che anche per gli autonomisti il problema dell’unificazione avesse delle condizioni,
prima fra tutte quella della partecipazione governativa:
ne parlavano esplicitamente Romita e Calogero nelle interviste citate, ne parlano – in ciò confermando che si trattava di una precisa esigenza di base – anche le mozioni
locali che alla posizione di autonomia si riferivano.
Il Partito socialista – afferma la mozione toscana
di Civiltà Socialista – ha trascurato e compromesso
l’unità interna del socialismo italiano e deve ora ricominciare a tendere a questa, confermando:
a) che l’unificazione di tutti i socialisti può farsi
solo nel PSI, alle condizioni ben chiare di non deviare
sul piano interno nel riformismo e nel collaborazionismo governativo con le forze equivoche del cosiddetto
centro cattolico e di non scivolare sul piano internazionale nella adesione a posizioni di potenza;
b) che i rapporti col PCI debbono essere mantenuti vicendevolmente schietti ed amichevoli, nel quadro della naturale solidarietà con tutti i lavoratori. Per
parte sua il Partito socialista dichiara di sentire pro-
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fondamente questa esigenza e si augura che sia sentita
con pari intenti e sincerità da parte del PCI.137
Ma non vi è dubbio che il complesso delle argomentazioni della corrente autonomista è svolto non solo
guardando con favore alla unificazione, ma avendola addirittura come prospettiva. Tendenze in questo senso,
tendenze cioè che facevano direttamente riferimento a note impostazioni di carattere socialdemocratico, ivi compresa la già rilevata propensione per le ipotesi di terza
forza, erano già presenti nella relazione di Romita a Villa
Malta e ad esse guardava anche la mozione congressuale.
C’è in più, anzi, da dire che ad essa s’indirizzavano gli
autonomisti con accenti di particolare aspettativa, se si
considerano le opinioni, più volte espresse dai suoi esponenti maggiori, che l’unificazione socialista non solo avrebbe contribuito a trar fuori tutto il movimento socialista dalle secche in cui era caduto col 18 aprile, ma essa
stessa sarebbe stata un portato quasi naturale ed ineluttabile della situazione, così come si sarebbe potuta evolvere.
Romita ebbe ad affermare a questo riguardo che
… non saremo noi che faremo l’unità socialista,
ma saranno fatalmente gli avvenimento previsti e prevedibili che porteranno all’unità socialista. E si avrà un
partito democratico, non socialdemocratico, in cui i
vari punti di vista, le varie correnti di pensiero saranno risolte in libere discussioni e con democratiche votazioni. Certo è che attualmente le posizioni dei compagni dell’Unità Socialista nel governo De Gasperi, ossia nel governo che rappresenta la ripresa delle forze
conservatrici capitalistiche contro la classe lavoratrice,
rende più arduo il problema dell’unità socialista. Ma
137
La mozione di “Civiltà Socialista”, il cui testo è riprodotto
nell’Avanti! del 12 giugno 1948, è presentata in Toscana con le firme, tra
gli altri, di Carlo Furno, Attilio Pinzauti, Raffaello Ramat, Loris Scricciolo, Guido Torrigiani, ottenendo, specialmente a Firenze, un lusinghiero successo.
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di ciò parleremo a tempo debito e a tempo debito si
troverà naturale soluzione.138
Nella sinistra invece tale problema ha accoglienza
pressoché inesistente e posto più in via ipotetica che reale.
Ed è comprensibile: l’ormai avvenuta scelta di campo in
favore dell’URSS e soprattutto contro ogni ipotesi collaborazionista con le forze di centro ed i motori internazionali di queste forze, USA e Piano Marshall, non consentono un diverso articolarsi delle posizioni. Non dimentichiamo, tra l’altro, che Basso fu della scissione artefice
consapevole e che gran parte della sinistra vi ritrovò, sia
pure a posteriori, motivi di conforto e di compiacimento,
non solo per l’effettivo spostamento a sinistra
dell’equilibrio del partito che in tal maniera veniva conseguito, ma anche perché essa consentiva alla sinistra
stessa di uscire dalle secche di un fusionismo praticamente imposto, per ritrovare, come avvenne per un certo periodo di tempo, spazi di elaborazione autonoma, sia pur
saldamente vincolati dal quadro unitario col PCI.
Neppure Nenni, pur nel suo ecumenismo, riesce,
tranne alcuni accenni in un primo momento, di cui s’è già
vista la portata, a gettare ponti verso l’una o l’altra parte
dei socialisti, che rappresentano “l’altro corno del dilemma” all’interno dei quali “i motivi empirici e personali
della secessione”, quelli cioè che avevano animato gran
parte dei transfughi, “hanno fatto posto a motivi più profondi, sottintesi fin dal primo istante: […] la secessione
arriva a maturazione politica e superando le interne contraddizioni sbocca in un chiaro esperimento socialdemo138
GIUSEPPE ROMITA: “Contro Pertini con cortesia la polemica degli
autonomisti”, intervista a cura di Antonio Spinosa in L’Italia Socialista
del 15 giugno 1948.
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cratico e riformista di collaborazione con la borghesia e
col suo partito dirigente, il democratico-cristiano”.139 La
separazione è netta: realisticamente lo stesso Nenni si risolve a prendere atto che i partiti socialisti, almeno per un
certo periodo di tempo, sono due e su questa ipotesi d’ora
in avanti conviene lavorare.
Meno lineare invece, com’è da aspettarsi, la posizione che su questo problema assume Riscossa, o meglio, che
volta a volta i suoi uomini assumono. Fin dalle prime
manifestazioni, infatti, insorge un contrasto abbastanza
netto tra l’impostazione di Pertini e quella degli altri;
un’impostazione, la prima, che risente in modo visibile
dei condizionamenti che provengono da sinistra, dei richiamo unitari volti ad un patriottismo di partito che
sempre più si confondo col patriottismo della sinistra, col
patriottismo della classe lavoratrice. Riscossa ha una sua
posizione sul rapporto unitario a sinistra: critici da sempre del Fronte inteso come accordo elettorale, uomini come Lombardi o Pieraccini insistono per cambiare le forme
e la sostanza di questo rapporto, giudicando negative non
le conseguenze, ma le premesse stesse dell’operazione elettorale così come era stata attuata col 18 aprile; senza infingimenti, perciò, il Fronte stesso deve cedere il passo e
lasciare il posto ad una nuova fase della politica unitaria,
programmatica, da definirsi all’interno di un rinnovato
Patto d’unità d’azione. Se PCI e PSI non sono la stessa cosa, lo stesso partito – e la diversità dell’analisi della situazione internazionale, un approccio differenziato nella ricerca delle cause del 18 aprile lo confermano -, pur tuttavia l’unità a sinistra non solo è il portato delle condizioni
poste dall’avversario, dalla Democrazia Cristiana, ma è
139
PIETRO NENNI: “L’altro corno del dilemma”, cit.
- 145 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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anche l’unico strumento a disposizione della classe lavoratrice per aprire nuovi spazi di lotta, per far progredire
al suo interno comuni consapevolezze, al di fuori degli
schematismi di rito, dei quali si subivano i pesanti condizionamenti.
C’è tuttavia in settori non trascurabili – ed alla lunga
vincenti – della corrente di Riscossa, una sorta di ineluttabilità del rapporto col PCI, una sorta di necessità che si
afferma più per l’esistenza del PCI e per la sua forza, che
per la sua politica.
Oggi una delle maggiori forze di rinnovamento
della società moderna – dichiara Giovanni Pieraccini –
è il Partito comunista. Non si può giungere secondo
noi al socialismo isolando, combattendo o ignorando il
partito comunista. La strada del socialismo francese o
di quello saragattiano non ci pare che porti al trionfo
degli ideali socialisti. 140
Con la stessa logica i centristi del PSI prendono atto
che esiste anche il problema dell’unificazione, della quale
si ammette la proponibilità, ma non l’attualità, finché non
saranno rimosse alcune delle condizioni, soprattutto quelle di partecipazione governativa, che caratterizzano negativamente il PSLI in questo periodo. Ma da parte di Riscossa non si esclude nulla: ogni terreno è buono, se questo terreno è un terreno di discussione, se queste terreno
può essere fertilizzato in vista della costruzione di
un’identità socialista di cui il PSI è alla ricerca e che non
comporta, almeno per il momento, opzioni definitive o
esclusive di questa o dell’altra componente della sinistra
italiana. Riferimento positivo e limite al tempo stesso, tale
ricerca non parte da premesse certe, ma in una situazione
140
GIOVANNI PIERACCINI: “I centristi non faranno blocco …”, intervista cit.
- 146 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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che scoraggiava la pratica di spazi autonomi e non definiti di dibattito, il rischio di cadere nell’equivoco era sempre presente, la tentazione della ricerca della mediazione
come approdo e non come punto di partenza era il fianco
su cui più efficacemente poteva appuntarsi la critica degli
avversari.
5. Nenni e Pertini: operazione concordata?
Il limite intellettuale di procedere da premesse non
certe, se non dalla volontà di far affermare posizioni razionali, ed il limite pratico di essere prevalentemente solo
la rappresentazione congressuale della delusione e dello
stato d’animo che caratterizzavano il partito dopo il 18
aprile, apriva lo spazio a possibilità di fratture all’interno
dello schieramento di Riscossa: non solo, soprattutto a livello di base esisteva una componente che poteva maggiormente essere assimilata alle posizioni autonomiste e
che con queste preferiva la predisposizione di accordi anche in sede precongressuale e congressuale, ma, dall’altra
parte, lasciava aperto il campo anche ad una serie
d’incursioni che la sinistra faceva nel campo centrista e
che avevano in Pertini l’interlocutore più naturale.
Pertini era infatti considerato l’interprete, non già di
un’esigenza culturale e politica volta alla ricerca di collocazioni originali ed autonome del PSI nel campo nazionale ed internazionale, bensì di quel vasto settore della base
che stringeva le file sentimentalmente attorno al partito
dopo l’amaro esito elettorale e sul quale i richiami
dell’esponente ligure avevano più influenza del lucido e
rigoroso argomentare di Morandi. Si comprende bene,
- 147 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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perciò, come Pertini manifestasse ben presto
un’indipendenza di giudizio nei confronti degli altri
compagni di corrente, fino a divergere su questioni di una
certa rilevanza.
Nell’interpretazione che ne dà Pertini, infatti, - e
sempre con termini semplici che cercano di parlare direttamente agli strati del partito meno politicizzati, ma più
influenzabili sotto il piano del sentimento e del patriottismo di partito – la mozione di Riscossa assume tratti che
non sono comuni né alla lettera della mozione, né
all’interpretazione più ragionata che ne danno gli altri esponenti, quei pochi cioè la cui voce in sede precongressuale si fa sentire pubblicamente sulla stampa.
L’intervista di Pertini dell’11 giugno141, pur non essendo
in palese contraddizione con i compagni di corrente, manifestava tuttavia una libertà di giudizio su cui i dirigenti
di Riscossa dovevano senza dubbio meritare.
Ancora una volta – afferma infatti Pertini – ritengo necessario affermare che se, come tutti i compagni sanno, mi stanno profondamente a cuore le sorti
del PSI, mi stanno altrettanto a cuore l’unità della classe lavoratrice. Il socialista che questo non sentisse finirebbe per tradire la sua coscienza e per operare contro
gli interessi di quella classe, le cui esigenze e aspirazioni costituiscono appunto la sostanza del socialismo.
[…] Da quanto ho detto deriva come logica conseguenza che commetterebbero grave errore i compagni
che, spinti dal proposito di salvare il partito in se stesso, non esitassero a spezzare l’unità della classe lavoratrice. Cerchiamo di valorizzare il nostro partito, ma
tenendo sempre presente l’esigenza di questa unità.
Non v’è dubbio che un linguaggio di questo genere,
scarno, immediato, del tutto adeguato comunque al carat141
SANDRO PERTINI: “Intervista” a cura di Emilio Frattarelli in La
Repubblica dell’11 giugno 1948, da cui è tratta la successiva citazione
- 148 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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tere ed all’impetuosità tipica del far politica di un uomo
come Pertini, pur non differendo nella sostanza dalle argomentazioni più fredde e razionali di altri esponenti del
centro, manifestasse al suo interno potenzialità di essere
interpretato su un piano diverso e tale da poter favorire
ricerche e tendenze altrettanto diverse nella collocazione
politica. Anche sul tema delle residue possibilità di unificazione socialista, quanta differenza, ad esempio, tra Pieraccini e Pertini, addirittura nell’esprimere lo stesso concetto! Se teniamo presente la frase del socialista toscano,
secondo cui “l’unità [socialista, n.d.a.] è impossibile ad attuarsi se il PSLI ritiene di dover stare al governo in queste
condizioni” è categorica, ma lascia intravedere le condizioni di riferimento per la riapertura di un discorso che
comunque è “un problema aperto e che resta aperto […] e
che comunque non lasceremo cadere in nessuna occasione142”, una più rigida concezione si avverte invece nelle
parole di Pertini.
Per quanto riguarda la riunificazione di tutte le
forze socialiste in Italia, ritengo che essa possa realizzarsi soltanto su un piano veramente socialista. Noi
del PSI su questo piano siamo sempre rimasti nonostante i nostri errori; non ci si trovano più, invece, coloro che hanno abbandonato il settore di sinistra per
mettersi al fianco del governo clerico-conservatore il
quale ha sollecitato la loro collaborazione nella vana
speranza di poter mascherare il suo vero volto.143
Questa divaricazione, che dalle forme poteva aprire
dei varchi anche negli stessi contenuti dell’ interpretazione della corrente di Riscossa, fu abbastanza abilmente
sfruttata, anche per sviluppare, da parte della sinistra,
142
GIOVANNI PIERACCINI: “I centristi non faranno blocco”, intervista cit.
143
SANDRO PERTINI: “Intervista”, cit.
- 149 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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quella che oggi potremmo considerare una vera e propria
operazione Pertini. Dell’esistenza di un tale indirizzo si
manifestano certezze già nella stampa e negli osservatori
politici di quel periodo. Particolarmente alcuni giornali si
dimostravano informati di una tale eventualità e non nascondevano, con certezze di esposizione, quanto era nella
possibilità della sinistra, ma particolarmente di Nenni,
per dirigere lo svolgimento congressuale, in maniera tale
da poterlo trasformare in senso favorevole, dato che lo
stesso congresso cadeva in un momento di condizioni assai problematiche per la sinistra del PSI.
In effetti, se nei precongressi provinciali la mozione
di Riscossa otteneva la maggioranza relativa, cioè circa il
42%, contro il 31% della sinistra ed il 26% degli autonomisti, rimane da chiedersi in quali condizioni ed a quale
prezzo gli uomini del centro si apprestavano a gestire le
giornate di Genova, dato che a questa posizione avevano
aderito, senza che un cemento unico ne fissasse
l’autorevolezza, elementi provenienti da esperienze diversificate ed egualmente con motivazioni non omogenee: tanto che vi si ritrovavano non solo coloro, come s’è visto, che seguivano l’appello sentimentale di Sandro Pertini, ma anche molti convinti autonomisti, come Carlo Matteotti già firmatario della mozione di Romita, oppure altri
che, pur provenienti dalle file della sinistra, reagivano
emotivamente al risultato del 18 aprile ed altri ancora che,
per meditato calcolo, cercavano di occupare provvisoriamente posizioni di centro, per poter in seguito riportare il
partito sotto il controllo della sinistra.144
144
Su questo punto possiamo registrare parecchie opinioni concordanti,
nella stampa ed anche in testimonianze successive. Sul Corriere della
Sera si legge ad esempio [SILVIO NEGRO: “Il Congresso
- 150 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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In queste condizioni, l’ipotesi dell’esistenza di
un’eventuale operazione Pertini è perciò abbastanza attendibile. Dai giornali, come si è detto, se ne trae una conferma: sul Corriere della Sera, Silvio Negro scriveva:
La mozione di centro dovrebbe avere senz’altro
la prevalenza al Congresso, realizzando il piano, che si
attribuisce a Nenni, di dare una soddisfazione alla base, mettendo Pertini al posto di Basso e lasciando, poi,
in sostanza le cose come sono.145
Volutamente più insinuante, poi, ma ciò nondimeno
volutamente esplicita, è anche la cronaca di L’Italia Socialista dovuta alla penna di Enzo Forcella, che comunque riferisce di una circostanza degna d’attenzione e che mette
in luce con una certa evidenza la posizione di Pertini,
consapevole o inconsapevole che fosse146:
dell’autonomia diverrà il Congresso della fusione?”, in Corriere della
Sera del 27 giugno 1948]: “La mozione di cento ha avuto, nelle votazioni, anche larghi suffragi di autonomisti decisi e senza riserve, per cui c’è
chi dubita della reale consistenza di quel 40%, soprattutto nel caso che
Pertini intenda bloccare con la sinistra, ipotesi che non pare più da scartarsi”. Più precisa sulla eterogeneità del centro è una testimonianza successiva [di GIUSEPPE PERA: “L’alternativa socialista del PSI, cit.] nella quale si afferma, anche sulla base di esperienze verificate in fatti accaduti nelle federazioni toscane, che “la mozione centrista corrispondeva in
larga misura alla manovra del vecchio apparato. Uomini ed esponenti
che fino a pochi giorni prima militavano nell’estrema sinistra si facevano
sostenitori della nuova mozione, tendente a conciliare la politica di unità
col PCI e l’autonomia del partito. Parte di questi centristi mascherati indubbiamente agiva in buona fede cercando di salvare l’unità del partito,
concedendo qualche cosa alle istanze autonomistiche, ma larga parte agiva direttamente su istruzioni del centro fusionista, consapevole della
inevitabile sconfitta attuale e tendente a preparare le condizioni di una
successiva affermazione”.
145
SILVIO NEGRO: “Il Congresso dell’autonomia”, cit. in Corriere della Sera del 27 giugno 1948
146
Per la non consapevolezza di Pertini propendeva ad esempio lo stesso
Corriere [GAETANO BALDACCI: “Destino socialista” in Corriere della Sera del 1 luglio 1948]. Vi si legge infatti: “La manovra più sconcer- 151 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Prima di partire per Genova, dove è arrivato fin
da ieri mattina, Sandro Pertini ha inviato ai firmatari
della nozione Riscossa Socialista una lettera per mettere,
come si dice, i puntini sugli i. Non l’ha inviata a tutti
però. Solo a quelli in odore di scomunica, cioè indiziati
di più spiccato autonomismo. In questa lettera Pertini
ricorda che l’adesione alla mozione non deve essere
interpretata come adesione a questa o quelle tendenza,
ma come adesione ad una posizione che avrebbe potuto raccogliere la base del partito attorno ad un gruppo
di uomini tra i meno compromessi in questa o in quella linea politica. Non manca, a quanto ci hanno riferito,
un accenno discreto alla sua posizione di uomo al di
sopra della mischia.147
Infine, concludendo le citazioni dalla stampa, è opportuno considerare l’atteggiamento preso a questo riguardo dal filo-comunista La Repubblica, dalla cui posizione è forse da desumere che un incoraggiamento da
parte del PCI all’operazione non mancasse. Scrive infatti
il quotidiano romano della sera:
Le chance di Pertini sono molte e la posizione da
lui presa – di riaffermata funzione del Partito
nell’ambito del Fronte democratico e di fedeltà agli
impegni assunti col Partito comunista – ha rafforzato
moltissimo le sue possibilità di raccogliere un gran
numero di suffragi che gli consenta di dirigere il Partito almeno sino al prossimo Congresso.
Con chi bloccherà Pertini? Ci sono, ed egli non se
lo nasconde, alcuni dei suoi seguaci che vorrebbero un
accordo con la destra romitiana, mentre altri preferitante è quella di cui l’on. Pertini è vittima, noi crediamo, e non cervello
dirigente. L’on. Pertini, come è noto, è un accorato socialista. Sentendo
dire da Nenni, da Basso e da altri reduci, che il socialismo è a sinistra, e
che chi rompe l’unità della classe lavoratrice è un traditore, non ha più
resistito. Pur avendo firmato una mozione centrista, e avendo lasciato
che Lombardi presentasse la mozione con accenti tutt’altro che marxisti,
deve aver avuto un riflusso di sangue socialista. Allora si presentato alla
tribuna ed ha fatto atto di aperta adesione ai concetti di Pietro Nenni. Atto premeditato?”
147
f. [ENZO FORCELLA]: “Febbre della vigilia” in L’Italia Socialista
del 26 giugno 1948
- 152 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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rebbero il cosiddetto pateracchio: la formazione, cioè,
di una direzione poco efficiente – come quella, per intenderci, che uscì fuori dal Congresso di Firenze –
raggruppante i rappresentanti di tutte le correnti.
Quest’ultima soluzione è però impossibile, dato che la
parte più decisa della sinistra socialista è fermamente
orientata ad opporsi ad ogni alleanza con la destra per
formare la direzione.
A Pertini non rimane dunque che l’alternativa:
destra o sinistra? Pertini ha già fatto da tempo la sua
scelta: è un uomo di estrema sinistra, lui, nemico di
qualsiasi compromesso e se si trova a capeggiare il
centro è solo per il suo amore fanatico per il Partito socialista.148
Le interpretazioni della stampa, specie di quella che
era particolarmente interessata alle risultanze del Congresso di Genova, non possono tuttavia esaurire per intero il campi di attendibilità di una simile ipotesi, se non
fosse possibile verificare anche in altra maniera
l’esistenza delle condizioni politiche e dei fatti perché si
possa in tutta probabilità affermare che una sorta di “operazione” fu in qualche modo tentata. Alberto Jacometti,
pur non attribuendovi importanza determinante, ammette questa circostanza.
Posso dire due cose di Pertini. La prima è che egli si staccò con un discorso in pieno congresso.
Quando noi vincemmo, verso le cinque del mattino,
venne da noi Nenni, che ci chiese se eravamo disposti
a dare la segreteria a Pertini e noi la rifiutammo. La seconda cosa che vorrei dire è che lo stesso Pertini, anche in seguito, mantenne un atteggiamento abbastanza
distante dalla nostra impostazione, tanto che, quando
la nostra Direzione indisse una giornata per la neutralità, Pertini dichiarò che lui non era per la neutralità e
quindi non poteva parlare in questo senso. Il caso Pertini poteva, sì, essere considerato un tentativo della sinistra di inserimento, tuttavia a mio avviso deve esse148
Paglialunga [EMMANUELE ROCCO]: “Su Pertini farà perno il
Congresso socialista” in La Repubblica del 27 giugno 1948
- 153 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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re considerato un tentativo secondario, dato che la sinistra pensava piuttosto di vincere.149
Ma in realtà era stato piuttosto Pertini stesso – e non
in pieno Congresso – a sposare le idee della sinistra, in un
discorso al Congresso della federazione di Genova, che
l’Avanti! (direttore Nenni) riportò con insolita evidenza,
tanto da fare notare, secondo l’anonimo redattore del
quotidiano socialista, che il discorso aveva “valore di interpretazione autentica della mozione di Riscossa Socialista, cui Pertini è uno dei più autorevoli firmatari”.150
Ma l’elemento che a mio avviso è più probante per
esaminare l’andamento del Congresso di Genova, anche
alla luce del tentativo, peraltro condotto personalmente
da Nenni, di egemonizzare il centro attraverso la figura di
Pertini sta in un discorso, sinora inedito, che lo stesso
Nenni pronunciò in Direzione, subito dopo il 18 aprile e
di cui possiamo avere i contenuti, ancora per la verbalizzazione sommaria ma meticolosa di F. Lombardi, intervento sulla cui decisività è ben difficile nutrire dubbi, anche in considerazione di come lo stesso Nenni ebbe presumibilmente a sviluppare l’operazione stessa. Affermava
infatti in quella occasione il direttore dell’Avanti! nel pieno della crisi socialista:
Ci vuole un periodo di ripiegamento, per ritrovarsi. Se noi volessimo andare da qui a due mesi a un
congresso per farci confermare il mandato, consegneremmo il partito a Romita. Bisogna essere noi a cercare, creare un gruppo di uomini a cui consegnare il partito. Questa politica di ripiegamento noi non la posiamo fare; si potrebbe essere accusati di adattarci a qua-
149
Testo della testimonianza rilasciatami da Alberto Jacometti.
“Sola autonomia: la coscienza di classe. Un forte discorso di Pertini al
Congresso provinciale di Genova” in Avanti! del 24 giugno 1948
150
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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lunque politica, pur di rimanere a galla. Penso a Sandro Pertini, nonostante i suoi difetti.151
É possibile, allora, vedere i problemi e lo svolgimento del Congresso anche attraverso questa particolare angolazione e ricercare, nella reazione che questo tipo di
operazione provocava negli altri esponenti di Riscossa
una delle componenti della rivalità, espressa anche in
termini di violenza verbale, tra le posizioni del centro e
quelle della sinistra per tutto il corso della gestione Jacometti-Lombardi? Se si tiene ben presente che non di una
chiave interpretativa si tratta, bensì di un ulteriore elemento che va ad aggiungersi alla decisa caratterizzazione
data dagli uomini più rappresentativi di Riscossa, valutare il Congresso, anche tenendo presente, nei discorsi e nei
comportamenti degli uomini, anche questo elemento può
portare contributi ed arricchimenti di notevole interesse.
6. La relazione di Basso
Di un possibile tentativo operato da Nenni per spostare gli equilibri congressuali con un’operazione diversiva di tal genere doveva essere in qualche modo avvertito
anche Lelio Basso, benché in definitiva il segretario uscente finisse per assumere comportamenti tali da far dedurre,
quanto meno, un non assenso all’iniziativa. Non a caso infatti egli rende la propria relazione a titolo personale, riservandosi la libertà di continuare a fornire il proprio
contributo alla ricostruzione del quadro generale del 18
aprile ed all’analisi della crisi socialista. Tuttavia, pur affrontando i nodi centrali del Congresso con il consueto
personale rigore, la relazione introduttiva del Segretario
151
Appunti di F. Lombardi sulla Direzione del 25 aprile 1948 in FFL, cit
- 155 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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dà l’impressione di volere, sia pure obtorto collo, avvicinare la sua posizione, almeno nelle conseguenze e nelle linee operative, a quella che la sinistra si sforzava di far
passare – non del tutto con esiti favorevoli, almeno in
questa fase – nel corpo fiaccato del partito; posizione che
la sinistra stessa aveva ribadito non solo con la lettera di
Morandi e Cacciatore o con la mozione congressuale, ma
anche con i successivi arricchimenti al dibattito. Questo
avvicinamento congressuale di Basso a molte delle impostazioni della sinistra pura è non senza significato, se si
considera che proprio lo stesso segretario era stato uno
dei bersagli principali della polemica, non solo da parte
della destra, ma, concentricamente, anche da parte di larghi settori della sinistra, di cui i documenti già citati ed
esaminati erano esplicitazioni sufficienti.152
Nella sua relazione al Congresso153 Basso espone,
con dovizia di argomenti e con la tradizionale lucidità, il
corpo delle ragioni della sconfitta elettorale che aveva già
avuto modo di manifestare in precedenti occasioni, segnatamente nella citata intervista a Cronache Sociali e nella
152
Basso infatti, ancora qualche settimana prima dell’inizio del Congresso dichiarava che la sua intenzione era per il momento di restare fuori
della mischia, non solo perché tra le mozioni presentate “nessuna soddisfa, soprattutto dal punto di vista ideologico, le richieste di chiarezza
[…] fondamentali in questo difficile momento della vita del partito”, ma
anche perché il fatto che “le mozioni precongressuali rischiano di trasformarsi facilmente in frazioni precongressuali con tutti i mali che ne
derivano [è, secondo Basso,] … contrario a quello spirito di partito di
classe che, dopo la secessione mi sono sforzato di infondere nel nostro
partito” (LELIO BASSO: “Un congresso di rinascita”, in Avanti! del 13
giugno 1948)
153
Il testo integrale della relazione non è stato reperito, tranne che per
pochi brani. L’esposizione è perciò condotta sulla base della sintesi, peraltro ampia, pubblicata sull’Avanti! il 29 giugno 1948, da cui sono tratte
le successive citazioni.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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relazione alla Direzione del 30 maggio. Anche in questa
occasione egli riformula la sua nota interpretazione degli
avvenimenti del ’48 – ed in particolare delle elezioni del
18 aprile – inquadrandoli nella situazione internazionale,
ma non risolvendo, tuttavia, la sostanza dello scontro di
classe in Italia alla stregua della mera risultanza dello
scontro est-ovest. Anzi, nonostante che, fatalmente, un tale tipo di analisi finisca alla lunga per ricondursi ai medesimi riferimenti, il tentativo di Basso è quello di rovesciare l’impostazione, partendo dal caso italiano per poi riportarne i tratti essenziali e le caratteristiche alla dinamica
internazionale ed ai processi che vi si svolgono..
Così che, se “le elezioni del 18 aprile debbono essere
considerate come un aspetto del generale riflusso del movimento operaio e democratico in tutto il mondo capitalistico, sotto la spinta vigorosa delle forze conservatrici”
non è men vero che alcuni caratteri nazionali del processo
avviato in Italia si affermano con riflessi determinanti nella lotta politica. Qua, infatti, si assiste all’affermazione,
più o meno perseguita, di voler procedere ad un rinnovamento ampio delle strutture dello stato e dei suoi presupposti di carattere sociale ed economico, in maniera tale da superare le strutture emerse nell’epoca fascista; della necessità di sviluppare questo processo si professano
fautori sia la classe operaia ed i ceti medi da un lato, sia il
complesso delle energie produttive e della borghesia capitalistica dall’altro. Ma è sui modi, sui tempi e, soprattutto, sull’effettiva consistenza di questo processo che si è
determinato il contrasto più evidente e si sono prodotte
quelle rotture di classe che estendono i loro riflessi anche
ai rapporti all’interno stesso del fronte di rinnovamento.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Da una parte, afferma infatti Basso, c’è un’iniziale
solidarietà per il rinnovamento delle vecchie strutture tra
la classe operaia e larghi strati di ceti medi, ma,
… solidali nell’avversione all’equilibrio esistente
e nella generica aspirazione ad un rinnovamento, i diversi ceti popolari hanno in realtà diversi bisogni ed
idealità onde è particolarmente difficile conservare
quella complessa alleanza nel passaggio dalla fase negativa dell’opposizione a quella positiva di costruzione e di avanzata. Di tali difficoltà approfittano sempre
le forze della conservazione per passare in un secondo
momento alla controffensiva.
Dall’altra, invece, l’esistenza di un fronte antifascista
presentava come intimo carattere di debolezza il fatto di
essere formato da una classe dominante, ceti medi e classe operaia, i cui obiettivi non solo non si armonizzavano,
ma vicendevolmente presentavano momenti vivi di contraddizione e di tensione: la classe dominante, “non privata nel momento della sua relativa debolezza della sua
forza di dominio ha avuto tempo di ricomporsi per sostenere l’assalto definitivo, mascherando la difesa del suo
privilegio di classe sotto colore di difesa della democrazia, della patria, dei valori morali, ecc.”; i ceti medi, che
“seguono la classe operaia sul terreno negativo della critica, ma non resistono poi alle difficoltà che si prolungano
nel tempo […] disposti ad accettare nuovamente l’ordine
borghese, purché esso prometta di garantir loro il quieto
vivere”; la classe operaia, infine, la quale “rischia di non
saper mantenere un ritmo uniforme di lotta ed in alcuni
suoi strati è portata verso forme crescenti di radicalizzazione, mentre in altre è disposta ad assecondare le titubanze del ceto medio”.
Tali condizioni sono, secondo Basso, le componenti
di fondo su cui s’innesta il processo di riflusso e su cui si
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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conduce l’offensiva conservatrice, di cui sono parte essenziale, sul piano della politica, la svolta del ’47, la rottura del fronte antifascista, il momento in cui le forze reazionarie si ricompongono e riprendono forza ed iniziativa, mentre i partiti della classe operaia, portando con sé
tutte le implicazioni della politica di unità antifascista non
portano avanti lotte rivendicative che spostino gli equilibri a favore della classe lavoratrice; ciò che finisce obiettivamente per favorire l’azione di rottura degli interessi
popolari e di consolidamento moderato su tutti i piani
che De Gasperi aveva intrapreso.
Non poteva non esser chiaro a dei marxisti – si
legge nella relazione del Segretario – che il fronte antifascista ad un certo momento si sarebbe rotto … [e
questo] risultava chiaro dalla sua composizione:
l’antifascismo comprendeva accanto alle masse lavoratrici e ad una borghesia progressista anche forze capitaliste ed in genere quella parte del mondo industriale
e commerciale che soffre del regime autarchico e non
ha monopoli da imporre; peggio, comprendeva negli
ultimi tempi anche i profittatori del fascismo che, per
salvare le proprie posizioni, erano passati al campo
vittorioso. Tutti costoro avevano interesse a separare il
fascismo dalle sue cause, ad isolare la lotta contro il fascismo dalla lotta contro le contraddizioni interne del
capitalismo e ad arrestare il moto delle masse, lasciando intatte le strutture del vecchio stato. Lo sforzo
compiuto dagli uomini che, in rappresentanza degli
interessi dei lavoratori, si erano introdotti nel CNL, è
stato quello di garantire la continuità giuridico-politica
tra il vecchio ed il nuovo stato; di impedire cioè che il
passaggio dal fascismo all’antifascismo aprisse la via
alla costruzione di un ordine sociale nuovo.
L’assimilazione e la decomposizione graduale del
mondo della resistenza fu l’abile azione condotta da
coloro che erano preoccupati più d’inserirsi nel vecchio mondo che di crearne uno nuovo. Attraverso una
serie di compromessi l’antifascismo delle sinistre si è
lasciato togliere di mano gli strumenti di una possibile
vittoria. Così il fronte popolare, che sarebbe stato qua- 159 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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si sicuramente vittorioso se fosse sorto nella primavera
del 1945, fu battuto nel 1948.
Dopo aver ricapitolato in tal modo tutti i suoi motivi
di polemica con la politica del CLN e dell’atteggiamento
errato tenuto, per difetto di analisi marxista, all’interno di
questi dalle forze di sinistra, ma in particolare dal PCI,
Basso incentra la propria attenzione sulla genesi del Fronte. Questo processo, che è basato sulle motivazioni e sulle
analisi condotte fino a questo punto, presenta delle argomentazioni che, da parte del Segretario socialista, sono
solo apparentemente concludenti per quanto riguarda
non tanto l’opportunità del Fronte, quanto quella della
tattica elettorale che precedeva liste comuni. Egli infatti,
pur presentando una serie di motivazioni politiche alla
scelta unitaria, motivazioni derivanti in sostanza dalla
posizione internazionale dell’Italia e dalla situazione di
accerchiamento in cui le forze della sinistra e la classe lavoratrice erano venute a trovarsi, preferisce tuttavia sottolineare una diversa necessità: quella cioè della ricerca di
una chiara linea politica e della subordinazione della tattica elettorale da seguire solo alla linea politica e non ad
altro.
Se il Fronte – egli afferma – doveva essere concepito come alleanza di base, come viva mobilitazione
di massa in vista di un programma di riforme di struttura, […] se delle masse fossero state mobilitate non
dietro le bandiere di questo e di quel partito, ma in vista di un concreto programma, non sarebbe stato possibile pensare ad elezioni con liste separate, [ma]
l’insuccesso vero risale al fatto che il Fronte non è sorto così come è stato concepito [nel senso che] il PSI
come il PCI, nella loro grande maggioranza, non intesero il significato reale del Fronte e si lasciarono prendere dall’urgenza delle elezioni senza aver apprestato
la piattaforma politica su cui queste avrebbero dovuto
essere affrontate.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Basso compie evidentemente quella che, in termini
popolari, oggi chiameremmo un’arrampicata sugli specchi, tentando di rovesciare a suo favore le condizioni in
cui si svolse il dibattito al XXVI Congresso. In realtà, le
opinioni che egli esprime sono ineccepibili, considerate
soltanto alla luce degli avvenimenti come in effetti accaddero. Considerate invece in un’ottica più complessiva
valgono a riportare la responsabilità che soggettivamente
lo stesso Segretario non aveva per la sua nota ed obiettiva
non convinzione in favore delle liste comuni, ma che oggettivamente a lui doveva essere attribuita per non essere
mai stato egli stesso in grado di indicare una via diversa
alla tattica elettorale intrapresa, responsabilità questa ancor più significativa trattandosi di un segretario di partito
in carica.
Questa difficoltà che Basso pare personalmente incontrare nel giudicare le proprie posizioni e nell'assumersi responsabilità più immediate e concrete sono tuttavia
da considerarsi meglio nel quadro delle scelte che egli intende compiere, almeno nel breve periodo, quelle cioè che
comportano azioni immediate sul piano della politica interna di partito, nel cui seno egli riesce a distinguere solo
due posizioni, sulle quali non trova difficile esprimere un
giudizio.
Le mozioni che vogliono l'unificazione socialista
o il ritorno al Comisco [era il nome dell'Internazionale
socialista, a cui aderivano i partiti socialisti e socialdemocratici operanti nell'area occidentale, n.d.a].o che
denunciano una politica unitaria come politica di non
autonomia, sono già dall'altra parte della barricata:
hanno abbandonato il terreno della lotta di classe e si
sono allineate con la borghesia. Dall'altra parte stanno
coloro che vogliono mantenersi sul terreno della lotta
di classe. Fra queste due posizioni non può esservene
una di centro. Molti di coloro che aderiscono alla mo- 161 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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zione di Riscossa socialista hanno indubbiamente fede
classista, ma altri ve ne sono ad orientamento filo saragattiano. Comunque, il Congresso deve pronunciarsi
con chiarezza in ordine ai principali problemi, soprattutto in ordine all'orientamento fondamentale del partito. A questo riguardo non vi sono che due vie: o con
la borghesia o con i lavoratori. Il 18 aprile molti lavoratori hanno ceduto alla paura e sono passati nel campo
nemico; alcuni di essi non votando per la DC, ma per il
partito di Saragat. In questa preparazione congressuale molti compagni hanno mostrato di subire lo stesso
processo di paura e di apprestarsi a passare alla socialdemocrazia, abbandonando le posizioni di classe.
Essi hanno mascherato questo passaggio sotto il nome
di difesa dell'autonomia o di unità socialista. Altri ancora,
non osando fare questo brusco salto, hanno votato una
mozione di centro, ponendosi all'ombra di compagni
che tutti amiamo, ma facendolo purtroppo con lo stesso spirito con cui altri avevano votato direttamente per
la destra.
Se pensiamo che l’espressione i compagni che tutti amiamo possa essere direttamente riferibile a Pertini e che
quindi anche l'ascendente che lo stesso esponente ligure
poteva avere su settori della base del partito riproduceva
un consenso in particolari ambienti che obbedivano a
spinte di tipo emozionale, ma la cui risposta politica era
da considerare errata, scaturisce da qui un giudizio sostanzialmente negativo, non solo sull'operazione di Riscossa, come poteva del resto essere naturale, ma anche
su qualsivoglia tentativo che potesse essere messo in atto,
come quello di Nenni, di reintrodurre la sinistra, per altre
strade, alla guida del partito senza condurre una sostanziale autocritica.
Ma oltre ad una netta separazione tra i due più significativi schieramenti congressuali e la negazione di validità politica al terzo, che la posizione di Lelio Basso si stia,
per forza di cose, avvicinando a quello della sinistra tra- 162 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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dizionale, lo si può ricavare soprattutto dal giudizio che
Basso stesso, nella sua relazione, finisce per dare della situazione internazionale, filtrandola attraverso l'apprezzamento da esprimere nei confronti delle esperienze politiche condotte nei paesi dell'est.
Su queste esperienze Basso formula un giudizio sostanzialmente positivo: esse infatti vengono individuate
all'interno di un processo che porta alla rottura del fronte
antifascista, nel cui seno rischiavano di prevalere concezioni e forze ritardatici, attraverso una difesa del vecchio
ordine, sostenuta solo dai vecchi ceti fascisti, ma anche da
una parte delle forze sinceramente antifasciste. Il problema perciò, anche nell'est, salvo il non trascurabile fatto
che una diversa riuscita di questa rottura è stata colà "favorita da una diversa situazione internazionale" - e in
questa maniera Basso ammette implicitamente la propria
decisa scelta in favore di uno dei lati contrapposti dello
schieramento internazionale -, riguarda situazioni analoghe a quelle che si sono presentate in Italia, con la differenza che a quelle, per l'iniziativa attiva della classe lavoratrice, sono state date risposte diverse, in termini favorevoli alle forze che alla sinistra fanno riferimento. Quanto
poi al maggiore o minore tasso di democraticità delle vicende che in quei paesi si sono svolte, il segretario del PSI
non pare avere dubbi.
… si rimprovera ai socialisti orientali di aver
raggiunto i loro grandi risultati a prezzo di qualche restrizione delle libertà individuali: ma non si tratta di
stabilire se essi hanno commesso o no qualche errore o
qualche eccesso: si tratta di stabilire se noi riconosciamo ai lavoratori il diritto di strappare il potere alla
classe dominante per costruire il nuovo ordine sociale.
Se riconosciamo questo diritto non si può negarlo nei
fatti ed ogni conquista della storia esige sforzi, sacrifici
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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e rinunce: ogni progresso che si compie deve pagare
un prezzo. La borghesia non è giunta al potere senza
pagare questo prezzo. La democrazia quindi non ha
nulla a che fare con le obiezioni dei nostri avversari; al
contrario, noi pratichiamo il metodo democratico per
realizzare finalità democratiche. Vi è una democrazia
sostanziale ed una democrazia puramente formale;
una democrazia sociale ed una democrazia politica;
democrazia formale, puramente politica, è antidemocrazia.
Anche se Basso non avanza accenni diretti al clima
internazionale di guerra fredda, questa decisa presa di
posizione in favore degli avvenimenti dell'Est europeo,
segnatamente quelli cecoslovacchi, può essere considerata
quasi una premessa per svolgere il nodo della politica unitaria e dei rapporti tra PSI e PCI in Italia, in termini che,
sia pure ancora legati alla tematica bassiana, in un certo
senso la superano e ammettono la possibilità di nuove
sintesi.
Su questo campo infatti Basso ripropone ancora i soliti distinguo e sottilissime considerazioni sulle differenze, che si radicano nella storia e nella stessa funzione rispetto alla società, tra i due partiti della classe operaia, ma
le distanze appaiono stavolta più ridotte, i confini più labili, in breve l’unità organica, sia pure a certe condizioni,
ridiventa un obiettivo praticabile che lo stesso Basso è costretto ad auspicare, e non più riconducendola a
quell’originario disegno che era la creazione di un nuovo
strumento per la classe lavoratrice.
Tra le condizioni, che si avvertono, più che essere
manifeste nell’argomentazione bassiana, c’è il fatto che la
scelta in prospettiva compiuta in favore dell’unità organica delle forse di sinistra è limitata dalla residua consapevolezza che il socialismo italiano rappresenta, nel campo
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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europeo, qualcosa di diverso, di difficilmente assimilabile
ad altre esperienze, non solo per condizioni obiettive di
lotta, ma anche per lo stesso tipo di legami che esso mantiene con la classe operaia ed il carattere particolare della
presenza politica e del modo di essere del movimento socialista nella sua storia ed in particolare nella sua storia
ultima, negli anni del dopoguerra e dei primi travagliati
anni dello stato post-fascista. La domanda che Basso nella
sua relazione si pone e che pone complessivamente al
partito, cioè se esista ancora in Europa posto per una
formazione socialista come il PSI, che non voglia rinnegare i propri specifici caratteri, è domanda che ha caratterizzato gran parte dell’elaborazione socialista negli anni
successivi e che, sia pure da angolazione diversa, influenzava il neutralismo di Lombardi; e la stessa risposta affermativa che Basso formulava era la risposta che, sia pure in termini talvolta ottimistici, ha costituito per lunghi
anni la ragione di sopravvivenza del PSI nel campo europeo ed uno dei tratti specifici e distintivi di una presenza
spesso originale nello stesso schieramento politico italiano.
Tuttavia, nonostante il tentativo, abbozzato e non
precisato, che Basso compieva per mantenere, al di là delle condizioni oggettive, uno specifico campo di lotta e di
azione per il socialismo italiano al cospetto della situazione internazionale e, all’interno, di un forse, organizzato e
motivato partito comunista, le conclusioni del segretario
socialista fatalmente dovevano finire per avvicinarsi alle
posizioni che più tradizionalmente erano tenute dalla sinistra ufficiale.
Per ristabilire la funzione che spetta oggi al nostro partito – affermava infatti Basso – occorre precisa- 165 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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re anzitutto quale sia la distinzione tra un socialista e
un comunista. I motivi più evidenti della scissione del
primo dopoguerra sono superati: la distinzione è oggi
di altra natura; distinzione di mentalità, di spirito, di
linguaggio che oltre 20 anni di separazione ha accresciuto. Bisogna richiamarsi alle funzioni che Marx assegna al militante rivoluzionario ed al partito. Il partito è l’avanguardia della classe e, attraverso le lotte dirette dal partito, da una fase spontanea e frammentaria
si passa poco a poco ad una lotta organica e coerente.
Ora, se nella valutazione della funzione di questa avanguardia si tende ad appoggiare piuttosto sulla necessità che essa ha di formare e guidare la volontà delle masse, o piuttosto sulla necessità che pure ha di non
staccarsi dagli altri strati della popolazione, se si perde
l’equilibrio necessario tra queste due esigenze, che sono due momenti della lotta del proletariato, si rischia
di cadere in gravi errori. […] I socialisti tendono piuttosto ad accentuare il momento relativo alla coscienza
delle masse, mentre i comunisti hanno piuttosto la
tendenza ad appoggiare sull’altro aspetto; ciascuno dei
due con i pericoli che questo atteggiamento comporta.
Senonché ogni posizione accentua, oltre che certi pericoli, anche certe possibilità positive, e la mentalità socialista appare più aperta alle esigenze di massa più
vaste, mentre quella comunista sembra più adatta a difendere solidalmente le posizioni di classe, cioè meno
suscettibili a subire influenze piccolo-borghesi. Entrambe queste mentalità esprimono due esigenze egualmente valide del movimento operaio: l’una
l’istanza classista, l’altra la necessità delle alleanze.
Sono due momenti che potrebbero coesistere in uno
stesso partito; ma storicamente oggi sono venute a polarizzarsi nei due partiti e deve ciascuno di questi
l’importanza della propria e dell’altrui funzione in
modo che la classe operaia possa utilmente valersi della collaborazione dei suoi due partiti. Ecco perché là
dove la classe operaia è già al potere, l’unità organica
diventa facilmente un fatto compiuto: non è che il socialismo muoia assorbito dal comunismo, nei limiti in
cui era vivo e vitale esso appartiene alla coscienza del
proletariato ed entra con tutta la sua forza nel movimento unificato.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Questa lunga citazione154 era forse necessaria per
stabilire il nuovo punto a cui Basso perviene nella sua
concezione unitaria, almeno per quanto venne enucleandosi, nei suoi limiti e nei suoi condizionamenti, al XXVII
Congresso. Essa ripropone decisamente i temi della politica unitaria, ossia di stretta collaborazione nell’ambito
della sinistra, ma coglie anche l’occasione per rifare il
punto, con piccole concessioni a velate polemiche, sui residui margini di prospettiva per la politica fusionista.
Questa infatti è stata possibile in quei paesi dove la
classe operaia è ormai al potere e il momento unificatorio
viene determinato in condizioni più agevoli che altrove,
come ad esempio in Italia, dove non solo esso è più problematico, ma anche dove, per certi versi, si comprende
l’opportunità di una sua sospensione. E se la prospettiva
organica dell’unità, alla quale Basso non rinuncia, può
sembrare quasi un salto logico con tutta l’elaborazione
precedente, non può non essere osservato e considerato
come e quanto lo stesso segretario socialista resti critico
della posizione dei comunisti in Italia e degli ostacoli, di
ordine teorico, ma anche di prassi, che il PCI finisce per
frapporre alla stessa politica unitaria.
La convinzione di Basso è appunto che le due funzioni, le due istanze, quella classista e quella che invece
rivendica una maggiore importanza da annettersi alla necessità delle alleanze, avrebbero potuto coesistere nello
stesso partito, ma il fatto che “storicamente oggi sono venute a polarizzarsi nei due partiti” finisce per rivestire ca154
Essa è tratta, come le precedenti, dalla sintesi della relazione di Basso
sull’Avanti! del 29 giugno. Per questa parte comunque esiste anche il testo originale che Basso ripubblicò in Quarto Stato, n. 8/9 del 1949, pag.
47/48
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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ratteri di critica implicita non solo al PSI per non aver determinato in maniera più conseguente il proprio classismo, ma soprattutto al PCI, la cui rigidità, particolarmente in materia di dibattito interno, si finiscono per attribuire le responsabilità del mancato incontro e quindi della
mancata possibilità di comprendere le due funzioni che,
all’interno dello stesso partito, avrebbero potuto trovare
una sintesi più efficace.
Ora è evidente che tali motivazioni non erano sufficienti per trarne conclusioni diverse dalla linea di politica
unitaria, anche se non portavano a sostenere la necessità
dell’unificazione immediata dei partiti della classe operaia: esse invece consentivano che nella situazione italiana
si praticasse una linea di più stretta collaborazione e, per
certi versi, di compenetrazione strategica tra i due partiti,
che le condizioni internazionali, singolarmente valutate
da Basso in maniera secondaria, avrebbero fatalmente
spinto verso unità di giudizi, anche per quanto riguardava le scelte di campo che si dovevano compiere: quella riserva di politica socialista che, secondo Lombardi, doveva
sempre esistere nel paese, in questa condizioni non poteva avere altro che una vita estremamente problematica.
Pur partendo da analisi e da esigenze culturali spesso differenziate, l’approdo pratico alle conclusioni politiche della sinistra tradizionale diventava perciò per Basso
un fatto obbligato ed ineludibile, anche se egli, all’interno
della sinistra, potrà, per proprie origini, mantenere autonomia di elaborazione e di giudizio.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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7. La vittoria di Riscossa e la Direzione centrista
La relazione di Basso ebbe una larga eco di commenti, nel Congresso e sulla stampa. Di essa si sottolineava
soprattutto, sia come fosse avvenuto in pratica un deciso
allineamento del segretario alle analisi ed alle proposte
della sinistra, sia il fatto conseguente che essa – per la sostanza, ma anche per il tono con cui era stata presentata –
contribuiva a creare nel PSI un clima che poteva diventare ben più acceso del semplice confronto politico e che
poteva prefigurarsi anche in termini di scontro. Del resto,
che lo stesso Basso fosse nel suo intimo convinto della necessità di costruire un partito meno permeabile a suggestioni riformiste, ed anche della ineluttabilità di pagare
ogni prezzo perché tale obiettivo fosse raggiunto, al limite
di provocare processi di espulsione o scissionistici, è cosa
già ricordata a proposito della scissione di Palazzo Barberini, e del resto personalmente confermata da Basso anche
in occasioni successive e più lontane dai fatti.155
Il dibattito fu perciò assai vivace fin dalle prime battute, tra gli esponenti della sinistra da una parte e gli autonomisti dall’altra, come fu subito assai chiaro che da
parte delle due tendenze opposte c’era, pur nella crudezza di uno scontro assai chiaro ed assai poco mistificato, il
tentativo di instaurare un confronto a due, come tra le sole anime possibili del Partito socialista, minimizzando la
portata ed il valore delle posizioni intermedie; gli uni, gli
esponenti autonomisti, confidando che gran parte degli
aderenti a Riscossa sostenessero posizioni non dissimili
dalle loro e che quindi fossero potenzialmente acquisibili
ad una più decisa presa di posizione in senso autonomi155
Cfr. più indietro la nota n. 23
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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stico per il prossimo futuro; gli altri, la sinistra, fidando al
contrario che in Riscossa il maggior consenso fosse attribuito agli uomini che, come Pertini, godevano da parte
della sinistra stessa di una fiducia considerevole e forse di
qualcosa di più.
E’ un fatto, invece, che la storia del XXVII Congresso, nei suoi lavori di Genova, finisce per essere la storia
della corrente di Riscossa e delle vicende e contraddizioni
che internamente la caratterizzano, sia per effetto degli attacchi concentrici, sia per effetto della sua debolezza, che
non era intrinseca, ma che invece poteva considerarsi
quasi il portato di una situazione esterna, italiana ed internazionale, che reprimeva di fatto le aperture contenute
nella posizione di Lombardi e dei suoi amici. Non si può
negare pertanto che il discorso che nel pomeriggio del 29
giugno fu tenuto da Pertini possa essere considerato - almeno dal punto di vista degli esiti politici, se non si può
dire della chiarezza delle impostazioni – uno dei momenti
determinanti del Congresso, attorno al quale ruoterà il
dibattito successivo ed anche gran parte delle conclusioni
finali.
Preceduto in mattinata dall’intervento di Nenni, che
auspicava la semplificazione dello schieramento interno
del PSI in due sole mozioni, Pertini volle dare la sua interpretazione, cioè quella che riteneva autentica, della
mozione di Riscossa, un’interpretazione cioè che nei punti nodali mostrava sostanziali convergenze con le posizioni della sinistra, anche se lo stesso Pertini non si sentirà di condividere – e lo dirà al Congresso – parecchie parti dell’analisi che queste conseguenze determinava, spe-
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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cialmente per quanto riguardava la relazione introduttiva
di Basso.
Su tre punti in particolare Pertini mostra di distaccarsi dalla interpretazione prevalente di Riscossa e di avvicinarsi alle posizioni della sinistra. Sul Fronte:
Allo schieramento delle forze conservatrici occorre contrapporre uno schieramento a sinistra e il
Fronte, come schieramento democratico non può dirsi
fallito.156
Sulla validità delle esperienze dell’Europa orientale:
Non si deve dimenticare il progresso sociale conseguito nei paesi dell’Europa orientale, mentre noi in
Italia dobbiamo registrare purtroppo condizioni di vita antiumane nella Basilicata, nella Calabria ed in altre
regioni dell’Italia Meridionale. Certo, però in Oriente
la libertà economica è stata conseguita a prezzo della
libertà politica. […] Tuttavia noi non possiamo non
guardare con simpatia al progresso del mondo orientale e non possiamo non guardare con riserva al mondo occidentale.
Sul Piano Marshall:
Non bisogna dimenticare che il Piano Marshall è
uno strumento dell’America per attuare la sua politica
estera in Europa, e noi non possiamo assecondare questa politica estera, perché questa è la politica guerrafondaia di Truman.
Anche se in gran parte previsto e forse preparato in
accordo con alcuni settori della sinistra, il discorso di Pertini provocò negli ambienti di Riscossa una reazione immediata157 , che portò in serata alla convocazione dei de156
Questa e le successive citazioni sono tratte dalla sintesi dell’ intervento di Pertini pubblicata in Avanti! del 30 giugno 1948
157
Ricorda Enzo Forcella, testimone in qualità di giornalista del Congresso, che all’interno di Riscossa si era stabilita una linea di condotta
che mirava a scongiurare l’eventualità di una possibile cattura di Pertini
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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legati che a tale componente facevano riferimento, per valutare la situazione e per decidere dell’atteggiamento
complessivo da tenersi nei confronti di Pertini. Questi,
per parte sua, nel corso della riunione, si limitò ad osservare “di non essersi schierato con la sinistra soltanto perché aveva delle riserve morali sul conto di Basso e dei
dissensi di natura tattica con Nenni”158. Dalla riunione uscì pertanto una sconfessione di Pertini, comunicata al
Congresso nella seduta notturna da Giovanni Pieraccini il
quale lesse la seguente dichiarazione:
Sono state rilevate talune divergenze tra
l’impostazione politica data a Riscossa Socialista nei
rispettivi discorsi dei compagni Riccardo Lombardi e
Sandro Pertini. Per un dovere di chiarezza, a nome dei
firmatari, escluso naturalmente il compagno Pertini, e
dei delegati di Riscossa, dobbiamo precisare che essi
riconoscono nell’esposizione del compagno Lombardi
l’interpretazione esatta della linea politica espressa
nella loro mozione. Consapevoli che l’unità del Partito
e la sua rinascita si possono ottenere soltanto sulle poda parte della sinistra: “Pertini parlò dopo Riccardo Lombardi. E come a
questi (così si seppe più tardi) nelle riunioni di tendenza era stato affidato il compito di parlare come uomo di sinistra, proprio per la sua caratterizzazione di uomo di destra, a Pertini, del quale erano note le simpatie
per la sinistra, era stato affidato il compito di fare un discorso di destra.
Avvenne invece tutto il contrario. Egli si fece prendere dall’onda
dell’entusiasmo e parlò come aveva parlato Nenni, ripetendo con lui i soliti temi contro i socialdemocratici e gli americani, senza nessuna riserva
nella politica di unità d’azione e nello schieramento della lotta internazionale [ENZO FORCELLA]: “Cambiamenti…”, cit.
158
Dichiarazione raccolta da Forcella e da lui riportata [ENZO FORCELLA: “La mozione Romita in posizione rafforzata” in L’Italia Socialista, del 1 luglio 1948. Dal titolo del pezzo appare chiaro che da molte
parti, in particolare dalla posizione politica del giornale di schietta marca
riformista, non si voleva dare alcun credito ad una caratterizzazione politica originale della corrente di Riscossa: allontanatosi Pertini, fautore di
un’intesa con la sinistra, a Lombardi e compagni non doveva rimanere
altro tentare un’intesa con Romita. Ci fu chi volle perseguire fino in fondo questo disegno, ma Riscossa riuscì a mantenere la propria individualità.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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sizioni di una solenne riaffermazione della politica unitaria della classe lavoratrice, nell’indipendenza del
Partito, quale contenuto nella mozione di Riscossa, la
riaffermano.159
Tale presa di posizione da parte dei componenti la
mozione centrista fu importante: essa infatti consentiva al
Congresso di prendere atto che Riscossa socialista non intendeva limitarsi ad essere un semplice momento numerico, quasi come un campo su cui dovevano scaricarsi le
tensioni contrapposte tra sinistra ed autonomisti e nel
quale gli stessi schieramenti puntassero a giocare, nella
loro reciproca lotta, le chance residue per poter esercitare
il controllo sul partito.
Ma esisteva in Riscossa, che pure risultava lo schieramento maggioritario, un’ulteriore e non meno importante contraddizione, quella cioè di voler fungere da ago
della bilancia delle tendenze contrapposte e di voler giocare un proprio ruolo autonomo nella conduzione del
partito, solo individuando i limiti negativi degli altri interlocutori, e non già delineando un proprio spazio volgendo questi limiti in positivo. Ho già fatto riferimento
all’intervista di Pieraccini all’Italia Socialista,160 ma altrettanto può essere detto per i principali interventi che i
leader della corrente tennero al Congresso e per i quali vale segnatamente quello di Riccardo Lombardi. La duplice
esigenza che egli espresse di dover individuare il limite
negativo della sinistra nell’adesione internazionale ad
uno dei blocchi in formazione, e quindi ad una troppo limitata espressione dell’autonomia del PSI, e dall’altra
parte di preservare il partito dai rischi che un’eccessiva
caratterizzazione autonomistica comportava nei rapporti
159
160
La dichiarazione di Pieraccini in Avanti! del 1 luglio 1948
Vedi indietro a pag. 168, 169.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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tra il PSI e la classe operaia e quindi nei contenuti della
politica unitaria, rappresentava, come venne opportunamente osservato “una posizione quanto mai sottile e difficile da impostare, soprattutto nelle prime battute di un
Congresso di cui non si conoscevano gli umori e, come
sempre succede in questi casi, la preoccupazione delle votazioni finali la vinceva su tutte le altre”.161
L’intervento di Lombardi fu perciò insolitamente caratterizzato, in negativo, da questa oggettiva limitazione,
tanto da esser costretto più ad un’esposizione del grosso
complesso di temi che stavano di fronte al Partito socialista e ad una posizione che intendesse svolgere la sua politica entro questi limiti, anziché delineare un disegno politico più completo, che dall’analisi facesse discendere proposte di linea e di strategia. Intervento, come fu detto,
problematico; e forse era il massimo che la situazione potesse consentire senza doversi legare a schemi ormai
troppo praticati e forse anche abusati, tanto che essi venivano considerati nell’ambito di Riscossa appartenenti ad
un modo sorpassato di intendere la funzione e la collocazione del PSI nell’ambito nazionale ed internazionale.162
Ci sono però in Lombardi degli spunti che trovano
riscontro in alcune delle analisi ed in alcuni dei giudizi
formulati da Basso. Può trattarsi di una concessione
all’impostazione degli interventi già decisa dalla corrente
di Riscossa, che gli attribuivano il ruolo di parlare da sinistra163, ma non c’è dubbio che tali posizioni ed opinioni
non fanno che ribadire il punto di vista di Lombardi su
161
ENZO FORCELLA: “Cambiamenti…”, cit.
In questo senso si veda anche GIOVANNI PIERACCINI: “I centristi
…”, intervista cit. in L’Italia Socialista
163
Si veda più indietro la nota 157
162
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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alcuni fatti pregressi e che lo stesso dirigente ex azionista
aveva già avuto occasione di sostenere e di mettere in luce in ripetute occasioni. Così è per alcuni giudizi sulla politica del CLN, ma così è anche per la critica al processo di
genesi del Fronte e per gli effetti che procedure e tempi
errati nella formazione hanno provocato sugli esiti, sia dal
punto di vista elettorale che politico. Egli infatti afferma
di essere
… consenziente con Basso nel credere che il
Fronte, cioè un’alleanza delle sinistre, avrebbe dovuto essere costituito molto prima, al tempo della
Liberazione, per sfruttare al massimo la vittoria delle masse popolari, prima che le forze conservatrici
potessero avere il sopravvento. I partiti socialista e
comunista errarono nella valutazione dei fatti, e
pensarono che l’ondata popolare avrebbe progredito
anziché fermarsi. Tutta la politica successiva fu tarata da questo errore di apprezzamento. [Tale errore
va] deplorato severamente, [nel senso che ] un partito responsabile avrebbe dovuto prevedere e comprendere il momento in cui sarebbe iniziato il riflusso. [Occorre perciò] trarre una conseguenza di questa impostazione, riferendosi ai fatti più recenti. Anche la costituzione del Fronte rifletteva una visione
attivistica e positiva, mentre la situazione era nettamente negativa. Il Fronte sarebbe stato uno strumento valido in fase offensiva, ma nella fase difensiva era necessario procacciare alla classe operaia
non alleanze formali, ma alleanze sostanziali.164
Ciò non significa tuttavia che anche tale richiamo
non possa essere interpretato in senso polemico nei confronti dello stesso Basso, il quale, pur avendo individuato
nella sua analisi motivi di giusta critica al Fronte popolare
come mero fatto elettorale, non riuscì tuttavia a far emer164
Non è stato possibile reperire il testo stenografico dell’intervento di
Lombardi, come del resto di tutto lo svolgimento congressuale. Tale brano, come i successivi citati, di cui si avverte largamente la genericità, è
tratto dalla sintesi pubblicata sull’Avanti! del 30 giugno 1948
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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gere un’impostazione diversa né al Congresso dell’ Astoria, né nel corso della campagna elettorale, né infine nella
sua relazione al Congresso, tanto che dalle parole di Basso non si enuclea la visione di un partito socialista forte
ed autonomo, pur nel quadro della politica unitaria, ma,
come afferma ancora Lombardi, quella
… di un partito anche poco numeroso, ma fortemente organizzato, capace di mettersi all’ avanguardia della classe operaia, selezionato attraverso
un’adesione scrupolosa ad una linea precisa fissata dai
quadri dirigenti; [tale partito] esiste già ed è all’interno
del partito comunista. Non c’è bisogno di fare un inutile doppione.
Ma ciò che deve distinguere il Psi è l’essere esso un
partito di governo, partito che aspira alla successione di
governo, che prepari – Lombardi non lo dice, ma è lecito
pensarlo – una propria piattaforma programmatica e governativa. Ciò non significa, come egli stesso avrà modo
di precisare nel corso di un secondo intervento, che il partito debba rinunciare alla propria caratterizzazione di
classe, diventando un partito collaborazionista: significa
invece contribuire, stando
in
maggioranza
o
all’opposizione, alla costruzione di una politica di riforme
e di avanzamento svincolata dalla logica perversa degli
schieramenti internazionali.
Tale polemica nei confronti del PCI – e quindi implicitamente della sinistra socialista – Lombardi la svolge
con accenni nettamente critici alla linea portata avanti
dalla organizzazione di classe sul piano sindacale, cioè
dalla CGL, nella quale finivano per prevalere le spinte
corporative, che creavano false conflittualità, anziché un
impegno che potesse stabilire forme di controllo
sull’attività dei gruppi monopolistici. Tipiche le conse- 176 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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guenze che si riflettono nell’atteggiamento nei confronti
dell’ERP: mentre ci si attarda o a respingerlo in blocco o a
chiederne velleitariamente il controllo, “i grossi gruppi
monopolistici hanno già fatto man bassa: la Confindustria
ha già stabilito tutto il piano di distribuzione degli aiuti a
favore dei grossi complessi monopolistici e parassitari”.
Nonostante tale impostazione fosse potenzialmente
in grado di offrire un diverso terreno qualitativo, non solo
all’analisi, ma anche alla proposta di linee politiche alternative, gli uomini di Riscossa – e Lombardi con essi –
stentano a spingersi più oltre. Ma ciò non poteva essere
considerato un limite da attribuirsi esclusivamente agli
uomini del centro, ma era il segno che la crisi era per intero del PSI o di tutto il movimento socialista in Italia, il
quale, in ogni sua articolazione, stentava a definire una
sua via che non fosse provvisoria e che potesse incamminarsi verso prospettive più organiche.
C’era invece, in questa posizione, almeno un risultato positivo, anche se esso non seppe prolungarsi tanto da
dare dei frutti apprezzabili: e cioè il fatto che il PSI, che
fino alla scossa del 18 aprile era stato uno spettatore abbastanza inerte della crisi socialista e della sinistra, riusciva con Riscossa ad intraprendere una strada critica che
prendeva in carico i nodi di questa crisi e ne faceva elementi caratterizzanti per la ricerca di nuove strade da
sperimentare.
Più vivace del dibattito, che comunque finiva per riprendere – e non poteva essere altrimenti – le posizioni
già espresse in precedenza nelle mozioni, nelle dichiarazioni e negli articoli dei vari leader, fu invece la fase finale
del Congresso, nel corso della quale il braccio di ferro in- 177 -
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gaggiato tra Riscossa e le altre componenti si trasformò in
uno scontro duro al di fuori del dibattito congressuale,
con singoli episodi anche di vivaci contrasti personali. Ma
la sinistra, che aveva puntato molto sull’ascendente di
Pertini verso gli uomini del centro, si ritrovò invece di
fronte ad una galvanizzazione dei quadri di Riscossa, i
quali, non solo riuscirono a tamponare le falle all’interno
del loro schieramento, ma acquisirono anche un numero
non trascurabile di mozioni locali che dall’area di Romita
si spostarono verso il centro. Quanto ad un’alleanza con
la componente autonomista, Lombardi ed i suoi compagni finirono per giudicarla troppo compromettente e destabilizzante, come si direbbe in termini attuali, nei confronti dell’equilibrio del partito, a meno che essa non fosse garantita da un efficace contrappeso a sinistra, di cui
comunque non si potevano intravedere le possibilità. La
soluzione, che rappresentò da parte dei dirigenti di Riscossa un atto di coraggio, fu quella maggioritaria, anzi
della maggioranza relativa. Tuttavia, se tale soluzione
servì per uscire in qualche modo dal congresso, essa non
fu in grado di poter garantire una gestione conveniente
del partito dopo il congresso stesso.165
165
Così nell’articolo di ENZO FORCELLA: “Ventiquattr’ore di seduta”
in L’Italia Socialista del 2 luglio 1948 vengono descritte le fasi finali del
Congresso. “Le votazioni diedero questi risultati: Riscossa 227.609; Sinistra (unificata) 155.156; autonomista (unificata) 141.866, cioè a un di
presso: il 43, 29, 27 % dei voti. La votazione delle mozioni era tuttavia
niente a petto di quanto stava avvenendo in un certo sgabuzzino dove si
erano rifugiati Morandi, Pertini, Pieraccini, Calogero, Santi e Lombroso
e tutti gli altri incaricati delle trattative per la Direzione. Proposte e controproposte ne furono a non finire: Pertini accettò e rifiutò un paio di volte la segreteria del partito; un’altra mezza dozzina di candidati furono
proposti e poi scartati. Alle 4, quando già centro e sinistra cantavano vittoria e davano alla stampa l’elenco ufficioso della nuova Direzione, Romita salì alla tribuna e spiegò che, poiché non si riusciva a mettersi
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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La Direzione fu eletta in tarda nottata, dopo un susseguirsi di ore estremamente agitate: essa si compose di
ventuno membri, tutti appartenenti a Riscossa o alle mozioni locali affiliate166; alcuni uomini erano modesti o poco impegnati, altri totalmente sconosciuti. Alberto Jacometti, in un volume autobiografico167 descrive con molta
d’accordo, consigliava di rinviare alle 10 di questa mattina la prosecuzione delle trattative. Si stette per una mezzoretta a discutere pro o contro la proposta o piuttosto a rumoreggiare intorno alla proposta. Alla fine
la proposta di Romita fu scartata. […] Centro e sinistra desideravano una
direzione concordata con gli autonomisti. Questi, dopo molta riluttanza,
avevano accettato a condizione di essere a parità di seggi con la sinistra.
La proposta veniva rifiutata e così ogni possibilità di accordo si annullava. Restava un’unica via: quella di presentare ognuno una lista di 14
membri (e cioè il numero di seggi riservato alla maggioranza) e di votare
conseguentemente su queste. Ma anche tale proposta trovava varie difficoltà. […] Alla fine la sinistra accettò il metodo di votazione che abbiamo detto. Tra Lombardi e Basso volarono parole grosse: non si sapeva
più come uscire dal ginepraio, si sono avuti momenti di estrema tensione. Fu allora che la Presidenza si trovò in mano una lista composta di soli centristi; la mise in votazione. La sinistra si astenne, una parte degli
autonomisti votò a favore”.
166
La nuova Direzione fu composta da Adinolfi, Barbano, Bellanca,
Borghese, Carli-Ballola, Dugoni, Fabbricotti, Fiorentino, Foa, Jacometti,
R. Lombardi, Lombroso, Lupis, Manno, Gc. Matteotti, Nitti, Perrotti,
Pieraccini, Pierantoni e Santi.
167
Scrive Jacometti: “Verso l’alba i compagni, sopraffatti dalla stanchezza, giacevano un po’ dappertutto, sui tavoli, negli angoli, a cavalcioni delle sedie, mentre altri, pur di tener duro, facevano la spola tra la
grande sala di Palazzo Ducale e il bar a gonfiarsi di caffè come batraci.
Nenni, con non so più chi, era venuto da me, in una saletta attigua, verso
le cinque o le sei del mattino. Era un’alba pallida, spettrale. Forse a causa del sonno gli oggetti presentavano dimensioni inconsuete, spigoli duri
e fosforescenti. Nenni andava innanzi e indietro; io ero seduto dietro il
tavolino, i compagni della corrente di Riscossa facevano grappoli dietro
la porta, incapaci di continenza. Si sarebbe detto che Nenni si rendesse
conto per la prima volta di quanto era avvenuto dal 18 aprile in poi. Mi
domandò se eravamo disposti ad accettare Pertini quale segretario del
partito; la sinistra subordinava a questa condizione la propria partecipazione alla nuova direzione. Risposi che no. Nenni se ne andò, scossi la
testa e feci cenno ai compagni che non c’era più niente da fare, la sinistra
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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efficacia e drammaticità il clima di quella notte ed il modo, quasi casuale, con cui fu formata la lista della Direzione. Alcuni giorni dopo lo stesso Jacometti veniva eletto
segretario, Giancarlo Matteotti, che all’ultimo momento
aveva sposato le posizioni di Riscossa, vice-segretario,
Riccardo Lombardi direttore del quotidiano del partito,
l’Avanti!. Cominciò l’esperimento centrista, periodo breve
e difficile, ma esso altro non fu se non un lungo periodo
di preparazione al successivo Congresso, il XXVIII, al
termine del quale, dopo neppure un anno, la sinistra assumeva nuovamente il controllo del PSI.
non avrebbe collaborato. Ci fu un momento di angoscia, che l’alba spettrale e la brezza del mattino resero ancor più accorante. Veniva voglia di
lasciarsi cadere su una sedia e di lasciare che il tempo colasse. Invece bisognava ritornare in sala. In sala non c’era più che Basso che minacciava, dalla tribuna, con il suo pallore dei giorni drammatici, d’invalidare il
congresso se non si fosse proceduto alla elezione della direzione per votazione segreta. Poi scomparve anche lui. Ricordo che si lanciavano, da
parte dei pochi congressisti rimasti, nomi che nessuno aveva mai udito.
Qualcuno scriveva. Ricordo che ad un certo punto interruppi: ‘Ma non
c’è nessuno, nel partito, che si chiamo così’. Sì’, no. Sì, no. Fu chiaro
che c’era uno che si chiamava così. Nacque in tal modo la nuova direzione, la direzione di Genova”. (ALBERTO JACOMETTI: Il filo di Arianna, Torino 1960, pp. 127-128)
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Considerazioni conclusive
Su Morandi e Lombardi: i due leader di pensiero
Per poter svolgere correttamente alcune considerazioni conclusive sul periodo che è stato sin qui esaminato,
occorre senza dubbio tener presente che si tratta di un arco politico non solo breve, ma anche soggetto ad essere in
larghissima misura influenzato e determinato da fattori
emozionali, tanto che parecchie delle ipotesi politiche a
cui è stato fatto riferimento possono talvolta essere considerate transitorie e soltanto in misura parziale raccordabili alle tendenze del PSI, così come nel loro nucleo fondamentale queste erano venute emergendo nel corso degli
ultimi anni. Il gruppo che si raccoglieva intorno a Romita
costituiva infatti l’espressione di uno spazio politico e di
un dibattito che era tuttora vivo all’interno del partito,
nonostante la scissione di Palazzo Barberini avesse sottratto al PSI la maggior parte della componente riformista, ma la sua presenza, seppure ingrossata dalle conseguenze della sconfitta, poteva essere considerata praticamente marginale ai termini del dibattito quale si svolgeva
tra coloro che avevano compiuto un lungo ripensamento,
critico ed anche autocritico, sulla funzione del PSI, sul suo
modo di porsi nella sinistra e di fronte alla dialettica delle
classi nella società italiana, così come era emersa dalle vicende che avevano seguito la fase nuova inaugurata con
la Resistenza. Il dibattito dei primi dieci anni del PSI in
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questo dopoguerra – ed anche oltre – è stato sostanzialmente segnato da questo dato fondamentale e la storia
del PSI è la storia degli sbocchi pratici che a questo dibattito sono seguiti. In questo senso non mi sembra del tutto
privo d’importanza cercare di richiamarsi, in termini meno legati a fatti e circostanze, ad alcune caratteristiche di
fondo del dibattito socialista, e di vederle collocate
nell’ambito particolare delle conseguenze del 18 aprile e
delle questioni presenti al Congresso di Genova.
Abbiamo visto che uno dei nodi di fondo del dibattito all’interno del partito era l’analisi dei rapporti tra il
partito e la classe; e che l’approfondimento intorno a questa analisi ha costituito per lungo tempo un riferimento
essenziale per ogni ricognizione sul ruolo del PSI di allora
e degli anni successivi e sulla sua presenza nella sinistra e
nell’intero campo della lotta politica nazionale ed internazionale. Allora è necessario individuare, anche per i
mesi tormentati che seguirono la deludente esperienza
del Fronte, quel filo logico che collega i fatti, le esperienze
ed il dibattito di quel periodo alla ricerca che nel PSI era
stata avviata in quella direzione, ai tentativi messi in atto,
o soltanto ipotizzati, di creare un partito socialista nuovo,
strumento per la politica di classe, un partito cioè diverso
dai modelli tradizionali dello stesso PSI del periodo prefascista o del PCI, così come, nella accezione togliattiana,
veniva configurandosi particolarmente in quegli anni.
Il PSI inteso come strumento di una “politica di classe” era stata infatti l’impostazione data da Morandi fino
dal 1944, in sottile, ma netta distinzione con un PCI che
svolge piuttosto una “politica per la classe”. Si trattava di
una concezione che aveva un importante retroterra anche
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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in considerazioni di carattere internazionale, dal cui quadro complessivo discendevano sia le motivazioni strategiche, sia il diverso modo di essere dei partiti della sinistra nella realtà italiana.168 Momento culminante di questa
168
Si veda, più indietro, la nota 13. Morandi svolge poi questo concetto
successivamente nello scritto “Idea e azione socialista”, diffuso clandestinamente nel 1944, ora pubblicato in RODOLFO MORANDI: Lotta di
popolo, cit. pag. 76 e sgg.. Premesso che tra proletariato e borghesia non
può instaurarsi una collaborazione di classe, che, sostituendosi alla lotta
risolva gli squilibri sociali, il che è impossibile perché “le classi non si
fondano per nulla sulle disuguaglianze che presenta la natura umana (…
di intelligenza, di iniziativa, di capacità, di temperamento), ma su una
gerarchia che si stabilisce nei rapporti economici di produzione, sicché
tra questi aggregati l’urto di interessi è inevitabile e conseguente
all’esistenza loro”, e che quindi “le classi non possono collaborare dal
momento che esprimono proprio la preminenza degli uni e la soggezione
degli altri”, Morandi rivendica l’ideologia classista come patrimonio
comune di PCI e PSI e degli altri partiti socialisti e comunisti europei
che, appunto, alle posizioni di classe fanno riferimento. I partiti comunisti tuttavia “sono la filiazione diretta della rivoluzione russa […] e rappresentano appunto il tentativo di estendere la rivoluzione al resto
dell’Europa [ispirandosi] agli interessi della rivoluzione russa, della quale sono stati veramente il baluardo esterno”. Trasferendosi perciò la lotta
di classe su un piano internazionale, il programma dei partiti comunisti
può essere riassunto in due punti: “difesa dell’URSS ed estensione del
regime ed ordinamento sovietico ad altri paesi. Il primo punto implica la
subordinazione di ogni altro interesse al sostegno che sotto ogni forma è
da prestare all’Unione Sovietica. Il secondo, fissando un fine alla lotta,
lascia del tutto indeterminate le rivendicazioni immediate, le quali possono considerarsi un graduale accostamento a quel fine solo nel senso
che contribuiscono alla politica sovietica”. Pur considerando che un siffatto giudizio è riferito non al PCI in particolare, ma globalmente ai partiti comunisti europei, tra cui influenza notevole avevano i partiti dei paesi dell’est, al cui interno doveva ancora compiersi il processo di sovietizzazione, il modo particolare di sostenere l’ideologia classista è colto
da Morandi con precisione e rigore di analisi e di giudizio. Vi
s’intravedono anche alcuni riflessi di preoccupazione, nel caso in cui,
come ha osservato Quazza, tale politica (che in Italia si traduceva in una
guida dall’alto attraverso la formazione ed il potenziamento di organizzazioni di massa collaterali, alle quali perciò veniva negata autonomia
sostanziale) “annacquasse irreparabilmente la politica di classe che la
Resistenza avrebbe dovuto condurre nell’Italia liberata, deformandola in
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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concezione critica del rapporto tra PCI e PSI avrebbe dovuto essere la costruzione di un partito nuovo, che fosse il
superamento dei vecchi e che facesse, appunto, della politica di classe il parametro fondamentale per la definizione
dei propri contenuti e della propria strategia; tale aspirazione, abbiamo visto, era comune anche all’impostazione
dello stesso Basso. Ed è probabilmente – sia pur in un
quadro politico mutato, soprattutto a livello internazionale – ispirandosi a questa concezione che Morandi concepisce ogni tappa della politica unitaria, rifiutando ogni
prospettiva di fusione in cui il partito nuovo non emergesse con evidenza, e sostenendo invece, al momento
dell’esasperazione della lotta politica, la necessità del
Fronte, intendendolo presumibilmente come un ambito
nel quale la volontà delle masse superasse il dato dei partiti e l’esigenza dell’unità partisse dal profondo, non come
mera intesa PCI-PSI, ma come determinazione di un nuovo strumento in grado di superarli entrambi.
una politica per la classe che sarebbe inevitabilmente divenuta una politica autoritaria, perché esercitata dal partito sulle masse, dall’alto in basso” [GUIDO QUAZZA: “La politica della Resistenza italiana” in AA,VV.: Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart J. Woolf, Bari 1974, p. 39]. Assolutamente diversa invece la funzione che Morandi,
pur con tutti i limiti individuati nel modo di essere socialista, attribuiva
al Partito Socialista, a cominciare dal metodo democratico, e questo inteso sia come “diretto governo di popolo”, sia come metodo da praticarsi
all’interno stesso del partito. Ma il Partito Socialista, che pur ha adottato
la politica di unità antifascista “con la convinzione di tutelare nel miglior
modo con essa gli interessi della classe proletaria”, è soprattutto un partito di classe, “non perché esso escluda da sé categorie sociali fuor dei salariati e si rifiuti di adeguare la sua politica alla posizione ed agli interessi di larghissimi strati della popolazione che non sono proletari, ma perché una coscienza rivoluzionaria non può essere espressa che dalla classe che più direttamente e senza attenuazioni subisce lo sfruttamento capitalistico”.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Nei mesi che precedono il 18 aprile, durante la preparazione del Fronte, l’impegno, spesso troppo isolato, di
Morandi è questo. Viene avanti, è vero, una contraddizione tra le premesse del proprio discorso e
l’atteggiamento che si avviava a diventare pedissequo nei
confronti del PCI e soprattutto dell’URSS, ma Morandi
parte dalla difficoltà della situazione, dall’attacco padronale e dalla repressione in Italia, dalla dottrina Truman e
dalle manifestazioni dell’imperialismo americano per
pervenire alla individuazione di una reazione spontanea
delle masse che trova i propri strumenti di lotta nella politica della sinistra in campo interno e, in campo internazionale, nell’URSS inteso, più che come paese del socialismo, come baluardo antimperialista, anche in virtù della
fama che la stessa Unione Sovietica si era conquistata nella vittoriosa lotta contro il nazismo.
Il 18 aprile è per Morandi e la sinistra del PSI la conferma che la crisi mondiale si è ulteriormente aggravata,
che conseguenze dirette di questa crisi si riflettono in Italia dove si acuisce lo scontro di classe e, per effetto di
questo, la sinistra subisce una netta sconfitta. Perciò lo
spazio per determinare diversità di funzioni, anche se potenzialmente integrabili, tra PSI e PCI subisce una drastica rivoluzione: non si tratta più di distinguere tra un PCI
solidale ed interprete della politica sovietica ed un PSI attento anche ai più immediati momenti della rivendicazione di classe, ma si tratta invece di "precisare pregiudizialmente la posizione che il partito intende assumere nella lotta intrapresa sul piano mondiale contro il comunismo"169, in cui la risposta già implicita determina prevenLUIGI CACCIATORE - RODOLFO MORANDI: "Ai compagni di
sinistra", cit.
169
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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tivamente il versante scelto e condiziona lo svolgersi del
rapporto unitario a sinistra.
Sintomatico è, a questo proposito, che proprio
nell'intervento al congresso Morandi riprenda, in polemica con Lombardi, quello stesso giudizio sullo svolgimento
della lotta di classe sul piano internazionale, di cui aveva
fatto debito anche al PCI negli anni precedenti e che ora
invece assume come patrimonio della sinistra del PSI e
come proposta di questa a tutto il partito.
Secondo Lombardi - si legge nell'intervento congressuale di Morandi - il Partito socialista
italiano è un partito di governo, nel senso che
vuol prendere la direzione della vita politica
del paese. Tuttavia egli ha mancato di precisare
come la differenza tra la politica da noi svolta e
quella dei partiti socialisti occidentali consista
in ciò, che noi facciamo una politica di classe.
Pertini aveva già chiarito questa differenza, ma
Lombardi è incorso in un'affermazione che
rappresenta una vera deviazione ideologica con
l'assoluta consapevolezza di questa deviazione.
Egli ha detto che come socialista si rifiuta di
ammettere lo sviluppo in quest'epoca della lotta
di classe sul piano internazionale. Ha detto che
questa è una formula specifica dell'ideologia
comunista e che, se egli la condividesse, passerebbe al Partito comunista italiano. La sinistra
sente e conferma questa estensione della lotta di
classe.170
RODOLFO MORANDI: "Intervento al XXVII Congresso", sintesi in
Avanti! del 2 luglio 1948. Tale affermazione consentiva a Lombardi di
replicare: "Evidentemente la lotta di classe dilata anche sul terreno internazionale, poiché essa non si chiude nei confini ristretti di un paese. Però
la lotta di classe non si identifica coi conflitti internazionali; la frontiera
di essa non si identifica con quella che passa tra i paesi occidentali e
quelli orientali. (RICCARDO LOMBARDI: "Intervento nella seduta del
30 giugno al XXVII Congresso", sintesi riportata in Avanti! del 2 luglio
1948)
170
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Questo è dunque lo stacco che c'è nell'atteggiamento
di Morandi nel '48, stacco che è ulteriormente avvertibile
quando si consideri che egli aveva costituito il momento
di ricerca più penetrante per la fissazione di un ruolo per
il PSI nella sinistra e nella politica della classe lavoratrice.
Ma è corretto parlare di contraddizioni e di cambiamenti
di rotta? Credo a questo proposito che potrebbe portarci a
riposte incerte o fuorvianti - come del resto potrebbe essere fuorviante una formulazione della questione solo al fine di rilevare delle contraddittorietà rigidamente posizionate nel tempo - partire da presupposti che in Morandi
non ci sono o, se ci sono, sono solo manifestazioni secondarie, colte singolarmente nel tempo e non storicizzate.
Un limite di questo genere è valutare Morandi, anche
questo Morandi che opera la brusca conversione del '48,
con l'unico metro della ricerca del quanto di politica autonomista esistesse nel suo pensiero e di cui si ricavano
indubbiamente tracce in gran parte dei suoi scritti del
Centro Interno, nella critica a Bauer e successivamente
anche in quelli dell'immediato dopoguerra. Ma da Morandi, da tutto Morandi, emerge, a mio avviso, altro che
non la semplice ricerca della misura di una supposta autonomia, così come nel '45 emergeva altro che non il fusionismo di cui lo si voleva accreditare: emerge l'impegno
personale, teorico, ma anche fortemente perseguito sul
piano della realizzazione pratica, della ricerca socialista
per una politica di classe che superasse le ragioni più esterne del PSI e del PCI, per coglierne quelle intime, quelle
che, determinate dal modi di essere della classe operaia,
avrebbero dovuto dar vita ad una nuova espressione, ad
un nuovo strumento politico unitario della classe.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Allora la domanda può e deve essere riformulata in
altri termini: come si colloca il momento particolare del
'48 nel continuum teorico-politico di Morandi, all'interno
del quale - per dirla con Stefano Merli - "c'è una estrema
rigorosità e omogeneità, pur nella articolazione tattica e
nel realismo politico"?171 E ancora: possiamo ritrovare, anche nel '48, che pure costituisce l'inizio di una nuova fase,
quella che, influenzata dallo stalinismo sul piano internazionale, fece registrare la massima identificazione formale
della politica del PCI con quella del PSI, i caratteri fondamentali della sua ricerca teorica e pratica? Quale fu,
all'interno del pensiero morandiano, lo sviluppo ulteriore
del rapporto tra partito e classe?
La risposta a queste domande deve necessariamente
partire dalla constatazione che le posizioni del '44, che
pure erano l'evidente esplicazione di tutto un lungo movimento di pensiero, erano identificabili in un particolare
momento, in cui il quadro internazionale di scontro non si
era ancora precisato nelle sue implicazioni più gravi. Nel
1948 invece, come già in occasioni precedenti, alla scissione socialdemocratica o alla rottura del tripartito, queste
implicazioni erano molto più evidenti; perciò, senza voler
dare con questo dei giudizi giustificazionismi, occorre rilevare che i margini non formali per trarre, dall'analisi dei
rapporti internazionali, auspici per una politica autonoma
socialista in campo nazionale, come sarà il tentativo di
Lombardi, erano in pratica ristretti, anche se ineccepibili
nella logica. Come ha scritto Gaetano Arfé, per chi, come
Morandi, faceva discendere la propria azione politica da
profonde e non occasionali motivazioni di classe, "una
STEFANO MERLI: "Morandi e della nostra tradizione storica", in Unità proletaria, n. 5 del dicembre 1975, pp. 35 e sgg.
171
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posizione mediana, ipotizzabile in astratto, diventava inattuale nella realtà, [così che] la scelta finiva con l'essere
a questo punto inevitabile, ed a spingere in direzione
frontista contribuiva in maniera prepotente il senso di delusione e di esasperazione delle masse popolari che avevano creato il nuovo stato e ne venivano escluse".172
C'è pertanto da dire che, anche dopo il 18 aprile, a
differenza di altri dirigenti e soprattutto in presenza di
uno stato largamente emozionale, esistente al vertice ed
alla base del partito, quale quello di cui si sono viste le
manifestazioni nelle pagine precedenti, Morandi prese
immediatamente l'iniziativa per superare la crisi e per
superarla sull'unico terreno che egli riconosceva valido
per poter esser percorso dal PSI: quello dell'unità della
classe nella lotta contro l'offensiva conservatrice e moderata in corso nel paese, quanto meno a partire dalla rottura della coalizione tripartita e, di conseguenza, quello della solidarietà a quelle forze che, sul piano internazionale
erano, a torto o a ragione, da considerarsi il naturale punto di riferimento nella battaglia anticapitalistica.
Sulle conseguenze che questa impostazione provocò
in tema di rapporti tra PCI e PSI, coglie parzialmente nel
segno Aldo Agosti, quando afferma che "al Partito comunista Morandi riconobbe presto, con un realismo di cui altri dirigenti socialisti non seppero dar prova, il ruolo egemone che la parte avuta nella lotta clandestina prima e
nella resistenza armata poi e il rapporto con l'URSS gli at-
GAETANO ARFÉ: In memoria di Rodolfo Morandi. Discorso commemorativo al Comitato centrale del PSI del 24 luglio 1965, Roma 1965,
p. 13.
172
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tribuivano nella classe operaia".173 Certo, c'è in Morandi la
consapevolezza che il PCI avesse ragioni più concrete da
far valere nell'affermare la sua preponderante importanza
nella classe operaia italiana, e questa consapevolezza il
dirigente milanese la esprime nel corso delle scelte che egli, volta per volta, adotta, ma occorre anche precisare e
tener ben presente - e questo punto probabilmente Agosti
non considera - che non è mai esistito per Morandi il problema di definire quale fosse la forza egemone del movimento operaio, quando l'egemonia si esprime non attraverso la strategia dei singoli partiti, bensì attraverso i contenuti della politica di classe e dei processi politici messi
in atto per costruirne lo strumento adeguato. E se dopo il
18 aprile "il destino della lotta di classe si gioca sempre
più sul piano internazione [e perciò] scompaiono le ragioni di differenziazione tra il partito socialista come portatore degli interessi più specificamente nazionali della
classe operaia italiana"174, non è men vero che l'accettazione di questa logica rimane per Morandi confinata
nell'ambito di una fase di ripiegamento e difensiva del
movimento operaio internazionale, alla quale avrebbe
dovuto far seguito quella fase di ripresa che la guerra
fredda aveva bruscamente interrotto. Il dato qualitativo
nuovo che c'è in Morandi rispetto al PCI, anche in quegli
anni, è che il mantenimento di strutture distinte tra i due
partiti, anche se svolgono una politica coincidente, è non
solo nel dato formale sottolineato da Morandi, della necessità di "conservare orbite differenziate di influenza",
ma anche in quello sostanziale, citando ancora Merli, "di
un realismo che gradua ogni momento teorico e organizALDO AGOSTI: "Morandi e i comunisti italiani", in AA.VV.: Morandi e la democrazia del socialismo, Venezia 1978, p.57
174
Ib., p. 78
173
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zativo a livello di coscienza, di lotta, di potere delle masse" e da cui si tentava di "impostare una strategia che fosse insieme di preparazione, di creazione di potere, di difesa e di offesa, […] che nella fase difensiva mira a salvare
il momento della preparazione, a costruire le premesse
per lo sbocco rivoluzionario successivo, che non è una sovrapposizione partitica e quindi autoritaria, ma creazione
diretta della masse".175
L'articolo-appello "Ai compagni di sinistra", redatto
assieme a Luigi Cacciatore, è, con ogni probabilità, il
momento in cui Morandi prende piena coscienza dell'apertura della fase di ripiegamento e ne adotta i comportamenti conseguenti, che poi svilupperà, sia nella polemica che ebbe con Lombardi agli inizi del '49 176, sia nell'impostazione data successivamente alla politica del PSI nel
momento in cui la sua influenza fu più determinante, ossia negli anni dal 1949 al 1953. La violenza verbale della
polemica intessuta con Riccardo Lombardi è certamente
inusitata, ma in essa è individuabile un sottofondo che
può essere apprezzato solo tenendo presente il particolare
metro del rigore morandiano ed evitando di ricorrere a
schemi che invece in Morandi sono inesistenti. Così, come
si è visto, la concezione che fa risalire a Morandi le radici
di un certo autonomismo, in quanto dirigente impegnato
in una critica al burocratismo delle strutture del socialiSTEFANO MERLI: "Morandi e della nostra tradizione storica", cit.
Essa si sviluppa attraverso due articoli di Lombardi [RICCARDO
LOMBARDI: "Prospettiva 1949" e "False gravidanze" in Avanti! del 31
dicembre 1948 e del 18 gennaio 1949) e le risposte di Morandi (RODOLFO MORANDI: "Insensibilità di classe" e "La pietra di paragone",
in La Squilla, Bologna del 12 e del 26 gennaio 1949). I quattro articoli
sono ora riportati integralmente nel volume RODOLFO MORANDI: La
politica unitaria, cit. pp 15-27
175
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smo sovietico e propositore di una strategia della transizione poggiante sulle riforme e sulla loro gestione democratica e socialista, rischia di non cogliere nel segno in
quanto dimentica il complesso generale del pensiero morandiano per essere applicata solo in particolari contesti.
In questo senso, per le stesse ragioni per cui non poteva
essere definito fusionista, altrettanto Morandi non poteva
in qualche modo essere considerato portatore di esigenze
in senso autonomistico: la concezione che in lui prevaleva
era, come si è visto, piuttosto quella unitaria rispetto alla
classe, sia pur nel distinguo tra politica di classe e politica
per la classe, concezione diversa che anzi alle altre si contrappone, non presupponendo nei propri obiettivi né divisione organizzativa e strategica della sinistra né, conseguentemente, problemi di egemonia.
Mi sembra invece che in modo nettamente diverso
possa essere individuata la visione di Lombardi, che pure, per sua stessa ammissione 177, aveva assimilato gran
RICCARDO LOMBARDI: “Morandi e i problemi della transizione al
socialismo” in AA.VV.: Morandi e la democrazia del socialismo, cit. pp.
139-144. Lombardi in questa occasione fa mostra di stupirsi
dell’asprezza della polemica che Morandi aveva voluto intessere con lui,
affermando invece che egli aveva solo portato avanti quei temi che
dell’elaborazione morandiana erano caratteristici, quali quelli “nei riguardi dell’Unione Sovietica, dell’antistalinismo, della rivoluzione italiana, dell’improponibilità di riforme imposte dall’alto”. Lombardi in
somma accetta l’ipotesi della separazione netta e per certi versi risolutiva
del Morandi del ‘48/53 con quello precedente, separazione però dovuta
“alla preoccupazione della guerra, dell’assedio, della divisione del mondo che avrebbe portato ad esiti fatali” e quindi di una certa forzatura e
strumentalità in occasione della polemica del ’49. Questa opinione, su
cui personalmente mantengo perplessità per le ragioni già spiegate, è invee quella più accettata. Si veda in proposito Simona Colarizi, che ha
studiato da vicino il pensiero e l’opera di Lombardi, che ritrova in Morandi l’ “irritazione e l’imbarazzo di trovarsi contestato nella polemica
sul frontismo con gli strumenti più genuini e validi della sua stessa ela-
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parte della elaborazione morandiana particolarmente sui
temi della transizione. Essa infatti si presentava con propri caratteri sia sul piano dell'immediatezza, sia su quello
delle generali linee di tendenza che lo stesso cammino
lombardiano presenta con una certa costanza nell'arco di
molti anni.178
Sul piano della contingenza politica l'intento di
Lombardi, specie dopo la defezione di Pertini, fu quello
di mettersi alla guida di quel consistente settore socialista
che fu sollecitato dalla sconfitta subita il 18 aprile verso
diverse direzioni, tutte comunque riconducibili alla necessità del recupero di un’iniziativa politica autonoma da
parte del PSI nella sinistra, con ipotesi di movimento più
generale nel più vasto ambito dei settori della sinistra
moderata in quel momento occupati dalla presenza preponderante del saragattiano PSLI. Che il recupero dovesse avvenire salvaguardando a sinistra un quadro corretto
per quanto riguarda i rapporti col PCI e, a destra, mantenendo una precisa discriminante nei confronti di coloro
che portavano il movimento socialista a cedimenti troppo
vistosi sul piano della collaborazione di classe, tale era
indubbiamente la preoccupazione di uomini come Lombardi che erano il nucleo dirigente della mozione di Riscossa. Che tuttavia le forme di una siffatta impostazione
prendessero, agli occhi rigorosi di esponenti come Morandi, i caratteri di ambiguità che, sotto questa veste ap-
borazione”. (SIMONA COLARIZI: “Introduzione” a Riccardo Lombardi: scritti politici. 1945-1963, Venezia 1978, p. 19)
178
Su questo punto in particolare si vede, oltre il saggio della Colarizi di
cui alla nota precedente, a nche quello particolarmente riferito a quegli
anni di EMANUELE TORTORETO: La politica di Riccardo Lombardi
dal 1944 al 1949, Genova 1972.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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punto, furono rilevati e criticati, è comunque cosa perfettamente conseguente.
Significativo è, a questo proposito, l’articolo che lo
stesso Lombardi scrisse per l’Avanti! a conclusione del
Congresso, nel quale l’esponente ex azionista tracciava le
linee della politica che il nuovo gruppo dirigente socialista si accingeva ad intraprendere.179 In esso, infatti, non si
ribadiva soltanto la necessità di mantenere legami unitari
col PCI per fare una politica di fronte in luogo della politica
del fronte, ma si poneva contemporaneamente la sinistra
socialista ed il PCI di fronte a precisi interrogativi: di questi il più significativo in senso politico ed il più urgente da
definire in termini ristretti era se fosse corretto persistere
nella identificazione della “politica di un partito socialista
con la politica dell’Unione Sovietica”, ossia di stabilire se
“il Partito socialista italiano (e non questo o quell’altro
partito socialista), oggi (e non ieri o domani) debba seguire, come criterio di azione politica, l’assecondamento delle esigenze della politica estera dell’Unione Sovietica, identificando la lotta di classe con la lotta fra Unione Sovietica e stati capitalistici”.
Certo, come si è visto, la visione di Lombardi era
condizionata dalla necessità di dare caratteri più politici
ad un centro che nel partito esisteva. Esso derivava in
gran parte dalle condizioni in cui si era formata la nuova
struttura socialista del dopoguerra, dal carattere composito delle esperienze politico-culturali che avevano concorso a questa formazione; come aveva probabilmente alcune radici anche nello stesso tipo di reclutamento e seleRICCARDO LOMBARDI: “Bilancio del Congresso”, in Avanti! del 4
luglio 1948
179
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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zione, soprattutto per quanto riguardava i quadri dirigenti intermedi, la cui origine, generalmente piccoloborghese e derivante dagli strati del ceto medio, giocava
un ruolo che difficilmente poteva essere assimilabile
all’azione della sinistra, ma che aveva invece forte disponibilità ad un richiamo potenzialmente integralista quale
quello che la mozione di Riscossa rappresentava in quei
mesi tormentati. Del resto è sempre possibile constatare
come, in determinati momenti cruciali della storia del PSI
nel corso della sua vicenda, si siano prodotte esperienze
che hanno rivelato un centro del PSI come posizione
sempre possibile, soprattutto in concomitanza di uno stato di difficoltà delle componenti estreme.
Ma Lombardi non poteva limitarsi a gestire un centro incerto e non caratterizzato. Per le condizioni particolari del momento politico, esso era destinato a non presentare occasioni favorevoli alla propria sopravvivenza
per lo meno in medio periodo: infatti le ragioni delle altre
componenti erano forti e, se Romita non poté trovare
all’esterno gli interlocutori che gli consentissero di rilanciare con forza la presenza autonomista nel PSI (il che fu
tra le cause determinanti del progressivo inaridimento
della sua posizione) lo stato di tensione internazionale riproponeva condizioni favorevoli ad una ripresa della sinistra, che su questo poté giocare tutte le sue carte. Per
questo la posizione di Lombardi doveva necessariamente
legarsi a concezioni meno transitorie che non il senso di
frustrazione dopo la sconfitta ed a rivolgersi anche a particolari argomenti che dalla stessa tradizione socialista
traevano analisi e proposte, sulle quali si faceva conto per
una forte mobilitazione.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Esse tuttavia non riuscirono ad esserlo per un doppio motivo di debolezza: da una parte pesò anche per Riscossa una certa mancanza di interlocutori nella sinistra
democratica e socialista, nel cui ambito, anche da parte
degli esponenti più avanzati, si riproducevano chiusure a
sinistra in senso decisamente anticomunista180; dall’altra
giocò l’ulteriore evoluzione della situazione in politica interna e per il governo di cui erano compartecipi gli esponenti maggiori di Unità Socialista e poi del PSLI. Peraltro
sul piano internazionale le scelte governative presupponevano l’aggancio, attraverso il Patto Atlantico, alla
leadership americana. Resta perciò il dubbio che la posizione lombardiana finisse per fare astrazione da troppe
delle condizioni oggettive che pesavano sul momento politico e che, di conseguenza, nella sua elaborazione e proposta politica si peccasse un po’ di un certo intellettualismo e di mantenimento di quei “residui elitari” che invece Merli dà ormai per scomparsi nel pensiero morandiano.181
Il problema conseguente è perciò quello di valutare
se si possa parlare di intellettualismo in una posizione
che, come quella di Lombardi, rifiutava gli schemi troppo
semplificativi della guerra fredda e negava che la politica
di classe in Italia potesse aderire ad una rigida scelta di
campo sul terreno internazionale, il che rappresentava,
certo, una scelta immanente e pratica, ma al tempo stesso
poteva portare a conclusioni inaccettabili in una logica
Si vedano particolarmente, dopo il Congresso, gli articoli di ALDO
GAROSCI: “Contraddizione non solo formale” e di PAOLO VITTORELLI: “Pregiudiziale”, “Un partito socialista con una politica socialista”, “Unità operaia e unità socialista”, in L’Italia socialista del 6, 9, 11 e
14 luglio 1948.
181
Cfr. ancora STEFANO MERLI: “Morandi e della nostra tradizione
storica”, cit.
180
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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che intendeva recuperare per il PSI precise funzioni: alla
conseguenza cioè di creare un partito leninista di seconda
categoria, ultimo baluardo contro le suggestioni del riformismo romitiano e saragattiano e persino dello stesso
neutralismo lombardiano, all’errore, come ha affermato
Franco Fortini, “di credere che si potesse essere due partiti senza dire perché”182, alla necessità di dover cancellare,
sia pur temporaneamente, le motivazioni più profonde
dell’esistenza di un partito socialista caratterizzato da una
politica di sinistra non comunista e non socialdemocratica. Si è visto in quale ambito politico e culturale Morandi
collocasse le proprie scelte; quelle di Lombardi, invece,
anch’esse comunque caratterizzate da una forte esigenza
di rapporti unitari a sinistra, sono scelte antitetiche, sono
l’altro modo di intendere una politica di sinistra necessariamente collegata al PCI, ma altrettanto necessariamente
non costretta ad assumere in tutto e per tutto la rappresentanza degli interessi del PCI in un particolare settore
dell’elettorato. In questo senso non si può non rilevare
come la visione di Lombardi si muovesse in un’ottica del
tutto diversa da quella morandiana, dovendosi assegnare
al PSI ed al PCI compiti distinti, anche se non contrapposti, e che quindi aveva come presupposto - anche culturale oltre che politico – il mantenimento dell’autonomia e
della peculiarità socialista. La polemica MorandiLombardi, perciò, discende direttamente da questo diverso intendere la funzione del PSI e quella complessiva
della sinistra: si può certo rilevare l’inusitatezza della violenza verbale, ma non è possibile fare a meno di valutarla
per quelli che erano i termini politici realmente esistenti
FRANCO FORTINI: Dieci inverni. 1947-1957. Contributi ad un discorso socialista. Bari 1973, p. 293
182
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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nelle condizioni del paese, della sinistra e del dibattito socialista.
L’esistenza di queste condizioni proprio all’interno
del dibattito socialista attenua in molta misura le componenti intellettualistiche della visione lombardiana. In questo senso può essere utile rilevare che il Lombardi del ’48
non ha ancora l’occasione di esprimersi come il lucido,
ma anche distaccato, argomentatore degli anni successivi,
quelli del centro sinistra e della crisi del centro sinistra;
egli in quel periodo, per derivare la propria origine dal
Partito d’azione e per avere quindi una milizia socialista
di partito molto recente, puntava invece a definire un
proprio ruolo ed una propria influenza nel PSI, nel quale
aveva individuato con chiarezza alcuni tratti fondamentali ed un settore – più che una corrente od una componente – che potenzialmente si rendeva disponibile ad una ricerca sulle motivazioni più profonde della realtà socialista nella società italiana, ma altrettanto rischiava di determinarsi anche verso sbocchi più deteriori, come conseguenza del fatto che – cito ancora Fortini – esso manteneva “come nostalgia o alibi la propria tradizione precedente alla scissione di Livorno, […] conservando come in letargo e disponibile un animo socialdemocratico, vera e
propria uscita di sicurezza”.183
Fare i conti con questa realtà e dargli un carattere di
positivo superamento dei limiti negativi, verso la costruzione di una politica e di un partito che puntassero ad
una riqualificazione socialista ed al varo di una nuova linea egemonica del PSI nella sinistra, era da considerarsi
quindi un’esigenza non del tutto intellettualistica e che,
anzi, teneva conto di una precisa situazione in campo so183
Ib.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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cialista, situazione che Morandi riuscirà per qualche tempo a tenere in disparte negli anni della sua preponderante
influenza sul partito, ma che riemergerà in maniera decisa nel corso della svolta del ’56. Ma da quel momento ci
sarà, sulla strada di Lombardi, l’iniziativa politica di Pietro Nenni.
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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INDICE DEI NOMI
Adinolfi Pietro, 179n,
Agosti Aldo. 15n, 19n, 189,
190 e n.,
Amadei Leonetto, 76n
Amaduzzi Ruggero, 76n,
131n,
Amendola Giorgio. 8n, 23,
32n, 33n, 139n,
Andreis Enzo, 75n
Andreoni Carlo, 5n,
Arfé Gaetano, 11 e n., 13 e n,
16n, 29n, 188, 189n,
Blum Léon, 29n
Bonfantini Corrado. 5n,
Borghese Gianguido, 76n,
179n,
Bottai Amerigo, 63
Briganti Walter, 131n,
Cacciatore Luigi, 64, 66, 67,
71, 81, 83, 122 e n., 123 e n.,
125, 126, 128, 129, 131, 133n,
135, 138, 139, 156, 185, 191
Calogero Guido, 99, 100n,
106, 107 e n., 109, 110, 111, 134
e n., 141n, 142, 178n,
Caporaso Elena, 122n,
Caporaso Mario, 76n
Cardona Giacinto, 122n, 131 e
n., 132n,
Carli-Ballola Renato, 179n,
Casadei Giuseppe, 122n, 139,
Cattani Venerio, 131n,
Cavalli Libero, 131n,
Cavour Camillo, 43
Cazzola Franco, 5n
Cerabona Francesco, 76n
Churchill Winston, 25
Cianca Alberto, 76n
Cippico Edoardo, 49
Colarizi Simona, 192n, 193n,
Colorni Eugenio, 8n
Corona Achille. 5n. 122n,
Covatta Luigi, 30n
Crescenzi Carlo, 131n,
Curiel Eugenio. 8 e n, 9n
Badini Carlo, 131n,
Baldacci Gaetano, 151n,
Ballotta, 76n
Barbano, 179n,
Basso Lelio. 5n, 8, 9n, 10 e n.,
12, 13n, 14, 17, 19, 21, 24 e n.,
34, 35 e n., 36, 37, 38, 39, 45 e
n., 47 e n., 48, 49n, 51, 52 e n.,
53 e n., 57, 58, 64, 69, 70 e n.,
72, 77, 81, 87, 90, 91e n., 92, 93
e n., 94 e n., 95, 97, 99, 103,
113n, 114, 120, 122, 123, 127,
128, 138, 139, 144, 151, 152n,
155, 156 e n., 157, 158, 160,
161, 162, 163, 164, 165, 167 e
n., 168, 169, 172, 174, 175,
179n, 180n, 184,
Bauer Otto, 187
Bellanca Ugo, 179n,
Benzoni Alberto, 12n, 129n,
Berlinguer Mario, 122n,
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
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Curti Ivano, 76n
Gambino Antonio, 22 e n., 23,
31 e n., 36n
Garavini Sergio, 131n,
Garosci Aldo, 55n, 111, 196n,
Gennari Egidio, 9n
Ghislandi Guglielmo, 75n
Giannini Massimo Severo,
122n, 131n,
Giolitti Giovanni, 43
Giua Renzo, 63, 69n, 72
Granzotto Giorgio, 131n,
Grazia Giorgio, 122n,
Greppi Antonio, 5n
Grisolia Domenico, 122n,
139,
De Gasperi Alcide, 16n, 22,
30n, 32n, 33n, 40, 43, 52, 53,
85, 143, 159,
De Martino Francesco, 76n
De Michelis, 75n
De Rosa Gabriele, 27n, 28n,
88n,
Dimitrov Gheorghj, 103
Di Pol Bruno, 131n,
Di Primio Raffaele, 131n,
Donini Ambrogio, 8n
Dugoni Eugenio, 179n,
Fabbricotti Andrea, 113n,
179n,
Faenza Roberto, 30n
Faravelli Giuseppe, 5n, 13,
15, 16, 21
Fedele Santi, 36n, 74n,
Feltrinelli Giangiacomo, 8n,
Fenoaltea Giorgio, 131n,
Ferrara Marcella, 41n
Ferrara Maurizio, 41n
Fini Marco, 30n
Fiorentino Giosuè, 76n, 179n,
Foa Vittorio, 80, 97, 113 e n.,
115, 179n,
Forcella Enzo, 87e n., 90n, 151,
152n, 171n, 172n, 174n, 178n,
Fortini Franco, 197 e n., 198
Frattarelli Emilio, 148n,
Furno Carlo, 143n,
Ingrao Pietro, 33n, 36n, 37n
Jacometti Alberto, 60n, 61 e
n., 63, 69n, 72, 113 e n., 153,
154n, 155, 179 e n., 180 e n.
Landolfi Antonio, 11n
Livigni Mario, 131 n,
Lizzadri Libero, 131n,
Lizzadri Oreste, 14, 17, 21, 36,
69n, 70 e n., 100, 123 e n., 127,
138 e n., 139, 140n,
Lombardi Foscolo, 61n, 63,
68, 70, 75 e n., 76n, 78, 122n,
128n, 154, 155n,
Lombardi Riccardo, 37, 38n,
58, 61 e n., 62n, 63, 64, 74n,
76n, 77, 80, 97, 113 e n., 115,
117 e n., 118n, 121, 129, 130,
145, 152n, 155, 165, 168, 172 e
n., 173, 174, 175n, 176, 177,
Gaeta, 139
Gallo Mario, 75n
- 201 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
__________________________________________________________________________________
Merli Stefano, 8n, 188 e n., 90,
191n, 196 e n.,
Milillo Vincenzo, 131n,
Modigliani Giuseppe, 5n
Molé Elisa, 76n
Molotov Vjaceslav, 27, 28n,
47, 48n
Montalenti Giorgio, 131n,
Morandi Rodolfo, 5n, 8, 10,
12, 14, 15 e n, 17, 18, 19 e n, 20,
21, 23, 34, 37, 64, 65 e n., 66,
67, 68, 77, 78n, 81, 83, 91n, 120,
122 e n., 123 e n., 124 e n., 125,
126, 128, 129 e n., 130, 131 e n.,
132n, 133n, 135, 138, 139, 147,
156, 178n, 181, 182, 183n, 184,
185 e n, 186 e n., 187, 188 e n.,
189 e n., 190 e n., 191 e n., 192 e
n., 193, 196n, 197, 199.
Moretti Paolo, 16n
178, 179n, 180, 181, 186 e n.,
188, 191 e n., 192 e n., 193 e n.,
194 e n., 195, 196, 197, 198,
199.
Lombroso Cesare, 113n, 178n,
179n,
Longo Luigi, 12n, 75
Longo Rosetta, 122n,
Lufino, 76n
Lupis Giuseppe, 179n,
Luzzatto Lucio, 5n, 64 e n., 74,
76n, 122n,
Luxemburg Rosa, 97
Malagugini Alcide, 5n
Manacorda Gastone, 13n
Mancinelli Carmine, 122n,
139 e n.,
Mancini Giacomo, 122n,
131n,
Mancini Pietro, 122n,
Mangione Romolo, 76n
Manno Nicola, 179n,
Marshall George, 41, 48
Marshall [Piano], 26, 27n, 29,
41, 43, 47, 55, 58, 62, 68, 80, 81,
84, 85, 109, 118, 119, 144, 171,
Marx Karl, 166,
Masaryk Ian, 49
Mastracchi Elio, 140n,
Matera Anna, 76n
Matteo Lombardo Ivan, 21,
54, 55n, 60n, 100n, 105,
Matteotti Giancarlo, 159,
179n, 180,
Matteotti Matteo, 14
Mazzali Guido, 59n, 72, 73
Nardi Vincenzo, 76n
Negro Silvio, 44n, 150n, 151 e
n.,
Nenni Giuliana, 122n,
Nenni Pietro, 5n, 13, 15, 17,
18 e n, 10, 20, 21, 24n, 25 e n,
28 e n., 34, 36, 37, 39, 47n, 51 e
n., 63, 81, 82 e n., 83, 84 e n.,
85, 86 e n., 87e n., 88, 89 e n.,
90, 97, 99, 120, 121, 138, 139,
144, 145 e n., 147, 150, 151,
152n, 153, 154, 155, 162, 170,
172 2 e n., 179n, 199.
Nitti Fausto, 179n,
Novella Agostino, 75
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Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
__________________________________________________________________________________
Palumbo Gennaro, 122n
Palleschi Roberto, 131n,
Panzieri Raniero, 122n, 131 e
n., 132n,
Parri Ferruccio, 16n, 22, 32n
Passigli Marisa, 131n,
Pedone Franco, 20n, 131n,
Pera Giuseppe, 59n, 123n,
151n,
Perrotti Nicola, 113n, 179n,
Pertini Sandro, 5n, 21, 37, 99,
113 e n., 135 e n, 144n, 145,
147, 148 e n., 149 e n., 150, 151
e n., 152 e n., 153 3 n., 154 e n.,
155, 162, 170, 171 e n., 172 e n.,
178 e n, 179n, 193,
Petriccione Sandro, 131n,
Pieraccini Giovanni, 38, 57,
113 e n., 135 e n., 145, 146 e n.,
149 e n., 172, 173 e n., 174n,
178n, 179n,
Pietranera Giulio, 131n,
Pinzauti Attilio, 143n,
Pirazzi, 75n
Piscitelli Enzo, 16n, 32n
Platone Felice, 40n
Polli Carlo, 131n,
61, 63, 64, 77, 92, 100 e n., 101,
102, 103, 104, 105, 110, 111,
115, 119, 121, 126, 141n, 142,
143, 144n, 150, 154, 172n, 178 e
n., 181, 195,
Roosevelt Franklyn, 25
Rossanda Rossana, 91 e n., 97,
98n,
Sacconi, 139,
Salvadori Massimo L., 86,
87n
Sansone Luigi Renato, 122n,
Santarelli Enzo, 8n
Santi Fernando, 72n, 113 e n.,
178n, 179n,
Saragat Giuseppe, 5n, 13, 15,
16, 21, 22, 29, 41, 52, 53, 85,
105
Savoldi Luigi, 131n,
Scarrone Giulio, 131n,
Schiavetti, 76r
Scoccimarro Mauro, 75
Scoppola Piero, 30n, 33n
Scricciolo Loris, 143n,
Secchia Pietro, 75
Silone Ignazio, 5n, 21
Solari Leo, 76n
Spinelli Carlo, 100n
Spinosa Antonio, 135n, 138n,
144n,
Stalin Josip, 25, 26
Quazza Guido, 14 e n., 19 e n.,
31 e n., 183n, 184n,
Ramat Raffaello, 143n,
Ravà, 76n
Rienzi Emanuele, 131n, 132n,
Rocco Emmanuele, 153n,
Romita Giuseppe, 39, 48n, 53,
54, 55, 56 e n., 57, 58, 59, 60,
Tamburrano Giuseppe, 18n,
Tedesco Viva, 129n,
Togliatti Palmiro, 24, 27n, 32
e n., 33n, 36n, 51, 75 e n., 76n,
- 203 -
Silla Cellino: Il PSI dopo il 18 aprile
__________________________________________________________________________________
78 e n., 114n, 115n, 133n, 134n,
135n,
Tolloy Giusto, 36, 69n, 139,
Tonetti Giovanni, 75n
Torrigiani Guido, 143n,
Tortora, 76n
Tortoreto Emanuele, 193n,
Truman Harry, 25, 26, 171,
Truman [dottrina], 25, 26, 29,
58, 185,
Turoldo Davide Maria, 45,
46n
Valiani Leo, 25, 26 e n.,
Valori Dario, 131n,
Vassalli Giuliano, 5n, 14
Vecchietti Tullio, 5n, 122n,
Venturini Aldo, 131n,
Vittorelli Paolo, 55n, 111,
196n.
Woolf Stuart J., 184n,
Zagari Mario, 5n, 14
Zappelli, 75n,
- 204 -
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1948 Frontismo e autonomia Il PSI dopo il 18 aprile