L’INTERVENTO DEL COMANDANTE D’AMICO
NEL 1864 PER LA NASCITA DELLA BASE NAVALE
DI BRINDISI
CIRO PAOLETTI
L’Unità d’Italia portò, fra le altre necessità, quella di un’adeguata difesa marittima del nuovo Regno, il cui studio fu affidato dal Governo a un’apposita
sottocommissione. I lavori andarono avanti non proprio celermente, ma
presero in considerazione molti aspetti, non ultimo quello delle basi necessarie, fra cui Brindisi, per lo sviluppo della quale, il 23 luglio 1863, la Camera dei Deputati votò uno stanziamento di sei milioni di lire.
La cifra era enorme.
L’Italia del tempo, ancora priva del Triveneto, aveva 11 100 km di coste,
4000 dei quali insulari, e più o meno tutti esposti alle minacce dal mare,
minacce non tanto lontane, visto che dall’altro lato dell’Adriatico c’era la
tradizionale nemica, l’Austria, mentre sul Tirreno si affacciava, dalla Corsica
e dal territorio metropolitano, la non amicissima Francia.
Per contro quasi tutte le città maggiori del Regno erano sul mare, dalla
più grande, Napoli, ad altre non piccole, come Palermo, Cagliari, Livorno,
Genova, Bari, Siracusa, Savona e Ancona.
Per quanto riguardava il Tirreno, la preoccupazione c’era, sì, ma non era
eccessiva. Benché tesi fin dalla Questione Romana, i rapporti con la Francia
erano abbastanza buoni, e non c’erano minacce in vista. Ma il discorso
cambiava del tutto in Adriatico. L’Austria era lì, la sua flotta era a Pola e poteva muoversi lungo il litorale dalmata coperta dalle centinaia di isolette antistanti. Inoltre, se con la Francia il contenzioso era indiretto, perché verteva
su Roma e non su rivendicazioni territoriali, coll’Austria si sapeva che prima
o poi si sarebbe andati allo scontro per Venezia, Trento e Trieste. Dunque
l’Adriatico era un teatro a cui dare la massima attenzione, e in Adriatico
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
tutto quello che si aveva era Ancona, buona base, ma con parecchi svantaggi
acuiti da alcune novità.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento, tutte le Marine avevano dovuto rivedere i loro piani alla luce di due elementi: l’accresciuto uso del vapore, e
l’introduzione delle corazze. La Regia Marina non era restata indietro. Proprio nel 1863 il comandante Simone Pacoret de Saint Bon, informato dell’intenzione del Ministero di rinnovare la linea con navi di legno, aveva lanciato un efficacissimo grido d’allarme con un libretto in cui chiedeva che se
ne facessero invece di ferro.(1) Avrebbe ricordato, undici anni dopo, ormai
da Ministro della Marina, parlando alla Camera: “Signori, nel 1860 la marina ha subita una grandissima trasformazione. In quel tempo apparve la corazza, ed il bastimento di legno ad elica non corazzato scomparve dalla scena di
mare. Due anni dopo la prima apparizione della corazza fu pubblicato un
opuscolo il quale portava sul frontespizio: con approvazione del ministro della
marina. Era una specie di programma, nel quale il ministro della marina annunziava la sua deliberazione di fabbricare immediatamente dodici vascelli di
linea. In quel tempo io mi trovava a Napoli, ed appena visto quest’opuscolo, che
mi manifestava un grandissimo pericolo per la marina, mi affrettai a mandare
un grido di allarme, e stampai un altro opuscolo nel quale cantai l’elogio funebre del vascello di linea, che dichiarava apertamente e solennemente morto per
sempre. Quel mio opuscolo non fu accolto da tutti i miei compagni, come forse
avrebbe dovuto esserlo; ma intanto vascelli di linea non se ne sono più fatti né
da noi né da altri. … Nel 1860 … la corazza ha resi impossibili tutti i bastimenti che esistevano prima”.(2)
Quanto al vapore, aveva dimostrato cosa permettesse di fare già col trasbordo di 79 000 francesi da Tolone e Marsiglia a Genova nella primavera
del 1859. Ad esso erano seguiti quello del V Corpo francese da Genova a
Livorno e, l’anno successivo, quello delle truppe italiane dall’Adriatico a
Napoli. Tutti erano stati veloci e tutti avevano avuto un effetto determinante sullo sviluppo delle operazioni. Senza andare a verificare quanto stava
succedendo in quel momento sulle coste americane insanguinate dalla guerra civile, gli esempi di casa bastavano e avanzavano, specie perché svoltisi in
(1) S. Pacoret de Saint-Bon, Pensieri sulla marineria militare, Napoli, Stabilimento
tipografico dei classici italiani, 1863.
(2) S. Pacoret de Saint-Bon, Discorso pronunziato alla Camera dei Deputati nella
tornata del 6 dicembre 1873, rip. su Rivista Marittima, anno VII, fascicolo I, gennaio
1874, Roma, Cotta & Co., 1874, p. 24-29.
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luoghi che, in caso di conflitto, sarebbero stati teatro d’azione.
Insomma, col vapore decine di migliaia di nemici potevano arrivare in
qualsiasi punto della costa, sbarcarvi prima che la difesa se ne accorgesse e
restarci con ampie possibilità d’essere riforniti dal mare, sempre grazie al vapore. Per contro, se i trasporti si muovevano in fretta, le navi da guerra,
sempre più corazzate, almeno in quel momento risentivano di una certa
perdita di qualità nautiche. Si era ancora ai primi passi e si facevano navi in
un certo senso sperimentali, il cui disegno necessitava di notevoli migliorie.
La sommersione dell’Affondatore l’avrebbe provato di lì a meno di tre anni,
ma ai capitani esperti i difetti di navigazione e tenuta già erano apparsi
chiari. Insomma: le navi corazzate a vapore, assai più di quelle a vela, o miste a scafo di legno, avevano bisogno di porti con acque tranquille, ferme,
cioè di porti chiusi.
Stando in quei porti potevano aspettare l’avvistamento della minaccia
nemica da parte di avvisi, esploratori e del sistema guardacoste coi fari litoranei, per poi intervenire a colpo sicuro.
Ora il problema in Adriatico era proprio lì: Ancona, per buona che fosse, aveva molti svantaggi, soprattutto quello d’essere 330 miglia a nord rispetto a Santa Maria di Leuca. In caso d’incursione, una squadra da Ancona
avrebbe avuto bisogno di 20 ore di moto prima di arrivarci: troppo. In venti
ore poteva succedere di tutto. Rilevava il capitano di vascello D’Amico(3) nel
(3) Eduardo D’Amico, nato a Napoli il 18 ottobre 1829, ufficiale della Marina
Reale, capitano di fregata nel maggio del 1860, in qualità di secondo della fregata napoletana La Partenope, recuperò il Lombardo a Marsala, inabilitandone le macchine. Aderì
al Regno d’Italia e fu ammesso nei ranghi della Regia Marina col grado di capitano di
vascello di 1ª classe e anzianità 18 ottobre 1860 (10° e ultimo in graduatoria). Dal 24
novembre 1860 ebbe il comando del Garibaldi – ex vascello napoletano Borbone – nel
corso delle operazioni per l’assedio di Gaeta e ne lasciò il comando il 1° maggio 1861.
Nel 1866 fu capo di stato maggiore della 1ª Squadra a Lissa. Candidato all’elezione suppletiva del 1863 per l’VIII legislatura a Brindisi, non fu eletto. Seguì i lavori della sottocommissione parlamentare per la Difesa marittima del Regno nel 1863 e, nel 1868, della commissione parlamentare per il progetto di legge per la maggior spesa per l’aumento
del servizio postale marittimo. Militò nel centro alla Camera nelle legislature IX (186567), X (1867-1870), XI (1870-1874) e XIII (1876-1880) per i collegi di Castellammare
di Stabia, Ancona e Sorrento. Ufficiale dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia, fu elevato a commendatore e nominato direttore generale dei servizi del Ministero
della Marina. Sedé nel consiglio d’amministrazione di parecchie società, fra cui la Compagnia d’assicurazione La Nazione, fino alla sua cessione nel 1877, le Ferrovie Romane
e, dal 1879, la Société anonyme du chemin de fer funiculaire du Vesuve. Fu anche presi-
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febbraio 1864 che su quelle 330 miglia di costa a sud di Ancona “dal littorale dalmato 50 piroscafi, con silenzio riuniti in uno di quei magnifici e fortificati porti, possono in breve ora portare 25 mila combattenti”.(4)
Se poi, per ipotesi, la flotta nemica fosse uscita dall’Adriatico per andare
verso la Sicilia o verso Napoli per bombardarla, come avrebbe potuto fermarla la squadra basata ad Ancona? E, peggio, se per ipotesi due squadre si
fossero fatte avanti, una da Pola e l’altra da Spalato, o da Sebenico, quella
italiana in Ancona come sarebbe sfuggita all’accerchiamento?
E, sottolineava D’Amico, Ancona poteva andar bene per accogliere una
squadra pronta a uscire per attaccare, o di ritorno da una vittoria, ma non
una squadra che dovesse riparare i danni di una sconfitta. Questa avrebbe
avuto bisogno di un porto sicuro, protetto, chiuso; dunque con tutte le caratteristiche di cui Ancona era priva. Insomma: la squadra, la flotta, avevano bisogno di un porto tanto a sud da chiudere l’Adriatico, tanto protetto
dalla natura da essere al riparo da un attacco nemico e tanto ampio da poter
accogliere una grossa quantità di navi. C’era? Per quello ce n’erano addirittura due: Manfredonia e Brindisi. Manfredonia aveva però un difetto: era
ancora troppo a nord per impedire a un’incursione nemica di chiudere l’Adriatico o di raggiungere Santa Maria di Leuca. A questo andava aggiunto
un altro problema, che sarebbe scomparso col tempo, ma che allora era fondamentale: la necessità di muovere per mare i rinforzi per le truppe di terra.
Nel 1866 la questione non si sarebbe posta, perché l’Italia avrebbe preso l’iniziativa – anche se male – di fronte a un’Austria costretta alla difensiva per
colpa della distrazione di forze da fare in Boemia contro i Prussiani. In realtà, in caso di guerra in Adriatico e sul litorale, la costa orientale dell’Italia
meridionale sarebbe stata difficilissima da rifornire, perché l’amministrazione napoletana, cessata nel 1860, aveva curato pochissimo le strade e non
aveva costruito alcuna ferrovia transappenninica, prevedendo di spostare, all’occorrenza, le truppe appunto per mare. Ma quanto era andato bene al
Regno di Napoli, amico dell’Austria, non lo andava a quello d’Italia, per
cui, in attesa di costruire le ferrovie e le strade necessarie, esisteva una ragiodente della società d’industrie marittime La Tirrena negli anni intorno al 1878. Pubblicò il libro Nozioni della manovra delle navi a vela, Napoli, G. Fabricatore, 1862. Un brevissimo profilo biografico con molti meno dati di questo si trova in A. Malatesta, Enciclopedia biografica bibliografica italiana. Ministri deputati senatori dal 1848 al 1922, Roma, Istituto editoriale italiano Bernardo Carlo Tosi, 1941, vol. I, p. 313.
(4) E. D’Amico, “La difesa nazionale ed il porto di Brindisi”, Almanacco militare
della Marina Italiana per l’anno 1864, Torino, Cotta e Capellino, 1864, p. CIII.
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ne in più per proteggersi in Adriatico.
Manfredonia era considerata la chiave dell’Abruzzo – anzi, degli Abruzzi, perché allora includevano anche il Molise – e della Puglia, per cui, in caso di guerra, era prevista la costituzione di un campo trincerato alle falde
del Gargano e l’invio d’una squadra navale a custodire il Golfo di Manfredonia e il canale delle Tremiti. Però Manfredonia era anche troppo aperta –
e nel 1915 lo si sarebbe visto proprio all’inizio della guerra, quando gli Austriaci l’avrebbero bombardata senza difficoltà – e dunque serviva qualche
altra cosa. Ora, l’unica altra base possibile, l’unico “Porto d’armata”, era
Brindisi.
Si obiettava che non valeva granché, e i fatti sembravano confermarlo.
Il porto di Brindisi – teatro di due grandiose operazioni ai tempi delle
Guerre Civili, una di Cesare contro Pompeo nel 49 a.C., l’altra di Antonio
contro i partigiani di Ottaviano nel 40 a. C. – era decaduto con le invasioni
barbariche e si era progressivamente interrato. Nel Medioevo la città aveva
subito una mezza dozzina di grandi assedi e il porto non ci aveva guadagnato. Nel XIII secolo Federico II di Svevia aveva innalzato il Castello Svevo,
poi detto “Forte di Terra”, completato nel 1227; Carlo d’Angiò aveva fatto
erigere le fortificazioni sulla costa.
Stampa cinquecentesca dell’assedio di Brindisi nel 49 a.C. da parte di Cesare.
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
Il Castello Aragonese di Brindisi
in una foto degli anni Sessanta.
Il re Alfonso d’Aragona
aveva cominciato a costruire
il Castello a mare sull’isolotto di Sant’Andrea nel 1445,
e i lavori, ultimati nel 1481,
erano stati ripresi dall’imperatore Carlo V, che aveva
ammodernato pure il Castello Svevo.
Nel 1647, al tempo delle
insurrezioni legate a quella
di Masaniello, nel canale fra
il porto interno e quello
esterno erano stati affondati
barconi carichi di pietre per impedire il passaggio alle navi spagnole; e la comunicazione era restata interrotta fino all’ultimo quarto del Settecento,
quando, sotto Ferdinando IV di Borbone, nel 1776 erano cominciati i primi lavori di riattamento diretti dal tenente colonnello del Genio Andrea Pigonati,(5) nonostante i quali e fino alla caduta del Regno delle Due Sicilie,
(5) Andrea Pigonati nacque a Siracusa nel 1734, si arruolò nell’Esercito Reale Napoletano e fu assegnato al Genio, in cui raggiunse il grado di tenente colonnello. All’età
di 25 anni fu inviato a Ustica alle dipendenze dell’ingegnere militare Giuseppe Valenzuola per studiare il ripopolamento dell’isola. Negli anni seguenti si interessò alle antichità classiche della Sicilia e nel 1767 pubblicò a Napoli lo Stato presente degli antichi
monumenti siciliani. Nel febbraio del 1776, su incarico di Ferdinando IV di Borbone,
iniziò i lavori di bonifica e riapertura del porto di Brindisi, da oltre un secolo inagibile
ai grandi navigli, avvalendosi della collaborazione del cinquantenne sacerdote don Vito
Caravelli, insegnante di matematica nella Regia Accademia di Marina e nella Scuola
d’Artiglieria. Nel 1780 i lavori vennero terminati, e Pigonati l’anno seguente ne pubblicò il resoconto nella Memoria del riaprimento del porto di Brindisi sotto il Regno di Ferdinando IV, Napoli, presso Michele Morelli, 1781; ma la riapertura del canale di collegamento (che a lui è intitolato) fra il bacino interno e quello esterno del porto di Brindisi
necessitò ancora di parecchi interventi, proseguiti fino alla prima metà dell’Ottocento.
Dopo aver pubblicato La parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona,
Napoli, presso Michele Morelli, 1783, e Le strade antiche e moderne del regno di Napoli e
riflessioni sopra li metodi di esecuzioni e meccaniche, Napoli, presso Michele Morelli,
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Carta del porto e della Baia di Brindisi nel 1855.
Brindisi era rimasta una fortezza di quarta classe. Adesso tutti la consideravano troppo a sud per servire da appoggio in una guerra offensiva in alto
Adriatico.
Ma, si rispondeva, in caso di guerra offensiva si sarebbe potuta adoperare Ancona – come infatti sarebbe successo nel 1866 – e tenere come base
arretrata Brindisi, che invece sarebbe divenuta fondamentale e insostituibile
in caso di guerra difensiva. Quanto alla latitudine troppo bassa, bastava ricordare che pochi anni prima, nel 1859, la squadra franco-sarda entrata in
Adriatico aveva occupato Lussinpiccolo per farne la propria base operativa
contro la Marina austriaca, ma la primissima occupazione l’aveva fatta ad
Antivari, cioè più o meno all’altezza di Brindisi, proprio per garantirsi da
qualsiasi sorpresa.
1784, Pigonati fu incaricato di dirigere la costruzione della strada degli Abruzzi, da Castel di Sangro a Sulmona. Morì a Siracusa nel 1790.
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Brindisi nel 1863
Quali erano le condizioni di Brindisi e perché se ne discuteva tanto?
Per capirlo occorre ricordare che il porto di Brindisi era allora costituito
da un avamporto e da un porto interno. Il primo era nella rada, la cui apertura era di 4 km e protetta dal Castello a mare. Il secondo, il porto, comunicava – e comunica – coll’avamporto mediante un canale, la cui bocca si
apriva nel culmine della parte più interna dell’avamporto stesso, ed era diviso nel Seno di Ponente, allora lungo circa 600 m e davanti al castello, a
nord di quello che era l’abitato dell’epoca, e nel Seno di Levante, a quell’epoca di circa 450 m(6) e a ridosso della parte orientale della città, che non
contava neanche 10 000 abitanti.(7)
Ora, al principio della seconda metà dell’Ottocento, la zona presa in
considerazione dalla Marina si limitava all’avamporto, i due seni praticamente non erano adoperati e il porto giaceva nel più completo abbandono,
tanto che vi potevano entrare solo piccoli legni. La stessa rada esterna non
era molto praticabile. Il canale che immetteva nel porto interno, cioè nei
due seni, aveva da 3 a 4 m di fondo ed era semiostruito; però nel 1851, durante i lavori di restauro del porto intrapresi dall’amministrazione borbonica sotto la direzione dell’ingegner Majo e terminati nel 1856, si erano avuti
nel canale 5 m d’acqua, ma poiché era stata fatta saltare la banchina nord
del canale, nei tredici anni seguenti il terreno della sovrastante collinetta,
privo di argine, era stato dilavato ed era lentamente franato proprio nel canale, riducendone la profondità.
La questione, come già accennato, era stata esaminata alla Camera dei
Deputati dalla sottocomissione per la Difesa marina.
Trent’anni prima, l’ufficiale superiore del Genio napoletano Vincenzo
degli Uberti(8) aveva proposto di allargare la bocca del porto quanto lo era
(6) Attualmente il primo è lungo circa un chilometro e mezzo, il secondo circa un
chilometro, ed entrambi sono larghi 200 m.
(7) Il censimento del 1861 aveva registrato a Brindisi 9137 abitanti, quello del
1871 ne avrebbe trovati 13 552; cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Brindisi voce “evoluzione demografica” su fonte ISTAT.
(8) Nato a Taurasi (Avellino) nel 1791 da nobile famiglia, entrò nell’Esercito Reale
Napoletano come ufficiale del Genio e si fece rapidamente conoscere come tecnico di
grande valore. Nel 1827 pubblicò alcune Esercitazioni Geometriche, nel 1830, quando
era maggiore e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze napoletana, pubblicò
i Saggi militari precipuamente spettanti alle fortificazioni (Palermo, presso Lorenzo Do-
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Brindisi. Castello a mare sull’isolotto di Sant’Andrea nei primi anni del XX secolo.
stata in origine, al tempo dei Romani. L’anno precedente, il contrammiraglio Scrugli,(9) proveniente dalla Marina Reale Napoletana, nell’intervento
nato, 1830), che valsero a farlo conoscere in tutta Italia, quindi, nel 1835, pubblicò il
lavoro sul porto di Brindisi a cui faceva riferimento D’Amico, Del porto di Brindisi: memoria di Vincenzo Uberti; messa a stampa per cura del sindaco e dei cittadini di Brindisi
(Napoli, tipografia dell’Ariosto, 1835). Nel 1838 fece uscire Saggi economici (Napoli,
dalla Stamperia dell’Iride, 1838), nel 1844, ormai tenente colonnello, un Discorso storico idraulico intorno al fiume Sarno (Napoli, Tipografia Fratelli Fernandes, 1844), oltre a
varie comunicazioni e articoli, fra cui le Brevi considerazioni sulla scelta del sito della stazione principale in Napoli della nuova strada di ferro di Caserta dirette alla commissione
incaricata del progetto dal tenente colonnello del Corpo del Genio Vincenzo Uberti (Napoli,
Fernandes, 1841) e quella Su’ canali navigabili che si potrebbero costruire nel Regno di
Napoli, e della loro utilità comparativamente alle strade ferrate: discorso presentato al 7°
congresso degli scienziati italiani per Vincenzo degli Uberti (Napoli, Fernandes, 1845).
Nel 1848, col grado di colonnello, fu tra i deputati eletti nella provincia del Principato
Ultra alla Camera napoletana. Nominato ministro della Guerra e Marina il 6 marzo
1848, sovrintese all’intervento napoletano al fianco dei Piemontesi contro l’Austria nella I Guerra d’Indipendenza, ma il 30 aprile passò al dicastero dei Lavori Pubblici, dove
rimase fino al 15 maggio 1848. Nel 1860 non aderì al Regno d’Italia e si tenne da parte. Morì a Napoli nel 1877. Salvo errore, fino ad oggi non sono mai stati pubblicati lineamenti biografici su di lui completi quanto questo.
(9) L’ammiraglio conte Napoleone Scrugli, nato a Tropea (Catanzaro) il 3 dicembre 1803 e ufficiale della Marina Reale napoletana, capitano di vascello nel 1860, fece
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
tenuto alla Camera il 22 e il 23 luglio 1863 aveva sostenuto che si dovessero
sospendere immediatamente i lavori del porto esterno e incominciare quelli
del porto interno, allargandone fino a 100 m il canale d’entrata per evitarne
l’interramento causato dalle correnti.(10) Adesso, nel febbraio del 1864 il capitano di vascello D’Amico si diceva sostanzialmente d’accordo e spiegava
che “se queste correnti non incontrano ostacoli, se non attraversano canali così
stretti da renderle vorticose, se non sono obbligate a convergere contro il loro
corso naturale, non possono fare sensibili depositi delle materie che trasportano
in sospensione. … Però ne pare incontrastabile che quanto più larga si farà la
bocca meno vi saranno interrimenti, e che la bocca debba farsi larga non meno
di 100 metri crediamo indispensabile, vista la grandezza dei bastimenti che oggi si mettono in mare”.(11)
Ci si domandava: “Ma è poi veramente Brindisi quel porto d’armata che
occorre alle nostre forze marittime nell’Adriatico?”.(12)
Rispondeva D’Amico:
In tutti gli studi che si fecero dal 1860 in qua a riguardo di Brindisi, in
tutto quanto si disse circa quella località, vi fu una gran pertinacia a tenere
in poco o niun conto il porto interno, che pur costituisce un prezioso tesoro
di cui natura ci volle esser larga, e che è quello di cui noi intendiamo ragionare sempre che parliamo del porto di Brindisi. Molti si sforzarono a trovar
modo di migliorare, di garentire, di rendere un vasto bacino il porto esteralzare il tricolore sui forti di Napoli all’arrivo di Garibaldi, e ne ebbe la direzione della
Marina napoletana fino alla fusione con quella sarda. Promosso retroammiraglio, aderì
al Regno d’Italia e fu ammesso nei ranghi della Regia Marina col grado di contrammiraglio e anzianità 18 ottobre 1860 (3° in graduatoria su 10). Commendatore dei Santi
Maurizio e Lazzaro e viceammiraglio, comandò una divisione navale e partecipò ai lavori per la costruzione dell’Arsenale della Spezia. Deputato di Tropea per l’VIII Legislatura (1861-1863), fu aiutante di campo onorario del Re. Nominato senatore da Umberto
I nel 1881, morì a Tropea il 15 ottobre 1883.
(10) Cfr. Atti del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, VIII
Legislatura - Sessione 1863 - 1864 (07/07/1863 - 11/08/1863), volume (II) VIII della
Sessione. Continuazione del 1° periodo dal 07/07/1863 al 11/08/1863; Roma, Tipografia Eredi Botta 1887, p. 1324-1350, seduta 478 del 22 luglio 1863 e Atti del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, VIII Legislatura - Sessione 1863 1864 (07/07/1863 - 11/08/1863), volume (II) VIII della Sessione Continuazione del
1° periodo dal 07/07/1863 al 11/08/1863; Roma, Tipografia Eredi Botta 1887, p.
1351-1372, seduta 479 del 23 luglio 1863.
(11) E. D’Amico, La difesa nazionale …, cit., p. CVII.
(12) Ibidem, p. CVII.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Giugno 2013
no, e non vi ha dubbio che sarà una bellissima impresa, ma noi non sappiamo intendere perché tanto affaticarsi per un’opera che richiede tempo e
denaro moltissimo quando un porto esiste a dispetto degli uomini che per
secoli fecero a distruggerlo ogni opera loro.
Chi considera il piano di questo porto vedrà una specie di lago ove sono sino a 7 ed 8 metri di acqua, messo in comunicazione col mare per una angustissima bocca che una sola batteria corazzata basterebbe a rendere inespugnabile.
Questo porto bacino, nel quale non si conosce cosa sia l’agitazione delle onde, ha due bracci distinti, l’uno grande, l’altro piccolo; egli è in quest’ultimo
ove tutte le risorse che possono abbisognare ad un’armata navale dei tempi
moderni si possono agevolmente creare, ivi è terreno proprio a costruire bacini da raddobbo, ivi nulla di più facile che improvvisare officine e magazzini di approvvigionamento; rimanendo pur sempre il braccio grande
sgombro interamente per raccogliere grandissimo numero di navi. Né queste
navi ricoverate o in riparazione hanno nulla a temere da un attacco esterno
perché questi due bracci si ripiegano e s’internano nella terra in modo da
allontanarsi tanto dal mare da essere al coverto da un bombardamento nemico. Non un’altura domina questo porto, dalla quale occorresse garantirsi
con opere fortificate, quivi quando pure il nemico riuscisse ad effettuare
uno sbarco, le navi che vi sono ormeggiate bastano alla loro difesa.
Questo porto, a meno che non fosse contemporaneamente assediato dal lato
di terra da un esercito imponente, poco o nulla può risentire da un blocco,
perché a poche miglia di distanza ha dietro di sé ed in un altro mare un altro porto militare immenso, capace di rifornirlo e vettovagliarlo, vogliamo
dire quello di Taranto, ove più volte abbiamo espresso la nostra opinione
che esser dovrebbe la sede del secondo dipartimento marittimo.
Le qualità che abbiamo accennate del porto interno di Brindisi, sappiamo
pur bene che non sono tutte quelle che si richiedono ad un porto d’armata.
A questo occorre di avere dinnanzi una rada sicura, capace di accogliere
una squadra con tempo cattivo e tenerla garentita, una rada ove questa
squadra possa spiegarsi in battaglia quando gli convenga muovere incontro
al nemico, o aspettarlo sulle àncore se di forze molto superiori azzardasse a
tentare un’operazione contro del porto; una rada infine suscettibile di essere
così fortificata da far costar caro il tentativo anzidetto.
Questa rada Brindisi l’ha magnifica e sicura al punto che fu chiamata il
porto esterno, e fu questo un fatalissimo errore, perché dal giorno che prese
un tal nome molti cedettero che altro porto Brindisi non avesse, e se non dimenticarono il porto interno, pochissimo conto ne fecero.
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
Ora questa rada stupenda, chiusa dalle isolette Pedagne e dal forte a mare,
può essere facilmente abbordabile con ogni sorta di perverso tempo, è agevole da fortificare con batterie che incrociassero i loro fuochi sull’entrata di essa, ed è spaziosa quanto occorre per racchiudere un’armata navale.
L’antica abitudine delle navi a vela mantiene ancora vivi nelle menti della
gente di mare taluni principii, che se veri per quelle, oggi per le navi a vapore sono non altro che pregiudizi; tra questi mettiamo la massima che un
porto d’armata non è ben situato quando trovasi nel fondo d’un golfo; ora
neanche questo appunto può darsi a Brindisi, situato proprio sul calcagno
d’Italia.
Infine una qualità essenziale per un porto d’armata si è quella di essere situato in una posizione strategica, ed appunto come di sopra dicemmo, ci
pare che per gli Italiani nel’Adriatico sia Brindisi una posizione strategica
di prima importanza.
Del che il passato ci ammaestra mostrandoci far mossa da Brindisi tutte le
grandi spedizioni pel Levante, ed un avvenire non remoto ci farà più persuasi quando il taglio dell’istmo di Suez metterà l’Italia sulla via delle Indie, e quando la nostra potenza accresciuta ci chiamerà a reclamare in
oriente il retaggio di Venezia e di Genova.
Quando l’Adriatico sarà un mare italiano, e deve assolutamente esserlo se
vogliamo star tranquilli in casa, noi non potremo meglio che da Brindisi
esercitare la nostra padronanza.
Oggi non vi ha dubbio che nelle condizioni in cui ci troviamo, Manfredonia ed Ancona come punti strategici militari propriamente detti sono più
importanti di Brindisi, ma in quei punti manca un porto, manca il ricovero per le nostre forze navali, e però quest’ultimo luogo considerato sotto il
punto di vista marittimo conserva tutta la sua altissima importanza.
I più valenti uffiziali della nostra Marina spessissimo meditano sulla carta
del mare Adriatico, essi sanno tutte le cure che il Governo ha speso e spende
intorno ad Ancona, e pure, per quanto noi sappiamo, essi vanno cercando
sempre un altro punto e i loro sguardi ansiosi si fermano non altrove che a
Brindisi, essi ne hanno ben d’onde, perché, conoscendo il loro mestiere, san
bene che oggi non si va alla guerra marittima senza avere indietro un porto
che riunisca tutte quelle condizioni che siamo andati analizzando”.(13)
Le valutazioni di D’Amico erano sostanzialmente giuste, e consentirono
(13) E. D’Amico, op. cit. p. CIV-CVI.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Giugno 2013
d’utilizzare al meglio le risorse stabilite per i lavori.(14) L’apertura del Canale
di Suez, il 17 novembre 1869, deviò in Mediterraneo tutto il traffico europeo diretto in Asia e, grazie ai lavori portuali fatti fare dal Governo a Brindisi e all’inaugurazione della linea adriatica della Società Ferrovie Meridionali, terminata già nel 1865, la Gran Bretagna proprio di Brindisi fece il
terminale terrestre della sua famosa Valigia delle Indie,(15) realizzando così
un’altra delle previsioni di D’Amico.
I lavori suggeriti da D’Amico
Prendendo spunto dal lavoro di Degli Uberti e concordando in linea di
massima con quanto sostenuto da Scrugli, esaminata la situazione di Brindisi, D’Amico, premessa la necessità di allargare la bocca del porto a 100 m
almeno date le dimensioni ormai raggiunte dalle navi, scriveva:
Un’altra verità crediamo che non possa revocarsi in dubbio, ed è che la profondità delle acque nella bocca debba tenersi maggiore che nell’interno del
porto, altrimenti operando è come creare uno di quegli argini sottomarini
(14) I fondi erano stati stanziati con la Legge 24 gennaio 1864, n. 1650, Colla
quale è autorizzata una spesa straordinaria per l’esecuzione di lavori nel porto di Brindisi; e
l’intervento di D’Amico aiutò a decidere quali lavori effettuare.
(15) La Valigia delle Indie – in inglese “Indian Mail” – era il convoglio postale e
passeggeri che da Londra arrivava in Italia e, passando per Milano e Bologna, imboccava l’Adriatica fino a Brindisi, dove i viaggiatori scendevano dal treno praticamente di
fronte al porto e si imbarcavano sui vapori della Peninsular & Oriental Steam Navigation Company. Il servizio cominciò il 25 ottobre del 1870 e proseguì, anche se via via
ridimensionandosi a vantaggio di Marsiglia, fino al 15 agosto del 1914. Lo sviluppo
dell’aviazione commerciale fra le due guerre mondiali rivitalizzò il ruolo di Brindisi. Infatti dal 1930 cominciarono i collegamenti fra Italia, Albania, Grecia, Bulgaria, Turchia
e Dodecaneso per mezzo di idrovolanti, che partivano in coincidenza coi treni notturni
da Roma o da Milano, e andavano ad Atene, Sofia, Valona, Patrasso, Istanbul, Mitilene,
Syra e Rodi. Inoltre dall’aprile 1934 riapparve a Brindisi la Valigia delle Indie, trasformata però in collegamento aereo, operato dalla Imperial Airways britannica, da Brindisi
alla Birmania, prolungandosi poi fino a Singapore, per cui le Ferrovie dello Stato misero
in servizio un treno notturno speciale da Roma, in arrivo a Brindisi prima dell’alba, in
modo da permettere agli aerei della Aero Espresso italiana e dell’Imperial Airways in
partenza per l’Oriente di decollare alle cinque del mattino e sfruttare per il volo tutte le
ore di luce disponibili. Alla fine del 1934 l’Imperial Airways avrebbe annunciato l’allungamento della linea di Singapore fino all’Australia.
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
su i quali non è possibile evitare l’accumularsi dei depositi.
Ciò posto … portiamo parere che senza altra precauzione se interrimenti
avverranno alla bocca del porto di Brindisi essi saranno sempre tali che cavafanghi a vapore con poche giornate di lavoro triennale possano agevolmente superare. Noi concediamo pure che (se gli studii della gente competente portassero alla conchiusione che il deviare la corrente littorale sia un
bisogno assoluto) si chiuda la bocca di Puglia della rada, anzi, le osservazioni da noi fatte sul luogo nel 1859 ne fan credere che di fatto ciò potrebbe
tornare utile se il canale si mantenesse di limitata larghezza; ma quando
leggiamo in un progetto d’arte che tra i lavori più urgenti da farsi a Brindisi, oltre la diga a detta bocca di Puglia,(16) sono due moli l’uno a Scirocco
del Castello a mare e l’altro sulla costa Morena, non possiamo [fare] a meno
di elevare alta la voce, per quanto poco valore si abbia, e scongiurare perché
la rovina di Brindisi non venga compiuta. Ed è vera rovina ciò che vuol
farsi, sforzandosi a trasformare la rada di Brindisi, sicurissima e corrispondente a tutti i bisogni, in un porto artificiale poco agevolmente abbordabile.
Quando si sarebbero fatti i progettati moli si acquisterebbero 120 ettari di
porto, ma se ne perderebbero il triplo o il quadruplo di magnifica rada; e
Brindisi, oggi uno dei pochi rifugi al navigante dell’Adriatico, vedrebbe
naufragare innanzi alla sua entrata i miseri che nel nuovo porto si lusingavano trovare migliore ricovero che nell’antica rada.
Se un giorno l’attuale porto di Brindisi divenisse troppo piccolo per quel
commercio che a nostro credere immenso dovrà ivi concentrarsi, allora sarà
il caso di migliorare le condizioni della rada; ma, secondo proponeva uno
dei più istruiti ufficiali della nostra Marina militare, il comandante Imbert,(17)allora un frangi-onde che covra la bocca tra le Pedagne ed il forte a
(16) Bocca di Puglia è nell’insenatura di levante, nella zona delimitata a Nord dalla
radice della diga foranea e a Est dall’isola di Sant’Andrea e dal Castello Alfonsino.
(17) Il contrammiraglio duca Antonio Imbert, all’epoca capitano di vascello di 1ª
classe e ufficiale dei Santi Maurizio e Lazzaro, aveva la stessa anzianità di D’Amico e lo
precedeva di un posto in graduatoria. Dal 22 dicembre 1863 comandava la corazzata Re
d’Italia. A Lissa avrebbe avuto il comando della regia pirofregata ad elica di 1° ordine
Vittorio Emanuele appartenente al 2° Gruppo della II Squadra dell’ammiraglio Albini.
Nello stesso anno a Livorno fu posto a capo della Spedizione idrografica, come si chiamava allora la Commissione Idrografica dipendente dall’Ufficio Scientifico Centrale, il
quale fu poi dal 1872 l’Istituto Idrografico della Regia Marina. Sindaco di Catania, nel
1874 si fece promotore della creazione dell’Istituto Nautico della città, tuttora esistente.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Giugno 2013
mare è la sola opera che raggiunga lo scopo realmente.
Per ora non dobbiamo obliare che Brindisi, oltre ad essere un porto commerciale, è pure un porto d’armata, ed è tale di cui non possiamo fare a
meno per completare la nostra indipendenza, e per la difesa delle nostre coste adriatiche, non dobbiamo dimenticare che il nemico è alla nostra porta,
che da un giorno all’altro possiamo avere la guerra e che intanto dal lato di
mare siamo indifesi. Oggi quello che principalmente occorre si è di far presto e con la minima spesa possibile.
La rada, o avamporto che si voglia dire, a Brindisi esiste e non richiede che
la spesa di poche lire, e l’opera di pochi giorni d’utile lavoro. Quello che urge per la rada, oltre delle buone fortificazioni, si è di far saltare la secca del
Fico e di far cavare la secca centrale o delle Pedagne.
Abbiamo accennato alla secca del Fico ed a quella delle Pedagne, diremo
che sono: La prima è uno scoglio sottacqueo a Scirocco del canale che conduce al porto interno il quale ingombra talmente la rada che non è possibile manovrarvi, e che quando il porto sarà praticabile diverrà indubbiamente la calamita dei naufragi.
La secca delle Pedagne è poi un alto fondo di alga e melma, ove sono 5 metri d’acqua o poco meno, nel mezzo tra le isole delle Pedagne e l’isola del
Castello, che non l’han fatto i depositi delle correnti, ma l’han fatto le bette
dei cavafanghi che diremo quasi a deridere i Brindisini in altri tempi si fecero a Brindisi lavorare. Con questo poco che domandiamo si rende immediatamente la rada di Brindisi il più sicuro ricovero della nostra squadra
nel mare Adriatico.
Avere la rada di Brindisi subito pronta a ricevere una squadra navale, sarà
un vantaggio immenso, ove si dovesse da noi sostenere una lotta in Adriatico, così si potesse in questo caso averla fortificata, e se la guerra sarà da noi
tanto lontana da veder compito un così fatto voto, non diciamo che le nostre forze marittime avrebbero un doppio valore, ma certo non andremmo
incontro all’ignoto e all’azzardo.
… Fra questi lavori cui accenniamo, ci pare che sia l’escavamento della
bocca del porto interno, lo aprire con dei cavafanghi e delle bette a vapore
un solco di comunicazione ci sembra opera di così pronta esecuzione, quanto d’immenso utile per le eventualità di una guerra adriatica. In ogni caso
se questo solco si trova aperto, le nostre navi corazzate attraverso di esso potranno entrare nel porto interno, che tale e quale ora si trova è senz’altro capace di riceverle.
Ma tra i lavori urgenti, tra quelli sempre utili qualunque siano le finali
determinazioni su l’opera generale, noi mettiamo il cavamento e la costru47
C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
zione delle banchine del porto interno. Per questo il Parlamento ha votato
oltre due milioni di lire, si debba dunque o pur no sacrificare la rada, si
dia principio a questi lavori, essi sono indiscutibili.
Se un bacino da carenaggio fu decretato saggiamente ad Ancona, a Messina, a Palermo, a Livorno, a noi pare incontrastabile che uno ne occorra a
Brindisi, ed è doloroso come ancora di ciò non si faccia parola.
Ne (18) si dirà certamente che parlare del bacino quando manca il porto sarebbe stato per lo meno inopportuno ed a ciò non havvi da replicare, ma
egli è che il porto esiste e per renderlo fin d’ora utile non occorre grandissimo lavoro.
Infine la rada di Brindisi, ripetiamo, è tale che possiamo renderla in pochi
giorni il ricovero, la ritirata della nostra squadra, quindi ci pare che non si
dovrebbe tardare a elevare a Brindisi delle baracche per stabilirvi delle officine e per farvi dei larghi depositi di ogni sorta di approvvigionamenti; noi
non vogliamo che vi s’impianti un arsenale, emettemmo al riguardo altra
volta la nostra contraria opinione, ma desideriamo che nulla vi manchi per
fornire e riparare una squadra; siamo pur contenti che si faccia a Brindisi
quanto per la marina si fece ad Ancona; ivi si è fatto bene ma a Brindisi si
farebbe meglio. Ancona è una stazione navale di occasione e poco adatta, si
è dovuta forzosamente accettare in difetto di meglio; Brindisi poi, oggi e
sempre, sarà una importante stazione navale e, per le sue condizioni idrografiche, la sua importanza non vien meno per l’esistenza d’Ancona; ci si
conceda di ripeterlo.
… La sorte della nostra flotta in Adriatico deciderà quella del nostro paese;
non dobbiamo quindi avventurarla, ed all’uopo è principale condizione che
Brindisi possa ricoverarla.
Nei primi giorni del 1861 scrivemmo un voto al Ministero ed al Parlamento Nazionale; allora ricordavamo come gli interessi d’Italia di ogni specie sono in Oriente, noi dicemmo: tra non molto l’istmo di Suez porterà attraverso l’Egitto tutto il commercio delle Indie; se questo commercio troverà
a Brindisi un porto ed una strada ferrata, esso diverrà tutto Italiano; ma se
Brindisi in quel tempo sarà tuttavia chiuso alle navi mercantili, non sarà
poi facile a noi deviare quel commercio che avrà presa altra via. Oggi abbiamo accennato ad un’altra quistione relativa alla Marina militare e con(18) Si tenga presente per capire la frase, che questo “ne” non è la negazione “né”
priva d’accento, ma è una forma ottocentesca per “Ci”, per cui “Ne si dirà” significa
“Ci si dirà” (Note dell’A.).
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Giugno 2013
chiudiamo: se il giorno che dichiareremo o che ci dichiareranno la guerra
in Adriatico, Brindisi non sarà aperto alle nostre navi guerresche, metteremo la nostra nascente Marina a durissima prova.
… Studiando sulla difesa marittima del paese, salvo le ferrovie littorali,
non abbiamo trovato nulla di quanto ne occorre, e noi vogliamo essere indulgenti, vi è stato un Esercito ed una Marina da creare. Vi sono stati mille
e mille bisogni tutti urgentissimi cui provvedere, noi non vogliamo dar colpa al Governo se con gli occhi rivolti al Mincio ha trascurato le coste; ma
l’abbandono di Brindisi è grave fallo tanto militare che finanziario. Questo
il Governo lo sa e non si può dire che di Brindisi non siasi occupato, facendo studiare la questione, ottenendo dalla Camera i fondi necessarii al compimento di un progetto frutto di questi studi, entrando in trattative se è vero ciò che pubblicamente si dice, con una casa estera pei lavori a farsi. Però
non ci crediamo esigenti dicendo che non si è fatto abbastanza, giacché
l’Istmo di Suez è prossimo ad aprirsi alla navigazione, lo stato dell’Europa è
tale che la guerra può venirci addosso domani, ed intanto Brindisi è tuttavia chiuso alla Marina commerciale ed alla militare.(19)
I cinquant’anni seguenti
Nonostante la dialettica di D’Amico, sotto il profilo militare la situazione
non conobbe cambiamenti importanti per una dozzina d’anni ancora. Nel
1876, di fronte alla crisi balcanica, venne svolta sulle coste adriatiche una
missione riservata per studiare le coste e l’orografia dei luoghi fra Prevesa,
Durazzo e Corfù in vista di un eventuale conflitto. Già in primavera l’autorevole voce del noto pubblicista navale A.V. Vecchj – ex ufficiale di Marina
– si era fatta sentire sulla Nuova Antologia, rilevando che la bocca dell’Adriatico era uno dei più importanti avamposti “contro gli insulti di qualsiasi Potenza mediterranea o che nel Mediterraneo abbia un punto d’appoggio … allora conviene sbarrarglierne l’entrata, attelandosi a battaglia nel Canale d’Otranto, là dov’è più stretto il passo”.(20)
Questo avrebbe implicato lo sviluppo di Taranto e Brindisi, tanto più
(19) E. D’Amico, op. cit. p. CVIII-CX.
(20) A.V. Vecchj (noto sotto lo pseudonimo di Jack La Bolina), “Sulla strategia navale d’Italia”, Nuova Antologia, anno XXXI, aprile 1876, p. 809.
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C. Paoletti - L’intervento del comandante D’Amico per la nascita della base navale di Brindisi
valido perché avrebbe consentito d’impedire il transito a chi veniva da sud,
ma pure a chi veniva da nord, cioè all’Austria. Adesso, nell’estate del 1876,
la missione fu conclusa da un lungo e circostanziato rapporto, redatto dal
comandante Arminjon,(21) comandante la 2ª Squadra, e dal maggiore Osio,
il futuro precettore del principe di Napoli Vittorio Emanuele, i quali, trattando dell’eventualità di uno sbarco italiano sulle coste albanesi, dicevano
che per farlo occorreva l’assoluta padronanza del mare e, essendo troppo
lontane sia Venezia che Ancona,
occorrerebbe quindi assolutamente rendere Brindisi capace di ricoverare la
nostra flotta e quella dei nostri possibili alleati: ed a tale scopo, sbarrare la
bocca della gran rada tra le isole Pedagne e la partenza, lasciando un’apertura non maggiore di 150 metri, scavare il fondo del porto interno e della
piccola rada fino ad avere una profondità d’acqua di 10 metri; collocare
all’entrata due torri corazzate armate di grossi cannoni ed acconcie batterie
di siluri semoventi; mantenere nel posto una stazione di lancia-siluri e di
torpedini; accumularvi approvvigionamenti di carbone, stabilire a sufficiente distanza dal mare magazzini per la flotta e per l’esercito. Questi lavori potrebbero essere compiuti in tempo sufficientemente breve. Siccome
però dopo di ciò il porto di Brindisi non sarebbe completamente al sicuro
dai pericoli di un cannoneggiamento a distanza da parte dei legni corazzati, sarebbe indispensabile iniziare contemporaneamente anche i lavori del
porto di Taranto, stabilendovi un piccolo arsenale di riparazione, aprendo
la comunicazione col mare interno e difendendo il passo con batterie di
lancia-siluri. Tanto Brindisi quanto Taranto dovrebbero poi esser protette
dal lato terra.(22)
(21) Vittorio Arminjon nacque a Chambéry, in Savoia, nel 1830 ed entrò nella Regia Marina Sarda a dodici anni, nel 1842. Passò poi nella Marina Francese e con questa
partecipò alla Guerra di Crimea. Rientrato nella Regia Marina nel 1859, si distinse nel
corso delle guerre d’Indipendenza di quell’anno e del 1860-61. Al comando del Magenta e munito delle credenziali di ministro plenipotenziario del Re, tra il 1865 e il 1868
stabilì i primi contatti e concluse i primi trattati dell’Italia con Giappone e Cina, e
compì il primo viaggio di circumnavigazione d’una nave della Regia Marina, effettuando numerose e importanti rilevazioni idrocartografiche. Autore di numerose pubblicazioni tecniche, fu nominato contrammiraglio nel 1876. A riposo l’anno seguente, morì
a Genova nel 1897.
(22) Cit. in G. Friz, M. Gabriele, La flotta come strumento di politica nei primi decenni dello stato unitario italiano 1861-1881, Roma, USSMM, 1973, p. 166 sg.
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In sostanza, con alcune differenze generate dall’evoluzione degli armamenti e dall’aumento delle gittate, si trattava degli stessi provvedimenti sollecitati da Scrugli e soprattutto da D’Amico.
Poco si mosse però negli anni seguenti, e a Brindisi ci si limitò all’allargamento della banchina.(23) Nel gennaio 1904 il vicecapo di stato maggiore
della Regia Marina presentò uno studio sul “Confronto tra la flotta italiana
e la flotta austriaca” in cui, premesso che il nemico aveva il vantaggio di
operare da una costa protetta da moltissime isole, molte delle quali dotate
di posti d’avvistamento e semafori, e non adatta agli sbarchi nelle 400 miglia di litorale roccioso da Pola a Ragusa, e che disponeva di due basi principali assai ben protette a Pola stessa e a Cattaro, era evidente che, in caso di
guerra, la Marina austriaca avrebbe potuto proteggere il proprio traffico e il
proprio litorale, agendo offensivamente contro quelli italiani sia con incursioni, sia con posa di mine. L’Italia aveva molti punti sensibili ed esposti all’offesa avversaria e basi insufficienti per numero e forza. Venezia era priva
degli spazi di manovra adeguati alle grandi navi e di fortificazioni adatte,
Ancona stava pure peggio sotto entrambi gli aspetti, Ravenna non contava,
Porto Corsini andava bene solo al naviglio ausiliario o costiero: restava
Brindisi, il cui porto era adatto anche alle navi maggiori, ma che necessitava
di un completo rinnovamento delle difese del fronte a mare.
Anche in conseguenza di questo studio, con molta lentezza nel 1910
Brindisi venne dichiarata piazzaforte del Regno d’Italia e armata con cannoni a lunga portata. Nel marzo del 1913 l’ammiraglio Bettòlo passò al parigrado Paolo Thaon di Revel la carica di capo di stato maggiore e uno “Studio per la preparazione militare marittima per un conflitto armato contro
l’impero austro-ungarico”(24) da lui stesso redatto e in cui appariva evidente
che, qualsiasi tipo d’azioni si volesse intraprendere, offensive o difensive, bisognava fare perno anche su Brindisi, che sarebbe stata da attrezzare come
base principale specie nel caso di azioni contro la terraferma balcanica o ver(23) Stabilito e finanziato dalla Legge 2 Luglio 1882, N. 872, Che autorizza l’allargamento del molo nel porto di Bari, la ricostruzione della banchina centrale nel porto di
Brindisi, la costruzione di un faro nell’isola di vulcano e di un altro a San Marco presso
Sciacca. I lavori seguenti sarebbero stati fatti solo alla vigilia della II guerra mondiale, finanziandoli con la Legge 22 giugno 1939, n. 955, Autorizzazione di spesa per lavori di
sistemazione dei porti di Bari e di Brindisi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 161 del
12 luglio 1939.
(24) G. Bettòlo, Studio per la preparazione militare marittima per un conflitto armato contro l’impero austro-ungarico, in AUSMM, R.B., busta 296, f. 1.
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Lavori eseguiti nel porto di Brindisi durante la Grande Guerra.
Veduta aerea di Brindisi durante la Grande Guerra.
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so Lesina e le Curzolari. Non a caso nello stesso anno furono iniziati gli scavi per approfondire le acque del porto, poi accelerati durante la Grande
Guerra, specie dopo il bombardamento del Golfo di Manfredonia da parte
degli Austriaci, cosa che D’Amico aveva previsto.
I lavori chiusero i passaggi fra le Isole Pedagne – come D’Amico aveva
auspicato – e nel braccio occidentale, nel Seno di Ponente, si iniziò la costruzione del bacino di carenaggio, che D’Amico aveva suggerito. Ciò che
lui non aveva previsto e non poteva prevedere erano l’aumento della gittata
dei grossi calibri e la comparsa della minaccia aerea, contro cui, negli anni
della Grande Guerra, furono predisposte potenti batterie costiere e antiaeree. Alla fine di novembre del 1915, in vista dell’evacuazione dell’Esercito
serbo, Brindisi arrivò a poter ospitare regolarmente non meno di sessanta
navi(25) e un’altra ventina più o meno di passaggio.
Gli Austriaci si resero subito conto della minaccia e adoperarono campi
di mine e sommergibili per ostacolare il traffico alleato; ma questa è un’altra
storia.
È degno di nota e va a lode della lungimiranza – e quindi dell’esperienza e intelligenza – degli ufficiali della neonata Regia Marina, che quanto
ipotizzato o suggerito nel 1864 da D’Amico, riassumendo in parte ciò che
avevano sostenuto Degli Uberti prima e poi Scrugli, si avverò puntualmente
cinquant’anni dopo.
(25) La Regia Marina basò a Brindisi due esploratori, 13 cacciatorpediniere, tre incrociatori ausiliari e 11 sommergibili; la Marine Nationale 12 caccia, otto torpediniere e
tre sommergibili; la Royal Navy tre esploratori di grande dislocamento.
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