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IL FELICIONE
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ANNO I NUMERO 2
GENNAIO 2010 [ homeloving pleasure >
►► INDICE
►
[ Incipit >
5
M Lorenzini
►
[ Siena e i suoi Geritols (una storia
vera) >
7
L Pampaloni
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[ Presepio Imminente >
12
E Cesarini
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[ La Goebbelsiana >
15
M Lorenzini
►
[ Cresciolandia >
21
E Cesarini
►
[ Dall’acqua (II episodio) >
23
M Lorenzini e L Mereni
◄ Tarxien (Malta)
Una delle misteriose sfere di pietra sparse per il sito dell’antico tempio megalitico (3500 a.C. circa) Foto di E. Cesarini ANNO I NUMERO 2
Gennaio 2010
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Incipit
di Matteo Lorenzini
Il secondo numero del Felicione esce in forma ridotta, a causa delle
riposanti, ubertose feste natalizie. Non deve il lettore cogliere in questa
frase una nota di rammarico: riposo e tavole imbandite sono alla radice
della teoria del buon vivere. Ogni celebrazione rappresenta un anello di
una catena, ed esprime in termini di ciclicità i grandi concetti di rinnovamento
ed eternità. La celebrazione è anche un metodo di autoriconoscimento, ed
infatti è strettamente legata all’ambito della tradizione. Nella tradizione del
Natale, come è ricordato in questo numero, è l’adagio Natale con i tuoi,
Pasqua con chi vuoi. E’ infatti il Natale una festa intima, un momento in cui
l’anello di cui parlavamo si richiude verso l’origine, riportando gli elementi
dispersi al luogo di partenza, quasi seguendo la linea tracciata in cielo dalla
Cometa. E’ in questa linea di sereno ritorno che si inserisce naturalmente il
tema di questo numero, la gioia dello stare (o rientrare) in casa.
I greci, in epoca classica, avevano un termine preciso per indicare il
lungo cammino verso casa, il nostos. I nostoi, i ritorni, così si chiamavano le
narrazioni delle interminabili peripezie degli eroi omerici sulla via del ritorno
in patria, dopo la distruzione di Troia: è nella poetica del ritorno che
l’antichità ha espresso il massimo struggimento. Nell’amore per le mura
domestiche, per l’aprica Itaca, per i clivi ed i colli di Gerusalemme, per le
origini, contadine (Roma) o marittime (Sumeri) che siano. Il dramma primo è
l’abbandono, la partenza cui è vietato il ritorno: deprecata infinitamente fu
la sorte di Persefone, la mangiatrice dei frutti del melograno, perduta
nell’Ade. Ed ecco che torniamo al cibo, all’eternità ed al ciclo, qui inteso
come alternarsi delle stagioni, distillato nel mito. La Grecia, madre della
cultura, ha amato intensamente il ciclo, a tal punto da farne una bandiera,
riproducendolo in ogni propria espressione; ed ecco perché Callimaco,
Oscar Wilde ellenistico, credette di essere assolutamente controcorrente,
assolutamente indipendente, nel professare l’odio del ciclo.
Strettamente collegata al nostos è la nekyia, la discesa agli Inferi.
Odisseo scende i gradini ctoni per violare le case dell’Ade, ma lo fa da vivo,
ed in questo troviamo il nodo da sciogliere, il mistero, l’incomprensibile.
L’abbandono ultimo, la morte, per una volta è inficiato: il lieto fine è tutto nel
ritorno, reso possibile da una preternaturale e mitologica necessità. La folle
gara dei morti, la calca attorno al sangue dell’ariete, nel mito omerico, non è
inesplicabile come il sorriso beffardo dei geritols. Il sapore inebriante del
sangue, il sentore greve cui le ombre aspirano, non è da esse agognato
perché surrogato della carne; piuttosto, il sangue è la porta, il simbolo del
ritorno, di quella via a loro per sempre negata. Non è una coincidenza se il
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ANNO I NUMERO 2
Gennaio 2010
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sangue dell’ariete è sulla porta degli ebrei in Egitto. E non è un caso se il
primo grande viaggio della storia nautica fu intrapreso per impadronirsi del
favoloso vello d’un ariete d’oro. Ed a sua volta, Giasone si era messo per
mare nell’intento preciso di fare ritorno, un ritorno micidiale, eroico, per
insediarsi sul trono della propria città, Iolco. Ancora, un ritorno a casa.
Nel periodo del Natale, i ritorni sono perfettamente naturali. Chi vive
o lavora lontano torna alla famiglia ed alla casa. Ed anche chi vi è sempre
rimasto, trova nella presenza degli altri, solitamente lontani, un senso di
intimità e domesticità. Qualcosa di molto simile al ben noto (tra di noi)
concetto di Terrasanta.
Che cos’è una Terrasanta? Non è facile dirlo. E’ un luogo prediletto,
unico per ogni essere, il quale sta ad essa come la bottiglia all’acqua: il
liquido la riempie tutta, aderendo perfettamente e pervadendo ogni volume.
Come si riconosce la propria Terrasanta? Non vi è un modo: ognuno sa di
averla trovata quando la incontra. Ma c’è un segno per rendere definitivo il
riconoscimento: la poetica del ritorno a casa. Quando ci si mette per via alla
volta di un luogo, e non si ha l’impressione della partenza, ma la struggente
sensazione del ritorno, quella è una Terrasanta.
Il piacere intimo dello stare in casa è simile alla gioia dell’essere nel
centro. Attorno al centro, ruota il ciclo. E, là nel mezzo, c’è tutto il tempo di
leggere in pace il Felicione. ■
6
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Siena e i suoi Geritols
Una storia vera
di Lorenzo Pampaloni
Foggia, 06/01/2010, mercoledì, ore 5:20 della mattina
Cosa sono i Geritols? Da dove vengono? Qual è l'origine del nome?
Cosa lega i Geritols al triste destino dello scoiattolo di John Q. 1 ? Perché,
avendo a disposizione due mesi di tempo per scrivere un articolo, lo si scrive
sempre l'ultima ora dell'ultimo giorno? A questi inquietanti interrogativi
cercheremo di dare qui una risposta, non senza la consapevolezza che
qualcosa di oscuro, forse non propriamente terrestre, possa condizionare le
nostre menti nell'esporre ora i fatti.
Siena, mese di gennaio del 2008, tarda notte: è stata una giornata
fredda; quattro ragazzi, al termine di una piacevole serata trascorsa
insieme a sorseggiare whiskey, riscaldati dal fuoco di un rassicurante
caminetto, si aggirano per i vicoli tortuosi di una città deserta, addormentata
nel suo inverno, intrisa nella sua bruma. Non cercano emozioni, solo
passeggiano ammirando le bellezze della città, in uno stato d’animo sereno
e senza ombre. Intorno a loro emergono, di quando in quando, segni di
antichi rituali magici, piccoli dettagli nascosti nelle facciate dei palazzi e
negli angoli poco visibili dei monumenti, che sfuggono con facilità ad
un’osservazione superficiale. L'unico senese dei quattro, con l'orgoglio di chi
è fatto custode di qualcosa di speciale, approfitta della passeggiata per
portare all’attenzione dei suoi compagni alcuni di questi segni, illustrandone
il significato.
In particolare uno di questi manufatti colpisce l'attenzione dei visitatori:
si tratta di un demone forgiato nel metallo e fissato, tre metri da terra,
nell'angolo di un palazzo di antiche origini.
Il demone, con volto luciferino, è in realtà un drago, incatenato per il
collo e ben ancorato alla dura pietra serena del palazzo. A fianco, da
Corsini Dischi, si staglia invece l'inquietante presenza dell'ultimo album di
Laura Pausini, esposto in bella mostra all’interno di una luccicante vetrina.
Circondati da siffatte nefandezze, i quattro scelgono la meno
devastante, avvicinandosi senza indugio al demone: la luce di una lanterna,
non lontana da lì, ne evidenzia i lineamenti e man mano che si avanza ne
modifica le espressioni: una rigida barba a punta sovrastata da un ghigno
enigmatico non lascia dubbi sulla sua natura malefica. Secondo la leggenda
1
vd. Felicione, Anno I n.1, pag.7
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il demone segnala in quel punto la presenza di un varco invisibile verso
stanze occulte e malvagie, luoghi di riunione di misteriose sette e gruppi
esoterici. Poco lontano, però, un angelo armato di spada è posto a guardia
del demone, controllato dal suo sguardo attento, tale da rasserenare il
passante e infondergli sicurezza.
Ad un'osservazione più attenta i quattro notano, tuttavia, che l'angelo
rivolge il suo sguardo non tanto verso il drago, quanto piuttosto più avanti, in
direzione di una piccola bottega di libri.
La compagnia, nella sua umana ricerca della conoscenza, si incammina
dunque verso il negozietto, pesando ogni passo nell'altrettanto umano timore
dell'ignoto. La luce di due fioche candele al neon ormai quasi del tutto
consumate, diffusa dall'interno della vetrina, man mano si fa più intensa e li
indirizza senza ulteriori indugi verso la meta.
Decine di vecchi libri, tutti molto colorati, sono esposti ordinatamente su
tre scaffali sovrapposti; stoffe di velluto rosso decorano la vetrina ai due
lati, mentre dietro si intravede un massiccio bancone di legno con pile di libri,
presumibilmente ancora da catalogare.
La più sveglia dei quattro nota immediatamente un piccolo volume
polveroso, nascosto nell'angolo più estremo, all'ombra di un tomo sulle
abitudini domestiche del Gerbillus perpallidus. Le lettere del titolo, sebbene
ricoperte da uno spesso strato di polvere, sembrano emettere una strana
luce rossa, tanto che la ragazza riesce, seppur faticosamente, a decifrarle e
ad alta voce legge: "Siena e...i....suoi...Ge...ri...tols".
"Geritols...Geritols...certo! i Geritols", conferma sicuro il senese,
cadendo subito dopo in uno stato di inaspettata apatia e vago
disorientamento. I quattro ragazzi appaiono confusi, qualcosa si è
impossessato delle loro menti, per poi subito liberarli dall'influsso.
"Geritols?....C'è scritto guaritori!" afferma l'altra ragazza: "Siena e i
suoi guaritori!". Immediatamente, come nulla fosse accaduto, la compagnia
prosegue, in silenzio, verso altre destinazioni. Non verrà più fatta menzione
in seguito di quell’episodio, rimasto sommerso nelle profondità più nascoste
delle menti dei ragazzi.
Fin qui la cronaca dei fatti. Ma dunque cosa sono veramente i
Geritols? E' recente la testimonianza di uno dei quattro ragazzi, che, molto
tempo dopo questo evento misterioso, ha vissuto in prima persona
un'esperienza onirica, oltre lo stato di coscienza umana e in condizioni di
apparente immobilità corporale. Alcuni lo chiamano "sogno", altri ne
spiegano l'origine con una sorta di "download" di dati nel cervello umano da
parte di entità aliene.
Il ragazzo, che qui, per tutelarne l'anonimato, chiameremo Ragazzo,
riferisce il contenuto del suo cosiddetto "sogno" con dovizia di particolari:
inizialmente vi fu il buio, poi, lentamente, come se gli occhi dovessero ancora
abituarsi in seguito all’esposizione ad un'intensa luce, qualche contorno
sfumato iniziò ad emergere alla sua vista. Sebbene fosse sicuro che quello
spazio in cui si trovava fosse delimitato da pareti, non riusciva a stabilire le
distanze e le dimensioni di quella sala.
Poi una luce, forse due, non ricorda. Nuovamente una candela al neon,
come nel negozio di libri, sorretta da un essere decisamente basso e, almeno
nel volto illuminato dalla luce, decisamente peloso.
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"Ehi, tu, ragazzo, come ti chiami?", lo interrogò la strana creatura.
"Ragazzo", rispose il giovane.
"Lo sai dove ti trovi?"
Al suo smarrito silenzio, replicò ancora la creatura:
"Non importa, giovane Ragazzo, non devi sapere...nel tempo che ti
sarà concesso potrai osservare ciò che vuoi, ma non chiedere perché non ti
sarà risposto". Detto questo si allontanò in fretta a piccoli passi.
Ragazzo avanzò adagio, cercando di seguire le orme del suo
interlocutore, ormai già praticamente svanito. Procedendo, la penombra si
faceva sempre meno intensa; poi, alla sua vista si aprì una stanza, piccola
per le sue dimensioni, ma brulicante dei piccoli mostri pelosi che già aveva
conosciuto, ognuno indaffarato nei propri affari. Nessuno sembrava aver
notato la sua presenza o, comunque, la sua presenza non aveva turbato in
alcun modo gli esseri pelosi.
La stanza era arredata come fosse un soggiorno, con tappeti, tavoli,
lampade, quadri, e quant'altro ci si aspetterebbe di trovare in un
normalissimo soggiorno; nel complesso dava un senso di ordine, se non fosse
stato per quel continuo e caotico via vai.
Lungo le pareti vi erano decine di scaffali di un legno scuro non
pregiato, o almeno così sembrava.
Sopra di essi non libri, ma sorprendentemente strani esserini, simili
nell'aspetto alle creature pelose, ma di statura di gran lunga inferiore.
Completamente ricoperti da una folta pelliccia bruna, con un grosso
pancione prominente, tanto che ricopriva completamente i piedi o qualunque
cosa avessero per sostenersi in posizione eretta, avevano una testa tonda
come un pallone, ma proporzionata al resto del corpo, da cui spuntavano
due lunghe orecchie a punta.
Sembravano quasi dei peluches, immobili, uno accanto all'altro. Il loro
unico movimento consisteva nella rotazione laterale della testa seguita da
una rapida risata, acuta ma flebile, e accompagnata da un annuire isterico.
Ciò avveniva in risposta ad un preciso comando dei mostri pelosi. Questi,
infatti, interrompendosi nel loro svelto incedere, rivolgendosi a loro dopo una
breve pausa, pronunciavano con vocina gracchiante la parola "Geritols" e
subito tutti gli esserini prorompevano nella loro risata.
L'impressione era che Geritols fosse il nome degli strani esserini.
Ragazzo non sapeva perché, ma era come se avesse la convinzione che
quella loro risata infondesse una sorta di energia vitale ai mostri pelosi, che
ne uscivano in effetti ricaricati e più scattanti. Forse non è casuale il fatto che
in quella famosa notte di febbraio del 2008 il titolo del libro magico avesse
mutato la parola da Geritols a Guaritori: in un certo senso i Geritols
avrebbero il potere di risanare e dare energia.
Questo il sogno di Ragazzo e questi i dati ad oggi disponibili su
questa storia.
Ma è stato solo un sogno? Esistono veramente i Geritols? Che ruolo
hanno nella nostra vita? Saranno loro i futuri dominatori del mondo, dopo
aver ridotto in schiavitù l'intera umanità?
Josephine L. Horselead, studiosa di scienze occulte e profonda
conoscitrice fin dall'inizio del fenomeno Geritols, intende andare a fondo
nella sua ricerca per portare un po' di luce in questo intricato mistero.
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Con intense sedute di ipnosi, sta cercando di scavare nella mente di
Ragazzo per carpirne i segreti, ancora non svelati, che conserva, suo
malgrado, nel proprio subconscio.
Attendiamo fiduciosi nuovi sviluppi sul caso, sebbene certi che forze
complottistiche agiranno nell'ombra con l'intento di nascondere agli occhi del
mondo l'inquietante verità.
P.S. quanto al legame tra i Geritols e il triste destino dello scoiattolo di
John Q., ...beh...questa è un’altra storia... ■
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▲ Albero contorto (Civita di Bagnoregio)
Foto di L. Pampaloni
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Presepio imminente
di Elisabetta Cesarini
Il Santo Natale è appena passato, in tutte le case si è già riposto in
qualche buio e polveroso angolo l’albero finto, tutte le sue decorazioni e
anche il vecchio presepe. I più nostalgici sentono ancora un nodo alla gola,
come quando erano bambini, ed iniziano a contare i giorni che mancano al
Natale 2010. Per non soffocare nella malinconia e mantenere vivo lo spirito
natalizio degno di tutti i Nonsocchì di Chinonsò, vi lascio un pensiero per i
prossimi festeggiamenti della Natività. Un’idea sulla quale potete iniziare a
meditare e addirittura lavorare. Un nuovo e fantastico Presepe, che potrà
rallegrare tutti quelli che si troveranno a passare le feste natalizie in casa
vostra, un “Presepe Imminente”.
L’idea non è mia ma è stata sviluppata nel 2006, proprio in occasione
del santo Natale da Elio e le Storie Tese.
Presepio imminente è un singolo composto dalla band milanese per il
Natale 2006. Il brano recita alcune parodie del Natale, tra cui i re Magi
guidati dal GPS, e le mummie che fanno il presepe. Inoltre, cita l'incipit della
voce Mirra di Wikipedia.
PRESEPIO IMMINENTE
Elio e le Storie Tese
Si dice che a Natale tutti quanti sono buoni
Chi fa l’albero, Chi fa il presepio
È la notte di Gesù
Per fare un bel presepio ti ci vogliono i pastori,
una capanna, Giuseppe e Maria ed il
piccolo Gesù
Per esempio un bel presepio
può costarti una fortuna
se ci metti l’asinello con il bue riscaldante
Sta scendendo già la neve
Buon Natale a tutti quanti
Rottamate il vecchio bove
e passate al riscaldante
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Il presepio è fantasia
ma ti costerà una follia
Perché un bove riscaldante
costa veramente tante
(Coro)
Presepio imminente
arrivano i tre Re Magi
guidati dal GPS
Donatori di doni regali
Ma la mirra che cos’è?
Gomma resina aromatica
estratta da un arbusto del genere combifora famiglia busseracee
che è usata dai Re Magi e nelle imbalsamazioni
Sta scendendo già la mirra
sulle mummie del presepio
non ti avevo ancora detto
l’ho ambientato nell’antico Egitto
Una mummia fa il pastore
l’altra mummia fa il pescatore
una mummia fa il laghetto
sono mummie molto brave
ma hanno un piccolo difetto … questo:
gli dai un dito e ti prendono un braccio
lo nascondono nel muschio
e lo devi ritrovar
Non perdere la calma, tieni conto che è una mummia
e se non ritrovi il braccio chiama il numero verde
"Pronto, qui emergenza mummie, dica..."
"Non ritrovo più il mio braccio!"
"Capisco, gliel'ha nascosto dentro al muschio, immagino..."
"Ma... scusi come fa a saperlo?"
"Siamo l'Emergenza Mummie, vuole che non so certe cose?!
La saluto, buon Natale!"
"Sì ma adesso come faccio?
Chi me lo riattacca il braccio?"
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(Coro)
Sta scendendo già l’incenso
È una Natale molto intenso
Sta scendendo pure l’oro
Buon natale tutti in coro
Sta scendendo già la mirra
io ci metterei la firma
Sta scendendo anche l’effetto
delle benzodiazepine
che il dottore mi ha prescritto
(Coro)
Guarda che Presepio Imminente ….
Buon Natale a tutti e Christmas with yours and Easter what you want. ■
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La Goebbelsiana
di Matteo Lorenzini
GOEBBELSIANA (dai 6 giocatori in su)
Regolamento per mazzo di carte francesi
Ai bei tempi del liceo, usava tra di noi sollazzarci durante le lezioni
con vari passatempi e giochi, taluni dei quali richiedevano l’uso di un mazzo
di carte. Uno dei giochi di carte più gettonati era, per la sua rapidità ma
anche in virtù della sua netta semplicità, la cosiddetta Hitleriana, una mano
secca con giocatore unico. Il giocatore pescava dal mazzo tre carte a caso:
se tra queste si trovava una carta prestabilita (usualmente il Jack di picche) il
giocatore aveva salva la vita. La Mano Hitleriana ebbe poi una fase di
oblio, tant’è che di recente alcuni di noi non ricordavano più questo
prestigioso gioco. Per fortuna, in occasione delle festività natalizie, esso non
solo è stato ripristinato, ma se ne è prodotta una versione nuova, la Mano
Goebbelsiana, assai più complessa e con insospettate caratteristiche di
crudeltà.
Come per l’Hitleriana, questo gioco è assai spietato. Sopravvive, nella
versione base, un solo giocatore, quello che ha tra le proprie carte, pescate
a caso dal mazzo, il Jack di picche, che nel gergo del gioco è detto il Genio
(pronuncia Ğenio con marcato addolcimento della G).
◄ Il Ğenio
Il gioco è diviso in tante mani quanti sono i giocatori. Per ogni mano,
uno dei giocatori, a turno, tiene il banco. Lo sviluppo base di ogni mano è
descritto nel seguito; ricordate che l’ultima mano del gioco è sempre
silenziosa (vedi poi).
VERSIONE BASE
Inizio della mano
Il giocatore che tiene banco mescola bene un mazzo da 54 carte
francesi, più i due jolly. Poi passa tra gli altri col mazzo tenuto a ventaglio,
facendo scegliere a tutti tre carte. Ogni giocatore pone le tre carte coperte
davanti a sé:
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(1)
(2)
(3)
Così fa anche, per ultimo il banco. La posizione delle carte è molto
importante nel gioco. Per riferimento nel seguito, abbiamo numerato le tre
posizioni che inizialmente sono assunte dalle carte.
Svolgimento della mano
Inizia la mano il primo giocatore dopo il banco, in senso antiorario.
Egli scopre una delle tre carte, a sua scelta. Ad esempio, può scegliere di
scoprire la (3). Tutti i giocatori dopo di lui, in successione, scoprono la carta
in posizione (3). Quando il giro è finito, ovvero quando tutti hanno scoperto
la carta in posizione (3), il primo giocatore sceglie un’altra carta e si
procede ad un nuovo giro. Se alla fine della mano nessuno ha trovato il
Genio, si procede con la mano doppia. Se invece il Genio è stato trovato da
qualcuno, il giro si interrompe e si procede con la salvezza.
Mano doppia
Se ci sono ancora carte disponibili (se i giocatori sono molti si può
integrare con un secondo mazzo, purché il dorso delle carte sia dello stesso
colore del primo), il banco fa scegliere a tutti i giocatori altre due carte. Le
carte già scoperte non devono essere spostate: posizionate le due nuove
carte, coperte, a destra delle altre:
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
A partire dal primo giocatore dopo il banco, si procede con lo
svolgimento della mano come precedentemente spiegato. Se il Genio non
esce, si procede con la mano tripla.
Mano tripla
Se ci sono ancora carte disponibili (se i giocatori sono molti si può
integrare con un secondo mazzo, purché il dorso delle carte sia dello stesso
colore del primo) si fa scegliere a tutti una ulteriore carta da mettere a
destra delle cinque scoperte:
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(1)
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(2)
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(3)
(4)
(5)
(6)
Si procede poi con lo svolgimento della mano già spiegato. Se al
termine della mano tripla il Genio non è uscito, nessuno dei giocatori è
sopravvissuto alla mano.
Salvezza
Nella versione base, di stampo hitleriano, si ha salvezza quando un
giocatore scopre il Genio. Nella Goebbelsiana, tuttavia, non è sufficiente il
rinvenimento del Jack di picche per sopravvivere alla mano. Quando il
Genio è stato scoperto, il giro si interrompe e si deve stabilire chi si salva
(ed è quindi vincitore della mano). Sono possibili due casi:
1) Il banco trova il Genio. In tal caso:
- se nessun giocatore ha carte bonus (vedi poi) il vincitore è il banco,
essendo con lui concluso il giro;
- se vi sono carte bonus, si procede come nel punto 2).
2) Un giocatore che non ha il banco trova il Genio. Il giocatore
successivo scopre la propria carta: se la carta è un Jack oppure una
picche, la salvezza passa a lui, altrimenti è vincitore chi ha trovato il
Genio. Nel caso in cui la salvezza sia passata al giocatore successivo,
tocca al giocatore ancora successivo scoprire la propria carta. Come
prima, se essa è dello stesso numero o dello stesso seme della
precedente, egli guadagna la salvezza strappandola al precedente,
e così via. Il giro si interrompe se:
- un giocatore non trova una carta dello stesso numero o dello stesso
seme della precedente. In tal caso, sopravvive l’ultimo che ha
ricevuto la salvezza;
- si giunge al banco. In questo caso, se tutte le carte sono state
scoperte e non vi sono carte bonus, il vincitore è il banco. Se è
invece possibile continuare con un nuovo giro, si prosegue. Se non vi
sono carte coperte ma vi sono carte bonus, si prosegue con queste,
sempre in senso antiorario, fino al loro esaurimento. Se anche
queste si esauriscono e la catena stesso numero-stesso seme non si è
interrotta, si salva l’ultimo che scopre una carta.
Carte bonus
Sono carte aggiuntive che possono essere date ad un giocatore in
conseguenza di alcune Regole Speciali (vedi sotto). Sono riconoscibili perché
disposte, coperte, sotto le altre carte scoperte. In ogni caso, non si possono
scoprire carte bonus finché ci sono altre carte da scoprire nelle posizioni
valide di gioco.
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REGOLE SPECIALI
Le Regole Speciali completano il regolamento della versione base e
stabiliscono quali conseguenze sono da mettere in atto a seconda delle carte
che sono via via scoperte dai giocatori. Si vedrà che può accadere che
svariate carte occupino una stessa posizione. In tal caso, nello scoprire questi
gruppi di carte, si deve aver cura di girarle una per volta, applicando a
ciascuna la relativa regola. In particolare, se si scopre il Genio, non si può
continuare a girare le carte del gruppo, ma si passa subito all’attribuzione
della salvezza.
1) Per regola di gioco, possono essere sempre introdotte nuove regole,
purché vi sia l’accordo della maggioranza dei giocatori e non vi sia
incompatibilità con le regole qui esposte.
2) Si hanno bonus particolari se un giocatore, scoprendo una carta,
ottiene con le altre carte scoperte uno dei seguenti punti (i jolly
possono essere impiegati per ottenere i punti, purché se ne dichiari il
numero ed il seme; inoltre possono essere usati in questo modo solo
una volta):
- COPPIA: il giocatore che ottiene una coppia, prende una delle carte
coperte del giocatore alla propria destra e la pone, coperta, tra le
proprie carte, in una delle posizioni ove si trovino ancora carte
coperte. Se non vi sono posizioni ancora occupate da carte coperte,
la carta prelevata al giocatore successivo deve essere messa,
coperta, sotto una delle carte scoperte:
(1)
(2)
(3)
Le carte così disposte sono dette carte bonus. Esse possono essere
impiegate solo quando tutte le altre carte in gioco, di tutti i
giocatori, sono state scoperte. Se il giocatore è l’ultimo della mano,
ovvero tutti hanno già scoperto tutte le carte, egli può prendere dal
mazzo una carta e girarla immediatamente. Se vi è il Genio, si
scoprono le eventuali carte bonus in gioco e si attribuisce la salvezza.
Altrimenti, si prosegue con la mano doppia, tripla ecc. Il giocatore cui
è stata sottratta la carta la reintegra prendendola dal mazzo.
- TRIS: si prendono due carte coperte, una per ognuno dei due
giocatori alla propria destra. Si procede poi come spiegato per la
COPPIA.
- SCALA: si ha scala se, scoperte tutte le carte che si hanno, esse sono
in scala anche alla rinfusa. In tal caso, tutti i giocatori ricevono una
carta coperta da porre a sinistra delle carte scoperte. Le posizioni a
sinistra delle posizioni ufficiali sono riservate a questo tipo di carte
aggiuntive, che per il resto devono essere viste come normali carte di
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mano. Quindi può accadere, ad esempio, che la prima mano si
concluda non dopo aver scoperto tre carte, ma dopo averne scoperte
quattro (una delle quali a sinistra delle posizioni ufficiali).
-COLORE: si ha colore se, scoperte tutte le carte che si hanno, esse
sono dello stesso seme. In tal caso, tutti i giocatori ricevono due carte
coperte da porre nelle due posizioni a sinistra delle carte scoperte.
- DUE DI PICCHE: chi scopre questa carta, non può vincere scoprendo il
Genio. Questo non impedisce che possa essergli passata la salvezza,
o che egli possa passarla al successivo giocatore.
- COPPIA DI JOLLY: con una coppia di jolly, anche se uno dei due è
già stato dichiarato, il giocatore può scegliere di scambiarsi di posto
con un altro giocatore (scambiando quindi anche le carte).
3) Si hanno bonus particolari se una serie di giocatori scopre in
successione carte che formano un punto (si intende all’interno dello
stesso giro). Il punto assume valore solo al momento in cui è scoperta
la terza carta della serie. Un esempio può essere il seguente: il
secondo giocatore del giro scopre un sette di cuori, il terzo un otto di
fiori, il quarto un nove di cuori. A partire da questo ultimo giocatore,
si configura il punto di scala. Si prosegue poi scoprendo le carte
successive finché non si interrompe la scala od il giro. L’ultimo
giocatore a far parte del punto di scala è il vincitore della scala. Egli
riceve una carta coperta da tutti i giocatori che hanno fatto parte
del punto. Se questi non ne hanno, riceve altrettante carte dal mazzo
del banco. I giocatori che cedono carte le reintegrano prendendole
dal mazzo. I punti che possono costituire SERIE sono i seguenti: SCALA
e COLORE.
4) QUARTETTO IN SERIE: quando quattro giocatori scoprono in
successione quattro carte di numero uguale nello stesso giro, l’ultimo
vince il quartetto. Il vincitore prende una carta dagli ognuno degli
altri tre giocatori della serie, che poi la reintegrano prendendola dal
mazzo del banco. Se i giocatori non ne hanno, prende tre carte dal
mazzo del banco.
5) ERRORI: qualsiasi errore commesso da un giocatore nel corso della
mano, ad esempio sbagliando l’ordine di alzata delle carte bonus, o
alzando una carta nella posizione sbagliata rispetto alla scelta del
primo di mano, deve essere segnalato dagli altri giocatori con
l’espressione: “Oh Genio!”. In tal caso, chi ha commesso l’errore viene
escluso dalla mano in corso.
6) SILENZIO: l’ultima mano di ogni partita, e comunque ogni mano la cui
prima carta scoperta è una donna di cuori (detta nel gergo del gioco
la Ğianna), è una mano silenziosa. Nessuno, nel corso della mano, può
proferire parola, pena l’esclusione dalla mano. Unica eccezione, la
frase “Oh Genio!” impiegata per segnalare un errore di un
giocatore.
Ringrazio tutti i giocatori che hanno preso parte all’elaborazione del
corpus di regole sopra riportato, richiedo anzi, a chi vi ravvisasse errori, di
darmene sollecita notizia. Buon gioco e…sopravvivete! ■
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[ homeloving pleasure >
▲ Nazca (Perù)
Il Ragno, uno dei più bei disegni tracciati nel deserto dalla misteriosa ed enigmatica civiltà di Nazca. Foto di E. Campagna 20
ANNO I NUMERO 2
Gennaio 2010
[ homeloving pleasure >
Cresciolandia
Ricette, storia, tradizioni e cultura di Urbino
di Elisabetta Cesarini
CICCOL CICCOL
Ciccol ciccol mascherina
s’en-c’è l’ov c’è la galina.
El maial l’avet masat
su pel mur l’avet tacat.
Se me chiappa la fantasia
sensa ciccol en vagg via.
Ciccol. Piccolo pezzo di lardo o di carne di maiale in genere. Da qui:
«Ciccol, Ciccol», «Gi’ al ciccol», antica tradizione carnevalesca che consiste
nel mascherarsi e nell'andare di casa in casa a piccoli gruppi festeggiando il
carnevale e chiedendo uova, lardo, salsicce in segno di prosperità per il
nuovo anno.
Un po’ di storia…
II "Ciccol-ciccol" era una sorta di questua carnevalesca fatta casa per
casa, da quasi tutti i bambini, che oltre al guadagno, si divertivano
mascherandosi. Per la scelta dei costumi vi erano poche alternative, di solito i
maschi si vestivano da donna e viceversa, la maschera era per tutti la stessa,
veniva infatti ritagliata con precisione dalle copertine nere dei quaderni del
patronato scolastico.
I bambini dividendosi in gruppi di due o tre ed orientandosi in punti
diversi della città, bussavano nelle case, recitando una nenia di origine
contadina, ma riproposta fedelmente dai bambini di città. Le offerte
potevano essere in denaro o anche in natura, ben voluti il lardo le uova o le
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[ homeloving pleasure >
salsicce, di sicuro bottino più magro i dolcetti e le cresciole (tipico dolce di
Carnevale).
In alcune famiglie particolarmente disagiate e con numerosi figli la
"questua" si protraeva per tutta la settimana di Carnevale. Questa entrata
straordinaria permetteva di aumentare per un breve periodo il magro
bilancio familiare.
Ancora oggi i bambini urbinati fanno questa questua, limitandosi però
a bussare nelle case di amici e conoscenti del vicinato, o addirittura tentando
la fortuna in negozi e botteghe.
CRESCIOLE di Carnevale
Uno dei dolci urbinati tipici di carnevale sono le Cresciole (quale altro nome
potevano avere?!?) .
Dolci simili si preparano nel periodo carnevalesco un po’ in tutta Italia con
diversi nomi da sud a nord, per citarne alcuni, frappe, cenci, chiacchiere,
bugie o sfrappole ecc...
Unite sulla spianatoia farina, uova, limone grattugiato e un pizzico di sale,
impastate e stendete la sfoglia il più possibile sottile.
Tagliate quindi dei rettangolini di sfoglia, o se preferite, usate un piattino da
frutta per ritagliare dei cerchi.
Friggete in olio ben caldo (o meglio ancora, usate lo strutto per la cottura)
per poche decine di secondi, finché non inizierà una leggera doratura.
Quando sono ancora ben calde cospargete le cresciole rigorosamente con
zucchero semolato.
… nel prossimo numero del Felicione, parleremo di Crescia di Pasqua e
colazione pasquale… ■
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Dall’acqua
Secondo Episodio
di Matteo Lorenzini e Lorenzo Mereni
Ara fiutò distrattamente nel vento caldo della sera, poi si accovacciò
ai piedi del lungo gradino di pietra scolpito nello zoccolo della scogliera. Il
bel cane dal pelo raso, color del miele, mostrava una vaga inquietudine
negli occhi azzurri e liquidi.
Caris ne era cosciente. Ne aveva sentore da giorni ormai. Il mare
era montato fino a divenire rabbioso, l’orizzonte era strappato da strisce
violacee là dove, si dice, oceano e cielo si abbracciano. Perfino nelle buie
macchie tra le palme, o nei fitti boschi di eucalipto, l’umidità era
insopportabile: Ara soffriva per la pesantezza dell’aria, il suo bel manto
sembrava fuori luogo e inverosimile e il cane, contrariamente alla sua indole
nervosa, sbuffava placidamente disteso.
Strano. Ecco la parola giusta, pensò Caris, mentre accarezzava il
collo robusto dell’animale. Tutto è molto strano. Silenzio, quiete, poi furia e
tempesta, e poi questa atmosfera elettrica, disagevole. C’è qualcosa di
estraneo stamattina attorno al Mondo, qualcosa di innaturale, soffocante e
vizzo, come una cintura magica di quelle che difendono le Antiche Mura.
Nel corso dei suoi vent’anni, Caris non aveva mai visto in faccia il
male. C’era in tutti i suoi conoscenti, ed in genere in tutti gli abitanti del
Mondo, una tangibile ritrosia a parlare del male, quasi che bastasse
nominarlo per trovarselo davanti; era naturale quindi che lei non ne sapesse
molto. Nondimeno, il male aveva vissuto negli incubi infantili di Caris, e poi
era tornato a trovarla nei suoi più intimi pensieri di adolescente,
configurandosi come un terrore istintivo, un gelo atavico attorno alle tempie.
Aveva vissuto una specie di latente attesa, poiché immaginava che prima o
poi anche lei ne avrebbe fatto esperienza.
Strano. Male. Sono due parole antiche, ho imparato tramite esse e con
lo studio come certi significati non sono eterni, mutano col mutare delle storie.
Cambiano perché dipendono dalla storia degli uomini e del Mondo. Anche
Mondo è una di queste parole. Gli antichi credevano che il mondo fosse vasto e
pieno di vita, perciò dicevano ‘tutto il mondo’, come per dire ‘tutto quello che
c’è’. Ma oggi il Mondo è la nostra isola, e sappiamo bene che intorno ad essa
è il mare e solo il mare.
Caris aveva studiato a lungo gli Antichi Testi, suo padre l’aveva
spronata a farlo, e l’aveva aiutata laddove certi concetti, certi significati le
erano parsi ermetici. Sebbene da quelle pagine corrose le parlasse un
universo distante, fittizio, per molti versi incomprensibile, ella non aveva
desistito, e tramite l’apprendimento la sua coscienza si era di molto
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[ homeloving pleasure >
allargata, la sua fronte si era aperta e molte cose avevano trovato un nuovo
luogo in essa. Era importante che lei leggesse, come suo padre le diceva con
gentile insistenza. Nel Mondo non erano in molti a poter studiare, gran parte
della gente lavorava per la comunità, pochissimi sapevano leggere; e
cionondimeno era importante, vitale, irrinunciabile leggere. Tutto in quelle
pagine poteva essere utile. Tutto poteva essere una chiave.
Una chiave. Ma per aprire che cosa? Forse i miei studi sarebbero più
proficui, se ne conoscessi il motivo. Certo, lo so, ha a che fare col male. Ma chi
o che cosa è poi questo male? Come sempre in passato, le Grandi Teste ci
proteggeranno, nessuno può sfuggire al loro sguardo. Le Teste di Bertram sono
più alte e più nobili e più potenti di qualsiasi nemico.
Ma anche mentre pensava così, Caris si sentiva esposta, fragile, sola
davanti alla distesa eguale del mare. Forse, poteva essere… che le Teste
non avessero sempre il controllo. Ara ebbe un fremito improvviso, forse
prurito o il fastidio d’un insetto. Ma no, no, nessuno avrebbe potuto dubitare
delle Teste. Sarebbe stato come non credere in Bertram, al Tempio
l’avrebbero considerato follia, ed in fondo anche suo padre non aveva mai
parlato esplicitamente contro Bertram il Benedetto. Contro i preti del
Tempio, sì, certo, ma non…
Ara interruppe il filo dei pensieri di Caris, alzandosi
improvvisamente sulle zampe, orecchie dritte ad ascoltare suoni inudibili per
un uomo. Il cane non esitò a puntare l’orizzonte, tese il dorso e proruppe in
violenti guaiti, abbaiando furiosamente tanto da esserne scosso. Digrignava i
denti in modo orribile e disperato, e Caris ne fu terrorizzata, poiché non
l’aveva mai visto comportarsi così.
Cercò di avvicinarsi alla bestia per calmarla, provò ad accarezzarle
il dorso; ma Ara scosse bruscamente il muso e la colpì per allontanarle la
mano, come per dire ‘sta’ indietro’. A chi abbaiava? Niente si vedeva sul
mare, niente si muoveva sulla spiaggia, e tutto sembrava inerte, ad
eccezione delle onde risonanti e degli strappi purpurei nel cielo.
Istintivamente Caris si percepì respinta, e lentamente arretrò verso la
scogliera.
Per un attimo Ara rimase in silenzio, teso some la corda di un arco di
cocco. Poi un’onda più lunga strisciò fino a lambire le zampe chiare e in
quella, Caris lo sentì con disarmante impotenza, si nascondeva il male. Eccolo
là, infine. Era il momento di conoscerlo, come era accaduto ad Eva, la prima
donna. Trattenne il fiato, si aggrappò con forza alle sporgenze degli scogli
per non essere precipitata in un abisso di trasparente e incosciente follia; e
dentro di sé gridò per avvertire Ara, per distoglierlo, per salvarlo.
Ma il cane biondo, come già Europa millenni prima, condotto da
forze invisibili contro la propria cosciente volontà, immerse le zampe nel
liquido spumoso. Non volse neppure il muso verso il Mondo, sparì nella
profondità marina, e intorno aveva lasciato un velo di terrore disumano, una
cortina lacera nella trama del cielo.
Le palme compresse sulle tempie, i gomiti appoggiati alle ginocchia
strette, Eri, la madre di Caris, fissava un punto vuoto sopra la dispensa. Nei
suoi occhi, oltre i lineamenti contratti, si agitava un lucore grigio di terrore.
Un ricordo soppresso ed esiliato nel regno degli incubi dimenticati adesso
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riaffiorava incontrastabilmente. Ciò che era accaduto ad Ara non poteva
essere frainteso. Il cane aveva incontrato il Male che sale dall’acqua.
Caris, sconvolta, sedeva al tavolaccio di palma della cucina. Accanto
a lei, in piedi, il padre si massaggiava un polso, sul volto un’espressione
interlocutoria. Più lontano, appena fuori della porta, il piccolo Puolki
piangeva a singhiozzi violenti, disperato come solo possono esserlo i
bambini, chiamando a tratti con voce rotta il bel cane che non avrebbe più
fatto ritorno.
E tutt’intorno, nella stanza buia, attorno al tavolo, sotto la veranda di
legno dipinto e nel piccolo giardino coronato di tamerici, una calma irreale.
Caris e suo padre sedettero in disparte nell’orto dietro le tamerici. Il
sole basso sull’orizzonte filtrava di sotto le lunghe nuvolaglie viola, stirate
dal vento. L’uomo, di nome Vida, aveva lineamenti semplici, netti, ed uno
sguardo limpido da sapiente. Da molto seguiva l’educazione alla lettura
della figlia, talvolta con un’inspiegabile affannata severità. Adesso era
incerto, forse le avrebbe rivelato il motivo di tutto quanto, anche se per tutta
la vita aveva sperato di non doverlo fare. Perché, come un vecchio adagio
recita, a volte l’ignoranza è causa di felicità.
Caris lo studiava con apprensione. Superato il primo momento di
terrore, adesso era di nuovo in sé; era addolorata per la sorte toccata ad
Ara, ma capiva l’importanza del momento, verso il quale forse l’intera sua
esistenza convergeva. La pace del Mondo era stata turbata, ed adesso era
compito di suo padre decidere la prossima mossa.
Il male è venuto, alla fine. Terrore…ripeto le preghiere che mi hanno
insegnato al Tempio…Confido nelle Grandi Teste, confido in Bertram il
Benedetto, che ci ha dato il Sigillo che tiene lontana l’Acqua. Confido nei Preti
del Tempio, nella Chiesa Santa che cinge il Mondo con la magia. Aspetto il
perdono dei peccati e la Vita che verrà nel Mondo.
Fu lui a rompere il silenzio.
- Devo andare all’Accademia, gli altri devono sapere. E’ necessario
che ci riuniamo tutti là, li farò chiamare. Loro, ed i loro figli. –
Poi la guardò intensamente, cercando di tranquillizzarla.
- Anche tu verrai con me. –
Percorsero insieme a piedi il sentiero occidentale fino al lago tondo.
Nel tragitto non scambiarono parole, e Caris ebbe tempo per riflettere.
Vida era il capo degli uomini dell’Accademia, oltre la cresta del lago tondo.
Nessuno era mai invitato là, ed i compagni di Caris, al Tempio, dicevano che
il misterioso luogo era sede di attività illecite e grottesche, perfino criminali.
Erano indotti a pensare così dai preti del Tempio, che da sempre avevano
combattuto contro l’influenza degli scienziati dell’Accademia. Vida,
d’altronde, le spiegava che lui ed i suoi compagni studiavano la natura, le
leggi del mondo e, soprattutto, gli antichi testi. E che non doveva dar troppo
ascolto ai preti, perché sebbene in parte il loro insegnamento fosse utile e
profondo, troppo poco conoscevano della realtà delle cose. Soprattutto, egli
s’inalberava quando le sentiva pronunciare il nome del Benedetto. Secondo
lui, il culto di Bertram era solo una sciocca superstizione. Ma quando Caris lo
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pregava di spiegarle perché non credeva in Bertram, Vida distoglieva lo
sguardo e soggiungeva tra i denti:
- Forse un giorno te lo spiegherò. –
Giunsero al lago, e qui Vida incaricò alcuni vetturini di chiamare ad
assemblea gli altri scienziati del Mondo. Poi, partiti i messaggeri, si rivolse
alla figlia.
- Adesso, Caris, ti porterò nelle sale dell’Accademia. Se lo faccio è
perché mi serve il tuo aiuto, e devi credermi, avrei preferito non averne mai
bisogno. So che mi obbedirai, se ti chiedo di non rivelare mai a nessuno
come vi si entra. –
La ragazza annuì, ma adesso la curiosità che per anni l’aveva
divorata era scomparsa. Non era più impaziente di penetrare i segreti del
padre, provava riluttanza, ed il cambiamento che percepiva attorno la
turbava.
L’ingresso alle sale era ben nascosto. Vi si accedeva tramite una
piccola grotta appena visibile sulla sommità della scogliera esterna, un
basso passaggio tra le rocce, poco più di una crepa. Poi, la crepa si
allargava e serpeggiava nel profondo, fino ad una grande porta bruna.
Nella penombra non si distinguevano maniglie, ma Vida estrasse da una
tasca una tessera e la avvicinò ad uno stipite. Immediatamente, la porta si
aprì con un sordo clangore.
L’ambiente sotterraneo che trovarono oltre la porta era per Caris
del tutto assurdo. Non fosse stato per le sue letture, ella sarebbe fuggita via
terrorizzata. Ma la grande sala illuminata da luci elettriche, le cui pareti
anziché di legno o roccia erano fatte d’acciaio, non le era del tutto nuova: le
ricordava gli ambienti di alcuni romanzi e racconti, o le descrizioni di
opuscoli e resoconti, e le sembrava come se d’improvviso tutto ciò che aveva
sempre immaginato leggendo si fosse materializzato intorno a lei.
Conosceva i nomi di molti degli oggetti che vedeva nella sala, schermi,
tastiere, microfoni, scrivanie, fogli, penne, perfino quello che sembrava un
elaboratore elettronico, assieme ad altre macchine o strumenti dei quali
invece non indovinava la funzione. Guardava intorno a sé estraniata, come
una Alice nel paese delle meraviglie della quale si ricordava di aver letto.
Vida le fece strada oltre la sala, in un breve corridoio, fino ad
arrivare in una piccola stanza illuminata da luci morbide, probabilmente il
suo ufficio. Su una parete, Caris vide una fotografia della madre, molto più
giovane, con in braccio una bambina bionda. Non aveva mai veduto niente
del genere, e rimase molto impressionata da quell’immagine che la ritraeva
da piccola. Ignorava quasi del tutto il proprio aspetto, ma riconosceva
chiaramente il proprio sguardo negli occhi della piccola creatura, ed anzi su
un’altra parete riconobbe nella foto di un bimbo in fasce l’espressione di
meraviglia che contraddistingueva da sempre Poulki.
Vida le offrì una sedia, e Caris vi si accomodò: l’insolita sensazione
di gelo che le venne dal contatto con la superficie metallica le sembrò
innaturalmente crudele.
- Immagino di doverti una lunga spiegazione, Caris. C’è tempo per
parlarne, prima che gli altri siano qui. Ed anche gli altri spiegheranno tutto
ai loro figli.26
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La ragazza era immobile, solo lo sguardo trasmetteva al padre un
misto di sgomento e attenzione, nel tentativo di essere pienamente
all’altezza della situazione.
- Non so… come iniziare. D’altronde, i tuoi studi sui testi antichi
dovrebbero facilitare il compito. Non so se tu ti sei mai fatta un’idea..di ciò
che leggevi in quelle antiche pagine… - L’uomo si arrestò, poi sembrò che
cambiasse idea. – Dimmi tu. Come pensi sia nato il Mondo? Caris rimase interdetta. Non immaginava di dover rispondere a
delle domande; per un lungo istante si affannò a riordinare i pensieri, poi la
lezione appresa al Tempio le affiorò naturalmente alle labbra.
- Credo…ecco, il Mondo è nato per volere del Creatore. Sì. Egli pose
gli uomini nel Paradiso Terrestre, e là vissero a lungo finché, a causa delle
loro azioni malvagie, venne il Male a cacciarli dal creato. Così essi, guidati
dal Benedetto, giunsero al Mondo e qui rimasero al sicuro, protetti dal
Sigillo. Ecco come credo sia nato.Il volto di Vida si contrasse in una smorfia.
- Bene, Caris. Bene. In linea generale la tua spiegazione si avvicina
alla realtà; ma molti particolari piuttosto importanti non sono esatti. E’ vero,
ad esempio, che prima l’umanità non viveva nel nostro piccolo Mondo, anche
se non si può affermare che risiedesse in un Paradiso Terrestre. Prima, gli
uomini occupavano terre tanto vaste che tutto il nostro Mondo era
considerato solo una piccola isola sperduta, quasi completamente disabitata.
A quei tempi, tutto ciò che vedi qui all’Accademia era parte della vita di tutti
i giorni. Poi, come tu hai detto, salì il Male dalle acque. Non sappiamo
perché, ma non penso sia dovuto alla malvagità umana. Ad ogni modo
accadde, e ne seguì un disastro, una carneficina, una piaga immane. In pochi
sopravvissero, e fuggirono qui nella speranza di salvarsi; e se questo è
innegabilmente avvenuto, ancora una volta non so dirti perché. Forse hanno
ragione i preti, ed è il Sigillo che ci protegge; ma noi accademici non ci
siamo mai fidati molto della magia, e temevamo che prima o poi anche il
Sigillo non sarebbe più stato sufficiente. E direi che oggi purtroppo è giunta
la dimostrazione che non ci sbagliavamo. –
La ragazza era immobile sulla sedia, lo sguardo fisso sul padre, le
nocche delle mani sbiancate dalla forza con cui stringeva i braccioli. Sapeva
che quel che diceva il padre, per quanto terribile, era la verità. In fondo,
tutto intorno a lei ne era la prova.
- I preti non sono esatti neppure nella cronologia. Sai quanto tempo è
trascorso dai tempi della fuga su quest’isola? –
- Non so, molto tempo immagino. Tante migliaia d’anni..- I nostri antenati giunsero qui esattamente centosei anni fa. Come
vedi, non è molto tempo. –
Caris ebbe un moto di rifiuto.
- Non è possibile! E le teste di Bertram allora? Anche tu mi hai sempre
detto che hanno migliaia d’anni! –
- E’ così infatti. Ma non hanno nulla a che fare col benemerito
simpaticone che ami nominare tanto spesso. Erano qui molto prima che ci
venissimo noi, furono scavate nella pietra e poi alzate dappertutto sull’isola
per motivi che non conosciamo, da uomini vissuti in un lontano passato. Devi
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averne letto qualcosa sulle riviste che ti ho passato, ed è strano che non
l’abbia capito da sola. –
Caris avrebbe voluto protestare. In fondo, che valore avevano per
lei gli antichi testi? Erano sempre stati come fantascienza, teatro dell’assurdo.
Come avrebbe potuto immaginare quanto invece erano reali? Ma Vida
riprese a parlare con sollecitudine.
- A condurre gli uomini in quest’isola sembra sia stato davvero, in
fondo, quel bellimbusto di Bertram. Ti sorprende che lo ammetta? Beh, anche
lui ha avuto la sua parte. Questo non c’interessa ora. Quello che dobbiamo
fare, che tu e gli altri dovete aiutarci a fare, è capire. Perché non sappiamo
più dove fuggire. –
Il padre la guardò intensamente, e Caris dovette distogliere lo
sguardo. Sulla scrivania vedeva penne e fogli fittamente ricoperti di lettere,
numeri e strani segni che non conosceva. Come poteva essere d’aiuto lei, che
di tutto quanto non sapeva che quel che il padre le aveva appena rivelato?
Vida interpretò correttamente la sua perplessità.
- Immagino che ti stia chiedendo che genere di aiuto puoi darci. Forse
potrò spiegarti meglio quando avrai visto il Sigillo. –
Caris trasalì.
- Il Sigillo? Quel Sigillo? E’ qui?- Certo. Non lo hanno i preti nel Tempio, questo è certo. Vieni con me.Senza aggiungere altro, Vida si alzò e imboccò il corridoio, seguito
dalla figlia.
Il sacro Sigillo di Bertram! La chiave della salvezza, la protezione
dall’Acqua! Possibile che non sia nel Tempio? Mio padre è pazzo, come
pretende che io creda anche a questo… Il Sigillo non può essere osservato,
toccato, è sacrilegio, non è materia di questo Mondo. Non posso credere che…
- Che cosa dicono i tuoi preti del Sigillo, Caris?- Dicono che è sacro, dicono che è l’abbraccio nel cielo dell’Orsa e del
Leone. Bertram l’ha dato a noi perché ci difendesse.Entrarono in un grande laboratorio pieno di grandi strumenti
ronzanti. Molti oggetti vi erano racchiusi in teche climatizzate, illuminate da
deboli lampade rosse. Da una di esse, il padre di Caris estrasse una piccola
scatoletta metallica e l’aprì con uno scatto. Poi la posò su un basso tavolo in
modo che Caris potesse osservarne il contenuto.
La ragazza osservò a lungo l’oggetto che pareva ipnotizzarla. Si
trattava di un piccolo pugnale col manico d’osso, su cui erano incisi due
animali in lotta. Un’orsa ed un leone. Sembrava un comune coltello, ma era
impossibile non sentire l’oscuro fascino che da esso sprigionava. Il padre, con
un inconsueto gesto affettuoso, le carezzò una guancia.
- Dev’essere dura per te. Prendilo pure in mano, se vuoi. Anch’io ne fui
completamente ammaliato, la prima volta che lo vidi. E’ grazie a lui che ho
accettato il fatto che la nostra scienza non sa spiegare tutto.Caris sollevò il pugnale. Era leggero e robusto, e sembrava
antichissimo.
- Orsa e leone. Tutto torna, ti pare? Abbiamo studiato per cento anni
questo coltello, abbiamo indagato la natura del suo potere ed abbiamo
raccolto tutte le possibili informazioni sul Male. Capire è l’unico modo che
abbiamo per proteggerci. E qualcosa abbiamo capito. Il coltello è parte di
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[ homeloving pleasure >
un piano, di un disegno. E’ come un gioco, ma infinitamente complesso e
vasto. Prima del disastro, alcuni studiosi avevano ipotizzato l’esistenza di
questo gioco. Era nelle possibilità della mente umana e nella trama della
natura, era lì ed alcuni ne intravidero il bandolo. Fu chiamato Gioco delle
Perle di Vetro. I giocatori erano le maggiori menti del mondo, ed esso
procedeva per simboli, interconnessioni, fascinazioni. Una sorta di magia,
insomma. Ma il disastro interruppe il gioco. Adesso sappiamo che quel gioco
è l’unica nostra possibilità di salvezza. Dobbiamo capirne le regole,
ritrovarne i simboli. Due di essi sono già stati individuati, e non ti
sorprenderà sapere che sono…- L’Orsa ed il Leone.- Precisamente. La tua intelligenza ci sarà preziosa. Riesci a capire
adesso? Devono esserci altri simboli, quei due non sono più sufficienti. E se ne
esistono altri, devono essere sparsi nella storia dell’uomo. Non eravamo
abbastanza per cercarli, non avevamo tempo per leggere. Perciò vi
abbiamo educato con gli antichi testi. Adesso dovete aiutarci nel Gioco. Voi
soli che avete letto conoscete tutto del mondo, noi possiamo insegnarvi le
regole, dirvi quello che abbiamo imparato. Ma sta a voi completare il
disegno. –
Vida aveva uno sguardo visionario, quasi mistico. Per un istante,
Caris fu sul punto di dubitare di nuovo della sua salute mentale. Ma era
chiaro che il padre faceva affidamento completo su di lei, e questo in
qualche modo la fece sentire parte di quello strano luogo, parte di quel folle
gioco e parte dell’Accademia. Sorrise.
Dall’altra parte del laboratorio, una luce bianca sembrava
provenire da una finestra. Caris si avvicinò e scoprì che non si trattava di una
finestra ma di una grande lastra trasparente. Vetro? La ragazza non ne
aveva mai visto un pezzo tanto grande e tanto puro. Dopo un primo
momento di incredulità, si avvide che oltre la lastra, in una piccola cella
illuminata, stava seduta una figura silenziosa. Minuto, curvo e scuro, un
ometto d’età indefinibile le puntò addosso uno sguardo inespressivo. La
ragazza istintivamente arretrò d’un passo, interdetta.
Vida la raggiunse e le cinse le spalle per rassicurarla.
- Chi è? Perché è rinchiuso? –
Il padre sorrise, tra il beffardo ed il compassionevole. Fissò la figura
rattrappita e silenziosa.
- Come, non lo riconosci, il tuo benedetto Bertram? Proprio in quel momento suonò l’allarme. Le luci artificiali che tanto
avevano impressionato Caris si spensero improvvisamente e se ne accesero
altre intermittenti rosse accompagnate da un suono forte e disturbante.
- Oh no…- trasalì Vida – Presto ai rifugi! Ai rifugi!- Ma… il sacro Bertram, padre..- Non può accadergli nulla…corri ora!Padre e figlia si lanciarono in una corsa disperata verso i rifugi, situati
proprio sotto le teste di Bertram, sulle costa, lungo l’alta scogliera. Lo stesso
stavano facendo in molti, tutti gli abitanti dell’isola, mentre dal mare saliva
un’oscurità che faceva ribollire le acque.
-Non guardare giù, continua a correre- le urlò il padre. Ma mentre
correva Caris poteva sentire, al di sopra del proprio cuore che le pulsava
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nelle orecchie, la scogliera che scricchiolava e si sgretolava sotto il peso
insostenibile di quella oscurità strisciante. In distanza poteva vedere le teste
e la gente che si affrettava ad infilarsi nelle botole dei rifugi. Il cielo aveva
assunto un strana tinta rossastra e la luce stava velocemente scemando.
Erano ormai prossimi alle teste quando udirono dietro di loro una voce che li
chiamava urlando di aspettare. Vida si voltò e scorse sul sentiero Locos, uno
dei bibliotecari che probabilmente come loro giungeva dal tempio ed allo
stesso modo era in ritardo rispetto agli altri. Intanto una testa sbucava dalla
botola insieme ad un braccio che sventolava convulsamente:- Avanti! Veloci!
Dobbiamo chiudere!-.
Vida aiutò Caris ad entrare nella botola, poi scese lui stesso lungo le
scalette di metallo arrugginito, non entrando però completamente per
permettere a Locos di raggiungerli, mentre questo gridava disperato di non
chiudere la botola. – Per carità! – gridavano da sotto – chiudete! Chiudete o
moriremo tutti-. L’oscurità aveva fagocitato tutta l’isola e stava avvicinandosi
al rifugio da ogni lato.- Mi dispiace- disse tra sé Vida, ma rivolto a Locos, e
mentre il mondo esterno si riduceva ad una sottile fessura, l’ultima cosa che
vide fu lo sguardo terrorizzato del loro compagno. Lo sportello si chiuse. Per
alcuni istanti sentirono colpi sul metallo, poi il silenzio. Nel buio del rifugio gli
unici rumori erano i respiri affannosi dei presenti. Poi la quiete innaturale fu
rotta da un urlo che ben poco aveva ormai di umano:
-Oddio gli occhi! Quanti occhi! Lasciami stare, lasciami sta…E di nuovo il silenzio.
Vida prossimo ad un collasso nervoso cercò intorno a sé la solidarietà
di uno sguardo, una faccia amica. Ma il rifugio era buio, intorno a sé aveva
soltanto fitte tenebre ed un’opprimente senso di vuoto. Una domanda gli
martellava la testa: perché gli allarmi avevano suonato così
intempestivamente? Perché Bertram aveva fallito?
-.John non lo sapeva, ma quella sensazione di forza e sicurezza in se
stesso che provava dal primo momento in cui aveva stretto in mano l’elsa del
pugnale ritrovato nel suo stomaco presto lo avrebbe portato a compiere il
suo primo omicidio. Era passato ormai un mese dall’operazione. Era stato ai
controlli settimanali ed i medici, quei simpaticoni, gli avevano detto che era
sano come un pesce e che la velocità con cui le ferite si erano rimarginate
rendendo inutili i punti di sutura aveva del miracoloso: evidentemente aveva
un sangue molto buono.
Aveva fatto montare una lama sul pugnale, un lama ornamentale che
non tagliava bene, ma pazientemente, con la fresa che aveva a casa,
l’aveva affilata con una abilità che non sapeva di avere ed adesso l’arma
aveva riacquisito la sua antica dignità. Recentemente John si sentiva capace
di tutto…non che fosse una sensazione del tutto nuova, non era
costantemente depresso, solo frequentemente, e quando si sentiva così si
metteva sempre in testa che doveva fare qualcosa anche per gli altri,
doveva migliorare il piccolo mondo intorno a lui, per così dire. In giorni come
quelli John andava a lavoro fischiettando, a testa alta, annusando la
mefitica aria del Queens come se fosse un balsamico zefiro di montagna. In
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giorni come quelli faceva l’elemosina ai barboni per la strada, aiutava le
vecchiette ad attraversare e faceva il galante con le signore profondendo
radiosi sorrisi. In giorni come quelli John J. era pericolosissimo. I colleghi lo
sapevano. Era soggetto a crisi di efficientismo della peggior specie, si
aggirava per gli uffici di tutti chiedendo documenti di pratiche rimaste a
mezzo, facendo telefonate per riottenere fogli che erano stati
accidentalmente perduti, scopriva errori, richiamava i colleghi, saliva al
piano di sopra per spiegare al capo i problemi con le merci accumulate in
magazzino, scendeva negli scantinati per inventariare la roba che non era
stata sdoganata… insomma era meglio darsi per malati perché in quei
giorni arrivava quasi sicuramente lavoro aggiuntivo. Non era più stato così
da almeno un annetto. E non solo: questo stato perdurava ininterrotto da due
settimana. Un record. Effettivamente non lo si poteva definire una persona
perfettamente equilibrata.
-Sta arrivando- disse James agli altri affacciato alla finestra. –Non
sembra tranquillo neanche oggi… che dovremo fare? Ammazzargli il gatto
per farlo tornare normale?- Gli altri risero.
-Ehi, ehi! Guardate: stamattina se la sta prendendo con Bertram…non
lascia in pace neanche lui!Stamattina Bertram avrebbe parlato. Così. John doveva fare qualcosa
per quel pover’uomo. Era sicuro che se tutti gli avessero rivolto la parola,
tutti lo avessero trattato da persona normale ed avessero cercato un po’ di
instaurare un contatto umano, sarebbe migliorato. Tutti pensano per sé,
specialmente la mattina quando vanno a lavoro, i più attivi pianificano la
giornata, quelli meno attivi si compatiscono un po’, ci si prepara alle sfide
della giornata oppure ad incassare colpi da principali e colleghi…
Stamattina Bertram avrebbe parlato.
-Ehilà Bertram, come va?Il vecchio spazzava, stringeva la scopa con una forza tale da fargli
diventare bianche le nocche delle dita.
-Bertram, non importa che tu stringa così forte…ecco cerca di
rilassarti.- John si era avvicinato ed aveva posato le sue mani su quelle del
vecchio nel tentativo di fargli allentare la presa. Solo allora si accorse che il
bidello stava anche digrignando i denti ed era anche sudato come se stesse
facendo un grande sforzo. Gli occhi di John divennero due fessure. Per un
attimo gli sembrò di capire qualcosa, come di afferrare un ricordo di un
tempo remoto o l’intuizione fugace di un futuro non ben definito. Ma subito
la sensazione lo abbandonò lasciandolo per un attimo spiazzato. Poi si
riprese velocemente.
-Bertram ascoltami, sveglia. Buongiorno-. Lo scosse per le spalle
afferrando la divisa grigio blu da addetto alle pulizie.
Il vecchio continuava a fissare per terra con un’espressione
sofferente…
-Bertram!!- si stupì del vigore che utilizzò per scuotere quel dannato
malato di mente. Si chinò per incontrare il suo sguardo ed all’improvviso
Bertram rispose.
- Non posso…non dovrei essere qua…cosa…cosa…hanno bisogno di
me…proprio ora…31
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-Ehi tu!- Una voce altera giunse dalla finestra dell’ultimo piano. – Tu
imbécile! Sei impazzito?Il sistema nervoso di John fu scosso. La voce del sergente Murdock era
stata come una doccia fredda che l’aveva riportato alla realtà. Una realtà
sgradita.
-Lascia in pace quel mentecatto, che diavolo pensi di fare?-Bertram ha parlato…penso stia cercando di dirmi qualcosa-Non mi importa niente- Il capo dei militari sbucò dalla porta, eppure
John avrebbe potuto giurare che la voce veniva da sopra, e si avvicinava a
grandi passi con aria minacciosa.
-Lascia stare quell’uomo, non voglio più ripeterlo. Allontanati oppure
puoi considerarti licenziato.Automaticamente John fece un passo indietro. Il sergente Murdock si
permise un sardonico sorriso.
-Riavvicinati a questo uomo e mi adoprerò personalmente affinché tu
non metta più piede qua dentro- disse con freddezza e dopo qualche istante
aggiunse: - Hai capito?John farfugliò qualcosa che voleva essere un sì.
–Buon per te. Adesso vai a lavorare. Cerca di non farti più vedere
troppo in giro.- Si girò e sparì nella porta dalla quale era uscito. John
rimase per un po’ impalato, come stordito.
-Ehi John!- Lo raggiunse una voce. –Hai deciso di fare festa oggi?- Era
James dalla finestra dell’ufficio. John scosse la testa. –Arrivo.- disse.
Al quinto “-Che bastardo-“ James si alzò dalla propria postazione e si
affacciò al cubicolo di John che dall’inizio della giornata ogni tanto inveiva
tra sé e sé. John buttò la penna sul foglio con gesto plateale.
-Quel fottuto militare!-Il sergente Murdock immagino…-Certo, proprio lui… stamani mi ha dato una risciacquata perché ho
interagito con il povero Bertram…che stava parlando!-Ti ho visto stamattina mentre volevi fare il miracolo… John te ne devi
stare un po’ più tranquillo. Lo abbiamo notato tutti… sei iperattivo da un po’
di tempo.-James, non facevo niente di male. Stavo cercando di aiutare Bertram,
tutto qui…stava parlando ti dico. E mi stava dicendo qualcosa… ma poi è
arrivato lui con i suoi metodi da nazista.- John…- Mi chiedo come possano esserci in giro stronzi come lui…- John, siamo tutti un po’ preoccupati per te…- E poi ha un qualcosa intorno a sé di strano, di innaturale…- John!- lo interruppe con decisione James.
- Che diavolo mi urli nelle orecchie? Volevi sapere che cosa mi
infastidisce no?- John, c’è un problema di fondo in quello che dici.- Di che diavolo parli?- Murdock…- fece una pausa guardando John con aria preoccupata.
- … oggi non c’è.- (continua…) ■
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Creazione estemporanea di E. Campagna, E. Cesarini e M. Lorenzini sulla spiaggia di Capriccioli, sede tra l’altro del prestigioso Billionaire Beach. IL FELICIONE
Periodico Bimestrale
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Sede Legale IVANNEUM Via P. di Pozzolatico 23 50023 Imprunum (PANIVANIA)
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Anno I Numero 2 Gennaio 2010
A cura di E Cesarini e M Lorenzini
Distribuzione limitata
Hanno collaborato:
Dott. Elisabetta Cesarini
Dott. Matteo Lorenzini
Ing. Lorenzo Mereni
Maestro Lorenzo Pampaloni
Ringraziamo:
Comune di Siena
Elio e le Storie Tese
Radio Deejay
Marco Benucci, Enrico Campagna, Andrea Farolfi,
Roberto Favillini, Stefania Ghelli, Camilla Sorbi
Laura Pausini
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Felicione 14 gennaio 2010