PICCOLA BIBLIOTHIKI 13 Riccardo Redivo Alda Merini Dall’orfismo alla canzone Il percorso poetico (1947-2009) Prefazione di Pino Roveredo Asterios Editore Trieste Prima edizione: novembre 2009 Asterios Editore è un marchio editoriale di © Servizi Editoriali srl Via Donizetti, 3/a 34133 Trieste tel: 0403403342 - fax: 0406702007 e-mail: [email protected] www.asterios.it I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati. ISBN: 978-88-95146-32-4 “Perché la pazzia, amici miei, non esiste. Esiste soltanto nei riflessi onirici del sonno e in quel terrore che abbiamo tutti, inveterato, di perdere la nostra ragione.” “Il manicomio è stato un formidabile punto di osservazione.” “Scrivere e credere è un modo come un altro per morire.” “Il volume del canto m’innamora: come vorrei io invadere la terra con i miei carmi e che tremasse tutta sotto la poesia della canzone.” Alda Merini Indice Prefazione di Pino Roveredo, 11 Nota dell’autore, 15 Introduzione, 17 CAPITOLO I Merini rifiutata Archivio Corti e incontro con la poetessa: esperienze, riflessioni, apporti, 31 CAPITOLO II Biografia, biografie Biografia, 40 Autobiografia, 46 Cronologia, 54 CAPITOLO III Il primo periodo, 59 CAPITOLO IV Il silenzio e il secondo periodo, 83 CAPITOLO V Il terzo periodo e l’oralità 1. Un lento e sotterraneo procedere, 105 2. L’oralità, 134 Conclusioni, 157 GUIDA BIBLIOGRAFICA Opere di Alda Merini, 170 Articoli, interventi, presenze in antologie, 187 Altri materiali meriniani, 200 Bibliografia critica, 209 Sitografia, 233 Bibliografia generale, 234 Prefazione Ho letto il corso, percorso, ricerca e lavoro di Riccardo Redivo, e ho infilato le sue righe dentro gli occhi del mio “non sapere”, guadagnando una conoscenza che ho infilato nella mia mente profana, e dentro una referenza di chi, nonostante i volumi scritti e pubblicati, è consapevole di avere poca esperienza e nessun titolo letterario da vantare. Ho letto il percorso di Redivo, concedendomi il piacere di entrare nella vita di quella che io ritengo, per forza emozionale, la più grande poetessa, artista e musicista della parola che io abbia mai incrociato, e cioè, Alda Merini. Innanzitutto, sin dalle prime righe, è nato in me il dubbio contradditorio del… Ma se Alda Merini avesse vissuto l’anonimato della massaia, la tranquillità di un benessere nobiliare, o l’ansia della donna in carriera, ecco, noi lettori ed estimatori della sua scrittura, avremmo potuto godere lo stesso della sua poesia? O per assurdo dobbiamo ringraziare la sua “sofferenza” che ha poi partorito la maestosità della sua opera?... Io, come la signora Merini, il manicomio l’ho conosciuto, vissuto, subito, ed era un manicomio con le mura alte, i portoni pesanti, le bastonate dell’infermiere, i farmaci potenti come un martello, e con tutte le infamità di chi esercita un “mestiere” e potere, scordandosi il cuore fuori dalla coscienza. In quel luogo tragico, ingiusto, orrendo, ho incontrato un’infinità di voci e scritture, e tutti indos- 12 ALDA MERINI savano l’angoscia stretta di Alda Merini. C’era chi scriveva nel delirio, chi declamava poesie senza musica dai letti di contenzione, chi ingiuriava l’esistenza soffocato dentro le camicie di forza, e chi rinunciava al rammarico e al muscolo pisciandosi la vita addosso. Sì, perché in quel luogo senza Cristo e senza cielo, si entrava con l’agitazione della vita, e si usciva, se si usciva, con la tristezza della morte. Nel manicomio, o nella casa dei matti, sono passato io, è passata Alda Merini, e sono passati milioni e milioni di ingiusti internamenti. Siamo passati ed abbiamo attraversato la rivoluzione della Libertà Terapeutica, qualcuno c’ha ballato sopra, altri, tanti, troppi, hanno continuato a frequentare la strada pesante dell’indifferenza. E’ passato anche Franco Basaglia, portandosi dietro due colpe imperdonabili: quella di essere nato troppo tardi e di essere morto troppo presto. Un percorso, quello di Alda Merini, che Redivo racconta con grande rispetto, estrema educazione e sensibilità, toccando le tappe e gli inciampi del tragitto umano e artistico. Si racconta della “Merini rifiutata”, perché la sua scrittura viene inizialmente giudicata di scarsa qualità o scarso interesse artistico in favore di una comunicabilità terapeutica utile alla poetessa ma non al lettore. Mai annotazione fu più maldestra! Ma per fortuna il talento non s’impara, perché è un dono della vita, spesso assegnato per una legge di compensazione a quelli che la vita, la devono sopportare col peso dell’ingiustizia. No, il talento non s’inventa, e lo sanno bene i vari Pasolini, Spagnoletti, Manganelli, David Turoldo, Giorgio Raboni, Salvatore Quasimodo, che per primi hanno avuto il piacere di sorprendersi gli occhi e l’animo, per quella scrittura trattata come il muscolo indispensabile per aggrapparsi alla vita. Scritture che iniziano con un premio ricevuto a soli dieci anni da Maria Josè del Belgio, che la riconosce come la miglior piccola poetessa italiana, gratificandola anche PREFAZIONE 13 con un “Libretto della Cassa di Risparmio” di mille lire, e che poi continuano, respirano, e si mantengono con i morsi di una vita che si ribalta, si rialza, ribalta ancora… Scritture di amori effimeri, mariti ingrati e distratti, compagni veloci, che riempiono i fogli chiusi dentro le serrature che sorvegliano il divieto di vivere. Scritture che attraversano i tempi e le correnti cantate e decantate dalle bocche buone dei critici, e che io qui non descrivo (lo fa molto bene Riccardo Redivo), perché io posso parlare unicamente di emozione, emozioni… Parlare di quella emozione, emozioni, che passano all’incasso quando consumano le poesia della signora Alda Merini, questa donna che sembra avere una mano baciata da quel Dio che non riconosce, e che quando ti entra ti accende il cuore, ti segna il brivido, ti scuote il pianto, ti sospende il fiato, ti firma l’umore, e ti ripulisce gl’angoli bui dell’anima con la bellezza di un amore. Pino Roveredo Se mai scomparissi presa da morte snella, costruite per me il più completo canto della pace! Ché, nel mondo, non seppi ritrovarmi con lei, serena, un giorno. Io non fui originata ma balzai prepotentemente dalle trame del buio per allacciarmi ad ogni confusione. Se mai scomparissi non lasciatemi sola; blanditemi come folle! Nota dell’autore Il presente lavoro ha avuto i suoi primi passi nella ricerca universitaria e, dopo ampliamenti, migliorie e correzioni è approdato alla veste attuale. La sua gestazione lunga ha ‘compromesso’ alcuni elementi che, da originali o non ancora sollevati, sono stati evidenziati da altri: ciò è un bene perché significa che qualcosa nei confronti della poetessa milanese si sta muovendo. Naturalmente, oltre agli elementi noti, indicati con le molte citazioni, in questa ricerca sono state evidenziate soprattutto le zone meriniane non ancora espresse o poco segnalate. Esistono pochissimi libri che affrontino una seria ricerca sull’opera della poetessa (attualmente non più di due); contribuire al moltiplicarsi degli studi è un buon motivo per scrivere: pochi paletti fanno una via, e se si percorre una strada non vedo perché non segnalarla. Questa grave mancanza aumenta se si tiene presente il grande successo (mediatico, editoriale, commerciale) che la poetessa sta da un po’ di tempo a questa parte vivendo. Inoltre, è mia volontà mettere un po’ d’ordine nel “caso” e nel “mistero” Merini, di cercare in questa figura qualche costante, qualche punto certo o parzialmente certo (e in questo una piccolissima garanzia la offre l’Accademia benché asserisco che tutte le colpe e i pregi siano di chi scriva). Ad esaurire questi generali motivi ne lascio per ultimo il più importante, quello della mia ricerca nel più ampio universo della poesia contemporanea italiana affinché possa capire il presente e almeno avvicinarmi al futuro culturale di questa nazione. In fin dei conti un saggio critico è una prova d’amore; e il motore di questa ricerca è il mio amore verso la poesia che, in questo momento storico, s’incarna in Alda Merini, una donna che ha amato 16 ALDA MERINI tanto e che tuttora tanto ama, senza forse ricevere ciò che ha sempre dato e ancora da. P.S. Durante la preparazione per la stampa del presente saggio, Alda Merini è deceduta. Mi è parso giusto, nei confronti della poetessa e nei confronti della mia ricerca, non toccare alcunchè del testo e continuare a considerare presente una figura che non dovrebbe morire. Inoltre, non interrompendo o modificando la stampa, mi permetto di far di quest’opera l’ultimo libro su Alda Merini vivente e il primo su Alda Merini scomparsa. Gli unici dati da “integrare” sono nella biografia: la poetessa è deceduta il primo novembre del 2009, proprio il giorno dei Santi — Giuliano Grittini mi disse il giorno dopo: “la Merini non cessa di scherzare nemmeno dopo la morte”. Introduzione Un ritratto esauriente della vita della poetessa milanese è quasi impossibile. Difficile è il reperimento dei dati biografici come luoghi, tempi e nomi (rintracciabili solo nelle poche e brevi introduzioni ai suoi libri); difficile discernere, nelle dichiarazioni della stessa Merini, ciò che è veramente stato da ciò che lei ha reinventato poiché parla della propria vita come fosse leggenda. Da questo motivo, il mitizzare la propria vita, le proprie esperienze distorcendone i fatti e la realtà, deriva un’altra difficoltà: separare la vita dall’arte o l’arte dalla vita, per la poetessa dei Navigli, è cosa del tutto impossibile. L’intera opera meriniana è autobiografica, e ciò che nell’arte della Merini è cantato non si sottrae mai alla sua presenza, alle sue esperienze, alle sue emozioni, alle sue impressioni sul mondo che la circonda. La vita si confonde nell’arte e viceversa: ciò che viene cantato in verità è la vita stessa, con gli amori e le sofferenze che questi le hanno provocato. La Merini, parlando della propria vita, si comporta da artista; dal dato reale passa ad uno artificiale, e questo passaggio avviene per svariati motivi: dall’autocelebrazione alla poca memoria, dalla voglia di stupire alla volontà di colmare un vuoto con l’immaginazione e, spesso, con la fantasia. Tutto questo porta la poetessa a vedere i ricordi sfumati e pieni di un’aura mitica immaginata da lei e poi da lei creduta reale. Così narra della propria vita in modo non veritiero. Le carte dell’Archivio Corti confermano la problematicità biografica. A questo Centro di ricerca sulla tradizio- 18 ALDA MERINI ne manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia la Merini spediva un eclettico e cospicuo materiale personale. I numerosi invii si spiegano col fatto che tale centro era stato voluto dalla semiologa Maria Corti, grande amica della poetessa e, a volte, sua mecenate. La Merini riuniva poesie non riviste, poesie scritte di getto, o trovate chissà dove, in buste che mandava poi alla Corti; questa situazione si ripeteva anche quotidianamente (“Maria ebbe giorno dopo giorno carte e poesie della mia vita”1). Qualche volta, quando la Corti reputava fosse giunto il momento, faceva pubblicare o aiutava a far pubblicare le poesie da lei ritenute più valide, ma non tutte. Non tutte per due importanti motivi: il primo perché la Merini incontrò, come scrive la Corti, la “madama follia”, e il secondo perché, per uscire da tali incontri, su suggerimento dei medici, dovette iniziare a scrivere per guarire. Ecco perché poteva “accadere che di centinaia di testi poetici […] solo per un certo numero arrivi[asse] l’ora della poesia”2. Alla Corti veniva in mente “l’immagine del terreno di una solfatara: immergi il bastone qui e spruzza fuori il gas solforoso; lo immergi più in là e non viene fuori niente”. Per tale motivo ho chiamato il capitolo dedicato alla ricerca e allo studio dei manoscritti meriniani al fondo pavese “Merini 1. In l’immaginazione n.195, febbraio 2003, ora in Antenate bestie da manicomio, Manni, pretesti n.348, settembre 2008, p. 77. 2. Nella Nota introduttiva di Maria Corti presente nella prima edizione de La Terra Santa, All’Insegna del Pesce d’Oro, collana Acquario n.128, Milano 1984 [ma 20 febbraio 1983, come si legge nel colophon], pp. 64, tiratura 1000 copie numerate. Nella Nota dell’Editore si legge: “Le prime trenta poesie sono state pubblicate sul n.4 de ‘Il cavallo di Troia’ (inverno-primavera 1982-1983)”; la silloge poetica è stata pubblicata anche nell’introvabile La Terra Santa e altre poesie, a c. e intr. Giacinto Spagnoletti, Laicata, 1984 [con alcune modifiche] e in Vuoto d’amore, a c. e intr. Maria Corti, Einaudi, Collana di poesia 224, 2002 (I ed. 1991), pp. 136. Ora è raccolta in La Terra Santa, Libri Scheiwiller, Poesia n.60, pp. 172, III ed. giugno 2003 (I ed. maggio 1996), da cui d’ora in poi farò riferimento nelle citazioni. La frase cit., come la successiva, è a p. 163. INTRODUZIONE 19 rifiutata”, perché molte poesie non sono state accolte in alcuna pubblicazione e probabilmente mai lo saranno, per la succitata scarsa qualità o scarso interesse artistico in favore di una comunicabilità terapeutica utile alla poetessa ma non al lettore. La suddivisione del percorso poetico di Alda Merini da me individuata, e che proporrò tra breve, ha il pregio di essere piuttosto evidente: dal percorso artistico si evince chiaramente la presenza di una cesura netta – dovuta all’internamento manicomiale – del suo modus operandi. Nessuno, finora, ha mai delineato tale percorso in maniera chiara e significativa, e il motivo non lo conosco ancora. Può darsi che questa mancanza sia dovuta alla scarsa attenzione critica che la Merini ha ricevuto, poiché pochi libri su di lei, qualche breve introduzione ai suoi libri o pochi accenni nelle antologie non bastano ad approfondire un’autrice come lei, densa di religiosità, autobiografismo, erotismo, ricca di metafore, contraddizioni e di così grande successo. Benché queste ultime tematiche menzionate siano le caratteristiche principali della poetica di Alda Merini, la poesia meriniana è “in fondo principalmente poesia d’amore”3: a dire ciò è la Corti, che ha sempre ben compreso l’universo poetico dell’autrice, grazie all’acutezza d’ingegno ma anche grazie alla conoscenza personale che aveva di lei. In altre parole e “in fondo, quella della Merini, è nuda poesia d’amore”4. La maggior parte delle poesie di Alda Merini gravitano attorno all’amore, ma è un amore vario e multiforme: esso è astratto, simbolico, sessuale, amicale, divino; insomma è un amore che copre tutto, generale. Sebbene la produzione artistica degli esordi sia intrisa 3. Dall’Introduzione di Maria Corti all’antologia meriniana Fiore di poesia. 1951-1997, a c. e intr. Maria Corti, Einaudi, Tascabili n.519, 1998, p. X. 4. Dalla prefazione di Benedetta Centovalli presente in La volpe e il sipario. Poesie d’amore, disegni di Alberto Casiraghy, a c. Bendetta Centovalli, postfazione di Simone Bandirali, Rizzoli, Piccola Biblioteca La Scala, p. 6. 20 ALDA MERINI di religione cristiana, a parlare non è una fedele, nel senso più comune del termine, bensì una persona che semplicemente riflette sul divino e soprattutto una persona che a questo divino si oppone, alterandone l’identità cristiana per una religione personale. In questa personalis religio molti hanno visto la prova di un misticismo straordinario che però nessuno ha mai approfondito veramente e che più avanti si cercherà di chiarire. Per ora basti dire che è un misticismo molto discutibile e più in potenza che in atto. I toni di questa prima produzione sono sì religiosi, ma sono espressi in modo sibillino, enigmatico, oscuro. Tale caratteristica verrà individuata da Pasolini, nel lontano 1953, come la principale della Merini e inserita in quella linea orfica di cui lei è l’ultima esponente preceduta dai poeti Comi e Pierri. Il primo periodo terminerà bruscamente a causa dell’internamento psichiatrico della poetessa. La degenza manicomiale la segnerà terribilmente e in tutto, compreso la poesia. La nuova pesante esperienza le impedirà di scrivere per quasi vent’anni (1962-1980), e il suo rifiorire artistico, era quasi inevitabile, subirà significativi cambiamenti. All’aurorale religiosità la Merini sostituirà una forma poetica narrativa. Il nuovo cambiamento, che è piuttosto una trasformazione personale poiché non tutto si perde, si palesa sotto una forma epica che la poetessa è stata costretta spontaneamente a utilizzare. Come forma epica meriniana intendo la narrazione del proprio vissuto manicomiale in ricordi e sensazioni mitizzati, in fatti vissuti dalla Merini e trasformati in leggenda, in una sorta di epopea dell’“avventura” del manicomio (con personaggi che ritornano – medici e degenti –, leitmotiv – la sofferenza come quella di Cristo e la legge mosaica –, bene e male, e insomma tutta quegli eroi e quelle avventure degne di essere ricordate proprio per la loro eccezionalità). Questa particolare epicità è confermata dall’uso epitetico di non pochi aggettivi ricorrenti nelle stesse raccolte. Questo secondo periodo inizia nel 1980 e con il passa- INTRODUZIONE 21 re degli anni subirà un cambiamento, molto meno radicale di quello precedente. Per ciò non si può parlare propriamente di un terzo periodo, ma di un periodo in cui alcune caratteristiche si esasperano e in cui altre si allontanano. Tutt’al più il periodo in questione può esser chiamato terzo periodo solo se si tengono presenti alcune recenti opere. Ad eccezione degli otto libri5 (su undici) della collana “I libri di Arnoldo Mosca Mondadori” (usciti dal 2001 al 2009), l’aumentata e ora sterminata mole produttiva della Merini non ha avuto molte modifiche, semmai ha avuto riusciti ampliamenti; inoltre dal 1986 ha iniziato la produzione in prosa. L’opera in prosa non sarà oggetto di questa ricerca, ma verrà segnalata sporadicamente per motivi chiarificatori, che alle volte aiuteranno a disbrogliare alcune questioni e altre a complicare ulterioremente l’analisi, e motivi di completezza (novità letteraria, interpretazioni dell’autrice, etc.); allo stesso modo non saranno presi in esame le poche composizioni in dialetto o in francese6. Si deve ora affrontare una delle problematiche più importanti e più spinose: la follia. Il concetto di follia, che ne racchiude in sé molti altri, è, mi sembra ovvio, di difficile definizione. Per la poetessa follia è sinonimo di libertà7: con questa più volte ripetuta affermazione si protegge 5. Nove se si considera il libro che raccoglie cinque di queste opere, Mistica d’amore, Frassinelli, collana Poesie, ottobre 2008, pp. 300. 6. Essendo tali composizioni poche, le segnalo qui un’unica volta: Il Maritozzo ovvero Il matrimonio combinato. Atto unico, a c. Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, Acquaviva, ottobre 2008, pp. 16 (milanese maccheronico); Sunt una dona senza resistenza, in Dés Cartes (Descartes), con uno scritto di Camillo de Piaz e immagini di William Xerra, Edizioni Vicolo del Pavone, dicembre 2003, p. 19 (milanese maccheronico); La mia visina, Lettera a Franco Loi, Ai Carabinieri, in Le zolle d’acqua, a c. Luigi Maino, Montedit, I Gigli (poesia), maggio 1993, pp. 33-37 (milanese); La sorcière, Adieu, in La volpe e il sipario, op. cit., pp. 89-90 (francese); non poche frasi in milanese si trovano in La scopata di Manganelli. Romanzo, a c. Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, Acquaviva, maggio 2009, pp. 93. 7. Tale concetto è stato qualche anno fa confermato (il 23.05.05 in MCS. 22 ALDA MERINI per permettersi atteggiamenti, forme, posizioni che sarebbero molto più che audaci. La Merini così può scegliersi il terreno che vuole e operare senza alcuna barriera. La follia come libertà, però, non è solo un escamotage inventato, o suggerito da altri, per poter dire quello che le viene in mente: essa è data anche dalla sua patologia. Se, in ciò che si è definito primo periodo, la follia fondendosi con la religiosità, col potenziale mistico, perde di chiarezza identificatoria, nel terzo e con qualche traccia nel secondo tale follia emerge in tutta la sua singolarità. L’anacoluto, l’irrazionalità logico-sintattica, gli errori grammaticali e soprattutto il deragliamento semantico che sposta o addirittura cambia il significato che una frase, un verso aveva inizialmente (si inizia con A per arrivare a C senza passare da B) sono prove stilistiche di questa presenza. Tali prove si disseminano, a mio parere, senza essere avvertite consapevolmente dalla poetessa. In più, nel terzo periodo sicuramente e in generale anche nel secondo, questa componente di “scorrettezza” è stata favorita nel suo manifestarsi da un’altra componente, quella orale. Questa sua speciale oralità porterà la Merini ad improvvisare poesie, alle volte anche eccellenti, in qualsiasi posto e a richiesta (cosa che ha sollevato, ovviamente, molte critiche). Per quanto riguarda il carattere autobiografico desidero evidenziare nuovamente che tutta la sua produzione artistica è la proiezione del suo stato d’animo e dei suoi vissuti che rivivono nella sua arte. Ogni sua poesia è riferita alla propria esperienza e, anche laddove sembri inventare, il riferimento alle esperienze personali è di facile individuazione: “la poesia di Alda Merini […] non è fatta per rappresentare l’anima altrui, ma la propria”8. Il diario speciale - Smemorie, conversazioni con Alda Merini e altre vite, Canale 5, 23:40/01:20) in un’intervista televisiva di Maurizio Costanzo dalla seguente dichiarazione: “per me folle significa libero”. 8. Da Giuseppe De Marco, Le stagioni dell’epifania poetica di Alda Merini, Ed. Ripostes, gennaio 1995, p. 35. INTRODUZIONE 23 Della copiosa mole di opere meriniane affronterò, come già accennato, solamente l’opera in versi e non toccherò quindi ciò che verso non è. Questa scelta è motivata soprattutto da due fattori: il primo è che, non solo per chi scrive, la poetessa riesce meglio in poesia che non in prosa, credo soprattutto perché in quest’ultima si dimostra piuttosto “infantile”, cioè con una scrittura elementare e, ad eccezione del Diario (forse spiegabile con l’aiuto degli amici letterati), con una evidente leggerezza, per quanto riguarda composizione e sintassi, che molto spesso conduce ad esiti contradditori e divergenti; il secondo è che è prolifica nel modo più estremo (un centinaio di libri e quasi mille libricini); quindi, delle prose, degli aforismi, delle lettere e, insomma, di tutto il materiale prosastico non verrà detto niente se non alcune particolarità o caratteristiche pertinenti alla presente indagine. Molti critici e molti curatori si sono lamentati di questa iperproduttività, come ad esempio Maria Corti nella sua introduzione a Vuoto d’amore,9 che lascia un po’ tutti interdetti perché non sempre la qualità si percepisce in tutta questa quantità. In più, se a questa mole produttiva si affiancassero anche gli interventi della poetessa in altri libri (introduzioni, prefazioni, postfazioni, nate soprattutto dalla notorietà mediatica e non certo dalla capacità critica) ci sarebbe spazio per molti altri saggi, anche se di dubbia utilità. Da questa considerazione abbastanza negativa passerò ad un’altra, sempre negativa, ma importante per comprendere il suo universo: la Merini non è di scarsa cultura ma non ne è di molta. Se ne accorse già Giacinto Spagnoletti nel ’5010 e se ne accorgeran- 9. Op. cit. pp. V-X; ma lamentele di ciò si hanno anche in La poesia luogo del nulla. Poesie e parole con Chicca Gagliardo e Guido Spaini, Piero Manni, Pretesti 65, luglio 1999, p. 13; in La fisica del senso, Andrea Cortellessa, Fazi, Le Terre/Scritture, giugno 2007, (che parla di “bibliografia […] incontrollabile”, p. 610) e in molte interviste. 10. In Antologia della poesia italiana 1909-1949, a c. Giacinto Spagnoletti, Parma, Guanda, 1950, cit. come testimonianza all’interno de Le satire della Ripa, Edizioni Laboratorio Arti Visive, Taranto, 24 ALDA MERINI no in molti più tardi; ma forse proprio questo è l’elemento che ha aiutato la Merini, assieme alla sua follia, a rompere gli schemi, ed a creare il ‘caso’ Merini, in cui lo stesso Pasolini si dichiara disarmato11, poiché ciò che è importante è fermarci “al dono dell’essenza poetica”12. Solitamente per un buon poeta ci vuole buona cultura, ma per la Merini è diverso; lei è un unicum. Ciò che aiuta, ed ha aiutato la Merini in questo quadro di cultura generale, è l’oralità, l’arte o solamente il respiro e l’intonazione della parola che le esce dalla bocca; e in questo la Merini è molto potente. La maggior parte della sua cultura la deve alla cerchia di intellettuali e letterati da lei frequentata, da adolescente in poi, a Milano. L’orecchio, cioè la capacità di ascoltare e assorbire in toto il parlato altrui, le ha aiutato la voce, cioè la capacità orale in cui lei si è ora “specializzata”, consapevolmente o inconsapevolmente. Non è un caso che spesso faceva, e continua a fare, reading di poesia, registrando anche, e con ottimi risultati; questo non esula da noi, poiché crea un legame inscindibile col ruolo di mistica della parola, soprattutto per la Merini degli ultimi tempi, più orale che mai. A queste due note negative se ne deve aggiungere un’altra negativa, l’ultima: la Merini non ha senso critico. Questa puntualizzazione non è solo mia, ma viene anche dalla Corti, che parla addirittura dell’“utilità di un lavoro di selezione che deve essere proprio non dell’autrice ma marzo 1983 e ora nella ‘Nota bibliografica’ presente in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit., pp. 165-166. 11. In un articolo apparso su Paragone, V, 60, dicembre 1954 e ora raccolto in Saggi sulla letteratura e sull’arte, Pier Paolo Pasolini, a c. Walter Siti, intr. Cesare Segre, Mondadori, i Meridiani, 1999, “Saggi giovanili”, p. 580; per completezza riporto la frase, che però deve essere contestualizzata, nel senso che Pasolini si riferiva al primissimo periodo poetico della Merini: “Ché di fonti per la […] Merini non si può certo parlare: di fronte alla spiegazione di questa precocità, di questa mostruosa intuizione di una influenza letteraria perfettamente congeniale [Campana, George, Trakl], ci dichiariamo disarmati”. 12. In Antologia della poesia italiana 1909-1949, op. cit., ora in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit., p. 166. INTRODUZIONE 25 di un critico serio”13. Quest’assenza di senso critico, dovuta alla sua indole, al suo carattere e al suo vissuto, qualche volta scompare lasciando testimonianza di enorme razionalità e riflessione. Ma questa rara testimonianza si manifesta sempre a sprazzi e mai in tutta un’opera, se non forse nelle sue prime opere dopo l’internamento, quelle degli anni ’80, e in rari altri casi (un esempio notevole e lampante di lavoro critico, o comunque di una sorveglianza linguistica per asciuttezza e contenuto è il libretto Anche la donna può avere un pensiero14, una raccolta di aforismi, dettati via telefono “in tre quarti d’ora” ad un amico, talmente ben fatti, impeccabili, che non è possibile escludere una riflessione a monte della composizione e della “stesura orale”). A complicare ulteriormente il quadro è l’incomprensibilità, a detta di editori, curatori e mia, della sua grafia che causa errori di trascrizione che generano non-sense non voluti dall’autrice ma dovuti all’editore, per scelta o per sbaglio: ci sono molti esempi in cui il soggetto, in prima persona, è maschile ma l’intenzione dell’autrice era al femminile; oppure poesie che, scritte a penna o a macchina, non hanno i punti finali o hanno le virgole nel posto sbagliato, che la poetessa non ha corretto e che gli editori hanno lasciato, oppure corretto (riuscendo addirittura a escludere – o dimenticarsi? – un verso, oppure ad alterare la composizione metrica di una poesia rifiutando endecasillabi ritenuti “brutti” per trasformarli in versi liberi). Ma non basta. Un altro elemento, che complica il labirinto procedurale della stesura finale, è la grande e confusa quantità di varianti che si hanno di una stessa poesia, in tutti i periodi tranne l’ultimo, poiché in quello ciò che viene detto una volta non viene ripetuto più né più rivisto: già nel 1987 la poetessa milanese scrisse che la poesia è “canto senza ripensamenti”15. 13. Nell’intr. a Vuoto d’amore, op. cit. p. X. 14. A c. Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, Acquaviva, febbraio 2002, pp. 87; la cit. seg. è a p. 87. 26 ALDA MERINI Insomma, spesso il merito o demerito della struttura delle poesie meriniane va all’editore, che sovente è il curatore: quasi tutte le opere dal secondo periodo in poi che il lettore conosce non sono altro che “una serie di campionature […] «arbitrarie», che non recano tanto l’impronta della volontà dell’autrice quanto quella del gusto, delle predilezioni, del punto di vista critico di chi le ha messe insieme a partire da un materiale enorme e non di rado poco decifrabile”16. E, ovviamente, lo stesso problema sussiste quando non scrive su carta ma detta a voce, poiché l’ordine dei versi dipende non dall’autrice ma dal trascrivente; una caratteristica, questa dell’oralità, che raggiungerà esiti straordinari in quello che ho individuato come terzo periodo (che in fondo è l’esasperazione del secondo periodo). Asserisco che, dopo la ‘religiosità mistica’ e l’erotismo, dopo l’esperienza manicomiale e la follia che infonde l’intera poetica meriniana, l’oralità è la caratteristica più forte, e la più attuale. Molto del successo che lei ha conquistato dopo essere comparsa al “Maurizio Costanzo Show” nel ’92, è dovuto al modo di porsi e soprattutto proporsi con la voce. In fondo questa particolarità era già presente quando veniva accostata, negli anni cinquanta, alla Pizia. La sua capacità oracolare di una volta si è trasformata nella capacità di improvvisare, persino a richiesta, poesie complesse, anche sconclusionate, ma in grado di accattivarsi l’uditorio, le persone vicine o il pubblico, con sorprendenti metafore, con accostamenti inaspettati o vocaboli inu- 15. Dal testo intitolato “La mia poesia” e inserito alle pp. 7-9 de Fogli Bianchi. 23 inediti, nota di Elio Bartolini, Ed.Biblioteca Cominiana, «Nuovi testi di poesia», a c. Bino Rebellato e Enzo Mazza, Cittadella (PD), 1987, pp. 40 (tiratura non indicata), ora in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit., p. 167. 16. Da “Un urlo nel silenzio «Poesia non venirmi addosso»”, articolo di Giovanni Raboni, Corriere della sera, 22 settembre 2001; ora in La poesia che si fa. Critica e storia del Novecento italiano. 1959-2004, Giovanni Raboni, a c. Andrea Cortellessa, Garzanti, Collana Saggi, 2005, pp. VII + 415. INTRODUZIONE 27 suali. Non stupisce, come approfondirò più avanti, che la straordinaria e attuale oralità sia stata compresa, a volte carpita, da molti musicisti e cantautori. Per comprendere l’universo meriniano necessitano ancora ulteriori delucidazioni. La poetessa ripropone, specie nei saggi e nelle interviste, numerose contraddizioni. Accade qualche volta che le sue affermazioni risultino non vere, ma credo senza che ne avesse avuto intenzione; è come se mescolasse i ricordi con il sapere e l’invenzione. A causa delle molte interviste e delle sue molte presenze in diversi ambiti, strettamente culturali o di intrattenimento televisivo, farò un solo esempio. In Reato di vita17 lei afferma: “Leggo nel suo Nuovo commento [opera di Manganelli] uscito postumo una confessione straordinaria. Manganelli mi chiese virtualmente di entrare in possesso della mia cartella clinica e parla di questo brivido di disonore”: se si legge il libro di Manganelli, non si trova neppure un riferimento o una lontana allusione a ciò; tale falsa affermazione fa pensare, almeno a me, ad una mescolanza tra ciò che ha letto e ciò che ha sentito, forse, da qualcun altro o da Manganelli stesso. Comunque è una mia illazione e non è mia volontà ‘smascherarla’ nelle sue dichiarazioni, ma rendere chiaro che anche questa, la mescolanza tra ricordi e invenzione, è una caratteristica che, assieme ad altre, forma quel caso unico che è Alda Merini. L’opera meriniana, in tutte le sue manifestazioni ma maggiormente nella poesia, si può suddividere in tre parti. È una suddivisione resa necessaria dall’agire della poetessa e dal suo entourage: in tutti gli scritti si possono distinguere libri che chiamo completi, in cui l’autrice ha scritto e rivisto ciò che ha pubblicato o è stata consigliata (ma è una mia conclusione) a rivedere, se non addirittura corretta, dagli amici, editori e curatori; la seconda parte è composta dagli scritti che chiamo incompleti, dove l’incompletezza è data dal prevalere del contenuto sulla 17. Reato di vita. Autobiografia poetica, a c. Luisella Veroli, Associazione Culturale Melusine, Milano 1994, cit. a p. 47. 28 ALDA MERINI forma, cioè dove un’idea, un’immagine o un concetto sono stati espressi in maniera immediata ma senza un benché minimo controllo finale, senza un qualche rimaneggiamento della materia grezza; il risultato sono poesie non rivedute, non levigate e, appunto per questo, incomplete e poco soddisfacenti. In questa seconda parte, sebbene in minor grado, può trovarsi anche il prevalere inverso, cioè quello della forma sul contenuto; comunque sta a significare un risultato, una poesia esplicitamente non rivista. Esiste infine quella parte di mezzo che consiste di scritti che chiamo semicompleti, in cui la mano dell’autrice, o del curatore o dell’editore, ha creato parti complete che si alternano a quelle incomplete, dando un risultato sconcertante: in quest’ultima parte le vette sono accompagnate dalle pianure e anche dai dirupi. In altre parole, nella produzione artistica meriniana, l’alto, nel senso di buona riuscita dell’arte, è sia separato dal basso sia alternato ad esso. Se i primi scritti, in cui l’autrice non era ancora stata sconvolta dalla malattia oppure ne era appena uscita e si faceva in qualche modo aiutare, fanno parte del primo gruppo, gli ultimi suoi scritti possono invece rientrare nel terzo. Certo, tutto ciò con le dovute eccezioni e precauzioni. Poi, quel che mi preme sottolineare è che tale tripartizione si è delineata per una sorta di evoluzione della follia, o comunque di un suo divenire: una “follia artistica”, nel senso di artisticamente controllata, dove le poesie sono chiare, ovverosia univoche, o perlomeno guidate o, insomma, per usare un concetto caro a Thürlemann, in qualche modo in grado di suscitare “la modalizzazione del soggetto”18 leggente; sono composizioni in qualche modo 18. Da Il compianto di Mantegna della Pinacoteca di Brera o: il quadro fa l’osservatore, di Felix Thürlemann, in Leggere l’opera d’arte, a c. L. Corrain e M. Valenti, Esculapio, 1991, p. 82. Thürlemann parla però di arti visive e di “opere costitutive dell’osservatore”, che sono “quelle opere che sono in grado, con mezzi interni al quadro, di suscitare, o per lo meno di contribuire a suscitare, la modalizzazione del soggetto osservante, necessaria per un’adeguata ricezione” (ibi.). In questo caso, ovviamente, il quadro, inteso come opera artistica, è la poesia. INTRODUZIONE 29 razionali nella loro irrazionalità. Tale razionalità sorprese anche il docente di psicopatologia dell’università di Milano Stefano Fiorelli (presso cui la Merini era in cura da oltre cinque anni) che lo disse nella prefazione a Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove19 del 1980, l’opera che ruppe il suo ventennale silenzio: “quando mi ha consegnato le bozze del suo volumetto io sono rimasto sconcertato: come aveva potuto redigere un libro, con quale lucidità di pensiero? Io sono psicologo e posso comprendere certo come da un caos interiore possa nascere la linea purissima della poesia, ma il fenomeno Merini mi ha sempre sconcertato” (vale insomma il vecchio aforisma niciano: “bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi”). Si possono usare anche le parole di Vittorio Strada a proposito di Delitto e castigo20: “La follia («l’oscuramento della ragione» di cui parla Raskol’nikov) deve uscire dalla prigione della propria solitudine e, facendosi responsabile della propria verità, si riscatta nel suo opposto, cioè in ragione, nel massimo di ragione”, per la Merini, una follia “razionalizzata” dalla ragione (il parallelo tra Dostoevskij e la Merini sarebbe fecondissimo ma anche facondissimo, e farebbe uscir di tema, anche se i parallelismi mi tentano: Pietroburgo/Navigli, Golgota, sofferenza prima e dopo il delitto/l’amore…). Ebbene, da questa follia controllata si passa ad una semicontrollata che arriva alla volte al non-sense, alla sconclusione, sia grammaticale che logica, all’irrazionalità dell’irrazionale21. Questa involuzione di cui ho appena parlato è però in generale, non è netta né così drastica, e non prevede l’e- 19. Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove, Alda Merini, pref. Stefano Fiorelli e una Lettera a Gentilucci di Alda Merini, Antonio Lalli Editore, novembre 1980, pp. 64; cit. in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit., p. 160. 20. Il problema di Delitto e castigo, in Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa, Einaudi, 1980, p. 45. 21. In un’intervista riportata su un libro a lei dedicato (Nata il 21 marzo, a c. Lorella De Bon, Terresommerse, marzo 2006, p. 5) la Merini riesce a dire che “sicuramente ne capirete più voi che mi leggete, anche perché la Merini non si capisce mica…” 30 ALDA MERINI sclusione dell’autocontrollo critico della poetessa per le sue ultime opere, quelle lontane dal suo esordio e a noi contemporanee. Per concludere, credo opportuno riportare una risposta datami da Grittini22, il suo fotografo di fiducia che, alla mia constatazione che non esistevano fino ad allora saggi sulla Merini (perché avevo iniziato a chiedergli della Merini e lui continuava a darmi dettagli della sua vita o di possibili incontri con persone che la conoscevano) rispose: “Beh”, ma rendo la frase più libera, “la poetica della Merini è interpretazione”; a questa affermazione può accostarsi la frase che la Merini stessa mi disse nel dicembre 2003, a proposito del “segreto” della sua poesia: “È come capire, voler sapere perché gli occhi azzurri sono così”. Però, se “l’interpretazione è personale”, io affiancherei, non tanto per smentire queste frasi ma per non perdere l’intento scientifico del presente studio, oltre al già menzionato Thürlemann, una frase di Eco23: “Interpretare un testo significa spiegare perché queste parole possono fare varie cose (e non altre) grazie al modo in cui vengono interpretate”, altrimenti risulta vero il pensiero di “Todorov (che sta citando Lichtenberg a proposito di Böhme)”, secondo cui “un testo sarebbe solo un picnic dove l’autore porta le parole e i lettori il senso.” 22. Incontro avvenuto attorno alla seconda settimana del dicembre 2003; la stessa data vale anche per la successiva frase della Merini. 23. In Interpretazione sovrinterpretazione, Umberto Eco, Bompiani, 1995, p. 34. CAPITOLO I Merini rifiutata Archivio Corti e incontro con la poetessa: esperienze, riflessioni, apporti Al mio arrivo al Fondo Manoscritti del Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, fondato dalla semiologa e critica letteraria Maria Corti, mi sono trovato di fronte a un vero e proprio mare di scritti della Merini. Tali scritti, sotto forma di dattiloscritti, manoscritti, carteggi, libretti e opuscoli, e non sempre su supporti cartacei normali, quelli adatti cioè alla scrittura, ma anche per esempio su fazzoletti di carta o su poster, hanno fatto sì che, all’inizio, mi smarrissi e temessi che i dieci giorni24 da me richiesti per l’approfondimento della tesi non bastassero, anche per il semplice motivo che gli scritti non avevano un ordine, se non vagamente cronologico. Poi però, dovendo in qualche modo immergermi in questo mare, mi decisi, com’era abbastanza ovvio, di iniziare dalle cose che apparivano più importanti, quali pubblicazioni rare, opuscoli e le prime poesie manoscritte che si potevano reperire. Benché il numero delle ore non fosse ingentissimo per quella mole cartacea, e grazie all’aiuto del funzionario e dell’operatore di biblioteca, ne venni fuori con una buona veduta d’insieme, sebbene ad alcune cartelle, zeppe di lettere, abbia dovuto rinunciare. 24. Ridottisi a sette per i giorni di chiusura. Il periodo del mio soggiorno pavese e della frequentazione del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia va dal 28 marzo al 6 aprile 2003. 32 ALDA MERINI All’inizio ho incontrato, negli svariati tipi di foglio, poesie che non testimoniavano tanto un poeta, quanto una persona che, con il foglio, avesse una condizione di colloquialità, alle volte più riflessiva che artistica, e ciò m’insospettì, facendomi arrivare a pensare che la Merini fosse una costruzione fatta da critici esperti. Ma già dalla fine del primo giorno riconobbi che in mezzo a queste ‘riflessioni poetiche’, alle volte dei veri e propri deliri, c’erano le poesie, o meglio, le varianti di poesie che poi sarebbero state pubblicate nelle raccolte meriniane, e più ancora altre, per ora inedite, che erano alla loro altezza. Da ciò conclusi che c’era stata un’opera di selezione e di aiuto da parte di critici, soprattutto da parte di Maria Corti. Giunto a questa conclusione e tornato nella stanza dove venivo ospitato, mi misi alla ricerca delle prefazioni e delle introduzioni che mi potevano spiegare qualcosa, o segnalare almeno una traccia di comprensione. E ci riuscii, e ovviamente grazie alla Corti, della quale trovai una segnalazione a proposito dei manoscritti meriniani: “La mia scelta [a proposito della raccolta La Terra Santa], concordata con l’autrice, avvenne su un dattiloscritto di oltre un centinaio di testi, non tutti alla stessa altezza, a dire la verità. Ma è questa un’altra caratteristica dell’operazione poetica della scrittrice, spinta dagli stessi medici, per ragioni terapeutiche a mettere tutto su foglio, donde l’opportunità della selezione ai fini artistici”25. La semiologa amica della Merini continua chiarendo ancora meglio la problematica e parlando proprio della raccolta dei manoscritti pavesi: “Le poesie inedite di questo volume [Vuoto d’amore] si trovano in manoscritti o dattiloscritti del Fondo Manoscritti […]; ma probabilmente anche nei cassetti di 25. Dall’ intr. Maria Corti a Vuoto d’amore, op. cit., p. VIII. Le due cit. ss. sono a p. X. CAP. 1. MERINI RIFIUTATA 33 vari scrittori e amici della Merini, data la sua tendenza a distribuire abbondantemente, anche via postale, i propri testi prima della stampa. A volte il processo si complica in quanto a diverse persone sono offerte diverse stesure dello stesso testo. […] Capita che la Merini a volte non migliori i suoi testi toccandoli a freddo, dato il tipo di poesia istintiva ed epifanica in lei frequente”. E ancora, arrivando al nocciolo della questione: “Va segnalato che nel Fondo pavese molti, anzi moltissimi sono ancora i testi poetici inediti […] Per anni la Merini si è abituata a scrivere di getto a scopo liberatorio: ne nascono testi ora di alto valore, ora di carattere comunicativo. Di qui l’utilità di un lavoro di selezione che deve essere proprio non dell’autrice ma di un critico serio”. Quindi la mole si giustifica con la terapia, e non solo quella ma anche la scrittura narrativa affiorata dopo l’internamento manicomiale, che ancora oggi si mostra. Il consiglio della cura _ la scrittura come terapia _ è diventata un’abitudine a scrivere poesie, e si è accentuata in questi ultimi tempi, dando risultati eterogenei e molto alterni in fatto di qualità. Va segnalato però che già a quindici anni si sentì dire dai medici di leggere, e sempre per curarsi26. Questo vuole dire che ha sempre scritto per stare bene? Forse; può essere che lo scrivere abbia in lei sempre agito come sfogo, ma ai primi tempi, quelli del pre-internamento, la poesia si sviluppava chiaramente nella sua particolare religiosità, mentre in un secondo tempo, quello del post- 26. Che leggere non sia scrivere è lapalissiano, ma leggere non significa annullare la possibilità di scrittura (che forse le è stata comunque consigliata in quegli anni); dalla seguente dichiarazione, misteriosa ma l’unica su questo fatto, non si può rinunciare a credere che lei non abbia cominciato a scrivere su consiglio dei medici: “Afflitta da una tremenda cecità isterica, un giorno il dottor G. alle Molinette ebbe una pensata: mi mise in mano un libro e mi ordinò brutalmente di leggere. Lo guardai negli occhi e nacque dentro di me ‘La presenza di Orfeo’…”, da Reato di vita, op. cit., p. 22. 34 ALDA MERINI internamento, la poesia si è sviluppata in volontà di comunicazione eliminando le precedenti oscurità. Tutto, o quasi, il notevole materiale che la Merini inviava aveva a che fare con la propria produzione artistica o con la propria vicenda personale: poesie, prose, librettini, edizioni private, corrispondenze varie, articoli, recensioni su alcune sue opere o di alcuni suoi amici. Non c’era un ordine che venisse rispettato: si poteva trovare in una busta degli anni novanta poesie del secondo marito, il poeta Michele Pierri, degli anni cinquanta; oppure uno scambio epistolare con Quasimodo negli anni cinquanta in buste degli anni ottanta; si potevano trovare libretti o poesie edite o inedite senza indicazioni di data se non quelle del timbro postale che, per le ragioni appena viste, dicevano ben poco. L’ingentissimo materiale è composto più da lettere che da poesie: nelle lettere trapela una Merini amica, sempre grata a chi le scrive, ma vi si può scorgere anche una Merini infantile o adolescenziale. Infantile soprattutto perché molte lettere possono avere toni dolci ed elogiativi e tante altre possono averne di amari e d’invettiva. Molto del materiale presente al Fondo pavese è quindi inedito per volontà della Corti. Abbiamo visto che la semiologa aveva sempre auspicato un lavoro critico e di selezione nei riguardi di questa sterminata produzione privata. Il materiale privato, dopo la morte della Corti avvenuta nel febbraio 2002, non ha trovato più un centro di raccolta, ed è finito in mano a una grande quantità di editori e tipografi pronti a pubblicare qualsiasi cosa della poetessa, senza un benché minimo senso critico o un piccolissimo lavoro intellettuale nella sua presentazione. Una constatazione piuttosto ovvia è che la suddetta proliferazione di opere, operette, librettini, libercoli et similia della Merini, dal gusto alle volte quasi volgare imposto da certi editori, è dovuta al successo mediatico che la poetessa ha acquistato da quando, nel 1992, è comparsa per la prima volta alla nota trasmissione televisiva di Maurizio Costanzo. Stando ai media televisivi la poetessa CAP. 1. MERINI RIFIUTATA 35 risulta essere quasi l’unico poeta italiano, e non a caso molto spesso è stata chiamata “la più grande poetessa italiana” (alcune volte seguito da “contemporanea” altre da “del ‘900”). Non che non si possa essere d’accordo, ma questo merito a me sembra essere stato messo dai media più per mancanza di altri nomi noti a loro che per qualità comprovate. Il vero problema, che qui solo si solleva, è che se i media parlano “troppo”, la maggior parte dei critici letterari tace. In questo senso deve intendersi l’affermazione di Giancarlo Majorino a proposito della poesia meriniana che “può disturbare gli esperti e sedurre gli inesperti”27: “l’impossibilità che spesso si avverte, di separare l’Alda Merini delle cronache – la singolarità della sua poesia e del suo ‘personaggio’ – dall’Alda Merini della poesia”28 fa si che la maggior parte dei critici ‘di professione’ tendano a non rischiare e quindi a non prendere posizione. È una specie di secondo rifiuto, opposto al precedente. Insomma, “L’impressione generale è che […] manca un reale interesse per i testi”29. Ritornando alla questione della proliferazione delle opere, essa risulta problematica soprattutto per il fatto che in queste discutibili pubblicazioni possano trovarsi poesie che valgano l’acquisto e siano di una perfezione strabiliante o di un’intuizione profonda. Per fortuna la questione ha le dovute eccezioni: alcuni, pochi, amici (intellettuali o editori) sono riusciti a preservare le qualità migliori della poetessa e a farle emergere in certi suoi libri. È soprattutto a questi che noi guardiamo. L’ultima cosa da dire riguarda il mio incontro con la poetessa. Parlare del mio colloquio con lei non significa certo 27. In Poesie e realtà 1945-2000, Giancarlo Majorino, Marco Tropea Editore, Le Querce, novembre 2000, p. 242. 28. In Il multiforme universo della poesia di Alda Merini, Silvia Dipace, Prospettiva Editrice, maggio 2008, p. 37; e ancora: “Esiste, insomma, un ‘caso’ Merini, che inceppa l’analisi critica e crea un po’ di confusione” (p. 39). 29. In Roberta Alunni, Alda Merini L’«io» in scena, Società Editrice Fiorentina, monografia 1, dicembre 2008, p. 114. 36 ALDA MERINI parlare di intervista, se per intervista s’intende una domanda seguita da una risposta almeno parziale o comunque inerente l’argomento richiesto. Con la Merini non si può dialogare, poiché fa monologhi (non so da quanto tempo, ma sicuramente già dal 1994, anno in cui venne pubblicato il libro Reato di vita30), e sente le domande in un modo tutto suo. È come se rispondesse ad una seconda domanda presente nella domanda appena posta, e sconosciuta al richiedente. Probabilmente è a questa caratteristica che Ambrogio Borsani si riferisce quando afferma che “Chi conosce e frequenta Alda Merini sa che ogni momento della vita viene da lei vissuto due volte. Prima nella realtà, poi nella sua proiezione fantastica”31: lo scarto tra questi due mondi è breve. Non è né un glissare né un travisare, bensì è come avere un orecchio che alteri la domanda. Per spiegare questa particolarità può forse essere utile una frase, che utilizzo come suggerimento, di Giorgio Manganelli, personaggio a lei caro e da lei ricordato più volte come grande maestro: “Essere distratti quando si cattura una parola che sembra illuminante, e deviare stranamente il discorso, così che chi ci intrattiene non capisca che mai si abbia in mente.”32 Alle volte però tracce di lucidità logica nella risposta alle domande fatte ci sono, ma sono molto sporadiche e comunque brevi. Non esiste, che io sappia, un’intervista chiara e logica, cioè con tutti i crismi consueti, che vada dall’inizio alla fine. Questo è un problema, che io preferisco chiamare caratteristica, sollevato da molti; quando non sollevato salta naturalmente agli occhi di chi non si fa depistare dalla riposta orfica, misterica, o semplicemente ‘sbagliata’ della poetessa. Lamentele di ciò si hanno in molti autori; un esempio per tutti è in Paolo Mattei, il quale afferma che 30. Op. cit. 31. Dalla “Nota” di Ambrogio Borsani in Delirio amoroso, il melangolo, Nugae 40, gennaio 1997 (I ed. 1989), p. 109. 32. In La notte, Adelphi, Biblioteca Adelphi n°326, settembre 1996, p. 25. CAP. 1. MERINI RIFIUTATA 37 “Nella vita di Alda Merini bisogna entrare in punta di piedi. Anche perché, se sospetta che vuoi rubarle il segreto, il suo segreto di poeta, è pronta a innalzare le sue barriere”33, e riporta alcuni versi della poetessa: “Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo/Poeta difenditi con ferocia/il tuo sguardo sono cento sguardi che ahimè ti hanno/guardato tremando”34. Continua poi così: “La Merini riesce infatti a reinventare anche un genere tutto sommato vecchio come quello dell’intervista. Tu […] vuoi parlare della follia […] come forma di esilio; lei, dopo averti ascoltato con calma, ti risponde chiedendoti se per caso hai qualcosa da mangiare […] E se provi di nuovo a seguire la tua logica - spieghi, ti affanni, lasci capire che hai letto i suoi libri e vorresti fare un po’ d’ordine fra tante, opposte, sollecitazioni - la vedi appannarsi e farsi sempre più distante. È un pessimo segno, se continua così nel giro di pochi minuti si perde la sua attenzione. E allora è la fine. Molto meglio assecondare i suoi ritmi un po’ illogici” -ed è ciò che fanno tutti- “e proprio per questo, a tratti, geniali. Poi si può sempre rimettere ordine a posteriori, in quella rete di caos e disordine che sono le sue risposte. Un labirinto all’interno del quale non sempre è agevole orientarsi. Può accadere di tutto […] intimando: ‘Ma questa è un’intervista oppure, con tutte queste domande, lei vuole rubarmi il mestiere?’”35. Dove non deraglia dai consueti canoni, rispondendo così alla domanda, la poetessa risponde spesso con brevi incisi, che suonano come sentenze e che tagliano qualsiasi ulteriore sviluppo di comunicazione; succede spesso quando le domande siano da lei considerate sempre le 33. Da Esuli. Dieci scrittori fra diaspora, dissenso e letteratura, presentazione di Gustaw Herling, Paolo Mattei, minimum fax, maggio 1997, p. 185 (nel capitolo “Alda Merini: la pazza della porta accanto”) [saggio apparso anche nella rivista Poesia n.107, giugno 1997 col titolo “Prigioniera della libertà”]. 34. Da Lo sguardo del Poeta, In Vuoto d’amore, op. cit., p. 3. 35. Da Esuli, op. cit., pp. 189-190. 38 ALDA MERINI stesse o risultino scottanti. Questi quasi apoftegmi sono di vario tipo: si va dallo scherzoso allo schernevole, dal serio al tragico, dal delizioso al volgare. Quattro brevi esempi: 1) D: “Cosa dice ai nuovi poeti?” R: “Non scrivete!” D: “Ma cosa devono fare?” R: “Suicidarsi!”36 2) D: “Di fronte a un obiettivo si mette subito in posa, si diverte” R: “Sono una donna dal clic facile”37. 3) D: “Allora crede nell’al di là?” R: “Mio marito ce l’ha un al di là. Io no.”38 4) “Una per strada mi chiede: ‘Che cos’ha lei più di me?’. Ho detto: ‘Signora, il seno’.” Infine, un’altra caratteristica, anche questa comprovata da me, è la sua enorme generosità, testimoniata da più o meno tutte le persone che sono andate a trovarla. La sua generosità si manifesta nell’elargizione di doni, di tutti i tipi: si va da una tastiera a una fotografia, a innumerevoli poesie. Chi scrive, per esempio, ha ricevuto da lei una gigantografia (47x65cm), fatta dal suo fotografo di fiducia Grittini, che la ritrae assieme ad un mastino, fuori da un bar. Comunque, i suoi doni sono oggi soprattutto poesie, e oggi è un periodo che vede accentuata la caratteristica orale, espressa principalmente attraverso telefonate39. 36. Dal mio incontro con lei avvenuto a metà dicembre 2003. 37. Da un’intervista trovata sulla rete, ora irreperibile, che non riporta né il nome dell’intervistatrice né la data (comunque stimabile, da vari indizi, attorno la fine del 2004). 38. Dall’intervista fatta il 16 settembre 2002 da Silvia Dipace, in Il multiforme universo della poesia di Alda Merini, op. cit., p. 100 (la cit. ss. è a p. 102). 39. In più parti dei fogli pavesi si trova testimonianza delle ingenti bollette telefoniche e della difficoltà a pagarle; si parla pure di chiusure del telefono e di bollette di milioni di lire (il fatto è stato anche riferito in pubblico dalla poetessa durante la già cit. trasmissione di Maurizio Costanzo MCS. Il Diario speciale). CAPITOLO II Biografia, biografie Essendo la poetessa vivente, biografie su di lei che siano in qualche modo complete non esistono. Alcune tracce biografiche sono riportate nei suoi libri ma, ad esclusione delle due introduzioni di Maria Corti a Vuoto d’amore (1991) e a Fiore di poesia40 (1998), sono insufficienti; risultano non solo insufficienti ma anche fuorvianti i dati e le vicende biografiche, rintracciabili nelle interviste o negli articoli che la riguardano, soprattutto a causa della superficialità di molti giornalisti o critici, che confondo i nomi delle figlie, i luoghi, le opere e le date. Le introduzioni della semiologa, benché affidabili, non sono però molto estese e la biografia è seguita in parallelo alle opere della poetessa, per un risultato biobibliografico. Per cui sarò costretto ad estrapolare dalle introduzioni della Corti le notizie utili ad un quadro generale della vita della Merini. Per comprendere ancora meglio la vita della poetessa sarà utile, in un secondo tempo, vedere come lei stessa vede o ricorda la propria vita, raccontandola come fosse leggenda41. Seguirà in ultimo uno specchietto bio- 40. Nella seconda introduzione la Corti ripropone spesso le stesse parole della prima; c’è però da segnalare che questa seconda affronta opere cronologicamente posteriori e quindi non affrontate in quella precedente. 41. Come si vedrà al punto II del presente cap., mi riferisco alle sue due opere Reato di vita, op cit., e Sono nata il ventuno a primavera, a c. Piero Manni, Manni Editore, Pretesti 225, marzo 2005, pp. 101. Giustamente Andrea Cortellessa parla di Legenda Sanctae Alda (La fisica del senso, op. cit., p. 161) e la Alunni di ricordi “teatralizzati” (in Alda Merini L’ «io» in scena, op. cit., p. 27). 40 ALDA MERINI grafico che, se non avrà la completezza (la poetessa è viva e i dati disponibili oscuri e contradditori) avrà almeno l’affidabilità e la rigorosità cronologica. La particolare anormalità della Merini sembra divenire normale (cioè voluta e decisa chiaramente) quando constatiamo che conosciamo di lei solo quello che lei vuol farci sapere: “La cosa a cui bisogna stare attenti, quando uno si confessa in pubblico, è quello che non sta confessando”42. Non ci sono veri testimoni che raccontino (tranne le accennate sporadiche dichiarazioni di qualcuno) i vari aspetti della sua vita. È lei a tessere le trame della sua biografia che diventa così (quasi) sempre autobiografia per bocca e penna di altri. 1. Biografia Alda Merini è nata a Milano il 21 marzo 1931 da una famiglia in cui il padre lavorava alle Assicurazioni Generali Venezia e la madre era casalinga. Nella famiglia c’era già una sorella maggiore e arriverà un fratello minore. La Merini ha frequentato le scuole professionali all’Istituto Laura Solero Mantegazza, cercando poi inutilmente di farsi ammettere al liceo Manzoni perché respinta in italiano. Attorno a questo periodo incomincia a studiare il pianoforte e a quindici anni a scrivere le prime poesie: “Silvana Rovelli, cugina di Ada Negri, passò qualche poesia ad Angelo Romanò, che a sua volta le passò a Giacinto Spagnoletti, giustamente considerato il vero scopritore della Merini” (Corti, 1991, p. VI). La futura poetessa cominciò a frequentare nel 1947 la casa di quest’ultimo diventando così parte della sua cerchia di amici, che comprendeva scrittori, poeti, letterati fra cui: Giorgio Manganelli, Luciano Erba, Davide Turoldo, Maria Corti ed altri ancora. Proprio durante il 1947 venne internata per un mese a Villa Turro, una clinica psichiatrica priva42. Da Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione, J.D.Salinger, Einaudi, Nuovi Coralli 382, 1998, p. 140. CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 41 ta, poiché “incontrò le prime ombre nella sua mente” (ibi.). Alla sua uscita trovò alcuni amici, soprattutto Manganelli e Corti, che le consigliarono dei medici. Nel 1950 Spagnoletti pubblicò, per la prima volta, due sue poesie nell’Antologia della poesia italiana 1909-194943 che divennero quattro nel 1951 in Poetesse del Novecento44. Dopo la partenza di Manganelli da Milano, nei primi anni ‘50 la Merini intrattenne rapporti di amicizia e di lavoro con Salvatore Quasimodo. Nel 1953 sposò Ettore Carniti, “proprietario di alcune panetterie milanesi” (ivi p.VII). In quello stesso anno esce il suo primo volume, La presenza di Orfeo45, che sarà seguito, nel ‘55, da Nozze romane46 e da Paura di Dio47; lo stesso anno vedrà la nascita della prima figlia, Emanuela. La raccolta successiva Tu sei Pietro48, del 1961, è dedicata non all’apostolo ma al medico curante della figlia, Pietro appunto. Dal 1965 ha inizio l’internamento al manicomio Paolo Pini di Milano che prosegue fino al 1972 con alcuni brevi ritorni in famiglia che vedono anche la nascita della seconda figlia, Barbara. Segue un’alternanza di malattia e salute fino al 1979 quando, “a detta della Merini stessa, lei torna a scrivere e soprattutto dà l’avvio ai testi poetici più intensi” (ivi p.VIII), quelli raccolti ne La Terra Santa49. Nel 1981 le muore, dopo una lunga e 43. Op. cit. 44. Poetesse del Novecento, Scheiwiller, 1951. 45. La presenza di Orfeo, Schwarz, quinto quaderno della collana di poesie «Campionario», gennaio 1953, pp. 36 (tiratura 1000 cp. num.); ora in La presenza di Orfeo, Libri Scheiwiller, «Poesia» n. 50, giugno 2003 (I ed. settembre 1993), da cui d’ora in poi citerò. 46. Nozze romane, Schwarz Editore, XIII volume della collana «Dialoghi col Poeta», 1955; ora in La presenza di Orfeo, Scheiwiller, op cit. 47. Paura di Dio, All’Insegna del Pesce d’Oro, collana «Serie Letteraria», 21 marzo 1955; ora in La presenza di Orfeo, Scheiwiller, op cit. 48. Tu sei Pietro. Anno 1961, a c. Mario Costanzo, Vanni Scheiwiller, All’Insegna del Pesce d’Oro, «Lunario», 21/03/1962, pp. 52 (tiratura 500 cp. num.); ora in La presenza di Orfeo, Scheiwiller, op. cit. 49. Op. cit. 42 ALDA MERINI penosa malattia, il marito Ettore. Rimasta sola, la Merini affitta una camera ad un pittore, Charles, e cominciano le interminabili telefonate al poeta tarantino Michele Pierri, “ammiratore della sua poesia” (ibi.). Dopo due anni di tribolazioni in questo “labirintico triangolo: il marito morto, il pittore presente, il poeta tarantino lontano” (ivi p. IX), sposa, alla fine del 1983, il poeta Pierri e si trasferisce a Taranto. Poco prima, grazie all’aiuto della Corti, che può “testimoniare la generale ottusa indifferenza degli editori” (ivi p. VII), riuscì a pubblicare una parte delle poesie che poi formeranno La Terra Santa sulla rivista Il cavallo di Troia. A La Terra Santa, che racconta in versi l’esperienza manicomiale, si possono accostare per tematica il diario L’altra verità50 del 1986 e il Delirio amoroso51 del 1989, che raccontano la stessa esperienza ma in prosa. Al periodo tarantino (ottobre ‘83 - luglio ‘86) risalgono alcune poesie che appaiono prima in “autoedizioni”, a volte introvabili (come Rime petrose52, Le più belle poesie53, La gazza ladra, Per Michele Pierri54), poi quasi tutte vengono raggruppate in diverse raccolte. Nel luglio 1986, la Merini ritorna a Milano dopo aver trascorso a Taranto un periodo alquanto oscuro, soprattutto perché lei poco ne parla, in cui rivisse ancor più terribilmente gli orrori del manicomio. A Milano va in cura dalla dottoressa Rizzo e riprende pian piano la vita normale, grazie anche alla pubblicazione, su interessamento di Scheiwiller, de L’altra verità. “Per sua fortuna e nostra letizia Alda Merini negli ultimi anni Ottanta e nei primi anni Novanta riprende quota, scrive, avvicina gli amici di un tempo” (Corti, 1998, p. XIV) e affianca la prosa alla 50. L’altra verità. Diario di una diversa, Libri Scheiwiller, Prosa n.2, maggio 1986, pp. 128. Alcuni passi di questo libro uscirono, prefati da Giorgio Manganelli, nel settembre 1983 sulla rivista Alfabeta. 51. Op. cit. 52. Autoedizione, 1983, pp. 38, ora in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit. 53. Autoedizione, 1983. 54. Queste ultime due opere compaiono in Vuoto d’amore, op. cit. CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 43 poesia con L’altra verità, Delirio amoroso già menzionati Il tormento delle figure55, La pazza della porta accanto56 e altri libri ancora. L’affiancamento dei due generi aumenterà per la presenza di entrambi nella stessa raccolta (si veda ad esempio Ipotenusa d’amore, La palude di Manganelli o Il monarca del re, Un’anima indocile57). Per la stessa casa editrice di queste ultime tre opere, La vita felice, esce nel 1993 Titano amori intorno, in cui si celebra l’uomo di questo periodo, Titano appunto, un barbone che la poetessa ospita in casa. La frequentazione al caffè-libreria “Chimera”, nell’area dei Navigli, con amici letterati, intellettuali e artisti, la porterà ad elargire loro molti dattiloscritti “tormentati graficamente perché scritti su una oramai vecchia macchina da scrivere priva di nastro” (Corti, 1998, p. XVII). La raccolta Ballate non pagate58, che contiene poesie composte dal 1989 al 1994, si ricollega a questa atmosfera “difficile e insieme indimenticabile, che era già desto[a] nel secolo XIII con Bonvesin da la Riva” (ibi). Queste poesie sono lo specchio delle esperienze della Merini e in loro vi si canta l’angoscia per la morte di cari amici (Manganelli, Titano, Pierri e Roberto Volponi). La Corti termina il resoconto introduttivo dando conto dell’opera La volpe e il sipario59 in cui “si rivela […] costantemente applicata la tecnica della poesia che nasce di getto per via orale e altri trascrivono” (ivi p. XVIII). Io posso aggiungere solo due cose ancora. La prima è la scomparsa di persone a lei molto care, dalla grande amica Corti al grande amico Scheiwiller. La seconda è che, dal ‘9260 in poi, la Merini 55. il melangolo, nugae 6, 1990, pp. 87. 56. A c. Chicca Gagliardo e Guido Spaini, Bompiani, Tascabili Bompiani n.375 Romanzi e Racconti, 1995, pp. 158. 57. Tutte opere pubblicate presso l’editore La vita felice, le prime due del 1992 e la terza del 1996. 58. Einaudi, collezione di poesia n.252, 1995, pp. 112. 59. Girardi Editore, 1997, con una tiratura di 333 copie fuori commercio; la raccolta sarà ristampata con lo stesso titolo solo nel novembre 2004 presso la Rizzoli, Piccola Biblioteca La Scala, pp. 103. 44 ALDA MERINI diventerà un fenomeno mass-mediatico che la farà essere, dal 2000 al 2005, il poeta più venduto in Italia61. In quest’arco di tempo (dal 1992 a oggi) tutti la vorranno e tutti o quasi lei accontenterà: dalle apparizioni in televisione (in primis con Maurizio Costanzo, che la fece conoscere al grande pubblico, ma anche con Gigi Marzullo e con Vincenzo Mollica) alle innumerevoli interviste apparse sui quotidiani più importanti d’Italia. Non credo sia però utile fare un elenco delle persone celebri che lei ha conosciuto perché spesso non le frequenterà più dopo gli incontri. Questo prestarsi al pubblico, salvo nei periodi in cui la salute cagionevole le fa disdire gli impegni, ha come conseguenza un aumento esponenziale delle opere. Questa sorta di invasione meriniana, già accennata nell’Introduzione, si spiega con un fatto molto importante e solo parzialmente nuovo (poiché alcune tracce possono vedersi nelle opere del passato): mi riferisco alla caratteristica dell’oralità e della conseguente facilità di ‘poetizzare’ il parlato, che già la Corti aveva segnalato come caratteristica di questi ultimi tempi. A questo fatto si aggiunga la pressione di amici editori (da Nicola Crocetti a Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, ai ‘microeditori’) nel pubblicare qualsiasi foglio o parola della poetessa. Un caso limite si può vedere in La poesia luogo del nulla62, in cui una poesia non ha un inizio né una fine e pare veramente un delirio. Con la conoscenza acquisita del materiale cartaceo al Fondo Manoscritti 60. Anno in cui è apparsa per la prima volta al Maurizio Costanzo Show per presentare la seconda edizione de L’altra verità. 61. Dato ricavato dalla tabella di una articolo di Enzo Golino intitolato “I cantieri della poesia” e apparso su «La Repubblica» il 24 marzo 2005. In un sondaggio più recente (“Topo ten della poesia. Leopardi meglio di Dante e Alda Merini batte Petrarca”, in www.panorama.it, Cultura e società, 18.04.08, fatto dalla Società Dante Alighieri) si riscontra che Alda Merini è al 10° posto come “poeta più amato dagli italiani” e l’unico vivente. 62. Op. cit.; la poesia in questione ha nel suo incipit una prova di ciò: e non bastasse debbo anche lavare (p. 32). CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 45 dell’Università di Pavia posso asserire che la poesia in questione è incompleta e molto probabilmente uno dei tanti fogli volanti che la poetessa era solita regalare e che un critico letterario serio, quale la Corti, avrebbe sicuramente rifiutato per una pubblicazione o almeno avrebbe caldeggiato l’autrice a rivederla. Segnalo qui di seguito alcuni nomi di amici, che spesso si confondono in amanti, che lei cita nelle dediche o ne parla alle interviste: Giuliano Grittini, il già citato fotografo personale delle poetessa nonché suo amico, Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, amico scrittore che diventerà anche un piccolo editore, Acquaviva, dei suoi fogli (piccolo solo perché non conosciuto e che con lei ha pubblicato già più di una ventina di libri), J. Manuel Serantes Cristal, che, come lei dice, “mi assiste durante le mie bestemmie e le mie preghiere, che è diventato il secondo volto di Alda Merini”63, Alberto Casiraghi, scrittore, editore, disegnatore ed amico, con cui condividerà i libriccini pregiati (vicini a quota mille!) delle edizioni Pulcinoelefante e altri libri che lui illustrerà64, e tutti gli amici a noi sconosciuti che forse mai conosceremo ma che hanno orbitato e orbitano attorno alla sua casa. 63. Dalla pref. dell’autrice stessa a Dés Cartes (Descartes), op. cit., p. 5. 64. Si veda ad esempio L’anima innamorata, Frassinelli, I Libri di Arnoldo Mosca Mondadori, 2000, Titano amori intorno, op. cit., ma anche Aforismi e magie, Rizzoli, Bur La Scala, 1999 (opera che sceglie alcuni brani dalle Edizioni Pulcinoelefante). 46 ALDA MERINI 2. Autobiografia La Merini parla spesso, se non esclusivamente, di sé, e le notizie della sua vita sono rintracciabili nelle opere di prosa e nelle molte interviste da lei rilasciate. Però un solo libro è nato chiaramente come autobiografico, ed è Reato di vita65 che qui di seguito sintetizzerò. Come accennato nel capitolo precedente, non ci si dovrà stupire se si troveranno dati contradditori, mancanze e aporie (tralascio le informazioni già date come ad esempio la data di nascita e dei matrimoni, e cercherò di seguire un ordine cronologico). Il passato e i vissuti vengono molto spesso da lei mitizzati, poetizzati e trasformarti in una vita da leggenda66. La madre, figlia di insegnanti di Lodi, non aveva voluto studiare ma aveva avuto gran buon senso e buona cultura. Il padre, intellettuale molto raffinato e buon tenore, era un assicuratore ed era figlio di un conte di Como e di una contadina di Brunate; egli sapeva educare i figli e fu il primo maestro della Merini (le insegnò a leggere, a scrivere e, più avanti, i “segreti della matematica”). Da ateo il padre si convertì al cattolicesimo per sposare la madre di Alda. A cinque anni, sotto insistenza della figlia, il padre le dovette regalare un vocabolario e a otto aveva “mandato a memoria l’intera Divina Commedia”, facen- 65. Op. cit. Va inoltre ricordato che da poco è uscito il libro Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie, op. cit., che è purtroppo un ottimo esempio di come la Merini sia diventata agli occhi dell’editore un grande affare: il libro è quasi un collage di vecchie dichiarazioni, o affermazioni non nuove, e poesie già edite che si spacciano per pubblicabili perché seguite da “nuove poesie” che in totale sono 19. Sull’onda del nome si fanno tante cose e non credo all’insaputa dell’autrice. Per un esempio peggiore si veda nella mia bibliografia finale il libro Canto Milano (2007), non a caso dello stesso editore. 66. Due gli esempi dove esplicitamente parla di ciò: “La poesia è leggenda specie in età giovanile” (in La presenza di Orfeo, Scheiwiller, op. cit., p. 8) e, riferendosi ai suoi cambiamenti, “Così l’uomo diventa leggenda e la leggenda uomo” (Reato di vita, op. cit., p. 38). CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 47 dosi colpire dalle illustrazioni del Doré, e anche “tutta la Delly […] ma il mio entusiasmo era rivolto a Tolstoij, Dostoevskij, Victor Hugo e André Gide” (cosa che, chi scrive, dubita fortemente, vuoi per l’età e vuoi per la testimonianza di parecchie contraddizioni). La madre era molto restia nel permettere a questa figlia di leggere; per questo motivo la futura poetessa dovette leggere di nascosto, ma “soffrii terribilmente di questi sforzi mentali e soprattutto cominciai a sentire i primi sensi di colpa”. Questa madre era “una madre fascista”, dedita alla disciplina e all’ordine, era molto bella e per questo motivo ammirata e invidiata dalla Merini. Nel periodo adolescenziale nasce un “blocco forse derivante” dai “veti tremendi” della “madre ad amare gli altri invece che il Fascio Littorio”. Nonostante che la madre fosse stata “felicissima a dare la sua fede al duce”, il padre non accettò di aderire al fascismo e fu mandato al confino. A dieci anni67 la Merini riceve da “Maria José del Belgio […] il premio per la miglior piccola poetessa italiana”68, che consisteva in “un libretto della Cassa di Risparmio di mille lire”. Così la Merini descrive se stessa in quegli anni: “Di natura malinconica, sempre un po’ vile nei confronti della prepotenza dei coetanei, mi ero creata la mia immaginazione segreta e una inveterata solitudine che più tardi avrebbe generato la mia nevrosi”, e ancora: “Mi mancava l’effusione degli altri bambini e finii per adagiarmi in una vita contemplativa, quasi sacrificale”. A nove anni s’innamora del coetaneo Roberto, figlio di un violinista della Scala, con cui voleva scappare di casa; ma il fatto venne scoperto e la vigilanza della madre, per evitare lo scandalo, aumentò. A questo ragazzo furono dedicate le prime liriche “scopiazzate”, come lei stessa dice, dal Corrierino dei Piccoli, imparando così “l’endecasillabo dalle didascalie dei vari Corrierini”69, sebbene “i 67. Che sono “otto” in Sono nata il ventuno a primavera, op. cit., p. 14. 68. In ibi. parla di “diploma di poeta”. 48 ALDA MERINI modelli di cultura [rimanessero] pur sempre i libri” del padre. Nel frattempo continuava ad avere amori e a sedici anni scappò con un fornaio. “Disgraziatamente tutti i miei amori si risolvevano in una frode romantica perché le mie compagne riuscivano sempre a portarmi via i ragazzi e cominciai a soffrire di quelle strane crisi di abbandono di cui ancora soffro”. Durante il primo bombardamento su Milano nasce il fratello e dopo il secondo bombardamento (ottobre 1943) la famiglia deve lasciare la città per riparare nel novarese (“Fu quello stato di cose che decise poi della mia nevrosi”70) dove la Merini alternerà il lavoro di mondina con lo studio del pianoforte. Benché “Gli spaventi provati, noi senza dimora, il sovraccarico di mio fratello […] fecero sì che m’incupissi sempre più” e anche se “Noi, nella casa di fortuna di Trecate, accampati in qualche modo in un’unica stanza, ci arrangiavamo alla meno peggio”, tuttavia, per l’oramai dimostrata contraddittorietà della poetessa, “furono anni felici”. La famiglia ritorna a Milano a piedi e “approda sul Naviglio”71, in “uno scantinato accanto 69. Una segnalazione a esempio delle sue molteplici contraddizioni: a otto anni aveva detto di “aver mandato a memoria l’intera Divina Commedia”, ma ora afferma di aver imparato l’endecasillabo dal Corrierino dei Piccoli, che in realtà è in ottonari; come se non bastasse, in Sono nata il ventuno a primavera, op. cit., dirà di aver “imparato a memoria la prima cantica” (p. 16). Inoltre, in Antenate bestie da manicomio, op.cit., p. 52, citando gli ottonari del Corrierino afferma: “memorizzavo quegli endecasillabi”; l’errore metrico contagia anche i critici (ad es. la Alunni non se ne accorge, in Alda Merini. L’«io» in scena, op. cit., p. 11). E ancora: lo scopritore ufficiale, Giacinto Spagnoletti, scriveva in un’analisi su di lei che “ha letto finora pochi e non sempre buoni libri, e ignora del tutto, per esempio, la Divina Commedia” (in Antologia della poesia italiana (1909-1949), op. cit., ora in La Terra Santa, Scheiwiller, op. cit., pp. 165-166). 70. Molteplici, contradditori e non affidabili sono i motivi indicati dalla poetessa di Milano per la sua malattia, una malattia che molto spesso è divenuta un’entità, un’idea, un concetto subito idealizzato… 71. Per tutta la vita la Merini abiterà “sul Naviglio”, ad eccezione del periodo manicomiale e di quello tarantino. Nonostante ciò, lei ricuserà CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 49 alla casa di Giacinto Spagnoletti”. Lì rimase fino a sedici anni. Proprio grazie a Spagnoletti entrerà a far parte della “prima società poetica”: “Spagnoletti, pieno di premure, mi aprì la sua casa […] Io ero la più giovane di quei poeti e la meno istruita, e mi fu data la Storia della letteratura del De Sanctis. La scelta dei testi da leggere fu dunque influenzata dalle indicazioni di Manganelli, Spagnoletti, Erba, Camillo De Piaz, Turoldo, Quasimodo che, di volta in volta, mi raccomandavano le loro letture preferite. Potei così interiorizzare la cultura di quei grandi personaggi e conoscerli nell’intimo.” assieme ad altri importanti personaggi milanesi dell’epoca, come Anna Banti, Violetta Besesti, le sorelle Maruccelli, le sorelle Fontana, Maria Luisa Spaziani. Segue poi una segnalazione importante: “Se è vero che Spagnoletti fu il primo a scoprire la mia poesia (andava leggendo le mie liriche per i salotti letterari con oh di meraviglia), fu la contessa Borletti a pagare sessantamila lire ad Arturo Schwarz per la prima stampa”. Oltre a riuscire a viaggiare per tutta l’Italia grazie al padre, la Merini veniva ospitata per tre mesi all’anno a Meana di Susa, in Val d’Aosta, dagli zii. Lo zio, tenente colonnello e spadaccino, aveva tenute da caccia grandi e alla sua casa “convergevano i duchi d’Aosta, i blasonati, Hemingway, Dogliotti, Mangiarotti, mia cugina alla lontana Nanda Pivano”72, la nota americanista da poco scomparsa. più volte la definizione di “poetessa dei Navigli” e non solo perché “non mi garba proprio. Il Naviglio non è quello di una volta” (da Confessione di un poeta. Racconti, a c. Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, Acquaviva, dicembre 2006, p. 61). A questo proposito si segnala un suo libro (Le zolle d’acqua, op. cit.) che riporta sotto il nome la dicitura: “poetessa ai Navigli” e in un’introduzione (Baldanza della cenere, Zanetto Editore, aprile 2007, p. 5) è definita: “la musa dei Navigli”. 72. In Sono nata il ventuno a primavera, op. cit., p. 14, afferma passasse anche Croce. 50 ALDA MERINI A quindici anni era stata “mandata a Torino per una grave anoressia, iniziata durante la guerra a causa della vera fame che si era provata ed aggravatasi per il dolore causatomi dall’interruzione degli studi ordinati” dalla madre, poiché era nato il “fratello e non c’era da mangiare per tutti. I miei zii mi fecero curare dai migliori neurologi di Torino, ma non volevo guarire. Afflitta da una tremenda cecità isterica” si riprese dopo un mese circa73. In questo periodo incontra Manganelli, che “malgrado fosse già sposato […] aveva paura di toccarmi e non sapeva come dirmi che mi voleva bene”. Manganelli l’affidò alle cure di Fornari; ma i tre poi litigarono e Manganelli, “non riuscendo ad ottenere un divorzio consensuale dalla moglie e vedendosi portar via la figlia, fuggì da Milano”. “Per consolarmi della fuga di Manganelli finii tra le braccia di Quasimodo che, riuscendo ad amare tre o quattro donne alla volta, era più permissivo”. Le parole che usa in questa autobiografia per descrivere la sua cerchia di amici di quel tempo sono particolari e contraddittorie se accostate ad altre sue. Non voglio segnalare il confronto con questi contradditori giudizi ma riporto semplicemente qualche frase a loro dedicata: “David Maria Turoldo […] come me fu un avido sognatore. […] dopo vari miei tentativi di piegare David a sentirsi santo, quel mio continuo chiedergli grazia finì per irritarlo. Non voleva assolutamente essere considerato un uomo diseguale, diverso”; “Pasolini era scattante, simultaneo, apparentemente duro di cuore […] era fattivo, volitivo, tempestoso […]” segue una frase che la coglie in flagrante ma forse involontaria invenzione: “Più tardi 73. In ivi pp. 17-18 c’è un’altra sua variante che riporto perché importante: “ho fatto una poderosa cura dimagrante a base di…non mangiare, per cui mi sono guadagnata un esaurimento nervoso e sono caduta in un’anoressia potente che poi ho curato con lo shock da insulina. […] Mi è venuta la grande cecità isterica, non ci vedevo più; per circa tre anni sono stata cieca e ho girato per tutti gli oculisti […]”; qui si dubita di un periodo così lungo di malattia oppure va riferito ad anni precedenti, ma ulteriori tracce non se ne trovano. CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 51 Nelo Risi gli propose [a Pasolini] la messa in scena del Diario, ma non se ne fece nulla”; è invenzione poiché Pasolini morì nel 1975 e a quel tempo la Merini frequentava ancora il manicomio di Milano e il suo libro non era ancora uscito. Successivamente, per volontà soprattutto della madre, sposa Ettore Carniti benché il suo proposito fosse quello di entrare in convento. Il marito, spesso ritenuto da alcuni il fautore del suo internamento, viene qui difeso dalla poetessa, sebbene in alcune dichiarazioni ne parli molto male74; anche qui i suoi giudizi sono contradditori. Con la frase seguente, considerata da me fra le più adatte alla conoscenza del mondo merinano, la poetessa inizia a parlare del suo internamento: “per me il manicomio è stato un formidabile punto di osservazione”; e continua: “malgrado tutta la mia preparazione culturale, ciò che mi ha salvata è stato lo stupore, la capacità di stupirmi, più che arrabbiarmi, di fronte alla perdita di dignità dell’essere umano”. Poi si trovano asserzioni che sollevano ulteriori dubbi, come ad esempio: “Ho accettato il manicomio perché mio padre non credeva in Dio, non credeva negli uomini” e “Quando mia madre morì trovai un sostituto alla sua protezione nel manicomio, che divenne la mia seconda casa, la mia seconda madre. Non è stata una frattura, ma una continuità della mia vita reale”. Più che dubitare, poco si capisce e forse proprio non le si crede; infatti alcune righe dopo riesce a dire “Tutto sommato ero una bambina felice, talmente felice che spesse volte piangevo e pregavo Dio di castigarmi”, per terminare con “Quando mi ritrovai in manicomio, ogni tortura mi sembrava adatta al caso e chiedevo soccorso solo quando rischiavo di morire”. Grazie a Spagnoletti la poetessa conobbe Michele 74. Tra le varie dichiarazioni segnalo una sicura poiché sentita in prima persona (nella conferenza tenutasi a Trieste il 22 aprile 2002 al Circolo Culturale S. Caterina da Siena): “mio marito era un alcolista che mi ha sempre maltrattata”. 52 ALDA MERINI Pierri, un poeta di Taranto, fondatore dell’“Accademia Salentina e amico di Maria Corti, Ungaretti, Quasimodo, chirurgo valentissimo”, che diverrà, dopo la morte di Ettore, suo secondo marito. La futura coppia si era sentita per telefono per quattro anni e per telefono i due decisero di sposarsi benché non si fossero mai visti. A far sì che i due si sposassero fu lo stabilirsi in casa sua di Charles, uno “sciupafemmine” che non pagava l’affitto e mangiava “a sbafo”: “Pierri, saputa la cosa, mandò un telegramma con scritto ‘ti sposo subito’” portandola via da Milano. Tramite un padre G. i due futuri coniugi si confideranno il reciproco amore e grazie a lui riuscirà a convincere Ettore “a rassegnarsi alla morte” e a lasciarla “andare sposa a questo grande vecchio, che poi mi accompagnò per l’ultima parte, la conclusione, della mia seconda ricaduta della follia”. Scesa a Taranto, per quattro anni fu “sposa felice” benché Michele fosse gelosissimo: “con un gesso faceva cerchiolini intorno alle sedie per vedere se qualcuno era venuto a trovarmi […] e io languivo nella più nera solitudine”. Il marito tarantino “continuava a fare il paragone tra me e la povera signora Pierri, sicché un giorno, malata di nevrosi e di nostalgia di Milano, me ne tornai nella mia casa sul Naviglio”, trovando giovani che la amavano per la sua poesia e vecchi che si ricordavano del suo internamento. Il “Portinaio” è una figura che viene spesso citata dalla Merini come mostruosa ma non è mai definita chiaramente75. In un’autobiografia, come il libro in questione, è lecito pensare di poter trovare una descrizione in qualche modo chiara, ma non è così: “Ho durato fatica in tutti questi anni a cercar di capire se il Portinaio intrigante e Padre R.76, avessero visitato il mio corpo oltre che la mia 75. Di lui ne parla con i suoi soliti modi: accenni allusivi, sottintesi sconosciuti, parole forti e parole oscure. 76. Più di una poesia è indirizzata a questo uomo di chiesa. Padre Riccardo, questo il suo nome completo, non corrispose all’amore della poetessa, almeno non nel modo che lei avrebbe voluto. CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 53 mente, ma non ho avuto risposte soddisfacenti, solo derisioni e ammiccamenti” e ciò fa subito capire che molte questioni e moltissimi dubbi rimarranno sempre irrisolti (“Se allora potevo scrivere pagine ispirate era perché il Divino, di cui nel delirio mistico facevo esperienza, io lo vedevo incarnato in padre R. e il turpe individuo che di notte mi violentava si incarnava nella figura del Portinaio”). “Ecco comparire accanto a me Titano […] barbone di accezione parigina” che lei ospiterà, amerà, odierà, gli lascerà per un po’ la casa e gli dedicherà molte poesie. L’autobiografia qui termina77. Altre e successive tracce (auto)biografiche sono sparse nelle poesie, nelle interviste, nelle prose seguite a Reato di vita e formano un labirinto che non ha uscite o che al contrario ne ha troppe: la schematicità del paragrafo successivo, che confido faccia un po’ di chiarezza sul materiale incandescente della Merini, è stata creata per questo motivo. 77. Va precisato che l’autobiografia è solo la prima parte del libro Reato di vita, op. cit.; a questa sezione seguono delle poesie, poi degli atti di un seminario e si conclude con due interviste. 54 ALDA MERINI 3. Cronologia Da queste due biografie e dai dati biografici sparsi, disponibili nelle molte opere della poetessa milanese, ho tratto la seguente sintesi che agevolerà la consultazione biografica. 1931 Il 21 marzo nasce a Milano Alda Merini da Nemo Merini e [?]. Ha una sorella maggiore di nome Anna. 1943 Durante il secondo bombardamento su Milano, avvenuto il 14 ottobre, la famiglia Merini è costretta a lasciare Milano e recarsi a Novara assieme al fratello Ezio nato da poco (1942). Anni quaranta. A guerra finita, la famiglia Merini rientra a Milano. La Merini frequenta le scuole professionali all’Istituto Laura Solero Mantegazza, tentando, senza riuscirci, di entrare al Liceo Classico. Attorno ai quindici anni comincia a scrivere le prime poesie che vengono notate dall’insegnante di latino Silvana Rovelli e che, con una catena di conoscenze, arriveranno a Giacinto Spagnoletti, suo ufficiale scopritore. 1947 Da questa data comincia a frequentare la casa di Spagnoletti e le persone che vi circolano, fra cui Giorgio Manganelli, Luciano Erba, Davide Turoldo, Maria Corti e altri. In quest’anno si manifestano i primi sintomi della malattia mentale che la porteranno ad un ricovero di un mese. Alla sua uscita trova alcuni amici (soprattutto Corti e Manganelli) che la aiutano e le consigliano dei medici. Con Manganelli l’amicizia si trasforma in amore (fino al ’49). 1950 Esce grazie a Spagnoletti l’Antologia della poesia italiana 1909-1949 che vede pubblicate due poesie della poetessa. L’anno dopo, queste due poesie più altre due saranno pubblicate dall’editore Scheiwiller in Poetesse del Novecento. Anni ‘50 La cerchia degli amici di Spagnoletti, ora amici CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 55 anche della Merini, si allarga comprendendo Carlo Betocchi, Camillo De Piaz, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Raboni e altri. Instaura un rapporto di amicizia e di lavoro con Salvatore Quasimodo che durerà fino al ‘53. 1953 Sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano. Esce La presenza di Orfeo. 1954 Muore la madre. 1955 Muore il padre, nasce Emanuela ed escono Paura di Dio, Nozze romane. 1958 Nasce la secondogenita Flavia. Quasimodo inserirà alcune liriche della poetessa nel volume Poesia italiana del dopoguerra. 1961 Esce Tu sei Pietro. 1965/72 Viene internata al manicomio Paolo Pini di Milano e, nei parziali ritorni in famiglia, dà alla luce altre due figlie, Barbara e Simona. 1972/79 Questi anni vedono un alternarsi di periodi di malattia e salute fino al 1979, anno in cui la poetessa ricomincia a scrivere poesie, successivamente raccolte in Destinati a morire (1981), La Terra Santa (1983), Il volume del canto (1991), Lettere al Dottor G (2008). 1980 Esce Destinati a morire. 1981 Il marito Ettore Carniti muore il 7 luglio dopo una lunga agonia. Affitta una camera al pittore Charles e inizia una comunicazione telefonica, che si protrarrà per due anni, con il poeta tarantino Michele Pierri, che infine sposerà. 1983 Escono La Terra Santa (febbraio) e alcuni passi, prefati da Manganelli, de L’altra verità (settembre); sposa in ottobre Michele Pierri, anche lui al secondo matrimonio, e si trasferisce a Taranto. Le poesie di questo periodo saranno raggruppate in Rime petrose e Le più belle poesie, che usciranno nello stesso anno, e in La gazza ladra e Per Michele Pierri (raccolte successivamente in Vuoto d’amore, 1991). 1984 Esce La Terra Santa e altre poesie. 1985 Vince il Premio Cittadella (per La Terra Santa). 56 ALDA MERINI 1986 Torna a Milano dopo un periodo di internamento passato a Taranto, ben peggiore di quello già subito. A Milano si cura con la psichiatra Marcella Rizzo e ricomincia a scrivere e soprattutto a frequentare gli amici di un tempo, fra cui Scheiwiller che le pubblica, nello stesso anno, L’altra verità, il suo primo testo in prosa. 1988 Il 24 gennaio muore il marito Michele Pierri. Esce la raccolta poetica Testamento, curata da Giovanni Raboni. 1989/90 Durante l’inverno frequenta, nell’area dei Navigli, il caffè-libreria “Chimera” dove era solita offrire dattiloscritti agli amici e agli avventori. Le poesie saranno poi raggruppate nelle Ballate non pagate (1995) che le farà vincere il Premio Viareggio nel 1996. Due prose saranno presto pubblicate: Delirio amoroso (1989) e Il tormento delle figure (1990). 1990 Esce Il tormento delle figure. Giorgio Manganelli muore il 28 maggio 1990; questa esperienza sarà all’origine de La palude di Manganelli o il monarca del re (1992). 1992 Compare per le prima volta in televisione al Maurizio Costanzo Show per le presentazione della seconda edizione de L’altra verità (il conduttore sarà poi ricordato nella Lettera a Maurizio Costanzo, 1995). Questo fatto avrà notevoli ripercussioni nella vita della poetessa (altre volte comparirà in televisione) e in qualche modo anche nella sua opera. Nasce (gennaio) un fiume editoriale (900 libriccini!) per l’amico scrittore e disegnatore Alberto Casiraghi nelle sue Edizioni Pulcinoelefante che si protrarrà per almeno due lustri. Esce La palude di Manganelli o il monarca del re. 1993 Esce Titano amori intorno, opera dedicata al clochard Titano che ospita a casa, che amerà e da cui verrà abbandonata. Le è assegnato Il Premio LibrexGuggenheim Eugenio Montale per la Poesia. 1994 Muore Paolo Volponi, grande amico delle poetessa. Esce Reato di vita. CAP. 2. BIOGRAFIA, BIOGRAFIE 57 1995 Escono Ballate non pagate, Lettera a Maurizio Costanzo, La pazza della porta accanto. Riceve il vitalizio Bacchelli. L’attrice Licia Maglietta adatta e porta in scena Delirio amoroso. 1996 Escono La vita felice. Sillabario, Un’anima indocile. Vince il Premio Viareggio con Ballate non pagate. 1997 Assegnazione del Premio Procida – Elsa Morante. 1998 Maria Corti cura l’antologia Fiore di poesia. 1999 Assegnazione del Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Settore Poesia. Nell’ottobre muore l’amico editore Vanni Scheiwiller. 2000ca Le comparizioni in televisione vanno scemando a causa della salute della poetessa ma vanno aumentando, in verità già da fine anni ‘90, i libriccini fatti con le poesie dettate al telefono o i fogli da lei donati agli ospiti della sua casa. 2000 Esce L’anima innamorata e Superba è la notte. Riceve l’onorificenza di «Commendatore del Lavoro». 2001 Esce Corpo d’amore. È candidata dal Pen Club al Nobel per la Letteratura. 2002 In febbraio muore Maria Corti. Esce Magnificat. 2003 Esce La carne degli angeli. Riceve l’Ambrogino d’oro da parte della città di Milano. 2004 Nel marzo è ricoverata all’Ospedale San Paolo per dolori all’anca. Da questa esperienza nasce Il poema della croce, che esce nel novembre dello stesso anno. Riceve l’onorificenza del Presidente della Repubblica ai Benemeriti della Cultura. 2005 Escono Uomini miei, Le briglie d’oro (giugno), Nel cerchio di un pensiero (ottobre). Esce il CD Poema della croce di Giovanni Nuti, con cui la poetessa avvia un sodalizio che dura ancora, partecipando a volte agli spettacoli. 2006 Escono Canzone dell’ultimo amore (febbraio), Alda & io (aprile) e l’importante Cantico dei Vangeli (ottobre). 2007 A gennaio viene esclusa dalla 57esima ediz. del “Festival della Canzone Italiana” di Sanremo la canzone 58 ALDA MERINI Sull’orlo della grandezza, scritta dalla poetessa per Giovanni Nuti. Escono Canto Milano, il CD Giovanni Nuti canta Alda Merini. Rasoi di seta (Maggio), La nera novella (agosto), Francesco (settembre), Colpe d’immagini (novembre). L’Università di Messina le conferisce la laurea honoris causa in Teorie della comunicazione e dei linguaggi. 2008 Continuano a susseguirsi i reading ai concerti di Giovanni Nuti. In aprile è intervistata nella trasmissione televisiva di Paolo Bonolis “Il senso della vita”. Escono Sonetti d’amore e angeliche pene (marzo), Lettere al dottor G (agosto), Antenate bestie da manicomio (settembre), Mistica d’amore (ottobre). 2009 Durante la serata inaugurale della 59esima ediz. del “Festival della Canzone Italiana” di Sanremo (febbraio), viene letta dal presentatore Paolo Bonolis la poesia Caro Sanremo. Sempre a febbraio escono i brani Il regno delle donne (musicato da Nuti) e Il nero e il bacio (di Niki Nicolai e Stefano Di Battista). In aprile è ospite su “Italia 1” al “Chiambretti Night” e in maggio esce La scopata di Manganelli. A settembre esce Padre mio, si costituisce a Milano il Comitato Pro Nobel Alda Merini “Pronome” e alla “65a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia” viene presentato il documentario Una donna sul palcoscenico di Cosimo Damiano Damato. È stato annunciato Memorie di una donna felice (Acquaviva) e a novembre, oltre a ricevere il “Premio Trieste Poesia 2009” assegnatole a settembre, dovrebbe uscire Mi chiamo Alda Merini (Manni). CAPITOLO III Il primo periodo La produzione poetica iniziale di Alda Merini è religiosa. Le prime poesie si presentano come un colloquio con un’entità che solo poche volte ha a che fare con la religione cattolica. Più in generale, la religione che si palesa è un cristianesimo personale, alterato dall’interrogarsi sull’esistenza e da un modo quasi colloquiale di interagire e porsi col divino. Soprattutto per quest’ultimo fattore, la poetessa è stata avvicinata spesso, ma grossolanamente, al misticismo, che ora si affronterà per chiarire e per dissipare, ove possibile, gli eventuali dubbi. L’approccio di vedere Alda Merini una mistica è un approccio superficiale che non rende giustizia alla verità seppure, nel cercare di dare una definizione alle prime poesie meriniane, soprattutto a una lettura poco attenta, si è tentati di inscriverla nel filone mistico. A mio parere, la Merini della prima produzione, e in maggior grado in quella della seconda, non rientra nella corrente del misticismo, ma tutt’al più se ne avvicina. Ora si vedrà il perché. Marco Vannini, uno dei più autorevoli studiosi di mistica speculativa, nel definire che cosa sia la mistica afferma due cose. La prima cosa è di “riportare il termine ‘mistica’ al suo senso greco originario, nel quale esso non era sostantivo, ma aggettivo di ‘teologia’, e indicava perciò una scienza di Dio, un discorso su Dio […] chiuso, riservato, riguardo al quale sono opportuni il silenzio, la quiete. La segretezza, il silenzio, la quiete, cui la teologia mistica rimanda, non sono però affatto da intendersi nel senso di esoterismo, o di rivelazioni private; tutto ciò è, anzi, negato dalla mistica”78. 60 ALDA MERINI È quindi un discorso di principio filologico, sempre utile e spesso obbligatorio per la ricerca del significato vero, originario. La seconda cosa è dare una vera e propria definizione: “Intendiamo […] per ‘mistica’ l’esperienza dell’Uno, ossia dell’unità profonda […] tra uomo e Dio”; questa breve ma centrata definizione allontana la poetessa milanese dal misticismo poiché ella, con il Dio cristiano o con il divino più in generale, non ha un’unità profonda, un legame proprio. La Merini non spartisce niente con Dio, poiché interrogarlo, parlargli e lodarlo non la rende unita a lui. Il rapporto è sempre quello di un soggetto che comunica con un Dio senza che quest’ultimo contraccambi in qualche cosa. Insomma, non c’è unione non c’è scambio. Vannini, più avanti, approfondisce ulteriormente: “Nella rimozione della volontà personale, nell’estinzione di ogni desiderio e contenuto, il mistico sa che la sua volontà è diventata volontà di Dio, il suo intelletto è diventato l’intelletto di Dio, dunque il suo io è diventato l’io di Dio”79, ma la poetessa non rimuove la propria volontà, anzi, la afferma prepotentemente, arrivando a volte ad un rapporto conflittuale. Vero è che moltissime sono le possibili definizioni di mistica e misticismo: qui si è voluto seguire quella originaria, benché chi scriva crede che in qualche modo un certo misticismo le si possa rintracciare, ma un misticismo assai diverso da quello originario, e più in potenza che in atto. Mi spiegherò tra breve. Tutta la produzione meriniana scaturisce da ciò che la poetessa vive, dalla sua esperienza concreta, mentale e soprattutto dal suo specifico stato d’animo, che le fa da lente in ogni occasione; e l’occasione è per lei la vita stessa, la “sua sola fons autentica, la vita vissuta e sofferta”80. Già dalla prima poesia, che compa78. Dall’Introduzione a Storia della mistica occidentale, Mondadori, Oscar Storia n.373, febbraio 2005 (I ed. ottobre 1999, ma col titolo Il volto del Dio nascosto, Mondadori, Civiltà e religione), p. 9 (corsivo dell’autore). La cit. ss. è a p. 10. 79. Ivi p. 11.