UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI URBINO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea quadriennale in Lettere Moderne Un processo per superstizione a Pesaro nel 1579 Tesi di laurea in Storia Moderna Presentata da Claudia Ansevini Relatore Prof. Guido Dall’Olio Anno accademico 2004-05 LibriSenzaCarta.it Prefazione LA MAGIA DELL’ACQUA Un processo per superstizione a Pesaro nel 1579 L’undici dicembre 1578 un certo Ippolito da Ferrara, uomo residente in contrada Santa Chiara a Pesaro, si presenta al vicario dell’inquisitore per sporgere denuncia: una vicina, donna Lena, gli ha riferito che in casa di Santa de’ Bernacchi si tengono pratiche magiche. Donna Lena può dirlo perché era passata diciamo per caso da Santa e vi aveva trovato una specie di altare improvvisato e, sotto l’altare, tre ragazze ciascuna con una candela in mano, e una donna incinta; in mezzo a loro, appoggiato su un banchetto, un’inghistara, ossia una brocca piena d’acqua; e con loro le organizzatrici del rito: donna Sensa e Bernardina Spadona. E mentre le tre ragazze recitavano la formula: “Angelo bianco angelo nero mostrami chi ha tolto quelli denari”, all’interno della brocca era comparso un diavolo che indicava il responsabile del furto che era il motivo per cui si faceva l’incantesimo. Questo inizio, e il seguito della vicenda, si leggono negli atti del processo che segue la denuncia, oppure nella trascrizione che ne fa Claudia Ansevini nella sua tesi di laurea, dove non si nega, oltre allo studio attento e metodico del documento, anche il piacere del racconto che ne scaturisce. Non vi dico come prosegue la vicenda, per non togliere niente al piacere di leggerla nel testo; vi anticipo però la fine, per il semplice fatto che non è conosciuta: il verbale infatti si arresta prima che venga pronunciata la sentenza. Al di là del carattere dilettevole della lettura, una breve scorsa all’indice mostra subito che lo studio di questo processo pesarese è fornito di un ampio contesto storico, sia in senso diacronico che sincronico: l’idromanzia è una pratica molto diffusa che ha origine antica e corrispondenze ai tempi in cui il processo si tiene, ed è chiaramente delineata nella disamina degli atti inquisitori e processuali. Sono questi atti “lo spunto per un’analisi sulla considerazione della superstizione negli ultimi decenni del XVI secolo”, sintetizza Claudia nella LI BRI SenzaCARTA.it 2 PREFAZIONE prefazione che trovate nell’interno; nel suo studio “il punto di vista offerto è duplice, mirante ad approfondire sia la concezione popolare della superstizione, sia le modalità d’intervento dell’autorità ecclesiastica.” Chi poi volesse emergere dall’inattuale, troverebbe in questo genere di studi ormeggi inaspettati del presente: non solo a causa di una persistenza transecolare dell’interesse per le pratiche magiche, demoniache e divinatorie (femminili come nel caso; anzi, una forma di consorteria femminile che reagisce autonomamente a un sacerdozio negato e frustrato), ma anche per alcune sopravvivenze di quel modo di condurre i processi ecclesiastici nello Stato Pontificio che trova corrispondenze in alcuni processi di oggi, dove viene ancora riservato un ruolo consistente il pentimento e non è indifferente nemmeno l’opinione prevalente, quasi che invece di un reato si dovesse giudicasse uno scandalo o un peccato. Il fatto che talvolta i processi del Tribunale Ecclesiastico non arrivassero nemmeno a formulare una sentenza (forse questo è uno dei casi) non faceva che sottolineare la benevolenza e insieme l’arbitrarietà dell’istituzione etico-giuridica, la sua indifferenza ai tempi della giustizia, la sua contiguità con altri poteri dai quali dovrebbe restare anche ai nostri giorni più rigorosamente separata. Leonardo Badioli LI BRI SenzaCARTA.it 3 Introduzione La mia tesi, “Un processo per superstizione a Pesato nel 1579”, mira a chiarire quali fossero gli atteggiamenti della Chiesa verso questa pratica, la concezione popolare che se ne aveva e quali fossero le dinamiche di un processo. Viene sottolineato che furono anni di svolta, in quanto si assistette al passaggio dalla persecuzione del protestantesimo alla persecuzione della superstizione; tale cambio di orizzonte viene analizzato seguendo gli sviluppi dell’Inquisizione. Quest’ultima, infatti, rifondata nel 1542 per combattere la diffusione del protestantesimo, fu fino agli anni ottanta concentrata nella lotta al luteranesimo. Alla fine del XVI secolo la forte incidenza di casi giudiziari riguardanti protestanti si ridusse molto, ma l’attività complessiva dei tribunali con diminuì e anzi aumentò abbracciando una vasta gamma di reati. Ciò avvenne perché on quel momento l’inquisizione romana cominciò a intendere il proprio compito di lotta all’eresia in modo molto ampio, al punto che negli ultimi due decenni del Cinquecento la pratica della magia soppiantò il protestantesimo come più comune capo di imputazione, rappresentando da sola più de 40% dei casi. Con il termine magia ci si riferisce naturalmente ad una gamma amplissima di comportamenti considerati illegali. Il caso esaminato tratta di una pratica superstiziosa tesa alla divinazione. Le ragioni di fondo per le quali la Chiesa perseguiva questo genere di pratiche erano il fatto che si cercasse di prevedere cose che dipendono dal libero arbitrio dell’uomo, e soprattutto il fatto che, se la conoscenza del futuro non poteva essere ottenuta attraverso metodi naturali, allora era implicito l’intervento del Demonio e quindi un patto con lui. Gli atti del processo di cui parliamo si trovano presso l’Archivio Vescovile di Pesaro proprio perché esso si svolse in questi anni di passaggio in cui non era del tutto definito il cambiamento. Infatti, nonostante la denuncia del fatto venga presentata al Vicario dell’Inquisitore di Rimini, questi la delegò all’autorità LI BRI SenzaCARTA.it 4 INTRODUZIONE vescovile. Una delega di questo genere è probabilmente tra le ultime, poiché negli anni immediatamente successivi il tribunale dell’inquisizione avocò a sé tutti i processi relativi a pratiche superstiziose. Alla base del processo in questione è una denuncia sporta da tal Ippolito da Ferrara, il quale dichiarava di essere a conoscenza del fatto che alcune donne del vicinato ricorrevano alla pratica divinatoria conosciuta come esperimento dell’inghistara. Questa pratica, basata sull’idromanzia, era una delle più note in Italia e non solo, ritenuta efficace per il ritrovamento di denari persi o rubati. Gli elementi indispensabili per la riuscita del rito erano tre: la presenza di una vergine, l’utilizzo dell’acqua santa, la recita di un’orazione. Attraverso uno studio comparativo tanto temporale quanto spaziale vengono quindi analizzate sia le numerose varianti dell’esperimento dell’inghistara, sia le pratiche magiche che avevano comunque finalità divinatorie. Ad una analisi del perché si ricorresse a tali pratiche seguono una parte tecnica nella quale si discute il caso dal punto di vista prettamente procedurale, la parte documentaria conclusiva. Claudia Ansevini LI BRI SenzaCARTA.it 5 INDICE Prefazione ............................................................................................................................................... 2 Introduzione............................................................................................................................................ 4 Nota......................................................................................................................................................... 7 CAPITOLO I IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI .......................... 8 I.1 L’inquisizione romana e le superstizioni............................................................................. 8 I.2 La vicenda processuale di Bernardina “Spadona” .......................................................... 15 CAPITOLO II LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” ......................................................... 26 II.1 Gli elementi della divinazione ............................................................................................ 26 II.2 Il rito dell’”Inghistara” e le sue varianti........................................................................... 34 II.3 Per un confronto con altri paesi: la divinazione in Inghilterra....................................... 43 II.4 Motivi del ricorso alla divinazione..................................................................................... 46 CAPITOLO III DINAMICHE DI UN PROCESSO ..................................................................................... 48 CAPITOLO IV CONCLUSIONI ............................................................................................................ 53 CAPITOLO V BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 55 Capitolo VI Pesaro) APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (Archivio Vescovile della Curia di 57 LI VI.1 Iura civilia et criminalia – fasc. 235................................................................................... 57 VI.2 Iura Civilia et criminalia – fasc. 245.................................................................................. 63 VI.3 Liber inquisitionum et condemnationum ms. ff.1 – 11 .................................................... 70 BRI SenzaCARTA.it 6 Nota Gli atti processuali in seguito esaminati, tratti dall’archivio vescovile di Pesaro, sono lo spunto per un’analisi sulla considerazione della “superstizione” negli ultimi decenni del XVI secolo. Il punto di vista offerto è duplice, e mirante ad approfondire sia la concezione popolare della superstizione, sia le modalità d’intervento dell’autorità ecclesiastica. Quest’ultima la considerava infatti come forma deviante della “vera” religione. Purtroppo la documentazione di cui si è in possesso non è completa, riguardando le parti relative alla denuncia, alla fase istruttoria e alla difesa, ed essendo priva della sentenza. In copertina: immagine della Haeresia, da C. Ripa, Iconologia, Roma 1593. LI BRI SenzaCARTA.it 7 Capitolo I IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI I.1 L’inquisizione romana e le superstizioni Da sempre la Chiesa aveva combattuto contro l’eresia, ma a partire dalla seconda metà del Cinquecento, la sua lotta si estende con maggiore intensità rispetto a periodi precedenti ad altre fonti di errore, più vicine e più insidiose della propaganda ereticale. La categoria dei “sospetti d’eresia”, da lungo tempo prevista dal diritto canonico, viene così utilizzata massicciamente per punire reati diversi dall’“eresia” teologicamente motivata e consapevole. Al suo interno vengono ascritti comportamenti diversi, per la maggior parte legati alla superstizione, e si incontrano soprattutto le prime avvisaglie dell’avanzante marea delle pratiche magiche con relativo abuso di sacramenti e di cose sacramentali quali” acqua benedetta, candele, foglie o rami d’olive benedette, croci, parole o sentenze o salmi della scrittura sacra” 1 . È del 1570 una “breve informatione” redatta a Modena da Umberto Locati nella quale quando si parla di maghi, streghe e incantatori, la descrizione pura e semplice è introdotta da spiegazioni elaborate, che sembrano giustificare il fatto che certe materie insolite compaiano tra le competenze inquisitoriali. Per la categoria di maghi e streghe, un preambolo avverte “perché simili sorte di persone abbondano in molti luoghi d’Italia, et anche fuori, tanto più conviene esser diligente; et perciò s’ ha da sapere, che a questo capo si riducono tutti quelli, che hanno fatto patto o implicitamente, o esplicitamente, o per se o per altri, col Demonio”. Quanto la 1 Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza, Torino, Einaudi, 1996 p. 326. LI BRI SenzaCARTA.it 8 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI validità di questo schema operativo fosse valida lo mostra il fatto che il testo fu riprodotto alla lettera nel manuale più largamente utilizzato nel Seicento: il Sacro Arsenale di Fra Eliseo Masini. Verso la fine del secolo poi, nelle sue Regole del tribunale del Sant’officio, Tommaso Menghini aveva davanti a sé una situazione ancor più chiara: bestemmie, sortilegi, e medicine “superstiziose” occupano in pratica l’intera gamma di reati inquisitoriali. 2 . Il cambio di orizzonte è ben visibile seguendo gli sviluppi dell’Inquisizione. Quest’ultima fu rifondata nel 1542 per combattere la diffusione del protestantesimo nella penisola, e per i suoi funzionari della prima generazione, quelli che operarono fino agli anni ottanta del cinquecento, la preoccupazione di gran lunga più sentita fu il “luteranesimo”. Una esemplificazione ne è data dai documenti veneziani e friulani, dai quali risulta che circa l’ottanta per cento dei primi casi giudiziari riguardò comportamenti protestanti o cripto protestanti. La trasformazione è individuabile alla fine del sedicesimo secolo, quando la forte incidenza di casi giudiziari di protestanti si ridusse di molto. Ma l’attività complessiva dei tribunali non calò e anzi aumentò, abbracciando un’ampia gamma di reati: evidentemente l’Inquisizione intendeva il proprio compito di lotta all’eresia in modo molto ampio. A partire dal 1585, tra i reati veneziani, la pratica della magia soppiantò il protestantesimo come più comune capo d’imputazione. Analogamente in Friuli le accuse di protestantesimo, predominanti fino al 1595, lasciarono il posto a quelle di magia e stregoneria. Anche a Napoli, dove il protestantesimo non aveva mai rappresentato un serio problema per il Sant’Uffizio, la pratica della magia diventò il capo di imputazione più importante già negli anni settanta del sedicesimo secolo, tale restando fino agli venti del diciottesimo. Nel 1600 la preoccupazione per le pratiche di magia e stregoneria persistette, mentre continuò a calare quella per la diffusione del dissenso religioso. L’illecita pratica della magia fu di gran lunga il tipo di comportamento eretico più spesso perseguito dagli inquisitori italiani una 2 Ibid., pp. 396,397. LI BRI SenzaCARTA.it 9 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI volta esauritasi l’ondata del protestantesimo e rappresentò, da sola, più del quaranta per cento dei casi sia a Venezia sia in Friuli, e quasi il quaranta per cento a Napoli. L’espressione “pratiche magiche” copre naturalmente una gamma amplissima di comportamenti considerati illegali. Il processo esaminato tratterà di una “pratica superstiziosa” tesa alla divinazione. Per la divinazione, come per l’astrologia predittiva, le ragioni di fondo della condanna ecclesiastica sono: il fatto che si cerca di prevedere cose che dipendono dal libero arbitrio dell’uomo; e soprattutto, il fatto che, se la conoscenza del futuro (come qualsiasi altra conoscenza delle cose occulte) non può essere ottenuta attraverso metodi “naturali”, (tenendo conto della profonda diversità della nostra idea di “natura “da quella dei nostri predecessori medievali e moderni), allora si può stare certi che ci sia l’intervento del diavolo e quindi un patto (espresso o tacito) con il demonio. LI BRI SenzaCARTA.it 10 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI REATO Luteranesimo Anabattismo Giudaizzanti Islamismo Calvinismo Greco-ortodossi "eresia in genere" materialismo-ateismo apostasia "proposizioni ereticali" Libri proibiti Cibi proibiti Blasfemia abuso dei sacramenti Bigamia Concubinato Adulterio Sodomia Sollecitazione Arti magiche offese al sant'uffizio pseudo-santità celebrazione illegale della messa falsa testimonianza Varie Totali 1547-1585 1586-1630 1631-1720 1721-1794 totali 717 109 77 2 905 37 0 1 0 38 34 16 28 0 78 10 27 42 1 80 13 18 29 0 60 3 8 11 0 22 68 27 6 1 102 1 4 14 7 26 15 17 12 0 44 62 26 107 105 300 93 48 40 0 181 23 12 16 5 56 17 41 61 10 129 9 12 106 9 136 3 7 12 0 22 7 5 4 0 16 3 7 0 0 10 5 5 5 1 16 3 22 72 23 120 59 319 641 22 1.041 10 8 6 1 25 0 1 5 1 7 2 4 14 8 28 14 21 1.229 7 66 816 4 31 1.344 0 7 203 25 125 3.592 Tabella I-1. Inquisizione veneziana 3 3 John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Milano, Vita e Pensiero, 1997, p. 87. LI BRI SenzaCARTA.it 11 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'Inquisizione Veneziana 700 600 500 400 arti magiche 300 200 100 0 1547-1585 1586-1630 1631-1729 1721-1794 Figura I-1. Grafico elaborato dalla tabella Tabella I-1 REATO 1547-1595 1596-1610 1611-1670 1671-1786 totali eresia e sospetta eresia 200 64 37 33 334 Giudaizzanti 1 0 3 1 5 "proposizioni ereticali" 34 45 89 89 257 Abuso dei sacramenti 1 4 12 12 29 cibi proibiti 66 153 40 10 269 Libri proibiti 7 46 127 13 193 Apostasia 0 0 3 7 10 Ateismo 0 0 0 3 3 Blasfemia 4 11 31 30 76 Bigamia 1 0 12 1 14 Concubinato 2 1 0 0 3 Sollecitazione 1 1 47 62 111 atri magiche 45 256 317 196 814 offese al Sant'Uffizio 1 13 8 6 28 pseudo-santità 0 0 8 1 9 celebrazione illegale della messa 0 0 1 1 2 Falsa testimonianza 0 0 2 0 2 Varie 11 5 13 10 39 Luteranesimo 0 5 56 50 111 Calvinismo 0 1 31 30 62 Islamismo 0 4 30 2 36 Greco-ortodossi 0 0 26 17 43 Altre conversioni religiose 0 0 2 1 3 Totali 374 609 895 575 2.453 Tabella I-2. Inquisizione friulana 4 4 Ibid., p 89. LI BRI SenzaCARTA.it 12 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'Inquisizione Friulana 317 350 256 300 250 196 200 atri magiche 150 100 45 50 0 1557-1595 1596-1610 1611-1670 1671-1786 Figura I-2. Grafico elaborato dalla tabella Tabella I-2. LI BRI SenzaCARTA.it 13 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI REATO 1564-1590 1591-1620 1621-1700 1701-1740 totali protestantesimo 19 18 26 1 64 giudaizzanti 41 8 20 0 69 islamismo 126 67 13 0 206 ateismo 4 8 11 1 24 "proposizioni ereticali" 38 86 50 6 180 libri proibiti 7 9 15 0 31 blasfemia 15 32 49 6 102 offese ai sacramenti 27 30 39 18 114 offese a voti e precetti 50 49 63 16 178 bigamia 9 73 169 38 289 concubinato 7 7 2 1 17 arti magiche 178 498 387 64 1.127 sacrilegio, offese a santi, luoghi e immagini sacre 11 6 5 16 38 offese al Sant'Uffizio 16 39 4 2 61 commercio di false reliquie indulgenze 2 12 18 5 37 falsa testimonianza 39 43 146 13 241 riconciliazione di protestanti stranieri 98 3 8 0 109 conversioni di mussulmani al cristianesimo 0 9 0 0 9 varie 48 24 61 9 142 totale 735 1.021 1.086 196 3.038 Tabella I-3. Inquisizione napoletana 5 Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'inquisizione Napoletana 498 500 450 387 400 350 300 arti magiche 250 200 178 150 100 64 50 0 1564-1590 1591-1620 1621-1700 1701-1740 Figura I-3. Grafico elaborato dalla tabella 5 Ibid., p 90. LI BRI SenzaCARTA.it 14 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI I.2 La vicenda processuale di Bernardina “Spadona” Sul finire del XVI secolo Monsignor Roberto Sassatelli, Vescovo di Pesaro, sta seguendo uno dei tanti processi per “superstizione”. Si trattava infatti, come abbiamo già detto, di uno dei “reati” più comuni contro i quali procedevano i tribunali ecclesiastici. L’undici dicembre 1578 un tale Ippolito da Ferrara, abitante di Pesaro, si presenta al convento di san Domenico davanti a Padre Paolo da Capriata, vicario dell’inquisitore di Rimini, per sporgere una denuncia. Ippolito dice di esser venuto a conoscenza da una certa donna Lena, residente anch’essa nella sua stessa contrada (Santa Chiara), di un episodio sospetto e racconta quanto gli era stato riferito dalla sua vicina. Ovvero che Lena andando a casa di una donna chiamata Santa de Bernacchi vi aveva trovato dei cavalletti di legno sistemati a mo’ di croce con sopra una coperta (ovvero era stato improvvisato una sorta di altare), sotto la quale c’erano tre “mamole” 6 , che tenevano tre candele benedette accese in mano, e una donna incinta “et havevano una incristara, o vero caraffa piena d’acqua benedetta sopra d’un banco in mezzo quelle giovine…et esse giovine dicevano :Angelo bianco, Angelo nero mostrami chi ha tolto quelli danari; et subito vidde uno con le corna nere, il qual angelo gli mostrò un vecchio vestito di berettino qual’ haveva tolto li danari”. In seguito a questo racconto a Ippolito viene fatto giurare di dire la verità. L’uomo prosegue affermando che questi fatti gli erano stati raccontati molti giorni prima, ma poiché non era sicuro di come si fossero svolti realmente, non aveva detto niente. Per appurarne la veridicità aveva mandato a chiamare una delle giovani presenti al fatto, e proprio questa, Isabella di Paris, gli aveva confermato il tutto, “per il che” dice Ippolito “son venuto a denuntiare al Santo Uffitio”. Al momento della denuncia Ippolito sembra molto ben informato sull’accaduto e specifica anche che la pratica che si era svolta in casa di Santa era stata fatta “per venire in cognitione d’alcuni danari robati a un maestro di legname” (si scoprirà poi trattarsi di tale Camillo Borello) LI BRI SenzaCARTA.it 15 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI e che l’”incanto” era stato voluto da due donne, chiamate l’una Bernardina, e l’altra Sensa. Proprio quest’ultima era poi andata a casa sua per scusarsi con la moglie dicendo che non sapeva che fosse peccato fare quell’incantesimo, ma a detta di Ippolito “questa matrona Sensa faceva professione di tal cose”. Alla presenza dei testimoni frate Antonino e frate Gregorio di Zara, l’uomo così conclude: “Io non mi son messo a dire queste cose sopradette per odio o per amore o per altra cosa cattiva: ma solo perché mi pare si debbano revelare acciò siano anihillate et tolte via”. Due mesi dopo, il dieci febbraio 1579, il vicario dell’inquisitore, Padre Paolo, chiama donna Lena per informarsi ulteriormente sull’accaduto. La donna, dopo aver giurato di dire la verità, dice di immaginare di essere stata chiamata a deporre a causa “d’una furfanteria qual’ è stata fatta per occasione di trovare certi denari”. Racconta quindi di aver visto, un giorno, donna Sensa portare in casa di donna Santa dei cavalletti, tre candele benedette, e una coperta rossa, e che con lei c’era un’altra donna, chiamata Francesca, che era incinta e che stava in casa di Bernardina “spadona”. Oltre alle suddette cose, viste da lei personalmente, aggiunge che un’altra donna del vicinato, donna Pelegrina, le aveva detto di aver visto portare da donna Sensa anche un inghistara 7 d’acqua santa. Lena dice di essersi insospettita poiché in passato, avendo perso un lenzuolo, donna Sensa le aveva detto che se le avesse procurato una caraffa di acqua santa lei sarebbe stata in grado di ritrovarglielo. Tutto ciò lo aveva poi raccontato a donna Teodora, moglie del già citato Ippolito, la quale, anche, sospettava che Sensa e Bernardina facessero delle “furfanterie”. La stessa Teodora le aveva quindi suggerito una scusa per andare a casa di Santa e scoprire cosa quelle donne, ”che fanno professione di incanti et hanno cattivo nome quasi in ogni cosa di poltronerie” stessero facendo. Così Lena si recò a casa di Santa e racconta:” aperto l’uscio viddi le sudette cose, quali erano state portate et ordinate intorno d’un tabernaculo con la coperta sopra”, ma dice di non aver potuto vedere chi erano le 6 7 Fanciulle in età da marito. Caraffa di vetro. LI BRI SenzaCARTA.it 16 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI donne che vi stavano sotto. I nomi li aveva infatti saputi in seguito, quando una di loro, Isabella di Paris, era andata a casa sua per scusarsi e per pregarla di non rivelare a nessuno l’accaduto. La ragazza, considerata da Lena “di buon nome, et d’ honore, et coscienza” le disse di essere stata sotto “quel tabernaculo” insieme a due figlie di donna Santa e a donna Francesca, e che “tutte queste cose si fecero ad instantia di mastro Camillo marangone 8 , qual sta in una botega in una strada qual viene, verso la piazza da Sant’Antonio, al quale furono robati alcuni danari, et esse mamole videro in detta cristara un angelo bianco, et un altro negro, et il padre di detto marangone, qual era vestito di berettino 9 , et teneva i danari in un gippone”. In modo simile a quanto detto da Ippolito, donna Lena termina così la sua deposizione “io non dico, né ho detto le sudette cose per odio, né per inimicizia, è bensì vero che loro vogliono male a me, per non volere la loro conversatione qual’ è di cattiva fama perché contro l’ honor mio, et comandamento di mio marito”. La testimonianza successiva, rilasciata anch’essa sotto giuramento, è di Pelegrina. La donna immagina di essere stata convocata in seguito a certe cose “mal fatte” alle quali era stata presente e risalenti a cinque anni prima. Racconta infatti che trovandosi “a vegghia” presso la sua vicina Bernardina “spadona”, mentre erano vicino al fuoco a filare, “venne alla sproveduta un animale brutto negro di figura deforme con gran strepito, che si avoltava intorno a questa spadona, il qual anco amorzò la lucerna, doi o tre volte”. Pelegrina ne aveva avuto molta paura e si era lamentata, allora Bernardina le aveva detto di non preoccuparsi, perché erano spiriti che le erano stati mandati da una donna affinché lei li facesse andare “a certi suoi favoriti”, cioè a Giovan Andrea ciavattino e a mastro Geronimo sarto. Pelegrina sottolinea inoltre che a seguito dello spavento avuto stette male per un anno. Le sue dichiarazioni circa Bernardina finiscono qui, ma Pelegrina ha qualcosa da dire anche su donna Sensa. Racconta infatti di aver visto quest’ultima con un’inghistara piena d’acqua 8 9 Ovvero falegname o carpentiere. Tonalità di grigio. LI BRI SenzaCARTA.it 17 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI e che la stessa Sensa le aveva detto trattarsi di acqua benedetta, che avrebbe usato insieme a delle orazioni, per ritrovare alcuni denari che erano stati rubati. Il verbale della giornata si conclude con la seguente nota :”il vicario 10 dopo che havrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà questa causa con i debbiti termini di giustitia”. E’ a seguito delle suddette denunce che il 2 maggio 1579, il tribunale vescovile di Pesaro chiamerà a deporre donna Bernardina de Amatis, già presumibilmente detenuta. Dalla prima parte del processo non emerge infatti se la donna sia in una condizione di libertà o sia già stata incarcerata, ma a giudicare dalla procedura dell’inquisizione, l’ipotesi più probabile sembrerebbe la seconda. “Si veniva infatti arrestati così, all’improvviso, senza sapere perché; si sperimentava la prigione per giorni e notti, prima di venire chiamati davanti al tribunale. La detenzione poteva durare a lungo; intanto, l’inquisitore continuava a raccogliere deposizioni. Finalmente un giorno si era convocati davanti a lui e qui cominciava l’interrogatorio” 11 Il meccanismo prevedeva che subito venisse chiesto all'imputato se conoscesse la causa della sua convocazione e in seguito ad una sua negazione si sarebbe proseguito con una serie di domande atte a mostrare una già acquisita conoscenza di dati tali da poter presumere la sua colpevolezza. Così accade anche per Bernardina. Infatti, quando la donna dice di non sapere per quale motivo è stata chiamata,- (1 recto ) il vicario vescovile inizia a porle domande su persone con lei coinvolte durante la pratica del cosiddetto "esperimento dell'inghistara“. I rapporti che l’imputata dichiara di aver avuto con queste donne, Francesca, Santa de Bernacchie, Isabella Paris,e Sensa, non rivelano però nulla che possa indicare una loro collaborazione nella pratica divinatoria sopra citata, (sulla quale si veda il II capitolo) e sembrano rifarsi ad una semplice conoscenza di vicinato. A seguito della reticenza di Bernardina, il vicario vescovile la esorta a dire la verità. 10 11 In questo caso il vicario è quello vescovile. Adriano Prosperi, op. cit., p.202. LI BRI SenzaCARTA.it 18 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI È in questo momento che l’imputata sembra perdere un po’ della propria sicurezza ed inizia a raccontare un episodio fino ad allora taciuto: Bernardina dice infatti di essere stata invitata da donna Francesca ad andare a casa sua e che una volta lì ci trovò anche le altre donne già menzionate. Una di esse, Sensa, le raccontò che un giovane, si verrà poi a sapere che si tratta di tale Camillo “marangone”, aveva perduto dei denari e che la madre, una povera donna, aveva sentito dire che tramite una inghistara d’acqua benedetta e un’orazione sarebbe stato possibile ritrovarli. Le era quindi stato chiesto se lei la conoscesse, ed in tal caso di dirgliela. Fu così che Bernardina insegnò ad Isabella l’ orazione :“Angelo bianco et Angelo santo, per la tua santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto questi danari.”, che poi venne recitata sotto una tavola mentre si guardava all’interno di una inghistara d’acqua È qui infatti che, seguendo il rituale, si sarebbero dovute individuare le fattezze del presunto autore del furto. Ammessa questa partecipazione alla pratica divinatoria, Bernardina nega poi di averne fatto uso in altre occasioni, ma ormai i sospetti sulla vita della donna possono ritenersi fondati e il vicario vescovile procede analizzando anche altri aspetti della sua condotta. Quindi, per confermare la conoscenza di situazioni ambigue nelle quali Bernardina si sarebbe trovata, il vicario vescovile ora le rende note le accuse rivoltole da donna Pellegrina facenti riferimento all’apparizione dello spirito. Nonostante un nuovo monito del vicario vescovile a dire la verità, questa volta l’imputata nega ripetutamente e accusa Pellegrina di essere una “sciagurata” e di “mentire per la gola”. L’interrogatorio di Bernardina viene interrotto qui, per essere ripreso più avanti e la donna viene rimandata in carcere. Lo stesso giorno viene interrogata Santa de Bernacchi. La donna dichiara che cinque o sei mesi prima donna Sensa andò a casa sua e le chiese di poter restare in compagnia di sua figlia Lucrezia. LI BRI SenzaCARTA.it 19 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI Santa, non sospettando nulla, accettò la richiesta e lasciò Sensa e Lucrezia sole in casa sua. Ma quando vi tornò vide che oltre a sua figlia e a donna Santa, c’erano anche Isabella di Paris, donna Francesca, e Bernardina. Le donne avevano messo una tavola su di un treppiede e l’avevano circondata di “panni”, lì sotto c’erano Isabella e donna Francesca, che era incinta, con una candela accesa in mano prese a guardare in una inghistara d’acqua. A giudizio di Santa vi rimasero per un’ora e quando uscirono, “tutte sudate ancor che fusse d’inverno la Sensa andò a chiamar detto marangone et li dissero che volesse usare un puoco di cortesia a quelle putte, che havevano visto chi haveva tolto li danari, e che li pareva che fussi stato suo padre”. Donna Santa viene congedata e viene ora sentita Donna Lena, il cui racconto conferma in sostanza il precedente. Donna Lena afferma infatti di aver visto portare in casa di donna Santa tre candele, un ‘inghistara d’acqua e una coperta da letto da Donna Sensa e “certi trespidi” da donna Francesca, dice anche di aver immaginato “che le volessero fare qualche incantamento per trovare qualche cosa” e di averne avuto la prova andando a casa di Santa. Aperto l’uscio vide difatti intorno ai trespidi Bernardina e Sensa, le quali, dice la testimone al vicario, fanno “professione di tal cosa” e scorse anche Isabella. Incontrata in seguito quest’ultima le aveva chiesto cosa avesse fatto a casa di Santa e la ragazza le aveva risposto che era stata sotto una tavola con le figlie di Santa e una donna incinta di nome Francesca, che avevano guardato in una inghistara d’acqua santa nella quale lei aveva visto un angelo nero, uno bianco e un vecchio “vestito di berettino con un gippone in mano”, e che queste cose erano state fatte per Camillo “marangone”, l’uomo a cui erano stati rubati i denari. Lena afferma di averle allora detto di non raccontare più queste cose perché ciò che aveva fatto era “peccato et prohibito” e che la stessa Isabella la pregò di non dire nulla. Quando le viene chiesto perché avesse sospettato che si trattasse di “incantamenti” la donna riferisce allora un episodio precedentemente accadutole. LI BRI SenzaCARTA.it 20 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI Racconta di aver una volta perso un lenzuolo e che quando donna Sensa lo era venuto a sapere le aveva detto che lei poteva ritrovarlo, ma che era necessaria una inghistara d’acqua santa. Lena continua riferendo che non considerando “l’importanza” della cosa si era recata da Padre Ottavio del Tedesco chiedendo l’acqua santa e spiegando a cosa le sarebbe servita e che allora il prete le disse che era una cosa proibita, di andarsene e di non parlarne mai più. Licenziata anche donna Lena, è il turno di donna Francesca, moglie di Giovanni linarolo. Francesca racconta che durante il periodo della gestazione era stata chiamata da tale “tona” affinché andasse a casa di sua zia Santa che le doveva parlare. La donna andò, ma quando raggiunse la casa vi trovò invece donna Bernardina. A quel punto la “tona” le disse di guardare dentro una inghistara per scoprire chi aveva rubato certi denari. Francesca ammette di aver guardato dentro l’inghistara, ma dichiara di non aver visto niente, mentre, racconta, la “tona” e Isabella, entrambe con una candela in mano, dicevano di aver visto un vecchio “vestito di berettino” con qualcosa sotto il braccio. A seguito di questa narrazione le viene domandato se fosse stato chiamato poi l’uomo per cui era stata fatta la pratica divinatoria, e in tal caso cosa avesse detto alle donne, ma Francesca dice di non saperlo poiché dopo la “visione” delle altre due “mamole” scappò e se ne andò a casa. Finita la sua deposizione viene congedata in attesa di confermare quanto da lei detto tramite altri testimoni. È il turno ora di Sensa; come di consueto, le viene chiesto se sappia o presuma la causa della sua detenzione, la donna dice di no, ma comincia a dare la sua versione del ritrovamento dei denari di Camillo. Dice di essere stata chiamata mesi prima da donna Benedetta, madre di Camillo, la quale le disse che al figlio erano stati rubati 25 scudi, che il figlio la incolpava del furto e che perciò la picchiava. Benedetta pregò quindi Sensa di andare da Bernardina per farsi insegnare qualche modo per ritrovare i soldi. Sensa dice di essere andata a casa di Bernardina, ma la donna non c’era, andò quindi da Santa, e le disse di cercare lei Bernardina spiegandole il motivo. Santa, o sua figlia, dice Sensa, andarono da LI BRI SenzaCARTA.it 21 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI Bernardina, le esposero i fatti e le chiesero se sapesse il modo di ritrovare quei soldi. Bernardina avrebbe detto di si, che sapeva un’orazione che si diceva con acqua santa e candele benedette e che per farla c’era bisogno della presenza di una donna incinta e di una vergine. Se si fosse provveduto a tutte queste cose l’avrebbe fatta. Le richieste vennero riferite a Sensa, la quale a sua volta le riferì a Mastro Camillo che adempì subito, dando a Sensa un’inghistara d’acqua santa e tre candele benedette. Sensa portò quindi queste cose più un panno e dei cavalletti a casa di Santa, dove già c’erano Bernardina e le altre ”mamole”. Allestita la tavola, vi si posero sotto Francesca, una figlia di Santa e Isabella. Sensa dichiara di essersene andata in quel momento, per far ritorno mezz’ora dopo. A pratica terminata, le donne raccontano di aver visto nell’inghistara un vecchio “vestito di berettino” con la barba bianca, ed essendo presente Camillo, Bernardina dice che era quel vecchio l’autore del furto. Terminato questo racconto il giudice chiede a Sensa se conosca donna Lena, se la ritenga attendibile e in che rapporti sia con lei. Sensa dice di essere sua amica, di considerarla “donna da bene” e che una volta si era lamentata con lei per la perdita di un lenzuolo. Ma quando le viene domandato se avesse detto a donna Lena di essere in grado di recuperare il lenzuolo avendo dell’acqua santa nega ogni cosa. Completato l’interrogatorio Sensa viene rimandata in carcere. Viene poi chiamato a testimoniare Camillo Borello, cioè il “marangone”. Quando il giudice gli chiede se sappia il motivo della sua convocazione, risponde dicendo che mentre saliva le scale del convento aveva incrociato donna Sensa, la quale gli aveva detto di essere lì a causa sua e perciò immaginava di essere stato chiamato in merito alla questione di certi denari che aveva perso e che Sensa all’epoca del fatto gli aveva detto di poter recuperare tramite un’orazione. Gli viene domandato se Sensa avesse richiesto delle cose, tipo acqua santa o candele benedette per dire tale orazione, al che Camillo risponde che Sensa aveva chiesto delle candele e che lui gli diede i soldi per comprarle, ma dell’acqua santa non ne sa niente. Gli diede semplicemente quella che era sulla tavola, non sapeva se fosse benedetta o LI BRI SenzaCARTA.it 22 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI meno né chi l’ avesse portata. Racconta quindi di essere stato chiamato in una casa dove c’erano molte donne, le quali gli riferirono della visione del vecchio e dalla descrizione che ne fecero, lui pensò che si trattasse di suo padre. Dice inoltre che Sensa gli chiese di “usar cortesia a quelle putte che avevano guardato nell’inghistara”, ovvero che gli avrebbe dovuto dare qualche soldo, e che lui rispose che lo avrebbe fatto se avesse ritrovato i denari. Gli vengono fatte ulteriori domande sulla questione dell’acqua e gli viene letta la versione che ne dava donna Sensa. Dato che le due versioni discordavano, viene richiamata Sensa per un confronto, ma entrambi i testimoni rimangono sulle loro posizioni. Al termine del confronto Sensa viene riportata in prigione e viene incarcerato anche Camillo. Dai verbali del tre maggio risulta che donna Francesca viene rilasciata su cauzione di venticinque scudi d’oro, con la promessa di ripresentarsi ogni volta le sia richiesto ma che, non avendo lei i soldi, a garantire la fideiussione è messer Alessandro scalpellino. Il quattro maggio viene interrogata per la seconda volta Pellegrina. Ciò che la donna racconta ora è lo stesso episodio dell’animale che sarebbe entrato in casa di Bernardina e che Bernardina le avrebbe spiegato essere uno spirito. Viene inoltre accennata una presunta relazione carnale di Bernardina con tale Gironimo sarto e una conversazione avvenuta tra Pellegrina e Sensa, durante la quale Sensa avrebbe detto a Pellegrina di non pensare che lei “facesse strigonarie, perché cercava certi danari che un povero homo haveva perso”. Sempre il quattro maggio anche per lei viene stabilita una fideiussione di venticinque scudi ed in più le vengono concessi cinque giorni per preparare la sua difesa. Quindi se con la cauzione il processo finisce per Francesca, al contrario quello di Sensa continua. Un’altra teste viene poi interrogata circa la condotta di Bernardina; si tratta di Teodora, figlia di Pietro Leotti. La donna dice di conoscere Bernardina, che da quando era piccola aveva sempre sentito parlar poco bene di lei, e che da quanto si dice in giro “haveva praticato con un mastro Gironimo sarto et con LI BRI SenzaCARTA.it 23 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI mastro Andrea ciavattino”. Ultimo atto della giornata è la liberazione di Bernardina. La fideiussione viene stabilita nella somma di cinquanta scudi e le vengono dati come termine per la preparazione della difesa cinque giorni. Anche per lei il processo va avanti. La sua difesa è l’unica ad essere registrata nei documenti esaminati. E’ infatti il 5 maggio quando il suo avvocato, Rainaldus de Orlandis, richiede che gli venga consegnata tutta la documentazione processuale riguardante la donna. Non abbiamo poi alcuna registrazione fino al 18 dello stesso mese, quando vengono chiamati a deporre i primi testimoni a discarico dell’imputata; altri ne vengono ascoltati nei giorni successivi, il 22 e il 29. Tutti dichiarano la buona reputazione di Bernardina ed evidenziano al contrario la cattiva condotta di donna Pellegrina. L’avvocato basa la difesa dell’imputata su tali dichiarazioni ponendo l’accento sull’inimicizia di Pellegrina nei confronti di Bernardina . e conclude dicendo che Bernardina de Amatis , detta la Spadona, ha vissuto e vive in una strada abitata da persone “onorate, da bene, di bona vita conditione et fama” le quali tutte reputano che sia una donna onesta, devota e “timorosa d’Iddio” e che mai abbia fatto pratica o professione di “assortilegii fatture ed incanti” mentre la Pellegrina fu cacciata dalla stessa strada perché generalmente considerata “donna di cattiva et disonesta vita, meretrice et di pessima et maledetta lingua bugiarda et mendace alle parole e che oltra li difetti suddetti è similmente malevola, odiosa et inimica di donna Bernardina, desiderandogli ogni male”. Tale linea di difesa è una delle più comuni, non potendo del resto l’avvocato disporre di altri mezzi, ma nel caso di Bernardina sembrerebbe avere dei fondamenti. Gli elementi che potrebbero far sorgere dei sospetti sulla intenzionalità degli accusatori a nuocere alla donna sono due. Il primo è forse un eccesso di interessamento alla vicenda da parte di Ippolito: l’uomo, non aveva personalmente assistito ai fatti che era andato a denunciare, ne era infatti venuto a conoscenza solo per sentito dire, e nonostante LI BRI SenzaCARTA.it 24 IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI ciò aveva avuto lo scrupolo di fare proprie indagini, di andare dall’inquisitore e di rivelarle. Atteggiamento questo che più di un cittadino zelante, parrebbe quello di un delatore. Il secondo elemento è relativo alla testimonianza resa da Pellegrina. La donna, ricorda con fin troppa puntualità un episodio risalente a ben cinque anni prima, e riferisce dettagli piuttosto tendenziosi. Quando nel racconto dell’apparizione dell’”animale brutto negro” sottolinea come questo “amorzò la lucerna doi tre volte” è difficile immaginare che non volesse alludere ad un’apparizione diabolica. Nella pratica dell’esorcismo, infatti, il segno che veniva considerato tipico della fuoriuscita del demonio dal corpo del posseduto era proprio lo spegnimento da parte di un animale-spirito della fiamma della candela. La similitudine, rintracciabile in un qualsiasi manuale post-tridentino, (ad es. Sacerdotale Romanum ad consitudinem S.R. Ecclesiae atque Summorum Pontificum authoritate multoties approbatum. Summa nuper cura iuxta S. Tridentini Concili sanctiones emendatum et actum…Venetiis MDXCVII p.330) non sarebbe certo sfuggita proprio ad un inquisitore. La documentazione termina qui e non si può sapere come si sia conclusa la vicenda. In generale la fideiussione poteva sia fungere da semplice garanzia per la libertà vigilata, sia chiudere in pratica il processo 12 . In questo caso, però, data la presenza della difesa e la volontà da parte dell’accusata di discolparsi, se ne può ipotizzare una probabile prosecuzione. 12 Marisa Milani, Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento, Verona, Essedue, 1989 p.69. LI BRI SenzaCARTA.it 25 Capitolo II LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” II.1 Gli elementi della divinazione Da questi verbali si può desumere che, pur con una certa riluttanza ed una generale tendenza a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento, tutte le donne dimostrano una buona conoscenza del cosiddetto “esperimento dell’inghistara”. Questa pratica divinatoria, basata sull’idromanzia, era infatti una delle più note e diffuse in Italia, e non solo, per il ritrovamento di oggetti e denari persi o rubati. Nel nostro caso le effettive protagoniste del rito sono due ragazze vergini ed una donna incinta, le quali, inginocchiate sotto una tavola allestita per l’occasione, guardano all’interno di una caraffa piena d’acqua, presumibilmente santa- anche se le donne lo negano, poiché sanno benissimo che l’abuso di un sacramentale come l’acqua santa aggraverebbe la loro posizione processuale- e con candele benedette in mano recitano la formula “Angelo bianco et Angelo santo per la tua santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto questi danari” per poi interpretare la figura che si era formata nella caraffa (inghistara), ovvero quella del supposto colpevole. L’abuso di sacramenti e di sacramentali doveva essere evidentemente molto diffuso, poiché citato anche nelle “costituzioni sinodali della chiesa pesarese” edite e promulgate nel Sinodo diocesano celebrato nel 1580, nelle quali al capitolo XLVI si dice “badino con ogni cura i Parroci, che non si usino i sacramenti per altro da quello a cui Cristo li istituì per grazia” e al capitolo successivo si specifica “Il residuo del vino della messa non sia concesso ad alcuno portarlo fuori dalla Chiesa, per favorire la produzione del latte nelle donne, o per cacciare la febbre (come falsamente si tramanda). Ovvero l’acqua, LI BRI SenzaCARTA.it 26 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” che viene estratta il Sabato Santo dal Fonte battesimale per benedire le cose, non sia distribuita ai laici poiché la adoperano per usi superstiziosi e certamente empi”. Sembra che i sistemi di divinazione più diffusi fossero caratterizzati da alcuni elementi fondamentali La presenza della vergine e della donna incinta sono fondamentali per la riuscita del rito, è infatti in esse che risiede, pur in maniera diversa, la purezza necessaria alla divinazione. Tale purezza è dovuta alla prima in quanto non ancora contaminata da rapporti sessuali ed alla seconda in quanto porta in grembo un essere ancora più innocente e puro. Ma non solo, infatti ciò che circonda la nascita, come la membrana amniotica o il cordone ombelicale, stando a cavallo tra l’al di qua e l’al di là, può mettere in comunicazione con un altro mondo, esattamente come possono farlo i frammenti di cadaveri o l’erba che cresce sotto le forche. Il loro ruolo, per lo stesso motivo, può essere ricoperto anche da dei bambini, è infatti un tratto specifico della storia dell’idromanzia il loro utilizzo come osservatori o medium, ed attestazioni in tal senso si hanno fin dall’antichità. Già Apuleio cita un passo di Varrone nel quale è preso in esame il seguente episodio: quando a Tralles, in Lidia, si volle consultare il futuro della guerra mitridatica ricorrendo alla magia, un fanciullo contemplò in una superficie d’acqua un’immagine di Mercurio, e predisse il futuro in versi. E’ da rilevare che il bambino deve essere “puro”, cioè sessualmente vergine. Questa caratteristica è riportata appunto nel “papiro di Londra e di Leida”, testo magico di provenienza egiziana :“Tu porterai un bambino puro che non sia ancora stato con donna, e parlerai sulla sua testa mentre egli è in piedi, prima, per vedere se ti sarà utile, andando alla coppa. Se è utile, tu farai che egli giaccia sul ventre; tu lo vestirai di una tunica di lino pulita con una cintura nella parte superiore della tunica. Tu reciterai la formula di cui sopra sulla sua testa, mentre egli è volto giù verso l’olio, per sette volte, mentre i suoi occhi sono chiusi. Quando tu avrai finito, LI BRI SenzaCARTA.it 27 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” fagli aprire gli occhi, e interrogalo su quello che vuoi. Tu farai questo fino all’ora settima del giorno.” 13 Dal processo mantovano contro un tale Giuliano da Verdena (1489), analizzato da Carlo Ginzburg, si ricava come quest’ultimo fosse solito predire il futuro e, più raramente scoprire gli autori di piccoli furti, riempiendo un vaso d’acqua, talvolta benedetta, accostandolo a un lume, facendovi guardare dentro un bambino e imponendogli di pronunciare la formula “Angelo bianco, angelo santo…” . Anche un altro rito praticato dallo stesso Verdena e implicante la presenza di bambini è riportato da Ginzburg “Giuliano legge in un suo libro, raccomandando ai bambini di far bene attenzione a ciò che vedranno apparire sulla superficie dell’acqua: e i bambini dicono di vedere ora ‘tanti tanti che parono musulmi ‘ ora ‘magnam multitudinem gentium inter quas aliquo erant pedester, aliquo equestre, aliquo sine manus ‘ ora ‘quendam hominem magnum sedentem cum famulo ab utroque latere ‘. Giuliano spiega ai bambini che i ‘musulmi’ sono spiriti, e che l’ignoto personaggio è Lucifero, ’magister artis ‘ Questi tiene in mano un libro chiuso, in cui sono elencati molti tesori nascosti, e Giuliano dichiara che ad ogni costo vuol trascrivere quel libro, “pro utilitate Cristianitatis et pro eundo contra Turchum et destruere eum”. Altre volte i bambini scorgono nell’acqua del vaso una figura in cui Giuliano riconosce la “domina ludi” che “inducta pannis nigris, cum mento ad stomacum”, appare a Giuliano stesso pronta a rivelargli “potentiam herbarum et naturam animalium”. 14 In questi casi si ha lo sconfinamento di una pratica di tipo magico-mantico in altre forme di evocazione diabolica e di magia, per le quali si presuppone un alto livello di elaborazione culturale (chiaramente non presente nel processo esaminato, che si svolge su un terreno più quotidiano). 13 Cristiano Grottanelli, Bambini e divinazione, in Infanzie, a cura di Ottavia Niccoli, “Laboratorio di storia”, n.6, Ponte alle Grazie (FI), 1993. 14 Carlo Ginzburg, I benandanti Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e seicento, Torino, Einaudi, 1966. LI BRI SenzaCARTA.it 28 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” Ancora nell’Ottocento è rintracciabile in Egitto un caso simile:“un bambino puro e innocente (di non più di dodici anni) guarda, dietro comando del mago, in una coppa piena d’acqua sulla cui superficie interna sono iscritti dei testi, e avendo un foglio di carta, anch’esso iscritto, inserito nel berretto in modo tale che gli pende sulla fronte. Il bambino è anche fumigato con incenso, mentre il mago mormora formule. Dopo un certo tempo, quando al bambino si chiede che cosa veda, egli dice che vede persone muoversi nell’acqua della coppa, come in uno specchio. Il mago chiede allora al bambino di impartire certi ordini allo spirito così apparso […]. Gli ordini sono impartiti e subito obbediti […]. Quando viene commesso un furto, lo ‘specchio’ magico è spesso interrogato nello stesso modo,[…] In un caso, l’accusa del bambino cadde su una persona che fu poi trovata completamente innocente, ma che il bambino, a quanto risultò aveva accusato del furto per pura malevolenza..” Questo episodio ci mostra che, nonostante il divieto governativo di effettuare tali pratiche, l’usanza del rito, antica ormai di almeno un millennio e mezzo, era radicata in modo tale da non poter essere rimossa. Insieme alla presenza di una persona pura, l’elemento ricorrente in questi casi è quello di un liquido all’interno del quale “vedere le cose occulte”. La divinazione mediante acqua, -o idromanzia-, deriva forse dalla pratica vicinoorientale (in particolare babilonese) di “leggere” il liquido in una coppa, nella quale era in alcuni casi introdotto, insieme all’acqua, dell’olio, (lecanomanzia)- e può essere accomunata anche alla divinazione mediante osservazione di uno specchio o cristallo, catottromanzia. Nel 449 Sofronio, vescovo di Tella, viene accusato di aver fatto ricorso a quest’ultima pratica per scoprire l’identità di un ladro. La fonte afferma che il bambino impiegato a tale scopo aveva precedentemente fornito servigi analoghi al vescovo: guardando in una buca piena d’acqua e d’olio, e poi nel bianco d’uovo, aveva visto in entrambi i liquidi LI BRI SenzaCARTA.it 29 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” una scena che gli aveva permesso di localizzare a Costantinopoli il figlio di Sofronio.15 Un caso autobiografico viene descritto dall’inglese Giovanni di Salisbury nel 1159. “nella mia infanzia fui posto sotto la direzione di un prete, che doveva insegnarmi i salmi. Siccome egli praticava la catottromanzia, accadde che, dopo alcuni incantesimi preliminari, egli usò me e un bambino un po’ più grande, che sedevamo ai suoi piedi, per quel suo atto sacrilego; in modo che attraverso un’informazione fornita da noi due gli fosse manifestato ciò che egli cercava per mezzo di unghie umane ammorbidite in un certo olio sacro o crisma, o della superficie liscia e lucidata di un bacino. E così, dopo avere pronunciato nomi che, a causa dell’orrore che ispiravano, mi sembravano pur essendo io un bambino, appartenere a demoni, e dopo aver proferito giuramenti dei quali, per volere di Dio, non so nulla, il mio compagno asserì di vedere certe figure come annebbiate, ma assai vagamente, mentre io ero così cieco a tutto ciò che nulla mi apparve se non le unghie o il bacino o gli altri oggetti che già prima vedevo colà. In conseguenza di ciò fui giudicato inutile per tale uso, e anzi, essendo io (con la mia cecità nei confronti della divinazione) addirittura di ostacolo a tali pratiche sacrileghe, fui condannato a non aver più nulla a che fare con tali cose, e ogni volta che loro decidevano di praticare la loro arte io ero bandito, come un impedimento all’intero processo” 16 Ultima componente del rito è la recitazione di una formula o di una preghiera, elemento presente già dall’antichità ed ancora fortemente in uso nel periodo preso in considerazione. Nel caso esaminato l’invocazione è rivolta ad un angelo, ma le orazioni potevano essere molteplici ed ognuna aveva una propria funzionalità. Una loro enunciazione e distinzione in categorie è sviluppata in una nota “sopra l’ufficio dell’inquisitore” redatta a Modena nei primi anni del 1600. Al punto quarto troviamo infatti descrizioni puntuali degli scongiuri :”cinque deta pongo al muro, cinque diavoli scongiuro, cinque deta pongo in terra non 15 16 Cristiano Grottanelli, op.cit. ibid., p. 35. LI BRI SenzaCARTA.it 30 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” scongiuro né Cielo né Terra ma scongiuro cinque Diavoli…” e delle varie categorie di orazioni:- per farsi amare d’amore disonesto, come sono l’ horationi di s. Daniele, di s. Marta, di s. Elena; - per sapere cose future o occulte, come quella “Angelo santo, angelo bianco”etc. et quella “dolce vergine”, et simili. Et i confitemini della Madonna; - quelle che contengono nomi incogniti, né si sa il loro significato. 17 A testimoniare la loro diffusione e la preoccupazione della chiesa in tal senso è un coevo documento redatto da Rodolfo Paleotti, vescovo di Imola, che analogamente parla di “quelli, che tengono, o dicono orationi non approbate, anzi reprobate dalla Santa chiesa per farsi voler bene d’amor lascivo, e disonesto, come sono l’orationi falsamente attribuite a S.Daniele, S.Marta, S.Elena o simili: quelle che si dicono per sapere cose future, et occulte come quella Angelo Santo Angelo Bianco, etc. E quella, o dolce Vergine, etc. o li nomi del ben volere; quelle, che contengono nomi incogniti, né si sa il loro significato, [….] Quelli che quando vanno la sera a dormire recitano una tale oratione per insognarsi, e conoscere eventi occulti, e futuri, o prosperi, o adversi, etc.” 18 . L’orazione recitata nel caso esaminato è poi anche incriminata nel 1570 da Umberto Locati, inquisitore a Piacenza, nel suo “judiciale inquisitorum” in cui oltre a sostenere in generale la pertinenza al suo tribunale delle pratiche superstiziose, ne descrive attentamente rituali e formule dichiarando “manifestamente ereticale” la “divinatio” che si praticava per sapere i segreti o per scoprire chi aveva rubato qualcosa e che comportava la presenza di candele benedette e acqua benedetta , e di un bambino o una vergine che guardando in un recipiente recitava la preghiera “Angelo bianco, angelo santo, per la tua santità e per la mia verginità…”. In tale formula, come del resto in altre, egli riscontrava un implicito patto con il demonio. 19 17 Adriano Prosperi, op.cit., p. 325, 326. Giuliana Zanelli, Streghe e società nell’Emilia e Romagna del Cinque-Seicento, Ravenna, Longo Editore, 1992. 18 19 LI BRI Adriano Prosperi, op. cit. SenzaCARTA.it 31 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” Può essere utile tenere presente che, in greco, la parola "daimon", traducibile grosso modo come "demone", è ambigua e può voler significare sia uno spirito buono che uno spirito malvagio (talvolta si trova specificato "eudemone" (nel caso di spirito buono) o "cacodemone" (nel caso di spirito malvagio). Nel latino della cristianità occidentale è rimasta soltanto la connotazione negativa. Questo significa che tutti gli "spiriti" di cui, secondo le dottrine neoplatoniche e occultistiche in generale è pieno il mondo, sono tendenzialmente malvagie secondo il cristianesimo. Occorre inoltre aggiungere un celeberrimo passo della seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, in cui si dice: "anche Satana si maschera da angelo di luce" (2 Cor 11,13). Questo brano è una delle basi scritturali della cosiddetta "discretio spirituum", cioè la pratica che consente di stabilire se un'entità è buona o malvagia. Distinzione per cui, in ultima analisi, chi detiene il potere ha il diritto di decidere. Tale attenzione alle orazioni si ritrova nuovamente verso la fine del 1600 nelle “Regole del tribunale del Sant’Officio” di Tommaso Menghini. Opuscolo dove si trovano anche, elencate in un tentativo di censimento, “historiole”, “leggende”, “orationi” e “preghiere superstiziose” proibite. In una “pratica” si può così leggere :” per far venire huomini alle case loro… ingroppano fettucce mentre stanno alla messa con cento innumerevoli nodi e nell’ingroppare dicono parole incognite o cognite, ma lascive…abusano acqua et candele benedette, recitando l’oratione di S. Daniele, di S. Elena et altre simili, che così chiamano, nelle quali invocano i santi a conseguire i loro intenti… fanno il sortilegio della caraffa per mezzo di putto o di zitella vergine, o di donna gravida, facendovi dire : Angelo santo, Angelo bianco, per la tua santità, per la mia purità…” 20 . A preoccuparsi delle orazioni non era poi la sola inquisizione. Le orazioni ai citati San Daniele e Santa Marta, per procurare l’amore di qualcuno o il ritorno della persona amata, potevano condurre chi le insegnava davanti all’inquisitore ma anche davanti al tribunale laico. Infatti se Maddalena da Ferrara fu denunciata 20 Idem, op. cit. LI BRI SenzaCARTA.it 32 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” all’inquisitore di Modena nel 1552 sotto questo capo d’accusa, pochi anni dopo a Roma la cortigiana Lucrezia fu condotta davanti al tribunale del Governatore con l’accusa di aver recitato l’orazione di san Daniele. LI BRI SenzaCARTA.it 33 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” II.2 Il rito dell’”Inghistara” e le sue varianti Dai testi esaminati, quindi, le componenti fondamentali delle pratiche divinatorie per il ritrovamento di oggetti smarriti, risultano essere tre. La presenza di uno più elementi puri, l’ utilizzo di una caraffa contenente un liquido e la recita di un’orazione. Essi si ritrovano tutti nell’ ”esperimento dell’inghistara”, ma il rito e la formula potevano avere molte varianti. Una testimonianza in tal senso viene offerta dall’ interrogatorio di tale Lucrezia Peloso, tenutosi a Pisa nel maggio del 1582. Il nome della donna era stato fatto a frà Felice da Pistoia da Bartolomea di Antonio dopo aver sentito una predica di quest’ultimo in Santa Maria. Così Bartolomea riferisce “quando voi predicaste et inteso quanto sia grande peccato il fare et far fare mallie, incantesimi et anguistara et la gran pena che è a coloro che sanno et non revelano, che sono scomunicati, vi dico che Lucretia moglie di Hieronimo Peloso fa l’anguistara et mi ha detto che tiene per certo di potervi vedere dentro le cose passate et quelle che hanno da venire, et che più volte ne ha fatto l’esperienza, et dice che non è contro della chiesa, anzi che è cosa santa il fare detta anguistara”. Le indagini avanzano con la convocazione di Lucrezia e come da procedimento prima di affrontare il problema vero e proprio vengono fatte alla donna alcune domande generiche su quali fossero le sue frequentazioni. Lucrezia ne è da subito infastidita e si avvia verso l’uscita, ma qui viene bloccata dagli sbirri del bargello. Così di fronte alla minaccia di essere condotta in prigione la donna comincia a parlare ed ammette di “saper fare l’anguistara”. Dice di aver imparato a Firenze, dove di queste cose non si fa conto. Si prende l’acqua attinta da tre pozzi la notte di San Giovanni da una fanciulla vergine e la si mette da parte. Quando occorre se ne riempie una caraffa, una donna vergine o gravida si inginocchia davanti a una candela accesa, recita tre Pater, tre Ave e l’orazione di San Giovanni e poi vede nella caraffa le cose perdute e le cose future. Né Lucrezia ha difficoltà ad ammettere che nell’efficacia di quel rito ci crede e che ritiene si tratti di cosa santa. LI BRI SenzaCARTA.it 34 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” Nei confronti di Lucrezia non viene emesso nessun mandato di cattura, ma viene rilasciata con l’obbligo di non allontanarsi da Pisa e di non rifare il sortilegio della caraffa. Lucrezia si impegna in tal senso, ma Fra’ Felice annota che la sua è solo un’obbedienza formale e che in lei non si vedono segni di contrizione per i “malefici” perpetrati. Dopo pochi giorni è interrogata dall’inquisitore in persona, che si mostra molto cauto. Soprattutto quando Lucrezia ribadisce di essere stata assolta più volte per quel sortilegio dai confessori, egli le ribatte di non voler infrangere il segreto della penitenza “nolo ego scire an si es absoluta in foro penitenziali”. L’obiezione del giudice, forse fondata sul rigoroso rispetto del sigillo sacramentale, è davvero inconsueta. Solo in un altro procedimento di questi anni (a Venezia nel 1591: M. Milani, Antiche pratiche di medicina popolare nei processi del S. Uffizio, p. 171) si incontrano queste preoccupazioni, nonostante che la prassi di dirottare ai tribunali di fede i penitenti non assolti, e non solo per addebiti di natura magico-diabolica fosse ampiamente diffusa nell’Italia del tempo. Quando, dopo una lunga sospensione, il processo riprende con una nuova convocazione, Lucrezia non è in casa. Sta preparando la fuga a Lucca ma viene fermata da un perentorio mandato di cattura. Una volta in carcere frà Felice non ha difficoltà nel farle ammettere che quelle orazioni erano rivolte al demonio e che lo avrebbe dovuto rivelare all’inquisitore. Lucrezia così fa dicendo che era stata trattenuta dalla paura, ma non tralascia di scaricare parte della responsabilità sui confessori: ”perché quei patre nostri et Ave Marie ch’io dicevo sopra la detta inghistara – et così anchora quella oratione di santo Giovanni Battista – io le dicevo al demonio, al diavolo; et adoravo il diavolo et del certo ch’io l’adoravo. Io la detta inghistara l’ ho fatta a molte persone, delle quali ora non mi arricordo. Ma come un’altra volta vi ho ditto, ne sono stata assoluta et mi maraviglio di voi, essendone stata io assoluta, che vogliate sapere interamente come ho fatto la detta LI BRI SenzaCARTA.it 35 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” anguistara et la mia intenzione in dire quelli pater nostri et Ave Marie et oratione”. Una volta accertato il sospetto d’apostasia, il giudizio non va avanti. La possibile efficacia della presunta magia diabolica non è nemmeno ipotizzata: sembra implicito, in sede giudiziaria, che il diavolo, pure invocato, non abbia alcun potere e il processo a Lucrezia Peloso si chiude su questa confessione, con una pubblica abiura e penitenze salutari. 21 Infatti, se la teologia non mette affatto in dubbio l’efficacia delle azioni del demonio (anche se le considera “inganni” e “trucchetti” più “meravigliosi e stupefacenti” che soprannaturali in senso proprio), il procedimento giudiziario, che non sa tradurre sul piano processuale le credenze della teologia, rimane “perplesso “ di fronte alla questione: il diavolo è preso sul serio teologicamente, ma non giudiziariamente. L’esperimento dell’inghistara praticato da Lucrezia, seppur con l’importante variabile che la donna oltre a vedere il futuro vede anche il passato, ha sostanzialmente lo stesso scopo e le stesse modalità di quello esercitato da Bernardina. Si possono inoltre notare alcune differenze sia per quanto riguarda le proprietà dell’acqua utilizzata sia per l’orazione. Infatti diversamente da Bernardina, e dalla maggior parte dei casi, Lucretia non parla di acqua benedetta, ma di quella attinta da tre pozzi. Sembrerebbe così mancare l’elemento sacro, ma lo si può riscontrare nel fatto che quest’operazione non venisse realizzata in un momento qualsiasi, bensì nella sola notte di San Giovanni Battista. Proprio a San Giovanni Battista è poi rivolta, insieme al Padre Nostro e all’ave Maria, l’orazione che permetterà la divinazione, mentre non c’è alcun cenno a quella ben più diffusa “angelo bianco, angelo santo”. Oltre a questi elementi il processo di Lucrezia è interessante anche per l’intervento dell’inquisitore. Infatti nella “anguistara” di Lucretia c’era poco o nulla di religioso: il nome di San Giovanni e l’uso di qualche preghiera. Ma non c’erano neanche tracce esplicite di invocazione diabolica, prima delle sue forzate ammissioni. 21 Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990. pp.169 ss. LI BRI SenzaCARTA.it 36 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” Si trattava di un rito ingenuo, di quelli che in genere erano qualificati come superstitio simplex ed erano tradizionalmente di competenza del foro penitenziale: e ad esso infatti sia la testimone sia l’inquisita avrebbero continuato a far riferimento, se non fosse intervenuto il tribunale con le sue pressioni. Si potrebbe rimanere sconcertati nel registrare atteggiamenti così severi in una vicenda tutto sommato banale, soprattutto pensando ad altri giudici dell’inquisizione romana che reagiscono con grande cautela e incertezza, sino ad estraniarsene, a casi potenzialmente più gravi. E invece nel caso pisano, è il tribunale stesso ad aprire consapevolmente le ostilità, attraverso una predica di commento all’editto di fede che sceglie tra i suoi bersagli anche i più banali sortilegi. Ma la contraddizione tra questi comportamenti è solo apparente poiché negli stessi anni in cui furono rivisti alcuni aspetti del processo di stregoneria si stava avviando un riordinamento degli interventi inquisitoriali. Infatti sul finire del 500 l’azione di coordinamento e di controllo esercitata dalla congregazione del Sant’ Ufficio sui tribunali di fede locali si fece più stringente ed efficace. Così i margini di tolleranza dell’inquisizione verso le pratiche magiche, anche banali si andavano sensibilmente restringendo in tutta Italia, e ciò era dovuto sia al rinnovato vigore dell’apparato istituzionale della chiesa, sia al potente impulso all’espansione impressole dal Concilio di Trento. Quindi già nel 1590 in molti tribunali le pratiche magiche costituiscono l’oggetto più frequente di repressione e denuncia 22 Di due anni successivo rispetto a quello di Lucrezia è il processo sommario contro Giovanni Pietro Attilio, parroco di Casarsa (ora in provincia di Pordenone), che il 16 maggio 1584 si recò a Portogruaro per togliersi un peso dalla coscienza e soprattutto per evitare la minaccia incombente di un intervento dell’Inquisizione contro di lui. Nei giorni precedenti infatti aveva sentito che era stata consegnata al vicario generale una lettera segreta contro di lui ed aveva 22 Ibid., p.176. LI BRI SenzaCARTA.it 37 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” deciso di correre ai ripari. Monsignor Giovanni Battista Maro, vicario generale di Concordia e fra Felice da Montefalco, minore conventuale, inquisitore del patriarcato di Aquileia e della diocesi di Concordia, lo ascoltarono molto attentamente, perché era la prima volta che succedeva loro di dover applicare il processo sommario, riservato a chi compariva spontaneamente, e non il consueto processo formale. Pre Giovanni disse che un giorno della quaresima appena passata, mentre stava recitando l’ufficio, gli erano state rubate le lenzuola dalla camera. Sua cugina accusata da voci maligne di averle rubate lei e di averle mandate a casa propria a Spilimbergo, dove abitava di solito, aveva insistito molto per scoprire con un “inghistera et con una vera d’oro”, cioè con una caraffa ed una fede nuziale, il vero ladro ed egli aveva ingenuamente accettato. Fallito il primo tentativo, si era tuttavia fermamente opposto ad un secondo, dolendosi di essersi lasciato convincere. Poco tempo dopo si era confessato a Venezia da un penitenziere ed era stato assolto. Ora così chiedeva umilmente perdono alle loro signorie. “…hor essendo occorso ch’io sia stato denuntiato per tal caso, voluntariamente comparo et confesso come di sopra, domandando a vostre signorie umilmente perdono”. I due giudici non ebbero molto da ponderare: l’idromanzia dal loro punto di vista, implicava l’invocazione dei diavoli come tutte le operazioni magiche e quindi andava condannata. Non era un caso grave come quelli di eresia vera e propria, ma sollevava solo un sospetto di eresia. Inoltre il prete si era presentato spontaneamente e quindi la procedura da adottare era quella sommaria: nessun interrogatorio, assoluzione dalla scomunica e assegnazione di alcune penitenze salutari. Una conclusione molto più leggera a priori di quelle possibili in un processo formale, più lungo e complesso e vessatorio. Ma si trattava di un parroco, che doveva dare l’esempio e perciò l’Attilio fu condannato seduta stante alla consegna entro un anno alla chiesa parrocchiale di Santa Croce di un calice del valore di dieci ducati; alla predicazione per cinque domeniche contro coloro LI BRI SenzaCARTA.it 38 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” che invocavano i demoni e credevano nell’arte dell’idromanzia, ammonendoli a rivelare tutto al Sant’Ufficio sotto pena di scomunica; alla recita quotidiana per un anno dei sette salmi penitenziali. Processo brevissimo, sentenza esemplare. 23 Sempre del 1584, ma questa volta a Venezia, è il caso di tale Giulia. La ragazza diciannovenne, pentita o forse abbandonata da un ricco amante greco, aveva trovato rifugio nella casa del Soccorso, istituto fondato nel 1577 che accoglieva prostitute ravvedute e donne sole. Non potendo essere assolta dal confessore delle convertite né potendo lasciar la casa, viene sentita dall’inquisitore appositamente avvertito. In seguito alla deposizione di Giulia il tribunale apre un processo. Dalle sue deposizioni si ricava un ampio repertorio di pratiche superstiziose. Una delle prime ad essere confessata è proprio quella che riguarda l’ “esperimento dell’inghistara”. Infatti quando l’inquisitore chiede: “se essa constituta ha mai fatto alcuna cosa superstitiosa con abuso de altri sacramenti o d’acqua benedetta o cera benedetta o simile cosa o invoccatione de demonii per fare furti (non si intende per rubare, ma per trovare cose rubate) o altri suoi dissegni”. Giulia così risponde: “io mi raccordo essendo putta pezzenina mi ingenochiai, come mi fu insegnato, per ritrovare una cosa rubata, et vi era una ingestara piena d’acqua santa, et sotto al fondo dell’ingestara vi era una vera benedetta d’oro, che fosse d’una donna maridada, et io teneva una candella benedetta ardente in mano, et io stava in zenocchion et diceva :Angelo Biancho, Angelo santo, per la tua santità et la mia virginità fammi vadere il vero e la verità, chi ha hauto quelle robbe trovate. et io lo dissi tre volte solamente, ma mi doleva le zenocchia et mi levai su né volsi stare più a vedere; et non viddi cosa alcuna in detta ingestara, ne so se si trovasse. Et questo fu in casa mia, ma non mi raccordo ad instantia de chi lo facesse”. Giulia prosegue poi narrando con la stessa puntualità le altre pratiche superstiziose da lei esercitate: il “buttar fave” recitando l’orazione di santa Lena, cioè di sant’Elena, “l’esperimento della cordella” accompagnato dallo scongiuro 23 Andrea Del Col, Streghe e bestemmiatori nei processi dell’Inquisizione, in Ciasarsa San Zuan Vilasil Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Udine, Società filologica friulana, 1995. LI BRI SenzaCARTA.it 39 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” per togliere il sonno, il “dar martello con lo scongiuro della catena e lo scongiuro del muro”, e la trascrizione delle parole della consacrazione dell’ostia su foglie di belladonna o di salvia e date da mangiare nella minestra per farsi voler bene. Ma nonostante la gravità delle colpe confessate dalla giovane, l’inchiesta viene chiusa senza condanna. 24 Il ricorso all’ ”incanto dell’inghistara” è di nuovo testimoniato a Venezia nel 1587 da Valeria Brunaleschi. Nella primavera alla donna erano stati rubati dei vestiti ed era sicura che il colpevole fosse il cognato. In questo caso il ricorso all’inghistara ha più uno scopo di conferma che non di divinazione. Ecco quanto raccontò ai giudici nel suo constituto dell’11 giugno “e così un dì io aveva preparato un bacil d’acqua e la vera benedetta, che me la feci prestar da una dona catolica 25 (che li lassai tre ovi in pegno, ma non li dissi quel che voleva far perché non me l’averia data), e preparai anco dell’acqua santa, che mandai a pigliarla per un mio puto in una chiesa. E cussì un sabbado andai a tuor Polonia, qual era gravida, e mia fiastra me menò queste doi pute. E cusì nella mia casa in cusina serrai i balconi, stropai i busi con un pezzo de bandele, e fu messo un bacil su un scagno con la inghistara d’acqua santa e la vera sotto el fondo della inghistara. E ci erano tre candele benedete, ch’io le feci benedir a S. Aponal. E così la Polonia con queste pute si serorno in cusina. Mia sorella e mia fiastra stevano di dentro e venivano qualche volta de fuora a dirme qualche cosa, ma la Polonia non disse cosa de sostanza, disse che aveva visto un omo vestito tuto de bianco da beccaro. E quando si apriva la porta, vedevo le do putte inzenochiate, e la Polonia per esser gravida no, e avevano le candelle accese in mano”. Valeria denunciò il cognato per furto, e lui denunciò lei per strigarie. Un racconto simile è di Marietta vicentina, che nel luglio 1587 poiché era stata derubata di una cappa, fece fare l’incanto da Camilla milanese con il risultato che le putte videro ”uno con bareta negra e un altro ebreo” e la gravida 24 Marisa Milani (a cura di), Streghe e diavoli nei processi del S. Uffizio. Venezia 1554-1587, Bassano del Grappa, Ghedina e Tassotti editori, pp.117 ss. 25 Valeria doveva essere evidentemente ebrea o ortodossa. LI BRI SenzaCARTA.it 40 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” “un ebreo con la bareta rossa”. Del 1589 è invece il racconto di tale Elena, una ragazzina di dodici anni, che durante l’incanto fatto fare da Laura mantovana, disse di aver visto “il demonio, che era negro e mostrava che una donna aveva tolto li soldi” mentre la sua amica Meneghina di un anno più giovane vide “un frate negro, e faceva segni con le man, e insegnava che se mettesse le man tra il cavazzal e il letto”, proprio dove poi furono trovati i soldi. Non erano solo i cristiani a usare la pratica dell’inghistara per scoprire i ladri. Anche il rabbino Isaac Levi vi ricorse nel 1658 per venire a sapere chi avesse rubato una cinta a ser Francesco Baseggio, ma ebbe cura di variare la formula, fatta dire da due ragazzini, in “Sacra Maestà, il nostro maestro vi fa riverenza e noi vi preghiamo e scongiuriamo per la nostra virginità che indichiate il vero”, che videro nell’acqua un re incoronato e vestito di nero, che indicò un sarto. L’incanto della caraffa fu fatto fare anche dalla celebre cortigiana Veronica Franco: non trovando le sue preziose forbici d’argento pensò di scoprire in quel modo il ladro, che secondo lei era il precettore del figlio o una serva di casa. L’incanto non riuscì molto bene, ma Veronica fu querelata dal precettore e interrogata dai giudici nell’ottobre 1580. La cortigiana non riuscì a spiegare chi si intendesse per l’Angelo bianco e ammise che poteva anche essere il Sarasin, ovvero il Demonio. Ma del resto sulla valenza di questa invocazione le opinioni risultano essere sempre piuttosto confuse: infatti pur avendo l’orazione chiaramente lo scopo di evocare il bianco”spirito” dell’acqua era ritenuta dai più un’invocazione all’Angelo Custode. 26 Un altro tipo di significato attribuito all’”angelo bianco” è fornito da Francesca Medri. La donna ha sempre vissuto in un ambito paesano ed è cresciuta in una cultura magica che sembrerebbe abbia profondamente assimilato. In un suo racconto all’inquisitore dice di avere attorno un folletto, che in una narrazione precedente aveva sovrapposto alla figura di un angelo, e che forse è lo LI BRI SenzaCARTA.it 41 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” stesso che la aiuta a trovare le cose perse. Francesca conferma poi di aver partecipato da piccola al sortilegio dell’”inghistara”. Quando abitava a Longiano (piccolo centro dell’Emilia Romagna, attualmente in provincia di Forlì) con la madre, venne a casa loro una donna, di nome Ginevra, comare di sua madre. Ginevra portò lei e sua sorella maggiore a casa sua. Lì c’era un’altra bambina e furono condotte in una stanza dove Ginevra aveva messo dei panni nuovi; le tre bambine furono messe sotto i panni disposti a forma di capanno. A un certo momento, entrò una donna forestiera, di Rimini, che diede a ciascuna di loro una candela benedetta accesa in mano, e nella stanza c’era una caraffa piena d’acqua benedetta. Loro tre stavano in ginocchio e la forestiera le invitò a chiamare tre volte, insieme: “angelo bianco per la tua santità, e per la mia virginità fami vedere chi ha rubato l’azza, e la tela alla Genevra, et apparve lì dove noi eravamo un Besso, o pecorone con le corna et era negro, et cominzò manegiare quell’acqua con le corne che li faceva fare le luciole di fuoco e poi si partì, e si vidde in quella caraffa una casa con duoi usci, et uscì due Donne da un uscio per una e butorno inanzi a detta casa l’azza, et tela suddetta” 27 . Come già detto la Chiesa ha sempre combattuto aspramente il ricorso alle pratiche divinatorie. Nel 1581 il sinodo di Treviso tuonava contro coloro che “evocavano o facevano evocare a fanciulli e donne gravide le ombre dei morti, le ossa dei cadaveri, le midolla e le immagini usando specchi, anfore d’acqua illuminate dalla luna o dalle stelle”. I risultati rimasero però scarsi, infatti dalle testimonianze esaminate emerge quanto questa forma di divinazione fosse conosciuta e praticata dal popolo nonostante la sua proibizione. 26 27 Marisa Milani, Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento. Giuliana Zanelli, op.cit., p.121, 122. LI BRI SenzaCARTA.it 42 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” II.3 Per un confronto con altri paesi: la divinazione in Inghilterra La divinazione per la scoperta di ladri e il recupero di oggetti rubati non si otteneva certamente solo tramite l’esperimento dell’inghistara. Vi erano infatti anche altri tipi di pratiche, le quali prevedevano o l’utilizzo del vaglio e delle forbici, o quello di un libro e di una chiave. E sono proprio queste ultime pratiche, più dell’inghistara, che ritroviamo, oltre che in Italia; anche in altri Paesi. Così in Inghilterra per stabilire chi si fosse impossessato dei beni scomparsi si poteva utilizzare la formula del vaglio e delle forbici: “pianta un paio di forbici sul fondo di un vaglio e fa che due persone posino ciascuna la punta dell’indice sulla parte superiore delle forbici, in modo da tenere saldamente sospeso il vaglio a mezz’aria; chiedi poi a Pietro e Paolo se A, B, o C ha rubato l’oggetto perduto; e al nome del colpevole il vaglio ruoterà”. È del 1554 un’attestazione in tal senso, quando il chierico William Hasylwoode confessò al tribunale commissariale di Londra che :”avendo perduto una borsa che conteneva quattordici groats 28 ed essendosi allora rammentato che da bambino aveva udito sua madre affermare che chiunque avesse perduto qualcosa poteva servirsi di un vaglio e di un paio di forbici per venire a sapere chi era in possesso degli oggetti perduti,…prese un vaglio e un paio di forbici e appese il vaglio alla punta delle forbici, e pronunciò queste parole “per Pietro e Paolo, ce l’ ha il tale” nominando la persona da lui sospettata. Allo stesso modo John Casson confessò all’arcidiacono di Nottingham che:” circa tre quarti d’anno fa, un montone essendo stato perduto nella loro parrocchia, c’era un espediente cui si faceva ricorso per sapere che cosa ne fosse stato del detto montone, consistente nel prendere un vaglio e un paio di forbici e dire “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, dopo le quali parole il vaglio si sarebbe messo a girare, espediente questo cui egli e sua sorella fecero ricorso una volta senza male intenzioni”. 28 Moneta inglese d’argento del valore di mezzo scellino. LI BRI SenzaCARTA.it 43 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” Ancora nel 1641 la moglie di un bracciante comparve davanti alle Quarter Session 29 del Lancashire per aver fatto ricorso al vaglio e alle forbici allo scopo di scoprire chi avesse rubato una pecora e una gallina, e venire a sapere se due donne del luogo erano incinte. L’altra versione dello stesso metodo era la divinazione mediante una chiave e un libro, un salterio o una Bibbia: si poneva una chiave in un determinato punto tra le pagine del libro, i nomi dei possibili sospetti venivano quindi scritti ciascuno su un diverso pezzo di carta e inseriti l’uno dopo l’altro nell’estremità cava della chiave, quando vi veniva inserito il pezzetto di carta con il nome del ladro, il libro si “agitava” e sfuggiva di mano a coloro che lo tenevano. Con una modifica ricorse nel 1551 a tale pratica il vicario di St. Owen, William Newport. Il sacerdote infatti inserì la chiave nel libro e quindi legò questo con una cordicella; invocò poi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e ordinò alla chiave di girare quando avesse pronunciato il nome del colpevole. La chiave girò al momento che il sacerdote fece il nome di Margaret Greenhill, e allora i partecipanti alla cerimonia uscirono dall’abside della chiesa, dove era stata tenuta, per andare a frugare nel pagliericcio della sospettata in cerca degli oggetti scomparsi. Già dal medioevo la divinazione mediante chiave e libro era stata molto diffusa ed era ancora utilizzata in molte zone rurali ancora nel XIX secolo. Un ulteriore sistema per individuare il colpevole in un elenco di sospetti consisteva nell’appallottolare pezzi di carta su cui erano scritti i loro nomi con creta, mettendoli quindi in un secchio d’acqua, per vedere quale pallina si svolgesse per prima. La pratica più simile a quella descritta nel processo pesarese prevedeva l’utilizzo di un cristallo in cui scorgere la fisionomia del colpevole. Infatti se generalmente il “sapiente” John Dee si serviva di un cristallo “grande come un 29 Corte locale incaricata di giudicare piccoli reati. LI BRI SenzaCARTA.it 44 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” uovo, luminosissimo, limpidissimo e splendido” a volte ricorreva anche all’unghia del pollice di un bambino o ad un secchio d’acqua. E ancora un commerciante dell’Herefordshire che aveva subito molti furti nella sua bottega , verso mezzanotte andava in giro con il suo cristallo portando con sé, come veggente, un bambino o una bambina, comunque vergine, che avrebbero dovuto scorgere nel cristallo le fattezze del ladro. Chiaramente la lettura del cristallo divergeva di poco dalla deliberata invocazione di spiriti. Così John Walsh, un “sapiente” delle regioni occidentali dell’Inghilterra, nel 1556 confessò che allo scopo di scoprire oggetti perduti si serviva di un “familiare”, vale a dire uno spirito che a volte si mostrava sotto forma di colombo, altre di cane, altre ancora di uomo munito di zoccoli fessi. Come si vede anche in Inghilterra le pratiche divinatorie potevano accompagnarsi a complessi rituali di tipo semireligioso e nel 1631, un mago spiegava che “chiunque andasse alla ricerca di oggetti rubati lo faceva a prezzo di grandi difficoltà, con digiuni e preghiere per tre giorni di seguito e con grandi disagi affrontati allo scopo”. 30 30 Keith Thomas, La religione e il declino della magia, le credenze popolari nell’Inghilterra del Cinquecento e del seicento, trad.it. di Francesco Saba Sardi, Milano, Mondadori, 1985. LI BRI SenzaCARTA.it 45 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” II.4 Motivi del ricorso alla divinazione Questi metodi per la scoperta di ladri, tanto in Italia quanto in Inghilterra, non erano affatto assurdi quanto si potrebbe pensare. Ciò è dovuto al fatto che la società del tempo offriva ben poche soluzioni diverse, che erano tutte tecniche di facile apprendimento e che quanto a strumentario non richiedevano nulla che fosse fuori dell’ordinario, e che nella maggior parte dei casi la ricerca del colpevole non partiva dal nulla, bensì dall’esame di un elenco di sospetti fornito dalla vittima del furto. A chi praticava la divinazione spettava semplicemente il compito di isolare il colpevole, ed è più probabile che considerasse suo principale compito quello di scoprire l’identità della persona maggiormente sospettata dal “cliente” stesso. Quasi sempre infatti chi ricorreva a queste pratiche aveva un preciso sospetto, non accompagnato però dalla convenzionale prova di colpevolezza, e quindi stava all’”indovino” confermare tali sospetti e permettere al derubato di agire sulla scorta di un’opinione alla quale era giunto prima che il consulto avesse luogo. Ciò che si otteneva con la divinazione nient’altro era che una conferma in apparenza obiettiva, dei sospetti originari. Infatti durante un processo un testimone ammetteva ingenuamente che un “sapiente” era un imbroglione perché si era rifiutato di accusare questa o quella delle persone dal testimone stesso sospettate di aver appiccato il fuoco a casa sua, persino dopo che gliele aveva indicate. In un altro caso un “mago” incaricato di identificare come ladra una certa donna, commise l’errore di accusarne un’altra, finché il cliente non gli sussurrò all’orecchio il nome della donna che voleva venisse accusata, dopo di che il libro e la chiave confermarono l’accusa. Anche la sfera di cristallo o la superficie dell’acqua avevano ovviamente la capacità di confermare sospetti preesistenti. Quando il consultante veniva invitato a guardare la fisionomia dell’individuo che appariva era generalmente in grado di LI BRI SenzaCARTA.it 46 LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” riconoscerla, se ciò non accadeva il “sapiente” descriveva la visione che si formava e attendeva le reazioni del consultante. In entrambi i casi comunque l’operazione rispondeva allo stesso scopo, e la solennità con cui il rito veniva compiuto, non tanto forniva nuove prove, quanto aiutava a conoscere la propria mente. LI BRI SenzaCARTA.it 47 Capitolo III DINAMICHE DI UN PROCESSO Ad innescare il meccanismo del tribunale dell’Inquisizione era spesso, ma non necessariamente, una denuncia, l’Inquisizione poteva infatti, al limite, procedere anche soltanto in base alla “voce pubblica”. In presenza di denuncia, questa doveva essere firmata e resa sotto giuramento (le denunce anonime e le testimonianze rese senza giuramento non erano infatti prese in considerazione). In seguito si procedeva con una serie di indagini preliminari, e quindi si entrava nel vivo del processo. La fase più delicata era quella dell’interrogatorio dell’imputato, che spesso si trasformava in una estenuante schermaglia tra l’inquisitore, che cercava con tutti i mezzi a sua disposizione di indurre l’accusato a confessare, e l’inquisito, che poteva opporsi in vario grado, a seconda della sua resistenza fisica e psicologica 31 . Se dopo la presentazione delle prove e delle testimonianze di accusa, e la conclusione dell’interrogatorio dell’imputato, quest’ultimo non si era né discolpato, né era stato dichiarato colpevole, gli era consentito di mettere a punto la propria difesa; a tal fine, riceveva una copia autentica della trascrizione di tutte le fasi del processo svoltesi fino a quel momento, con i capi d’accusa in volgare, per facilitarne la comprensione. I nomi propri dei testimoni, comunque, venivano cancellati dalla copia. All’imputato e al suo difensore (di cui si parlerà tra breve) era quindi concesso del tempo per studiare le prove a suo carico e per preparare 31 Guido Dall’Olio, I rapporti tra la congregazione del Sant’Ufficio e gli inquisitori locali nei carteggi bolognesi (1573-1594), Estratto dalla Rivista Storica Italiana, Anno CV –Fascicolo 1 –1993. LI BRI SenzaCARTA.it 48 DINAMICHE DI UN PROCESSO domande miranti a confutare i testimoni di accusa, e gli era anche possibile far convocare tutti quelli che a suo giudizio erano in grado di dimostrare la sua innocenza. Se le affermazioni dei testimoni dell’accusa non venivano contestate, venivano considerate di fatto accettate dall’imputato, che si rimetteva alla clemenza della corte. Questa strategia era la più adottata quando gli indizi di colpevolezza erano molto gravi. In ogni caso il diritto alla difesa non poteva mai essere negato. Erano anzi gli stessi trattatisti ad insistere perché venisse esercitato, e ciò per due motivi: il primo, di ordine morale, si basava sull’idea che la facoltà di difendersi da un’accusa fosse sancita dal diritto naturale e non potesse quindi essere negata a nessuno, e il secondo, di ordine pratico, poggiava sul fatto che il rispetto del diritto alla difesa era necessario per non incorrere successivamente in recriminazioni sul corretto svolgimento del processo. Se l’imputato, come quasi sempre succedeva, non era in grado di occuparsi da solo della propria difesa, poteva far richiesta di un avvocato. I requisiti richiesti a quest’ultimo erano innumerevoli: dovevano essere uomini al di sopra di ogni sospetto di eresia e difensori della fede e della giustizia, dovevano giurare di mantenere il segreto e impegnarsi a tutelare gli interessi dei patrocinati, il che includeva il convincerli a confessare. Il rapporto avvocato-cliente diventava perciò viziato: infatti se il primo si convinceva della colpevolezza del secondo e dell’impossibilità di indurlo a riconoscere il suo errore, doveva scegliere fra il rinunciare alla difesa e il diventare egli stesso complice di eresia. Ciò nonostante la possibilità di denunciare incongruenze e inesattezze nelle affermazioni dei testimoni d’accusa, e di suffragare con altre testimonianze la cattolicità della fede e del comportamento dell’imputato, era ribadita e rafforzata dalla presenza di un esperto di diritto in veste di difensore. Quest’ultimo poteva invocare circostanze attenuanti, chiedere rinvii del procedimento, assistere l’imputato nella redazione di un’ ”apologia”, contestare l’ordine di procedere a LI BRI SenzaCARTA.it 49 DINAMICHE DI UN PROCESSO un interrogatorio sotto tortura e invocare una condanna più mite. Ad intaccare il diritto alla difesa c’era però, come già accennato, un fattore di non poco conto, ovvero l’anonimato riservato agli informatori e ai testimoni d’accusa. L’imputato, infatti, aveva il diritto di conoscere i reati dei quali era sospettato ma non il nome degli accusatori. Tale limitazione introdotta secoli prima, come misura temporanea, in un periodo particolarmente turbolento, per proteggere i testimoni da eventuali rappresaglie, era sopravvissuta diventando poi una caratteristica permanente della procedura inquisitoriale. Lo stesso carattere di segretezza si incontrava nelle carceri inquisitoriali, che dovevano garantire l’isolamento del prigioniero nella fase processuale al fine di isolare l’imputato dal mondo, per farlo concentrare su se stesso e, nella solitudine e nell’afflizione, farlo arrivare al pentimento pieno delle sue colpe, ma anche per evitare che concordasse con i suoi complici una linea comune di difesa. Vista la disparità di condizioni dell’accusa e della difesa, era compito dell’inquisitore indagare approfonditamente sulla reputazione e sull’affidabilità dei testimoni, e informarsi sui motivi che li avevano spinti a collaborare. Anche per questo all’inizio della fase difensiva veniva chiesto all’imputato di nominare ogni persona che secondo lui potesse volere il suo male. Se i nomi fatti coincidevano con quelli degli accusatori, l’inquisitore doveva compiere nuovi accertamenti sulle loro motivazioni, sulla loro veridicità e sulla natura e gravità delle ostilità fra essi e l’imputato, e nel caso in cui i sospetti si fossero rivelati fondati, si sarebbe giunti all’incriminazione dei testimoni per il reato di spergiuro. L’interrogatorio sotto tortura, introdotto all’inizio del tredicesimo secolo dai tribunali laici come mezzo estremo per ottenere confessioni, è nella prassi giudiziaria romana rigidamente controllato e sottoposto a una serie di limitazioni. Il “rigoroso esamine”, infatti, poteva essere effettuato solo dopo la presentazione di prove convincenti da parte dell’accusa e la presentazione dei controargomenti della difesa. Non era inoltre concesso all’inquisitore da solo LI BRI SenzaCARTA.it 50 DINAMICHE DI UN PROCESSO deciderne l’impiego; per questo c’era una sorta di comitato consultivo formato da giuristi e teologi, sia laici che ecclesiastici, che era a disposizione di ciascun tribunale dell’Inquisizione e che aveva il compito di fornire all’inquisitore pareri specialistici su ogni difficoltà eventualmente insorta durante un procedimento giudiziario, dall’arresto all’emissione della sentenza. La questione, se di particolare difficoltà, poteva essere demandata al supremo tribunale di Roma, con le dichiarazioni degli imputati e dei testimoni trascritte per intero e in volgare. Nel Cinquecento questa prassi era ormai consolidata, e Roma, informata in maniera dettagliata su tutti i processi in corso nei tribunali provinciali, emetteva istruzioni sull’impiego della tortura. Ad acconsentirne l’uso, da quanto rivela la corrispondenza, era il Papa stesso, che presiedeva le riunioni settimanali della congregazione dell’Inquisizione in cui i singoli casi venivano dibattuti. Inoltre le confessioni rese sotto tortura erano considerate valide solo dopo la conferma dell’imputato a distanza di almeno ventiquattro ore dall’uscita dalla camera dei tormenti. Nel caso le confessioni ottenute con la forza fossero state ritrattate dopo quest’arco di tempo, a Roma la Congregazione dell’Inquisizione ne valutava le circostanze molto attentamente. Se anche soggetta a questi limiti e vagli, è comunque pur vero che fino alla fine del Seicento l’Inquisizione non rinunciò a ricorrere alla tortura nei casi in cui si riteneva che una parte essenziale della verità venisse ostinatamente nascosta. Considerato infine l’imputato colpevole se ne poteva disporre la carcerazione. Quest’ultima poteva essere di due tipi: “in carceri formali” quando prevedeva la vera e propria prigionia in una cella e “in loco di prigione” quando era consentito circolare liberamente nei recinti dell’edificio adibito a prigione. 32 In alternativa al carcere c’era la condanna agli arresti domiciliari o la limitazione degli spostamenti entro un’area geografica definita. In questo caso che il periodo 32 Non disponendo l’Inquisizione di sufficienti prigioni al di fuori di Roma, gli edifici che si prestavano a tale funzione erano di solito dei monasteri. LI BRI SenzaCARTA.it 51 DINAMICHE DI UN PROCESSO di condanna fosse scontato era assicurato dal deposito di una cauzione, sostituibile da un giuramento nel caso di detenuti indigenti. Ai responsabili di reati particolarmente gravi poteva essere inflitta la condanna alle galee, ma la gravità delle sofferenze del condannato durante la navigazione era tale che gli stessi funzionari dell’Inquisizione si interrogavano sulle circostanze in cui si dovesse ricorrere a questo tipo di pena. Alla condanna a morte si arrivava poi solo in una piccola percentuale di procedimenti, nei quali i rei erano o pertinaci, non disposti in nessun caso a riconciliarsi con la chiesa, o “relapsi”, cioè ricaduti, già in passato giudicati colpevoli di eresia formale, e trovati di nuovo colpevoli, o infine coloro che avevano messo in discussione dogmi ritenuti particolarmente fondamentali, come quelli della Trinità e della divinità di Cristo. Per il resto c’era infatti una predominanza di pene più lievi, tra le quali in alta percentuale sono presenti multe e atti di umiliazione pubblica sotto forme di abiure lette sulle gradinate delle chiese di fronte a folle di fedeli. 33 33 Cfr. John Tedeschi, op. cit. LI BRI SenzaCARTA.it 52 Capitolo IV CONCLUSIONI Il processo pesarese esaminato, oltre a fornire un quadro piuttosto chiaro circa la pratica della divinazione da parte degli interessati, e scorci di vita quotidiana in una città di provincia, se confrontato da un punto di vista procedurale con alcuni degli elementi forniti nel capitolo precedente può essere un valido esempio delle modalità d’azione dell’Inquisizione di fronte ad un reato di “superstizione”. In questo caso a raccogliere la denuncia era stato l’inquisitore di San Domenico 34 , il quale però, aveva delegato la conduzione del processo al vicario vescovile (come si deduce dalla nota in calce al fascicolo 235 Iura civilia et criminalia “ il vicario dopo che havrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà questa causa con i debbiti termini di giustitia”). La delega di un processo ad un vicario vescovile da parte di un inquisitore non era una pratica inusitata, tuttavia, la suddivisione delle competenze e dei ruoli tra autorità vescovili e inquisitoriali non era regolata da una normativa precisa e inequivocabile. Da un lato, infatti, avrebbe dovuto valere la regola della prevenzione, cioè il giudice che aveva ricevuto la denuncia avrebbe potuto procedere da solo nel processo, ad esclusione della sentenza, dall’altro, però, a partire dagli anni ottanta del Cinquecento l’Inquisizione cominciò ad avocare a sé tutte le cause per superstizione, escludendo tendenzialmente i tribunali vescovili. 34 Sedi delle Inquisizioni locali erano in genere i conventi francescani o domenicani, e l’inquisitore era considerato un rappresentante dell’autorità pontificia, come ribadito in numerose circolari dei cardinali della congregazione romana nelle quali si sottolineava che nessun confratello a lui gerarchicamente superiore potesse interferire nel suo lavoro. LI BRI SenzaCARTA.it 53 CONCLUSIONI Nel momento in cui si svolge il processo qui preso in considerazione, questo mutamento evidentemente non di è ancora del tutto realizzato, dato che della causa è chiamato ad occuparsi il vicario vescovile. È comunque quasi certo che, qualora il vicario vescovile fosse giunto ad una sentenza, quest’ultimo atto sarebbe stato firmato, oltre che dallo stesso vicario anche dall’inquisitore. Era infatti una norma di diritto canonico il fatto che, anche se il processo era stato iniziato e proseguito da uno dei due giudici, vicario vescovile o inquisitore, la sentenza dovesse venire redatta da entrambi. Non siamo in grado di conoscere l’esito finale del processo, ma possiamo ipotizzare che non abbia riservato gravi conseguenze per gli imputati, poiché come si è cercato di dimostrare, all’ampliamento quantitativo dei reati perseguiti non è poi corrisposta una uguale intensificazione qualitativa delle pene erogate. LI BRI SenzaCARTA.it 54 Capitolo V BIBLIOGRAFIA Guido Dall’Olio, I rapporti tra la congregazione del Sant’Ufficio e gli inquisitori locali nei carteggi bolognesi (1573-1594), Estratto dalla Rivista Storica Italiana, Anno CV –Fascicolo 1 –1993. Andrea Del Col, Streghe e bestemmiatori nei processi dell’Inquisizione, in Ciasarsa San Zuan Vilasil Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Udine, Società Filologica friulana, 1995. Carlo Ginzburg, I benandanti Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e seicento, Torino, Einaudi, 1966. Cristiano Grottanelli, Bambini e divinazione, in Infanzie, a cura di Ottavia Niccoli, “Laboratorio di storia”, n.6, Ponte alle Grazie (FI), 1993. Marisa Milani (a cura di), Streghe e diavoli nei processi del S. Uffizio. Venezia 1554-1587, Bassano del Grappa, Ghedina e Tassotti editori. Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento, Verona, Essedue, 1989. Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza, Torino, Einaudi, 1996. Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990. John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Milano, Vita e Pensiero, 1997. Keith Thomas, La religione e il declino della magia, le credenze popolari nell’Inghilterra del Cinquecento e del seicento, trad.it. di Francesco Saba Sardi, Milano, Mondadori, 1985. LI BRI SenzaCARTA.it 55 BIBLIOGRAFIA Giuliana Zanelli, Streghe e società nell’Emilia e Romagna del CinqueSeicento, Ravenna, Longo Editore, 1992. LI BRI SenzaCARTA.it 56 Capitolo VI APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (Archivio Vescovile della Curia di Pesaro) VI.1 Iura civilia et criminalia – fasc. 235 Die 11 decembris 1578 Comparuit coram reverendo padre Paulo da Capriata reverendi patris inquisitoris Riminesis vicario Ippolitus Ferrariensis habitator Pisauri, in vico Santa Chiara, artifex birettorum, etatis 45 annorum, coloris rubei, ac stature mediocris, et personaliter denuntiavit, eidem venerando vicario sedente in camera sua salae solite antiche, et risidientiae hec infrascripta, videlicet. Lena moglie d’un muratore, che abita pur in Pesaro, nella suddetta contrada di Santa Chiara, mi ha detto, andando essa una volta in casa d’una donna vedova che si chiama Santa de Bernacchi, ritrovò, in casa d’essa Santa doi cavaletti, o trespoli di legno in croce, con una coperta di sopra quale era stata tolta in prestito da una sua vicina, moglie di messer Piero Antoni da Urbino, sotto li quali trespidi et coperta: gli erano tre mamole, o vero giovine da marito, et tenevano tre candele benedette accese in mano, et vi era anco una donna gravida, et havevano una incristara, o vero caraffa piena d’acqua benedetta sopra d’un banco in mezzo quelle giovine. Sotto la qual caraffa vi era un quatrino della croce, et esse giovine dicevano: angelo bianco, angelo nero mostrami chi ha tolto quelli danari; et subito vidde uno con le corna nere, il qual angelo gli mostrò uno vecchio vestito di berettino qual haveva tolto li danari. Quo facto et dellato ei iuramento de veritate dicenda. Interrogato respondit: Io molti giorni fa intesi questa cosa, ma perché non haveva fundamento sicuro non dissi altro, et per LI BRI SenzaCARTA.it 57 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) assicurarmi poi, hieri che fu alli dieci del presente, mandai a domandare una di quelle mamole che erano presente a tal fatto, la quale ha nome Isabella, sorella a un giovine che sta nella dispensa del signor duca// [1v], il quale si bene mi ricordo si chiama Giovanbattista, dalla quale mi informai di tutto il fatto: per il che son venuto a denuntiare al Santo Uffitio. Interrogato respondit: Quando questa Isabella mi ha detto le suddette cose era in casa mia presente mia moglie, et mia nora et oggi venendo a caso per torre del fuoco di novo me ne so informato. Interrogato respondit: Le altre due mamole sono figliole della sudetta Santa. Interrogato respondit: Io non so più di tanto della vita di questa Santa madre delle sudette giovine perché è puoco tempo che io abito in quella contrada. Interrogato respondit: La suddetta Lena venne in cognizione del fatto a questo modo, che vedendo quelle mamole andar dentro e fuori con candele, acqua benedetta, trespidi, panni, venne in sospetto di tal fatto. Et andò da questa Santa per potersi informare di tal cosa mediante questa scusa, cioè dirgli, se gli voleva filare della stoppa, et in quel tempo uscì fuori di casa detta Santa, quale si voltò dicendo ad alta voce a quelle che erano di dentro, guardate a non fare cosa che mi facciate inspiritare: dalla qual voce Lena pigliò occasione d’intrare in casa, et vide quanto io ho detto di sopra. Interrogato respondit: Vostra reverentia si potrà meglio informare d’ogni cosa se parlerà con detta Lena, o vero Santa purché dicano ogni cosa. Interrogato respondit: Facevano queste cose sopradette per venire in cognitione d’alcuni danari robati a un Mastro di legname di cui non mi ricordo il nome, ma ha un fratello che si chiama Mastro Andrea della medesma professione..// [2r], Interrogato respondit: Facevano questo incanto a instantia d’una donna adimandata Bernardina, o vero Matea; che stano all’incontro di detta Santa, e a instantia d’un'altra donna detta Sensa, che è vecchia il cui nome non mi ricordo, ne so dove stii, la quale doppo il fatto venne in casa mia per scusarsi con mia moglie dicendo che non sapeva che fusse peccato. Interrogato respondit: Io ho oppinione che questa matrona Sensa faceva professione di queste cose, per LI BRI SenzaCARTA.it 58 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) quanto intendo dalla vicinata. Interrogato respondit: Io non mi son messo a dire queste cose per odio o per amore o per altra cosa cattiva: ma solo perché mi pare si debbano rivelare acciò siano anihillate e tolte via. Dicta sunt hec in conventu Santi Dominici die et anno quibus supra in presentia mei fratris Antonini de Anticho scribentis loco notarii et infrascriptorum: Io Ippolito de Padovani ferarese denontiatore afermo quanto di sopra. Io Frà Antonino fui presente a quanto di sopra Io Frà Gregorio de Zara fui presente a quanto di sopra.// [2v], Die decima mesis febraris 1579 Lena filia quondam Magdalenae patri et uxor Vincentii cementari vocata ad instantiam reverendi padris fratis Pauli de Capriata vicarii reverendi padri inquisitoris causam et occasione perhibendi testimonium super causam quadam cuiusdam incantationes unius molieris nominate ut infra apparebit praestitoque ei solemniter iuramento super praedicta remotis timore amore et omni alio respecto humano iuravit, et iura tactis corporaliter scripturis in manu prefati reverendi vicari dicere veritatem de iis quae noverit et interrogata fuerit. 1° interrogata respondit: Io credo Padre che mi habiate adimandata qua per occasione d’una furfanteria quale è stata fatta per occasione di trovare certi denari 2° interrogata respondit: Io vedendo una donna chiamata Sensa che portava alcuni cavaletti, et un'altra donna chiamata Francesca, qual era gravida, moglie di Giovanni linarolo, et sta in casa d’una donna dimandata Bernardina Spadona: disse a una donna mia compagna qual ha nome madonna Theodora moglie d’un Mastro Ippolito penacchiero ho veduto tale, et tali cose, et mi rispose: sta sopra di me che vogliano fare qualche furfanteria. Interrogata respondit: Io viddi la sudetta Sensa portare tre candele benedette et questo li ho veduto io: portò ancho un’incristara d’acqua santa per quanto mi disse una donna che sta apresso noi dimandata Peregrina vedova qual vidde portare detta a acqua santa. Et io viddi che uscendo lei detta Sensa fuor di casa haveva in mano un’incristara vuota: ma ne so cosa havesse fatto di quell’acqua santa// [3r], LI BRI SenzaCARTA.it 59 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Interrogata respondit: Detta Sensa portò anco una coperta rossa alla turchesca imbutita di bombascio. Interrogata respondit: Hebbe la sudetta Sensa quella coperta da una madonna Camilla moglie di Messer Piero Antonio da Urbino abitatore in Pesaro nella contrada di Santa Chiara: et dalla medesma donna Camilla hebbe quelli cavaletti in croce che si doprano per una tavola da mangiare et l’altri doi cavaletti o trespidi erano da letto che portò sudetta Francesca da casa sua. Interrogata respondit: Portorono le sudette cose in casa d’una donna chiamata Santa de Bernacchi. Interrogata respondit: Io suspicai di qualche pecato poiché una volta detta Santa avendomi perso un lenzuolo et io lamentandomi mi disse trovami un’incristara d’acqua santa et lassa fare a me et da questo ho congetturato di qualche mal fatto. Interrogata respondit: Chi è la sopradetta qual facci questo incanto: ma si ben la Sensa et Bernardina Spadona quale ne fanno professione et hanno cattivo nome quasi in ogni cosa di poltronerie. Interrogata respondit: Poi che ebbe detto alla sudetta Theodora quanto haveva veduto desiderosa di informarmi del fatto mi disse madonna Theodora: comare fate così, andate da questa Santa e dicetegli da mia parte che se la vuole quella stoppa da filare che la vaghi a torre altamente la voglio dar a un’altra: et io andai da costei, et aperto l’uscio della casa viddi le sudette cose, quali erano state portate et ordinate intorno d’un tabernaculo con la coperta sopra // [3v], Interrogata respondit: Io non possi vedere allora chi fusse sotto quello tabernaculo: ma li ho saputo dapoi perché una di quelle mamole chiamata Isabella di Paris per scusarsi venne subito a casa mia, mi disse, che di gratia non vogli dire cosa alcuna per timore di suo fratello quale si sapesse qualcosa guai a lei, et anco perché lei non haveva malitia alcuna. Interrogata respondit: Veramente io credo che questa Isabella andasse semplicemente, essendo lei di buon nome, et honore, et coscientia. Interrogata respondit: Disse anco che vi era in sua compagnia due figliole della Santa et una donna gravida chiamata Francesca, moglie di Giovanni linarolo. Interrogata respondit: Tutte queste cose LI BRI SenzaCARTA.it 60 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) si fecero ad instantia di Mastro Camillo marangone, qual sta in una botega in una strada qual viene verso la piazza da Sant’Antonio, al quale furono robati alcuni danari, et esse mamole videro in detta cristara un angelo bianco, et un altro nigro, et il padre di detto marangone, qual era vestito di berettino, et teneva i danari in un gippone. Interrogata respondit: Io non dico, né per odio, né per inimicizia, è bensì vero che loro vogliono male a me, per non volere la loro conversatione qual è di cattiva fama perché contro l’ honor mio, et comandamento di mio marito. Acta sunt haec Pisauri in ecclesia Santi Dominici die, et anno quibus supra praesentibus infrascriptus testibus Ego Frà Antoninus de Antiquo loco notarii Ego Frà Antoninus a Taurino testis fui Ego Gregorius de Zara testis fui // [4r], Pelegrina uxor cuisdam Michaelis Pisaurensis pistoris habitatrix Pisauri vocata comparuit coram reverendo Patre fratre Paulo de Capriata vicario reverendi padri inquisitoris Riminensis de veritate dicendo super cuiusdam solemniter ei iuramento iuravit et iurat dicere veritatem. Super remotis avere timore, amore etc. de omnibus super quibus fuerit interrogata. 1° interrogata respondit: Io credo che mi abbiate dimandata qua per certe cose mal fatte, alle quali mi trovai presente, et tal cose sono a questa modo, che cinque anni fa, essendo io andata alla veghia in casa d’una mia vicina detta Bernardina spadona, stando tutte apresso il fuoco filando venne alla sprovveduta un animale brutto negro di figura deforme con gran strepito, che si avoltava intorno a questa spadona, il qual anco amorzò la lucerna, doi o tre volte; et io trovandomi spaurita mi lamentava, all’ hora mi rispose questa Spadona, non aver paura, perché sono spiriti, uno gli ha nome galetto, et l’altro cision, mandati a lei da una donna, acciò la spadona li facessi andare a certi suoi favoriti, cioè a Giovan Andrea ciavattino, et l’altro a Mastro Gieronimo sarto, che sta questi a San Francesco; il nome della donna, che li mandò, io non so chi sia, et tanto fu la paura che io hebbi, che per un anno stetti amalaticcia, et gialla, come è testimoni la mia vicinanza. Interrogata respondit: Io poi non so altro eccetto che una volta LI BRI SenzaCARTA.it 61 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) una donna chiamata Sensa la quale portava una incristara d’acqua et due o tre candele, et avendogli io detto, che si beve il vino et non l’acqua, mi rispose vedete le acque // [4v], et di li a poco mi venne a trovare, et mi disse che quell’acqua era benedetta qual voleva adoprare con certe orationi per ritrovare alcuni denari robati che questo modo gli era stato insegnato. Interrogata respondit: Questa madonna Sensa altre volte è stata di mal partito; ma adesso per essere successiva non so che sia. Interrogata respondit: Io vi dico queste cose né per odio né per amicizia né per altro rispetto humano. Acta sunt haec in Pesari in ecclesia Santi Dominici in presentia mei fratris Antonimi de Antiquo scribentis loco notarii, et infrascriptus. Ego frater Thomasius Savoniensis fui presents ut sopra. Ego frater Natalis conversus fui presens. Il vicario dopo che avrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà questa causa con i debbiti termini di giustizia. LI BRI SenzaCARTA.it 62 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) VI.2 Iura Civilia et criminalia – fasc. 245 Blaxius Righetti de Pisauro testis inductus, productus, iuratis et diligenter examinatus [ad instantiam domina Bernardina] super capitulis productis pro parte, et ad favorem domine Bernardine de Amatis in causa quam habet cum fisco camerae episcopatus pisaurensis, et primo:. Super primo dixit che è la verità che in l’articolata strada vi stanno tutte donne da bene di buona conditione e fama, e per il passato quando vi è stata persona di mala vita subbito sonno state cacciate di detta strada perché sonno vicine alle monache del corpo di Cristo che ci è una suplica del duca morto passato che non ci possano stare persone di mala vita per rispetto di dette suore et altre persone da bene, che stanno in detta strada. Super 2° disse che perquanto lui ha sentito dire lì nel vicinato, detta Bernardina è stata havuta tenuta e reputata per donna da bene, et di lei non ne ha sentito dire una rea parola anzi che lei meritava ogni sorte di favore, che è tanto amorevole e caritatevole alli amalati, e si porta tanto bene di essi che merita di esser lodata et tenuta a caro e che la detta Bernardina è molto devota che va alle messe compiete, vespri et si esercita assai in cusire da sarto, nelle cose dateli da sarti et questo lo sa per esse suo vicino.// [1v], Super 3° disse nihil scire. Super 4° disse che l’articolata Pelegrina è stata et è donna di dishonesta vita e per tale fu cacciata da detto vicinato, ancor che fusse in casa sua e così per tale fu et è tenuta dagli altri che furono sforzati li vicini cacciarla di là con il mezzo della raggione. Super 5° disse che l’articolata Pelegrina oltra l’esser di dishonesta vita ha poi lingua pessima, a tal che, come tale, et per tale donna di mala lingua se gli presta puocha fede. Super 6° disse che è vero che è poco amica della detta Spadona che le ha visto gridar assieme et si odiavano assai che ne parla molto malamente de fatti suoi, et insieme sonno venute alle brutte parole, et che inimice LI BRI SenzaCARTA.it 63 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) insieme sonno anco havute dalli vicini lì et questo lo sa perché le ha visto molte volte gridar assieme Super 7° disse che quanto alla vita della Theodora et Bernardina di (… 35 ), crede che le siano donne dabene del corpo loro, ma cattive lingue sanno che dopo che le forno in quella contrada hanno messo il fuoco in essa, e fra le altre volte sono venute a parole con le mie figliole, le quali sono donzelle, et di buona vita e nondimeno vennero poi lì a casa mia come s’ havessero hauto raggione et io gli dissi che gli perdonavo, ma che andassero a far bene et che non mi venissero in casa altre volte e che// [2r], so anche che le sono nemiche di detta Bernardina Spadona e che le ha visto gridar assieme Interrogatus in causa scientiae dixit praedicta scire per ea que supra deposuit et vidit audivit praesens fuit ac scientiam habet ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste et aliis de praedictis informatis. Interrogatus super interrogatoriis ex officio factis respondit: Signor, è usanza qualche volta come occorre che qualche una si urta con parole o in rimprender o altra facenda ma non della maniera che hanno fatto le sodette Pelegrina o Liotte che quando una di loro sonno saltate fuori a gridare ha bisognato che la Spadona si serri in casa. Et ad aliam interrogationem respondit: Che io sappia che la detta Spadona facci malie o altra facenda non ne so niente perché simil cose si fanno di nascosto. Et ad aliam interrogationem: La Pelegrina io la ho visto andar a tornione con li homini e far il chiasso lì per le strade, come si fa nel bordello et mi confesso e comunico quattro o cinque volte l’anno et non son nemico ne’ di detta Pelegrina ne delle Liotte se non quanto le han fatte cacciar via de lì per la sua mala vita et esser di età di anni 66 Super aliis generalibus recte respondit// [2v], 35 Parola indecifrabile nel ms. LI BRI SenzaCARTA.it 64 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Die 22 maii 1579 Marius Gaiuffus de Mondavio habitator Pisauri alter testis ut supra esaminatus etc. qui medio eius iuramemto interrogatus etc. Super prima dixit che è la verità che l’articolata donna Bernardina habiti nella articolata strada nella quale vi stavano persone dabene di honorata vita conditione e buona fama. Super 2° dixit che è vero che l’articolata Bernardina è tenuta da tutta la vicinanza donna da bene di buona vita devota e buona cristiana et si essercita con l’ago a guisa di sarto, che così è tenuta anco da tutta la vicinanza e che esso testimonio da oto o nove anni che l’è venuto ad habitare in detta strada che la habitatione che è sua la ha havuta per tale. Super 3° dixit che di questo lui non ne sa niente, che è ben vero che è stata lì vicina et ha praticato in casa sua ma lui non ne sa altro. Super 4° disse così non fosse come è in detto capitolo per salute dell’anima sua che è stata cacciata dalla vicinanza per la sua mala vita. Super 5° disse che sa bene che l’è di cattiva vita e che possedeva anco dir delle bugie ma esso testimonio non ha havuto sua pratica. Super 6° dixit che sa che per il passato detta Pelegrina et Bernardina sono state puoche amorevoli assieme perché le ha sentito gridar assieme// [3r], Super 7° disse esser la verità che le articolate Theodora [et (… 36 )] di Liotto è persona di mala lingua e mentre è stato nel suo vicinato sempre cercò da contrastare o con l’una o con l’altra e doppo la sua partita non ha sentito più contrastare in detto vicinato ma non ho la Bernardina sorella di detta Theodora per tale perché non la ho sentita come ho fatto detta Theodora et so che detta Theodora è nemica della Spadona perché le ho sentito gridar assieme più volte. Interrogatus in causam scientiae dixit praedicta scire per ea que supra deposuit et quia vidit audivit praesens fuit ac informatus est ut supra de contestibus de teste et aliis che praedictis informatis se. 36 Parola indecifrabile nel ms LI BRI SenzaCARTA.it 65 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Interrogatus super interrogatoris sibi ex officio factis Respondit: E’ usanza che alcune volte le donne gridano assieme ma di quelle donne che vanno cercando di gridare et non sapere che detta Spadona facci malie o altra cosa cattiva perché lei l’ ha confessato in casa di esso testimonio quando è stata ripresa della sua cattiva vita et non son nemico di nessuna di loro, et esser di età di anni 45 et essersi confessato, et comunicato a Pasqua prossima passata Super aliis generalibus recte respondit.// [3v], Die 25 maii 1579 Dominus Marcus Pauli aromatarius Pisauri alter testis ut supra esaminatus etc. qui testis medio eius iuramento. Interrogatus super7° omissis aliis de voluntate dixit che è la verità che la Theodora de Liotto più che la Bernardina sua sorella ha una pessima lingua et io ne so rendere conto che son stato io che le ho maritato nondimeno dice et ha detto anco tanta villania in presentia a mia moglie in casa del Tamburino cappellaro, che si faceva la festa senza vergogna alcuna e veramente dove le stanno ci è sempre mai da far per il dir loro. Quanto alla nemicitia che loro habbino con la Bernardina articolata dice non ne sapere cosa alcuna. Interrogatus in causa scientiae dixit praedictae scire per ea que supra deposuit et quia vidit audivit ac informatus est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste et aliis de predictis informatis. Interrogatus super interrogatoniis sibi ex officio factis respondit: Io non ne so altro se non che essendo in mia bothega sentii dir che la Spadona era pregiona et una donna zoppa che avria dato l’à detto a un mio putto. Ad aliam interrogationem dixit: Io della Spadona non ho cognitione alcuna, ho ben conosciuto una sua sorella che è stata nel mio vicinato che perquanto l’ ho conosciuta l’ ho hauta per donna dabene io sono spetiale mi so confessato e comunicato a San Cassiano et il mio po’ valere de 200 scudi super aliis gen. Recte respondit.// [4r], LI BRI SenzaCARTA.it 66 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Coram vobis Compares personaliter Rainaldus de Orlandis procurator et eo nomine domine Bernardina de Amatis de Pisauro in termino sibi dato ad faciendum suas defensiones in causa quam habet cum fisco reverendissimi facit exihbuit et produxit infra scripta capitula super quibus petit et instat testes infra nominandos medio eorum iuramento diligenter examinari et praedicta ne praedicto, sed omni alio meliori modo salvis aliis et non tamen se astringens prima capitola et in quanto sia bisogno intende provare esser la verità che donna Bernardina delli Amati alias la Spadona sono molti e molti anni che ha habitato et habita nella strada aderente al molino di porta Corina nella quale vi stanno et habitano persone honorate da bene di bona vita conditione et fama. Item che donna Bernardina sudetta massime da anni diece o dodeci in qua che ha habitato in detta strada generalmente da tutte le persone di essa strada è stata, havuta tenuta et reputata per persona da bene di bona vita conditione et fama devota et timorosa d’Iddio at a debiti tempi non lassa le sue messe et offitii dando opera de essercitarsi nell’arte dell’ago nel quale a guisa de sarti n’è sufficiente. Item che la detta Bernardina da tutte le persone che la conoscano per magior parte massime da suoi vicini è havuta tenuta et reputata per persona che non vi// [4v], opera assortilegii fatture et incanti ma che de simil pratiche e professione ne sia lontanissima. Item che donna Pelegrina figliola già de Camillo è donna di cattiva et dishonesta vita et come tale et generalmente havuta tenuta et reputata da tutti quelli che la conoscono et massime da vicini et come tale è stata cacciata dal detto vicinato. Item che la detta Pelegrina oltri l’essere meretrice et di dishonesta vita et inoltre di pessima et maladetta lingua bugiarda et mendace alle parole della LI BRI SenzaCARTA.it 67 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) quale non si presta fede alcuna et come tale et generalmente havuta tenuta et reputata da tutti li vicini. Item che oltra li difetti suddetti è similmente malevola odiosa et inimica di detta donna Bernardina desiderandogli ogni male et insieme più et diverse volte sonno venuti a tutte et dishoneste parolle et come odiose malevole et inimiche sonno havute et tenute insieme . Item che delle predette cose etc. Item che la Theodora de Liotto et la Bernardina sua sorella sono persone di mala et pessima lingua et dove stanno voglia in contrada stiano sempre gli metteno il fuoco con la sua mala lingua et vengono odiosi a tutti li vicini et sono inimiche di donna Bernardina le quali hanno detto di molte villanie a detta Bernardina. Joannes Baptista nomina testium Super omnibus Biasio manzarino Maestro Mario Giauffa Super 7° Messer Marco Pavoli// [5r], Coram vobis reverendo domino vicario reverendissimi episcopi Pisauri. Die quinto maii 1579. Comparuit personaliter Rainaldus de Orlandis procurator simul cum domino Silvestro de Silvestris in solidum et eis nominibus dominarum Bernardine de Amatis et ascientiae de Contariis de Pisauro utens suo mandato manu ser Augustini Contini notari publici Pisauri quidem et exposuit qualiter dicte eius principales fuerunt in carceribus episcopalibus detente licet iniuste et indebite et nullis precedentibus inditiis saltem veris et legittimis ac de iure validis quamvis, sint a dictis carceribus liberare cum fideiussionibus pro ut in actis et quatenus aliqua inditia extant, quod tamen expresse negatur dicit ea fuisse et esse elisa et sufficenter purgata per carcerationes ab ipsas habitas ad eo quod ipse debent LI BRI SenzaCARTA.it 68 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) penitus absolvui et contradicentes in expensis et interesse (ipsas factas et passas et in futurum patiendas et faciendas) ac etiam de iniuria passa quos quidem accusatores et instigatores pro pallari et manifestari pro ut de iure promissum est ad effectam ut suis loco et tempore possint dictas expensas damna et interesse ac etiam de iniuria passa consequi contra ipsos alias protestatus fuit de iniustitia torto et gravinamine et de omnibus aliis expensis damnis et interesse patiendis etc. petens que copiam omnium assertorum inditiorum contra ipsas existentium si extant impartiri in termino dictis suis principalibus dato ad faciendum suas defensiones et donec copiae praedictae sibi plene date non fuerit tempus praefixus ad faciendas defensiones dictis eius principalibus et dicto comparenti dictis nominibus non currere etc. alias etc. offerens se habere asserti testes pro rite et recte examinatos quo ad iuramenta et citationes tantum salvo sibi iure illos repetendi super suis interrogatoriis etc. protestans per se non stare etc. omni meliore modo etc. qui dominus sedens etc. predicta admisit si et inquantum etc. et visis etc. copias petitas decrevit salvo tamen jure fisci quatenus opus sit iterum examinare etc. LI BRI SenzaCARTA.it 69 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) VI.3 Liber inquisitionum et condemnationum ms. ff.1 – 11 In Christi nomine amen etc. Die 2° Maii1579 Constituta personaliter Domina Bernardina, quondam Petri Antonii de Amatis de Pisauro principalis quo ad se et testis quo ad alios que medio eius juramento et interrogata an sciat causam suae vocationis Respondit: Signor no, Interrogata, an habeat aliquod aliud nomen vel supra nomen, Respondit: Mi dicano la Spadona, Interrogata an cognoscat dominam Franciscam uxorem Juannis Linaioli Respondit: E’ questa che è qua con meco, e possano esser da tre o quattro mesi che ella partorì un figliol maschio, e la detta Francesca è Di Trebbio Anticho// [1v], de quelli di Marocio et è una buona persona, et la ho per donna da bene e veridica, et per quel tempo, che è stata in casa mia mai ho trovato che habbi detto bugia et il marito si chiama Giovanni et è linarolo. Interrogata an cognoscat dominam Sanctam Bernacchi de Candelara habitatricem civitatis Pisauri que habitat in eadem contrata, Respondit: Io la conosco, è stata nella medesma strada che stiamo noi et si è partita pochi dì sonno, et è andata a star più alto, e la ho per una persona da bene. Item interrogata an cognoscat, dominam Isabellam Paris de Pisauro Respondit: Io la conosco, et è una ragazza, e ha un fratello che sta in corte, Interrogata an dominam Sancta Bernacchi habeat filios, Respondit: La ha cinque figliole femine et quattro maschi. Interrogata an filie domina Sanctae conversentur in domo ipsius costitute, Respondit: Quando le stavano vicine a me praticavano in casa mia come fanno li vicini, Interrogata an cognoscat dominam Santiam que habitat penes ecclesiam Sancti Antonii Respondit: Io la conosco che la sta a Santo Antonio a vender l’olio havendo un figliol picolo// [2r], et ad interrogationem respondit: Io non so che donna la se sia perché non ho sua pratica ne anco è solita a praticar in casa mia ne con la Mattea mia LI BRI SenzaCARTA.it 70 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) sorella. Interrogata an cognoscat Dominam Peregrina quondam Michaelis pistoris Respondit: Io conosco questa Peregrina che mi domandate, et per quanto ho inteso dire è donna di puoca honestà, Et ad interrogationem respondit: Io non pratico con lei perché come ho detto è donna puoco da bene. Interrogata an melius cogitaverit dicere veritatem, respondit: Io se mi havessi domandato di quelle cose che io havessi saputo, lo harei detto. Et ad interrogationem domini dixit: Essendo in casa mia la sopradetta di Bernacchi, e me disse Bernardina venite un puoco qua in casa mia, ma prima haveva chiamato la Francesca e così andassimo in casa della sopradetta e quando fussimo li trovassimo in casa la Sensa, e le figliole della Santa, et un’altra putta chiamata l’Isabella e quando fui li in casa della sopradetta la Sensa mi disse: Bernardina una povera donna mi ha detto che suo figliolo ha perso certi danari, e che perciò li haveva voluto dar delle botte, e che se io sapessi far cosa nesciuna per trovar detti denari che gli lo insegnassi, e che haveva inteso da sua nipote, che in San Rocco si era fatto con una inguistara d’acqua benedetta, e con questa oratione, angelo bianco et angelo santo, per la tua santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto questi danari// [2v], e mi domandò se io la sapeva, che gli la insegnassi et così le insegnai all’Isabella, et dette putte la dicevano sotto la tavola con quella inguistara d’acqua. Et ad interrogationem domini dixit: Io l’ ho inteso dir questa oratione, et li ho detta anco per uno che li erano state robbate certe camisce ma però non le trovò, altrimenti quando era piciola. Et ad interrogationem domini dixit: Io non l’ ho detta più né fatto se non adesso, Interrogata an cognoscat dominam Peregrinam uxorem olim Michaelus Fornarii eiusque conditionis, famae an sit eius amica, et credat ipsam esse veredicam respondit: Signor si che la conosco che ve lo dissi l’altro giorno, et la ho per cattiva donna d’una mala lingua e persona di mala vita che perciò la è stata cacciata dal vicinato come vi potreste informare dalli altri vicini. Item interrogata si antequam detegaretur ipsam Peregrinam esse male vite versaret in eius domo cum ipsa costituta respondit: LI BRI SenzaCARTA.it 71 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Prima che la si scoprisse che la fusssi di cattiva vita praticava in casa mia et de tutti li vicini. Interrogata a quanto tempore citra dicta Peregrina coepit esse male vite respondit: Sono otto anni che io andai a star lì et li vicini me dicevano che era donna di mala vita// [3r], nondimeno intendete bene quel che io dico, che li vicini dicono che la si è redotta più volte a voler farbene, si è confessata et communicata e diceva che voleva attender a far bene nondimeno non li ha poi fatto. Interrogata quid mali viderit de ipsa respondit: Io non ne ho mai visto male nesciuno, ma l’ ho inteso dir dalla matrigna et dalli vicini anzi perché la fu discacciata perché i vicini adorno in pallazzo a dolersi delli fatti suoi la detta Pelegrina si doleva poi di essa costituta come si lei fossi andata in pallazzo a dare querela alla vita sua, minacciandoli di volerli far dispiacere. Interrogata quando praedicta Peregrina secum versabatur loquebat cum ipsa tamquam eius amica respondit: Io li diceva Peregrina fa che tu sii donna dabene perché se io harò in boccone te ne farò parte. Interrogata an donec erat in domo ipsius, viderit eandem Peregrinam perterritam visione alicuius rei, vel animalis, noctis tempore, respondit: Io non ho ne so che lei se sia spaventata in casa mia di cosa nesciuna, ne anco in casa mia ci è cosa che si havessi a spaventar ne io son anco tanto brutta, che li havessi a metter paura ma io mi deveria ben spaventare di lei per la sua cattiva vita. Interrogata respondit: Io vi dico che mi doveva spaventar per il parlar delli vicini, et si non fussi stato vero non l’ havriano detto, Interrogata si vicini dicerent et infamarent ipsam de inhonesta vita, si propter hoc verum esset quod esset malae vitae Respondit: Io dico di no, Item interrogata an eo tempore quo versabatur praedicta Pelegrina in domo eius, sciat eam per annum fuisse infirmam et effectam crocei coloris // [3v], respondit: Non ne ho ricordo, Interrogata an (… 37 ) praedicta Peregrina, esset in eius domo noctis tempore filando penes ignem se sciat supervenisse quodam animal, volando circum ipsa costituta et ipsa dixerit ”non mi far male Parola indecifrabile nel ms 37 LI BRI SenzaCARTA.it 72 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) galletto”, respondit priusquam tamen, dominus compleret interrogationem vulgari sermone ipsa coepit dicere ”non è vero, non si trovarà mai la si mente per la gola”, ut esset informata de tota interrogatione interrogata respondit: Sciagurata, sciagurata, sciagurata, la se ne mente per la gola, et monita ut dicat veritatem, et caveat a mendatiis. Respondit: Io vi dico che vi dirò la verità et la ho detta sempremai. Interrogata an cum supervenerit animal illud circumvolando circum ipsam et praedicta Peregrina esset terrore concussa, dicerit eidem Peregrine non haver paura, che è un spirito, che mi è stato mandato dicendo a detto animale non mi amortar la luma, ma va da Gironimo, et si postmodum extinserit lumen, respondit: Non è la verità e la si mente per la gola, et non si trovarà mai. Qui dominus visa pertinatia eiusdem, et eius loquacitate quia hora est tarda, mandavit ipsam reponui in locum suum animo tamen continuandi examen etc.// [4r], Dicta die 2° maii 1579 Constituta personaliter domina Sancta uxor Mathei Bernacchi de Candelara principalis quo ad se, et testis quo ad alios que medio eius iuramento et interrogata [an sciat causam] dixit pro ut infra videlicet: Possano esser da cinque o sei mesi incirca, che venne in casa mia vicino a Santa Chiara, una donna chiamata la Sensa, che sta a Candelara Santo Antonio avanti la casa di messer Battista del Tedesco, e disse che sì me contentava, che voleva veder in casa mia, chi haveva tolto certi danari a un marangone, et che voleva che li compiacessi di una mia putta detta Lucretia et così io non sapendo ciò che si fusse, né ciò che facessero me ne contentai, e perché mi occorreva andare fuora di casa, tornando in casa trovai che vi era lì Lucretia mia figlila, Isabella di Paris, la Francesca zoppa del (… 38 ) di Giovanni linarolo, donna Sensa et Bernardina Spadona, le quali havevano messo una tavola in su li trespidi et poi l’ havevano circondata de panni et sotto, vi era una incristara d’aqua, et vi stavano sotto detta tavola, donna Francesca del Linarolo che era gravida, la mia putta et 38 Parola indecifrabile nel ms. LI BRI SenzaCARTA.it 73 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Isabella di Paris con una candela peruna accesa in mano, et al mio giuditio stettero sotto detta tavola una buona hora, e quando uscirno fuora erano tutte sudate, ancor che fusse d’inverno; et così la Sensa [fecero chiamar detto] andò a chiamar detto, Marangone et li// [4v], dissero che volesse usare un puoco di cortesia a quelle putte, che havevano visto chi haveva tolto li danari, e che li pareva che fussi stato suo padre. Interrogata in causa scientie dicit praedicta scire per ea que supra deposuit, et quia vidit audivit praesens fuit ac informata est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste praedictis et aliis de praedictis informatis. Dicta die Domina Laena uxor Vincentii Manbrini testis pro informatione curiae (… 39 ) que medii eius iuramento testificando dixit che sendo lei vicino a casa sua, vidde più volte donna Sentia la quale più volte andò inanzi e indietro entrando in casa della Santa e portò in detta casa, tre candele, ch’io veddi et una incrhistara d’aqua, e una coperta da letto, e la Francesca che sta in casa della Spadona, portò certi trespidi, e quando io viddi questo, me andai imaginando che le volessero fare qualche incantamento per trovare qualche cosa, et Interrogata respondit che havendo io perso un lenzuolo che me lo haveva perso la Santa da Candelara et essendomene lamentata più volte della perdita di detto lenzuolo, venne notitia// [5r], ciò alla detta Sentia, la quale mi domandò se io l’ haveva ancora trovato, io le risposi de no. Et lei disse trova una incristara d’aqua santa che te lo farò trovar ben io, et io non considerando più innanzi la importantia della cosa andai da Padre Ottavio del Tedesco che mi desse una incristara d’aqua santa che volevo trovar il mio lenzuolo che haveno perso et messer Ottavio me disse che era una cosa prohibita, et che non si poteva fare et che me li levassi dinanzi et che non ne parlassi mai più, così havendo havuto questa notitia come di sopra e vedendo quella caraffa candele et coperta m’ immaginai che volessero far qualche incantamento, e così io dissi a Theodora mia vicina, quello, che io 39 Parola indecifrabile nel ms. LI BRI SenzaCARTA.it 74 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) havevo veduto, et che io credevo, e lei me disse se vi ne volete accertare andate la in casa della Santa e diciteli se la vuole quella stoppa, che la venghi che gli la darò et così andai su dalla Santa et aperto l’uscio veddi là dentro in casa nel mezzo della casa certi trespidi in croce con la coperta di sopra per quanto io potei giudicar e [sotto quella coperta] veddi dentro la detta Sensa, et Bernardina Spadona, le quali per quanto ho inteso dir fanno professione di tal cosa e dappoi vedendo l’Isabella di Paris// [5v], essa testimonia le disse che cosa è quella che havete fatto in casa della Santa e gli raccontò che era stata là, sotto quel tabernaculo e che li havevano fatto veder in la incristara dell’aqua santa et che haveva visto un angelo negro e uno bianco e un vecchio [che] vestito di berettino che haveva un gippone in mano et io dicendoli che avertisse che non dicesse niente perché era peccato et prohibito, e che detta Isabella gli disse non dite anco voi cosa alcuna per amor de mio fratello e detta Isabella gli disse che vi era in compagnia sua, doi figliole della Santa e una donna gravida chiamata la Francesca, moglie di Giovanni Linarolo, e che queste cose si facevano ad instantia di maestro Camillo marangone. Interrogata in causa scientie dicit praedicta scire per ea que supra deposuit, et quia vidit audivit praesens fuit ac informata est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste praedictis et aliis de praedictis informatis. Constituta personaliter domina Francisca uxor Joannis linaroli de Santo laud.° principalis quo ad se et testis quo ad alios, que medio eius iuramento Interrogata respondit: Al tempo che io ero gravida 40 di questo figliolo che ho havuto adesso, essendo in casa mia// [6r], venne a chiamar la Tona della Santa di mia zia e mi disse che io andassi fin lì a casa mi voleva dir una cosa, e così andai in casa della zia Santa e doppoi sopravenne la Bernardina Spadona, e così la Tona me disse: voglio che stii un puoco qui sotto con noi volemo guardar in questa ingristara per veder chi ha tolto certi danari, così, io guardai e non viddi cosa alcuna, ma la Tona e 40 Nel testo originale è “GRAVIDI” LI BRI SenzaCARTA.it 75 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) l’Isabella dicevano che vedevano un vecchio che haveva non so che sotto il braccio, il qual vecchio era vestito di berettino, e che la Tona e l’Isabella havevano le candele in mano e così dappoi che hebber detto che havevano visto detto vecchio scappassimo fuori, Interrogata cuius figurae esset tabernaculus sub quo ipse degebant respondit: L’era come questa tavola, Interrogata an postquam dicte puelle dicerant vidisse illum senem, si fuerit vocatus, dominus pecuniarum amissarum et quis vocavit ipsum, et an venerit et quid ei dictum fuerit ai dictis mulieribus Respondit: Dopo ch’ hebbero dette quelle mamole d’ haver visto quel vecchio, io scappai e me ne andai a casa qui dominus sedens et acceptatis favorabilibus pro fisco mandavit ipsam reponi in locum suum donec de praedicti possit haberi veritas ex dicto aliorum testium etc // [6v], -Die 20 juni 1579 fuit circundatum contra superibus processus quo ad dominam Sentiam vigore supplicationum et rescripti obtenti- dicta die constituta personaliter domina Sentia, uxor quondam Stefani Centari principalis quo ad se, et testis quo ad alios que meelior eius iuramrnto interrogata an sciat causam sue dettentionis, vel saltem eam presumat, Respondit: Io no ne so niente et ad interrogationem domini dicit: Io vi dirò la cosa come la sta, io fui chiamata molti mesi sonno, da una donna Benedetta madre di Maestro Camillo Marangone e me disse che erano stati robbati 25 scudi al detto mastro Camillo, e che mastro Camillo dava la colpa a sua madre e che gli dava anco delle botte, come che si lei havesse insegnato a chi lo rubò di robbar detti danari et mi pregò, che andassi a ritrovar donna Bernardina Spadona acciò gli insegnassi qualche remedio di ritrovar detti danari, et così io andai a ritrovar detta Bernardina et non essendo in casa, parlai alla Santa da Candelara, che la chiamasse lei, e così lei, o un a sua figliola chiamò detta Bernardina e li disse che haveva inteso che quando una persona haveva perso danari o qualche cosa lei sapeva il modo di ritrovarli et detta// [7r], Bernardina li disse che era vero che lei sapeva una oratione che si diceva con l’aqua santa et candele benedette, che si vedeva chi haveva fatto il furto, LI BRI SenzaCARTA.it 76 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) [bisogn] disse anco detta Bernardina che bisognava si provedesse di tutte queste cose, che lei lo farà, et che insegnaria a quelle mamole, et così io il tutto referii al detto Maestro Camillo il quale subbito [si portò] mi dette in casa sua […] un ingristara piena d’aqua santa e poi overo tre candele benedette le quali io portai in casa della Santa et così detta Bernardina et mamole accomodarono una tavola, ponendovi sopra un panno verde [tapedo] che portai io et che havevo havuto da donna [Camillo] Vittoria moglie di ser Ludovico da Monte Baroccio et vi portai anco dei cavalletti, da letto, quali non si adoperavano et così accomodati che hebbero detta tavola, vi entrò sotto donna Francesca di Giovanni Linarolo, gravida et una figliola della Santa et un’altra detta Isabella figliola di Paris, et quando furono entrate io mi partii et de li a mezza hora tornai, et quelle me dissero che havevano visto un vecchio vestito di berettino con una barba bianca// [7v], essendovi presente detto Maestro Camillo et la Bernardina e detto Camillo disse deve esser stato quel vecchio. Interrogata an cognoscat dominam Lenam uxorem Vincentii muratoriis Respondit: Signor si che la conosco, Interrogata an praedicta Lena, sit sua amica et alias con questa fuerit amisisse aliquam rem Respondit: E’ mia amica et si è lamentata con me et con altri di haver perso un lenzuolo, Item interrogata an habeat donna Lena pro veridica Respondit: Perquanto io ho conosciuto detta Lena io la ho cognosciuta per donna da bene, Interrogata an alias ipsa constituta dixerit praedicta domina Lene si vellet quod ipsa reperiet suum linteolum et quod sibi provideriit de aqua benedicta Respondit: Io non li ho detto cosa alcuna, qui dominus acceptatis favorabilibus pro fisco mandavit ipsam reponi in locum suum animo etc. Constitutus personaliter Magister Camillus borellus de Santo Constantio habitator Pisauri principalis quo ad se testis quo ad alios qui medio eius iuramento interrogatus an sciat causam qua fuerit vocatus etc.// [8r], Respondit: Io venendo adesso su per la scala, quando so stato chiamato da vostra signoria la [Spadona] Sensa me ha detto “io son qua per voi” et per LI BRI SenzaCARTA.it 77 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) questo io mi so imaginato che sia perché havendo io perso certa quantità di danari ne cavai una scomunica et mi andavo lamentando con questo et con quello et ciò essendo venuto a notitia alla sopradetta Sentia ella venne in la mia bothega et mi disse che haveva inteso che mi havevano perso i danari et che lei voleva dir una oratione che si sapria chi li havesse hauto et che per questa strada se erano trovate delle altre cose perdute, overo tolte, et io li dissi dicetela che mi contento, Interrogatus an praedicta Sensa requisiverit ab ipse constituto ut deberet invenire aliquas res pro dicenda detta oratione, ut est aqua sancta, candele benedicte, Respondit: Io li detti cinque o sei quattrini che la comprassi certe candele che diceva che gli bisognava e lei tolse li denari, et andò, overo mandò per dette candele, quanto al aqua santa, io non ne so niente se non che veddi lì in la bothega mia una caraffa piena d’aqua, si era benedetta o no e chi l’ havesse portata io non lo so, mia madre stava lì alla bothega con noi altri miei fratelli piccoli et mia madre per esser stroppiata non po’ esser stata lei che l’ habbi portata// [8v], Interrogatus an postquam Sentia emerat dictas candela et (... 41 ) discesserit et aqua vocaverit ipsus ut accederet ad domus in qua dicta fuerat dicta oratio, et audiret a dictis puellis quid viderint in dicta fiala, Respondit: Signor si che la mi chiamò et andai la in una casa che chi la sia nolso, dove erano molte donne le quali io non conobbi se non detta Sensa, et mi dissero che havevano visto un vecchio con la barba bianca vestito di berettino che haveva un gippone sotto il braccio che si assimigliava al mio vecchio, et che la Sensa gli disse che usassi cortesia a quelle putte che havevano guardato in quella incristara, et io li risposi se li trovarò li usarò cortesia, Item interrogatus an ipse constitutus perquisierit aquam benedictam ab aliquo, et a quo et an ipse dederit dictae mulieri Respondit: Io non ho domandato [né datuli] aqua benedetta a nesciuna persona ne meno datola a detta donna, et non so altro se non quanto ho detto di sopra. Qui dominus monuit ipsum ut dicat veritatem quia alias constat in actis curie 41 Parola indecifrabile nel ms LI BRI SenzaCARTA.it 78 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) quod ipse invenit dictam aquam et dedit mulieri praedicte et praedictam Sentiam dicet ei in faciem que ipse// [9r], traddidit ei dictam aquam qui constitus respondit: Vi dico che io non ho altrim aqua, ma che la veddi su la mia tavola, et io la presi et la detti a detta Sentia. Interrogatus quid dicet si ipsa Sentiae dicet ei in faciem ipsum constitutum reperisse dictam aquam et eidem dedisset, Respondit: Io dirò che non dice il vero, Qui dominus mandavit adduci praedictam Sentiam ad faciem dicti constituti, ut cognoscatur quo vultu et qua facie respondeat, et ipsa mulier qua id refferat, qua muliere adducta, et medio iuramento interrogata an ea que dixerat superius vera sint et dixerit pro veritate et ea confirmet et facta prius mutua recognitione persona, Respondit: Quello che ho detto è il vero, et l’ ho detto per la verità, Qui dominus mandavit mihi notario dictum eius legi vulgari sermoni, quo lecto, et interrogata an sit veram quod dixerit in dicto suo constituto, Respondit: E’ vero tutto questo che mi havete letto, Qui constitutus praedictis auditis respondit: E’ vero che io li ho dato l’aqua che la tolsi su dalla mia tavola, ma non so chi l’ havessi portata lì, circa le candele io detti li danari. Et ipsa audaciter dicebat ea que superius dixerat, dictus vero constitutus replicabat // [9v], Io non vi so dire chi altro, so che non ho trovato detta aqua ne manco so chi se l’ habbia trovata, qui dominus sedens etc. acceptatis favorabilibus pro camera, pro nunc dimisit examen animo [etc.] et mandavit dictum constitutum dettineri sub fida custodia, et praedictam Sensam reponi in locum suum etc. die 3° maii 1579 Cum sit et fuerit quod domina Francisca uxor Joannis Linaioli [detti] de antiquo dettineatur in carceribus causa, et occasione pro ut in actis, et volens habilitari et dictis carceribus, hinc est quod constituta personaliter coram me notario et testibus infrascriptus suprascripta domina Francisca promisit mihi notario etc et se representare totiens, quotiens, etiam si millies ac stare juri et judicatum solvens dicta de causa etc. et sub pena scutorum viginti quinque auri LI BRI SenzaCARTA.it 79 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) camere episcopali aplicandorum etc. et ita dixit etc. pro qua etc. sciens se non teneri etc. sed volens etc. [D. Laurentius Guidaccius] messer Allander scarpellino de Pisauro solemniter fideiussit in forma etc. sub dicta pena etc. quem fideiussorem ipsa domina Francisca cum praesentia promisit indemnem conservare etc. et ita dixerunt, promiserunt etc. obligantes etc. jurantes et rogantes. Actum fuit in pallatio episcopali praesentibus Ludovico Centaris praedicto de Sancto Constantio, et Luca Gabrielis de Sancto Laurentio testibus etc.// [10r], Die 4° maii 1579 Donna Peregrina uxor Michaelis Fornarii de Pisauro testis pro informatione curiae sumpta etc. que medio eius juramento etc. interrogata respondit: Possano esser da cinque anni che essendo io vedova e mal contenta per passarmi il tempo, andai a vegghia, a casa de una mia vicina detta la Spadona e stando noi doi sole presso il fuoco a filare supravvenne all’improviso un’animale brutto negro, di grandezza quanto è il dito grosso d’una mano, con streppito grande, et volando si voltava atorno a detta Bernardina, et andò doi o tre volte per amurzar la luma, et detta Bernardina diceva non amurtare la luma galletto, et essa testimonia havendo di ciò paura detta Bernardina disse non haver paura, che è un spirito che mi è stato mandato, e voltando il parlar suo a detto spirito gli disse non mi dar fastidio va da Gironimo et per quanto essa testimonia ha inteso dir poi dalle vicine, che un certo Gironimo sarto che sta inanti a San Francesco dà da cusire a detta Bernardina et ha anco che far con lei carnalmente, et prima che detto animale si partisse amortò la luma, et a detta Bernardina bisognò andar a picciarla da una sua vicina, Item ad interrogationem dixit che stando avanti casa sua una mattina passò de li una donna Sensa che haveva una incristara d’aqua in mano et andava in su per il vicinato e perché se disse li nel vicinato che l’era andata a far certe sregonarie// [10v], LI BRI SenzaCARTA.it 80 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) nel ritornar che ella fece indietro, mi disse che non pensassi che ella facessi strigonarie perché cercava certi danari che un povero homo haveva perso, e se n’andò, Interrogata in causa scientie praedictorum dicit praedicta scire pro ea que supra deposuit et quia vidit audivit praesens fuit ac informata est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste et aliis de praedictis informatis cum sit et fuerit quod donna Sentia de Sancto Martino habitatrix Pisauri dettineatur in carceribus causa et occasione pro ut in actis, et volens habilitari, etc. hinc est quod constituta personaliter coram me notario em. supriscripta praedicta domina Sentia promisit mihi notario etc. se reprentare totiens quotiens etc. [sub] etiam si millies etc. dicta de causa, sub pena scutorum 25 camere episcopali aplicandorum etc. Pro qua etc. sciens se non teneri et sed volens etc. solemniter* (*Hieronmus Sebastiani Battaglini Tricoli Pisauri) pro ea fideiussit in forma sub dicta pena etc. et quem fideiussorem dicta domina Sentia promisit indemnem conservare etc. et ita dixerunt promiserunt etc. obligantes etc. iurantes etc. rogantes actum fuit in pallatio episcopali ad bancum juramenti praesentibus Allexandro Scarpellino de Pisauro et Luca Gabrielis testibus etc.// [11r], Dicta die Suprascriptus dominus vicarius sedens etc. statuit terminum dictae dominae Sentie presentia etc. quinque dierum ad faciendum suas deffensiones etc. alias etc. donna Theodora filia Petri Leotti de Pisauro testis pro informatione curie sumpta etc. quae medio eius iuramento etc. dixit: Io cognosco questa donna Bernardina alias la Spadona da Pesaro e fin quando io era putta io sentiva puoco bene di lei che haveva praticato con un mastro Gironimo sarto, et con mastro Andrea ciabattino quel che se sia io nol so, perché non lo ho visto, Interrogata in causa scientie dixit praedicta scire per ea que supra deposuit et quia [vidit] audivit ac informata est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se testibus de se teste et de aliis de praedictis informatis// [11v], Die dicta quarta maii 1579 LI BRI SenzaCARTA.it 81 APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO) Cum sit et fuerit quod domina Bernardina de Amatis de Pisauro dettineatur in carceribus episcopatus causa et occasione pro ut in actis etc. et volens habilitari etc. hinc est quod constituta personaliter coram me notario etc. dicta domina Bernardina promisit etc stare juri ac iudicatum solvens ac se rapresentare totiens quotiens etc. dicta de causa etsiam si millies sub pena scutorum 50 usibus piis aplicans ad arbitri reverendissimi pro qua etc. sciens etc. sed volens etc. dominus Laurentius Guiduccius de Pisauro solemniter pro ea fideiussit etc. quem etc. obligantes, iurantes etc. rogantes actum praedictum in pallatio episcopali ad bancum juramenti praesentibus domino Achille …et… testibus etc. suprascriptus dominus vicarius sedens etc. statuit terminum dictae dominae Bernardine praesenti etc. quinque dierum ad faciendum suas deffensiones etc.// [12r], Die 18 maii 1579 Comparet personaliter Dominus Rinaldus de Orlandis procurator et eo nomine domine Bernardine de Amatis de Pisauro utens mandato suo pro ut alias in causa quam habet cum fisco in termino sibi dato ad faciendum suas deffensiones exhibuit et produxit eius capitula super quibus et eorum singulis petit, et instat testes in fine illorum descriptos diligenter examinari medio eorum iuramento protestans pro se non stare, et sibi tempora non currere etc. qui dominus sedens etc. praedicta admisit si et in quantum t visis etc. [mandavit dictis testibus iura] dicta capitula admisit et dictis testibus iuramentum defferri mandavit ac examinari in forma etc. LI BRI SenzaCARTA.it 82