UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea quadriennale in Lettere Moderne
Un processo per superstizione a Pesaro nel 1579
Tesi di laurea in Storia Moderna
Presentata da
Claudia Ansevini
Relatore
Prof. Guido Dall’Olio
Anno accademico 2004-05
LibriSenzaCarta.it
Prefazione
LA MAGIA DELL’ACQUA
Un processo per superstizione a Pesaro nel 1579
L’undici dicembre 1578 un certo Ippolito da Ferrara, uomo residente in
contrada Santa Chiara a Pesaro, si presenta al vicario dell’inquisitore per sporgere
denuncia: una vicina, donna Lena, gli ha riferito che in casa di Santa de’
Bernacchi si tengono pratiche magiche. Donna Lena può dirlo perché era passata
diciamo per caso da Santa e vi aveva trovato una specie di altare improvvisato e,
sotto l’altare, tre ragazze ciascuna con una candela in mano, e una donna incinta;
in mezzo a loro, appoggiato su un banchetto, un’inghistara, ossia una brocca
piena d’acqua; e con loro le organizzatrici del rito: donna Sensa e Bernardina
Spadona. E mentre le tre ragazze recitavano la formula: “Angelo bianco angelo
nero mostrami chi ha tolto quelli denari”, all’interno della brocca era comparso
un diavolo che indicava il responsabile del furto che era il motivo per cui si
faceva l’incantesimo.
Questo inizio, e il seguito della vicenda, si leggono negli atti del processo
che segue la denuncia, oppure nella trascrizione che ne fa Claudia Ansevini nella
sua tesi di laurea, dove non si nega, oltre allo studio attento e metodico del
documento, anche il piacere del racconto che ne scaturisce. Non vi dico come
prosegue la vicenda, per non togliere niente al piacere di leggerla nel testo; vi
anticipo però la fine, per il semplice fatto che non è conosciuta: il verbale infatti
si arresta prima che venga pronunciata la sentenza.
Al di là del carattere dilettevole della lettura, una breve scorsa all’indice
mostra subito che lo studio di questo processo pesarese è fornito di un ampio
contesto storico, sia in senso diacronico che sincronico: l’idromanzia è una
pratica molto diffusa che ha origine antica e corrispondenze ai tempi in cui il
processo si tiene, ed è chiaramente delineata nella disamina degli atti inquisitori e
processuali. Sono questi atti “lo spunto per un’analisi sulla considerazione della
superstizione negli ultimi decenni del XVI secolo”, sintetizza Claudia nella
LI
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PREFAZIONE
prefazione che trovate nell’interno; nel suo studio “il punto di vista offerto è
duplice, mirante ad approfondire sia la concezione popolare della superstizione,
sia le modalità d’intervento dell’autorità ecclesiastica.”
Chi poi volesse emergere dall’inattuale, troverebbe in questo genere di
studi ormeggi inaspettati del presente: non solo a causa di una persistenza
transecolare dell’interesse per le pratiche magiche, demoniache e divinatorie
(femminili come nel caso; anzi, una forma di consorteria femminile che reagisce
autonomamente a un sacerdozio negato e frustrato), ma anche per alcune
sopravvivenze di quel modo di condurre i processi ecclesiastici nello Stato
Pontificio che trova corrispondenze in alcuni processi di oggi, dove viene ancora
riservato un ruolo consistente il pentimento e non è indifferente nemmeno
l’opinione prevalente, quasi che invece di un reato si dovesse giudicasse uno
scandalo o un peccato. Il fatto che talvolta i processi del Tribunale Ecclesiastico
non arrivassero nemmeno a formulare una sentenza (forse questo è uno dei casi)
non faceva che sottolineare la benevolenza e insieme l’arbitrarietà dell’istituzione
etico-giuridica, la sua indifferenza ai tempi della giustizia, la sua contiguità con
altri poteri dai quali dovrebbe restare anche ai nostri giorni più rigorosamente
separata.
Leonardo Badioli
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Introduzione
La mia tesi, “Un processo per superstizione a Pesato nel 1579”, mira a
chiarire quali fossero gli atteggiamenti della Chiesa verso questa pratica, la
concezione popolare che se ne aveva e quali fossero le dinamiche di un processo.
Viene sottolineato che furono anni di svolta, in quanto si assistette al passaggio
dalla persecuzione del protestantesimo alla persecuzione della superstizione; tale
cambio di orizzonte viene analizzato seguendo gli sviluppi dell’Inquisizione.
Quest’ultima, infatti, rifondata nel 1542 per combattere la diffusione del
protestantesimo, fu fino agli anni ottanta concentrata nella lotta al luteranesimo.
Alla fine del XVI secolo la forte incidenza di casi giudiziari riguardanti
protestanti si ridusse molto, ma l’attività complessiva dei tribunali con diminuì e
anzi aumentò abbracciando una vasta gamma di reati.
Ciò avvenne perché on quel momento l’inquisizione romana cominciò a
intendere il proprio compito di lotta all’eresia in modo molto ampio, al punto che
negli ultimi due decenni del Cinquecento la pratica della magia soppiantò il
protestantesimo come più comune capo di imputazione, rappresentando da sola
più de 40% dei casi.
Con il termine magia ci si riferisce naturalmente ad una gamma
amplissima di comportamenti considerati illegali.
Il caso esaminato tratta di una pratica superstiziosa tesa alla divinazione.
Le ragioni di fondo per le quali la Chiesa perseguiva questo genere di pratiche
erano il fatto che si cercasse di prevedere cose che dipendono dal libero arbitrio
dell’uomo, e soprattutto il fatto che, se la conoscenza del futuro non poteva essere
ottenuta attraverso metodi naturali, allora era implicito l’intervento del Demonio
e quindi un patto con lui.
Gli atti del processo di cui parliamo si trovano presso l’Archivio Vescovile
di Pesaro proprio perché esso si svolse in questi anni di passaggio in cui non era
del tutto definito il cambiamento. Infatti, nonostante la denuncia del fatto venga
presentata al Vicario dell’Inquisitore di Rimini, questi la delegò all’autorità
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INTRODUZIONE
vescovile. Una delega di questo genere è probabilmente tra le ultime, poiché
negli anni immediatamente successivi il tribunale dell’inquisizione avocò a sé
tutti i processi relativi a pratiche superstiziose.
Alla base del processo in questione è una denuncia sporta da tal Ippolito da
Ferrara, il quale dichiarava di essere a conoscenza del fatto che alcune donne del
vicinato ricorrevano alla pratica divinatoria conosciuta come esperimento
dell’inghistara. Questa pratica, basata sull’idromanzia, era una delle più note in
Italia e non solo, ritenuta efficace per il ritrovamento di denari persi o rubati.
Gli elementi indispensabili per la riuscita del rito erano tre: la presenza di
una vergine, l’utilizzo dell’acqua santa, la recita di un’orazione.
Attraverso uno studio comparativo tanto temporale quanto spaziale
vengono
quindi
analizzate
sia
le
numerose
varianti
dell’esperimento
dell’inghistara, sia le pratiche magiche che avevano comunque finalità
divinatorie.
Ad una analisi del perché si ricorresse a tali pratiche seguono una parte
tecnica nella quale si discute il caso dal punto di vista prettamente procedurale, la
parte documentaria conclusiva.
Claudia Ansevini
LI
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5
INDICE
Prefazione ............................................................................................................................................... 2
Introduzione............................................................................................................................................ 4
Nota......................................................................................................................................................... 7
CAPITOLO I
IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI .......................... 8
I.1
L’inquisizione romana e le superstizioni............................................................................. 8
I.2
La vicenda processuale di Bernardina “Spadona” .......................................................... 15
CAPITOLO II
LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA” ......................................................... 26
II.1
Gli elementi della divinazione ............................................................................................ 26
II.2
Il rito dell’”Inghistara” e le sue varianti........................................................................... 34
II.3
Per un confronto con altri paesi: la divinazione in Inghilterra....................................... 43
II.4
Motivi del ricorso alla divinazione..................................................................................... 46
CAPITOLO III
DINAMICHE DI UN PROCESSO ..................................................................................... 48
CAPITOLO IV
CONCLUSIONI ............................................................................................................ 53
CAPITOLO V
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 55
Capitolo VI
Pesaro)
APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI (Archivio Vescovile della Curia di
57
LI
VI.1
Iura civilia et criminalia – fasc. 235................................................................................... 57
VI.2
Iura Civilia et criminalia – fasc. 245.................................................................................. 63
VI.3
Liber inquisitionum et condemnationum ms. ff.1 – 11 .................................................... 70
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Nota
Gli atti processuali in seguito esaminati, tratti dall’archivio vescovile di
Pesaro, sono lo spunto per un’analisi sulla considerazione della “superstizione”
negli ultimi decenni del XVI secolo.
Il punto di vista offerto è duplice, e mirante ad approfondire sia la
concezione popolare della superstizione, sia le modalità d’intervento dell’autorità
ecclesiastica. Quest’ultima la considerava infatti come forma deviante della
“vera” religione.
Purtroppo la documentazione di cui si è in possesso non è completa,
riguardando le parti relative alla denuncia, alla fase istruttoria e alla difesa, ed
essendo priva della sentenza.
In copertina: immagine della Haeresia, da C. Ripa, Iconologia, Roma
1593.
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Capitolo I
IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA
E LE SUE IMPLICAZIONI
I.1 L’inquisizione romana e le superstizioni
Da sempre la Chiesa aveva combattuto contro l’eresia, ma a partire dalla
seconda metà del Cinquecento, la sua lotta si estende con maggiore intensità
rispetto a periodi precedenti ad altre fonti di errore, più vicine e più insidiose
della propaganda ereticale. La categoria dei “sospetti d’eresia”, da lungo tempo
prevista dal diritto canonico, viene così utilizzata massicciamente per punire reati
diversi dall’“eresia” teologicamente motivata e consapevole. Al suo interno
vengono ascritti comportamenti diversi, per la maggior parte legati alla
superstizione, e si incontrano soprattutto le prime avvisaglie dell’avanzante
marea delle pratiche magiche con relativo abuso di sacramenti e di cose
sacramentali quali” acqua benedetta, candele, foglie o rami d’olive benedette,
croci, parole o sentenze o salmi della scrittura sacra” 1 . È del 1570 una “breve
informatione” redatta a Modena da Umberto Locati nella quale quando si parla di
maghi, streghe e incantatori, la descrizione pura e semplice è introdotta da
spiegazioni elaborate, che sembrano giustificare il fatto che certe materie insolite
compaiano tra le competenze inquisitoriali. Per la categoria di maghi e streghe,
un preambolo avverte “perché simili sorte di persone abbondano in molti luoghi
d’Italia, et anche fuori, tanto più conviene esser diligente; et perciò s’ ha da
sapere, che a questo capo si riducono tutti quelli, che hanno fatto patto o
implicitamente, o esplicitamente, o per se o per altri, col Demonio”. Quanto la
1
Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza, Torino, Einaudi, 1996 p. 326.
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8
IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
validità di questo schema operativo fosse valida lo mostra il fatto che il testo fu
riprodotto alla lettera nel manuale più largamente utilizzato nel Seicento: il Sacro
Arsenale di Fra Eliseo Masini. Verso la fine del secolo poi, nelle sue Regole del
tribunale del Sant’officio, Tommaso Menghini aveva davanti a sé una situazione
ancor più chiara: bestemmie, sortilegi, e medicine “superstiziose” occupano in
pratica l’intera gamma di reati inquisitoriali. 2 . Il cambio di orizzonte è ben
visibile seguendo gli sviluppi dell’Inquisizione.
Quest’ultima fu rifondata nel 1542 per combattere la diffusione del
protestantesimo nella penisola, e per i suoi funzionari della prima generazione,
quelli che operarono fino agli anni ottanta del cinquecento, la preoccupazione di
gran lunga più sentita fu il “luteranesimo”. Una esemplificazione ne è data dai
documenti veneziani e friulani, dai quali risulta che circa l’ottanta per cento dei
primi casi giudiziari riguardò comportamenti protestanti o cripto protestanti. La
trasformazione è individuabile alla fine del sedicesimo secolo, quando la forte
incidenza di casi giudiziari di protestanti si ridusse di molto. Ma l’attività
complessiva dei tribunali non calò e anzi aumentò, abbracciando un’ampia
gamma di reati: evidentemente l’Inquisizione intendeva il proprio compito di
lotta all’eresia in modo molto ampio. A partire dal 1585, tra i reati veneziani, la
pratica della magia soppiantò il protestantesimo come più comune capo
d’imputazione.
Analogamente
in
Friuli
le
accuse
di
protestantesimo,
predominanti fino al 1595, lasciarono il posto a quelle di magia e stregoneria.
Anche a Napoli, dove il protestantesimo non aveva mai rappresentato un serio
problema per il Sant’Uffizio, la pratica della magia diventò il capo di
imputazione più importante già negli anni settanta del sedicesimo secolo, tale
restando fino agli venti del diciottesimo. Nel 1600 la preoccupazione per le
pratiche di magia e stregoneria persistette, mentre continuò a calare quella per la
diffusione del dissenso religioso. L’illecita pratica della magia fu di gran lunga il
tipo di comportamento eretico più spesso perseguito dagli inquisitori italiani una
2
Ibid., pp. 396,397.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
volta esauritasi l’ondata del protestantesimo e rappresentò, da sola, più del
quaranta per cento dei casi sia a Venezia sia in Friuli, e quasi il quaranta per
cento a Napoli.
L’espressione “pratiche magiche” copre naturalmente una gamma
amplissima di comportamenti considerati illegali. Il processo esaminato tratterà
di una “pratica superstiziosa” tesa alla divinazione. Per la divinazione, come per
l’astrologia predittiva, le ragioni di fondo della condanna ecclesiastica sono: il
fatto che si cerca di prevedere cose che dipendono dal libero arbitrio dell’uomo; e
soprattutto, il fatto che, se la conoscenza del futuro (come qualsiasi altra
conoscenza delle cose occulte) non può essere ottenuta attraverso metodi
“naturali”, (tenendo conto della profonda diversità della nostra idea di “natura
“da quella dei nostri predecessori medievali e moderni), allora si può stare certi
che ci sia l’intervento del diavolo e quindi un patto (espresso o tacito) con il
demonio.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
REATO
Luteranesimo
Anabattismo
Giudaizzanti
Islamismo
Calvinismo
Greco-ortodossi
"eresia in genere"
materialismo-ateismo
apostasia
"proposizioni ereticali"
Libri proibiti
Cibi proibiti
Blasfemia
abuso dei sacramenti
Bigamia
Concubinato
Adulterio
Sodomia
Sollecitazione
Arti magiche
offese al sant'uffizio
pseudo-santità
celebrazione illegale della
messa
falsa testimonianza
Varie
Totali
1547-1585 1586-1630 1631-1720 1721-1794 totali
717
109
77
2
905
37
0
1
0
38
34
16
28
0
78
10
27
42
1
80
13
18
29
0
60
3
8
11
0
22
68
27
6
1
102
1
4
14
7
26
15
17
12
0
44
62
26
107
105
300
93
48
40
0
181
23
12
16
5
56
17
41
61
10
129
9
12
106
9
136
3
7
12
0
22
7
5
4
0
16
3
7
0
0
10
5
5
5
1
16
3
22
72
23
120
59
319
641
22
1.041
10
8
6
1
25
0
1
5
1
7
2
4
14
8
28
14
21
1.229
7
66
816
4
31
1.344
0
7
203
25
125
3.592
Tabella I-1. Inquisizione veneziana 3
3
John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Milano, Vita e Pensiero, 1997, p. 87.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'Inquisizione Veneziana
700
600
500
400
arti magiche
300
200
100
0
1547-1585
1586-1630
1631-1729
1721-1794
Figura I-1. Grafico elaborato dalla tabella Tabella I-1
REATO
1547-1595 1596-1610 1611-1670 1671-1786 totali
eresia e sospetta eresia
200
64
37
33
334
Giudaizzanti
1
0
3
1
5
"proposizioni ereticali"
34
45
89
89
257
Abuso dei sacramenti
1
4
12
12
29
cibi proibiti
66
153
40
10
269
Libri proibiti
7
46
127
13
193
Apostasia
0
0
3
7
10
Ateismo
0
0
0
3
3
Blasfemia
4
11
31
30
76
Bigamia
1
0
12
1
14
Concubinato
2
1
0
0
3
Sollecitazione
1
1
47
62
111
atri magiche
45
256
317
196
814
offese al Sant'Uffizio
1
13
8
6
28
pseudo-santità
0
0
8
1
9
celebrazione illegale della messa 0
0
1
1
2
Falsa testimonianza
0
0
2
0
2
Varie
11
5
13
10
39
Luteranesimo
0
5
56
50
111
Calvinismo
0
1
31
30
62
Islamismo
0
4
30
2
36
Greco-ortodossi
0
0
26
17
43
Altre conversioni religiose
0
0
2
1
3
Totali
374
609
895
575
2.453
Tabella I-2. Inquisizione friulana 4
4
Ibid., p 89.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'Inquisizione Friulana
317
350
256
300
250
196
200
atri magiche
150
100
45
50
0
1557-1595
1596-1610
1611-1670
1671-1786
Figura I-2. Grafico elaborato dalla tabella Tabella I-2.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
REATO
1564-1590 1591-1620 1621-1700 1701-1740 totali
protestantesimo
19
18
26
1
64
giudaizzanti
41
8
20
0
69
islamismo
126
67
13
0
206
ateismo
4
8
11
1
24
"proposizioni ereticali"
38
86
50
6
180
libri proibiti
7
9
15
0
31
blasfemia
15
32
49
6
102
offese ai sacramenti
27
30
39
18
114
offese a voti e precetti
50
49
63
16
178
bigamia
9
73
169
38
289
concubinato
7
7
2
1
17
arti magiche
178
498
387
64
1.127
sacrilegio, offese a santi, luoghi e immagini sacre 11
6
5
16
38
offese al Sant'Uffizio
16
39
4
2
61
commercio di false reliquie indulgenze
2
12
18
5
37
falsa testimonianza
39
43
146
13
241
riconciliazione di protestanti stranieri
98
3
8
0
109
conversioni di mussulmani al cristianesimo
0
9
0
0
9
varie
48
24
61
9
142
totale
735
1.021
1.086
196
3.038
Tabella I-3. Inquisizione napoletana 5
Imputati per "ARTI MAGICHE" nell'inquisizione
Napoletana
498
500
450
387
400
350
300
arti magiche
250
200
178
150
100
64
50
0
1564-1590
1591-1620
1621-1700
1701-1740
Figura I-3. Grafico elaborato dalla tabella
5
Ibid., p 90.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
I.2 La vicenda processuale di Bernardina “Spadona”
Sul finire del XVI secolo Monsignor Roberto Sassatelli, Vescovo di
Pesaro, sta seguendo uno dei tanti processi per “superstizione”. Si trattava infatti,
come abbiamo già detto, di uno dei “reati” più comuni contro i quali procedevano
i tribunali ecclesiastici.
L’undici dicembre 1578 un tale Ippolito da Ferrara, abitante di Pesaro, si
presenta al convento di san Domenico davanti a Padre Paolo da Capriata, vicario
dell’inquisitore di Rimini, per sporgere una denuncia. Ippolito dice di esser
venuto a conoscenza da una certa donna Lena, residente anch’essa nella sua
stessa contrada (Santa Chiara), di un episodio sospetto e racconta quanto gli era
stato riferito dalla sua vicina. Ovvero che Lena andando a casa di una donna
chiamata Santa de Bernacchi vi aveva trovato dei cavalletti di legno sistemati a
mo’ di croce con sopra una coperta (ovvero era stato improvvisato una sorta di
altare), sotto la quale c’erano tre “mamole” 6 , che tenevano tre candele benedette
accese in mano, e una donna incinta “et havevano una incristara, o vero caraffa
piena d’acqua benedetta sopra d’un banco in mezzo quelle giovine…et esse
giovine dicevano :Angelo bianco, Angelo nero mostrami chi ha tolto quelli
danari; et subito vidde uno con le corna nere, il qual angelo gli mostrò un vecchio
vestito di berettino qual’ haveva tolto li danari”. In seguito a questo racconto a
Ippolito viene fatto giurare di dire la verità. L’uomo prosegue affermando che
questi fatti gli erano stati raccontati molti giorni prima, ma poiché non era sicuro
di come si fossero svolti realmente, non aveva detto niente. Per appurarne la
veridicità aveva mandato a chiamare una delle giovani presenti al fatto, e proprio
questa, Isabella di Paris, gli aveva confermato il tutto, “per il che” dice Ippolito
“son venuto a denuntiare al Santo Uffitio”. Al momento della denuncia Ippolito
sembra molto ben informato sull’accaduto e specifica anche che la pratica che si
era svolta in casa di Santa era stata fatta “per venire in cognitione d’alcuni danari
robati a un maestro di legname” (si scoprirà poi trattarsi di tale Camillo Borello)
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15
IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
e che l’”incanto” era stato voluto da due donne, chiamate l’una Bernardina, e
l’altra Sensa. Proprio quest’ultima era poi andata a casa sua per scusarsi con la
moglie dicendo che non sapeva che fosse peccato fare quell’incantesimo, ma a
detta di Ippolito “questa matrona Sensa faceva professione di tal cose”. Alla
presenza dei testimoni frate Antonino e frate Gregorio di Zara, l’uomo così
conclude: “Io non mi son messo a dire queste cose sopradette per odio o per
amore o per altra cosa cattiva: ma solo perché mi pare si debbano revelare acciò
siano anihillate et tolte via”.
Due mesi dopo, il dieci febbraio 1579, il vicario dell’inquisitore, Padre
Paolo, chiama donna Lena per informarsi ulteriormente sull’accaduto. La donna,
dopo aver giurato di dire la verità, dice di immaginare di essere stata chiamata a
deporre a causa “d’una furfanteria qual’ è stata fatta per occasione di trovare certi
denari”. Racconta quindi di aver visto, un giorno, donna Sensa portare in casa di
donna Santa dei cavalletti, tre candele benedette, e una coperta rossa, e che con
lei c’era un’altra donna, chiamata Francesca, che era incinta e che stava in casa di
Bernardina “spadona”. Oltre alle suddette cose, viste da lei personalmente,
aggiunge che un’altra donna del vicinato, donna Pelegrina, le aveva detto di aver
visto portare da donna Sensa anche un inghistara 7 d’acqua santa. Lena dice di
essersi insospettita poiché in passato, avendo perso un lenzuolo, donna Sensa le
aveva detto che se le avesse procurato una caraffa di acqua santa lei sarebbe stata
in grado di ritrovarglielo. Tutto ciò lo aveva poi raccontato a donna Teodora,
moglie del già citato Ippolito, la quale, anche, sospettava che Sensa e Bernardina
facessero delle “furfanterie”. La stessa Teodora le aveva quindi suggerito una
scusa per andare a casa di Santa e scoprire cosa quelle donne, ”che fanno
professione di incanti et hanno cattivo nome quasi in ogni cosa di poltronerie”
stessero facendo. Così Lena si recò a casa di Santa e racconta:” aperto l’uscio
viddi le sudette cose, quali erano state portate et ordinate intorno d’un
tabernaculo con la coperta sopra”, ma dice di non aver potuto vedere chi erano le
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Fanciulle in età da marito.
Caraffa di vetro.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
donne che vi stavano sotto. I nomi li aveva infatti saputi in seguito, quando una di
loro, Isabella di Paris, era andata a casa sua per scusarsi e per pregarla di non
rivelare a nessuno l’accaduto. La ragazza, considerata da Lena “di buon nome, et
d’ honore, et coscienza” le disse di essere stata sotto “quel tabernaculo” insieme a
due figlie di donna Santa e a donna Francesca, e che “tutte queste cose si fecero
ad instantia di mastro Camillo marangone 8 , qual sta in una botega in una strada
qual viene, verso la piazza da Sant’Antonio, al quale furono robati alcuni danari,
et esse mamole videro in detta cristara un angelo bianco, et un altro negro, et il
padre di detto marangone, qual era vestito di berettino 9 , et teneva i danari in un
gippone”. In modo simile a quanto detto da Ippolito, donna Lena termina così la
sua deposizione “io non dico, né ho detto le sudette cose per odio, né per
inimicizia, è bensì vero che loro vogliono male a me, per non volere la loro
conversatione qual’ è di cattiva fama perché contro l’ honor mio, et
comandamento di mio marito”.
La testimonianza successiva, rilasciata anch’essa sotto giuramento, è di
Pelegrina. La donna immagina di essere stata convocata in seguito a certe cose
“mal fatte” alle quali era stata presente e risalenti a cinque anni prima. Racconta
infatti che trovandosi “a vegghia” presso la sua vicina Bernardina “spadona”,
mentre erano vicino al fuoco a filare, “venne alla sproveduta un animale brutto
negro di figura deforme con gran strepito, che si avoltava intorno a questa
spadona, il qual anco amorzò la lucerna, doi o tre volte”. Pelegrina ne aveva
avuto molta paura e si era lamentata, allora Bernardina le aveva detto di non
preoccuparsi, perché erano spiriti che le erano stati mandati da una donna
affinché lei li facesse andare “a certi suoi favoriti”, cioè a Giovan Andrea
ciavattino e a mastro Geronimo sarto. Pelegrina sottolinea inoltre che a seguito
dello spavento avuto stette male per un anno. Le sue dichiarazioni circa
Bernardina finiscono qui, ma Pelegrina ha qualcosa da dire anche su donna
Sensa. Racconta infatti di aver visto quest’ultima con un’inghistara piena d’acqua
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Ovvero falegname o carpentiere.
Tonalità di grigio.
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e che la stessa Sensa le aveva detto trattarsi di acqua benedetta, che avrebbe usato
insieme a delle orazioni, per ritrovare alcuni denari che erano stati rubati. Il
verbale della giornata si conclude con la seguente nota :”il vicario 10 dopo che
havrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà questa causa con i debbiti
termini di giustitia”.
E’ a seguito delle suddette denunce che il 2 maggio 1579, il tribunale
vescovile di Pesaro chiamerà a deporre donna Bernardina de Amatis, già
presumibilmente detenuta. Dalla prima parte del processo non emerge infatti se la
donna sia in una condizione di libertà o sia già stata incarcerata, ma a giudicare
dalla procedura dell’inquisizione, l’ipotesi più probabile sembrerebbe la seconda.
“Si veniva infatti arrestati così, all’improvviso, senza sapere perché; si
sperimentava la prigione per giorni e notti, prima di venire chiamati davanti al
tribunale. La detenzione poteva durare a lungo; intanto, l’inquisitore continuava a
raccogliere deposizioni. Finalmente un giorno si era convocati davanti a lui e qui
cominciava l’interrogatorio” 11
Il meccanismo prevedeva che subito venisse chiesto all'imputato se
conoscesse la causa della sua convocazione e in seguito ad una sua negazione si
sarebbe proseguito con una serie di domande atte a mostrare una già acquisita
conoscenza di dati tali da poter presumere la sua colpevolezza. Così accade anche
per Bernardina. Infatti, quando la donna dice di non sapere per quale motivo è
stata chiamata,- (1 recto ) il vicario vescovile inizia a porle domande su persone
con lei coinvolte durante la pratica del cosiddetto "esperimento dell'inghistara“. I
rapporti che l’imputata dichiara di aver avuto con queste donne, Francesca, Santa
de Bernacchie, Isabella Paris,e Sensa, non rivelano però nulla che possa indicare
una loro collaborazione nella pratica divinatoria sopra citata, (sulla quale si veda
il II capitolo) e sembrano rifarsi ad una semplice conoscenza di vicinato. A
seguito della reticenza di Bernardina, il vicario vescovile la esorta a dire la verità.
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In questo caso il vicario è quello vescovile.
Adriano Prosperi, op. cit., p.202.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
È in questo momento che l’imputata sembra perdere un po’ della propria
sicurezza ed inizia a raccontare un episodio fino ad allora taciuto:
Bernardina dice infatti di essere stata invitata da donna Francesca ad
andare a casa sua e che una volta lì ci trovò anche le altre donne già menzionate.
Una di esse, Sensa, le raccontò che un giovane, si verrà poi a sapere che si tratta
di tale Camillo “marangone”, aveva perduto dei denari e che la madre, una
povera donna, aveva sentito dire che tramite una inghistara d’acqua benedetta e
un’orazione sarebbe stato possibile ritrovarli. Le era quindi stato chiesto se lei la
conoscesse, ed in tal caso di dirgliela.
Fu così che Bernardina insegnò ad Isabella l’ orazione :“Angelo bianco et
Angelo santo, per la tua santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto
questi danari.”, che poi venne recitata sotto una tavola mentre si guardava
all’interno di una inghistara d’acqua È qui infatti che, seguendo il rituale, si
sarebbero dovute individuare le fattezze del presunto autore del furto.
Ammessa questa partecipazione alla pratica divinatoria, Bernardina nega
poi di averne fatto uso in altre occasioni, ma ormai i sospetti sulla vita della
donna possono ritenersi fondati e il vicario vescovile procede analizzando anche
altri aspetti della sua condotta. Quindi, per confermare la conoscenza di situazioni
ambigue nelle quali Bernardina si sarebbe trovata, il vicario vescovile ora le
rende note le accuse rivoltole da donna Pellegrina facenti riferimento
all’apparizione dello spirito. Nonostante un nuovo monito del vicario vescovile a
dire la verità, questa volta l’imputata nega ripetutamente e accusa Pellegrina di
essere una “sciagurata” e di “mentire per la gola”.
L’interrogatorio di Bernardina viene interrotto qui, per essere ripreso più
avanti e la donna viene rimandata in carcere. Lo stesso giorno viene interrogata
Santa de Bernacchi. La donna dichiara che cinque o sei mesi prima donna Sensa
andò a casa sua e le chiese di poter restare in compagnia di sua figlia Lucrezia.
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Santa, non sospettando nulla, accettò la richiesta e lasciò Sensa e Lucrezia
sole in casa sua. Ma quando vi tornò vide che oltre a sua figlia e a donna Santa,
c’erano anche Isabella di Paris, donna Francesca, e Bernardina.
Le donne avevano messo una tavola su di un treppiede e l’avevano
circondata di “panni”, lì sotto c’erano Isabella e donna Francesca, che era incinta,
con una candela accesa in mano prese a guardare in una inghistara d’acqua. A
giudizio di Santa vi rimasero per un’ora e quando uscirono, “tutte sudate ancor
che fusse d’inverno la Sensa andò a chiamar detto marangone et li dissero che
volesse usare un puoco di cortesia a quelle putte, che havevano visto chi haveva
tolto li danari, e che li pareva che fussi stato suo padre”.
Donna Santa viene congedata e viene ora sentita Donna Lena, il cui
racconto conferma in sostanza il precedente. Donna Lena afferma infatti di aver
visto portare in casa di donna Santa tre candele, un ‘inghistara d’acqua e una
coperta da letto da Donna Sensa e “certi trespidi” da donna Francesca, dice anche
di aver immaginato “che le volessero fare qualche incantamento per trovare
qualche cosa” e di averne avuto la prova andando a casa di Santa.
Aperto l’uscio vide difatti intorno ai trespidi Bernardina e Sensa, le quali,
dice la testimone al vicario, fanno “professione di tal cosa” e scorse anche
Isabella. Incontrata in seguito quest’ultima le aveva chiesto cosa avesse fatto a
casa di Santa e la ragazza le aveva risposto che era stata sotto una tavola con le
figlie di Santa e una donna incinta di nome Francesca, che avevano guardato in
una inghistara d’acqua santa nella quale lei aveva visto un angelo nero, uno
bianco e un vecchio “vestito di berettino con un gippone in mano”, e che queste
cose erano state fatte per Camillo “marangone”, l’uomo a cui erano stati rubati i
denari. Lena afferma di averle allora detto di non raccontare più queste cose
perché ciò che aveva fatto era “peccato et prohibito” e che la stessa Isabella la
pregò di non dire nulla.
Quando le viene chiesto perché avesse sospettato che si trattasse di
“incantamenti” la donna riferisce allora un episodio precedentemente accadutole.
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
Racconta di aver una volta perso un lenzuolo e che quando donna Sensa lo era
venuto a sapere le aveva detto che lei poteva ritrovarlo, ma che era necessaria una
inghistara d’acqua santa. Lena continua riferendo che non considerando
“l’importanza” della cosa si era recata da Padre Ottavio del Tedesco chiedendo
l’acqua santa e spiegando a cosa le sarebbe servita e che allora il prete le disse
che era una cosa proibita, di andarsene e di non parlarne mai più. Licenziata
anche donna Lena, è il turno di donna Francesca, moglie di Giovanni linarolo.
Francesca racconta che durante il periodo della gestazione era stata chiamata da
tale “tona” affinché andasse a casa di sua zia Santa che le doveva parlare. La
donna andò, ma quando raggiunse la casa vi trovò invece donna Bernardina. A
quel punto la “tona” le disse di guardare dentro una inghistara per scoprire chi
aveva rubato certi denari. Francesca ammette di aver guardato dentro l’inghistara,
ma dichiara di non aver visto niente, mentre, racconta, la “tona” e Isabella,
entrambe con una candela in mano, dicevano di aver visto un vecchio “vestito di
berettino” con qualcosa sotto il braccio. A seguito di questa narrazione le viene
domandato se fosse stato chiamato poi l’uomo per cui era stata fatta la pratica
divinatoria, e in tal caso cosa avesse detto alle donne, ma Francesca dice di non
saperlo poiché dopo la “visione” delle altre due “mamole” scappò e se ne andò a
casa. Finita la sua deposizione viene congedata in attesa di confermare quanto da
lei detto tramite altri testimoni.
È il turno ora di Sensa; come di consueto, le viene chiesto se sappia o
presuma la causa della sua detenzione, la donna dice di no, ma comincia a dare la
sua versione del ritrovamento dei denari di Camillo. Dice di essere stata chiamata
mesi prima da donna Benedetta, madre di Camillo, la quale le disse che al figlio
erano stati rubati 25 scudi, che il figlio la incolpava del furto e che perciò la
picchiava. Benedetta pregò quindi Sensa di andare da Bernardina per farsi
insegnare qualche modo per ritrovare i soldi. Sensa dice di essere andata a casa di
Bernardina, ma la donna non c’era, andò quindi da Santa, e le disse di cercare lei
Bernardina spiegandole il motivo. Santa, o sua figlia, dice Sensa, andarono da
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
Bernardina, le esposero i fatti e le chiesero se sapesse il modo di ritrovare quei
soldi. Bernardina avrebbe detto di si, che sapeva un’orazione che si diceva con
acqua santa e candele benedette e che per farla c’era bisogno della presenza di
una donna incinta e di una vergine. Se si fosse provveduto a tutte queste cose
l’avrebbe fatta. Le richieste vennero riferite a Sensa, la quale a sua volta le riferì a
Mastro Camillo che adempì subito, dando a Sensa un’inghistara d’acqua santa e
tre candele benedette. Sensa portò quindi queste cose più un panno e dei
cavalletti a casa di Santa, dove già c’erano Bernardina e le altre ”mamole”.
Allestita la tavola, vi si posero sotto Francesca, una figlia di Santa e Isabella.
Sensa dichiara di essersene andata in quel momento, per far ritorno mezz’ora
dopo. A pratica terminata, le donne raccontano di aver visto nell’inghistara un
vecchio “vestito di berettino” con la barba bianca, ed essendo presente Camillo,
Bernardina dice che era quel vecchio l’autore del furto.
Terminato questo racconto il giudice chiede a Sensa se conosca donna
Lena, se la ritenga attendibile e in che rapporti sia con lei. Sensa dice di essere
sua amica, di considerarla “donna da bene” e che una volta si era lamentata con
lei per la perdita di un lenzuolo. Ma quando le viene domandato se avesse detto a
donna Lena di essere in grado di recuperare il lenzuolo avendo dell’acqua santa
nega ogni cosa. Completato l’interrogatorio Sensa viene rimandata in carcere.
Viene poi chiamato a testimoniare Camillo Borello, cioè il “marangone”. Quando
il giudice gli chiede se sappia il motivo della sua convocazione, risponde dicendo
che mentre saliva le scale del convento aveva incrociato donna Sensa, la quale gli
aveva detto di essere lì a causa sua e perciò immaginava di essere stato chiamato
in merito alla questione di certi denari che aveva perso e che Sensa all’epoca del
fatto gli aveva detto di poter recuperare tramite un’orazione. Gli viene domandato
se Sensa avesse richiesto delle cose, tipo acqua santa o candele benedette per dire
tale orazione, al che Camillo risponde che Sensa aveva chiesto delle candele e
che lui gli diede i soldi per comprarle, ma dell’acqua santa non ne sa niente. Gli
diede semplicemente quella che era sulla tavola, non sapeva se fosse benedetta o
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
meno né chi l’ avesse portata. Racconta quindi di essere stato chiamato in una
casa dove c’erano molte donne, le quali gli riferirono della visione del vecchio e
dalla descrizione che ne fecero, lui pensò che si trattasse di suo padre. Dice
inoltre che Sensa gli chiese di “usar cortesia a quelle putte che avevano guardato
nell’inghistara”, ovvero che gli avrebbe dovuto dare qualche soldo, e che lui
rispose che lo avrebbe fatto se avesse ritrovato i denari. Gli vengono fatte
ulteriori domande sulla questione dell’acqua e gli viene letta la versione che ne
dava donna Sensa. Dato che le due versioni discordavano, viene richiamata Sensa
per un confronto, ma entrambi i testimoni rimangono sulle loro posizioni. Al
termine del confronto Sensa viene riportata in prigione e viene incarcerato anche
Camillo.
Dai verbali del tre maggio risulta che donna Francesca viene rilasciata su
cauzione di venticinque scudi d’oro, con la promessa di ripresentarsi ogni volta le
sia richiesto ma che, non avendo lei i soldi, a garantire la fideiussione è messer
Alessandro scalpellino.
Il quattro maggio viene interrogata per la seconda volta Pellegrina. Ciò che
la donna racconta ora è lo stesso episodio dell’animale che sarebbe entrato in casa
di Bernardina e che Bernardina le avrebbe spiegato essere uno spirito. Viene
inoltre accennata una presunta relazione carnale di Bernardina con tale Gironimo
sarto e una conversazione avvenuta tra Pellegrina e Sensa, durante la quale Sensa
avrebbe detto a Pellegrina di non pensare che lei “facesse strigonarie, perché
cercava certi danari che un povero homo haveva perso”. Sempre il quattro
maggio anche per lei viene stabilita una fideiussione di venticinque scudi ed in
più le vengono concessi cinque giorni per preparare la sua difesa. Quindi se con
la cauzione il processo finisce per Francesca, al contrario quello di Sensa
continua. Un’altra teste viene poi interrogata circa la condotta di Bernardina; si
tratta di Teodora, figlia di Pietro Leotti. La donna dice di conoscere Bernardina,
che da quando era piccola aveva sempre sentito parlar poco bene di lei, e che da
quanto si dice in giro “haveva praticato con un mastro Gironimo sarto et con
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
mastro Andrea ciavattino”. Ultimo atto della giornata è la liberazione di
Bernardina. La fideiussione viene stabilita nella somma di cinquanta scudi e le
vengono dati come termine per la preparazione della difesa cinque giorni. Anche
per lei il processo va avanti.
La sua difesa è l’unica ad essere registrata nei documenti esaminati. E’
infatti il 5 maggio quando il suo avvocato, Rainaldus de Orlandis, richiede che gli
venga consegnata tutta la documentazione processuale riguardante la donna.
Non abbiamo poi alcuna registrazione fino al 18 dello stesso mese, quando
vengono chiamati a deporre i primi testimoni a discarico dell’imputata; altri ne
vengono ascoltati nei giorni successivi, il 22 e il 29. Tutti dichiarano la buona
reputazione di Bernardina ed evidenziano al contrario la cattiva condotta di donna
Pellegrina. L’avvocato basa la difesa dell’imputata su tali dichiarazioni ponendo
l’accento sull’inimicizia di Pellegrina nei confronti di Bernardina . e conclude
dicendo che Bernardina de Amatis , detta la Spadona, ha vissuto e vive in una
strada abitata da persone “onorate, da bene, di bona vita conditione et fama” le
quali tutte reputano che sia una donna onesta, devota e “timorosa d’Iddio” e che
mai abbia fatto pratica o professione di “assortilegii fatture ed incanti” mentre la
Pellegrina fu cacciata dalla stessa strada perché generalmente considerata “donna
di cattiva et disonesta vita, meretrice et di pessima et maledetta lingua bugiarda et
mendace alle parole e che oltra li difetti suddetti è similmente malevola, odiosa et
inimica di donna Bernardina, desiderandogli ogni male”.
Tale linea di difesa è una delle più comuni, non potendo del resto
l’avvocato disporre di altri mezzi, ma nel caso di Bernardina sembrerebbe avere
dei fondamenti.
Gli elementi che potrebbero far sorgere dei sospetti sulla intenzionalità
degli accusatori a nuocere alla donna sono due.
Il primo è forse un eccesso di interessamento alla vicenda da parte di
Ippolito: l’uomo, non aveva personalmente assistito ai fatti che era andato a
denunciare, ne era infatti venuto a conoscenza solo per sentito dire, e nonostante
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IL PROCESSO CONTRO BERNARDINA SPADONA E LE SUE IMPLICAZIONI
ciò aveva avuto lo scrupolo di fare proprie indagini, di andare dall’inquisitore e di
rivelarle. Atteggiamento questo che più di un cittadino zelante, parrebbe quello di
un delatore.
Il secondo elemento è relativo alla testimonianza resa da Pellegrina. La
donna, ricorda con fin troppa puntualità un episodio risalente a ben cinque anni
prima, e riferisce dettagli piuttosto tendenziosi. Quando nel racconto
dell’apparizione dell’”animale brutto negro” sottolinea come questo “amorzò la
lucerna doi tre volte” è difficile immaginare che non volesse alludere ad
un’apparizione diabolica. Nella pratica dell’esorcismo, infatti, il segno che veniva
considerato tipico della fuoriuscita del demonio dal corpo del posseduto era
proprio lo spegnimento da parte di un animale-spirito della fiamma della candela.
La similitudine, rintracciabile in un qualsiasi manuale post-tridentino, (ad es.
Sacerdotale Romanum ad consitudinem S.R. Ecclesiae atque Summorum
Pontificum authoritate multoties approbatum. Summa nuper cura iuxta S.
Tridentini Concili sanctiones emendatum et actum…Venetiis MDXCVII p.330)
non sarebbe certo sfuggita proprio ad un inquisitore.
La documentazione termina qui e non si può sapere come si sia conclusa la
vicenda. In generale la fideiussione poteva sia fungere da semplice garanzia per
la libertà vigilata, sia chiudere in pratica il processo 12 . In questo caso, però, data
la presenza della difesa e la volontà da parte dell’accusata di discolparsi, se ne
può ipotizzare una probabile prosecuzione.
12
Marisa Milani, Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento, Verona, Essedue, 1989
p.69.
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Capitolo II
LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
II.1 Gli elementi della divinazione
Da questi verbali si può desumere che, pur con una certa riluttanza ed una
generale tendenza a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento, tutte le donne
dimostrano una buona conoscenza del cosiddetto “esperimento dell’inghistara”.
Questa pratica divinatoria, basata sull’idromanzia, era infatti una delle più note e
diffuse in Italia, e non solo, per il ritrovamento di oggetti e denari persi o rubati.
Nel nostro caso le effettive protagoniste del rito sono due ragazze vergini ed una
donna incinta, le quali, inginocchiate sotto una tavola allestita per l’occasione,
guardano all’interno di una caraffa piena d’acqua, presumibilmente santa- anche
se le donne lo negano, poiché sanno benissimo che l’abuso di un sacramentale
come l’acqua santa aggraverebbe la loro posizione processuale- e con candele
benedette in mano recitano la formula “Angelo bianco et Angelo santo per la tua
santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto questi danari” per poi
interpretare la figura che si era formata nella caraffa (inghistara), ovvero quella
del supposto colpevole. L’abuso di sacramenti e di sacramentali doveva essere
evidentemente molto diffuso, poiché citato anche nelle “costituzioni sinodali
della chiesa pesarese” edite e promulgate nel Sinodo diocesano celebrato nel
1580, nelle quali al capitolo XLVI si dice “badino con ogni cura i Parroci, che
non si usino i sacramenti per altro da quello a cui Cristo li istituì per grazia” e al
capitolo successivo si specifica “Il residuo del vino della messa non sia concesso
ad alcuno portarlo fuori dalla Chiesa, per favorire la produzione del latte nelle
donne, o per cacciare la febbre (come falsamente si tramanda). Ovvero l’acqua,
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
che viene estratta il Sabato Santo dal Fonte battesimale per benedire le cose, non
sia distribuita ai laici poiché la adoperano per usi superstiziosi e certamente
empi”.
Sembra che i sistemi di divinazione più diffusi fossero caratterizzati da
alcuni elementi fondamentali
La presenza della vergine e della donna incinta sono fondamentali per la
riuscita del rito, è infatti in esse che risiede, pur in maniera diversa, la purezza
necessaria alla divinazione. Tale purezza è dovuta alla prima in quanto non
ancora contaminata da rapporti sessuali ed alla seconda in quanto porta in grembo
un essere ancora più innocente e puro. Ma non solo, infatti ciò che circonda la
nascita, come la membrana amniotica o il cordone ombelicale, stando a cavallo
tra l’al di qua e l’al di là, può mettere in comunicazione con un altro mondo,
esattamente come possono farlo i frammenti di cadaveri o l’erba che cresce sotto
le forche. Il loro ruolo, per lo stesso motivo, può essere ricoperto anche da dei
bambini, è infatti un tratto specifico della storia dell’idromanzia il loro utilizzo
come osservatori o medium, ed attestazioni in tal senso si hanno fin
dall’antichità.
Già Apuleio cita un passo di Varrone nel quale è preso in esame il seguente
episodio: quando a Tralles, in Lidia, si volle consultare il futuro della guerra
mitridatica ricorrendo alla magia, un fanciullo contemplò in una superficie
d’acqua un’immagine di Mercurio, e predisse il futuro in versi. E’ da rilevare che
il bambino deve essere “puro”, cioè sessualmente vergine. Questa caratteristica è
riportata appunto nel “papiro di Londra e di Leida”, testo magico di provenienza
egiziana :“Tu porterai un bambino puro che non sia ancora stato con donna, e
parlerai sulla sua testa mentre egli è in piedi, prima, per vedere se ti sarà utile,
andando alla coppa. Se è utile, tu farai che egli giaccia sul ventre; tu lo vestirai di
una tunica di lino pulita con una cintura nella parte superiore della tunica. Tu
reciterai la formula di cui sopra sulla sua testa, mentre egli è volto giù verso
l’olio, per sette volte, mentre i suoi occhi sono chiusi. Quando tu avrai finito,
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
fagli aprire gli occhi, e interrogalo su quello che vuoi. Tu farai questo fino all’ora
settima del giorno.” 13
Dal processo mantovano contro un tale Giuliano da Verdena (1489),
analizzato da Carlo Ginzburg, si ricava come quest’ultimo fosse solito predire il
futuro e, più raramente scoprire gli autori di piccoli furti, riempiendo un vaso
d’acqua, talvolta benedetta, accostandolo a un lume, facendovi guardare dentro
un bambino e imponendogli di pronunciare la formula “Angelo bianco, angelo
santo…” . Anche un altro rito praticato dallo stesso Verdena e implicante la
presenza di bambini è riportato da Ginzburg “Giuliano legge in un suo libro,
raccomandando ai bambini di far bene attenzione a ciò che vedranno apparire
sulla superficie dell’acqua: e i bambini dicono di vedere ora ‘tanti tanti che
parono musulmi ‘ ora ‘magnam multitudinem gentium inter quas aliquo erant
pedester, aliquo equestre, aliquo sine manus ‘ ora ‘quendam hominem magnum
sedentem cum famulo ab utroque latere ‘. Giuliano spiega ai bambini che i
‘musulmi’ sono spiriti, e che l’ignoto personaggio è Lucifero, ’magister artis ‘
Questi tiene in mano un libro chiuso, in cui sono elencati molti tesori nascosti, e
Giuliano dichiara che ad ogni costo vuol trascrivere quel libro, “pro utilitate
Cristianitatis et pro eundo contra Turchum et destruere eum”. Altre volte i
bambini scorgono nell’acqua del vaso una figura in cui Giuliano riconosce la
“domina ludi” che “inducta pannis nigris, cum mento ad stomacum”, appare a
Giuliano stesso pronta a rivelargli
“potentiam
herbarum
et
naturam
animalium”. 14
In questi casi si ha lo sconfinamento di una pratica di tipo magico-mantico
in altre forme di evocazione diabolica e di magia, per le quali si presuppone un
alto livello di elaborazione culturale (chiaramente non presente nel processo
esaminato, che si svolge su un terreno più quotidiano).
13
Cristiano Grottanelli, Bambini e divinazione, in Infanzie, a cura di Ottavia Niccoli, “Laboratorio di
storia”, n.6, Ponte alle Grazie (FI), 1993.
14
Carlo Ginzburg, I benandanti Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e seicento, Torino, Einaudi,
1966.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
Ancora nell’Ottocento è rintracciabile in Egitto un caso simile:“un
bambino puro e innocente (di non più di dodici anni) guarda, dietro comando del
mago, in una coppa piena d’acqua sulla cui superficie interna sono iscritti dei
testi, e avendo un foglio di carta, anch’esso iscritto, inserito nel berretto in modo
tale che gli pende sulla fronte. Il bambino è anche fumigato con incenso, mentre
il mago mormora formule. Dopo un certo tempo, quando al bambino si chiede
che cosa veda, egli dice che vede persone muoversi nell’acqua della coppa, come
in uno specchio. Il mago chiede allora al bambino di impartire certi ordini allo
spirito così apparso […]. Gli ordini sono impartiti e subito obbediti […]. Quando
viene commesso un furto, lo ‘specchio’ magico è spesso interrogato nello stesso
modo,[…] In un caso, l’accusa del bambino cadde su una persona che fu poi
trovata completamente innocente, ma che il bambino, a quanto risultò aveva
accusato del furto per pura malevolenza..” Questo episodio ci mostra che,
nonostante il divieto governativo di effettuare tali pratiche, l’usanza del rito,
antica ormai di almeno un millennio e mezzo, era radicata in modo tale da non
poter essere rimossa.
Insieme alla presenza di una persona pura, l’elemento ricorrente in questi
casi è quello di un liquido all’interno del quale “vedere le cose occulte”. La
divinazione mediante acqua, -o idromanzia-, deriva forse dalla pratica vicinoorientale (in particolare babilonese) di “leggere” il liquido in una coppa, nella
quale era in alcuni casi introdotto, insieme all’acqua, dell’olio, (lecanomanzia)- e
può essere accomunata anche alla divinazione mediante osservazione di uno
specchio o cristallo, catottromanzia. Nel 449 Sofronio, vescovo di Tella, viene
accusato di aver fatto ricorso a quest’ultima pratica per scoprire l’identità di un
ladro. La fonte afferma che il bambino impiegato a tale scopo aveva
precedentemente fornito servigi analoghi al vescovo: guardando in una buca
piena d’acqua e d’olio, e poi nel bianco d’uovo, aveva visto in entrambi i liquidi
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
una scena che gli aveva permesso di localizzare a Costantinopoli il figlio di
Sofronio.15
Un caso autobiografico viene descritto dall’inglese Giovanni di Salisbury
nel 1159. “nella mia infanzia fui posto sotto la direzione di un prete, che doveva
insegnarmi i salmi. Siccome egli praticava la catottromanzia, accadde che, dopo
alcuni incantesimi preliminari, egli usò me e un bambino un po’ più grande, che
sedevamo ai suoi piedi, per quel suo atto sacrilego; in modo che attraverso
un’informazione fornita da noi due gli fosse manifestato ciò che egli cercava per
mezzo di unghie umane ammorbidite in un certo olio sacro o crisma, o della
superficie liscia e lucidata di un bacino. E così, dopo avere pronunciato nomi che,
a causa dell’orrore che ispiravano, mi sembravano pur essendo io un bambino,
appartenere a demoni, e dopo aver proferito giuramenti dei quali, per volere di
Dio, non so nulla, il mio compagno asserì di vedere certe figure come annebbiate,
ma assai vagamente, mentre io ero così cieco a tutto ciò che nulla mi apparve se
non le unghie o il bacino o gli altri oggetti che già prima vedevo colà. In
conseguenza di ciò fui giudicato inutile per tale uso, e anzi, essendo io (con la
mia cecità nei confronti della divinazione) addirittura di ostacolo a tali pratiche
sacrileghe, fui condannato a non aver più nulla a che fare con tali cose, e ogni
volta che loro decidevano di praticare la loro arte io ero bandito, come un
impedimento all’intero processo” 16
Ultima componente del rito è la recitazione di una formula o di una
preghiera, elemento presente già dall’antichità ed ancora fortemente in uso nel
periodo preso in considerazione. Nel caso esaminato l’invocazione è rivolta ad un
angelo, ma le orazioni potevano essere molteplici ed ognuna aveva una propria
funzionalità. Una loro enunciazione e distinzione in categorie è sviluppata in una
nota “sopra l’ufficio dell’inquisitore” redatta a Modena nei primi anni del 1600.
Al punto quarto troviamo infatti descrizioni puntuali degli scongiuri :”cinque deta
pongo al muro, cinque diavoli scongiuro, cinque deta pongo in terra non
15
16
Cristiano Grottanelli, op.cit.
ibid., p. 35.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
scongiuro né Cielo né Terra ma scongiuro cinque Diavoli…” e delle varie
categorie di orazioni:- per farsi amare d’amore disonesto, come sono l’ horationi
di s. Daniele, di s. Marta, di s. Elena; - per sapere cose future o occulte, come
quella “Angelo santo, angelo bianco”etc. et quella “dolce vergine”, et simili. Et i
confitemini della Madonna; - quelle che contengono nomi incogniti, né si sa il
loro significato. 17
A testimoniare la loro diffusione e la preoccupazione della chiesa in tal
senso è un coevo documento redatto da Rodolfo Paleotti, vescovo di Imola, che
analogamente parla di “quelli, che tengono, o dicono orationi non approbate, anzi
reprobate dalla Santa chiesa per farsi voler bene d’amor lascivo, e disonesto,
come sono l’orationi falsamente attribuite a S.Daniele, S.Marta, S.Elena o simili:
quelle che si dicono per sapere cose future, et occulte come quella Angelo Santo
Angelo Bianco, etc. E quella, o dolce Vergine, etc. o li nomi del ben volere;
quelle, che contengono nomi incogniti, né si sa il loro significato, [….] Quelli che
quando vanno la sera a dormire recitano una tale oratione per insognarsi, e
conoscere eventi occulti, e futuri, o prosperi, o adversi, etc.” 18 . L’orazione
recitata nel caso esaminato è poi anche incriminata nel 1570 da Umberto Locati,
inquisitore a Piacenza, nel suo “judiciale inquisitorum” in cui oltre a sostenere in
generale la pertinenza al suo tribunale delle pratiche superstiziose, ne descrive
attentamente rituali e formule dichiarando “manifestamente ereticale” la
“divinatio” che si praticava per sapere i segreti o per scoprire chi aveva rubato
qualcosa e che comportava la presenza di candele benedette e acqua benedetta , e
di un bambino o una vergine che guardando in un recipiente recitava la preghiera
“Angelo bianco, angelo santo, per la tua santità e per la mia verginità…”. In tale
formula, come del resto in altre, egli riscontrava un implicito patto con il
demonio. 19
17
Adriano Prosperi, op.cit., p. 325, 326.
Giuliana Zanelli, Streghe e società nell’Emilia e Romagna del Cinque-Seicento, Ravenna, Longo
Editore, 1992.
18
19
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Adriano Prosperi, op. cit.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
Può essere utile tenere presente che, in greco, la parola "daimon",
traducibile grosso modo come "demone", è ambigua e può voler significare sia
uno spirito buono che uno spirito malvagio (talvolta si trova specificato
"eudemone" (nel caso di spirito buono) o "cacodemone" (nel caso di spirito
malvagio). Nel latino della cristianità occidentale è rimasta soltanto la
connotazione negativa. Questo significa che tutti gli "spiriti" di cui, secondo le
dottrine neoplatoniche e occultistiche in generale è pieno il mondo, sono
tendenzialmente malvagie secondo il cristianesimo. Occorre inoltre aggiungere
un celeberrimo passo della seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, in cui si dice:
"anche Satana si maschera da angelo di luce" (2 Cor 11,13). Questo brano è una
delle basi scritturali della cosiddetta "discretio spirituum", cioè la pratica che
consente di stabilire se un'entità è buona o malvagia. Distinzione per cui, in
ultima analisi, chi detiene il potere ha il diritto di decidere.
Tale attenzione alle orazioni si ritrova nuovamente verso la fine del 1600
nelle “Regole del tribunale del Sant’Officio” di Tommaso Menghini. Opuscolo
dove si trovano anche, elencate in un tentativo di censimento, “historiole”,
“leggende”, “orationi” e “preghiere superstiziose” proibite. In una “pratica” si
può così leggere :” per far venire huomini alle case loro… ingroppano fettucce
mentre stanno alla messa con cento innumerevoli nodi e nell’ingroppare dicono
parole incognite o cognite, ma lascive…abusano acqua et candele benedette,
recitando l’oratione di S. Daniele, di S. Elena et altre simili, che così chiamano,
nelle quali invocano i santi a conseguire i loro intenti… fanno il sortilegio della
caraffa per mezzo di putto o di zitella vergine, o di donna gravida, facendovi dire
: Angelo santo, Angelo bianco, per la tua santità, per la mia purità…” 20 . A
preoccuparsi delle orazioni non era poi la sola inquisizione. Le orazioni ai citati
San Daniele e Santa Marta, per procurare l’amore di qualcuno o il ritorno della
persona amata, potevano condurre chi le insegnava davanti all’inquisitore ma
anche davanti al tribunale laico. Infatti se Maddalena da Ferrara fu denunciata
20
Idem, op. cit.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
all’inquisitore di Modena nel 1552 sotto questo capo d’accusa, pochi anni dopo a
Roma la cortigiana Lucrezia fu condotta davanti al tribunale del Governatore con
l’accusa di aver recitato l’orazione di san Daniele.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
II.2 Il rito dell’”Inghistara” e le sue varianti
Dai testi esaminati, quindi, le componenti fondamentali delle pratiche
divinatorie per il ritrovamento di oggetti smarriti, risultano essere tre. La presenza
di uno più elementi puri, l’ utilizzo di una caraffa contenente un liquido e la recita
di un’orazione. Essi si ritrovano tutti nell’ ”esperimento dell’inghistara”, ma il
rito e la formula potevano avere molte varianti.
Una testimonianza in tal senso viene offerta dall’ interrogatorio di tale
Lucrezia Peloso, tenutosi a Pisa nel maggio del 1582. Il nome della donna era
stato fatto a frà Felice da Pistoia da Bartolomea di Antonio dopo aver sentito una
predica di quest’ultimo in Santa Maria. Così Bartolomea riferisce “quando voi
predicaste et inteso quanto sia grande peccato il fare et far fare mallie,
incantesimi et anguistara et la gran pena che è a coloro che sanno et non revelano,
che sono scomunicati, vi dico che Lucretia moglie di Hieronimo Peloso fa
l’anguistara et mi ha detto che tiene per certo di potervi vedere dentro le cose
passate et quelle che hanno da venire, et che più volte ne ha fatto l’esperienza, et
dice che non è contro della chiesa, anzi che è cosa santa il fare detta anguistara”.
Le indagini avanzano con la convocazione di Lucrezia e come da
procedimento prima di affrontare il problema vero e proprio vengono fatte alla
donna alcune domande generiche su quali fossero le sue frequentazioni. Lucrezia
ne è da subito infastidita e si avvia verso l’uscita, ma qui viene bloccata dagli
sbirri del bargello. Così di fronte alla minaccia di essere condotta in prigione la
donna comincia a parlare ed ammette di “saper fare l’anguistara”.
Dice di aver imparato a Firenze, dove di queste cose non si fa conto. Si
prende l’acqua attinta da tre pozzi la notte di San Giovanni da una fanciulla
vergine e la si mette da parte. Quando occorre se ne riempie una caraffa, una
donna vergine o gravida si inginocchia davanti a una candela accesa, recita tre
Pater, tre Ave e l’orazione di San Giovanni e poi vede nella caraffa le cose
perdute e le cose future. Né Lucrezia ha difficoltà ad ammettere che nell’efficacia
di quel rito ci crede e che ritiene si tratti di cosa santa.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
Nei confronti di Lucrezia non viene emesso nessun mandato di cattura, ma
viene rilasciata con l’obbligo di non allontanarsi da Pisa e di non rifare il
sortilegio della caraffa. Lucrezia si impegna in tal senso, ma Fra’ Felice annota
che la sua è solo un’obbedienza formale e che in lei non si vedono segni di
contrizione per i “malefici” perpetrati. Dopo pochi giorni è interrogata
dall’inquisitore in persona, che si mostra molto cauto. Soprattutto quando
Lucrezia ribadisce di essere stata assolta più volte per quel sortilegio dai
confessori, egli le ribatte di non voler infrangere il segreto della penitenza “nolo
ego scire an si es absoluta in foro penitenziali”.
L’obiezione del giudice, forse fondata sul rigoroso rispetto del sigillo
sacramentale, è davvero inconsueta. Solo in un altro procedimento di questi anni
(a Venezia nel 1591: M. Milani, Antiche pratiche di medicina popolare nei
processi del S. Uffizio, p. 171) si incontrano queste preoccupazioni, nonostante
che la prassi di dirottare ai tribunali di fede i penitenti non assolti, e non solo per
addebiti di natura magico-diabolica fosse ampiamente diffusa nell’Italia del
tempo.
Quando, dopo una lunga sospensione, il processo riprende con una nuova
convocazione, Lucrezia non è in casa. Sta preparando la fuga a Lucca ma viene
fermata da un perentorio mandato di cattura. Una volta in carcere frà Felice non
ha difficoltà nel farle ammettere che quelle orazioni erano rivolte al demonio e
che lo avrebbe dovuto rivelare all’inquisitore. Lucrezia così fa dicendo che era
stata trattenuta dalla paura, ma non tralascia di scaricare parte della responsabilità
sui confessori: ”perché quei patre nostri et Ave Marie ch’io dicevo sopra la detta
inghistara – et così anchora quella oratione di santo Giovanni Battista – io le
dicevo al demonio, al diavolo; et adoravo il diavolo et del certo ch’io l’adoravo.
Io la detta inghistara l’ ho fatta a molte persone, delle quali ora non mi arricordo.
Ma come un’altra volta vi ho ditto, ne sono stata assoluta et mi maraviglio di voi,
essendone stata io assoluta, che vogliate sapere interamente come ho fatto la detta
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
anguistara et la mia intenzione in dire quelli pater nostri et Ave Marie et
oratione”.
Una volta accertato il sospetto d’apostasia, il giudizio non va avanti. La
possibile efficacia della presunta magia diabolica non è nemmeno ipotizzata:
sembra implicito, in sede giudiziaria, che il diavolo, pure invocato, non abbia
alcun potere e il processo a Lucrezia Peloso si chiude su questa confessione, con
una pubblica abiura e penitenze salutari. 21 Infatti, se la teologia non mette affatto
in dubbio l’efficacia delle azioni del demonio (anche se le considera “inganni” e
“trucchetti” più “meravigliosi e stupefacenti” che soprannaturali in senso
proprio), il procedimento giudiziario, che non sa tradurre sul piano processuale le
credenze della teologia, rimane “perplesso “ di fronte alla questione: il diavolo è
preso sul serio teologicamente, ma non giudiziariamente.
L’esperimento
dell’inghistara
praticato
da
Lucrezia,
seppur
con
l’importante variabile che la donna oltre a vedere il futuro vede anche il passato,
ha sostanzialmente lo stesso scopo e le stesse modalità di quello esercitato da
Bernardina. Si possono inoltre notare alcune differenze sia per quanto riguarda le
proprietà dell’acqua utilizzata sia per l’orazione. Infatti diversamente da
Bernardina, e dalla maggior parte dei casi, Lucretia non parla di acqua benedetta,
ma di quella attinta da tre pozzi. Sembrerebbe così mancare l’elemento sacro, ma
lo si può riscontrare nel fatto che quest’operazione non venisse realizzata in un
momento qualsiasi, bensì nella sola notte di San Giovanni Battista. Proprio a San
Giovanni Battista è poi rivolta, insieme al Padre Nostro e all’ave Maria,
l’orazione che permetterà la divinazione, mentre non c’è alcun cenno a quella ben
più diffusa “angelo bianco, angelo santo”. Oltre a questi elementi il processo di
Lucrezia è interessante anche per l’intervento dell’inquisitore. Infatti nella
“anguistara” di Lucretia c’era poco o nulla di religioso: il nome di San Giovanni
e l’uso di qualche preghiera. Ma non c’erano neanche tracce esplicite di
invocazione diabolica, prima delle sue forzate ammissioni.
21
Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni,
1990. pp.169 ss.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
Si trattava di un rito ingenuo, di quelli che in genere erano qualificati come
superstitio simplex ed erano tradizionalmente di competenza del foro
penitenziale: e ad esso infatti sia la testimone sia l’inquisita avrebbero continuato
a far riferimento, se non fosse intervenuto il tribunale con le sue pressioni.
Si potrebbe rimanere sconcertati nel registrare atteggiamenti così severi in
una vicenda tutto sommato banale, soprattutto pensando ad altri giudici
dell’inquisizione romana che reagiscono con grande cautela e incertezza, sino ad
estraniarsene, a casi potenzialmente più gravi. E invece nel caso pisano, è il
tribunale stesso ad aprire consapevolmente le ostilità, attraverso una predica di
commento all’editto di fede che sceglie tra i suoi bersagli anche i più banali
sortilegi.
Ma la contraddizione tra questi comportamenti è solo apparente poiché
negli stessi anni in cui furono rivisti alcuni aspetti del processo di stregoneria si
stava avviando un riordinamento degli interventi inquisitoriali. Infatti sul finire
del 500 l’azione di coordinamento e di controllo esercitata dalla congregazione
del Sant’ Ufficio sui tribunali di fede locali si fece più stringente ed efficace. Così
i margini di tolleranza dell’inquisizione verso le pratiche magiche, anche banali si
andavano sensibilmente restringendo in tutta Italia, e ciò era dovuto sia al
rinnovato vigore dell’apparato istituzionale della chiesa, sia al potente impulso
all’espansione impressole dal Concilio di Trento. Quindi già nel 1590 in molti
tribunali le pratiche magiche costituiscono l’oggetto più frequente di repressione
e denuncia 22
Di due anni successivo rispetto a quello di Lucrezia è il processo sommario
contro Giovanni Pietro Attilio, parroco di Casarsa (ora in provincia di
Pordenone), che il 16 maggio 1584 si recò a Portogruaro per togliersi un peso
dalla coscienza e soprattutto per evitare la minaccia incombente di un intervento
dell’Inquisizione contro di lui. Nei giorni precedenti infatti aveva sentito che era
stata consegnata al vicario generale una lettera segreta contro di lui ed aveva
22
Ibid., p.176.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
deciso di correre ai ripari. Monsignor Giovanni Battista Maro, vicario generale di
Concordia e fra Felice da Montefalco, minore conventuale, inquisitore del
patriarcato di Aquileia e della diocesi di Concordia, lo ascoltarono molto
attentamente, perché era la prima volta che succedeva loro di dover applicare il
processo sommario, riservato a chi compariva spontaneamente, e non il consueto
processo formale. Pre Giovanni disse che un giorno della quaresima appena
passata, mentre stava recitando l’ufficio, gli erano state rubate le lenzuola dalla
camera. Sua cugina accusata da voci maligne di averle rubate lei e di averle
mandate a casa propria a Spilimbergo, dove abitava di solito, aveva insistito
molto per scoprire con un “inghistera et con una vera d’oro”, cioè con una caraffa
ed una fede nuziale, il vero ladro ed egli aveva ingenuamente accettato. Fallito il
primo tentativo, si era tuttavia fermamente opposto ad un secondo, dolendosi di
essersi lasciato convincere. Poco tempo dopo si era confessato a Venezia da un
penitenziere ed era stato assolto. Ora così chiedeva umilmente perdono alle loro
signorie. “…hor essendo occorso ch’io sia stato denuntiato per tal caso,
voluntariamente comparo et confesso come di sopra, domandando a vostre
signorie umilmente perdono”.
I due giudici non ebbero molto da ponderare: l’idromanzia dal loro punto
di vista, implicava l’invocazione dei diavoli come tutte le operazioni magiche e
quindi andava condannata. Non era un caso grave come quelli di eresia vera e
propria, ma sollevava solo un sospetto di eresia. Inoltre il prete si era presentato
spontaneamente e quindi la procedura da adottare era quella sommaria: nessun
interrogatorio, assoluzione dalla scomunica e assegnazione di alcune penitenze
salutari.
Una conclusione molto più leggera a priori di quelle possibili in un
processo formale, più lungo e complesso e vessatorio. Ma si trattava di un
parroco, che doveva dare l’esempio e perciò l’Attilio fu condannato seduta stante
alla consegna entro un anno alla chiesa parrocchiale di Santa Croce di un calice
del valore di dieci ducati; alla predicazione per cinque domeniche contro coloro
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
che invocavano i demoni e credevano nell’arte dell’idromanzia, ammonendoli a
rivelare tutto al Sant’Ufficio sotto pena di scomunica; alla recita quotidiana per
un anno dei sette salmi penitenziali. Processo brevissimo, sentenza esemplare. 23
Sempre del 1584, ma questa volta a Venezia, è il caso di tale Giulia. La
ragazza diciannovenne, pentita o forse abbandonata da un ricco amante greco,
aveva trovato rifugio nella casa del Soccorso, istituto fondato nel 1577 che
accoglieva prostitute ravvedute e donne sole. Non potendo essere assolta dal
confessore delle convertite né potendo lasciar la casa, viene sentita
dall’inquisitore appositamente avvertito. In seguito alla deposizione di Giulia il
tribunale apre un processo. Dalle sue deposizioni si ricava un ampio repertorio di
pratiche superstiziose. Una delle prime ad essere confessata è proprio quella che
riguarda l’ “esperimento dell’inghistara”. Infatti quando l’inquisitore chiede: “se
essa constituta ha mai fatto alcuna cosa superstitiosa con abuso de altri
sacramenti o d’acqua benedetta o cera benedetta o simile cosa o invoccatione de
demonii per fare furti (non si intende per rubare, ma per trovare cose rubate) o
altri suoi dissegni”. Giulia così risponde: “io mi raccordo essendo putta pezzenina
mi ingenochiai, come mi fu insegnato, per ritrovare una cosa rubata, et vi era una
ingestara piena d’acqua santa, et sotto al fondo dell’ingestara vi era una vera
benedetta d’oro, che fosse d’una donna maridada, et io teneva una candella
benedetta ardente in mano, et io stava in zenocchion et diceva :Angelo Biancho,
Angelo santo, per la tua santità et la mia virginità fammi vadere il vero e la
verità, chi ha hauto quelle robbe trovate. et io lo dissi tre volte solamente, ma mi doleva
le zenocchia et mi levai su né volsi stare più a vedere; et non viddi cosa alcuna in detta
ingestara, ne so se si trovasse. Et questo fu in casa mia, ma non mi raccordo ad instantia de chi
lo facesse”.
Giulia prosegue poi narrando con la stessa puntualità le altre pratiche
superstiziose da lei esercitate: il “buttar fave” recitando l’orazione di santa Lena,
cioè di sant’Elena, “l’esperimento della cordella” accompagnato dallo scongiuro
23
Andrea Del Col, Streghe e bestemmiatori nei processi dell’Inquisizione, in Ciasarsa San Zuan Vilasil
Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Udine, Società filologica friulana, 1995.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
per togliere il sonno, il “dar martello con lo scongiuro della catena e lo scongiuro
del muro”, e la trascrizione delle parole della consacrazione dell’ostia su foglie di
belladonna o di salvia e date da mangiare nella minestra per farsi voler bene. Ma
nonostante la gravità delle colpe confessate dalla giovane, l’inchiesta viene
chiusa senza condanna. 24
Il ricorso all’ ”incanto dell’inghistara” è di nuovo testimoniato a Venezia
nel 1587 da Valeria Brunaleschi. Nella primavera alla donna erano stati rubati dei
vestiti ed era sicura che il colpevole fosse il cognato.
In questo caso il ricorso all’inghistara ha più uno scopo di conferma che
non di divinazione. Ecco quanto raccontò ai giudici nel suo constituto dell’11
giugno “e così un dì io aveva preparato un bacil d’acqua e la vera benedetta, che
me la feci prestar da una dona catolica 25 (che li lassai tre ovi in pegno, ma non li
dissi quel che voleva far perché non me l’averia data), e preparai anco dell’acqua
santa, che mandai a pigliarla per un mio puto in una chiesa. E cussì un sabbado
andai a tuor Polonia, qual era gravida, e mia fiastra me menò queste doi pute. E
cusì nella mia casa in cusina serrai i balconi, stropai i busi con un pezzo de
bandele, e fu messo un bacil su un scagno con la inghistara d’acqua santa e la
vera sotto el fondo della inghistara. E ci erano tre candele benedete, ch’io le feci
benedir a S. Aponal. E così la Polonia con queste pute si serorno in cusina. Mia
sorella e mia fiastra stevano di dentro e venivano qualche volta de fuora a dirme
qualche cosa, ma la Polonia non disse cosa de sostanza, disse che aveva visto un
omo vestito tuto de bianco da beccaro. E quando si apriva la porta, vedevo le do
putte inzenochiate, e la Polonia per esser gravida no, e avevano le candelle accese
in mano”. Valeria denunciò il cognato per furto, e lui denunciò lei per strigarie.
Un racconto simile è di Marietta vicentina, che nel luglio 1587 poiché era
stata derubata di una cappa, fece fare l’incanto da Camilla milanese con il
risultato che le putte videro ”uno con bareta negra e un altro ebreo” e la gravida
24
Marisa Milani (a cura di), Streghe e diavoli nei processi del S. Uffizio. Venezia 1554-1587, Bassano
del Grappa, Ghedina e Tassotti editori, pp.117 ss.
25
Valeria doveva essere evidentemente ebrea o ortodossa.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
“un ebreo con la bareta rossa”. Del 1589 è invece il racconto di tale Elena, una
ragazzina di dodici anni, che durante l’incanto fatto fare da Laura mantovana,
disse di aver visto “il demonio, che era negro e mostrava che una donna aveva
tolto li soldi” mentre la sua amica Meneghina di un anno più giovane vide “un
frate negro, e faceva segni con le man, e insegnava che se mettesse le man tra il
cavazzal e il letto”, proprio dove poi furono trovati i soldi.
Non erano solo i cristiani a usare la pratica dell’inghistara per scoprire i
ladri. Anche il rabbino Isaac Levi vi ricorse nel 1658 per venire a sapere chi
avesse rubato una cinta a ser Francesco Baseggio, ma ebbe cura di variare la
formula, fatta dire da due ragazzini, in “Sacra Maestà, il nostro maestro vi fa
riverenza e noi vi preghiamo e scongiuriamo per la nostra virginità che indichiate
il vero”, che videro nell’acqua un re incoronato e vestito di nero, che indicò un
sarto.
L’incanto della caraffa fu fatto fare anche dalla celebre cortigiana Veronica
Franco: non trovando le sue preziose forbici d’argento pensò di scoprire in quel
modo il ladro, che secondo lei era il precettore del figlio o una serva di casa.
L’incanto non riuscì molto bene, ma Veronica fu querelata dal precettore e
interrogata dai giudici nell’ottobre 1580. La cortigiana non riuscì a spiegare chi si
intendesse per l’Angelo bianco e ammise che poteva anche essere il Sarasin,
ovvero il Demonio.
Ma del resto sulla valenza di questa invocazione le opinioni risultano
essere sempre piuttosto confuse: infatti pur avendo l’orazione chiaramente lo
scopo di evocare il bianco”spirito” dell’acqua era ritenuta dai più un’invocazione
all’Angelo Custode. 26
Un altro tipo di significato attribuito all’”angelo bianco” è fornito da
Francesca Medri. La donna ha sempre vissuto in un ambito paesano ed è
cresciuta in una cultura magica che sembrerebbe abbia profondamente assimilato.
In un suo racconto all’inquisitore dice di avere attorno un folletto, che in una
narrazione precedente aveva sovrapposto alla figura di un angelo, e che forse è lo
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
stesso che la aiuta a trovare le cose perse. Francesca conferma poi di aver
partecipato da piccola al sortilegio dell’”inghistara”. Quando abitava a Longiano
(piccolo centro dell’Emilia Romagna, attualmente in provincia di Forlì) con la
madre, venne a casa loro una donna, di nome Ginevra, comare di sua madre.
Ginevra portò lei e sua sorella maggiore a casa sua. Lì c’era un’altra bambina e
furono condotte in una stanza dove Ginevra aveva messo dei panni nuovi; le tre
bambine furono messe sotto i panni disposti a forma di capanno. A un certo
momento, entrò una donna forestiera, di Rimini, che diede a ciascuna di loro una
candela benedetta accesa in mano, e nella stanza c’era una caraffa piena d’acqua
benedetta. Loro tre stavano in ginocchio e la forestiera le invitò a chiamare tre
volte, insieme: “angelo bianco per la tua santità, e per la mia virginità fami
vedere chi ha rubato l’azza, e la tela alla Genevra, et apparve lì dove noi eravamo
un Besso, o pecorone con le corna et era negro, et cominzò manegiare
quell’acqua con le corne che li faceva fare le luciole di fuoco e poi si partì, e si
vidde in quella caraffa una casa con duoi usci, et uscì due Donne da un uscio per
una e butorno inanzi a detta casa l’azza, et tela suddetta” 27 .
Come già detto la Chiesa ha sempre combattuto aspramente il ricorso alle
pratiche divinatorie. Nel 1581 il sinodo di Treviso tuonava contro coloro che
“evocavano o facevano evocare a fanciulli e donne gravide le ombre dei morti, le
ossa dei cadaveri, le midolla e le immagini usando specchi, anfore d’acqua
illuminate dalla luna o dalle stelle”. I risultati rimasero però scarsi, infatti dalle
testimonianze esaminate emerge quanto questa forma di divinazione fosse
conosciuta e praticata dal popolo nonostante la sua proibizione.
26
27
Marisa Milani, Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento.
Giuliana Zanelli, op.cit., p.121, 122.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
II.3 Per un confronto con altri paesi: la divinazione in Inghilterra
La divinazione per la scoperta di ladri e il recupero di oggetti rubati non si
otteneva certamente solo tramite l’esperimento dell’inghistara.
Vi erano infatti anche altri tipi di pratiche, le quali prevedevano o l’utilizzo
del vaglio e delle forbici, o quello di un libro e di una chiave. E sono proprio
queste ultime pratiche, più dell’inghistara, che ritroviamo, oltre che in Italia;
anche in altri Paesi. Così in Inghilterra per stabilire chi si fosse impossessato dei
beni scomparsi si poteva utilizzare la formula del vaglio e delle forbici: “pianta
un paio di forbici sul fondo di un vaglio e fa che due persone posino ciascuna la
punta dell’indice sulla parte superiore delle forbici, in modo da tenere saldamente
sospeso il vaglio a mezz’aria; chiedi poi a Pietro e Paolo se A, B, o C ha rubato
l’oggetto perduto; e al nome del colpevole il vaglio ruoterà”.
È del 1554 un’attestazione in tal senso, quando il chierico William
Hasylwoode confessò al tribunale commissariale di Londra che :”avendo perduto
una borsa che conteneva quattordici groats 28 ed essendosi allora rammentato che
da bambino aveva udito sua madre affermare che chiunque avesse perduto
qualcosa poteva servirsi di un vaglio e di un paio di forbici per venire a sapere chi
era in possesso degli oggetti perduti,…prese un vaglio e un paio di forbici e
appese il vaglio alla punta delle forbici, e pronunciò queste parole “per Pietro e
Paolo, ce l’ ha il tale” nominando la persona da lui sospettata.
Allo stesso modo John Casson confessò all’arcidiacono di Nottingham
che:” circa tre quarti d’anno fa, un montone essendo stato perduto nella loro
parrocchia, c’era un espediente cui si faceva ricorso per sapere che cosa ne fosse
stato del detto montone, consistente nel prendere un vaglio e un paio di forbici e
dire “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, dopo le quali parole il
vaglio si sarebbe messo a girare, espediente questo cui egli e sua sorella fecero
ricorso una volta senza male intenzioni”.
28
Moneta inglese d’argento del valore di mezzo scellino.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
Ancora nel 1641 la moglie di un bracciante comparve davanti alle Quarter
Session 29 del Lancashire per aver fatto ricorso al vaglio e alle forbici allo scopo
di scoprire chi avesse rubato una pecora e una gallina, e venire a sapere se due
donne del luogo erano incinte.
L’altra versione dello stesso metodo era la divinazione mediante una
chiave e un libro, un salterio o una Bibbia: si poneva una chiave in un
determinato punto tra le pagine del libro, i nomi dei possibili sospetti venivano
quindi scritti ciascuno su un diverso pezzo di carta e inseriti l’uno dopo l’altro
nell’estremità cava della chiave, quando vi veniva inserito il pezzetto di carta con
il nome del ladro, il libro si “agitava” e sfuggiva di mano a coloro che lo
tenevano.
Con una modifica ricorse nel 1551 a tale pratica il vicario di St. Owen,
William Newport. Il sacerdote infatti inserì la chiave nel libro e quindi legò
questo con una cordicella; invocò poi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e
ordinò alla chiave di girare quando avesse pronunciato il nome del colpevole. La
chiave girò al momento che il sacerdote fece il nome di Margaret Greenhill, e
allora i partecipanti alla cerimonia uscirono dall’abside della chiesa, dove era
stata tenuta, per andare a frugare nel pagliericcio della sospettata in cerca degli
oggetti scomparsi.
Già dal medioevo la divinazione mediante chiave e libro era stata molto
diffusa ed era ancora utilizzata in molte zone rurali ancora nel XIX secolo.
Un ulteriore sistema per individuare il colpevole in un elenco di sospetti
consisteva nell’appallottolare pezzi di carta su cui erano scritti i loro nomi con
creta, mettendoli quindi in un secchio d’acqua, per vedere quale pallina si
svolgesse per prima.
La pratica più simile a quella descritta nel processo pesarese prevedeva
l’utilizzo di un cristallo in cui scorgere la fisionomia del colpevole. Infatti se
generalmente il “sapiente” John Dee si serviva di un cristallo “grande come un
29
Corte locale incaricata di giudicare piccoli reati.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
uovo, luminosissimo, limpidissimo e splendido” a volte ricorreva anche
all’unghia del pollice di un bambino o ad un secchio d’acqua.
E ancora un commerciante dell’Herefordshire che aveva subito molti furti
nella sua bottega , verso mezzanotte andava in giro con il suo cristallo portando
con sé, come veggente, un bambino o una bambina, comunque vergine, che
avrebbero dovuto scorgere nel cristallo le fattezze del ladro. Chiaramente la
lettura del cristallo divergeva di poco dalla deliberata invocazione di spiriti.
Così John Walsh, un “sapiente” delle regioni occidentali dell’Inghilterra,
nel 1556 confessò che allo scopo di scoprire oggetti perduti si serviva di un
“familiare”, vale a dire uno spirito che a volte si mostrava sotto forma di
colombo, altre di cane, altre ancora di uomo munito di zoccoli fessi.
Come si vede anche in Inghilterra le pratiche divinatorie potevano
accompagnarsi a complessi rituali di tipo semireligioso e nel 1631, un mago
spiegava che “chiunque andasse alla ricerca di oggetti rubati lo faceva a prezzo di
grandi difficoltà, con digiuni e preghiere per tre giorni di seguito e con grandi
disagi affrontati allo scopo”. 30
30
Keith Thomas, La religione e il declino della magia, le credenze popolari nell’Inghilterra del
Cinquecento e del seicento, trad.it. di Francesco Saba Sardi, Milano, Mondadori, 1985.
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
II.4 Motivi del ricorso alla divinazione
Questi metodi per la scoperta di ladri, tanto in Italia quanto in Inghilterra,
non erano affatto assurdi quanto si potrebbe pensare. Ciò è dovuto al fatto che la
società del tempo offriva ben poche soluzioni diverse, che erano tutte tecniche di
facile apprendimento e che quanto a strumentario non richiedevano nulla che
fosse fuori dell’ordinario, e che nella maggior parte dei casi la ricerca del
colpevole non partiva dal nulla, bensì dall’esame di un elenco di sospetti fornito
dalla vittima del furto. A chi praticava la divinazione spettava semplicemente il
compito di isolare il colpevole, ed è più probabile che considerasse suo principale
compito quello di scoprire l’identità della persona maggiormente sospettata dal
“cliente” stesso. Quasi sempre infatti chi ricorreva a queste pratiche aveva un
preciso sospetto, non accompagnato però dalla convenzionale prova di
colpevolezza, e quindi stava all’”indovino” confermare tali sospetti e permettere
al derubato di agire sulla scorta di un’opinione alla quale era giunto prima che il
consulto avesse luogo.
Ciò che si otteneva con la divinazione nient’altro era che una conferma in
apparenza obiettiva, dei sospetti originari. Infatti durante un processo un
testimone ammetteva ingenuamente che un “sapiente” era un imbroglione perché
si era rifiutato di accusare questa o quella delle persone dal testimone stesso
sospettate di aver appiccato il fuoco a casa sua, persino dopo che gliele aveva
indicate.
In un altro caso un “mago” incaricato di identificare come ladra una certa
donna, commise l’errore di accusarne un’altra, finché il cliente non gli sussurrò
all’orecchio il nome della donna che voleva venisse accusata, dopo di che il libro
e la chiave confermarono l’accusa.
Anche la sfera di cristallo o la superficie dell’acqua avevano ovviamente la
capacità di confermare sospetti preesistenti. Quando il consultante veniva invitato
a guardare la fisionomia dell’individuo che appariva era generalmente in grado di
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LE PRATICHE DIVINATORIE E L’“INGHISTARA”
riconoscerla, se ciò non accadeva il “sapiente” descriveva la visione che si
formava e attendeva le reazioni del consultante.
In entrambi i casi comunque l’operazione rispondeva allo stesso scopo, e la
solennità con cui il rito veniva compiuto, non tanto forniva nuove prove, quanto
aiutava a conoscere la propria mente.
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Capitolo III
DINAMICHE DI UN PROCESSO
Ad innescare il meccanismo del tribunale dell’Inquisizione era spesso, ma
non necessariamente, una denuncia, l’Inquisizione poteva infatti, al limite,
procedere anche soltanto in base alla “voce pubblica”. In presenza di denuncia,
questa doveva essere firmata e resa sotto giuramento (le denunce anonime e le
testimonianze rese senza giuramento non erano infatti prese in considerazione).
In seguito si procedeva con una serie di indagini preliminari, e quindi si entrava
nel vivo del processo.
La fase più delicata era quella dell’interrogatorio dell’imputato, che spesso
si trasformava in una estenuante schermaglia tra l’inquisitore, che cercava con
tutti i mezzi a sua disposizione di indurre l’accusato a confessare, e l’inquisito,
che poteva opporsi in vario grado, a seconda della sua resistenza fisica e
psicologica 31 .
Se dopo la presentazione delle prove e delle testimonianze di accusa, e la
conclusione dell’interrogatorio dell’imputato, quest’ultimo non si era né
discolpato, né era stato dichiarato colpevole, gli era consentito di mettere a punto
la propria difesa; a tal fine, riceveva una copia autentica della trascrizione di tutte
le fasi del processo svoltesi fino a quel momento, con i capi d’accusa in volgare,
per facilitarne la comprensione. I nomi propri dei testimoni, comunque, venivano
cancellati dalla copia. All’imputato e al suo difensore (di cui si parlerà tra breve)
era quindi concesso del tempo per studiare le prove a suo carico e per preparare
31
Guido Dall’Olio, I rapporti tra la congregazione del Sant’Ufficio e gli inquisitori locali nei carteggi
bolognesi (1573-1594), Estratto dalla Rivista Storica Italiana, Anno CV –Fascicolo 1 –1993.
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DINAMICHE DI UN PROCESSO
domande miranti a confutare i testimoni di accusa, e gli era anche possibile far
convocare tutti quelli che a suo giudizio erano in grado di dimostrare la sua
innocenza.
Se le affermazioni dei testimoni dell’accusa non venivano contestate,
venivano considerate di fatto accettate dall’imputato, che si rimetteva alla
clemenza della corte. Questa strategia era la più adottata quando gli indizi di
colpevolezza erano molto gravi.
In ogni caso il diritto alla difesa non poteva mai essere negato. Erano anzi
gli stessi trattatisti ad insistere perché venisse esercitato, e ciò per due motivi: il
primo, di ordine morale, si basava sull’idea che la facoltà di difendersi da
un’accusa fosse sancita dal diritto naturale e non potesse quindi essere negata a
nessuno, e il secondo, di ordine pratico, poggiava sul fatto che il rispetto del
diritto alla difesa era necessario per non incorrere successivamente in
recriminazioni sul corretto svolgimento del processo.
Se l’imputato, come quasi sempre succedeva, non era in grado di occuparsi
da solo della propria difesa, poteva far richiesta di un avvocato. I requisiti
richiesti a quest’ultimo erano innumerevoli: dovevano essere uomini al di sopra
di ogni sospetto di eresia e difensori della fede e della giustizia, dovevano giurare
di mantenere il segreto e impegnarsi a tutelare gli interessi dei patrocinati, il che
includeva il convincerli a confessare. Il rapporto avvocato-cliente diventava
perciò viziato: infatti se il primo si convinceva della colpevolezza del secondo e
dell’impossibilità di indurlo a riconoscere il suo errore, doveva scegliere fra il
rinunciare alla difesa e il diventare egli stesso complice di eresia.
Ciò nonostante la possibilità di denunciare incongruenze e inesattezze nelle
affermazioni dei testimoni d’accusa, e di suffragare con altre testimonianze la
cattolicità della fede e del comportamento dell’imputato, era ribadita e rafforzata
dalla presenza di un esperto di diritto in veste di difensore. Quest’ultimo poteva
invocare circostanze attenuanti, chiedere rinvii del procedimento, assistere
l’imputato nella redazione di un’ ”apologia”, contestare l’ordine di procedere a
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DINAMICHE DI UN PROCESSO
un interrogatorio sotto tortura e invocare una condanna più mite. Ad intaccare il
diritto alla difesa c’era però, come già accennato, un fattore di non poco conto,
ovvero l’anonimato riservato agli informatori e ai testimoni d’accusa. L’imputato,
infatti, aveva il diritto di conoscere i reati dei quali era sospettato ma non il nome
degli accusatori.
Tale limitazione introdotta secoli prima, come misura temporanea, in un
periodo particolarmente turbolento, per proteggere i testimoni da eventuali
rappresaglie, era sopravvissuta diventando poi una caratteristica permanente della
procedura inquisitoriale. Lo stesso carattere di segretezza si incontrava nelle
carceri inquisitoriali, che dovevano garantire l’isolamento del prigioniero nella
fase processuale al fine di isolare l’imputato dal mondo, per farlo concentrare su
se stesso e, nella solitudine e nell’afflizione, farlo arrivare al pentimento pieno
delle sue colpe, ma anche per evitare che concordasse con i suoi complici una
linea comune di difesa.
Vista la disparità di condizioni dell’accusa e della difesa, era compito
dell’inquisitore indagare approfonditamente sulla reputazione e sull’affidabilità
dei testimoni, e informarsi sui motivi che li avevano spinti a collaborare. Anche
per questo all’inizio della fase difensiva veniva chiesto all’imputato di nominare
ogni persona che secondo lui potesse volere il suo male. Se i nomi fatti
coincidevano con quelli degli accusatori, l’inquisitore doveva compiere nuovi
accertamenti sulle loro motivazioni, sulla loro veridicità e sulla natura e gravità
delle ostilità fra essi e l’imputato, e nel caso in cui i sospetti si fossero rivelati
fondati, si sarebbe giunti all’incriminazione dei testimoni per il reato di spergiuro.
L’interrogatorio sotto tortura, introdotto all’inizio del tredicesimo secolo
dai tribunali laici come mezzo estremo per ottenere confessioni, è nella prassi
giudiziaria romana rigidamente controllato e sottoposto a una serie di limitazioni.
Il “rigoroso esamine”, infatti, poteva essere effettuato solo dopo la
presentazione di prove convincenti da parte dell’accusa e la presentazione dei
controargomenti della difesa. Non era inoltre concesso all’inquisitore da solo
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DINAMICHE DI UN PROCESSO
deciderne l’impiego; per questo c’era una sorta di comitato consultivo formato da
giuristi e teologi, sia laici che ecclesiastici, che era a disposizione di ciascun
tribunale dell’Inquisizione e che aveva il compito di fornire all’inquisitore pareri
specialistici su ogni difficoltà eventualmente insorta durante un procedimento
giudiziario, dall’arresto all’emissione della sentenza.
La questione, se di particolare difficoltà, poteva essere demandata al
supremo tribunale di Roma, con le dichiarazioni degli imputati e dei testimoni
trascritte per intero e in volgare. Nel Cinquecento questa prassi era ormai
consolidata, e Roma, informata in maniera dettagliata su tutti i processi in corso
nei tribunali provinciali, emetteva istruzioni sull’impiego della tortura. Ad
acconsentirne l’uso, da quanto rivela la corrispondenza, era il Papa stesso, che
presiedeva le riunioni settimanali della congregazione dell’Inquisizione in cui i
singoli casi venivano dibattuti.
Inoltre le confessioni rese sotto tortura erano considerate valide solo dopo
la conferma dell’imputato a distanza di almeno ventiquattro ore dall’uscita dalla
camera dei tormenti. Nel caso le confessioni ottenute con la forza fossero state
ritrattate dopo quest’arco di tempo, a Roma la Congregazione dell’Inquisizione
ne valutava le circostanze molto attentamente.
Se anche soggetta a questi limiti e vagli, è comunque pur vero che fino alla
fine del Seicento l’Inquisizione non rinunciò a ricorrere alla tortura nei casi in cui
si riteneva che una parte essenziale della verità venisse ostinatamente nascosta.
Considerato infine l’imputato colpevole se ne poteva disporre la
carcerazione. Quest’ultima poteva essere di due tipi: “in carceri formali” quando
prevedeva la vera e propria prigionia in una cella e “in loco di prigione” quando
era consentito circolare liberamente nei recinti dell’edificio adibito a prigione.
32
In alternativa al carcere c’era la condanna agli arresti domiciliari o la limitazione
degli spostamenti entro un’area geografica definita. In questo caso che il periodo
32
Non disponendo l’Inquisizione di sufficienti prigioni al di fuori di Roma, gli edifici che si prestavano a
tale funzione erano di solito dei monasteri.
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DINAMICHE DI UN PROCESSO
di condanna fosse scontato era assicurato dal deposito di una cauzione,
sostituibile da un giuramento nel caso di detenuti indigenti.
Ai responsabili di reati particolarmente gravi poteva essere inflitta la
condanna alle galee, ma la gravità delle sofferenze del condannato durante la
navigazione era tale che gli stessi funzionari dell’Inquisizione si interrogavano
sulle circostanze in cui si dovesse ricorrere a questo tipo di pena.
Alla condanna a morte si arrivava poi solo in una piccola percentuale di
procedimenti, nei quali i rei erano o pertinaci, non disposti in nessun caso a
riconciliarsi con la chiesa, o “relapsi”, cioè ricaduti, già in passato giudicati
colpevoli di eresia formale, e trovati di nuovo colpevoli, o infine coloro che
avevano messo in discussione dogmi ritenuti particolarmente fondamentali, come
quelli della Trinità e della divinità di Cristo.
Per il resto c’era infatti una predominanza di pene più lievi, tra le quali in
alta percentuale sono presenti multe e atti di umiliazione pubblica sotto forme di
abiure lette sulle gradinate delle chiese di fronte a folle di fedeli. 33
33
Cfr. John Tedeschi, op. cit.
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Capitolo IV
CONCLUSIONI
Il processo pesarese esaminato, oltre a fornire un quadro piuttosto chiaro
circa la pratica della divinazione da parte degli interessati, e scorci di vita
quotidiana in una città di provincia, se confrontato da un punto di vista
procedurale con alcuni degli elementi forniti nel capitolo precedente può essere
un valido esempio delle modalità d’azione dell’Inquisizione di fronte ad un reato
di “superstizione”.
In questo caso a raccogliere la denuncia era stato l’inquisitore di San
Domenico 34 , il quale però, aveva delegato la conduzione del processo al vicario
vescovile (come si deduce dalla nota in calce al fascicolo 235 Iura civilia et
criminalia “ il vicario dopo che havrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà
questa causa con i debbiti termini di giustitia”).
La delega di un processo ad un vicario vescovile da parte di un inquisitore
non era una pratica inusitata, tuttavia, la suddivisione delle competenze e dei
ruoli tra autorità vescovili e inquisitoriali non era regolata da una normativa
precisa e inequivocabile. Da un lato, infatti, avrebbe dovuto valere la regola della
prevenzione, cioè il giudice che aveva ricevuto la denuncia avrebbe potuto
procedere da solo nel processo, ad esclusione della sentenza, dall’altro, però, a
partire dagli anni ottanta del Cinquecento l’Inquisizione cominciò ad avocare a sé
tutte le cause per superstizione, escludendo tendenzialmente i tribunali vescovili.
34
Sedi delle Inquisizioni locali erano in genere i conventi francescani o domenicani, e l’inquisitore era
considerato un rappresentante dell’autorità pontificia, come ribadito in numerose circolari dei cardinali
della congregazione romana nelle quali si sottolineava che nessun confratello a lui gerarchicamente
superiore potesse interferire nel suo lavoro.
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CONCLUSIONI
Nel momento in cui si svolge il processo qui preso in considerazione,
questo mutamento evidentemente non di è ancora del tutto realizzato, dato che
della causa è chiamato ad occuparsi il vicario vescovile. È comunque quasi certo
che, qualora il vicario vescovile fosse giunto ad una sentenza, quest’ultimo atto
sarebbe stato firmato, oltre che dallo stesso vicario anche dall’inquisitore. Era
infatti una norma di diritto canonico il fatto che, anche se il processo era stato
iniziato e proseguito da uno dei due giudici, vicario vescovile o inquisitore, la
sentenza dovesse venire redatta da entrambi.
Non siamo in grado di conoscere l’esito finale del processo, ma possiamo
ipotizzare che non abbia riservato gravi conseguenze per gli imputati, poiché
come si è cercato di dimostrare, all’ampliamento quantitativo dei reati perseguiti
non è poi corrisposta una uguale intensificazione qualitativa delle pene erogate.
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Capitolo V
BIBLIOGRAFIA
Guido Dall’Olio, I rapporti tra la congregazione del Sant’Ufficio e gli
inquisitori locali nei carteggi bolognesi (1573-1594), Estratto dalla Rivista
Storica Italiana, Anno CV –Fascicolo 1 –1993.
Andrea Del Col, Streghe e bestemmiatori nei processi dell’Inquisizione, in
Ciasarsa San Zuan Vilasil Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Udine, Società
Filologica friulana, 1995.
Carlo Ginzburg, I benandanti Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e
seicento, Torino, Einaudi, 1966.
Cristiano Grottanelli, Bambini e divinazione, in Infanzie, a cura di Ottavia
Niccoli, “Laboratorio di storia”, n.6, Ponte alle Grazie (FI), 1993.
Marisa Milani (a cura di), Streghe e diavoli nei processi del S. Uffizio.
Venezia 1554-1587, Bassano del Grappa, Ghedina e Tassotti editori.
Piccole storie di stregoneria nella Venezia del Cinquecento, Verona,
Essedue, 1989.
Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza, Torino, Einaudi, 1996.
Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della
Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990.
John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Milano, Vita e Pensiero, 1997.
Keith Thomas, La religione e il declino della magia, le credenze popolari
nell’Inghilterra del Cinquecento e del seicento, trad.it. di Francesco Saba Sardi,
Milano, Mondadori, 1985.
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BIBLIOGRAFIA
Giuliana Zanelli, Streghe e società nell’Emilia e Romagna del CinqueSeicento, Ravenna, Longo Editore, 1992.
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Capitolo VI
APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(Archivio Vescovile della Curia di Pesaro)
VI.1 Iura civilia et criminalia – fasc. 235
Die 11 decembris 1578
Comparuit coram reverendo padre Paulo da Capriata reverendi patris
inquisitoris Riminesis vicario Ippolitus Ferrariensis habitator Pisauri, in vico
Santa Chiara, artifex birettorum, etatis 45 annorum, coloris rubei, ac stature
mediocris, et personaliter denuntiavit, eidem venerando vicario sedente in
camera sua salae solite antiche, et risidientiae hec infrascripta, videlicet. Lena
moglie d’un muratore, che abita pur in Pesaro, nella suddetta contrada di Santa
Chiara, mi ha detto, andando essa una volta in casa d’una donna vedova che si
chiama Santa de Bernacchi, ritrovò, in casa d’essa Santa doi cavaletti, o trespoli
di legno in croce, con una coperta di sopra quale era stata tolta in prestito da
una sua vicina, moglie di messer Piero Antoni da Urbino, sotto li quali trespidi et
coperta: gli erano tre mamole, o vero giovine da marito, et tenevano tre candele
benedette accese in mano, et vi era anco una donna gravida, et havevano una
incristara, o vero caraffa piena d’acqua benedetta sopra d’un banco in mezzo
quelle giovine. Sotto la qual caraffa vi era un quatrino della croce, et esse
giovine dicevano: angelo bianco, angelo nero mostrami chi ha tolto quelli
danari; et subito vidde uno con le corna nere, il qual angelo gli mostrò uno
vecchio vestito di berettino qual haveva tolto li danari. Quo facto et dellato ei
iuramento de veritate dicenda. Interrogato respondit: Io molti giorni fa intesi
questa cosa, ma perché non haveva fundamento sicuro non dissi altro, et per
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
assicurarmi poi, hieri che fu alli dieci del presente, mandai a domandare una di
quelle mamole che erano presente a tal fatto, la quale ha nome Isabella, sorella a
un giovine che sta nella dispensa del signor duca// [1v],
il quale si bene mi ricordo si chiama Giovanbattista, dalla quale mi
informai di tutto il fatto: per il che son venuto a denuntiare al Santo Uffitio.
Interrogato respondit: Quando questa Isabella mi ha detto le suddette cose era in
casa mia presente mia moglie, et mia nora et oggi venendo a caso per torre del
fuoco di novo me ne so informato. Interrogato respondit: Le altre due mamole
sono figliole della sudetta Santa. Interrogato respondit: Io non so più di tanto
della vita di questa Santa madre delle sudette giovine perché è puoco tempo che
io abito in quella contrada. Interrogato respondit: La suddetta Lena venne in
cognizione del fatto a questo modo, che vedendo quelle mamole andar dentro e
fuori con candele, acqua benedetta, trespidi, panni, venne in sospetto di tal fatto.
Et andò da questa Santa per potersi informare di tal cosa mediante questa scusa,
cioè dirgli, se gli voleva filare della stoppa, et in quel tempo uscì fuori di casa
detta Santa, quale si voltò dicendo ad alta voce a quelle che erano di dentro,
guardate a non fare cosa che mi facciate inspiritare: dalla qual voce Lena pigliò
occasione d’intrare in casa, et vide quanto io ho detto di sopra. Interrogato
respondit: Vostra reverentia si potrà meglio informare d’ogni cosa se parlerà
con detta Lena, o vero Santa purché dicano ogni cosa. Interrogato respondit:
Facevano queste cose sopradette per venire in cognitione d’alcuni danari robati
a un Mastro di legname di cui non mi ricordo il nome, ma ha un fratello che si
chiama Mastro Andrea della medesma professione..// [2r],
Interrogato respondit: Facevano questo incanto a instantia d’una donna
adimandata Bernardina, o vero Matea; che stano all’incontro di detta Santa, e a
instantia d’un'altra donna detta Sensa, che è vecchia il cui nome non mi ricordo,
ne so dove stii, la quale doppo il fatto venne in casa mia per scusarsi con mia
moglie dicendo che non sapeva che fusse peccato. Interrogato respondit: Io ho
oppinione che questa matrona Sensa faceva professione di queste cose, per
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
quanto intendo dalla vicinata. Interrogato respondit: Io non mi son messo a dire
queste cose per odio o per amore o per altra cosa cattiva: ma solo perché mi
pare si debbano rivelare acciò siano anihillate e tolte via.
Dicta sunt hec in conventu Santi Dominici die et anno quibus supra in
presentia mei fratris Antonini de Anticho scribentis loco notarii et
infrascriptorum: Io Ippolito de Padovani ferarese denontiatore afermo quanto di
sopra. Io Frà Antonino fui presente a quanto di sopra Io Frà Gregorio de Zara
fui presente a quanto di sopra.// [2v],
Die decima mesis febraris 1579 Lena filia quondam Magdalenae patri et
uxor Vincentii cementari vocata ad instantiam reverendi padris fratis Pauli de
Capriata vicarii reverendi padri inquisitoris causam et occasione perhibendi
testimonium super causam quadam cuiusdam incantationes unius molieris
nominate ut infra apparebit praestitoque ei solemniter iuramento super praedicta
remotis timore amore et omni alio respecto humano iuravit, et iura tactis
corporaliter scripturis in manu prefati reverendi vicari dicere veritatem de iis
quae noverit et interrogata fuerit. 1° interrogata respondit: Io credo Padre che
mi habiate adimandata qua per occasione d’una furfanteria quale è stata fatta
per occasione di trovare certi denari 2° interrogata respondit: Io vedendo una
donna chiamata Sensa che portava alcuni cavaletti, et un'altra donna chiamata
Francesca, qual era gravida, moglie di Giovanni linarolo, et sta in casa d’una
donna dimandata Bernardina Spadona: disse a una donna mia compagna qual
ha nome madonna Theodora moglie d’un Mastro Ippolito penacchiero ho veduto
tale, et tali cose, et mi rispose: sta sopra di me che vogliano fare qualche
furfanteria. Interrogata respondit: Io viddi la sudetta Sensa portare tre candele
benedette et questo li ho veduto io: portò ancho un’incristara d’acqua santa per
quanto mi disse una donna che sta apresso noi dimandata Peregrina vedova qual
vidde portare detta a acqua santa. Et io viddi che uscendo lei detta Sensa fuor di
casa haveva in mano un’incristara vuota: ma ne so cosa havesse fatto di
quell’acqua santa// [3r],
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Interrogata respondit: Detta Sensa portò anco una coperta rossa alla
turchesca imbutita di bombascio. Interrogata respondit: Hebbe la sudetta Sensa
quella coperta da una madonna Camilla moglie di Messer Piero Antonio da
Urbino abitatore in Pesaro nella contrada di Santa Chiara: et dalla medesma
donna Camilla hebbe quelli cavaletti in croce che si doprano per una tavola da
mangiare et l’altri doi cavaletti o trespidi erano da letto che portò sudetta
Francesca da casa sua. Interrogata respondit: Portorono le sudette cose in casa
d’una donna chiamata Santa de Bernacchi. Interrogata respondit: Io suspicai di
qualche pecato poiché una volta detta Santa avendomi perso un lenzuolo et io
lamentandomi mi disse trovami un’incristara d’acqua santa et lassa fare a me et
da questo ho congetturato di qualche mal fatto. Interrogata respondit: Chi è la
sopradetta qual facci questo incanto: ma si ben la Sensa et Bernardina Spadona
quale ne fanno professione et hanno cattivo nome quasi in ogni cosa di
poltronerie. Interrogata respondit: Poi che ebbe detto alla sudetta Theodora
quanto haveva veduto desiderosa di informarmi del fatto mi disse madonna
Theodora: comare fate così, andate da questa Santa e dicetegli da mia parte che
se la vuole quella stoppa da filare che la vaghi a torre altamente la voglio dar a
un’altra: et io andai da costei, et aperto l’uscio della casa viddi le sudette cose,
quali erano state portate et ordinate intorno d’un tabernaculo con la coperta
sopra // [3v],
Interrogata respondit: Io non possi vedere allora chi fusse sotto quello
tabernaculo: ma li ho saputo dapoi perché una di quelle mamole chiamata
Isabella di Paris per scusarsi venne subito a casa mia, mi disse, che di gratia non
vogli dire cosa alcuna per timore di suo fratello quale si sapesse qualcosa guai a
lei, et anco perché lei non haveva malitia alcuna. Interrogata respondit:
Veramente io credo che questa Isabella andasse semplicemente, essendo lei di
buon nome, et honore, et coscientia. Interrogata respondit: Disse anco che vi era
in sua compagnia due figliole della Santa et una donna gravida chiamata
Francesca, moglie di Giovanni linarolo. Interrogata respondit: Tutte queste cose
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
si fecero ad instantia di Mastro Camillo marangone, qual sta in una botega in
una strada qual viene verso la piazza da Sant’Antonio, al quale furono robati
alcuni danari, et esse mamole videro in detta cristara un angelo bianco, et un
altro nigro, et il padre di detto marangone, qual era vestito di berettino, et teneva
i danari in un gippone. Interrogata respondit: Io non dico, né per odio, né per
inimicizia, è bensì vero che loro vogliono male a me, per non volere la loro
conversatione qual è di cattiva fama perché contro l’ honor mio, et
comandamento di mio marito.
Acta sunt haec Pisauri in ecclesia Santi Dominici die, et anno quibus supra
praesentibus infrascriptus testibus Ego Frà Antoninus de Antiquo loco notarii
Ego Frà Antoninus a Taurino testis fui Ego Gregorius de Zara testis fui // [4r],
Pelegrina uxor cuisdam Michaelis Pisaurensis pistoris habitatrix Pisauri
vocata comparuit coram reverendo Patre fratre Paulo de Capriata vicario
reverendi padri inquisitoris Riminensis de veritate dicendo super cuiusdam
solemniter ei iuramento iuravit et iurat dicere veritatem. Super remotis avere
timore, amore etc. de omnibus super quibus fuerit interrogata. 1° interrogata
respondit: Io credo che mi abbiate dimandata qua per certe cose mal fatte, alle
quali mi trovai presente, et tal cose sono a questa modo, che cinque anni fa,
essendo io andata alla veghia in casa d’una mia vicina detta Bernardina
spadona, stando tutte apresso il fuoco filando venne alla sprovveduta un animale
brutto negro di figura deforme con gran strepito, che si avoltava intorno a questa
spadona, il qual anco amorzò la lucerna, doi o tre volte; et io trovandomi
spaurita mi lamentava, all’ hora mi rispose questa Spadona, non aver paura,
perché sono spiriti, uno gli ha nome galetto, et l’altro cision, mandati a lei da
una donna, acciò la spadona li facessi andare a certi suoi favoriti, cioè a Giovan
Andrea ciavattino, et l’altro a Mastro Gieronimo sarto, che sta questi a San
Francesco; il nome della donna, che li mandò, io non so chi sia, et tanto fu la
paura che io hebbi, che per un anno stetti amalaticcia, et gialla, come è testimoni
la mia vicinanza. Interrogata respondit: Io poi non so altro eccetto che una volta
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
una donna chiamata Sensa la quale portava una incristara d’acqua et due o tre
candele, et avendogli io detto, che si beve il vino et non l’acqua, mi rispose
vedete le acque // [4v],
et di li a poco mi venne a trovare, et mi disse che quell’acqua era
benedetta qual voleva adoprare con certe orationi per ritrovare alcuni denari
robati che questo modo gli era stato insegnato. Interrogata respondit: Questa
madonna Sensa altre volte è stata di mal partito; ma adesso per essere
successiva non so che sia. Interrogata respondit: Io vi dico queste cose né per
odio né per amicizia né per altro rispetto humano. Acta sunt haec in Pesari in
ecclesia Santi Dominici in presentia mei fratris Antonimi de Antiquo scribentis
loco notarii, et infrascriptus. Ego frater Thomasius Savoniensis fui presents ut
sopra. Ego frater Natalis conversus fui presens.
Il vicario dopo che avrà sentito l’inquisitore di San Domenico farà questa
causa con i debbiti termini di giustizia.
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(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
VI.2 Iura Civilia et criminalia – fasc. 245
Blaxius Righetti de Pisauro testis inductus, productus, iuratis et diligenter
examinatus [ad instantiam domina Bernardina] super capitulis productis pro
parte, et ad favorem domine Bernardine de Amatis in causa quam habet cum
fisco camerae episcopatus pisaurensis, et primo:.
Super primo dixit che è la verità che in l’articolata strada vi stanno tutte
donne da bene di buona conditione e fama, e per il passato quando vi è stata
persona di mala vita subbito sonno state cacciate di detta strada perché sonno
vicine alle monache del corpo di Cristo che ci è una suplica del duca morto
passato che non ci possano stare persone di mala vita per rispetto di dette suore
et altre persone da bene, che stanno in detta strada.
Super 2° disse che perquanto lui ha sentito dire lì nel vicinato, detta
Bernardina è stata havuta tenuta e reputata per donna da bene, et di lei non ne
ha sentito dire una rea parola anzi che lei meritava ogni sorte di favore, che è
tanto amorevole e caritatevole alli amalati, e si porta tanto bene di essi che
merita di esser lodata et tenuta a caro e che la detta Bernardina è molto devota
che va alle messe compiete, vespri et si esercita assai in cusire da sarto, nelle
cose dateli da sarti et questo lo sa per esse suo vicino.// [1v],
Super 3° disse nihil scire.
Super 4° disse che l’articolata Pelegrina è stata et è donna di dishonesta
vita e per tale fu cacciata da detto vicinato, ancor che fusse in casa sua e così per
tale fu et è tenuta dagli altri che furono sforzati li vicini cacciarla di là con il
mezzo della raggione.
Super 5° disse che l’articolata Pelegrina oltra l’esser di dishonesta vita ha
poi lingua pessima, a tal che, come tale, et per tale donna di mala lingua se gli
presta puocha fede. Super 6° disse che è vero che è poco amica della detta
Spadona che le ha visto gridar assieme et si odiavano assai che ne parla molto
malamente de fatti suoi, et insieme sonno venute alle brutte parole, et che inimice
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
insieme sonno anco havute dalli vicini lì et questo lo sa perché le ha visto molte
volte gridar assieme
Super 7° disse che quanto alla vita della Theodora et Bernardina di (… 35 ),
crede che le siano donne dabene del corpo loro, ma cattive lingue sanno che
dopo che le forno in quella contrada hanno messo il fuoco in essa, e fra le altre
volte sono venute a parole con le mie figliole, le quali sono donzelle, et di buona
vita e nondimeno vennero poi lì a casa mia come s’ havessero hauto raggione et
io gli dissi che gli perdonavo, ma che andassero a far bene et che non mi
venissero in casa altre volte e che// [2r],
so anche che le sono nemiche di detta Bernardina Spadona e che le ha
visto gridar assieme
Interrogatus in causa scientiae dixit praedicta scire per ea que supra
deposuit et vidit audivit praesens fuit ac scientiam habet ut supra de loco et
tempore ut supra de contestibus de se teste et aliis de praedictis informatis.
Interrogatus super interrogatoriis ex officio factis respondit: Signor, è
usanza qualche volta come occorre che qualche una si urta con parole o in
rimprender o altra facenda ma non della maniera che hanno fatto le sodette
Pelegrina o Liotte che quando una di loro sonno saltate fuori a gridare ha
bisognato che la Spadona si serri in casa.
Et ad aliam interrogationem respondit: Che io sappia che la detta Spadona
facci malie o altra facenda non ne so niente perché simil cose si fanno di
nascosto.
Et ad aliam interrogationem: La Pelegrina io la ho visto andar a tornione
con li homini e far il chiasso lì per le strade, come si fa nel bordello et mi
confesso e comunico quattro o cinque volte l’anno et non son nemico ne’ di detta
Pelegrina ne delle Liotte se non quanto le han fatte cacciar via de lì per la sua
mala vita et esser di età di anni 66
Super aliis generalibus recte respondit// [2v],
35
Parola indecifrabile nel ms.
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Die 22 maii 1579
Marius Gaiuffus de Mondavio habitator Pisauri alter testis ut supra
esaminatus etc. qui medio eius iuramemto interrogatus etc.
Super prima dixit che è la verità che l’articolata donna Bernardina habiti
nella articolata strada nella quale vi stavano persone dabene di honorata vita
conditione e buona fama.
Super 2° dixit che è vero che l’articolata Bernardina è tenuta da tutta la
vicinanza donna da bene di buona vita devota e buona cristiana et si essercita
con l’ago a guisa di sarto, che così è tenuta anco da tutta la vicinanza e che esso
testimonio da oto o nove anni che l’è venuto ad habitare in detta strada che la
habitatione che è sua la ha havuta per tale.
Super 3° dixit che di questo lui non ne sa niente, che è ben vero che è stata
lì vicina et ha praticato in casa sua ma lui non ne sa altro.
Super 4° disse così non fosse come è in detto capitolo per salute dell’anima
sua che è stata cacciata dalla vicinanza per la sua mala vita.
Super 5° disse che sa bene che l’è di cattiva vita e che possedeva anco dir
delle bugie ma esso testimonio non ha havuto sua pratica.
Super 6° dixit che sa che per il passato detta Pelegrina et Bernardina sono
state puoche amorevoli assieme perché le ha sentito gridar assieme// [3r],
Super 7° disse esser la verità che le articolate Theodora [et (… 36 )] di
Liotto è persona di mala lingua e mentre è stato nel suo vicinato sempre cercò da
contrastare o con l’una o con l’altra e doppo la sua partita non ha sentito più
contrastare in detto vicinato ma non ho la Bernardina sorella di detta Theodora
per tale perché non la ho sentita come ho fatto detta Theodora et so che detta
Theodora è nemica della Spadona perché le ho sentito gridar assieme più volte.
Interrogatus in causam scientiae dixit praedicta scire per ea que supra
deposuit et quia vidit audivit praesens fuit ac informatus est ut supra de
contestibus de teste et aliis che praedictis informatis se.
36
Parola indecifrabile nel ms
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Interrogatus super interrogatoris sibi ex officio factis
Respondit: E’ usanza che alcune volte le donne gridano assieme ma di
quelle donne che vanno cercando di gridare et non sapere che detta Spadona
facci malie o altra cosa cattiva perché lei l’ ha confessato in casa di esso
testimonio quando è stata ripresa della sua cattiva vita et non son nemico di
nessuna di loro, et esser di età di anni 45 et essersi confessato, et comunicato a
Pasqua prossima passata
Super aliis generalibus recte respondit.// [3v],
Die 25 maii 1579
Dominus Marcus Pauli aromatarius Pisauri alter testis ut supra
esaminatus etc. qui testis medio eius iuramento.
Interrogatus super7° omissis aliis de voluntate dixit che è la verità che la
Theodora de Liotto più che la Bernardina sua sorella ha una pessima lingua et io
ne so rendere conto che son stato io che le ho maritato nondimeno dice et ha
detto anco tanta villania in presentia a mia moglie in casa del Tamburino
cappellaro, che si faceva la festa senza vergogna alcuna e veramente dove le
stanno ci è sempre mai da far per il dir loro. Quanto alla nemicitia che loro
habbino con la Bernardina articolata dice non ne sapere cosa alcuna.
Interrogatus in causa scientiae dixit praedictae scire per ea que supra
deposuit et quia vidit audivit ac informatus est ut supra de loco et tempore ut
supra de contestibus de se teste et aliis de predictis informatis.
Interrogatus super interrogatoniis sibi ex officio factis respondit: Io non ne
so altro se non che essendo in mia bothega sentii dir che la Spadona era
pregiona et una donna zoppa che avria dato l’à detto a un mio putto.
Ad aliam interrogationem dixit: Io della Spadona non ho cognitione
alcuna, ho ben conosciuto una sua sorella che è stata nel mio vicinato che
perquanto l’ ho conosciuta l’ ho hauta per donna dabene io sono spetiale mi so
confessato e comunicato a San Cassiano et il mio po’ valere de 200 scudi super
aliis gen. Recte respondit.// [4r],
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Coram vobis
Compares personaliter Rainaldus de Orlandis procurator et eo nomine
domine Bernardina de Amatis de Pisauro in termino sibi dato ad faciendum suas
defensiones in causa quam habet cum fisco reverendissimi facit exihbuit et
produxit infra scripta capitula super quibus petit et instat testes infra nominandos
medio eorum iuramento diligenter examinari et praedicta ne praedicto, sed omni
alio meliori modo salvis aliis et non tamen se astringens prima capitola et in
quanto sia bisogno intende provare esser la verità che donna Bernardina delli
Amati alias la Spadona sono molti e molti anni che ha habitato et habita nella
strada aderente al molino di porta Corina nella quale vi stanno et habitano
persone honorate da bene di bona vita conditione et fama.
Item che donna Bernardina sudetta massime da anni diece o dodeci in qua
che ha habitato in detta strada generalmente da tutte le persone di essa strada è
stata, havuta tenuta et reputata per persona da bene di bona vita conditione et
fama devota et timorosa d’Iddio at a debiti tempi non lassa le sue messe et offitii
dando opera de essercitarsi nell’arte dell’ago nel quale a guisa de sarti n’è
sufficiente.
Item che la detta Bernardina da tutte le persone che la conoscano per
magior parte massime da suoi vicini è havuta tenuta et reputata per persona che
non vi// [4v],
opera assortilegii fatture et incanti ma che de simil pratiche e professione
ne sia lontanissima.
Item che donna Pelegrina figliola già de Camillo è donna di cattiva et
dishonesta vita et come tale et generalmente havuta tenuta et reputata da tutti
quelli che la conoscono et massime da vicini et come tale è stata cacciata dal
detto vicinato.
Item che la detta Pelegrina oltri l’essere meretrice et di dishonesta vita et
inoltre di pessima et maladetta lingua bugiarda et mendace alle parole della
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
quale non si presta fede alcuna et come tale et generalmente havuta tenuta et
reputata da tutti li vicini.
Item che oltra li difetti suddetti è similmente malevola odiosa et inimica di
detta donna Bernardina desiderandogli ogni male et insieme più et diverse volte
sonno venuti a tutte et dishoneste parolle et come odiose malevole et inimiche
sonno havute et tenute insieme .
Item che delle predette cose etc.
Item che la Theodora de Liotto et la Bernardina sua sorella sono persone
di mala et pessima lingua et dove stanno voglia in contrada stiano sempre gli
metteno il fuoco con la sua mala lingua et vengono odiosi a tutti li vicini et sono
inimiche di donna Bernardina le quali hanno detto di molte villanie a detta
Bernardina.
Joannes Baptista nomina testium
Super omnibus
Biasio manzarino
Maestro Mario Giauffa
Super 7°
Messer Marco Pavoli// [5r],
Coram vobis reverendo domino vicario reverendissimi episcopi Pisauri.
Die quinto maii 1579.
Comparuit personaliter Rainaldus de Orlandis procurator simul cum
domino Silvestro de Silvestris in solidum et eis nominibus dominarum Bernardine
de Amatis et ascientiae de Contariis de Pisauro utens suo mandato manu ser
Augustini Contini notari publici Pisauri quidem et exposuit qualiter dicte eius
principales fuerunt in carceribus episcopalibus detente licet iniuste et indebite et
nullis precedentibus inditiis saltem veris et legittimis ac de iure validis quamvis,
sint a dictis carceribus liberare cum fideiussionibus pro ut in actis et quatenus
aliqua inditia extant, quod tamen expresse negatur dicit ea fuisse et esse elisa et
sufficenter purgata per carcerationes ab ipsas habitas ad eo quod ipse debent
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
penitus absolvui et contradicentes in expensis et interesse (ipsas factas et passas
et in futurum patiendas et faciendas) ac etiam de iniuria passa quos quidem
accusatores et instigatores pro pallari et manifestari pro ut de iure promissum
est ad effectam ut suis loco et tempore possint dictas expensas damna et interesse
ac etiam de iniuria passa consequi contra ipsos alias protestatus fuit de iniustitia
torto et gravinamine et de omnibus aliis expensis damnis et interesse patiendis
etc. petens que copiam omnium assertorum inditiorum contra ipsas existentium si
extant impartiri in termino dictis suis principalibus dato ad faciendum suas
defensiones et donec copiae praedictae sibi plene date non fuerit tempus
praefixus ad faciendas defensiones dictis eius principalibus et dicto comparenti
dictis nominibus non currere etc. alias etc. offerens se habere asserti testes pro
rite et recte examinatos quo ad iuramenta et citationes tantum salvo sibi iure illos
repetendi super suis interrogatoriis etc. protestans per se non stare etc. omni
meliore modo etc. qui dominus sedens etc. predicta admisit si et inquantum etc. et
visis etc. copias petitas decrevit salvo tamen jure fisci quatenus opus sit iterum
examinare etc.
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VI.3 Liber inquisitionum et condemnationum ms. ff.1 – 11
In Christi nomine amen etc.
Die 2° Maii1579
Constituta personaliter
Domina Bernardina, quondam Petri Antonii de Amatis de Pisauro
principalis quo ad se et testis quo ad alios que medio eius juramento et
interrogata an sciat causam suae vocationis Respondit: Signor no, Interrogata,
an habeat aliquod aliud nomen vel supra nomen, Respondit: Mi dicano la
Spadona, Interrogata an cognoscat dominam Franciscam uxorem Juannis
Linaioli Respondit: E’ questa che è qua con meco, e possano esser da tre o
quattro mesi che ella partorì un figliol maschio, e la detta Francesca è Di
Trebbio Anticho// [1v],
de quelli di Marocio et è una buona persona, et la ho per donna da bene e
veridica, et per quel tempo, che è stata in casa mia mai ho trovato che habbi
detto bugia et il marito si chiama Giovanni et è linarolo. Interrogata an
cognoscat dominam Sanctam Bernacchi de Candelara habitatricem civitatis
Pisauri que habitat in eadem contrata, Respondit: Io la conosco, è stata nella
medesma strada che stiamo noi et si è partita pochi dì sonno, et è andata a star
più alto, e la ho per una persona da bene. Item interrogata an cognoscat,
dominam Isabellam Paris de Pisauro Respondit: Io la conosco, et è una ragazza,
e ha un fratello che sta in corte, Interrogata an dominam Sancta Bernacchi
habeat filios, Respondit: La ha cinque figliole femine et quattro maschi.
Interrogata an filie domina Sanctae conversentur in domo ipsius costitute,
Respondit: Quando le stavano vicine a me praticavano in casa mia come fanno li
vicini, Interrogata an cognoscat dominam Santiam que habitat penes ecclesiam
Sancti Antonii Respondit: Io la conosco che la sta a Santo Antonio a vender
l’olio havendo un figliol picolo// [2r],
et ad interrogationem respondit: Io non so che donna la se sia perché non
ho sua pratica ne anco è solita a praticar in casa mia ne con la Mattea mia
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
sorella. Interrogata an cognoscat Dominam Peregrina quondam Michaelis
pistoris Respondit: Io conosco questa Peregrina che mi domandate, et per quanto
ho inteso dire è donna di puoca honestà, Et ad interrogationem respondit: Io non
pratico con lei perché come ho detto è donna puoco da bene. Interrogata an
melius cogitaverit dicere veritatem, respondit: Io se mi havessi domandato di
quelle cose che io havessi saputo, lo harei detto. Et ad interrogationem domini
dixit: Essendo in casa mia la sopradetta di Bernacchi, e me disse Bernardina
venite un puoco qua in casa mia, ma prima haveva chiamato la Francesca e così
andassimo in casa della sopradetta e quando fussimo li trovassimo in casa la
Sensa, e le figliole della Santa, et un’altra putta chiamata l’Isabella e quando fui
li in casa della sopradetta la Sensa mi disse: Bernardina una povera donna mi ha
detto che suo figliolo ha perso certi danari, e che perciò li haveva voluto dar
delle botte, e che se io sapessi far cosa nesciuna per trovar detti denari che gli lo
insegnassi, e che haveva inteso da sua nipote, che in San Rocco si era fatto con
una inguistara d’acqua benedetta, e con questa oratione, angelo bianco et angelo
santo, per la tua santità et per la mia virginità mostrami chi ha havuto questi
danari// [2v],
e mi domandò se io la sapeva, che gli la insegnassi et così le insegnai
all’Isabella, et dette putte la dicevano sotto la tavola con quella inguistara
d’acqua. Et ad interrogationem domini dixit: Io l’ ho inteso dir questa oratione,
et li ho detta anco per uno che li erano state robbate certe camisce ma però non
le trovò, altrimenti quando era piciola. Et ad interrogationem domini dixit: Io
non l’ ho detta più né fatto se non adesso, Interrogata an cognoscat dominam
Peregrinam uxorem olim Michaelus Fornarii eiusque conditionis, famae an sit
eius amica, et credat ipsam esse veredicam respondit: Signor si che la conosco
che ve lo dissi l’altro giorno, et la ho per cattiva donna d’una mala lingua e
persona di mala vita che perciò la è stata cacciata dal vicinato come vi potreste
informare dalli altri vicini. Item interrogata si antequam detegaretur ipsam
Peregrinam esse male vite versaret in eius domo cum ipsa costituta respondit:
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Prima che la si scoprisse che la fusssi di cattiva vita praticava in casa mia et de
tutti li vicini. Interrogata a quanto tempore citra dicta Peregrina coepit esse male
vite respondit: Sono otto anni che io andai a star lì et li vicini me dicevano che
era donna di mala vita// [3r],
nondimeno intendete bene quel che io dico, che li vicini dicono che la si è
redotta più volte a voler farbene, si è confessata et communicata e diceva che
voleva attender a far bene nondimeno non li ha poi fatto. Interrogata quid mali
viderit de ipsa respondit: Io non ne ho mai visto male nesciuno, ma l’ ho inteso
dir dalla matrigna et dalli vicini anzi perché la fu discacciata perché i vicini
adorno in pallazzo a dolersi delli fatti suoi la detta Pelegrina si doleva poi di
essa costituta come si lei fossi andata in pallazzo a dare querela alla vita sua,
minacciandoli di volerli far dispiacere. Interrogata quando praedicta Peregrina
secum versabatur loquebat cum ipsa tamquam eius amica respondit: Io li diceva
Peregrina fa che tu sii donna dabene perché se io harò in boccone te ne farò
parte. Interrogata an donec erat in domo ipsius, viderit eandem Peregrinam
perterritam visione alicuius rei, vel animalis, noctis tempore, respondit: Io non
ho ne so che lei se sia spaventata in casa mia di cosa nesciuna, ne anco in casa
mia ci è cosa che si havessi a spaventar ne io son anco tanto brutta, che li
havessi a metter paura ma io mi deveria ben spaventare di lei per la sua cattiva
vita. Interrogata respondit: Io vi dico che mi doveva spaventar per il parlar delli
vicini, et si non fussi stato vero non l’ havriano detto, Interrogata si vicini
dicerent et infamarent ipsam de inhonesta vita, si propter hoc verum esset quod
esset malae vitae Respondit: Io dico di no, Item interrogata an eo tempore quo
versabatur praedicta Pelegrina in domo eius, sciat eam per annum fuisse
infirmam et effectam crocei coloris // [3v],
respondit: Non ne ho ricordo, Interrogata an (… 37 ) praedicta Peregrina,
esset in eius domo noctis tempore filando penes ignem se sciat supervenisse
quodam animal, volando circum ipsa costituta et ipsa dixerit ”non mi far male
Parola indecifrabile nel ms 37
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
galletto”, respondit priusquam tamen, dominus compleret interrogationem
vulgari sermone ipsa coepit dicere ”non è vero, non si trovarà mai la si mente
per la gola”, ut esset informata de tota interrogatione interrogata respondit:
Sciagurata, sciagurata, sciagurata, la se ne mente per la gola, et monita ut dicat
veritatem, et caveat a mendatiis. Respondit: Io vi dico che vi dirò la verità et la
ho detta sempremai. Interrogata an cum supervenerit animal illud circumvolando
circum ipsam et praedicta Peregrina esset terrore concussa, dicerit eidem
Peregrine non haver paura, che è un spirito, che mi è stato mandato dicendo a
detto animale non mi amortar la luma, ma va da Gironimo, et si postmodum
extinserit lumen, respondit: Non è la verità e la si mente per la gola, et non si
trovarà mai. Qui dominus visa pertinatia eiusdem, et eius loquacitate quia hora
est tarda, mandavit ipsam reponui in locum suum animo tamen continuandi
examen etc.// [4r],
Dicta die 2° maii 1579
Constituta personaliter domina Sancta uxor Mathei Bernacchi de
Candelara principalis quo ad se, et testis quo ad alios que medio eius iuramento
et interrogata [an sciat causam] dixit pro ut infra videlicet: Possano esser da
cinque o sei mesi incirca, che venne in casa mia vicino a Santa Chiara, una
donna chiamata la Sensa, che sta a Candelara Santo Antonio avanti la casa di
messer Battista del Tedesco, e disse che sì me contentava, che voleva veder in
casa mia, chi haveva tolto certi danari a un marangone, et che voleva che li
compiacessi di una mia putta detta Lucretia et così io non sapendo ciò che si
fusse, né ciò che facessero me ne contentai, e perché mi occorreva andare fuora
di casa, tornando in casa trovai che vi era lì Lucretia mia figlila, Isabella di
Paris, la Francesca zoppa del (… 38 ) di Giovanni linarolo, donna Sensa et
Bernardina Spadona, le quali havevano messo una tavola in su li trespidi et poi l’
havevano circondata de panni et sotto, vi era una incristara d’aqua, et vi stavano
sotto detta tavola, donna Francesca del Linarolo che era gravida, la mia putta et
38
Parola indecifrabile nel ms.
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
Isabella di Paris con una candela peruna accesa in mano, et al mio giuditio
stettero sotto detta tavola una buona hora, e quando uscirno fuora erano tutte
sudate, ancor che fusse d’inverno; et così la Sensa [fecero chiamar detto] andò a
chiamar detto, Marangone et li// [4v],
dissero che volesse usare un puoco di cortesia a quelle putte, che havevano
visto chi haveva tolto li danari, e che li pareva che fussi stato suo padre.
Interrogata in causa scientie dicit praedicta scire per ea que supra deposuit, et
quia vidit audivit praesens fuit ac informata est ut supra de loco et tempore ut
supra de contestibus de se teste praedictis et aliis de praedictis informatis. Dicta
die Domina Laena uxor Vincentii Manbrini testis pro informatione curiae (… 39 )
que medii eius iuramento testificando dixit che sendo lei vicino a casa sua, vidde
più volte donna Sentia la quale più volte andò inanzi e indietro entrando in casa
della Santa e portò in detta casa, tre candele, ch’io veddi et una incrhistara
d’aqua, e una coperta da letto, e la Francesca che sta in casa della Spadona,
portò certi trespidi, e quando io viddi questo, me andai imaginando che le
volessero fare qualche incantamento per trovare qualche cosa, et Interrogata
respondit che havendo io perso un lenzuolo che me lo haveva perso la Santa da
Candelara et essendomene lamentata più volte della perdita di detto lenzuolo,
venne notitia// [5r],
ciò alla detta Sentia, la quale mi domandò se io l’ haveva ancora trovato,
io le risposi de no. Et lei disse trova una incristara d’aqua santa che te lo farò
trovar ben io, et io non considerando più innanzi la importantia della cosa andai
da Padre Ottavio del Tedesco che mi desse una incristara d’aqua santa che
volevo trovar il mio lenzuolo che haveno perso et messer Ottavio me disse che
era una cosa prohibita, et che non si poteva fare et che me li levassi dinanzi et
che non ne parlassi mai più, così havendo havuto questa notitia come di sopra e
vedendo quella caraffa candele et coperta m’ immaginai che volessero far
qualche incantamento, e così io dissi a Theodora mia vicina, quello, che io
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Parola indecifrabile nel ms.
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havevo veduto, et che io credevo, e lei me disse se vi ne volete accertare andate
la in casa della Santa e diciteli se la vuole quella stoppa, che la venghi che gli la
darò et così andai su dalla Santa et aperto l’uscio veddi là dentro in casa nel
mezzo della casa certi trespidi in croce con la coperta di sopra per quanto io
potei giudicar e [sotto quella coperta] veddi dentro la detta Sensa, et Bernardina
Spadona, le quali per quanto ho inteso dir fanno professione di tal cosa e dappoi
vedendo l’Isabella di Paris// [5v],
essa testimonia le disse che cosa è quella che havete fatto in casa della
Santa e gli raccontò che era stata là, sotto quel tabernaculo e che li havevano
fatto veder in la incristara dell’aqua santa et che haveva visto un angelo negro e
uno bianco e un vecchio [che] vestito di berettino che haveva un gippone in
mano et io dicendoli che avertisse che non dicesse niente perché era peccato et
prohibito, e che detta Isabella gli disse non dite anco voi cosa alcuna per amor
de mio fratello e detta Isabella gli disse che vi era in compagnia sua, doi figliole
della Santa e una donna gravida chiamata la Francesca, moglie di Giovanni
Linarolo, e che queste cose si facevano ad instantia di maestro Camillo
marangone. Interrogata in causa scientie dicit praedicta scire per ea que supra
deposuit, et quia vidit audivit praesens fuit ac informata est ut supra de loco et
tempore ut supra de contestibus de se teste praedictis et aliis de praedictis
informatis. Constituta personaliter domina Francisca uxor Joannis linaroli de
Santo laud.° principalis quo ad se et testis quo ad alios, que medio eius
iuramento Interrogata respondit: Al tempo che io ero gravida 40 di questo figliolo
che ho havuto adesso, essendo in casa mia// [6r],
venne a chiamar la Tona della Santa di mia zia e mi disse che io andassi
fin lì a casa mi voleva dir una cosa, e così andai in casa della zia Santa e doppoi
sopravenne la Bernardina Spadona, e così la Tona me disse: voglio che stii un
puoco qui sotto con noi volemo guardar in questa ingristara per veder chi ha
tolto certi danari, così, io guardai e non viddi cosa alcuna, ma la Tona e
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Nel testo originale è “GRAVIDI”
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(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
l’Isabella dicevano che vedevano un vecchio che haveva non so che sotto il
braccio, il qual vecchio era vestito di berettino, e che la Tona e l’Isabella
havevano le candele in mano e così dappoi che hebber detto che havevano visto
detto vecchio scappassimo fuori, Interrogata cuius figurae esset tabernaculus sub
quo ipse degebant respondit: L’era come questa tavola, Interrogata an postquam
dicte puelle dicerant vidisse illum senem, si fuerit vocatus, dominus pecuniarum
amissarum et quis vocavit ipsum, et an venerit et quid ei dictum fuerit ai dictis
mulieribus Respondit: Dopo ch’ hebbero dette quelle mamole d’ haver visto quel
vecchio, io scappai e me ne andai a casa qui dominus sedens et acceptatis
favorabilibus pro fisco mandavit ipsam reponi in locum suum donec de praedicti
possit haberi veritas ex dicto aliorum testium etc // [6v],
-Die 20 juni 1579 fuit circundatum contra superibus processus quo ad
dominam Sentiam vigore supplicationum et rescripti obtenti- dicta die constituta
personaliter domina Sentia, uxor quondam Stefani Centari principalis quo ad se,
et testis quo ad alios que meelior eius iuramrnto interrogata an sciat causam sue
dettentionis, vel saltem eam presumat, Respondit: Io no ne so niente et ad
interrogationem domini dicit: Io vi dirò la cosa come la sta, io fui chiamata molti
mesi sonno, da una donna Benedetta madre di Maestro Camillo Marangone e me
disse che erano stati robbati 25 scudi al detto mastro Camillo, e che mastro
Camillo dava la colpa a sua madre e che gli dava anco delle botte, come che si
lei havesse insegnato a chi lo rubò di robbar detti danari et mi pregò, che
andassi a ritrovar donna Bernardina Spadona acciò gli insegnassi qualche
remedio di ritrovar detti danari, et così io andai a ritrovar detta Bernardina et
non essendo in casa, parlai alla Santa da Candelara, che la chiamasse lei, e così
lei, o un a sua figliola chiamò detta Bernardina e li disse che haveva inteso che
quando una persona haveva perso danari o qualche cosa lei sapeva il modo di
ritrovarli et detta// [7r],
Bernardina li disse che era vero che lei sapeva una oratione che si diceva
con l’aqua santa et candele benedette, che si vedeva chi haveva fatto il furto,
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(ARCHIVIO VESCOVILE DELLA CURIA DI PESARO)
[bisogn] disse anco detta Bernardina che bisognava si provedesse di tutte queste
cose, che lei lo farà, et che insegnaria a quelle mamole, et così io il tutto referii
al detto Maestro Camillo il quale subbito [si portò] mi dette in casa sua […] un
ingristara piena d’aqua santa e poi overo tre candele benedette le quali io portai
in casa della Santa et così detta Bernardina et mamole accomodarono una
tavola, ponendovi sopra un panno verde [tapedo] che portai io et che havevo
havuto da donna [Camillo] Vittoria moglie di ser Ludovico da Monte Baroccio et
vi portai anco dei cavalletti, da letto, quali non si adoperavano et così
accomodati che hebbero detta tavola, vi entrò sotto donna Francesca di
Giovanni Linarolo, gravida et una figliola della Santa et un’altra detta Isabella
figliola di Paris, et quando furono entrate io mi partii et de li a mezza hora
tornai, et quelle me dissero che havevano visto un vecchio vestito di berettino con
una barba bianca// [7v],
essendovi presente detto Maestro Camillo et la Bernardina e detto Camillo
disse deve esser stato quel vecchio. Interrogata an cognoscat dominam Lenam
uxorem Vincentii muratoriis Respondit: Signor si che la conosco, Interrogata an
praedicta Lena, sit sua amica et alias con questa fuerit amisisse aliquam rem
Respondit: E’ mia amica et si è lamentata con me et con altri di haver perso un
lenzuolo, Item interrogata an habeat donna Lena pro veridica Respondit:
Perquanto io ho conosciuto detta Lena io la ho cognosciuta per donna da bene,
Interrogata an alias ipsa constituta dixerit praedicta domina Lene si vellet quod
ipsa reperiet suum linteolum et quod sibi provideriit de aqua benedicta
Respondit: Io non li ho detto cosa alcuna, qui dominus acceptatis favorabilibus
pro fisco mandavit ipsam reponi in locum suum animo etc. Constitutus
personaliter Magister Camillus borellus de Santo Constantio habitator Pisauri
principalis quo ad se testis quo ad alios qui medio eius iuramento interrogatus an
sciat causam qua fuerit vocatus etc.// [8r],
Respondit: Io venendo adesso su per la scala, quando so stato chiamato da
vostra signoria la [Spadona] Sensa me ha detto “io son qua per voi” et per
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questo io mi so imaginato che sia perché havendo io perso certa quantità di
danari ne cavai una scomunica et mi andavo lamentando con questo et con
quello et ciò essendo venuto a notitia alla sopradetta Sentia ella venne in la mia
bothega et mi disse che haveva inteso che mi havevano perso i danari et che lei
voleva dir una oratione che si sapria chi li havesse hauto et che per questa strada
se erano trovate delle altre cose perdute, overo tolte, et io li dissi dicetela che mi
contento, Interrogatus an praedicta Sensa requisiverit ab ipse constituto ut
deberet invenire aliquas res pro dicenda detta oratione, ut est aqua sancta,
candele benedicte, Respondit: Io li detti cinque o sei quattrini che la comprassi
certe candele che diceva che gli bisognava e lei tolse li denari, et andò, overo
mandò per dette candele, quanto al aqua santa, io non ne so niente se non che
veddi lì in la bothega mia una caraffa piena d’aqua, si era benedetta o no e chi l’
havesse portata io non lo so, mia madre stava lì alla bothega con noi altri miei
fratelli piccoli et mia madre per esser stroppiata non po’ esser stata lei che l’
habbi portata// [8v],
Interrogatus an postquam Sentia emerat dictas candela et (... 41 ) discesserit
et aqua vocaverit ipsus ut accederet ad domus in qua dicta fuerat dicta oratio, et
audiret a dictis puellis quid viderint in dicta fiala, Respondit: Signor si che la mi
chiamò et andai la in una casa che chi la sia nolso, dove erano molte donne le
quali io non conobbi se non detta Sensa, et mi dissero che havevano visto un
vecchio con la barba bianca vestito di berettino che haveva un gippone sotto il
braccio che si assimigliava al mio vecchio, et che la Sensa gli disse che usassi
cortesia a quelle putte che havevano guardato in quella incristara, et io li risposi
se li trovarò li usarò cortesia, Item interrogatus an ipse constitutus perquisierit
aquam benedictam ab aliquo, et a quo et an ipse dederit dictae mulieri
Respondit: Io non ho domandato [né datuli] aqua benedetta a nesciuna persona
ne meno datola a detta donna, et non so altro se non quanto ho detto di sopra.
Qui dominus monuit ipsum ut dicat veritatem quia alias constat in actis curie
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Parola indecifrabile nel ms
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quod ipse invenit dictam aquam et dedit mulieri praedicte et praedictam Sentiam
dicet ei in faciem que ipse// [9r],
traddidit ei dictam aquam qui constitus respondit: Vi dico che io non ho
altrim aqua, ma che la veddi su la mia tavola, et io la presi et la detti a detta
Sentia. Interrogatus quid dicet si ipsa Sentiae dicet ei in faciem ipsum
constitutum reperisse dictam aquam et eidem dedisset, Respondit: Io dirò che
non dice il vero, Qui dominus mandavit adduci praedictam Sentiam ad faciem
dicti constituti, ut cognoscatur quo vultu et qua facie respondeat, et ipsa mulier
qua id refferat, qua muliere adducta, et medio iuramento interrogata an ea que
dixerat superius vera sint et dixerit pro veritate et ea confirmet et facta prius
mutua recognitione persona, Respondit: Quello che ho detto è il vero, et l’ ho
detto per la verità, Qui dominus mandavit mihi notario dictum eius legi vulgari
sermoni, quo lecto, et interrogata an sit veram quod dixerit in dicto suo
constituto, Respondit: E’ vero tutto questo che mi havete letto, Qui constitutus
praedictis auditis respondit: E’ vero che io li ho dato l’aqua che la tolsi su dalla
mia tavola, ma non so chi l’ havessi portata lì, circa le candele io detti li danari.
Et ipsa audaciter dicebat ea que superius dixerat, dictus vero constitutus
replicabat // [9v],
Io non vi so dire chi altro, so che non ho trovato detta aqua ne manco so
chi se l’ habbia trovata, qui dominus sedens etc. acceptatis favorabilibus pro
camera, pro nunc dimisit examen animo [etc.] et mandavit dictum constitutum
dettineri sub fida custodia, et praedictam Sensam reponi in locum suum etc.
die 3° maii 1579
Cum sit et fuerit quod domina Francisca uxor Joannis Linaioli [detti] de
antiquo dettineatur in carceribus causa, et occasione pro ut in actis, et volens
habilitari et dictis carceribus, hinc est quod constituta personaliter coram me
notario et testibus infrascriptus suprascripta domina Francisca promisit mihi
notario etc et se representare totiens, quotiens, etiam si millies ac stare juri et
judicatum solvens dicta de causa etc. et sub pena scutorum viginti quinque auri
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camere episcopali aplicandorum etc. et ita dixit etc. pro qua etc. sciens se non
teneri etc. sed volens etc. [D. Laurentius Guidaccius] messer Allander
scarpellino de Pisauro solemniter fideiussit in forma etc. sub dicta pena etc.
quem fideiussorem ipsa domina Francisca cum praesentia promisit indemnem
conservare etc. et ita dixerunt, promiserunt etc. obligantes etc. jurantes et
rogantes. Actum fuit in pallatio episcopali praesentibus Ludovico Centaris
praedicto de Sancto Constantio, et Luca Gabrielis de Sancto Laurentio testibus
etc.// [10r],
Die 4° maii 1579
Donna Peregrina uxor Michaelis Fornarii de Pisauro testis pro
informatione curiae sumpta etc. que medio eius juramento etc. interrogata
respondit: Possano esser da cinque anni che essendo io vedova e mal contenta
per passarmi il tempo, andai a vegghia, a casa de una mia vicina detta la
Spadona e stando noi doi sole presso il fuoco a filare supravvenne all’improviso
un’animale brutto negro, di grandezza quanto è il dito grosso d’una mano, con
streppito grande, et volando si voltava atorno a detta Bernardina, et andò doi o
tre volte per amurzar la luma, et detta Bernardina diceva non amurtare la luma
galletto, et essa testimonia havendo di ciò paura detta Bernardina disse non
haver paura, che è un spirito che mi è stato mandato, e voltando il parlar suo a
detto spirito gli disse non mi dar fastidio va da Gironimo et per quanto essa
testimonia ha inteso dir poi dalle vicine, che un certo Gironimo sarto che sta
inanti a San Francesco dà da cusire a detta Bernardina et ha anco che far con lei
carnalmente, et prima che detto animale si partisse amortò la luma, et a detta
Bernardina bisognò andar a picciarla da una sua vicina, Item ad
interrogationem dixit che stando avanti casa sua una mattina passò de li una
donna Sensa che haveva una incristara d’aqua in mano et andava in su per il
vicinato e perché se disse li nel vicinato che l’era andata a far certe sregonarie//
[10v],
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nel ritornar che ella fece indietro, mi disse che non pensassi che ella
facessi strigonarie perché cercava certi danari che un povero homo haveva
perso, e se n’andò, Interrogata in causa scientie praedictorum dicit praedicta
scire pro ea que supra deposuit et quia vidit audivit praesens fuit ac informata
est ut supra de loco et tempore ut supra de contestibus de se teste et aliis de
praedictis informatis cum sit et fuerit quod donna Sentia de Sancto Martino
habitatrix Pisauri dettineatur in carceribus causa et occasione pro ut in actis, et
volens habilitari, etc. hinc est quod constituta personaliter coram me notario em.
supriscripta praedicta domina Sentia promisit mihi notario etc. se reprentare
totiens quotiens etc. [sub] etiam si millies etc. dicta de causa, sub pena scutorum
25 camere episcopali aplicandorum etc. Pro qua etc. sciens se non teneri et sed
volens etc. solemniter* (*Hieronmus Sebastiani Battaglini Tricoli Pisauri) pro ea
fideiussit in forma sub dicta pena etc. et quem fideiussorem dicta domina Sentia
promisit indemnem conservare etc. et ita dixerunt promiserunt etc. obligantes etc.
iurantes etc. rogantes actum fuit in pallatio episcopali ad bancum juramenti
praesentibus Allexandro Scarpellino de Pisauro et Luca Gabrielis testibus etc.//
[11r],
Dicta die Suprascriptus dominus vicarius sedens etc. statuit terminum
dictae dominae Sentie presentia etc. quinque dierum ad faciendum suas
deffensiones etc. alias etc. donna Theodora filia Petri Leotti de Pisauro testis pro
informatione curie sumpta etc. quae medio eius iuramento etc. dixit: Io cognosco
questa donna Bernardina alias la Spadona da Pesaro e fin quando io era putta io
sentiva puoco bene di lei che haveva praticato con un mastro Gironimo sarto, et
con mastro Andrea ciabattino quel che se sia io nol so, perché non lo ho visto,
Interrogata in causa scientie dixit praedicta scire per ea que supra deposuit et
quia [vidit] audivit ac informata est ut supra de loco et tempore ut supra de
contestibus de se testibus de se teste et de aliis de praedictis informatis// [11v],
Die dicta quarta maii 1579
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APPENDICE: MANOSCRITTI CONSULTATI
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Cum sit et fuerit quod domina Bernardina de Amatis de Pisauro
dettineatur in carceribus episcopatus causa et occasione pro ut in actis etc. et
volens habilitari etc. hinc est quod constituta personaliter coram me notario etc.
dicta domina Bernardina promisit etc stare juri ac iudicatum solvens ac se
rapresentare totiens quotiens etc. dicta de causa etsiam si millies sub pena
scutorum 50 usibus piis aplicans ad arbitri reverendissimi pro qua etc. sciens etc.
sed volens etc. dominus Laurentius Guiduccius de Pisauro solemniter pro ea
fideiussit etc. quem etc. obligantes, iurantes etc. rogantes actum praedictum in
pallatio episcopali ad bancum juramenti praesentibus domino Achille …et…
testibus etc. suprascriptus dominus vicarius sedens etc. statuit terminum dictae
dominae Bernardine praesenti etc. quinque dierum ad faciendum suas
deffensiones etc.// [12r],
Die 18 maii 1579
Comparet personaliter Dominus Rinaldus de Orlandis procurator et eo
nomine domine Bernardine de Amatis de Pisauro utens mandato suo pro ut alias
in causa quam habet cum fisco in termino sibi dato ad faciendum suas
deffensiones exhibuit et produxit eius capitula super quibus et eorum singulis
petit, et instat testes in fine illorum descriptos diligenter examinari medio eorum
iuramento protestans pro se non stare, et sibi tempora non currere etc. qui
dominus sedens etc. praedicta admisit si et in quantum t visis etc. [mandavit
dictis testibus iura] dicta capitula admisit et dictis testibus iuramentum defferri
mandavit ac examinari in forma etc.
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Scarica

Un processo per superstizione