BELLINI Vai e vieni in ogni momento ad ogni sorso amaro che brucia in bocca il mio silenzio. Qualcuno raccoglie la mia dolcezza e non la riconosce. Si accende la tua musica guardo e non vedo brindo alla mia condanna mentre è veleno ad innaffiarmi gli occhi se sorrido. VILLA EMMA a mio padre Non l’avevi mai chiamata così ma è ancora lì ridipinta dal giorno in cui si sono chiusi quei cancelli dietro le nostre spalle. So che stai cercando ancora la chiave smarrita sotto le scale o tra le foglie secche: non hanno potuto portare via anche te. Mi risponde una campana incomprensibile mentre due scie spariscono per incontrarsi, forse, dietro i pini e un bagno di sole ti scalda i miei fiori. PORTACENERE In un mare di cenere rattrappito contorcersi di ricordi spenti. Il fumo disegna un’orribile smorfia ed il suo ghigno è la risata stonata sul fantasma che resta. PUZZLE Per la motivazione nascosta di una minigonna improvvisamente un gruppo di bambini si rincorreva in un arcobaleno di colori frantumati. Ma non era ancora precipizio: per correre sul bordo, tra ciuffi d’erba fradici di luce l’abbaiare felice di un cane ed il nostro silenzio staccato bisognava ancora attendere. Avrebbe potuto strangolarsi tutto in quel sussulto terrorizzato o in quella tua veglia, forse bastava non festeggiare un compleanno per dimenticare che esistevi. Un gioco ad incastro è il filo di oggi; l’ago punge sempre senza cucire. Rivivere pezzi sparsi a intermittenza è la condanna a cui neanche questo aborto di memoria potrebbe rimediare una collezione incompleta non sarà mai un gran pezzo di antiquariato. PORTOFINO VETTA Manciate di perle sbriciolate nel buio terra di cenere sotto i passi fuochi d’artificio come pugnalate contro la nebbia. Accanto quattro pietre malsicure appena intraviste irriconoscibile volto di un mondo addormentato. Lontano, una primavera di richiami ad invocare il ritorno basta attraversare la strada. Ecco il risveglio; ancora è possibile cercare i sentieri se non ti ferma prima la paura, puoi toccare finalmente quella porta per vedere se è davvero sprangata e poi voltarti: altro legno inchiodato sotto due tegole perché l’inverno non giungesse fino a lì. Quella era la via: se ci fosse stato un santuario mi sarei inginocchiata. Dentro una valanga d’amore sviscerato e ancora perle da guardare per resistere. Per te il mio meglio, per me il tuo, ben maggiore: come risultato un ventaglio di ipotesi suggestive al vaglio accattivanti al tatto struggenti all’olfatto discrete alla vista, probabili dagherrotipi dalla fisionomia incerta e senza confini, raffinate schegge di farinoso cobalto e giada lucida raccolte nello scrigno intatto dalle impronte di ieri e dalle false attese di domani. Oggi il mio che ne è già colmo è più che abbastanza. GENOVA Genova e il mare che soffoca e libera bardata a festa per le sagre signora sempre elegante paese dei clan patrimonio dei pochi eletti di Albaro. Genova ipocondriaca il porto senza navi il verde alle spalle che brucia e alla sera illumina dall’alto l’azzurro sulle pareti i pini che si tuffano senza paura i rifiuti lacerati dai gatti. Genova è nei vicoli fetidi di vino e pesce nei balconi che si abbracciano nelle persiane che si sgretolano nei marinai che non si fermano è nei silenzi dell’entroterra. Genova scontrosa incompresa sola e randagia morta e disperatamente vuota. Genova di Sbarbaro e Montale turismo avido pietra di sale madre troppo orgogliosa per richiamare a se’ i propri figli. Non sentirai più il sapore aspro del mio fumo innervosito né gli scatti d’ira per un nonnulla o per mascherare ch’era troppo. Non scatenerai furibonde frenesie per le strade che portano a questa casa perché altre strade, se pur lontane e strane ti porteranno via tuo malgrado verso quello che vorrai o, peggio, che potrai. Io, per me, continuo a guardare questo distacco che si allarga come macchia d’olio, con le mani unte provo a trattenere qualcosa del meglio ma scivola sui miei giorni assenti e non ricopre le tue impronte su di me. Attendo che la palude di sabbie mobili mi risputi fuori chissà quando, dall’altra parte del mondo. Ho nostalgia di tutto e di me, di quando non rincorrevo le parole per raccontare perché mi cercavano da sole e trasformavano gli istanti in metafore taglienti, in immagini fisse e spesse come pioggia di grandine da trattenere nel palmo della mano. Ho perso quel verso scarno e lucido che parlava di tutto tranne che d’amore per pudore o per gioco, ma aveva voce solo quand’era innamorato. Ora mi restano solo pochi discorsi contorti in cui quando esisti ti nascondi e quando appari già non esisti più. Solo queste parole ammalate di nostalgia infatuate di tutto ciò che non hanno detto ancora e non vivranno mai, che preferiscono le ombre ai solchi nitidi che lasciano i ricordi perché se ne infischiano della vita e della storia. Illuse. CARNEVALE In un attimo, potrei diventare il coniglio bianco del prestigiatore sbucato fuori dal cilindro nero, con le narici rosa umide e sottili candido e tremante nelle sue mani. L'attimo dopo, una scatola cinese giusta, quando l'ossessione di aprire non vuole trovare o un velo di seta a scacchi che nasconde il trucco ed obbliga ad indovinarlo. Potrei mascherarmi di silenzio trasformarmi in colomba e svolazzare non oltre il davanzale della tua casa. E poi ancora inventarmi il vestito più bello indossarlo per te in questa sfilata di festa fingere che sotto non c'è niente pur di catturare il tuo sguardo e imprigionarti le mani. Ma ai giochi di prestigio a questo carnevale di sagome perfette preferisco il miracolo impercettibile della tua voce decisa che trafigge l'aria per pronunciare il mio vero nome. GOCCE Dura quanto un'alluvione lo scrosciare violentissimo della pioggia insieme al picchiettare forte delle gocce mentre lava via la polvere di tutti questi lunghi giorni..... ogni goccia è per ciascuno di quei giorni profonda come un bacio quando il cuore sale fino alle labbra quasi un massaggio lieve sulle spalle della terra tutta stretta come in un abbraccio; è come una culla per tutti i suoi sogni più spensierati come te. Eccola la pioggia che conoscevo, ancora qui. Pioggia e musica. Dentro e fuori. Eccoti come un temporale improvviso che trasporta tutto con se' e restituisce il respiro mentre lo tronca. Benvenuta burrasca imprevista adesso che questo silenzio non t'inganna benvenuta in questo specchio di pozzanghera lavata e stesa al sole, in questo girotondo di sorrisi mozzafiato. Eccomi mentre apro le mani per accoglierti e sei già altrove.... Eccomi mentre imprimo nelle orecchie i suoni che ti accompagnano e sei già oltre...... .... per portarmi via dove esisti tu. Benvenuta: adesso che sono pronta. Possente e maestosa più d'una cascata d'acqua gelida che straripa, evade e si rimargina come una ferita strana la mia meraviglia che esisti. ANCORA L'ESTATE Costretta a vivere in frenetica distrazione inutilmente spero sempre di non dover più assistere al tuo ritorno. Salgono echi profondissimi da un mare di rassegnazione ancora agitato puntuale, l'assalto mi sorprende impreparata. E' una pausa difficile l'intermezzo delle mie estati fisse a un dilemma mai risolto. Costretta a restare inchiodata dal profumo di questo vento così diverso a identici episodi immaginati senza probabili finali, mi tortura la tua ombra densa come la mia paura e più intensa del ricordo. Non c'è vendetta tanto imprevista come questa assenza fedele costretta a vivere in nostra compagnia. IL MARE DI NEVE Il mare denso di spuma il mare arrabbiato con la bava alla bocca qui è neve morbida e spessa che la terra non può accogliere tutta e le onde sono queste colline spossate sotto l'identico cielo ancora troppo carico pronto a sfinire di assalti e sussulti perfino la mente, ora che neanche tu la risparmi. COSTA PARADISO Un amore viscerale e istintivo da bere in tutto quell'azzurro ho trovato. Erano sterpi e sale mantelli di luce spruzzata statue di giganti tuffatori pronti a difendere un deserto colmo di senso ed eri tu a significarlo. Sarà ancora la stessa America troppo sognata la fuga impossibile? Se non sarà per te soltanto verrò a cercare risposta sotto i mucchi di sabbia, porterò lontano da vento e marea il mio tesoro..... e mi farò gigante. FOGLIO BIANCO Nessuno può dar voce a queste parole logore. La penna è già scarica. Potresti soltanto dire grazie a qualcuno che ti apre la porta, ma rauco e soffocato perché sarebbe la prima parola in tutto il giorno. Non riesco a restare aggrappata ad agganciarmi per inventare ancora non riesco ad immaginarmi diversa dove tutto è uguale al limite un po’ in disordine, ma pur sempre lo stesso.... Hanno cosparso di sale questa strada eppure non ne sento più il sapore solo lo scricchiolare sotto le ruote. Hanno spaccato il buio con fulmini splendenti ma se torna la nebbia tutto si consuma e diventa difficile distinguere i contorni riconoscere i propri passi non sentire freddo. Hanno descritto l'eccezionale follia esaltato il sublime dolore riscattato persino il rimpianto più sordo dimenticando ogni volta di salvare il banale. Chi ha coraggio può trafiggere quel muro grigio e appianato che solo a tratti è possibile scavalcare: io resto appesa da questa parte. Anestesia eutanasia autoironia....... Dove la pace? CALEIDOSCOPIO Dal foro, fragile l'illusione si scompone si frantumano gli spigoli e qualunque forma riprenda è ancora il tuo sogno che si sveglia. Avrei voluto colmare quei solchi ma il terreno era di vetro, graffiare quel vetro ma lo specchio era di pietra, spaccare quella pietra ma avevo sotterrato le mani molto prima che fosse tardi. Sempre più lontano fiori colorati come crisalidi marine.... Chi continua a far girare il cerchio? Soffoco. FANTàSIA Fa’ attenzione che il tuo fantoccio non si sciolga insieme ai sogni se ti addormenti potrebbe restarne solo qualche traccia e al risveglio la notte non basterebbe alla vita. Forse la favola vera che non si racconta è lo screpolarsi delle mani affannate in cerca di radici da strappare e nel distacco uno sgorgare di parole strozzate sommerse dal nulla; perché i miracoli non si sognano, si pagano. CAPO SANTA CHIARA I Ancora ti perseguita il rimescolarsi a vortice del passato t'avvinghia il fantasma e lo vedi in un attimo vestirsi di rimpianto, assumere volti sconosciuti. Quello che poi accade è sempre l'opera incompiuta che la fantasia definisce nel suo viaggio a ritroso. Oppure annaspi, agonizzi ed il flutto che t'ingorga non sempre ti sa riportare illeso a terra: a volte si rischia di non tornare. Dicevano che pensare è ricordare ma il ricordo è sogno un relitto affogato che galleggia; se lo guardi da riva non puoi che fissarlo. Terrorizzato. II E a testa china proseguo trascinata senza vero abbandono; nel silenzio inseguo ancora qualche traccia della tua voce ma ho rinunciato a chiamarti. Da un muretto desolato sfociano nel mare rigagnoli di sangue - le crepe aperte come vesciche una lucertola incauta scivola su una goccia precipita convulsa si sfracella sui sassi. Ora che tutto è al suo posto dimmi almeno per cosa ci saremmo salvati. Che cos’è l'amore se non è tutto dentro alla tua risata fragorosa che mi ruba anche alla paura più terribile e può farmi restare ammutolita per ore, ad osservarti.... Cos'è l'amore se non è nel silenzio della notte più insonne se non è nelle mie mani che adesso ti raggiungono se non è nel tuo respiro sussurrato se non è questo silenzio denso di rispetto caldo di speranza dolce e amaro insieme? Che cos’è l'amore se non è nella tua voce morbida nei miei sogni inconfessati nei nostri giochi spensierati se non è il nostro destino se non è arrendersi e diventare sempre più indifesi se non è cercarti ovunque aspettarti altrove amarti comunque? Che cos'è l'amore adesso che ti amo? Non rispondere. IL MARE E LA LUNA Come far emergere le parole e i suoni gli echi magici e le memorie sommerse custoditi con tanta inutile gelosia? Che farne ormai di tanti tesori pietrificati del mio pensiero raccolto da un gabbiano che non volerà mai in alto quanto te? Che dire ancora in questo silenzio troppo salato, come mutare il mio letto di sabbia in una distesa d’oro per il giorno e d’argento per la notte prima che il sole torni a portarti via? Il mio canto soffocato non raggiunge neanche il lembo più estremo della tua terra. E sei la sorda straniera che passa ogni notte mi guarda ma vede solo se stessa. PRIMA O POI Facile come rincorrere un fulmine e tenerlo acceso con un semplice sguardo come contenere tutto il presente nel palmo della mano da leggere anche solo sul dorso tra vene, pori e capillari; come una geografia decifrabile dell’aldilà come un’assurdità. Facile come può esserlo una prova superata che si ripete costantemente con l’incubo che sia stato un caso ma che prima o poi... Facile come può esserlo niente che ci riguardi come tutto ciò che vogliamo e che prima o poi perdiamo. Facile come il sonno quando non dormi e la veglia quando hai sonno come aspettare ciò che non c’è e quando c’è ciò che non aspetti ma che prima o poi... Facile come può esserlo solo l’inganno e l’illusione perché prima o poi la verità diventa facile. (Sempre poi). La saliva a volte si fa grumo - ispessito dal fumo e dalla sete che scava erosione dentro l’esofago alla ricerca del passaggio verso un sommerso ogni volta più profondo sospeso fra gola e stomaco: distanza in progressiva e continua espansione. Talpe o marmotte potrebbero ancora insorgere improvvise come in certe notti che inghiottire quasi non basta. Il sorso della saliva tarda ad arrivare fino al fondo indica un passato che avanza sprofondando e un futuro in evidente diminuzione; segno di un presente ancora lontano o, peggio, già trascorso nel frattempo. Amo la mia vita strappata fra cielo e terra che si consuma a fuoco lento e che l’acqua non disseta. Amo la passione che incolla gli occhi all’orizzonte e porta il calore fino alle dita. Amo la paura che accompagna ogni confronto come se fosse il primo o l’ultimo e ti fa scegliere di barcollare sempre sul filo più invisibile e sottile. Amo quella voce fioca che fa resistere e non t’illude di esistere. Amo questa mattina con le lacrime addosso senza un falso perché, questa gelida alba appena rosata amo questo desiderio di essere vera quanto lei. Io senza i miei petali arresa mi piego all’ultima inesorabile frustata di vento All’inferno non si è liberi che di essere démoni: il bene resta l’illusione di angeli dalle ali spezzate. Se t’incontrassi nella nebbia lungo un burrone o in piena notte, anche chiudendo gli occhi non barcollerei. Scrivere per portare alla luce l’estenuante rincorrersi di movimenti simili per seguire quel filo immaginato che non legherà pezze d’anima strappate resterà un invisibile fantasma e non servirà a sopravvivere meglio. Scrivere per urlare ragionatamente ad un abisso di sordità per non riposare mai il furioso cercare per raccogliere segnali da poche briciole sparse e per raccontare menzogne incredibili uniche costanti risposte alla fatica di esistere e decidere. Scrivere come si abbaia alla luna come si accende una candela - quanto dura? come si spezza il pane e come si vorrebbe amare. Scrivere per infiorare deserti per ammazzare la morte rispettando i silenzi e le distanze santificando gli istanti. Scrivere per durare. Sull’orlo del margine è più difficile stare sempre al limite dell’indecisione ma senza esitare. Non c’è zona franca neanche per chi osserva perché lo sguardo ha sempre una direzione e le parole un timbro di voce; anche le domande sono già un’indicazione. Cerco casa sull’orlo del margine senza il nome sulla porta né cancelli o recinti in una valle aperta dove poter sostare e ritornare che chiara e nitida si distingua nella nebbia per tutti quelli che potranno arrivare. PER IL 2000 Il verso spezzato come valanga di pietre il seme disperso sulla terra incolta arida una coltre di grigio e tu che ti accorgi del ritardo. Siamo nati in ritardo ma ciò che ci annulla è ancora lo stesso; lo urliamo con rabbia a chi l’ha già detto e ora rimane in silenzio. FILASTROCCA Eterno ritorno di un circolo su se stesso eterno girovagare di smeraldi su oro eterno rimpianto per ogni diverso caso eterno zampillare di linfa morbida su terra putrida come palude annebbiata d’autunno eterno rinnegarsi ribellione vile solitudine. Perdono per tutta questa eternità strappata per questa banalità divinizzata, perdono per questo pentirsi eternamente inutile. Potessi stringere le mani per aprirtele davanti finalmente libere e capire che d’ora in poi nessuno cercherà più di legarle. Guardarmi e vedere solo te smettere di fuggire di nascondere la paura proprio nel luogo più evidente avere la forza di abbandonare tutto questo dolore per imparare finalmente a soffrire. Potessi volerlo davvero almeno un solo attimo… Vivere fa male. Pensare, anche peggio. Amare è drogarsi. Scrivere è disintossicarsi. E siccome non si può fare a meno di vivere pensare ed amare si continua a scrivere fortunatamente. PONTE DI VETRO Salta. Scappa da te stesso buttati nel vuoto appeso all’elastico di gomma. Dimentica l’ordine e le sue leggi di sempre. Lascia sul ponte la tua pesante sacca da viaggio. Libera nell’aria i desideri e vedrai piangerai di gioia fra le lacrime riderai di libertà. Guarderai una realtà capovolta il mondo al rovescio. Cosa c’è sotto? Cosa c’è dietro? Cosa c’è oltre? Lo vedrai. Non sarà più lo stesso. (Magari peggio). E fuma. Scappa e ritorna: non ti riconoscerai. Non la voce degli altri intorno e neppure la tua, che non è più tua. Galleggerai attraversandoti e per un po’ ti piacerà di più immerso nel doppio livello nella doppia versione\dimensione nella doppia verità. Ma poi, dimmi, tu a quale crederai? E balla, balla che ti passa balla che il corpo si muove da solo ti comunica a chi non ti guarda ti scopre ad occhi che non vedono e ti spoglia, ti denuda, ti scortica per mani che non avranno carezze. Era talmente bello che sembrava tutto vero. Come l’amore. A che ti serve, adesso, aver guardato il mondo al rovescio? Soltanto a capire quanto l’avresti voluto diverso che diverso non sarà mai. Eppure lo sapevi anche prima: saresti rimasto un banalissimo esploratore che muore da solo comunque. Come chiunque. POEMETTO PER G. I I ricordi morsicano l’anima e succhiano il nettare rosso fragola che ancora sgorga da dentro. Utile inchiostro per il calamaio che trafiggo con l’ultima penna rubata alla piccola squaw mentre attende testarda l’inutile ritorno del suo grande capo indiano sconfitto. Ma se rido le notti che la sento piangere vedo il suo orgoglio sbranare i ricordi e balzarmi addosso regale come una pantera trafitta per divorarmi cruda. II Cruda e divorata ma anche sopravvissuta e adesso integra come forse non mai. Io capo e squaw belva e pasto ora mi basto. A ME STESSA I Chi sei da dove vieni piccolo mostriciattolo sanguigno acciaccato e semidistrutto cucciolo di elefante che ti ostini a voler danzare su questo pavimento di lame fra tutte queste trappole per topi.... ...se potessi incontrarti ti leccherei le ferite se sapessi dove, ti porterei in salvo se sapessi perché, ti spiegherei. Invece posso solo seguirti ovunque piangere e sorridere con te guardarti mentre fai l’amore e respirarlo insieme a te sussurrare in mezzo alle tue grida le parole più dolci abitare i tuoi vuoti confondermi tra i tuoi vestiti accarezzarti nel sonno e proteggerti fino a quando ti servirà fino a quando diventerai me. Ricordati chi sei. II Ricordati chi sei. Ricordati di quando ti ho trovata rannicchiata sul pavimento che rantolavi e avevi paura di farti guardare perché vedevi con un occhio solo quelle orecchie fantasmagoriche; marziana testuggine dal corpo sproporzionato mummia pietrificata da secoli di silenzio eppure neonato groviglio di lievi colori solo percettibili germoglio del fiore più bianco e più puro al mondo.... Ricordati che ti ho vista sbocciare con la prima rugiada infinite volte e ho osservato le tue mutazioni con la stessa sorpresa di sempre con un sorriso ho ridisegnato le tue orecchie raddoppiato la tua vista proporzionato il tuo corpicino asfittico ho spiegato e spolverato le tue bende e spruzzato di profumo tutta la tua pelle..... Ricordati che poco a poco diventerò te. Ricordati chi sono. CARNEVALE ’98 Indosso i tuoi vestiti vecchi i tuoi indumenti smessi li porto ancora li mando in lavanderia li custodisco come fossero nuovi e li mantengo in vita con la mia vita. Intanto ti vedo dentro le boutiques acquistare vestiti nuovi da usare e poi smettere frugare freneticamente fra i cassetti per cercare compulsivamente nuovi finimenti da indossare nuovi look da inventare per il prossimo nuovo, nuovissimo tuo carnevale. Sono scesa dal carro con questi vestiti usati ancora più che buoni e con qualche ciondolo che avresti voluto amuleto; a te ho lasciato tutte le maschere della collezione oltre al nome inciso sulla targa arrugginita di una cornice che rimarrà senza soggetto - dipinto o specchio che fosse ed il nastro sordo che recita all’infinito solo quella tua identica voce vana... ...perché tutto ciò che avevo escluso a priori poi lo hai scelto proprio tu e alla perfezione. Invece ti ho risparmiato il sopravvissuto superfluo necessario al mio deserto: un vecchio spaventapasseri coperto dai tuoi vestiti smessi perché respinga - sempre ugualmente integro gli eventuali attacchi dei corvi all’inseguimento di carovane in fuga o le probabili planate sospese di avvoltoi in prossimo agguato e tutte le impossibili sanguisughe mascherate da finte coccinelle portafortuna. MELA - NCO - LIA Lia è ancora una mela marcia: il morso che attanaglia non si cancella la deturpa fino all’osso dov’era più sottile e tenera la vergogna di essere monca già mangiata da una parte sola. Rossa e candida ti ruoterà attorno e se la guardi altrove si girerà ancora perché tu veda sempre quell’unico stesso lato non intaccato senza alla fine vedere più niente. Nel labirinto ruota, rantola, reclina; inseguirla non servirà: non mangiare la mela marcia! Potrebbero caderti i denti... ...o altrimenti potresti consolarla di essere lia - la mela ancora marcia che ti si scioglie in bocca mentre ne sputi i semi prima di aver finito o addirittura cominciato. Cannibale. Cosa cercavi? Cosa credevi? Una mela marcia è monca e una mela monca è marcia. Sempre. Non lo sapevi? Vattene, adesso. Non potresti danneggiarla oltre. E’ soltanto lia che se ne resta a metà. SINDROME DI STENDHAL Un paggio alla corte sfolgorante della primavera giunge da lontano con una cascata di delizie in grembo a sfamare divinità e ben nati in convito. T’indovino. Inutile chiedersi il motivo o mettere ordine, adesso. Non c’è tempo e forse ormai ho imparato. Quindi m’inabisso. Il sopracciglio che s’inarca - ironia della sorte e subito un’ebbrezza sale avvolge ovunque inattesa millimetri di carne diversi; poi cerca l’errore o la sbavatura giusto per svolgerne l’incanto. Ma se galleggio nel vino che scorre dalle cascatelle sullo sfondo fino al centro non è certo per il baccanale o per il sapore leggiadro dell’aria. E’ per lo sguardo d’aquilotto nel paggio alato. (Quali sono le coordinate? Non credo a quelle dell’opuscolo né tantomeno ai percorsi suggeriti. Molto più semplice quando ti accorgi che è primavera.) Indescrivibile, comunque a inizio stagione vederlo già volteggiare oltre la tela… E quasi insostenibile, adesso immaginarsi falchetto rapido - ancora convalescente – involato sul residuo di quella scia e pensare di non poter atterrare che sopra quella sua spalla arrotondata. Nella prigione subacquea delle ciglia sbarrate oltre le orbite dentro ogni incavo annega questa musica orfana di note e si deposita sopra un fondale di relitti ammutoliti: ho solo tuffato un sassolino, in superficie. Ma le circonferenze perfette che al suo tocco si spalancano nell’acqua non sono liquide riflettono l’illusione di un centro senza contorni… Ne affiorano soltanto i bordi slabbrati. COME NOI Aggrappati Stringimi Non temere Ti porterò in salvo Ti sosterrò se barcolli Ti plasmerò come ancora non sei come ti vedo come ti sento come mi sembri (lo sei?) Mi aggrappo Ti stringo Non temo Mi porterai in salvo Mi sosterrai se barcollo Mi plasmerai come ancora non sono come mi vedi come mi senti come ti sembro (lo sono?) Non vuoi? Davvero non lo sei? A chi mi aggrapperò? Chi stringerò? Chi mi porterà in salvo? Vorrei Chi? Tu?! Me! Ne hai bisogno? Addio E adesso sparisci Dilèguati Quando? Perché? Senz’altro Ti volevo come sembravi perché sembravi come ti volevo ma in fondo lo sapevo che non avresti potuto se anch’ io sembro come me. Ti credevo diversa perché sembravi come ti credevo ma l’ho sempre saputo che sembra e non è chi sembra come se’. (Chi manca?) SENZA Solo, soltanto e semplicemente senza. Al vuoto respingente oppongo il sottopieno di latta dei miei sogni ecco tutto. Alla fine solo, soltanto e semplicemente senza più cercare oltre la coltre stranamente ardente dei fuochi fatui o di questi finti fiochi lapilli. Assente (mio malgrado) e questa volta perdutamente. Il tempo non mi spaventa mi accompagna. Il tempo è comprensione le domande sono il codice e il tuo sorriso la sua risposta. CUORE DI FATA I Tu che non appartieni a questo mondo forse ancora non sai questo doloroso sognarti da sveglia per scampare agli incubi, né quanto mancavi al buio che ti separava mentre dentro agli altri sembravi proprio tu invece dei soliti fantasmi. Crudele sortilegio del mio cuore sbarrato. Eppure, persino nelle favole gli incantesimi si sciolgono e alla fine ci si sveglia sognando. Mi cerco ancora nell’universo senza più confonderti con me. Semplicemente ti attraverso. E ad ogni tocco un nuovo risveglio per questo cuore espanso che danza col tuo, tutto fatato. II Siediti e ascolta. Ho conosciuto una fata bellissima. Gambe lunghe occhi profondi come la notte sorriso aperto e invitante come una bandiera spiegata che sventola sinuosamente leggera. Bella. Inquietante silenzio misterioso e affascinante con la forza di un gigante, lo stelo di gocciolante di rugiada profumato e inebriante. Questa fata e nessun’altra divenuta realtà dal nudo sogno possibile che non mi stanco di sognare. Continuo a desiderarla e la cerco come se non esistesse viene e non smetto di seguirla mi segue mentre seguito a trovarla la scopro ed è già scomparsa scompaio e so già dove mi aspetta. Eppure ho paura di perderla di svegliarmi quando la sogno di sognarla quando sono sveglia nel silenzio diventato denso parole troppo intense coprono quella voce di miele e un corpo avido fa tremare le mani. Ha baratri immensi dove si espande immobile tanto da spezzarmi il respiro e restituirmi a ciò che sono, inesorabilmente infinita. Mi coltivo spalancandomi lentamente affacciata su di lei ancora in bilico sul bordo di me. Nero di seppia e alluminio a far luce. E’ solo un caso sarà stato il caso ma non voglio attendere invano. Attenzione, niente più attese. Ed ecco il grigio senza barlumi o luccichii… era tanto che aspettava, non a caso. COME VUOI Già via. Vai via. Via vai. Swing, fisarmonica e nostalgia di già. Come mi vuoi (ma mi vuoi?) cosa mi dai se separi l’odore di spezie dal buio? Avrei voluto berti l’anima e poi nuotare nel verde ma credo fosse già salita su quel pullman perduto… …e non riesco neanche a piangere nel silenzio di questo laghetto sonnolento che mi galleggia mentre senza alcuna decenza giura di non averci visto mai. RICORDA CHI SEI Lo ripete il verso scritto dietro chissà quando e lo dice anche la mia faccia allo specchio, stamattina. Oggi c’è un sole completamente nudo col sapore di tutte le mattine distratte che ti svegli e non te ne accorgi e magari non ce la fai, ma devi continuare e mentre cerchi almeno un motivo che ti muova dimentichi. Per quel sollievo, sei disposto a ringraziare chiunque tranne chi si è spogliato apposta per te. E’ questa l’ora - sempre uguale che ti sveglia per l’appuntamento col morbido incauto contatto con te; venuta a spiare gli incanti e i sussurri silenti della tua casa senza persiane a benedire cunicoli appena rosati da un tenue bagliore composito. E’ questo il tuo tempo: si apre riemerge nascendo dilatato sorride e danzando torna a dipingerti nuovo. E’ ora di esserti complice.