BELLINI
Vai e vieni in ogni momento
ad ogni sorso amaro
che brucia in bocca il mio silenzio.
Qualcuno raccoglie
la mia dolcezza e non la riconosce.
Si accende la tua musica
guardo e non vedo
brindo alla mia condanna
mentre è veleno ad innaffiarmi gli occhi
se sorrido.
VILLA EMMA
a mio padre
Non l’avevi mai chiamata così
ma è ancora lì
ridipinta
dal giorno in cui si sono chiusi
quei cancelli dietro le nostre spalle.
So che stai cercando ancora
la chiave smarrita
sotto le scale
o tra le foglie secche:
non hanno potuto portare via anche te.
Mi risponde una campana incomprensibile
mentre due scie spariscono
per incontrarsi, forse, dietro i pini
e un bagno di sole
ti scalda i miei fiori.
PORTACENERE
In un mare di cenere
rattrappito
contorcersi
di ricordi spenti.
Il fumo disegna un’orribile smorfia
ed il suo ghigno
è la risata stonata
sul fantasma che resta.
PUZZLE
Per la motivazione nascosta
di una minigonna
improvvisamente un gruppo di bambini
si rincorreva in un arcobaleno di colori frantumati.
Ma non era ancora precipizio:
per correre sul bordo,
tra ciuffi d’erba fradici di luce
l’abbaiare felice di un cane
ed il nostro silenzio staccato
bisognava ancora attendere.
Avrebbe potuto strangolarsi tutto
in quel sussulto terrorizzato
o in quella tua veglia,
forse bastava non festeggiare un compleanno
per dimenticare che esistevi.
Un gioco ad incastro è il filo di oggi;
l’ago punge sempre senza cucire.
Rivivere pezzi sparsi a intermittenza
è la condanna
a cui neanche questo aborto di memoria
potrebbe rimediare
una collezione incompleta
non sarà mai
un gran pezzo di antiquariato.
PORTOFINO VETTA
Manciate di perle sbriciolate nel buio
terra di cenere sotto i passi
fuochi d’artificio come pugnalate contro la nebbia.
Accanto quattro pietre malsicure
appena intraviste
irriconoscibile volto di un mondo addormentato.
Lontano, una primavera di richiami
ad invocare il ritorno
basta attraversare la strada.
Ecco il risveglio;
ancora è possibile cercare i sentieri
se non ti ferma prima la paura,
puoi toccare finalmente quella porta
per vedere se è davvero sprangata
e poi voltarti:
altro legno inchiodato sotto due tegole
perché l’inverno non giungesse fino a lì.
Quella era la via:
se ci fosse stato un santuario
mi sarei inginocchiata.
Dentro una valanga d’amore sviscerato
e ancora perle da guardare
per resistere.
Per te il mio meglio,
per me il tuo, ben maggiore:
come risultato
un ventaglio di ipotesi
suggestive al vaglio
accattivanti al tatto
struggenti all’olfatto
discrete alla vista,
probabili dagherrotipi
dalla fisionomia incerta
e senza confini,
raffinate schegge di farinoso cobalto
e giada lucida
raccolte nello scrigno intatto
dalle impronte di ieri
e dalle false attese di domani.
Oggi il mio che ne è già colmo
è più che abbastanza.
GENOVA
Genova e il mare che soffoca e libera
bardata a festa per le sagre
signora sempre elegante
paese dei clan
patrimonio dei pochi eletti di Albaro.
Genova ipocondriaca
il porto senza navi
il verde alle spalle che brucia
e alla sera illumina dall’alto
l’azzurro sulle pareti
i pini che si tuffano senza paura
i rifiuti lacerati dai gatti.
Genova
è nei vicoli fetidi di vino e pesce
nei balconi che si abbracciano
nelle persiane che si sgretolano
nei marinai che non si fermano
è nei silenzi dell’entroterra.
Genova scontrosa
incompresa
sola e randagia
morta e disperatamente vuota.
Genova di Sbarbaro e Montale
turismo avido
pietra di sale
madre troppo orgogliosa per richiamare a se’ i propri figli.
Non sentirai più il sapore aspro del mio fumo innervosito
né gli scatti d’ira per un nonnulla
o per mascherare ch’era troppo.
Non scatenerai furibonde frenesie
per le strade che portano a questa casa
perché altre strade, se pur lontane e strane
ti porteranno via tuo malgrado
verso quello che vorrai
o, peggio, che potrai.
Io, per me,
continuo a guardare questo distacco
che si allarga come macchia d’olio,
con le mani unte provo a trattenere qualcosa del meglio
ma scivola sui miei giorni assenti
e non ricopre le tue impronte su di me.
Attendo
che la palude di sabbie mobili mi risputi fuori
chissà quando,
dall’altra parte del mondo.
Ho nostalgia di tutto e di me,
di quando non rincorrevo le parole per raccontare
perché mi cercavano da sole
e trasformavano gli istanti
in metafore taglienti,
in immagini fisse e spesse
come pioggia di grandine
da trattenere nel palmo della mano.
Ho perso quel verso scarno e lucido
che parlava di tutto tranne che d’amore
per pudore o per gioco,
ma aveva voce solo quand’era innamorato.
Ora mi restano solo pochi discorsi contorti
in cui quando esisti ti nascondi
e quando appari già non esisti più.
Solo queste parole ammalate di nostalgia
infatuate di tutto ciò che non hanno detto ancora
e non vivranno mai,
che preferiscono le ombre
ai solchi nitidi che lasciano i ricordi
perché se ne infischiano della vita e della storia.
Illuse.
CARNEVALE
In un attimo,
potrei diventare il coniglio bianco del prestigiatore
sbucato fuori dal cilindro nero,
con le narici rosa umide e sottili
candido e tremante nelle sue mani.
L'attimo dopo,
una scatola cinese
giusta, quando l'ossessione di aprire
non vuole trovare
o un velo di seta a scacchi
che nasconde il trucco
ed obbliga ad indovinarlo.
Potrei mascherarmi di silenzio
trasformarmi in colomba
e svolazzare non oltre il davanzale della tua casa.
E poi ancora inventarmi il vestito più bello
indossarlo per te in questa sfilata di festa
fingere che sotto non c'è niente
pur di catturare il tuo sguardo e imprigionarti le mani.
Ma ai giochi di prestigio
a questo carnevale di sagome perfette
preferisco il miracolo impercettibile
della tua voce decisa che trafigge l'aria
per pronunciare il mio vero nome.
GOCCE
Dura quanto un'alluvione
lo scrosciare violentissimo della pioggia
insieme al picchiettare forte delle gocce
mentre lava via la polvere
di tutti questi lunghi giorni.....
ogni goccia è per ciascuno di quei giorni
profonda come un bacio
quando il cuore sale fino alle labbra
quasi un massaggio lieve
sulle spalle della terra
tutta stretta come in un abbraccio;
è come una culla per tutti i suoi sogni più spensierati
come te.
Eccola la pioggia che conoscevo,
ancora qui.
Pioggia e musica.
Dentro e fuori.
Eccoti
come un temporale improvviso
che trasporta tutto con se'
e restituisce il respiro mentre lo tronca.
Benvenuta burrasca imprevista
adesso che questo silenzio non t'inganna
benvenuta in questo specchio di pozzanghera
lavata e stesa al sole,
in questo girotondo di sorrisi mozzafiato.
Eccomi
mentre apro le mani per accoglierti
e sei già altrove....
Eccomi
mentre imprimo nelle orecchie
i suoni che ti accompagnano
e sei già oltre......
.... per portarmi via
dove esisti tu.
Benvenuta: adesso che sono pronta.
Possente e maestosa
più d'una cascata d'acqua gelida
che straripa, evade e si rimargina
come una ferita strana
la mia meraviglia che esisti.
ANCORA L'ESTATE
Costretta a vivere in frenetica distrazione
inutilmente spero sempre
di non dover più assistere al tuo ritorno.
Salgono echi profondissimi
da un mare di rassegnazione ancora agitato
puntuale, l'assalto mi sorprende impreparata.
E' una pausa difficile
l'intermezzo delle mie estati fisse
a un dilemma mai risolto.
Costretta a restare inchiodata
dal profumo di questo vento così diverso
a identici episodi
immaginati senza probabili finali,
mi tortura la tua ombra
densa come la mia paura
e più intensa del ricordo.
Non c'è vendetta tanto imprevista
come questa assenza fedele
costretta a vivere in nostra compagnia.
IL MARE DI NEVE
Il mare denso di spuma
il mare arrabbiato con la bava alla bocca
qui è neve morbida e spessa
che la terra non può accogliere tutta
e le onde sono queste colline spossate
sotto l'identico cielo ancora troppo carico
pronto a sfinire di assalti e sussulti
perfino la mente,
ora che neanche tu la risparmi.
COSTA PARADISO
Un amore viscerale e istintivo
da bere in tutto quell'azzurro
ho trovato.
Erano sterpi e sale
mantelli di luce spruzzata
statue di giganti tuffatori
pronti a difendere un deserto colmo di senso
ed eri tu a significarlo.
Sarà ancora la stessa America troppo sognata
la fuga impossibile?
Se non sarà per te soltanto
verrò a cercare risposta
sotto i mucchi di sabbia,
porterò lontano da vento e marea il mio tesoro.....
e mi farò gigante.
FOGLIO BIANCO
Nessuno può dar voce
a queste parole logore.
La penna è già scarica.
Potresti soltanto dire grazie
a qualcuno che ti apre la porta,
ma rauco e soffocato
perché sarebbe la prima parola in tutto il giorno.
Non riesco a restare aggrappata
ad agganciarmi per inventare ancora
non riesco ad immaginarmi diversa dove tutto è uguale
al limite un po’ in disordine, ma pur sempre lo stesso....
Hanno cosparso di sale questa strada
eppure non ne sento più il sapore
solo lo scricchiolare sotto le ruote.
Hanno spaccato il buio con fulmini splendenti
ma se torna la nebbia tutto si consuma
e diventa difficile distinguere i contorni
riconoscere i propri passi
non sentire freddo.
Hanno descritto l'eccezionale follia
esaltato il sublime dolore
riscattato persino il rimpianto più sordo
dimenticando ogni volta di salvare il banale.
Chi ha coraggio
può trafiggere quel muro grigio e appianato
che solo a tratti è possibile scavalcare:
io resto appesa da questa parte.
Anestesia
eutanasia
autoironia.......
Dove la pace?
CALEIDOSCOPIO
Dal foro, fragile
l'illusione si scompone
si frantumano gli spigoli
e qualunque forma riprenda
è ancora il tuo sogno che si sveglia.
Avrei voluto colmare quei solchi
ma il terreno era di vetro,
graffiare quel vetro
ma lo specchio era di pietra,
spaccare quella pietra
ma avevo sotterrato le mani
molto prima che fosse tardi.
Sempre più lontano
fiori colorati come crisalidi marine....
Chi continua a far girare il cerchio?
Soffoco.
FANTàSIA
Fa’ attenzione che il tuo fantoccio
non si sciolga insieme ai sogni
se ti addormenti
potrebbe restarne solo qualche traccia
e al risveglio la notte non basterebbe alla vita.
Forse la favola vera che non si racconta
è lo screpolarsi delle mani affannate
in cerca di radici da strappare
e nel distacco
uno sgorgare di parole strozzate
sommerse dal nulla;
perché i miracoli non si sognano,
si pagano.
CAPO SANTA CHIARA
I
Ancora ti perseguita
il rimescolarsi a vortice del passato
t'avvinghia il fantasma
e lo vedi in un attimo
vestirsi di rimpianto,
assumere volti sconosciuti.
Quello che poi accade
è sempre l'opera incompiuta
che la fantasia definisce nel suo viaggio a ritroso.
Oppure annaspi,
agonizzi
ed il flutto che t'ingorga
non sempre ti sa riportare illeso a terra:
a volte si rischia di non tornare.
Dicevano che pensare è ricordare
ma il ricordo è sogno
un relitto affogato che galleggia;
se lo guardi da riva
non puoi che fissarlo. Terrorizzato.
II
E a testa china proseguo
trascinata senza vero abbandono;
nel silenzio inseguo
ancora qualche traccia della tua voce
ma ho rinunciato a chiamarti.
Da un muretto desolato
sfociano nel mare rigagnoli di sangue
- le crepe aperte come vesciche una lucertola incauta
scivola su una goccia
precipita convulsa
si sfracella sui sassi.
Ora che tutto è al suo posto
dimmi almeno
per cosa ci saremmo salvati.
Che cos’è l'amore
se non è tutto dentro alla tua risata fragorosa
che mi ruba anche alla paura più terribile
e può farmi restare ammutolita per ore, ad osservarti....
Cos'è l'amore
se non è nel silenzio della notte più insonne
se non è nelle mie mani che adesso ti raggiungono
se non è nel tuo respiro sussurrato
se non è questo silenzio denso di rispetto
caldo di speranza
dolce e amaro insieme?
Che cos’è l'amore
se non è nella tua voce morbida
nei miei sogni inconfessati
nei nostri giochi spensierati
se non è il nostro destino
se non è arrendersi e diventare sempre più indifesi
se non è cercarti ovunque
aspettarti altrove
amarti comunque?
Che cos'è l'amore adesso che ti amo?
Non rispondere.
IL MARE E LA LUNA
Come far emergere
le parole e i suoni
gli echi magici e le memorie sommerse
custoditi con tanta inutile gelosia?
Che farne ormai
di tanti tesori pietrificati
del mio pensiero raccolto da un gabbiano
che non volerà mai in alto quanto te?
Che dire ancora
in questo silenzio troppo salato,
come mutare il mio letto di sabbia
in una distesa d’oro per il giorno
e d’argento per la notte
prima che il sole torni a portarti via?
Il mio canto soffocato
non raggiunge neanche
il lembo più estremo della tua terra.
E sei la sorda straniera
che passa ogni notte
mi guarda
ma vede solo se stessa.
PRIMA O POI
Facile come rincorrere un fulmine
e tenerlo acceso con un semplice sguardo
come contenere tutto il presente
nel palmo della mano
da leggere anche solo sul dorso
tra vene, pori e capillari;
come una geografia decifrabile dell’aldilà
come un’assurdità.
Facile come può esserlo
una prova superata
che si ripete costantemente
con l’incubo che sia stato un caso
ma che prima o poi...
Facile come può esserlo
niente che ci riguardi
come tutto ciò che vogliamo
e che prima o poi perdiamo.
Facile come il sonno quando non dormi
e la veglia quando hai sonno
come aspettare ciò che non c’è
e quando c’è ciò che non aspetti
ma che prima o poi...
Facile come può esserlo
solo l’inganno e l’illusione
perché prima o poi
la verità diventa facile.
(Sempre poi).
La saliva a volte si fa grumo
- ispessito dal fumo e dalla sete che scava erosione dentro l’esofago
alla ricerca del passaggio
verso un sommerso ogni volta più profondo
sospeso fra gola e stomaco:
distanza in progressiva e continua espansione.
Talpe o marmotte
potrebbero ancora insorgere improvvise
come in certe notti
che inghiottire quasi non basta.
Il sorso della saliva
tarda ad arrivare fino al fondo
indica un passato che avanza
sprofondando
e un futuro in evidente diminuzione;
segno di un presente
ancora lontano o, peggio,
già trascorso nel frattempo.
Amo la mia vita strappata
fra cielo e terra
che si consuma a fuoco lento
e che l’acqua non disseta.
Amo la passione
che incolla gli occhi all’orizzonte
e porta il calore fino alle dita.
Amo la paura
che accompagna ogni confronto
come se fosse il primo o l’ultimo
e ti fa scegliere di barcollare sempre
sul filo più invisibile e sottile.
Amo quella voce fioca
che fa resistere
e non t’illude di esistere.
Amo questa mattina
con le lacrime addosso
senza un falso perché,
questa gelida alba appena rosata
amo questo desiderio
di essere vera quanto lei.
Io
senza i miei petali
arresa
mi piego
all’ultima
inesorabile
frustata di vento
All’inferno
non si è liberi
che di essere démoni:
il bene
resta l’illusione
di angeli
dalle ali spezzate.
Se t’incontrassi
nella nebbia
lungo un burrone
o in piena notte,
anche chiudendo gli occhi
non barcollerei.
Scrivere per portare alla luce
l’estenuante rincorrersi di movimenti simili
per seguire quel filo immaginato
che non legherà pezze d’anima strappate
resterà un invisibile fantasma
e non servirà a sopravvivere meglio.
Scrivere per urlare ragionatamente
ad un abisso di sordità
per non riposare mai il furioso cercare
per raccogliere segnali
da poche briciole sparse
e per raccontare menzogne incredibili
uniche costanti risposte
alla fatica di esistere e decidere.
Scrivere come si abbaia alla luna
come si accende una candela
- quanto dura? come si spezza il pane
e come si vorrebbe amare.
Scrivere per infiorare deserti
per ammazzare la morte
rispettando i silenzi e le distanze
santificando gli istanti.
Scrivere per durare.
Sull’orlo del margine
è più difficile stare
sempre al limite dell’indecisione
ma senza esitare.
Non c’è zona franca
neanche per chi osserva
perché lo sguardo ha sempre una direzione
e le parole un timbro di voce;
anche le domande sono già un’indicazione.
Cerco casa sull’orlo del margine
senza il nome sulla porta
né cancelli o recinti
in una valle aperta
dove poter sostare e ritornare
che chiara e nitida
si distingua nella nebbia
per tutti quelli che potranno arrivare.
PER IL 2000
Il verso spezzato
come valanga di pietre
il seme disperso
sulla terra incolta
arida
una coltre di grigio
e tu che ti accorgi del ritardo.
Siamo nati in ritardo
ma ciò che ci annulla
è ancora lo stesso;
lo urliamo con rabbia
a chi l’ha già detto
e ora rimane in silenzio.
FILASTROCCA
Eterno ritorno di un circolo su se stesso
eterno girovagare di smeraldi su oro
eterno rimpianto per ogni diverso caso
eterno zampillare di linfa morbida
su terra putrida
come palude annebbiata d’autunno
eterno rinnegarsi
ribellione vile
solitudine.
Perdono per tutta questa eternità strappata
per questa banalità divinizzata,
perdono per questo pentirsi
eternamente inutile.
Potessi stringere le mani
per aprirtele davanti
finalmente libere
e capire
che d’ora in poi
nessuno cercherà più di legarle.
Guardarmi
e vedere solo te
smettere di fuggire
di nascondere la paura
proprio nel luogo più evidente
avere la forza
di abbandonare tutto questo dolore
per imparare finalmente a soffrire.
Potessi volerlo davvero
almeno un solo attimo…
Vivere fa male.
Pensare, anche peggio.
Amare è drogarsi.
Scrivere è disintossicarsi.
E siccome non si può fare a meno
di vivere pensare ed amare
si continua a scrivere
fortunatamente.
PONTE DI VETRO
Salta.
Scappa da te stesso
buttati nel vuoto
appeso all’elastico di gomma.
Dimentica l’ordine e le sue leggi di sempre.
Lascia sul ponte la tua pesante sacca da viaggio.
Libera nell’aria i desideri e vedrai
piangerai di gioia
fra le lacrime riderai di libertà.
Guarderai una realtà capovolta
il mondo al rovescio.
Cosa c’è sotto?
Cosa c’è dietro?
Cosa c’è oltre?
Lo vedrai. Non sarà più lo stesso.
(Magari peggio).
E fuma.
Scappa e ritorna: non ti riconoscerai.
Non la voce degli altri intorno
e neppure la tua, che non è più tua.
Galleggerai attraversandoti
e per un po’ ti piacerà di più
immerso nel doppio livello
nella doppia versione\dimensione
nella doppia verità.
Ma poi, dimmi,
tu a quale crederai?
E balla,
balla che ti passa
balla che il corpo si muove da solo
ti comunica a chi non ti guarda
ti scopre ad occhi che non vedono
e ti spoglia, ti denuda, ti scortica
per mani che non avranno carezze.
Era talmente bello
che sembrava tutto vero.
Come l’amore.
A che ti serve, adesso,
aver guardato il mondo al rovescio?
Soltanto a capire quanto l’avresti voluto diverso
che diverso non sarà mai.
Eppure lo sapevi anche prima:
saresti rimasto un banalissimo esploratore
che muore da solo comunque.
Come chiunque.
POEMETTO PER G.
I
I ricordi
morsicano l’anima
e succhiano il nettare
rosso fragola
che ancora sgorga
da dentro.
Utile inchiostro
per il calamaio che trafiggo
con l’ultima penna rubata
alla piccola squaw
mentre attende
testarda
l’inutile ritorno
del suo grande capo indiano
sconfitto.
Ma se rido
le notti
che la sento piangere
vedo il suo orgoglio
sbranare i ricordi
e balzarmi addosso
regale come una pantera
trafitta
per divorarmi cruda.
II
Cruda e divorata
ma anche sopravvissuta
e adesso integra come forse non mai.
Io capo e squaw
belva e pasto
ora mi basto.
A ME STESSA
I
Chi sei
da dove vieni
piccolo mostriciattolo sanguigno
acciaccato e semidistrutto
cucciolo di elefante
che ti ostini a voler danzare
su questo pavimento di lame
fra tutte queste trappole per topi....
...se potessi incontrarti ti leccherei le ferite
se sapessi dove, ti porterei in salvo
se sapessi perché, ti spiegherei.
Invece posso solo seguirti ovunque
piangere e sorridere con te
guardarti mentre fai l’amore
e respirarlo insieme a te
sussurrare in mezzo alle tue grida
le parole più dolci
abitare i tuoi vuoti
confondermi tra i tuoi vestiti
accarezzarti nel sonno e proteggerti
fino a quando ti servirà
fino a quando diventerai me.
Ricordati chi sei.
II
Ricordati chi sei.
Ricordati di quando ti ho trovata
rannicchiata sul pavimento
che rantolavi
e avevi paura di farti guardare
perché vedevi con un occhio solo
quelle orecchie fantasmagoriche;
marziana testuggine
dal corpo sproporzionato
mummia pietrificata
da secoli di silenzio
eppure neonato groviglio
di lievi colori solo percettibili
germoglio del fiore più bianco
e più puro al mondo....
Ricordati
che ti ho vista sbocciare con la prima rugiada
infinite volte
e ho osservato le tue mutazioni
con la stessa sorpresa di sempre
con un sorriso
ho ridisegnato le tue orecchie
raddoppiato la tua vista
proporzionato il tuo corpicino asfittico
ho spiegato e spolverato le tue bende
e spruzzato di profumo tutta la tua pelle.....
Ricordati
che poco a poco
diventerò te.
Ricordati chi sono.
CARNEVALE ’98
Indosso i tuoi vestiti vecchi
i tuoi indumenti smessi
li porto ancora
li mando in lavanderia
li custodisco come fossero nuovi
e li mantengo in vita con la mia vita.
Intanto ti vedo dentro le boutiques
acquistare vestiti nuovi da usare e poi smettere
frugare freneticamente fra i cassetti
per cercare compulsivamente
nuovi finimenti da indossare
nuovi look da inventare
per il prossimo nuovo,
nuovissimo tuo carnevale.
Sono scesa dal carro
con questi vestiti usati ancora più che buoni
e con qualche ciondolo che avresti voluto amuleto;
a te ho lasciato
tutte le maschere della collezione
oltre al nome inciso sulla targa arrugginita
di una cornice che rimarrà senza soggetto
- dipinto o specchio che fosse ed il nastro sordo
che recita all’infinito
solo quella tua identica voce vana...
...perché tutto ciò che avevo escluso a priori
poi lo hai scelto proprio tu
e alla perfezione.
Invece ti ho risparmiato
il sopravvissuto superfluo necessario al mio deserto:
un vecchio spaventapasseri
coperto dai tuoi vestiti smessi
perché respinga - sempre ugualmente integro gli eventuali attacchi dei corvi
all’inseguimento di carovane in fuga
o le probabili planate sospese
di avvoltoi in prossimo agguato
e tutte le impossibili sanguisughe
mascherate da finte coccinelle portafortuna.
MELA - NCO - LIA
Lia è ancora una mela marcia:
il morso che attanaglia
non si cancella
la deturpa fino all’osso
dov’era più sottile e tenera
la vergogna di essere monca
già mangiata da una parte sola.
Rossa e candida
ti ruoterà attorno
e se la guardi altrove
si girerà ancora
perché tu veda sempre quell’unico stesso lato
non intaccato
senza alla fine vedere più niente.
Nel labirinto
ruota, rantola, reclina;
inseguirla non servirà:
non mangiare la mela marcia!
Potrebbero caderti i denti...
...o altrimenti
potresti consolarla di essere lia
- la mela ancora marcia che ti si scioglie in bocca
mentre ne sputi i semi
prima di aver finito
o addirittura cominciato.
Cannibale. Cosa cercavi?
Cosa credevi?
Una mela marcia è monca
e una mela monca è marcia.
Sempre.
Non lo sapevi?
Vattene, adesso.
Non potresti danneggiarla oltre.
E’ soltanto lia
che se ne resta a metà.
SINDROME DI STENDHAL
Un paggio
alla corte sfolgorante della primavera
giunge da lontano
con una cascata di delizie in grembo
a sfamare divinità e ben nati in convito.
T’indovino.
Inutile chiedersi il motivo
o mettere ordine, adesso.
Non c’è tempo e forse ormai ho imparato.
Quindi m’inabisso.
Il sopracciglio che s’inarca
- ironia della sorte e subito un’ebbrezza sale
avvolge ovunque
inattesa
millimetri di carne diversi;
poi cerca l’errore o la sbavatura
giusto per svolgerne l’incanto.
Ma se galleggio nel vino che scorre
dalle cascatelle sullo sfondo fino al centro
non è certo per il baccanale
o per il sapore leggiadro dell’aria.
E’ per lo sguardo d’aquilotto nel paggio alato.
(Quali sono le coordinate?
Non credo a quelle dell’opuscolo
né tantomeno ai percorsi suggeriti.
Molto più semplice quando ti accorgi che è primavera.)
Indescrivibile, comunque
a inizio stagione
vederlo già volteggiare oltre la tela…
E quasi insostenibile, adesso
immaginarsi falchetto rapido
- ancora convalescente –
involato sul residuo di quella scia
e pensare di non poter atterrare
che sopra quella sua spalla arrotondata.
Nella prigione subacquea
delle ciglia sbarrate
oltre le orbite
dentro ogni incavo
annega questa musica
orfana di note
e si deposita sopra un fondale
di relitti ammutoliti:
ho solo tuffato
un sassolino, in superficie.
Ma le circonferenze perfette
che al suo tocco
si spalancano nell’acqua
non sono liquide
riflettono l’illusione di un centro senza contorni…
Ne affiorano soltanto i bordi slabbrati.
COME NOI
Aggrappati
Stringimi
Non temere
Ti porterò in salvo
Ti sosterrò se barcolli
Ti plasmerò
come ancora non sei
come ti vedo
come ti sento
come mi sembri
(lo sei?)
Mi aggrappo
Ti stringo
Non temo
Mi porterai in salvo
Mi sosterrai se barcollo
Mi plasmerai
come ancora non sono
come mi vedi
come mi senti
come ti sembro (lo sono?)
Non vuoi?
Davvero non lo sei?
A chi mi aggrapperò?
Chi stringerò?
Chi mi porterà in salvo?
Vorrei
Chi?
Tu?!
Me!
Ne hai bisogno?
Addio
E adesso sparisci
Dilèguati
Quando?
Perché?
Senz’altro
Ti volevo come sembravi
perché sembravi come ti volevo
ma in fondo lo sapevo
che non avresti potuto
se anch’ io sembro come me.
Ti credevo diversa
perché sembravi come ti credevo
ma l’ho sempre saputo
che sembra e non è
chi sembra come se’.
(Chi manca?)
SENZA
Solo, soltanto e semplicemente
senza.
Al vuoto respingente
oppongo il sottopieno di latta dei miei sogni
ecco tutto.
Alla fine
solo, soltanto e semplicemente
senza più cercare oltre
la coltre stranamente ardente
dei fuochi fatui
o di questi finti fiochi lapilli.
Assente
(mio malgrado)
e questa volta perdutamente.
Il tempo non mi spaventa
mi accompagna.
Il tempo è comprensione
le domande sono il codice
e il tuo sorriso la sua risposta.
CUORE DI FATA
I
Tu che non appartieni a questo mondo
forse ancora non sai
questo doloroso sognarti da sveglia
per scampare agli incubi,
né quanto mancavi
al buio che ti separava
mentre dentro agli altri
sembravi proprio tu
invece dei soliti fantasmi.
Crudele sortilegio del mio cuore sbarrato.
Eppure,
persino nelle favole gli incantesimi si sciolgono
e alla fine ci si sveglia sognando.
Mi cerco ancora nell’universo
senza più confonderti con me.
Semplicemente ti attraverso.
E ad ogni tocco un nuovo risveglio
per questo cuore espanso
che danza col tuo, tutto fatato.
II
Siediti e ascolta.
Ho conosciuto una fata bellissima.
Gambe lunghe
occhi profondi come la notte
sorriso aperto e invitante
come una bandiera spiegata
che sventola sinuosamente leggera.
Bella.
Inquietante silenzio
misterioso e affascinante
con la forza di un gigante,
lo stelo di gocciolante di rugiada
profumato e inebriante.
Questa fata e nessun’altra
divenuta realtà
dal nudo sogno possibile
che non mi stanco di sognare.
Continuo a desiderarla
e la cerco come se non esistesse
viene e non smetto di seguirla
mi segue mentre seguito a trovarla
la scopro ed è già scomparsa
scompaio e so già dove mi aspetta.
Eppure ho paura di perderla
di svegliarmi quando la sogno
di sognarla quando sono sveglia
nel silenzio diventato denso
parole troppo intense
coprono quella voce di miele
e un corpo avido fa tremare le mani.
Ha baratri immensi
dove si espande immobile
tanto da spezzarmi il respiro e restituirmi a ciò che sono,
inesorabilmente infinita.
Mi coltivo spalancandomi lentamente
affacciata su di lei
ancora in bilico sul bordo di me.
Nero di seppia e alluminio
a far luce.
E’ solo un caso
sarà stato il caso
ma non voglio attendere invano.
Attenzione, niente più attese.
Ed ecco il grigio
senza barlumi o luccichii…
era tanto che aspettava,
non a caso.
COME VUOI
Già via.
Vai via.
Via vai.
Swing, fisarmonica e nostalgia
di già.
Come mi vuoi
(ma mi vuoi?)
cosa mi dai
se separi l’odore di spezie dal buio?
Avrei voluto berti l’anima
e poi nuotare nel verde
ma credo fosse già salita
su quel pullman perduto…
…e non riesco neanche a piangere
nel silenzio
di questo laghetto sonnolento
che mi galleggia
mentre
senza alcuna decenza
giura di non averci visto mai.
RICORDA CHI SEI
Lo ripete il verso scritto dietro
chissà quando
e lo dice anche la mia faccia allo specchio,
stamattina.
Oggi c’è un sole completamente nudo
col sapore di tutte le mattine distratte
che ti svegli e non te ne accorgi
e magari non ce la fai, ma devi continuare
e mentre cerchi almeno un motivo che ti muova
dimentichi.
Per quel sollievo,
sei disposto a ringraziare chiunque
tranne chi si è spogliato apposta per te.
E’ questa l’ora
- sempre uguale che ti sveglia
per l’appuntamento col morbido
incauto
contatto con te;
venuta a spiare gli incanti e i sussurri silenti
della tua casa senza persiane
a benedire cunicoli appena rosati
da un tenue bagliore composito.
E’ questo il tuo tempo:
si apre
riemerge nascendo
dilatato sorride
e danzando
torna a dipingerti nuovo.
E’ ora di esserti complice.
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