Trimestrale d’informazione culturale Contiene il supplemento IL LERCARIANO a cura della Biblioteca Lercari Quaderno n. 20 – Settembre 2013 Municipio Genova Bassa Valbisagno Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected] 2 Prefazione (di Bruna Pedemonte) Ecco a voi, il fatidico “C’era una volta…” Veramente appropriato l’aggettivo fatidico, per questa locuzione; spesso, da bambini, abbiamo atteso trepidanti lo svolgersi della storia, dopo l’amato “C’era una volta” che immediatamente ci sobbalzava nel petto, creando l’attesa:… “C’era una volta…” e la mente si riempiva di draghi, principesse, magici intrugli o doni di fate… Poi, il “C’era una volta” del papà, che raccontava di giochi dimenticati, o di guerra, o di sacrifici che adesso, purtroppo, sembrano più reali di quanto potessero sembrarmi allora; o il “C’era una volta” della nonna, che narrava di avi coraggiosi e di bisononne “settimine” guaritrici generose… Ora siamo qui, con i nostri cuori, a regalarvi i nostri “C’era una volta” col sincero intento di rallegrarvi o emozionarvi. Spero vi siano graditi, buona lettura! 3 C’era una volta Molti anni fa la vita procedeva bene per tutti nella mia città. I padri andavano sorridenti al lavoro, mentre portavano da casa i loro pasti, ben sapendo che alla fine della giornata sarebbero tornati a casa a passare il tempo con i loro amati. La vita nel paese era bella, tempo fa. I ragazzi giocavano nelle strade dove non v’erano pericoli. Le madri li facevano uscire al mattino e li richiamavano all’ora di pranzo. Nessuno si perdeva od era rapito e giocavano tutti insieme. I bambini ascoltavano i consigli delle donne, che fossero o meno la propria madre. I bambini più grandi andavano a scuola, dove imparavano a contare, leggere, scrivere, essere bravi cittadini. Ogni bambino era avviato ad una sana educazione. Ai più piaceva apprendere; volevano migliorare ed avere successo. Le madri passavano le giornate al lavoro in casa, cucinavano e curavano la casa in attesa del ritorno dei famigliari. Nelle giornate di sole uscivano a parlare e ridere con i vicini, tenendo d’occhio i bambini che giocavano. I bambini erano amati e protetti. Nei giorni di festa le famiglie passeggiavano nei boschi, nuotavano e pescavano nei fiumi e cercavano piante e bacche lungo i sentieri. Chiunque era il benvenuto al fuoco dove venivano cotti i pesci e si passava il tempo a raccontare storie, al tramonto. Un giorno una grande società giunse in città. Volevano costruire una grande strada, una diga ed aprire delle miniere. Fecero promesse di prosperità per tutti gli abitanti, più lavoro e case migliori. Promisero tutti quei beni che si trovavano nelle grandi città a sud. Alcuni non volevano quel genere di progresso, che comunque arrivò. E col progresso si tagliarono gli alberi, si inquinarono i fiumi e morirono i pesci. Forestieri di passaggio gettavano immondizia 4 sulla nuova strada, che divenne il cimitero di animali selvaggi che non avevano idea di cosa fosse una superstrada e provavano ad attraversare com’erano abituati ad attraversare i sentieri nel bosco. Venivano falciati da macchine veloci e grandi camion che trasportavano la merce ai nuovi negozi, nei quali la maggior parte della gente non poteva permettersi di acquistare. I giovani divennero tristi e disillusi, realizzando che le promesse fatte non erano state mantenute; capirono che le bugie delle grandi imprese erano state parole vuote, tese ad ottenere qualcosa dalla popolazione. Videro forestieri arrivare per lavorare nelle miniere appena aperte e le loro famiglie lottare per sopravvivere e scoprirono un nuovo sentimento: il rancore. Volevano ciò che vedevano nei negozi scintillanti, volevano le macchine di lusso che i forestieri guidavano sulla nuova strada, mentre si dirigevano oltre il paese. Gli anziani erano preoccupati di quei cambiamenti, i ragazzi bevevano alcool e assumevano droghe portate da forestieri decisi a lucrare sulla rabbia della gioventù. I giovani cominciarono a rubare, mentire, disobbedire ai genitori. Forestieri arrivavano e portavano via i bambini, alcuni di forza, molti di più lusingandoli con ciò che le famiglie non potevano comprare loro. L’immoralità si sparse fra le ragazze, i maschi dimenticarono l’onore e l’obbligo di proteggere gli indifesi e pensavano solo a sé stessi. La vita come l’avevano conosciuta era stata spazzata via, e non erano in grado di fermare gli eventi. Una volta la vita era bella e si sentivano benedetti. Ora sentivano solo la maledizione del cambiamento. Finché un giorno un uomo anziano decise di apportare i propri cambiamenti. Fece dei cartelli invitando i nuovi arrivati ad andarsene, avvertì i locali di non andare nei grandi negozi ed utilizzare le carte di credito, di tornare al passato e cercare di curare la terra e l’acqua. Alcuni lo seguirono, ma ormai era troppo tardi. La terra era troppo malata per guarire, dopo che le aziende l’avevano 5 sbancata dagli argini dei fiumi per far passare tubazioni che portavano i veleni che stavano inquinando l’acqua. Gli alberi non riuscivano a stare in piedi sul terreno brullo lasciato dalle ruspe e poco tempo dopo gli uccelli sparirono perché non v’erano più posti per costruire i nidi, né pesci da catturare nelle acque inquinate. Fu così che un giorno il vecchio stava in piedi accanto al grande ponte che gli uomini venuti da lontano avevano costruito sulla via del villaggio, studiandolo per scoprire come spazzarlo via. Si era occupato di demolizioni quando era giovane e nella città non c’erano che amici e colleghi. Trovò i punti deboli e piazzò i candelotti di dinamite, e dopo aver regolato il timer perché l’esplosione avvenisse di notte, si diresse alle miniere. Lì giunto posò altri candelotti nelle gallerie prima di allontanarsi. Andò al fiume e pregò, poi radunò la gente nella piazza e ricordò loro come andavano le cose in passato. Avvisò tutti di tenersi lontani dal ponte e dalle miniere nella notte, poi si inoltrò nella foresta. Giorni dopo, quando la polvere si era posata e gli stranieri portati fuori dalle gallerie, le aziende lo chiamarono omicida e terrorista. Volevano trovarlo e punirlo. I locali erano tranquilli e si chiedavano se fosse un terrorista o un eroe. Alcuni discussero il caso per giorni e la maggior parte delle persone ritenne che avesse sbagliato ad agire in quel modo, ma la voce interiore di alcuni sosteneva che avesse cercato di salvare la natura ed il corretto modo di vivere. Altri sapevano che era comunque troppo tardi, la strada sarebbe stata ricostruita, le cave riaperte e la vita sarebbe andata avanti, e che quella violenza si sarebbe rivelata inutile. Pensavano che gli invasori non se ne sarebbero mai andati, finché fosse rimasta qualche ricchezza della quale appropriarsi in quei luoghi. 6 Non lo trovarono mai, ma si dice che spesso, di notte, la sua voce si oda nel tuono, urlando alla gente di aprire gli occhi prima che sia troppo tardi, ed il suo viso è stato visto nelle fiamme degli incendi, mentre rideva degli uomini che cercavano di salvare gli alberi dall’incendio, perché fossero poi tagliati dalla compagnia che vendeva legname. Si diceva che preferisse bruciarli lui piuttosto che fossero utilizzati per arricchire le aziende e creare ulteriore rancore. Alcuni giovani sono andati via, altri sono rimasti, e molti fra i rimasti hanno cercato di guarire la terra ed i cuori delle persone. E’ un’impresa ardua e spesso si fallisce, ma poi pensano al vecchio uomo e provano ancora. C’era una volta un paese dove la vita scorreva tranquilla e piacevole, mentre ora è dura dopo che le aziende se ne sono andate ed hanno allagato le miniere, le strade sono in pessime condizioni e mancano i soldi per rimetterle a posto. Madre Natura si sta lentamente riappropriando della terra dov’erano costruite le miniere, ma nulla potrà davvero tornare come prima. E’ troppo tardi, e quando torno a casa piango rammentando il passato, prima che i dragoni delle compagnie minerarie e le streghe del rancore giungessero nel mio paese. E come tanti altri ascolto e guardo cercando di vedere o udire il vecchio e talvolta sento davvero la sua voce nel vento. Gli parlo e gli dico che comprendo le sue ragioni, pur non condividendone i metodi, e mi chiedo se mi ascolta e se gli importa di ciò che penso. Sono solo una persona, una delle molte che se ne sono andate, spero lui comprenda le mie ragioni, e spero lui sappia che anch’io sogno che le cose tornino com’erano una volte, ma come la maggioranza, so che purtroppo non accadrà. Jenny H Thornton Woodely 7 giugno 2013 7 di Mario Montagna Facciamo che… “Facciamo che un giorno…” Vive parole annegate in un desiderio infantile. “Facciamo che un giorno…” E tutti i sogni, poi, vacillano tra gli scogli del mare, si infrangono contro mura di pietra, e annegano travolti da una uguale triste e stancante malinconia. 1.8.2008 8 di Mario Montagna Mellonta tauta (…queste cose, nel futuro…) E queste cose solo il futuro saprà spiegarle. Sogni esaltanti e subito spenti, desideri appassiti, voglia di cose che avrebbero potuto essere e non sono state, lacrime di gioia e pianti di dolore… Sospensione eterna fra la terra e il cielo, fra dolcezza e delusioni: è questa la nostra vita. Incerta, come i passi lievi di un bimbo stupito. 9 Il était une fois.. . Il était une fois un Partner étincelant qui m’arriva avec le printemps, en cadeau pour remplacer ma petite voiture, voici un peu plus de 11 ans…tandis que je ne m’y attendais pas. Au début , j’éprouvais des difficultés à changer de modèle , puis peu à peu je m’habituais et trouvais surtout étonnant de pouvoir caser tous nos bagages lors des départs. De couleur gris clair avec des arabesques noires, aux lettres de « Quick Silver » , je lui trouvais de l’allure à « mon » Partner. Il vient de fêter ses 11 ans il y a presque un mois ; avec ses 243000km, il a traversé de « petits bobos » et des « maladies plus graves » ,mais il fut toujours un serviteur fidèle. A la veille de le remplacer par obligation, je suis triste de devoir m’en séparer. Il évoque tant de souvenirs tous plus merveilleux les uns que les autres. Lorsque avec mon fils et ses copains, on partait aux sports d’hiver à la Plagne, petite station très enneigée des Alpes et souvent particulièrement ensoleillée à 2000m d’altitude.. Que de bons souvenirs avec les petits « restau » le soir et les jeux de tarots et de cartes lors de la veillée , où parents et enfants ne faisaient qu’un.. . Lorsque chaque été et même à certaines petites vacances nous partions pour « Trégastel », cette petite station balnéaire de « notre Bretagne » pour repos, retrouvailles avec nos amis de là –bas, avec les planches à voile et les vélos sur le toit qui résistaient au vent en route…des tas de bagages et de piqueniques et que mon fils, grandi alors , prenait le volant avec assurance, tandis que nous avalions les kilomètres.. Il nous mena aussi pour visiter les châteaux de la Loire tous plus grandioses les uns que les autres et, par ailleurs la région des Vosges vertes et pleine de forêts et de cascades… Ah ! l’heureux temps, les découvertes tous ensemble …fous de ce Partner et du mobi-top, sorte de plafond en verre… Il fit bien des heureux aussi ce mobi-top avec mes élèves , quand, en10 seignante, une fois par trimestre, je participais aux conduites en les emmenant au cinéma, au Bowling ou au fast-food à leur grand plaisir, et qu’il contemplaient les étoiles pendant que je conduisais en faisant parfois de la discipline… tant ils étaient emballés . Je n’oublie pas non plus tous ces bons moments que j’ai pu vivre en allant à la mer avec une grande amie, Jeanette ou au cinéma avec Francine… Camille, une ancienne élève devenue grande ! pour nous rendre chaque semaine à la piscine ,et lorsque j’accueillis, pour la première fois une nouvelle amie avec un grand A, Marie France, découverte en faisant une erreur informatique et je la voies encore monter dans mon Partner tandis qu’elle avait pris le train pour venir me voir depuis la Wallonie. Et plus récemment , tous les allers et retours que je pus faire pour aller encourager et porter des repas froids, tandis que notre fils construisait sa maison à quelques kilomètres , soir après soir et week-end après week-end à « Comines » juste à la frontière belge que je découvris davantage grâce encore à mon Partner . Elle vivait cette voiture, avec des tas de choses à l’intérieur , des bouteilles d’eau, des friandises, des jumelles, des petits pansements… tout pour le confort de tous, pour aussi consoler les petites et les grands chagrins…bref, c’était notre seconde maison… un peu comme quelqu’un de la famille. Maintenant il va falloir s’en séparer, c’est triste mais obligatoire. J’ai l’impression que je perds un peu 11 ans de notre existence et je veux dire merci pour tous ces bons moments que ce Partner nous a permis de vivre… Objets inanimés avez-vous donc une âme ?(A de lamartine) bhaegeli 11 C’era una volta C'era una volta un Partner scintillante che arrivò in primavera, come regalo per sostituire la mia piccola auto, un pò più di 11 anni fa ... anche se non me l’aspettavo. In un primo momento, ho avuto difficoltà a cambiare, poi a poco a poco mi sono abituata e ho trovato sorprendente poter stipare facilmente tutti i nostri bagagli. Grigio chiaro con arabeschi neri e le lettere "Quick Silver," trovo affascinante il “mio” Partner. Ha compiuto 11 anni un mesetto fa; ha 243.000 km, ha attraversato piccole indisposizioni e malattie più gravi, ma è sempre stato un fedele servitore. Alla vigilia di una doverosa sostituzione, sono triste al pensiero di separarmene. Evoca molti ricordi meravigliosi alla mia mente. Quando con mio figlio ed i suoi amici, siamo partiti per La Plagne, piccola località delle Alpi molto innevato e spesso particolarmente soleggiata, sui 2000m .. Bei ricordi, il piccolo "ristorante" dove cenavamo, i mazzi di carte per le partite serali, in cui genitori e figli facevano squadra . Ogni estate e talvolta anche solo per qualche giorno partire per Trégastel, piccola località balneare della “nostra Bretagna" per riposare, ritrovare gli amici, con le tavole da surf e biciclette sul tetto che facevano rumore per il vento ... un sacco di bagagli e pic-nic e mio figlio, allora cresciuto, che si metteva al volante con sicurezza, e percorrevamo chilometri .. Ci ha anche accompagnati a visitare i meravigliosi castelli della Loira ed anche i Vosgi, con le loro foreste e le cascate ... Ah! i tempi felici, le scoperte insieme ... innamorata di questo partner e del suo tettuccio trasparente, che ha reso molto felici i miei studenti, quando ancora insegnavo ed una volta al trimestre, li portavo al cinema, al bowling o al fast food a loro scelta, 12 e guardavano le stelle mentre io cercavo di contenere le loro urla… erano così eccitati. Io non dimentico tutti i bei momenti che ho potuto vivere andando al mare con la mia amica, Jeanette o al cinema con Francine ... Camille, una mia ex studentessa! Andare ogni settimana in piscina, e quando ho incontrato per la prima volta una nuova Amica con la A maiuscola, Marie France, che mi ha aiutato con i miei problemi informatici, e la vedo ancora salire sul mio Partner, dopo aver preso il treno dalla Vallonia per venirmi a visitare. E più recentemente, tutti i viaggi che ho fatto per rallegrare e portare pasti freddi a nostro figlio che stava costruendo la sua casa a pochi chilometri, notte dopo notte e fine settimana dopo fine settimana a "Comines" al confine col Belgio, altro posto scoperto grazie al mio Partner. Ha vissuto questa vettura, con un sacco di cose dentro, acqua in bottiglia, spuntini, binocoli, piccole bende ... tutto per la comodità di tutti, per risolvere piccoli e grandi problemi ... insomma, era la nostra seconda casa ... un po 'come uno di famiglia. Ora è necessario separarsi, è triste, ma obbligatorio. Mi sembra quasi di perdere undici anni della nostra esistenza e voglio ringraziarlo per tutti i bei momenti che ci ha permesso di vivere ... Oggetti inanimati, avete un'anima? (A Lamartine) bhaegeli Traduzione di Fabio Sardi 13 Una Fa-VOLA (di Bruna Pedemonte) In un paese lontano, un principe di cartone sposò una principessa di bambù. Trascorrevano le loro giornate sereni, ignorando che il regno era in povertà, e che i sudditi vivessero stentatamente. Ma che volete, lei era una principessa elastica, ma vuota: lui, di un cartone un po’ rigido, in qualche punto era cedevole, ma la sua bidimensionalità lo rendeva un elemento di poco spessore. Nel regno viveva un cavaliere di specchio. Persona integerrima, si faceva un sacco di domande, perché era un tipo riflessivo. Triste per i sudditi del regno, un giorno decise di portare le sue proteste ai regnanti. Bussò alle porte del castello, e il principe di cartone e la principessa di bambù lo accolsero personalmente. Proprio in quell’istante, un raggio di sole molto intenso colpì il cavaliere di specchio e il principe e la principessa vennero fulminati dalle sue rimostranze infuocate. Di loro rimase solo un mucchietto di cenere. Il cavaliere di specchio prese il loro posto, e regnò abbastanza saggiamente, anche perché era sì, un tipo riflessivo, ma purtroppo anche lui, poco profondo… 14 Il principe e la principessa (di Fabio Sardi) C’era una volta una principessa, acida e brutta come il peccato, di rutti era una gran campionessa ed era odiata in tutto lo stato. Il principe non era poi molto diverso amava il suo SUV azzurro metallizzato ed il sonno mai aveva perso perché il popolo allo stremo era affamato. Ma tira e tira la corda poi si spezza e la massa capì ch’era giunta l’ora di far incontrar chi il povero disprezza e la falce della vecchia signora. E finirono la corsa sul selciato le principesche teste per le scale cadenti; ci fu grande gioia in tutto lo stato e vissero tutti felici e contenti. 15 La storia delle storie (di Marco Marzagalli) C’era una volta… Sì, ma quando? Ai tempi dei tempi, forse quando Cappuccetto Rosso rideva del lupo e se lo sbafava. Biancaneve mangiava la mela e si trasformava in strega cattiva. E i sette nani erano alti alti, quasi come i papaveri. Pollicino andava a spasso nei boschi in cerca di orchi, per cibarsene però. Ucci, ucci, sento odor di orcucci! gridava infervorato. Gli animali erano saccenti e parlavano agli uomini, li chiamavano a sé, gli lanciavano le cose perché corressero a prenderle. Alcuni avevano nomi strani, gli Houyhnhnms ad esempio, che avevano zoccoli e criniera ma erano assai intelligenti, pieni di raziocinio. I gatti portavano tutti degli stivali che consentivano a chi li indossava di compiere ben sette leghe a ogni passo, più o meno la distanza tra due paesi diversi. La tramontana soffiava dal mare, la pioggia asciugava, la neve era calda come sbuffi di vapore, la grandine era dolce come confetti. Tutto pareva a soqquadro. Eppure in principio era sembrato che le cose seguissero il giusto verso: a ogni uomo che nasceva povero era concesso prima o poi di saggiar la ricchezza, mentre al ricco si concedeva di provare una condizione più umile ché in tal modo ne avrebbe guadagnato in saggezza. Persino alla fine di ogni arcobaleno si poteva trovare una pentola piena di monete d’oro. Non c’era modo di finire in disgrazia, sembrava proprio di stare nel paese della cuccagna. Quantunque comparisse talvolta un’aberrante creatura o un bieco figuro, un malintenzionato propenso a incrinare la quiete pubblica e l’allegro trantran che tanto soddisfaceva la popolazione, c’era sempre un fiero paladino disposto a immolarsi per il bene di una causa, a fronteggiare il pericolo, a tuffarsi nella lotta che, anche se impari (per distribuzione di forze), lo avreb16 be visto prima o poi vincitore. Era il trionfo del coraggio e della abnegazione, della virtù conclamata che consacrava una nuova genia di uomini straordinari, gli eroi pronti a tutto che si tuffavano nell’agone più terrificante con indomito spirito di sacrificio (provate voi a cimentarvi con gli artigli affilati e l’alito infuocato di un qualsiasi drago medioevale). Erano tempi duri per i malvagi, destinati quasi sempre a soccombere. Tantoché quella moltitudine di esseri inquieti, di draghi, orchi, streghe, spiriti dannati… etc. pian piano si assottigliò fino a scomparire del tutto o quasi. Alcuni andarono in letargo, altri si ritirarono a vita privata in lande remote e sconfinate. I più ostinati, volendo continuare a calcare le scene, si dedicarono al vaudeville o al musical ottenendo discreti successi. (Così fu per il gobbo di Notre-Dame o il fantasma del Louvre, ad esempio). I pochi superstiti dovettero adattarsi alle circostanze, mutare la loro natura scellerata in una goffa propensione o personificazione grottesca che ben si adattasse alla rappresentazione sui palchi o sugli schermi. Divennero delle vere e proprie macchiette perdendo la loro temibile aura. Sparendo i cattivi, però scomparve la fantasia, si affievolì la capacità immaginativa delle persone che erano ormai destinate ad adagiarsi sugli allori, a veder tutto rose e fiori. Ma il male non sparì, si ritirò all’interno delle persone, cosicché ognuno esprimeva un’indole di per sé connaturata e al contempo il suo esatto contrario. La qual cosa ingenerò una sorta di lotta interiore, una disarmonia e un attrito che rendeva la gente ancor più scostante e controversa. L’asprezza di tale contrasto si manifestò in drammatiche esternazioni di carattere psicologico: le proprie magagne ciascuno le aveva in testa e i sonni erano irrequieti. C’era ormai chi sosteneva che gli uomini fossero divenuti peggiori dei nemici osteggiati. C’era stata un’inversione dei ruoli, certe brutture interiori cominciavano ad affiorare all’esterno, tutta la popolazione si era immusonita e persino 17 imbestialita. Non ci si fidava più uno dell’altro e tutti nutrivano dubbi, pure su se stessi. Tanto da rendere le cose peggiori di prima, quando i fatti erano chiari, vale a dire i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Intanto i malvagi rimasti (letterariamente parlando qualcuno li chiama antagonisti) si riunirono in un sindacato e intentarono una causa contro la società ritenendosi depauperati delle loro prerogative funzionali. Capitan Uncino, il Gatto e la Volpe, la Regina di Cuori, Baba Jaga e tanti altri, si predisposero a manifestare apertamente le loro idee e a far riconoscere i loro diritti dopo duri dibattiti e qualche giornata di sciopero. Però grazie a loro ebbe origine un sommovimento generale che, col passar del tempo, raccolse consensi da ambo le parti, anche dai buoni cioè, che erano stufi di far tutto da soli, di far la lotta con se stessi (ché ormai avevano le pigne in testa). Si giunse finalmente a stilare un accordo che non fu di pace bensì di ripresa delle ostilità, ma che ristabiliva così la giusta assegnazione dei compiti, onori e oneri egualmente distribuiti tra buoni e cattivi. Fu davvero il ritrovato senso d’orgoglio che riuscì ad appianare le cose con buona pace di tutti. Affinché non venisse più a mancare quel pizzico di pepe che insaporisce le vicende col giusto contrapposto, che non si dovesse dare tutto per scontato, che ogni cosa non fosse poi così semplice, che il benessere si dovesse conquistare battendosi: come del resto avviene sempre nella vita. Ma ci vollero anni, che dico! secoli per approdare ai modi e le usanze dei tempi nostri. 18 Arumi (di Sianne Ribkah M. H.) Sarah entrò nel ristorante con andatura nervosa. Il suo viso aveva un’espressione preoccupata. Erano già passati 7 anni da quando quell’uomo era sparito dalla sua vita senza un motivo apparente. Non aveva mai spiegato perché aveva abbondonato lei ed i loro figli; neanche una lettera d’addio. Sarah ne aveva denunciato la scomparsa anche ai canali d’informazione, dai quali però non erano mai giunti avvistamenti. Oltre a radio, tv e giornali, nella speranza che qualcuno sapesse, aveva utilizzato anche i social network, ma tutti i suoi tentativi erano andati in fumo. Aveva perso la speranza e si era arresa dopo due anni di ricerche prive di risultati. Quell’uomo era scomparso; anche genitori ed amici avevano perso i contatti. Sarah pensò fosse morto. Il tempo curò le ferite del suo cuore, spezzato da quell’uomo. Un pomeriggio, all’improvviso, Sam, suo figlio, le disse che una tale Arumi le aveva mandato un invito per le nozze. All’invito era allegata una lettera con un breve nessaggio: “E’ tempo di incontrarci. Se vuoi sapere perché ti ho lasciata, incontriamoci al ristorante alle 19,30. Attenderò il tuo arrivo. Jack Waltz.” Il suo cuore batteva all’impazzata e lei scoppiò in lacrime. Era indecisa se ringraziarlo o maledirlo. Non pensava di essere in grado di parlare serenamente con lui dopo ciò che aveva passato in quegli anni, ma nel suo cuore Sarah non aveva smesso di amarlo e voleva rivederlo. Era pronta a qualsiasi cattiva notizia, ma voleva sapere perché era stata abbandonata. Una volta compreso, lo avrebbe lasciato andare in pace con la sua nuova fiamma. La sua vita, ora, era serena anche senza di lui. Non pensava che un altro uomo sarebbe entrato nella sua vita, perché lei continuava ad amare Jack e nessuno avrebbe potuto 19 riempire il vuoto che sentiva. Neppure dopo che lui se ne fosse andato per sempre con la sua nuova donna. Un cameriere le si avvicinò e le chiese: “Per quanti, signora?” Sulle prime non rispose. I suoi occhi andarono alla ricerca dell’uomo che amava e che aveva promesso di amarla “finché morti non ci separi.” Non riusciva a vederlo. Singhiozzò, Quando stava per rispondere alla domanda del cameriere, una donna seduta a poca distanza da lei, la salutò con la mano. Sarah era incredula. Le sue gambe non riuscivano a muoversi, come se fossero state inchiodate al pavimento. Avrebbe voluto sorridere, ma neanche le labbra riuscivano a muoversi. La donna si alzò e si diresse verso di lei; poi, quando furono vicine, le accarezzò la guancia. “Ciao, Sarah” disse. “Tu… tu sei… Jack?” disse Sarah, che non riusciva a capacitarsene. “Come va? Sam e Phoebe stanno bene? Ti piace sempre alzarti tardi la mattina?” chiese, ricordando la loro passata convivenza. Sarah pianse. Non riusciva a rispondere a quelle domande. Avrebbe dovuto dire che non andava così bene come quando Jack viveva con lei? E che reazione avrebbe avuto se avesse saputo che Sam aveva tentato più volte di suicidarsi per lo stress? E che Phoebe tutti i pomeriggi sedeva nel portico a guardare le auto in transito, sperando che il padre uscisse da una di quelle auto per portarle dei regali? Tutta la famiglia aveva perso la testa a causa dell’uomo che le stava di fronte, che li aveva lasciati senza alcuna spiegazione. Jack scosse la testa e prese le mani di Sarah tra le sue. Stavano piangendo entrambi. I minuti passavano nel silenzio. I loro cuori parlavano, ricordando i tempi in cui vivevano insieme fe20 lici, quando erano stati entrambi colpiti dalla freccia di Cupido, e la nascita dei loro figli. Tutti quei bei ricordi erano vividi come fossero accaduti il giorno prima, e Jack si sentì in colpa. Si sentì investito dalla nuova situazione di Sarah. Ora non aveva di fronte la stessa donna che gli preparava il caffè e gli comprava il giornale e stava mano nella mano con lui quando parlavano. Era diversa! Più dura, più forte, più introversa. L’unica cosa che lo convinse che lei ancora lo amava era il fatto che ancora portasse la fede con il suo nome inciso. Il carattere poteva essere cambiato, ma il cuore era sempre lo stesso. Lo aveva donato ad un uomo soltanto… a lui! Era come una pugnalata al petto, e da Jack uscì un flebile lamento. Fu Sarah ad iniziare la conversazione. “Chi è il fortunato?” Jack fu scosso, poi rispose: “Loudy Marshall.” “Dove lo hai conosciuto?” “Su Facebook.” “Oh.” ”Mi ha cambiato.” “Più correttamente, ti ha strappato a me,” interruppe Sarah mentre si asciugava le lacrime con un fazzoletto. Jack stava in silenzio. Sarah gli prese la mano e chiese curiosa: “Lo ami?” Jack non rispose. Gli occhi di Sarah erano incollati su di lui. Poi Jack disse… “Il mio amore per lui mi fa volare libero come una farfalla…” Sarah si sforzò di sorridere. Poi disse… “Vai. Ma lascia che i nostri figli si ricordino di te come del padre, non come la zia Arumi.” Jack assentì. “Questo non potrà mai cambiare. Sam e Phoebe saranno sempre i miei figli e io sarò sempre il loro padre.” “Grazie. Ora devo andare,” disse Sarah alzandosi. Jack la trattenne. 21 “Verrai al mio matrimonio?” chiese con curiosità. Sarah fece una strana risata. “Voglio incontrare Sam e Phoebe”, disse, sperando che lei rispondesse di sì. Sarah non rispose e Jack non la forzò. La sua sparizione era stata molto dolorosa ed aveva lasciato ferite profonde nei suoi figli e in quella donna. Sarah era stata abbastanza coraggiosa da andare all’incontro ed era sufficiente per farlo sentire libero e non colpevole. La lasciò andare. Il tempo passò e giunse il giorno del matrimonio, quando Jack, ora ARUMI promise di nuovo, e stavolta ad un uomo, di amarlo finché morte non li separi. Forse stavolta sarebbe stato vero, o forse un giorno sarebbe giunto qualcuno ad infrangere quel voto. Quando la cerimonia era quasi conclusa, giunse Sarah con i suoi figli. Jack riuscì a controllare i suoi sentimenti e non corse ad abbracciarli, perché lui non era più Jack Waltz. Di fronte al sindaco aveva pronunciato la sua promessa come ARUMI, era una donna con un vestito bianco e atteggimenti femminili. Il marito chiese:”Li conosci, Arumi?” Lui rispose affermativo: “I miei nipoti.” “… e la donna?” Jack guardò Sarah, che disse: “Sono sua sorella.” Jack era molto sorpreso e Sarah sorrise. Si incontrarono spesso dopo il matrimonio. Sarah continuava ad amarlo come il suo uomo, suo marito… e il padre dei suoi figli. Sam e Phoebe conoscevano Arumi come la zia. Jack e Sarah decisero di mantenere il segreto. Sarah lo fece per continuare a vedere Jack e Jack per salvare la serenità del rapporto con suo marito. Quell’uomo non sa che sua moglie, ARUMI, era il marito di Sarah e che il loro legame si era intensificato dopo il suo secondo matrimonio; ora Sarah era sua complice. 22 La figlia del sultano e l’incantesimo rubato Oggi sull’isola del Corneo – in Oriente - la gente è in trepidazione: si sposerà Alib, la figlia del ricco sultano del posto, con il suo promesso sposo Rakakuna. Si sono già giurati amore eterno davanti alla folla acclamante. Alla festa di nozze nel sontuoso palazzo da 1.888 stanze saranno presenti 4000 invitati. Alib indosserà uno sfarzoso abito di raso tempestato di cristalli. Rakakuna un vestito broccato con fili d'oro e d'argento e con motivi in rilievo. Questo matrimonio da mille e una notte è ormai diventato la notizia più chiacchierata dell’anno. I riti nuziali, in linea con lo stile di famiglia, si protrarranno per oltre 10 giorni. Finalmente si realizzerà il sogno di Alib, la cui grande bellezza aveva da sempre attirato le invidie delle altre donne che le stavano attorno. Da bambina la figlia del sultano aveva frequentato la scuola presso una delle mogli del padre per essere educata ad essere una sposa sottomessa al marito ma intelligente. Infatti, per quanto l’aspetto fisico fosse importante, la mente femminile doveva comunque essere ben esercitata attraverso lezioni di lettere, filosofia, matematica, musica e astronomia secondo l’etichetta. Alib fantasticava da sempre sull’amore, anche se non conosceva ancora il suo promesso sposo, ma era conscia del fatto che – una volta trovato - avrebbe cambiato radicalmente la sua esistenza. Da qualche tempo il padre le cercava un buon marito, ma - non volendola forzare contro la sua volontà - non era riuscito a trovare nessuno all’altezza. Tuttavia Alib era certa che avrebbe riconosciuto l’amore con la A maiuscola. Da quando era piccola, teneva appeso al collo un ciondolo a forma di lucchetto che le aveva donato la sua balia come buon auspicio. Col passare degli anni la giovane si era convinta che il suo principe azzurro le avrebbe offerto la chiave per aprire la serratura e quindi conquistare il suo cuore. Quando Alib compì 23 anni, arrivò uno straniero da una terra lontana e sembrò regalarle proprio la chiave che lei stava aspettando. 23 La figlia del sultano avrebbe dovuto essere al colmo della felicità, invece la sua anima si riempì di tristezza. Quel tizio, anche se la ricopriva di attenzioni, non le piaceva, ma lei non poteva rifiutarlo perché le aveva portato quello che lei pareva attendere da anni. Il sultano invece era al settimo cielo perché lo straniero millantava di essere un principe proveniente da una terra feconda e rigogliosa. Inoltre aveva al suo seguito ben 40 servitori e sapeva combattere abilmente, quindi avrebbe potuto sbaragliare tutti i nemici del Paese. La giovane però continuava a non sentirsi a suo agio, quando a un tratto comparve davanti a lei un pappagallo con le piume dai colori sgargianti e che teneva nel becco la chiave del pretendente. All’improvviso essa cominciò a muoversi fino ad assumere le sembianze di un lombrico nell’atto di contorcersi. Alib allora capì: era vittima di un sortilegio e il principe che l’aveva chiesta in moglie non era altro che uno stregone. La ragazza doveva scappare, ma come? Il pappagallo le mostrò la coda e a lei venne istintivo afferrarla. Allora l’animale aprì le ali colorate e si trasformò in un arcobaleno. La donna si accorse che poteva attraversarlo come se fosse stato un ponte sospeso nel vuoto e così riuscì a passare sopra il mare fino ad arrivare su una terra lontana dove si trovava una immensa libreria nascosta tra le case pitturate. Inoltrandosi nei lunghi corridoi della stessa, fu colpita dalla copertina brillante di un libro. Lo aprì e scoprì che esso celava all’interno delle pagine una chiave che s’incastrava perfettamente nel lucchetto che lei portava ancora addosso. Sulla lama c’erano incise le seguenti lettere: Rakakuna. Che nome strano – pensò – e pronunciò a voce alta la parola. In quell’attimo spuntò dal nulla un bellissimo giovane che le sorrise amabilmente e le porse la mano. Poi le sussurrò: “Hai sciolto un maleficio ed ora se lo vorrai, sarò tuo”. Lei questa volta non ci pensò nemmeno un secondo e rispose di sì. Paola Carroli Calcagno 24 Il gigante e il coniglio (di Enrica Vacca) C’era una volta un uomo alto alto, per tutti era “Il Gigante”, ma Il Gigante non amava questo aggettivo; i suoi genitori, infatti, il Signore e la Signora Altrofronte, un nome glielo avevano dato! Giulio Altrofronte, dall’alto dei suoi tre metri (essì, tre metri!), a dispetto della sua mole era un uomo timido e riservato, che amava lavorare il legno ogni giorno: creava fantastici oggetti e bellissimi mobili, passando il tempo ad intagliare, levigare, lucidare… ed aveva la sua casetta (piccola per un uomo così grande) colma di ogni oggetto che la sua fantasia gli aveva suggerito di creare. Ciò che più Giulio amava era l’odore di quel materiale, che gli riempiva i sensi e l’anima, facendolo sentire meno solo di quanto in realtà non fosse. Giulio viveva sulla collina più alta di Piccola Roccaforte, un villaggio abitato solo ed esclusivamente da nani, sempre presi dalle proprie faccende, e che poco si curavano di lui. Chi lo aveva visto girare per il paese, quelle rare volte in cui Giulio usciva per raccogliere la legna e passeggiare nei boschi sino al fiume Acquafresca, lo descriveva come un mostro, una creatura innaturale, “così lungo da fare spavento”. Si ipotizzava persino fosse muto, dato che nessuno mai lo aveva sentito proferire parola. Di certo Giulio non amava la solitudine, ma vi era costretto, abituato dall’infanzia a vivere nell’ombra, e rimasto solo da quando i genitori perirono improvvisamente alcuni anni prima. Rassegnato dunque ad una vita di isolamento, Giulio aveva imparato a godere ogni giorno delle piccole cose che la vita gli 25 regalava (un soprammobile con le perfette sembianze di un coniglio, per esempio!) Un giorno, durante una delle sue passeggiate, accingendosi a tagliare un bell’albero per raccogliere nuova materia prima, Giulio sentì una voce provenire dal basso, guardò con attenzione e, ad un certo punto, scorse un coniglio… parlante! Una strega di un vicino villaggio, infastidita dai comportamenti di un nano, famoso per la sua prepotenza ed arroganza, aveva deciso di trasformarlo in un coniglio ed abbandonarlo al suo destino, rivelandogli però – come ogni strega era costretta a fare – la formula per spezzare l’incantesimo: il nano sarebbe tornato alla sua forma originaria solo mangiando una foglia di erba medichina, che si trovava – guarda un po’ – sulla cima più alta del villaggio, poco dopo la casetta di Giulio, sulla sommità di una scala che conduceva ad un giardino magico, che si sarebbe rivelato solo ad un puro di cuore. Raccontata la sua disavventura al Gigante, il nano, terrorizzato, rassegnato ad una vita da coniglio (di certo tra i suoi amici nani nessuno si sarebbe potuto definire “puro di cuore”), emetteva strani versi (Giulio pensò stesse piangendo), convinto com’era che quell’essere, qualunque cosa fosse, di certo non si sarebbe curato di lui; Giulio, pensando però di non avere niente da perdere, si offrì di accompagnare il coniglio, per vivere così un’esperienza diversa, non sapendo però cosa aspettarsi. Arrivati all’ultimo gradino della scalinata, che Giulio aveva percorso con soli cinque passi, le fronde si spostarono e fecero spazio ad uno spettacolo meraviglioso: un immenso giardino colorato, ove ogni pianta e fiore si potevano trovare. 26 Individuata la pianta medicamentosa, il coniglio ne divorò una foglia, ed in men che non si dica tornò ad essere un nano, com’era sempre stato! Imbarazzato, ma conscio di dovere la vita al Gigante, il nano lo ringraziò, promettendogli in dono la sua amicizia, “non avendo molto altro da offrirgli”, pensò. Giulio provò una strana sensazione, di gioia e orgoglio insieme, e capì di essere parte di qualcosa adesso, di essere divenuto importante per qualcuno, di essere egli stesso importante! Giulio continuò ad intagliare e lavorare il legno, a passeggiare sino al fiume, ma ora non percepiva più quel peso che tanto lo aveva oppresso, ora un amico era con lui! (E chissà quanti altri ne sarebbero arrivati!) 27 GH’EA ‘NA VOTTA (di Bruna Pedemonte) Gh’ea ‘na votta, ‘na votta gh’ea çinque cravette e un becco da fèa. Quattro de çinque no n’àivan de læte becco da fèa àiva e corne mâfæte. Crava c’o læte fa ‘na scianca c’o a vacca fito a finisce che se a piggia in t’a stacca. Becco o s’araggia e c’o a vacca se piggia in t’o bailamme se ghe infia ‘na coniggia. C’a te ghe dixe: <Oh Becco da fèa! Saiesci un scignuro!? Te pàiva a màinea!? Pìggite òua e to corne mâfæte vannite a cà ti e a crava da læte!> 28 C’ERA UNA VOLTA C’era una volta / una volta c’era / cinque caprette / e un becco da fiera // Quattro delle cinque / non avevano latte / becco da fiera / aveva le corne malfatte // Capra col latte / sfida una mucca / presto finisce / con una sua disfatta // Becco si arrabbia / e si accapiglia con la mucca / nella confusione / si infila una coniglia // Che gli dice: / <Oh Becco da fiera! / Saresti un signore!? / Ti sembrava la maniera !? // Prenditi ora / le tue corna malfatte / vattene a casa / tu e la capra da latte!>// 29 L’ultimo sole (di Maria Giovanna Franceschi) Avanza, nell’ultimo sole, con incedere lento per compagno il bastone. E’ curva la schiena sotto il peso degli anni avanza, quasi a passo di lieve danza. Rugoso è il volto, ma giovane è il cuore, lo leggo negli occhi che ancor cercano amore. Il sole rischiara la via, stridio di macchine attorno é solo, quell’uomo, nell’incedere lento di consumati passi sul cemento di vita vissuta tra gioie ed affanni, dove ha sciolto le ore, e spesso, ha illuso il cuore. Ora, non ha più fretta, non ha più sogni, chiede solo un po’ di sole, un bastone un po’ d’amore! 30 Il bosco (di Fabio Sardi) C’era una volta un bosco, nel quale vivevano in libertà una gran quantità di animali. La maggior parte erano pacifici, principalmente galline, conigli e pecore. Vi erano anche un branco di lupi, che ogni tanto, seguendo la propria natura, mieteva vittime fra gli altri abitanti del bosco, ed una famiglia di sciacalli che si nutriva di carcasse. Un giorno nel bosco giunsero degli animali nuovi: erano alcuni gorilla, che erano stati cacciati dalla foresta dove vivevano i loro simili. Erano convinti che, a causa della loro mole e della loro forza, avrebbero regnato facilmente su quel bosco. Non cercarono di fare amicizia con gli altri abitanti, ma solo di tiranneggiarli. I lupi guidarono la rivolta; erano molto più numerosi dei gorilla, più astuti, ed erano diventati condottieri acclamati degli altri animali, che si erano loro affidati per l’emergenza. Fu così che i gorilla furono uccisi, il bosco tornò com’era, e gli sciacalli per un periodo furono estremamente pingui. Passò qualche anno ed arrivarono dei corvi. Erano numerosi, gracchiavano in continuazione e disturbavano il riposo altrui. Esasperarono sia i lupi che volevano dormire di notte, sia gli sciacalli che avrebbero voluto dormire di giorno. Gracchiavano alle tre e un quarto del mattino, all’ora di colazione, dopo pranzo, era un disturbo continuo e fastidiosissimo. Inizialmente tutti gli animali chiesero loro gentilmente di contenersi, ma i corvi non li ascoltarono. Erano gli unici a poter volare e si credevano al sicuro. Ma tutti loro erano dei buongustai, e le loro prede preferite erano alcuni insetti che dovevano per forza catturare sul terreno. Gli altri animali andarono dai lupi chiedendo loro aiuto. Il branco aveva già deciso di sbarazzarsi del problema ed a poco a poco sempre più corvi persero la vita planando in pic- 31 chiata per cibarsi degli insetti per loro così gustosi, fino a quando i superstiti, in verità non molti, volarono lontano e non fecero più ritorno. Tornò di nuovo la normalità per altro tempo, fino all’arrivo di un nuovo, temibile nemico: si trattava di un branco di giaguari, ben più numerosi rispetto a lupi. Conigli, galline e pecore erano assai felici. Erano abituati a temere i lupi e pensavano che adesso i giaguari avrebbero risolto il problema, eliminato i lupi ed essi avrebbero potuto vivere in pace. I giaguari ed i lupi si scontrarono tra loro perché entrambi volevano il predominio, ma nel frattempo entrambi i branchi dovevano nutrirsi e quindi gli animali più pacifici si trovarono con un numero di predatori molto maggiore e ad avere molte più vittime. E di nuovo fu la felicità degli sciacalli, che tornarono a banchettare. Una volta sconfitti anche i giaguari, i lupi dominarono nuovamente sul bosco mentre giovani galline, conigli e pecore, che per la maggior parte non avevano vissuto gli scontri precedenti, riflettevano su chi chiamare in loro aiuto per porre fine al problema del piccolo branco di lupi che continuava a mietere vittime tra loro. Fabio Sardi 32 INDICE Prefazione di Bruna Pedemonte pag. 3 C’era una volta di Jenny H Thornton Woodley Facciamo che di Mario Montagna Mellonta tauta (queste cose, nel futuro…) di Mario Montagna Il ètait une fois di Brigitte Haegeli Traduzione di Fabio Sardi Una Fa-VOLA di Bruna Pedemonte Il principe e la principessa di Fabio Sardi La storia delle storie di Marco Marzagalli Arumi (di Sianne Ribkah M. H.) La figlia del sultano e l’incantesimo rubato di Paola Carroli Calcagno Il gigante e il coniglio di Enrica Vacca Gh’ea ‘na votta di Bruna Pedemonte L’ultimo sole di Maria Giovanna Franceschi Il bosco di Fabio Sardi pag. 4 pag. 8 pag. 9 pag. 10 pag. 12 pag. 14 pag. 15 pag. 16 pag. 19 pag. 23 pag. 25 pag. 28 pag. 30 pag. 31 33 QUADERNI PRECEDENTI Quaderno n. 1 - La terra di Liguria Quaderno n. 2 - Passioni ed incontri Quaderno n. 3 - Festività, tradizioni e personaggi liguri Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto Quaderno n. 5 – I quattro elementi Quaderno n. 6 – Il sogno Quaderno n. 7 – Degli affetti Quaderno n. 8 – Il viaggio Quaderno n. 9 – Il lavoro Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione? Quaderno n. 12 – La bellezza Quaderno n. 13 – La fratellanza Quaderno n. 14 – Gli animali Quaderno n. 15 – Romanticismo Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza Quaderno n. 18 – La mia città Quaderno n. 19 – La pioggia Essendo la nostra un'Associazione Culturale libera ed indipendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsabilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle posizioni etiche e sociali contenute nei propri testi. 34 RINGRAZIAMENTI Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Letteraria” va alla dott.ssa Paola Casciuolo, ed al Municipio Bassa Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opuscolo. Gruppo culturale Alba Letteraria http//:www.albaletteraria.beepworld.it Per informazioni Gruppo Culturale Alba Letteraria c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari L’impaginazione del presente opuscolo è curata da: Fabio Sardi: [email protected] Curatrice del sito web: Paola Maria Carròli 35