Recensioni > Libri > Cultura - Giovedì 05 Gennaio 2012, 07:10
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Secondigliano, vittima di una città cannibale
Un libretto di Salvatore Testa, dedicato ai bambini e ragazzi della scuola dell'obbligo, racconta
la perdita d'identità di un luogo dalle radici storiche lunghe"
Annamaria Barbato Ricci
La recensione di questa settimana sfida tutte le regole. Innanzitutto è dedicata a un non-libro:
come definireste voi un microscopico opuscolo di trentotto facciate + copertina, 10 cm di base
per 15 cm di altezza, gratuito (ha un importante sponsor locale che lo ha adottato come
elemento di responsabilità sociale) e destinato ai bambini delle scuole elementari e medie?
Come dice la pubblicità, però, “A Natale si può osare di più…”. E nelle feste limitrofe, aggiungo
io.
Per cui, forza e coraggio, eccovi la mia recensione-surprise.
Solo il Cappellaio Matto di Alice - quella del Paese delle Meraviglie - potrebbe venirvi in
soccorso parlando di non-libro. In realtà, “La città cannibale”, racconto fantastico di
Salvatore Testa, edito da LSComunicazione, ha apparentemente 38 paginette, stampate su
carta patinata nera, mentre i caratteri sono in corsivo argento tipografico. Persino questa scelta
appare simbolica, il perché lo capirete in corso d’opera.
Dunque, quale è questa città cannibale e, di contro, quale è la città cannibalizzata? Non sono
categorie dello spirito, ma potrebbero esserlo.
Secondo la fenomenologia urbanistica è consuetudine di una metropoli inglobare i centri
dell’hinterland, assorbendoli nel proprio territorio.
Così ha fatto Napoli con Secondigliano ed altri 16 casali, in una maniera così totalizzante
che gli abitanti del luogo, molti provenienti dall’emarginazione dei ceti meno ricchi rispetto al
centro città, non hanno memoria di quando questo che oggi viene considerato un quartiere
cittadino era, invece, un paese a sé, con una propria economia, abitanti autoctoni e, soprattutto,
autonomia.
Il mio potrebbe sembrare un discorso controcorrente. Ma come, direte voi, qui stiamo a
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-01-05/5676-secondigliano-vittima-di-una-citta-cannibale
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risparmiare al centesimo, dunque dovremmo (notate il modo del verbo, in Italia, non è per
sola cortesia che si sostituisce il condizionale all’imperativo) persino eliminare le Province
e qui si sta a mugugnare perché nel 1929 o nei pressi un Comune fu aggregato alla gloriosa
Napoli?
Guardando al destino di Secondigliano il discorso non è così “elementare”. Il suo passato parla
di un’antichissima fondazione, addirittura in epoca romana, ad opera di liberti della famiglia
patrizia dei Secondili; ma gli esperti fanno derivare il suo nome anche dalla posizione del
luogo, al secondo miglio dal centro di Neapolis lungo la via Capuana, così come starebbe ad
indicare un cippo miliare.
Un paese industrioso, Secondigliano, dedito al commercio ed all’agricoltura, con qualche
impresa tessile di canapa e seta le cui materie prime provenivano dai fondi del suo territorio.
I suoi imprenditori audacemente si dedicarono al commercio con l’estero: emblematiche sono
le foto dell’800 – fra le 27 che corredano il testo – di un gruppo di commercianti ai piedi delle
Piramidi o di un altro secondiglianese recatosi in Russia a vendere preziosi coralli.
Certo a quei tempi si era lontani dall’immaginare che i fatti della storia riservavano alla cittadina
il poco gratificante ruolo di scenario per Gomorra.
La città cannibale non solo ingurgitò il paese limitrofo in un “abbraccio soffocante”, ma lo fece
diventare un quartiere dormitorio, con una colata di cemento che trascinò con sé l’identità di
quel che fu un paese e venne declassato a quartiere, emarginando gli abitanti originari e dando
spazio al gran numero di disoccupati, ideale bacino di reclutamento della malavita organizzata.
Pesano più di un poderoso tomo sociologico queste 38 mini-pagine scritte in tono discorsivo e
divulgativo (sarebbe destinato ai bambini, ma quante cose fa capire agli adulti…), ove, con
accenni che scatenano la presa di coscienza ad ogni età, si narra il processo involutivo di un
quartiere che troppo spesso ha il palco all’Opera della cronaca nera.
Ed ispira recensioni persino più ampie del loro stesso testo… Nonché una sfida: quella di
ricercare quante siano le Secondigliano d’Italia; o se questo sia un caso unico, terreno di studio
di scienziati della sociologia, dell’antropologia e di varie altre branche dello scibile.
Non dimentichiamo, poi, che del territorio di Secondigliano faceva parte anche Scampia; e
neppure che qui sorsero le “famigerate” Vele, poi in parte abbattute (come tutte le cose italiane,
un recupero urbanistico a metà) perché ricettacolo di micro e macro-criminalità.
L’Autore ha un intento chiaro e persino impudico: restituire a Secondigliano l’onore e
l’orgoglio delle proprie radici, spronarla ad uscire dal crepaccio della rassegnazione. Vuole
farlo partendo dalle nuove generazioni, perché la pedagogia infantile è come un sasso scagliato
nello stagno, allarga le sue onde d’urto a centri concentrici, coinvolgendo anche le famiglie e le
coscienze di un nucleo abitato abbandonato al Far West dei regolamenti di conti fra boss
malavitosi.
Quel nero delle pagine, così, simboleggia il pantano fangoso del passato e persino del
presente; quelle parole nette e argentee la via maestra per uscirne. E non venitemi a dire che
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sono di parte, perché da 27 anni assisto all’impegno civile di Salvatore Testa come giornalista
dalla schiena dritta.
Dovremmo essere tutti dalla sua parte, credere anche noi che Napoli non è quell’irredimibile
bubbone che volevano farci credere che fosse Tremonti & Co, per continuarne indisturbati il
sacco.
Sul tema “monnezza”, non dimentichiamo che la magistratura sta via via accertando che i veri
destinatari delle grandi ricchezze di quest’ultima alchimia di trasformazione dei rifiuti in oro
sarebbero le alleanze fra malavitosi e imprenditori non certo locali. Ma questa è un’altra storia,
nera, sì, benché senza minima traccia di inchiostro color argento.
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