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REGISTRO NAZIONALE DELLE
ASSOCIAZIONI SPORTIVE
DILETTANTISTICHE Nº186683
LA BOTTE PIENA E LA MOGLIE UBRIACA – III Edizione
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Domenica 19 Ottobre 2014
Note approntate a cura di NANDO
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Sommario
1
PREMESSA .................................................................................................................................................. 3
2
IL PROGRAMMA ......................................................................................................................................... 3
3
I VIAGGI NELLA STORIA del BMW MC Partenope: IL CASTELLO dei Principi Lancellotti di Lauro ............ 4
3.1 La storia...................................................................................................................................................... 4
3.2 Primo cortile .............................................................................................................................................. 4
3.3 Plastico ....................................................................................................................................................... 5
3.4 Scuderia ..................................................................................................................................................... 5
3.5 Secondo Cortile .......................................................................................................................................... 5
3.6 Sala d'Armi ................................................................................................................................................. 5
3.7 Salone Rosso .............................................................................................................................................. 6
3.8 Sala Biliardo ............................................................................................................................................... 6
3.9 Sala da Pranzo ............................................................................................................................................ 6
3.10 Cappella ..................................................................................................................................................... 6
3.11 Biblioteca ................................................................................................................................................... 7
4
PERNOSANO – PAGO DEL VALLO DI LAURO .............................................................................................. 7
5
TAURANO ................................................................................................................................................... 7
6
Moschiano (citazioni a cura di Pasquale Moschiano) ................................................................................ 7
7
FORINO .................................................................................................................................................... 10
8
SORBO SERPICO ....................................................................................................................................... 11
9
CESINALI ................................................................................................................................................... 12
10
La cantina dei VINI DEI FEUDI DI SAN GREGORIO .................................................................................... 12
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7.1 Storia ........................................................................................................................................................ 10
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PREMESSA
A Sorbo Serpico, nel cuore della campagna irpina, si trova l’Azienda “Feudi di San Gregorio”: una
cantina dall'architettura sorprendente in un ambiente naturale ancora integro, in cui i vigneti
coesistono con il bosco, gli alberi da frutta, le erbe aromatiche.
Nella bottaia, dove i grandi rossi riposano in pregiati legni di rovere, degusteremo i vini nella sala in
cristallo sospesa al suo interno e pranzeremo immersi negli inebrianti profumi della maturazione.
2 IL PROGRAMMA
L’appuntamento è alle ore 8:15 in piazza Trieste e Trento dove, dopo avere consumato la colazione comunitara
in linea con le nostre consuetudini, partiremo alle ore 9:00 per dirigerci alla volta di Sorbo Serpico... scortati
dalla Polstrada a cavallo di Moto BMW in loro dotazione.
Percorreremo all’andata circa 83 km ed al ritorno circa 60 km.
Il tracciato in andata si divide in due sezioni. La prima sezione termina a Lauro che raggiungeremo dopo circa 45
min dalla partenza dopo aver percorso circa 46 km, . Qui sosteremo per una visita al famoso Castello dei
Principi Lancellotti. Subito dopo ci accingeremo ad affrontare il secondo tratto di circa 36 km e che ci vedrà
impegnati lungo un tracciato scenografico attraverso il passo di Santa Cristina e fino a Sorbo Serpico, sede delle
Cantine “I FEUDI DI SAN GREGORIO”, dove vi giungeremo dopo circa 1 ora.
Inizierà alle 13:00 circa la visita alle cantine dell’Azienda vinicola con il successivo svolgimento del pranzo in
Bottaia con degustazione di vini, analogamente a quanto già attuato nelle edizioni precedenti. In tale
occasione, con la fattiva collaborazione della Polstrada, sarà dimostrato, con l’utilizzo degli etilometri in
Domenica 19 Ottobre 2014
DOMENICA 19 Ottobre c.a. si svolgerà la III Edizione della manifestazione mototuristica “LA BOTTE
PIENA E LA MOGLIE UBRIACA”. Tale manifestazione è organizzata nell’ambito del progetto
“LEGALITALIA”, compendio di eventi destinati a coinvolgere il maggior numero di Soci del BMW
Motorrad Club Partenope a conclusione dell’anno corrente 2014. La suddetta manifestazione
evidenzia la continuazione della nostra missione di educazione alla Legalità stradale oltre che
contribuire alla conoscenza degli inusuali scenari naturali unitamente alle tradizioni storiche e
culturali della Nostra terra nel momento della sua tanto attesa rinascita.
Intendiamo, così, contribuire alla crescita e rafforzamento della passione motociclistica di ogni
partecipante conoscendo nuovi luoghi in compagnia di nuovi Amici. Il nome del progetto
“LEGALITALIA” esprime l’azione del legare nella legalità, metaforicamente, tutti gli Italiani
enfatizzando la raggiunta e festeggiata Unità d’Italia.
Pertanto, allo scopo di alimentare la propensione alla legalità stradale, già fortemente presente tra
tutti noi bmwuisti ed in particolare tra i Soci del BMW Motorrad Club Partenope, il Tour in oggetto
prevede una visita alle cantine dell’Azienda vinicola “I FEUDI DI SAN GREGORIO” di Sorbo Serpico
analogamente a quanto già attuato nelle precedenti edizioni. In tale occasione, con la fattiva
collaborazione della Polstrada, sarà dimostrato, con l’utilizzo degli etilometri in dotazione, che anche
piccole dosi di alcool possono innalzare bruscamente il tasso alcolemico nel sangue.
La presenza di Pattuglie della POLIZIA di STATO che ci scorteranno durante tutto lo svolgimento del
Tour, ci riempirà di orgoglio mostrando di appartenere ad una Città che ha degnamente concorso alla
storia e dove, dopo le tristi e note vicende, riesce anche e spesso a contribuire al giusto decoro della
Nazione!
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dotazione, che anche piccole dosi di alcool possono influenzare sensibilmente il tasso alcolemico nel sangue.
Successivamente si svolgerà la competizione di “ANTIVELOCITA’”, già descritta in premessa, in un area
appositamente individuata nel vigneto “PIETRASCILONGA” con un passaggio di abilità denominato la “GIOSTRA
DEL BOXER” durante il quale, ognuno dei partecipanti, dovrà dimostrare l’elevato grado di padronanza con il
proprio mezzo raggiungendo la velocità quanto più prossima al valore di 35 km/h (farà fede la misurazione
effettuata dalla Polstrada con Telelaser) in un prefissato punto del percorso.
Sono previsti due magnifici premi per ogni specialità offerti dalla Concessionaria Motoshop 2000,
concessionario di riferimento del Glorioso Partenope.
I tracciati forniti in allegato come file gpx (GPS Exchange) seguono la denominazione di seguito elencata:
001 - Caffè Gambrinus al CASTELLO
46.2 km
0:47:08
002 - da Castello Lauro a Feudi
36.2 km
0:41:14
003 - RIENTRO e SALUTO AI PARTECIPANTI
59.0 km
0:45:21
Il rientro ci vedrà impegnati su di un tracciato di circa 60 km a prevalente percorrenza autostradale e che ci
consentirà un rapido rientro a Napoli pienamente soddisfatti dell’esperienza trascorsa in compagnia dei vecchi
amici e di quelli appena acquisiti.
3
I VIAGGI NELLA STORIA del BMW MC Partenope: IL CASTELLO dei Principi Lancellotti di Lauro
3.1
La storia
Ad uno sguardo di distanza da Nola, sul "primo sasso" del Vallo di Lauro, sorge maestoso il Castello Lancellotti,
una tra le più belle residenze d'epoca della Campania.
Le prime testimonianze sono precedenti l'anno 1000, ma è del 1277 la prima testimonianza concreta
dell'esistenza di una dimora feudale.
Museo storico che accoglie migliaia di visitatori l’anno, location per eventi privati e manifestazioni culturali, il
Castello Lancellotti rappresenta un importante polo di attrazione culturale.
Aperto al pubblico da pochi anni, oggi il Castello Lancellotti costituisce una realtà dinamica, che concilia la
propria vocazione museale con un’intensa attività nell’ambito dell’organizzazione di eventi, utili alla
valorizzazione del Bene e capaci di dar vita ad un circolo virtuoso che permette di non trascurare un sapiente e
costante lavoro di tutela e restauro.
Il castello Lancellotti fu edificato in posizione eminete, su una roccia rivolta a mezzogiorno denominata "primo
sasso", dove, probabilmente, vi era già stata una preesistente costruzione in epoca romana.
Il primo documento in cui si facenno all'esistenza di questo castello risale al 976 dove si parla di "Castel Lauri"
che non vuole indicare il castello di Lauro quanto piuttosto il paese, casale di Lauro.
Altre testimonianze successive sono state trovate, ma la prima che alluse con chiarezza al castello si legge nei
registri della Cancelleria angioina nel repertorio dell'anno 1277, quando a Margherita de Toucy, cugina di Carlo
I d'Angiò, fu concessa la custodia del castello di Lauro "pro habiliora mora".
Diverse le signorie che si sono succedute: i Principi del Principato di Salerno nel periodo longobardo; i
Sanseverino Conti di Caserta nel periodo normanno; i del Balzo Conti di Avellino nel periodo svevo-angioino; gli
Orsini Conti di Nola nel periodo aragonese; infine i Pignatelli e i Lancellotti.
Proprio durante la signoria dei Lancellotti il castello venne dato alle fiamme dai repubblicani francesi e lasciato
abbandonato fino al 1870 quano il principe don Filippo Massimo Lancellotti avviò i lavori di ricostruzione.
Oggi è una delle residenze d'epoca più suggestive e visitate di tutta la Campania.
3.2
Primo cortile
Un alto muro, coronato di merli guelfi, recinge il Castello Lancellotti a nord-est. Spalliere di alloro, filare di
aranci e canfori decorano i lati del cortile nel quale si affacciano portali e ingressi di accesso ai diversi ambienti.
Sul lato sinistro la guardiola è preceduta da un piccolo portico con tettoia sorretta da colonne. Più avanti la sala
del plastico con facciata merlata di gusto neo-gotico.
Sul lato destro, subito dopo un ampio portico con sei arcate con stanze sovrapposte, v'è la scuderia con portale
classicheggiante. Ancora accanto, un scala conduce ad una graziosa loggetta fatta di tanti archetti sorretti da
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Prima di giungere a Sorbo Serpico dedicheremo una breve sosta alla visita di un sito di valenza storica: IL
CASTELLO DEI PRINCIPI LANCELLOTTI di Lauro (AV)
La visita avverrà grazie al diretto interessamento ed intervento della Sovrintendenza dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo Sezione di Avellino. Interverrà il Direttore della Sovrintendenza arch. Sandro De Rosa.
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snelle colonnine.
Sul lato in fondo emergono le due torri costruite dopo il 1870 che conservano la sala dell'archivio.
3.3
Plastico
Conserva una rappresentazione topografica in rilievo attraverso cui è possibile farsi un'idea dello stato in cui
versava il Castello Lancellotti dopo l'incendio del 1799 e prima della ricostruzione avvenuta nel 1870 ad opera
di don Filippo Massimo Lancellotti.
Tutto realizzato in legno e sughero, il plastico è una delle testimonianze più evidenti dell'immensa mole di
lavoro e opere che sono stati necessari per riportare il maniero non solo in uno stato abitabile ma anche idoneo
a una serie di manifestazioni culturali e ricreative.
Attraverso esso, infatti, si nota come il castello fosse privo delle torri, del campanile, della facciata della
cappella e del portico sovrastato da stanze del primo cortile.
3.5
Secondo Cortile
Di carattere sicuramente più signorile rispetto al primo, il secondo cortile consente l'accesso agli ambienti
privati e di rappresentanza: sala da pranzo, cappella e sala d'armi.
Sull'architrave che porta alla sala d'armi c'è un'epigrafe che ricorda l'incendio e la ricostruzione del castello. Ai
lati, invece, due plutei raffiguranti, in bassorilievo, due cervi.
Al centro una fontana circondata da un prato imperiale e alberi di mandarino reca lo stemma dei Pignatelli così
come un'altra fontana più piccola addossata alla parete della sala da pranzo.
Infine nel livello sottostante è coltivato un singolare giardino all'italiana dove la pianta di bosso si lascia
modellare per dar vita a forme particolari e percorsi tra i quali passeggiare. Di fronte una peschiera al centro
della quale una fontana zampillante crea piacevoli giochi di acqua.
3.6
Sala d'Armi
L'ampia sala rettangolare che nel passato era destinata alle solenni cerimonie di corte, prende il nome dalle
armi che sono disposte lungo le pareti come lance, corazze, alabarde ed elmi.
Accentrato alla parete di fondo un monumentale focolare di gusto barocco dove è riportata la frase di Tibullo
"ASSIDUO LUCEAT IGNE".
Nell’opposta parete vi è un imponente dipinto raffigurante l’incendio del castello del 30 aprile 1799 ad opera
dei francesi. La scena si colloca tra due colonne corinzie. In primo piano si notano l’Arco di Fellino e la Chiesa di
S. Maria della Pietà e sparsi per terra molti soldati francesi caduti. In primo piano compare il Castello Lancellotti
avvolto dalle fiamme e dal fumo. In alto vi sono due angioletti che reggono un drappo a forma di cartiglio sul
quale vi è scritto in latino: “Respinti i nemici tre volte per il valore degli abitanti, la rocca, infine viene divorata
dalle fiamme”.
Dal centro del soffitto pende un grande lampadario bronzeo a forma del disco solare dalla cui circonferenza si
dilungano raggi a colona, dai quali pendono diversi ordini di lampade.
Inoltre in alto lungo le quattro pareti vi sono tempere raffiguranti la storia delle varie signorie che qui
governarono, raffigurazioni di ville e palazzi posseduti dai Lancellotti e immagini di guerrieri raffiguranti simboli
di potere e giustizia.
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3.4
Scuderia
Un tempo collocata dove oggi è la guardiola, la scuderia del Castello Lancellotti conserva un meraviglioso
cavallo in legno, da poco restaurato, e carrozze del XVIII e XIX secolo.
Ciascuna carrozza veniva utilizzata in un diverso periodo dell'anno. Infatti ce ne sono ben tre: una per il periodo
invernale, una per il periodo primaverile-autunnale e una per il periodo estivo che è molto particolare in
quanto la sella del cocchiere è collocata dietro il sedile dei passeggeri.
Non mancano bardature, attrezzature equine, lanterne e mangiatoie dove ci sono scodelle in ceramica
utilizzate per somministrare il cosiddetto pastone: un pasto oleoso e ricco di proteine.
Molto singolari anche le selle da ammazzone utilizzate dalle donne che non indossando i pantaloni non
potevano sellare cavalcioni.
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3.7
Salone Rosso
Prende il nome dal colore delle pareti dove oltre allo stemma dei Lancellotti è raffigurato anche quello della
Aldobrandini: Elisabetta fu la moglie di don Filippo Massimo autore dei lavori di ricostruzione.
Al centro si eleva un grande focolare di tufo in stile anglo-sassone aggiunto durante l’occupazione agloamericana dell’ultimo conflitto mondiale. Gli alleati, infatti, utilizazriono il Castello lancellotti come quartier
generale.
Caratteristici anche gli albarelli, oggetti tipici del corredo farmaceutico, dalla caratteristica forma, di origine
siriana, adatta a contenere le diverse spezie e sostanze medicamentose.
La sala fa da corridoio al grande terrazzo panoramico esposto a mezzogiorno che offre una meravigliosa vista
sul Vallo di Lauro.
3.8
Sala Biliardo
Presenta il soffitto dipinto a cassettoni e decorato con borchie color d’oro.
Le pareti verniciate di colore verdi si intonano con il panno verde del tavolo per il gioco delle biglie presente nel
centro della sala.
Ai lati del tavolo, che risale alla fine del 1800, due panche sulle quali è riportato lo stemma della famiglia
Lancellotti contrassegnato dal lambello e dalle 5 stelle disposte a formare una croce.
3.10 Cappella
La cappella privata ricalca motivi di antiche basiliche romane ed è fiancheggiata da un elegante campanile .
La facciata si adorna di un rosone circolare al centro e di un portale marmoreo a strombo, sul cui architrave si
apre una semilunetta nella quale è scolpita, su lastra di marmo, la città di Nola con i santi Felice e Paolino.
Il protiro è formato da copertura in cotto elevata sull’arco dello stesso portale e poggiata sui capitelli di due
colonne sorrette da due leoni stilofori.
L’interno della cappella consiste in un aula rettangolare con cinque colonne lungo ciascuno dei due lati
maggiori, ma solo di valore formale, in quanto la cappella è priva di navata. Sulla linea delle colonne, in alto, un
ristretto spazio, componente tipico delle chiese paleocristiane e romaniche, raffigura il matroneo.
Il soffitto è a capriata, consistente in una struttura di legno a sostegno del tetto.
Sul fondo della cappella, l’arco dell’abside apre al presbiterio col piano pavimentale leggermente elevato
rispetto a quello dell’aula, dalla quale si divide mediante due plutei sormontati da colonnine. In alto, negli spazi
laterali della parete che delimita l’arco nella sua sommità, sono dipinti l’uno a destra, l’altro a sinistra, San
Rocco e San Sebastiano, Patroni raffigurati di adolescente aspetto.
Su tutte le pareti vi sono affreschi con scene che illustrano episodi prodigiosi di santi frati della terra di Lauro.
In alto nel catino absidale vi è un grande dipinto ad imitazione di mosaico che occupa l’intera la volta: al centro
il Cristo Pantocrator ammantato, in posa benedicente siede maestoso sulla scena del mondo. Ai lati, genuflessi
ed oranti, sei membri della famiglia Lancellotti con i coniugi fondatori, Elisabetta e Filippo, più vicini a Cristo. In
alto, quattro testine alate di cherubini raffigurano altrettanti bambini della famiglia defunti in età infantile.
Dietro l’altare vi è la cattedra episcopale composta da marmi di spoglio archeologico. I due bracci sono
composti da leoncini stilofori e lo schienale è a forma di guglia gotica sul quale vi è riportato il testo evangelico
di San Giovanni: “In principio erat verbum”. Sul fondo dell’abside si aprono sette vetrate istoriate eseguite dalla
vetreria artistica “ Picchiarini” di Roma, a forma di monofore con immagine di santi su ciascuna. Nell’ordine da
sinistra a destra si notano San Luigi, Santa Cristina S. Filippo Neri, Madonna con Bambino, Santa Elisabetta, S.
Giuseppe, S. Pio Quinto.
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3.9
Sala da Pranzo
Presenta un soffitto a cassettoni, verniciato e con dorature sparse e pareti dipinte a fasce verticali di colore
giallo e rosso con arabeschi di motivi vegetali. Sulla parte alta sono raffigurate figure di vasi con fiori e frutta
che si alternano a figure di animali.
Nel fondo la sala presenta un camino che reca l'epigrafe “ ROMA CAPUT MUNDI” e sulla cui parete troneggia
una figura di donna seduta dall’espressione autoritaria e severa. Testimonianza della vicinanza della famiglia
Lancellotti sia al papato tanto che nella mano destra la matrona cinge una tiara e delle chiavi, sia al popolo si
Lauro tanto che nella mano sinistre cinge un ramoscello di alloro. Ai piedi della matrona, inoltre, è raffigurata la
leggenda delle origini di Roma: la lupa e i due gemelli.
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3.11 Biblioteca
La biblioteca del Castello Lancellotti conserva oltre mille opere risalenti anche al 1500. Non mancano testi
classici scritti in latino e in greco ed altri capolavori come la "Divina Commedia".
Conserva inoltre i famosi libri mastri nei quali sono state annotate tutte le entrate e le uscite relativamente alle
attività svolte a Lauro, Roma e Velletri.
Sulla parete sopra la porta di ingresso don Filippo Massimo Lancellotti ha voluto ricordare suo padre don
Camillo mentre, di fronte, un'epigrafe in lingua latina illustra le regole di un buon bibliotecario. Sempre in
questa meravigliosa sala c'è il famoso passaggio segreto.
5 TAURANO
Per la sua posizione geografica , Taurano è stata da sempre una delle zone più aperte alla coesistenza, più o
meno pacifica, di vari gruppi tribali. Qualche autore parla di una antichissima civiltà, quella di Fraconia, che
sarebbe sorta e sviluppatasi fin dal II millennio a.C., a monte dall'attuale centro abitato. Il nome storico di
questa zona si riallaccia alla civiltà appenninica, alla pastorizia, al culto del sole, dell'acqua, della montagna e
del bove. La particella "fra" che significa sole e il sostantivo "conia" che sta per polvere, indicano che la località
era indicata come la "terra del sole" o anche "polvere di sole". Infatti il vasto altopiano, sito in posizione
eccellente, ben esposto, fertilissimo e ricco d'acqua, avvalora l'ipotesi che questa terra venne scelta in tempi
remoti come insediamento, prima del loro spostamento nella piana nolana.
La presenza di molte grotte ha indubbiamente influito sullo stanziamento di vari gruppi tribali in cerca di spazio
vitale e di rifugi, protetti dalle fiere e dai rigori climatici. Di questa civiltà comunque si conosce ben poco.
È certo che intorno al V secolo a.C. la zona venne invasa e saccheggiata dagli Osci-Nolani i quali danno origine
ad un nuovo nucleo abitato a nome Taurania.
Di Taurano, importante oppidum appartenente agli osci-sanniti campani, tribù collegata da un vincolo federale
a Nola, si conosce poco nonostante la sua importanza storica. La etimologia del nome Taurano ci ricorda il toro,
guida e vittima allo stesso tempo delle popolazioni osco-sannitiche.
Disparate sono le ipotesi sull'origine del nome: nel suo stemma figura un toro che potrebbe derivare dal greco
tauros-a-noos (città costruita da un toro impazzito) o dal latino taurus anus (orifizio esterno dell'intestino retto
del toro) e si potrebbe dunque intendere come luogo ove le popolazioni osco-sannitiche, tra marzo e aprile,
prima di salire sui monti, offrivano a Marte tutte le primizie ed in suo onore sgozzavano i tori e leggevano i
presagi futuri.
Di Taurania si hanno testimonianze riportate da vari autori tra cui Plinio il Giovane, Tito Livio e Remondini.
Viene distrutta da Roma durante la guerra sociale (è rasa al suolo da Silla nel 90 a.C.) e in seguito, essendo
inserita nel tessuto urbano di Nola, a quest'ultima lega le sue vicende storiche. Durante le invasioni barbariche
il territorio montano di Taurano diviene rifugio sicuro per le popolazioni nolane. Qui si rifugiò durante la lotta
iconoclastica (tra il VII e l'VIII sec. d.C.) una comunità cristiana guidata dal suo Vescovo (la cui presenza sembra
avvalorata dalla Croce Patriarcale, incisa sulle pareti di una grotta nel tufo).
6 Moschiano (citazioni a cura di Pasquale Moschiano)
Moschiano è compreso tra i sette comuni che compongono il Vallo di Lauro e, nel passato, il feudo di Lauro,
territorio situato sulla parte estrema occidentale dell’Irpinia confinante con l’Ager nolanus.
Non essendoci pervenuti documenti ne tradizioni orali, Moschiano, come molti altri paesi, rimane privo di
notizie sulle sue origini.
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4 PERNOSANO – PAGO DEL VALLO DI LAURO
Le sue origini sono incerte ma lo studio etimologico della parola Pago indica che sicuramente deriva dal latino
pagus civi che significa villaggio o raggruppamento di abitazioni rurali. Il Pagus è da interpretare anche come
luogo ove si andavano a pagare i tributi religiosi e quest'ultima tesi è avvalorata dall'esistenza di un tempio
dedicato al Divo Augusto nella frazione Pernosano. Lo storico Remondini in un suo studio fa rilevare che
proprio in questo tempio è morto l'Imperatore Ottaviano Augusto mentre ritornava dalla Puglia, confermando
gli storici latini i quali dicono che Augusto morì apud Nolam. In tutto il territorio comunale si notano dei resti
dell'epoca romana imperiale in quanto, oltre al tempio di Augusto, si osservano cisterne in muratura in località
Sopravia e ruderi di ville rustiche in località San Pietro.
Durante il medioevo fa parte, come gli altri paesi limitrofi, del feudo di Lauro e ne segue le vicende storiche
(Longobardi, Normanni, Orsini di Nola, Pignatelli e Lancellotti). Di tale periodo resta ai piedi della collina un
complesso in muratura facente parte di una fortezza del 1200 degli Orsini di Nola, ora abitata da privati.
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Comunque rinvenimenti archeologici proverebbero l’esistenza di insediamenti umani nell’ambito territoriale
esteso intorno al paese, che potrebbero contare diversi millenni, da collegarsi perfino con la preistoria, VIII – VII
secolo a.C.
A seguito di scavo, infatti, eseguito in località Carità, poco più a monte del Santuario, sono stati rinvenuti <<
.....frammenti fittili ...... che vanno dall’impasto “preistorico”... >>1
Del periodo sannitico, IV – II secolo a.C., fu scoperta in località Carrata, poco lontano dal rione Croce, a ridosso
della strada della Carità, una sepoltura composta di lastre tufacee in cui tra avanzi di ossa umane fu rinvenuta
una patera bronzea con pugnale.
Trattavasi di una “tomba di età sannitica” come definita dalla Soprintendenza archeologica con fonogramma
del 17.01.1958 trasmesso al Comune di Moschiano, firmato dal Soprintendente prof. Amedeo Maiuri.2
Durante i lavori di scavo per la ristrutturazione della rete idrica di Moschiano, la scoperta ancora di una tomba
nel rione Croce, a pochi metri dall’inizio del paese.
Composta di blocchetti di tufo grigio, alla profondità di m. 1,90 dal piano stradale.
Dal materiale ceramico in essa contenuto si desume essere “di età imperiale, II–III secolo d.C.”3
Fin qui rinvenimenti, per quanto sporadici, confermerebbero la presenza umana in sito da più millenni.
Ma una più recente scoperta confermerebbe l’esistenza almeno di un villaggio sulla collina della Carità ove si ha
ragione di credere che abbia avuto origine il paese di Moschiano ed ove, nel 1987, a seguito di avvertite tracce
di presenza archeologica, fu eseguito, a cura della competente Soprintendenza di Salerno, un saggio di scavo
che portò alla luce avanzi di necropoli, definita d’epoca tardo romana, datata IV-V secolo d.C.
Furono esplorate sette tombe a cassa, composte di tre tegole di fondo con muretti laterali ed altre tre tegole
spianate che chiudevano la tomba.
Che cosa proverebbero quelle tombe lassù se non la esistenza di un abitato, sia pur modesto, di pastori e
contadini? I cui abitanti poi,in epoca successiva, si sarebbero stabiliti a valle, ove oggi sorge Moschiano la cui
etimologia deriverebbe dalla lingua greca, come afferma anche lo Scandone, e cioè da moscos che vuol dire
vitello.
Probabile zona, dunque, di allevamento di bovini.
I nostri monti, ricchi di sorgenti d’acqua, di pascoli, di boschi e in ottima posizione, si sarebbero ben adattati al
detto allevamento.
Ciò è quanto risulta dalle ricerche archeologiche accuratamente condotte e documentate; e non è poca cosa.
Sulle origini del Comune di Moschiano, cioè della sua istituzione, si è privi di notizie.
Possiamo dire soltanto che nel meridione d’Italia le prime forme di governo autonomo cittadino risalgono al XII
secolo, quando l’istituzione feudale cominciò a sgretolarsi e i baroni a perdere d’autorità.
Comunque il Comune, detto allora Università, non assume quel significato che oggi ad esso diamo, in quanto le
piccole comunità rimasero ancora, almeno in parte, asservite fino al primo decennio dell’800 ai feudatari
contro i quali reagivano per gli abusi da essi commessi.
Per più secoli Moschiano fu casale dello Stato di Lauro, come tutti i comuni del Vallo, alle dipendenze delle
Signorie che governavano il feudo di Lauro.
Il toponimo del paese ricorreva già nei documenti amministrativi fin dal XIII secolo nelle forme alternative di
Musclano, Moscano, Muschiano, detto anche “Muscano civitatis Lauri”.
Soltanto nel 1600 compare, per la prima volta, la denominazione di Moschiano.
I cognomi più comuni delle famiglie ricorrevano già dall’antico: Bonaiuto, de Alia, poi Dalia, de Pace, poi Pacia,
de Muscano, poi Moschiano, Mazzocca, Volino, Santaniello, a Deo, poi Addeo, Manfredi, ecc.
Altri cognomi, da tempo estinti, furono de Ripa, de Bona, de Annunziata, Mazza, Caputo, Sirignano.
Il territorio del Vallo, che costituiva lo Stato di Lauro, contava, nei secoli passati, diciassette Comuni o
Università tra i quali erano incluse anche le comunità dette oggi frazioni come Ima, Bosagro, Fontenovella, ecc.
ed ognuna con propria amministrazione.
Moschiano era denominato comune capoterzo, come anche Quindici e Taurano, in quanto le montagne
demaniali dello Stato di Lauro essendo state divise in tre parti venivano amministrate ciascuna dai detti tre
comuni, per cui ognuno di essi era il capo di una terza parte delle suddette montagne.
Inoltre tutti i citati comuni formavano insieme un solo organismo detto Parlamento dell’Università di Lauro in
generale composto dal primo eletto di ogni comune, ad eccezione di Moschiano e Quindici che vi
partecipavano con due eletti.
Il Parlamento, che veniva annualmente rinnovato mediante elezioni, si adunava nel pubblico Sedile di Lauro per
discutere problemi di natura comune all’Università in generale.
L’istituzione, durata per secoli, cessava di vivere nel 1806 a seguito delle riforme Napoleoniche in materia
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politico – amministrativa.
Con la restaurazione del Regno Borbonico di Ferdinando IV, dopo il decennio di governo francese, anche gli
animi delle nostre popolazioni si aprirono agli ideali risorgimentali di indipendenza e libertà.
In Nola il Sac. Don Luigi Minichini capeggiava la Carboneria, società segreta i cui seguaci ne diffondevano le idee
che conquistarono anche i paesi del Vallo di cui diversi cittadini subirono denunce per trame rivoluzionarie.
Rocco e Gaetano Sirignano, fratelli, di Moschiano furono accusati di aver preso contatto con il generale De
Concili il quale avrebbe deciso di scendere con le sue truppe per la strada del Conciaturo, attraversare il Vallo e
fermare in Nola le truppe austriache venute in aiuto del Re in seguito agli avvenimenti dei Moti di Nola.
Dei fratelli Sirignano più rischi correva Don Gaetano Sacerdote e peraltro Cappellano di reggimento
dell’esercito Borbonico, nonché “Gran Maestro Carbonaro” come risulta dal voluminoso carteggio in Archivio
Storico Diocesano di Nola.
Veniva controllato dalla polizia borbonica e in quanto sacerdote doveva dar conto della propria condotta alla
Curia Nolana.
Accusato di riunioni dubbie e sospettato di intrighi di attività settaria, nonché di attività amatoria con Donna
Angelica, una vedova del paese, non interruppe mai la sua attività politica mirata agli ideali del risorgimento
italiano.
Con l’Unità d’Italia, Moschiano e i comuni del Vallo, con Decreto Regio del 17 febbraio 1861 passarono dalla
provincia di Caserta, a cui erano da tempo aggregati, a quella di Avellino.
Infatti, dovendo costituirsi la nuova provincia di Benevento, fu necessario, per adattamento territoriale, che i
circondari di Baiano e Lauro venissero aggregati alla provincia di Avellino.
Ma i cittadini del Vallo, per vari motivi, non gradirono tale decisione, anzi protestarono; furono indette riunioni
straordinarie presso i Comuni ove, nonostante venissero addotte valide ragioni, i paesi del Vallo furono,
comunque, staccati definitivamente dalla provincia di Caserta.
A seguito dell’Unità d’Italia esplosero gli anni del brigantaggio che tennero in agitazione le nostre popolazioni
per circa un decennio.
Si mirava a colpire in vario modo l’Istituzione Unitaria con rivolte contadine, con insorgenze, con scontri a fuoco
tra soldati dell’esercito regolare e i cosiddetti briganti i quali saccheggiavano paesi e villaggi compiendo
violenze di ogni genere.
In simile drammatica situazione, invaso dalla banda di Cipriano della Gala, venne a trovarsi Moschiano il 17
Luglio 1861, dove, in uno scontro a fuoco caddero tre militi della Guardia Nazionale di Moschiano: Michele
Buoaniuto, Francescantonio Manfredi e Michele Sirignano, due briganti di cui si ignorano i nomi e un anziano
cittadino, il novantenne Gaetano Fiore.
Mentre i briganti si davano al saccheggio delle abitazioni arriva da Lauro, dov’era di stanza, una squadra di
soldati al comando del Capitano genovese Achille Belgieri, il quale nel mentre intimava la resa ai briganti
raggruppati in difesa sul sagrato della chiesa del Rosario di Capomoschiano, veniva colpito a morte dalle
fucilate dei briganti.
Inseguiti questi dai soldati ne furono feriti molti mentre si davano alla fuga verso i monti; all’indomani per quei
sentieri montani se ne rinvennero i cadaveri.
Al drammatico episodio seguì la fase delle indagini giudiziarie per accertare l’eventuale presenza in paese di
favoreggiatori dei briganti.
Si ebbero infatti tre arresti nelle persone di Don Giuseppe Dalia, parroco della parrocchia di San Bartolomeo in
Moschiano, del fratello Antonio, di Angelo Frezzaroli.
Il parroco accusato di complicità con i briganti, gli altri due di favoreggiamento.
Associati nelle carceri di Avellino subirono lunghi interrogatori.
Don Giuseppe respinge tutte le accuse di complicità con la banda brigantesca ed afferma di essere stato uno
dei pochi parroci a benedire la bandiera nazionale e di avere giurato nella cancelleria comunale fedeltà al
nuovo governo.
Espongono le proprie ragioni gli altri due imputati.
I testi, otto “persone probe intese de’ fatti pubblici del paese” scagionano gli imputati dalle medesime accuse
di corrispondenza con i briganti.
Compiuti così i dovuti accertamenti da parte della giustizia sui tre imputati, ne fu ordinata la scarcerazione il 14
settembre 1861.4
Passarono gli anni, si giunge alle due guerre mondiali: 1915-1918 e 1940-1945 e Moschiano offre il suo
contributo di sangue alla Patria.
Nella prima guerra caddero 15 giovani cittadini.
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Cadono nella pineta di Sagrado, sul San Michele a Congeniche, a Villese di Gorizia, a Castagnavizza, sul monte
Debeli.
I giorni amari di Caporetto precipitano, il nemico avanza.
Nostro estremo tentativo è la resistenza sul Piave.
E qui cadono i giovanissimi del 1900, a Ponte di Taglio, a Zenzon di Piave.
Di alcuni non ci pervennero notizie: la violenza della battaglia non salvò nemmeno i loro piastrini per sapere chi
fossero.
E cadono, chi sepolto nel cimitero austriaco di Sigmundsluberg, chi si spegne nell’ospedaletto da campo di
Brunek nel Tirolo.
Questi gli eroi della prima guerra mondiale.
Ma non passano che poco più di venti anni ed è di nuovo la guerra.
“Ritorna l’incubo angosciante della guerra che forse la maggior parte del popolo italiano non voleva,
nonostante la propaganda del regime mettesse sulle labbra di schiere di giovani dimostranti l’incosciente grido:
Vogliamo la Guerra, scandito al ritmo di passo romano echeggiante anche per le vie del nostro paese”.
E’ una guerra più violenta e disastrosa della prima che getta l’Italia nel lutto e nella rovina.
Si combatte questa volta su fronti diversi e lontani: dalla Russia al Nord Africa, dai Balcani alle battaglie nel
Mediterraneo.
Anche da Moschiano si parte per questi fronti lontani e non tornano dal fronte Croato né dalla battaglia sul
Don, né dal fronte tedesco; e chi inabissa in mare e chi versa il sangue in El Alamein, chi in Cefalonia cadde
sotto il piombo della “tedesca rabbia” e chi si spegne nelle barbare e disumane prigioni.
I nomi di questi concittadini sono ricordati sulle lapidi murate sulla facciata della Chiesa del Corpo di Cristo nella
Piazza di Moschiano.
Del periodo fascista si ha triste ricordo.
Con R.D. del 9 febbraio 1928, n. 227, l’ex Comune di Moschiano, già di antiche origini, veniva con atto di
imperio aggregato al comune di Quindici.
Si motivò il gesto alludendo alla tendenza del regime mirata all’accentramento dei poteri amministrativi.
Ma pare anche che il paese fosse nel mirino del regime per condotta antifascista pubblicamente nota di alcuni
cittadini.
Nelle condizioni di frazione di Quindici, Moschiano rimase per ventotto anni, ben adattandosi, seppure con
tanta amarezza nell’anima, alla nuova situazione.
Il viottolo campestre Moschiano - S. Antonio divenne in quegli anni la via più percorsa dai nostri cittadini che
per motivi vari recavansi al Comune di Quindici, occasione che consolidò anche l’amicizia tra Moschianesi e
Quindicesi.
Ma negli anni 50 del trascorso secolo ci venne incontro la legge 15 febbraio 1953, n. 71 G.U. 7.3.1953, n. 56.
Legge 15 febbraio 1953, n. 56
“Ricostituzione dei Comuni soppressi in regime fascista”
Articolo unico
Potrà essere disposto, ai sensi dell’articolo 33 e seguenti del Testo unico 3.03.1934, n. 383, la ricostituzione dei
comuni soppressi dopo il 28 ottobre 1922 ancorché la loro popolazione sia inferiore ai tremila abitanti, quando
la ricostituzione sia chiesta da almeno 3/5 degli elettori.
In virtù della suddetta legge, inoltrata domanda di ricostituzione in Ente autonomo dell’ex Comune di
Moschiano, con richiesta relazione illustrativa e con profilo storico, nell’anno 1957 Moschiano viene ricostituito
un Comune autonomo, giusto D.P.R. 1/10/1957, n. 1071, pubblicato sulla G.U. 23.11.1957, n. 289.
7 FORINO
È situato a circa 11 km dal comune capoluogo, in una piana circondata da sette monti (Faliesi, Esca, Boschitello,
Piana, Romola, San Nicola, Poggio Tirone - tutti di altezza inferiore ai 1000 metri - ). Forino è composto, oltre
dal capoluogo, dalle frazioni Castello, Celzi e Petruro. L'abbondanza di verde dovuto ai tanti boschi cedui e alla
coltivazione molto diffusa del nocciolo, fa sì che la tipica definizione di Verde Irpinia trovi in questa porzione di
territorio una delle sue massime espressioni.
7.1
Storia
Ritrovamenti sporadici nel territorio danno una sua frequentazione già in epoca pre-romana. Il paese faceva
parte della colonia romana Venera Livia Abellinatum, ed era caratterizzato dalla presenza di costruzioni
riconducibili alla Villa romana. La zona fu interessata dal passaggio del grande acquedotto romano detto
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8 SORBO SERPICO
Si crede che il centro abitato, fondato da coloni romani, abbia preso il nome da un tempio dedicato a Serapide.
Il paese si sviluppò, comunque, nell'era medioevale, della quale rimangono i ruderi del castello.
Sorbo Serpico è caratterizzato dalla intensa attività di produzione di castagne e dalla commercializzazione del
legname.
Fuori dalle grandi direttrici del traffico, in questo lembo di Sud sconosciuto ai più, nel cuore dell'Irpinia ci
dirigeremo per la nostra gita.
In questo ambito di semplicità troveremo rare ricchezze: qui si respirano i profumi di una natura
incontaniminata che protegge affettuosa i resti di storia e di arte, l'aria è salubre e frizzante, l'acqua sgorga
pura e fresca a Saliceto e l'ospitalità é antica e sincera. Qui il sogno della pace è realtà: il silenzio, l'assenza di
ogni rumore molesto regna sovrano su uomini e cose. Un pugno di terra e di case che oggi si tenta di mettere a
profitto per un turismo il quale, lungi
dallo sfrenato accalcarsi, diventa un
momento di aggregazioni diverse. Il
turista qui ha un posto dove sostare: lo
spirito si rasserena, si ricongiunge con sé,
e con gli altri uomini. E quando l'odierna
civiltà lo inghiotte, e pur se tutto torna
come prima, Sorbo Serpico ti resta nel
cuore.
Il Palazzo Feudale
A sud-est della Chiesa parrocchiale è
situato il palazzo feudale del XVII secolo,
appartenuto ai Brancaccio-Ruffano. Di
grandi dimensioni, con una facciata in
pietra e con sei balconi e un maestolo
portale in pietra lavorata, al suo interno
ospitava anche opifici e carceri. Altra dimora nobiliare è il palazzo dell’illustre famiglia Titomanlio; oggi
nell’antico palazzo si conservano un frantoio, un mulino e ricchissime cantine.
La Chiesa
La Chiesa di Santa Maria della Neve, al centro del paese, è relativamente recente e la sua storia è legata
all'abbandono progressivo dell'antico borgo di Serpico. La chiesa è a pianta centrale ed è costituita da un corpo
principale ad un'unica navata in stile barocco; la struttura, semplice e regolare, è scandita dal susseguirsi di
archi e lesene, di semplice concezione, coronati da capitelli in stile ionico. Ancora, degne di attenzione sono la
chiesa dedicata a Sant’Antonio da Padova, ubicata nell’omonima via e la Cappella dedicata alla Madonna della
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Claudio "Fontis Augustei Acquaeductus". Qui l'acquedotto si sviluppò in galleria, e quindi, in tempi in cui non
esistevano esplosivi, lo scavo dovette durare parecchi anni, Questo diede luogo ad insediamenti stabili nella
conca di vari gruppi di schiavi e funzionari addetti alla direzione dei lavori, dando impulso alla formazione del
"locus Forini". Oltretutto il ”censor” aveva concesso in quei luoghi il “nemus corilianum” (bosco coltivato a
nocciole) per dare incremento all’agricoltura. Come tutto il Meridione, anche Forino fu interessato
dall'attraversamento dei vari popoli invasori. I segni più evidenti del loro passaggio furono lasciati dai Bizantini,
con il culto del loro protettore San Nicola, vescovo di Mira, e ancora oggi protettore del paese, e dai
Longobardi, sotto i quali Forino conobbe il maggiore sviluppo. Le prime citazioni sul casale de Furinum
risalgono al 663, anno in cui si combatté una grande battaglia tra i Bizantini guidati da Saburro contro le truppe
longobarde del Duca di Benevento Romualdo, risoltasi con la vittoria di quest'ultimi. Intorno all’anno 1000 una
guarnigione militare composta da guerriglieri normanni giunsero nel territorio di Salerno e le truppe con a capo
Guglielmo il Normanno si impadronirono di Forino. In seguito il feudo di Forino fu di proprietà dei Francisio,
degli Hobemburg, dei Monfort. Gli Orsini, venuti in possesso del feudo per maritaggio, lasciarono segni
importanti del loro passaggio nel territorio. Fu in questo periodo che si svilupparono maggiormente i casali in
pianura, soprattutto il Corpo di Forino, costruito intorno al Palazzo Feudale. Un altro importante segno del loro
possesso del feudo si ritrova nel gonfalone comunale, identico a quello di altri comuni che hanno avuto questa
famiglia alla loro conduzione. Dopo gli Orsini, feudatari furono i Cicinello e i Cecere finché, nel 1604, il feudo fu
acquistato dai Caracciolo, che ne tennero il dominio sino alla cessazione della feudalità. In quell'anno la Regia
autorità elevò a titolo di principato la terra di Forino e Ottavio Caracciolo a primo principe di Forino.
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10 La cantina dei VINI DEI FEUDI DI SAN GREGORIO
L'Irpinia, regione storica dell'Appennino campano è un territorio vitivinicolo unico, in cui
i vigneti coesistono da sempre con alberi da frutta, boschi, ulivi, erbe aromatiche.
Territorio aspro e dolce insieme, dalle connotazioni forti e sensazioni intense.
Un entroterra antico le cui vigne trovano testimonianza già nei testi di Plinio, Columella
e Strabone. La giacitura dei suoli del territorio irpino è molto varia: un continuo
succedersi di montagne, colline, pianure, intervallate da corsi d'acqua.
La configurazione orografica determina un regime dei venti che regala alla regione una buona
piovosità e crea un microclima che la differenzia nel contesto campano: la vegetazione è varia e densa; gli
inverni, pur brevi, sono rigidi e nevosi e le estati miti e prolungate.
A Sorbo Serpico, nel cuore della campagna irpina, si trova Feudi di San Gregorio: una cantina dall'architettura
sorprendente in un ambiente naturale ancora integro, in cui i vigneti coesistono con il bosco, gli alberi da
frutta, le erbe aromatiche.
Verremo sorpresi dalle emozioni nella bottaia, dove i grandi rossi riposano in pregiati legni di rovere,
degustando vini nella sala in cristallo sospesa al suo interno. Passeggeremo fra vigneti unici di quasi 200 anni,
osservando la natura straordinaria del terreno e accompagnando le fasi evolutive della vigna insieme agli
uomini che la lavorano, a mano, nel rispetto della tradizione. Percorsi, questi, resi possibili attraverso la
proposte di visita che eseguiremo ideata per coniugare la passione per il vino, la cultura del territorio e la
raffinata cucina di tradizione.
Il progetto Feudi di San Gregorio nasce nel 1986 su iniziativa delle famiglie Capaldo ed Ercolino. Ed oggi come
allora si fonda sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni Campani contribuendo in modo significativo al
rinascimento di una enologia che ha vissuto momenti di gloria fin dai primordi, quando per la prima volta la
vitis vinifera si affacciava nella penisola italica. Questo sguardo al passato, però, si associa ad una vocazione
all'innovazione che si è concretizzata nella realizzazione della nuova cantina che ha inteso proporre un modello
di 'spazio vinicolo' non tradizionale, assumendo il vino ad identità culturale che proponga quale traino di altre
esperienze legate al territorio.
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Neve, che sorge sulla collina della “Madonnella”.
9 CESINALI
Il nome "Cesinali" sembra derivare dal germanico cesine, equivalente di "selva cedua, terra dissodata per fare
spazio all'insediamento urbano e all'agro coltivato". L'origine del centro sarebbe longobarda, e collegata allo
sviluppo della più estesa Atripalda, con la quale Cesinali condivise per lungo tempo le vicende politiche e
amministrative (entrambe le località furono rette da alcune delle più blasonate famiglie nobili del Sud Italia,
quali, ad esempio, quelle dei Filangieri, dei Carafa e dei Caracciolo). Pure avendo acquisito, nel corso degli anni,
una certa autonomia, il villaggio si vide accorpato, nel 1927, al limitrofo comune di Aiello del Sabato, per poi
tornare indipendente nel 1950.
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