IL FIOR FIORE DELLA NOSTRA DIDATTICA
Ovvero
PICCOLO DISTILLATO
DELLE BUONE PRATICHE
DEL DOCENTE IN CLASSE
Il Fior Fiore della nostra Didattica – Sara Ceciliato
Questo piccolo e sintetico opuscolo si offre come stimolo al fine di aumentare la nostra
consapevolezza come docenti, migliorare l’efficacia comunicativa e la didattica. Non ha la pretesa
di essere un manuale, ma si propone di dare qualche suggerimento per una riflessione critica
ponendo maggiore attenzione su aspetti cruciali del nostro insegnare.
(gli spunti sono tratti da P.MEAZZINI “L’insegnante di qualità per uno studente di qualità”, ed.Giunti e
I.MILANI “L’arte di insegnare” Vallardi ed.)
Il Fior fiore della nostra didattica viene qui proposto con cinque petali, che sono i punti focali che
ora analizzeremo singolarmente: gli studenti, la comunicazione, la lezione collabor-attiva, una
buona lezione, gli errori del docente.
Per ciascun aspetto affrontato ci sono esempi e suggerimenti pratici da poter adottare sin da
subito in classe. Sono anche presenti alcune domande, che vogliono stimolare la nostra riflessione
personale sul lavoro che svolgiamo e sul suo significato.
Ci si rivolge indistintamente a docenti curricolari e di sostegno, a chi lavora in classe, in palestra ed
in laboratorio. Lo sviluppo della nostra professionalità come docenti deve essere un obiettivo
comune e mai raggiunto.
1. GLI STUDENTI
5. GLI ERRORI
DEL DOCENTE
2. LA
COMUNICAZIONE
4. UNA
BUONA
LEZIONE
3. LA LEZIONE
COLLABOR-ATTIVA
Mi si permetta una piccola riflessione: il mestiere dell’insegnante non è facile, il nostro quotidiano lavoro si
basa su un intreccio di relazioni che non si creano, né si mantengono facilmente, ma che è importante
cercare di curare il più possibile. Detto questo, non ritengo che si tratti di una missione per cui serve una
dotazione genetica particolare (“insegnante ci nasci o non ci nasci”), ma credo che non tutti siano portati
per fare gli insegnanti. E’ necessario che abbiamo a cuore l’impegno educativo che questo mestiere
comporta, che ne siamo consapevoli e che ce ne facciamo carico. Dobbiamo sapere ed accettare il fatto che
un buon insegnante vuole il bene di tutti i suoi alunni, dal primo all’ultimo, che fa il tifo per loro e si
impegna a far sì che ciascuno diventi una brava persona.
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1- GLI STUDENTI: ambito affettivo e relazionale
La concezione degli studenti come “contenitori da riempire” è riduttiva, limitante. Essi sono
persone con propri stili di apprendimento da osservare e rispettare, INDIVIDUI IN GRADO DI APPRENDERE
SEMPRE. Apprendono dal nostro esempio più che dalle nostre parole: ad esempio imparano cosa
pensiamo di loro da come li trattiamo, cosa pensiamo di noi stessi da come ci porgiamo, cosa
pensiamo della nostra disciplina e del nostro lavoro dalla convinzione e dall’impegno che portiamo
in classe.
Il compito del docente è quello di sviluppare la loro motivazione all’apprendimento, di fare da
supporter attivo che elargisce rinforzi positivi senza mai giudicare la persona ma solo la
prestazione: non sarà lo studente a portare il cappello da asino, ma il suo compito in classe (con
tutto il rispetto per gli asini).
Gioca un ruolo fondamentale in questa dinamica docente-discente “l’effetto pigmalione” o
“profezia auto avverantesi”1: infatti, se penso
RICORDIAMO CHE LE PERSONE
DEVONO SPERIMENTARE
SUCCESSO PER ESSERE SPINTE
A METTERSI IN GIOCO.
E’ importante essere consapevoli di questa dinamica, perché è proprio la coscienza delle
componenti in gioco nel mio rapporto con le persone che mi permette di essere più libero/a, nella
misura in cui avrò scelto scientemente quali elementi inserire e quali escludere.
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE:
-
Quale opinione ho dei miei studenti di quest’anno? E degli studenti in generale?
Come posso essere un supporter attivo nel percorso di apprendimento di ciascuno dei
ragazzi e delle ragazze che incontro ogni giorno?
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Si veda a questo proposito l’Esperimento Psicosociale di Rosenthal, riguardo le aspettative che condizionano la
qualità delle relazioni tra i soggetti.
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-
In che misura sono consapevole della presenza dell’Effetto Pigmalione nella mia relazione
con i miei studenti? Come posso far sì che questo condizioni positivamente la relazione tra
di noi (dinamica win-win)?
IN PRATICA:
Quando entro in classe devo curare il SALUTO: da come mi propongo all’inizio dell’ora può
dipendere lo svolgersi dell’intera lezione (posso dare il “Buongiorno” con il sorriso, e
aspettare che i ragazzi siano in ordine ai propri posti prima di arrivare fisicamente alla
cattedra).
Cercherò per quanto possibile di creare un’ ATMOSFERA DISTESA ED AMICHEVOLE , se i
ragazzi sono agitati e preoccupati: chiederò “perché?”, ”Si può risolvere in breve tempo la
questione?” (il disagio personale e di gruppo va accolto, non negato con proposte di
soluzione).
Nel rivolgermi agli studenti, per quanto possibile, cercherò di usare il loro nome, e non
soltanto per cognome.
Quando esco dall’aula SALUTERO’ con un arrivederci alla data della prossima lezione.
Lascerò un clima, un ambiente idoneo/favorevole al proseguimento dell’attività didattica
della classe.
Non darò MAI GIUDIZI sugli studenti come persone, perché è importante trasmettere che
si possono giudicare le azioni, non le persone (“Il compito è andato male, non è sufficiente”
piuttosto che “Che asino, hai preso 3 anche stavolta!”, ma anche “Sei un bravo studente”
esprime un giudizio sulla persona, attenzione!).
Terrò a mente che io mi rivolgo ad un gruppo-classe, ma che poi la relazione va sempre
costruita 1:1, tra me e ciascuno di loro, nessuno escluso.
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2- LA COMUNICAZIONE: io comunico continuamente
Alle radici del nostro lavoro sta la comunicazione (non per niente la nostra “malattia
professionale” è la laringite!), che quindi dovremo necessariamente curare e puntare a migliorare,
per aumentare la nostra efficacia comunicativa e quindi didattica. Partendo da quello che viene
definito “l’assioma della comunicazione”, e cioè NON SI PUO’ NON COMUNICARE, se ne deduce
che noi siamo individui in continua comunicazione tra di noi, consapevolmente o no.
Comunicare non è un’abilità innata, non è un talento, ma una competenza, che come tale si può
sviluppare, con una formazione specifica.
E’ importante che un docente sia sempre consapevole della propria comunicazione:
- VERBALE: la scelta delle parole usate non sarà casuale, ma voluta, il linguaggio dovrà tener
presente del fatto che abbiamo studenti stranieri, BES, DSA, assonnati e svogliati. Le nostre
parole devono arrivare a tutti.
-
NON VERBALE: una parte del nostro messaggio passa attraverso il linguaggio non verbale
(che spesso esprime quello che si tace a parole). Il LNV parla di noi, più che parlare a loro.
Un docente che cammina nel corridoio della scuola rasente il muro, con lo sguardo basso
ed i libri stretti al petto, sta comunicando insicurezza e disagio, al contrario un insegnante
che, spiegando la lezione, gira tranquillamente per la classe, comunica una buona
padronanza dello spazio fisico, e sta dimostrando di trovarsi a proprio agio nel proprio
ruolo.
-
VERBALE E NON: un professore che riprenderà uno studente seduto in maniera scomposta
in classe sta sia comunicando verbalmente, cioè che a scuola è necessario adottare un
atteggiamento educato, sia adottando una “meta-comunicazione”, cioè sta dicendo che in
forza del ruolo che ha può rimproverare anche riguardo ad un dovere non direttamente
connesso allo studio delle discipline.
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
-
-
In che modo curo la comunicazione verbale?
Come scelgo le parole da usare in classe? La mia
scelta è la stessa per ogni classe?
Mi occupo della mia comunicazione non verbale?
Mi osservo? Cosa dice di me il mio non verbale?
Mi occupo della comunicazione non verbale degli
studenti? Cosa dice di loro, ad esempio, il loro
linguaggio del corpo durante il compito in classe?
E durante l’interrogazione?
IN PRATICA
Attenzione all’ELOQUIO: i termini usati saranno
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specifici, ma non incomprensibili (con riguardo per studenti stranieri).
Attenzione al LINGUAGGIO NON VERBALE: non devo dare messaggi incoerenti con il
verbale (ad esempio dire “sei uno studente capace” scuotendo la testa).
Cercherò il contatto visivo, che stabilisce con più efficacia un canale comunicativo diretto.
Curerò la prossemica: muovermi all’interno dello spazio-classe mi permette di raggiungere,
anche fisicamente, ogni studente, con ricadute evidenti sull’efficacia della mia
comunicazione.
Il volume ed il tono della voce sono importanti: un insegnante che urla spesso non viene
ascoltato più di uno che non urla, risulterà solo più irritante. Il mio tono di voce sia quello
della persona autorevole, non autoritaria, che parla e si aspetta di essere ascoltata, quindi
si interrompe se non c’è silenzio. Le “urla”, intese come occasionale episodio di volume più
alto del normale devono essere l’eccezione, non la regola.
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3- LA LEZIONE COLLABOR-ATTIVA: siamo tutti coinvolti!
Quando prepariamo la lezione dobbiamo preoccuparci di essere interessanti: se ciò che presento
annoierebbe me, o non sono del tutto convinto della sua importanza, non riuscirò di certo a tener
viva l’attenzione di un gruppo di adolescenti o preadolescenti.
Ma non basta: in ogni momento è importante mettere in atto una forma di ASCOLTO ATTIVO della
classe, che permetta di cogliere la noia sin dai primi segnali (ricordiamo che l’attenzione in ascolto
passivo è sostenibile al massimo per 15 minuti!!!), e di conseguenza modificare l’attività per non
perdere completamente l’interesse degli studenti.
Ciò non significa trasformare ogni lezione in uno show, ma avere, ad esempio, cura per la
scansione dei tempi nelle attività in classe, con alternanza di ascolto, azione, feed-back, e pause
(necessarie, specialmente con blocchi di più ore). E’ importante educare anche gli studenti alla
gestione del tempo (ideale sarebbe aver un orologio in ogni aula), sia per quanto riguarda le
lezioni a scuola, sia per l’organizzazione dei propri doveri ed impegni personali, con una
prospettiva di medio termine (la settimana).
Non dobbiamo anche sottovalutare l’importanza del feed-back: dare
un segnale, restituire informazioni sulla chiarezza o meno, sulla
comprensione di un argomento non è un’abilità innata, ma una
competenza che dobbiamo aiutare i nostri studenti a sviluppare,
mediante l’uso di domande guida. Spesso ci sentiamo dire “Non ho
capito niente”: a questo punto le nostre domande (con l’uso sapiente
degli avverbi “dove”, “come”, “quando”…) indagheranno la reale
difficoltà ed allo stesso tempo educheranno lo studente alla
circoscrizione della propria difficoltà.
Coinvolgere attivamente gli studenti, oltre all’alternanza delle attività, prevederà un’eventuale
suddivisione dei contenuti in tappe superabili da tutti (sperimentare successo), e l’uso di
strategie didattiche quali la peer-education/tutoring, supporti audiovisivi, dialogo, cooperative
learning…
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE
Ciò che spiego mi interessa? Sono veramente convinto del valore e dell’importanza
del contenuto che sto andando a presentare? Come cerco di trasmettere ai miei
studenti il fatto che si tratta di un contenuto importante?
Quale ruolo hanno gli studenti nelle mie ore di lezione: utenti, ascoltatori,
ricercatori…?
Quali sono i principali segnali di noia che colgo? Sono diversi per ogni classe:
cambiano anche con l’età degli studenti? Che cosa posso osservare a tale
proposito?
Quante volte metto in atto strategie didattiche diverse dalla lezione frontale in un
mese? E per argomento affrontato?
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Il Fior Fiore della nostra Didattica – Sara Ceciliato
Feed-back da parte degli studenti: ritengo che sia importante? Comunico loro che è
importante? In che modo cerco di educare i miei studenti a fare osservazioni e
porre domande pertinenti, anche quando chiedono chiarimenti?
IN PRATICA
Prepariamoci a sorprendere i ragazzi: l’emozione legata al momento in cui, ad
esempio, si introduce un argomento nuovo, favorirà la sua comprensione.
Facciamo esempi inconsueti, e quanto più possibili legati alla vita reale.
Prevediamo dei momenti di pausa, specialmente quando abbiamo blocchi orari di
più di un’ora.
Organizziamo delle lezioni incentrate sulle loro domande, le migliori delle quali
verranno valutate: stimoliamo la loro riflessione.
Anticipiamo già l’attività della lezione successiva: questo li renderà partecipi della
loro attività in classe, più coinvolti.
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4- RIASSUMENDO:
UNA BUONA LEZIONE deve essere caratterizzata da
I contenuti, gli obiettivi e la tesi della lezione, devono essere presentati chiaramente alla
classe all’inizio della lezione, eventualmente anche con lo “storico” del percorso didattico
seguito sino a quel momento.
È importante usare quanto più possibile il metodo INDUTTIVO, cioè far prevedere agli
alunni il passo successivo che si farà insieme, prima dell’inizio vero e proprio
dell’intervento. Introduciamo gli argomenti partendo dalle conoscenze già in possesso
degli studenti (poniamo domande sul già noto circa ciò che andiamo a trattare: ricordiamo
che l’apprendimento parte dalla zona di sviluppo prossimale).
Fare chiaro riferimento al manuale, all’uso del quale dobbiamo educare gli studenti: sia
all’utilizzo guidato che autonomo, con la chiara indicazione che prima si studia e poi ci si
esercita applicando le nozioni/regole apprese.
L’USO DELLA LAVAGNA deve essere proficuo: dobbiamo scrivere su una lavagna pulita, in
modo chiaro ed ordinato, e permettere a tutti di copiare. Per gli studenti BES, dovremmo
lasciare in particolare un’annotazione chiara e permanente sulla lavagna delle pagine da
studiare sul manuale, esercizi da fare, ed eventuali date di prossime verifiche.
Riproponiamo gli argomenti con incoraggiamento a fare domande, che possono essere
esplicitamente valorizzate con una valutazione positiva: a volte una buona domanda è
molto più significativa di un’interrogazione con mera ripetizione a memoria di concetti.
Richiediamo feed-back da parte della classe per l’esplicitazione dei punti oscuri. Ma
attenzione al tipo di domande: non “Avete capito?” né “Sono stato chiaro?”, ma “Cosa
vorreste che vi rispiegassi?” “Come potremmo rispiegare l’argomento visto la scorsa
lezione”? E’ importante non usare domande
che potrebbero imbarazzare gli studenti
rispetto ai compagni e al docente in caso di
risposta autentica.
Spesso viene sottovalutata l’educazione alla
gestione
del
tempo,
tematica
importantissima: sarebbe bene sia usare
spesso l’orologio (l’ideale sarebbe avere un
orologio in ogni aula/laboratorio), sia
possibilmente
avere
un
planning
settimanale degli impegni di studio/vita, più
proficuo rispetto al diario giornaliero.
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5- GLI ERRORI DEL DOCENTE, ovvero tutti possiamo sbagliare
L’elenco di seguito vorrebbe essere un piccolo aiuto per evitare di incappare nei più classici errori,
che tolgono efficacia all’azione didattica. Ricordiamo quindi di stare attenti a questi possibili sassi
d’inciampo:
Improvvisazione e/o impreparazione: toglie a noi autorevolezza, ed ai ragazzi comunica che
ciò che stiamo dicendo e facendo non è importante.
Incoerenza della lezione: se ci dilunghiamo parlando di altro, magari anche per rispondere
ad interventi degli studenti che non sono pertinenti, rischiamo di perdere il filo noi, e di
conseguenza di confondere i ragazzi. Teniamo sempre noi insegnanti le redini della lezione,
decidiamo anche di non rispondere a certe domande, mantenendo però aperto il canale
dell’ascolto, comunicando disponibilità (“Parlerei volentieri con te di questo, ma in un altro
momento”).
Riflessione critica sugli errori dei ragazzi: “sbagliando s’impara” è una massima sempre
valida, e il non correggere e riflettere sulle difficoltà fa perdere un’importante opportunità
di riflessione ed approfondimento. Proviamo anche a dare un esercizio risolto volutamente
sbagliato, e vedremo che sarà forse più incisivo di uno corretto.
Riflessione critica sui nostri errori: ammettere che anche noi possiamo sbagliarci ha una
duplice valenza. Da un lato dà loro il “permesso” (psicologicamente parlando) di sbagliarsi,
evitando l’ansia da prestazione, il voler fare tutto perfetto al primo tentativo. Dall’altro
permette la riflessione in merito all’errore, e quindi nuovamente un’occasione di
apprendimento per differenziazione. Non è un problema se il docente è fallibile, il
problema è se si crede infallibile!
Generazione di atmosfera emozionale negativa. Ad esempio un docente che ha paura di
sbagliare e di non essere all’altezza del suo compito perde autorevolezza, gli studenti lo
temono, le sue reazioni diventano causa di stress per la classe. Allo stesso modo un
docente che basa la sua autorità sul timore avrà forse ordine e silenzio, ma non certo stima
in classe, perdendo l’occasione di essere un buon educatore. Anche quando diamo un
meritatissimo brutto voto, o sgridiamo la classe perché ha in generale un comportamento
non adeguato, non lasciamo mai che pensino che “ce l’abbiamo con loro”: deve essere
sempre chiaro, ed anche esplicito, se serve, che stiamo giudicando l’azione, non le persone.
Eccessiva concentrazione sulla disciplina (intesa come materia di insegnamento): un grande
esperto di matematica non è detto che sia un buon insegnante, perché la professionalità
docente non si centra sulla conoscenza della materia (per quanto necessaria), ma sulla
competenza nella didattica, nel processo di insegnamento/apprendimento. Inoltre è
necessario che ci interessino i ragazzi, che abbiamo a cuore la loro crescita.
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Eccessiva concentrazione sugli studenti: insegnare non è una missione, ma un mestiere che
va svolto certo con passione, ma anche con professionalità. Una certa misura di empatia è
necessaria, ma è altrettanto necessaria una certa dose di distacco.
A tutti noi,
Buon Lavoro.
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