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dazione. In proposito ricordiamo che l’Iri fu
istituito (intorno al 1933 o ‘34) allo scopo di
mantenere in vita importanti industrie e banche, portate al dissesto dai proprietari precedenti. Ricordiamo inoltre che una parte molto
consistente delle industrie dell’Iri avevano
funzione strategica, riguardando armamenti,
prodotti di base ed alta tecnologia (ovviamente
all’epoca); inoltre lo Stato interveniva nell’approvvigionamento energetico (Agip). Essendo
il Governo di tipo autoritario-dittatoriale, ovviamente non esisteva alcuna necessità di usare l’Iri come fonte di finanziamento della contesa politica (elezioni, apparati di partito, etc.).
10. Fra il 1955 ed il I960 alcuni politici appartenenti alla sinistra Dc (Fanfani, Vanoni,
Mattei principalmente), decisero di utilizzare
gli enti ed industrie dello Stato come fonte di
finanziamento autonoma per la gestione del sistema politico (apparati di partito, spese elettorali, etc.). In questo modo si apriva una fonte
di finanziamento non più dipendente dalla
grande industria privata, né da potenze straniere (principalmente Urss, ma anche Usa).
11. Questa decisione comportava evidentemente un controllo politico molto più stretto
sugli enti delle PRSS., sia con la costituzione
di un apposito ministero che con l’uscita delle
industrie di Stato dalla Confindustria. Le
aziende di Stato si inserivano così nel sistema
politico, sia come fonte di risorse (come già
detto), che come strumento di politica estera
oltre che di pianificazione industriale. Sono
databili in tale periodo le azioni dell’Eni per
disporre di risorse petrolifere indipendenti
(cioè non attraverso il controllo anglo-americano), per esempio in Iran ed Algeria, azioni
certamente impossibili senza un qualche collegamento con il Governo.
12. Circa la questione, sempre ricorrente,
dell’alto costo del sistema politico italiano, ci
limitiamo all’osservare che: la presenza di un
enorme apparato del Pci (dal 1948 accettato
nel sistema con funzioni varie) disponente di
ampie risorse di provenienza Urss, rendeva necessaria la costituzione ed il mantenimento di
apparati comparabili da parte dei partiti anticomunisti, con i relativi costi. (Questo argomento potrebbe essere oggetto di una trattazione separata: scelta della Dc di mantenere il
Pci nella legalità, governo locale nelle regioni
rosse, etc.).
13. Ritorniamo all’argomento del paragrafo
8, cioè la dipendenza dai privati del funzionamento del sistema politico. La Presidenza del
Consiglio ha recentemente diffuso uno strano
opuscolo, L’Italia privatizza, dove con argomenti puerili è spiegato perché e come il risparmiatore italiano provvederà ad acquistare
le azioni “privatizzate”. Ma la sola cosa seria
dell’opuscolo è l’ignobile vignetta di copertina: l’Italia in veste di “Vu cumprà” che offre
fabbriche a stranieri d’ogni colore.
14. Le tre vendite importanti del 1993 confermano quanto illustrato in copertina dall’opuscolo Ciampi-Barucci. Gli acquirenti delle aziende Sma (Italgel, Cirio, etc.) e Nuovo
Pignone sono stranieri. Il che si spiega facilmente sia per il modesto prezzo pagato (molto
modesto se riferito al fatturato delle aziende),
che per la forte svalutazione della nostra moneta, opportunamente fatta nel 1992 dai futuri
privatizzatori. La terza privatizzazione del
1993 (Credito Italiano) appare veramente molto particolare, sia per procedure che per beneficiari, e non dovrebbe essere ripetuta. E’ ragionevole credere che le prossime grandi banche avranno acquirenti stranieri.
15. A privatizzazione conclusa, le attività industriali e di servizi, ora sotto controllo dello
Stato, avranno proprietari stranieri. Poiché il
funzionamento di un sistema politico del tipo
democratico-parlamentare necessariamente
comporta costi elevati (in Italia come in ogni
altro paese: Usa, Francia, Germania, Spagna,
Giappone, etc.), questo sistema sarà condizionato e/o dipendente dai suoi finanziatori.
16. Non si ritiene seriamente proponibile un
finanziamento pubblico completo, che dovrebbe essere (a stima) dell’ordine di 5/10 volte
l’attuale, e neppure un finanziamento per mezzo di quote d’iscrizione (non finte) ai partiti.
Pertanto il finanziamento dell’attività politica
dipenderà anche in futuro dal sistema economico. Se le attività principali (grandi industrie,
banche, servizi, energia, etc.) saranno sotto
controllo non italiano, il conseguente condizionamento verso il sistema politico potrà limitare considerevolmente l’indipendenza nazionale, oltre che favorire gli interessi dei “privati” (per esempio con normativa fiscale, tariffaria, di trasferimento capitali, etc.). s
■ 1999 - IL CASO DEL GIUDICE PINTUS
ORMAI NON MI RICONOSCO
IN QUESTA MAGISTRATURA
Gianfranco Pinna
U
n altro capitolo – e particolarmente amaro – è venuto ad
arricchire il tormentato momento della giustizia italiana: la lettera-denuncia al presidente della Repubblica e del Csm
Carlo Azeglio Ciampi, con cui il procuratore
della Repubblica di Cagliari Francesco Pintus
ha dato le dimissioni dalla magistratura.
In quattro cartelle e mezzo, il j’accuse del
procuratore Pintus: “Non riesco più a riconoscermi in una magistratura che troppe volte
mostra di aver rotto gli argini delle proprie
competenze e che vedo troppo frequentemente
straripare in settori che non le appartengono”.
È chiaro che il suo dissenso contro il protagonismo di alcuni magistrati amplificato da
una stampa compiacente, il ruolo ambiguo del
Csm e l’uso perverso dei pentiti che hanno ca-
ratterizzato il sistema giudiziario dell’era “Mani pulite”. Ma il suo atto d’accusa va ben oltre
e investe la sfera politica.
Nella lettera vengono elencati tutti i problemi
e le necessità della giustizia italiana: la separazione delle carriere, la terzietà del giudice, l’obbligatorietà dell’azione penale, la grande disponibilità di mezzi impiegati per istituire processi
eclatanti, puntualmente ribaltati dalle sentenze
in appello. Tutto questo a danno dei cittadini,
che non si sentono più tutelati da una giustizia
che rincorre i teoremi giudiziari a scapito dei
reati cosidetti minori che mettono in pericolo la
sicurezza sociale. Per non parlare dei tempi lunghi che oggi un procedimento richiede.
Ma ciò che maggiormente denuncia il procuratore Pintus è la condotta del CSM, “l’organo che dovrebbe tutelare tutti i magistrati”
e che invece “si comporta assai spesso in modo tale da far dubitare della sua soggezione ad
influenze di correnti, di amicizie e clientele, e
che adempie alle proprie funzioni praticamente al riparo da qualsiasi controllo”. Infatti, “casi analoghi, se non identici, vengono trattati in
modo differente, le “regole” vengono adattate
ai singoli casi oggetto di giudizio”. Insomma,
arbitrarietà dell’azione penale ed eccessiva politicizzazione.
E qui non si può non entrare nella sfera personale. Il procuratore Pintus infatti ha sperimentato sulla propria pelle che in magistratura
titoli e meriti oggi non sono più sufficienti. Ne
sono la riprova le sue mancate nomine alla
Procura Generale e alla Presidenza della Corte
d’Appello di Milano. “Per ragioni di opportunità (non mi si ritenne omogeneo al pool Mani
pulite)”.
Già, cosa ha a che fare Pintus col pool Mani
pulite? Niente. “Lui”, uno dei fondatori di Magistratura Democratica, è rimasto garantista,
ed è colpevole appunto per i suoi principi garantistici. Inoltre, ha avuto l’ardire di difendere
Corrado Carnevale.
Da lì la sua ascesa al calvario. Le iniziative
che si susseguono, l’inizio di un procedimento
paradisciplinare. Per piegarlo, umiliarlo e offenderlo. E alla fine, Pintus, “spinto soltanto
da amore per la verità e da esigenze di giustizia”, non ne può più. Esce dalla Magistratura
sbattendo la porta. Ma a testa alta. Perché la
verità non ha prezzo, e nessuno può fermarla.
La sua è una nuova sfida: respingere e contrastare definitivamente, prima che sia troppo
tardi, la demagogia e l’assalto di quel manipolo di “oltranzisti giustizialisti”, che per sete di
potere e con l’arma del ricatto oggi minacciano seriamente la democrazia e la libertà del
Paese.
Quella che segue è la sintesi di un colloquio,
durato oltre due ore, in cui, fra l’altro, si è parlato del tragico epilogo di Luigi Lombardini.
SA REPUBLICA - Dottor Pintus, la sua
lettera-denuncia al Presidente della Repubblica e del Csm Carlo Azeglio Ciampi, con
cui ha rassegnato le dimissioni dalla Magistratura, ha suscitato grande scalpore in tutta Italia. Perché questo gesto eclatante dopo
quarantacinque anni di attività di cui sette
come Procuratore Generale di Cagliari?
PINTUS - “Io non ho dato le dimissioni dall’ordine giudiziario. Ho semplicemente rinunciato a usufruire del biennio di proroga, dopo
la scadenza naturale dell’incarico che ha coinciso con il mio settantesimo anno di età. Per
quel che riguarda invece “lo scalpore” che
avrebbe suscitato la mia lettera, devo dire che
è calato un chiassosissimo silenzio, come succede sempre nel nostro Paese”.
SA REPUBLICA - Non ritiene che la sua
“rinuncia” possa essere considerata come
una resa?
PINTUS - “Io le battaglie le ho sempre combattute fino in fondo per questi due problemi
ineludibili: l’indipendenza della Magistratura
e la certezza del diritto”.
SA REPUBLICA - Tuttavia se ne va sbattendo la porta. C’è chi dice però che ha lasciato la toga per porre fine ai procedimenti
di “incompatibilità ambientale” avviati
contro di lei dal Csm...
PINTUS - “Per quanto riguarda quei procedimenti, devo dire che io stesso per accertare
la verità ne ho più volte sollecitato la conclusione. Ma sia l’allora ministro di Grazia e Giustizia Flick, sia il Procuratore Generale della
Cassazione hanno omesso di fare qualsiasi
passo per l’accertamento della verità... E lo
stesso Csm, pur sollecitato dal Presidente della
Repubblica Scalfaro, si è limitato a raccogliere
ulteriori elementi d’accusa contro di me”.
SA REPUBLICA - Sta dicendo che la sua
era una lotta impari che andava fatalmente
verso un’unica direzione, e che prescindeva
comunque dall’accertamento della verità?
PINTUS - “Sì, voglio dire proprio questo”.
SA REPUBLICA - Quindi quella di Procuratore Generale alla Corte di Appello di
Cagliari è una “poltrona” scomoda?
PINTUS - “È scomoda per chi fa il proprio
dovere. Per chi invece vuole gestire il posto di
Procuratore Generale come sede di partecipazione alle cerimonie è una poltrona comodissima”.
SA REPUBLICA - Dottor Pintus, lei ha
sperimentato sulla propria pelle che oggi
per far carriera in Magistratura titoli e meriti non sono sufficienti. Lo dimostrano le
sue mancate nomine alla Procura Generale
e alla Presidenza della Corte d’Appello di
Milano. Infatti, nessuna è andata in porto.
Anzi, da lì sono iniziati i suoi guai. Ci dica,
perché non la volevano a Milano?
PINTUS - “L’unica spiegazione che posso
dare è questa: non mi si considerava omogeneo al pool Mani pulite”.
SA REPUBLICA - A questo proposito, in
un’intervista rilasciata al Giornale, che è
stata riportata dallo scrittore Giancarlo
Lehner nel suo ultimo libro “Due pesi, due
misure - Il nodo della giustizia in Italia”, lei
disse: “Ho l’impressione che ci sia una continua ricerca dell’uomo giusto al posto giusto... mi limito a una banale considerazione:
a me è stato contestato che mio figlio eserciti
l’attività forense a Parma, mentre non è stato ritenuto ostativo per Borrelli il fatto che
la nuora faccia l’avvocato a Milano...”. Insomma, un vero e proprio doppiopesismo!
PINTUS - “Esattamente. Tra parentesi, la
nuora di Borrelli continua ancora nell’esercizio della professione forense a Milano, mentre
il suocero è stato nominato Procuratore Generale, e nella stessa città il marito è giudice civile. Ma non è l’unico ‘doppopesismo’. Di situazioni simili ne esistono tante altre, in diverse procure...”.
SA REPUBLICA - A Milano in particolare
chi non la voleva?
PINTUS - “Borrelli ha negato ogni suo intervento in tal senso. E Borrelli, come dice
Shakespeare, è uomo d’onore. Devo quindi
supporre che indipendentemente dalla sua volontà, il Csm ha voluto ‘fargli un favore’”.
SA REPUBLICA - Un fatto è certo. Oggi
in Italia gran parte della opinione pubblica
non crede più nella giustizia, non si sente
più garantita: ritiene che esiste una “Magistratura deviata”, una “Magistratura politica”. E questa convinzione, dopo le sentenze di Perugia e Palermo che hanno assolto
Andreotti, sentenze che hanno visto crollare
alcuni teoremi giudiziari, è notevolmente
cresciuta. D’altra parte, l’uso perverso dei
pentiti, la strumentalizzazione della custodia cautelare, le condizioni delle carceri, le
morti sempre più frequenti, il protagonismo
di alcuni magistrati amplificato da una
stampa compiacente e il ruolo ambiguo del
Csm sono questioni reali e gravi che fanno
riflettere.
PINTUS - “Sono problemi dolenti. Anche
questi ineludibili. D’altro canto, nella lettera
che ho inviato al capo dello Stato ne parlo
esplicitamente: ‘Il nuovo codice di procedura
penale ha creato figure nuove la cui opera ha
finito per incidere in modo determinante sulle
regole del processo’. Sottolineo che ‘quest’ultimo si celebra sulle pagine dei giornali e sugli
schermi televisivi’ e che ‘i mezzi di informazione creano nell’opinione pubblica convinzioni ed aspettative, con la conseguenza che
giorno dopo giorno diminuisce presso i cittadini la fiducia nei giudici’. Inoltre accuso quel-
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la ‘limitata schiera di protagonisti che determina correnti di opinione che finiscono per influenzare la politica, e talvolta, perfino le decisioni giudiziarie’. Ma soprattutto accuso la
condotta del Csm, ‘l’organo che dovrebbe tutelare tutti i magistrati’ e che invece ‘si comporta assai spesso in modo tale da far dubitare
della sua soggezione ad influenze di correnti,
di amicizie e clientele, e che adempie alle proprie funzioni praticamente al riparo da qualsiasi controllo’”.
SA REPUBLICA - Dottor Pintus, lei ha
sempre condannato la giustizia-spettacolo e
ha trascorso una vita a tutelare le regole e
le garanzie. Le chiedo: quali iniziative occorre intraprendere per ripristinare la giustizia-giusta?
PINTUS - “Le cause di fondo stanno nel disfacimento della giustizia, nella incapacità
complessiva della macchina giudiziaria di
smaltire tutti i lavori e nella cosiddetta giustizia elefantiaca. Del resto – inutile negarlo –
quello che sta accadendo oggi in Italia è sotto
gli occhi di tutti: gli uffici giudiziari continuano a ‘macinare’ processi che saranno prescritti.
Pertanto, inevitabilmente, dovranno essere
spazzate via tutte le procedure, e sono moltissime, destinate fatalmente alla prescrizione. Si
chiamini Mani pulite o altro, la cosa non cambia. Finiranno prescritte anche le contravvenzioni, e i reati di maggiore gravità. Certo, io
non so quante prescrizioni stiano maturando
nelle varie Procure della Repubblica, nei vari
Tribunali e Corti d’Appello. La mia esperienza
è limitata agli uffici giudiziari della Sardegna.
Le posso garantire che il numero delle prescrizioni cresce in modo impressionante, e riguarda tutti i reati, per i quali la celebrazione del
processo coincide con una data a ridosso della
scadenza dei termini di prescrizione. Perciò
quando si celebra il giudizio di primo grado,
si sa già che il processo sarà destinato alla prescrizione”.
SA REPUBLICA - E quindi?
PINTUS - “Di conseguenza se non si incide
sulle cause dello sfascio, non si può parlare di
‘giustizia-giusta’, che viene assicurata mediante il rispetto rigoroso della obbligatorietà
dell’azione penale. Altrimenti sarebbe opportuno eliminare l’obbligatorietà, che sarebbe
soltanto una finzione, e introdurre la facoltatività dell’azione penale. Però questa volta non
affidata ai magistrati, bensì a organi che abbiano l’investitura del popolo sovrano.
Per questo ho sempre criticato la lentezza
dei processi, che ha causato una valanga di
prescrizioni, e quindi una surrettizia forma di
amnistia. Per questo ho sempre chiesto il rispetto della obbligatorietà dell’azione penale,
e ne ho criticato la facoltatività.
Questi sono i nodi da sciogliere, per ripristinare la certezza del diritto!”.
SA REPUBLICA - La storia della società
italiana è sempre stata costellata di consensi, rinunce, ricatti e compromessi. D’improvviso, con una sorta di cancellazione della storia, “certi magistrati, elevati dalla
piaggeria apologetica, dal conformismo
acritico a eroi e superuomini”, scoprono
“l’acqua calda”: tangentopoli. Quindi la degenerazione, giustizialismo e “giustizia a
orologeria”. Perché questa tardiva e, tutto
sommato, velleitaria sete di giustizia contro
una sola parte politica?
PINTUS - “Di fatto l’investitura della Magistratura come salvifica e taumaturgica operazione di bonifica morale del Paese ha creato
molte illusioni. Illusioni – ripeto – che oggi
stanno per naufragare in un mare di prescrizioni, mentre nel contempo si continua a trascurare l’esercizio dell’azione penale nei confronti di tutti gli altri reati.
Lei mi chiede: ‘Perché questa tardiva e, tutto
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sommato, velleitaria sete di giustizia contro
una sola parte politica?’. Beh, non saprei. Probabilmente occorrerà attendere l’apertura di
altri armadi”.
SA REPUBLICA - Resta comunque il fatto che a seguito della “Rivoluzione Mani
pulite” cinque partiti “storici” sono stati
cancellati dalla scena politica, mentre il PciPds-Ds è stato appena sfiorato. E D’Alema
è al governo con Cossutta, nonostante i dossier Mitrokhin, Havel e tanti altri in arrivo... Andreotti assolto. Forlani ai servizi sociali. Mentre Craxi, esule e ammalato ad
Hammamet, è l’unico pluricondannato con
sentenze definitive per questo teorema: non
poteva non sapere. Nonostante, dulcis in
fundo, le dichiarazioni di Gerardo D’Ambrosio: “Craxi non ha mai intascato soldi a
titolo personale. La storia gli ha dato ragione. I soldi li presero tutti”. Dottor Pintus, è
possibile risolvere il caso-Craxi?
PINTUS - “Il caso-Craxi ho il sospetto che
non sia risolvibile se non attraverso aggiustamenti che – a quanto mi è dato capire – l’on.
Craxi non gradisce. È certo che, se dovesse beneficiare di una grazia, l’on. Craxi potrebbe ritornare in Italia, ma non avrebbe la possibilità
di riprendere l’attività politica, perché sarebbe
ineleggibile finché esistono sentenze passate
in giudicato”.
SA REPUBLICA - Però esiste la possibilità della revisione dei processi, il caso-Sofri
docet...
PINTUS - “Sì, è vero. Ma è uno strumento
estremamente delicato, uno strumento lungo è
difficile da percorrere... Tuttavia c’è da dire
che la valutazione che Craxi ‘non poteva non
sapere’, si scontra con l’opinione di Nordio su
altri segretari di partito, che secondo lui invece
‘potevano non sapere’.
Un’altra possibilità infine è l’amnistia, che
però in questo momento pare che sia rifiutata
da tutte le forze politiche. Un’amnistia generalizzata che consenta ai fini giudiziari di togliere dagli armadi tutti i fascicoli che sono ormai sull’orlo della prescrizione. E dunque si
ricominci da zero. Io però vedo nerissimo
nell’avvenire della giustizia italiana...”.
SA REPUBLICA - Veniamo alla Sardegna. L’11 agosto dello scorso anno moriva
tragicamente Luigi Lombardini, Procuratore capo della Pretura di Cagliari, dopo un
estenuante interrogatorio durato oltre sei
ore condotto dal pool di Palermo, guidato
da Giancarlo Caselli.
L’accusa a Lombardini – cui in verità
nessuno ha mai creduto – era gravissima e
infamante: estorsione. Era accusato, come
è risaputo, di essersi appropriato del riscatto pagato per la liberazione di Silvia Melis
in concorso con l’editore Nicola Grauso,
l’ex presidente della Sardaleasing avv. Antonio Piras e l’avv. Luigi Garau. Inoltre di
aver tentato di estorcerne un altro al padre
di Silvia Melis.
Perché a distanza di tanto tempo il Tribunale di Palermo non ha ancora fissato
l’udienza per l’esame del rinvio a giudizio?
Perché questo ritardo? Perché tutto tace?
PINTUS - “Queste domande me le sono poste anch’io, ma finora non sono riuscito a darmi una risposta”.
SA REPUBLICA - Qual è il suo giudizio
su Lombardini?
PINTUS - “Un fatto è certo: neppure gli ultimi eventi sono riusciti a scalfire l’onestà intellettuale e morale del dottor Luigi Lombardini. Non c’è dubbio però, come ho riferito al
Ministro di Grazia e Giustizia, che Lombardini
fosse un magistrato ‘anomalo’, e che il suo
modo di operare non fosse in linea con i miei
principi garantistici. Ma i successi da lui ottenuti nella lotta contro la criminalità sarda in
genere e contro i sequestri di persona in particolare (da cinquanta dei primi anni ‘80, si erano ridotti a zero nel 1989), la totale dedizione
alla causa cui si era votato, anche al di là dei
doveri istituzionali, gli avevano valso un unanime apprezzamento...
Difatti, oggi in Sardegna c’è la consapevolezza che è venuto meno con lui un prezioso
contributo per la conoscenza della criminalità
sarda e delle sue specificità. E si legittima il
dubbio che l’intervento del pool di Caselli (verosimilmente con piena legittimità, data la mole ingentissima di denunce partite contro Lombardini da diversi uffici giudiziari sardi) su alcuni dei suoi supposti abusi, con il grande
spiegamento di forze (cinque magistrati e una
decina tra agenti e collaboratori giunti da Palermo con un volo della Compagnia privata
Aeronautica Italiana a bordo di un Falcom 50
I-SAME, operazione a dir poco inusuale per
gli uffici giudiziari sardi, e senza precedenti...)
e l’intensità dell’indagine, caratterizzata dalla
contemporanea partecipazione di tutti i pubblici ministeri di Palermo, abbia giocato un
ruolo non secondario sulla tragica morte di
Lombardini”.
SA REPUBLICA - A suo avviso, perché è
stato “rimosso” Caselli dalla Procura di Palermo?
PINTUS - “Guardi, io non so se Caselli sia
stato rimosso dalla Procura della Repubblica.
Non so se sia stato promosso con finalità di rimozione, rimosso con finalità di promozione,
oppure promosso indipendentemente dal fatto
che lui fosse suscettibile di rimozione.
Quel che mi lascia perplesso è il fatto che,
nonostante le promesse che aveva fatto, sia andato via dalla Procura di Palermo senza aver
concluso il processo sul quale aveva giocato
tutte le carte, cioè il processo Andreotti”.
SA REPUBLICA - Ancora: che fine hanno
fatto gli esposti da lei presentati?
PINTUS - “Per quel che so, non hanno avuto alcun esito: né quelli penali alla Procura della Repubblica di Palermo, né quelli disciplinari al Csm. Devo dire invece che la procedura
nei miei confronti è stata velocizzata oltre ogni
limite”.
SA REPUBLICA - Né si sa più nulla sulla
“struttura parallela”...
PINTUS - “Per la verità di ‘struttura paral-
lela’ si è parlato a livello giornalistico, e ne ha
parlato una relazione rispetto alla quale io ho
preso tutte le distanze: la commissione Antimafia e il sottocomitato, presieduto dal senatore Pardini, il quale ha detto pubblicamente
che io sapevo tutto dell’attività di Lombardini,
di questa ‘struttura parallela’. Invece io ribadisco che non sapevo assolutamente nulla, come ho ben dimostrato al Csm.
D’altra parte, l’unica volta che io sono stato
formalmente investito dell’attività di Lombardini, riguarda la vicenda Furianetto, ma puntualmente ne ho informato i titolari dell’azione
disciplinare, i quali hanno archiviato la pratica.
Mi pare poco prudente, quindi, che si dica che
io conoscevo l’esistenza della ‘struttura parallela’, che conoscevo l’attività svolta da Lombardini e non abbia fatto niente per impedirla.
Ripeto: non ne sapevo o non ne so assolutamente nulla. Ma mi viene il sospetto che anche
altri non ne sappiano assolutamente nulla”.
SA REPUBLICA - È vero o no che Luigi
Lombardini avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di Procuratore capo di Palermo al
posto di Caselli?
PINTUS - “Tra la collocazione del ruolo di
anzianità di Lombardini e quella di Caselli vi
era una differenza di quattro anni. Quattro anni
di anzianità a favore di Lombardini. Ora lo so
– secondo quello che dice il Csm – che nell’assegnazione di incarichi di quel genere si
deve tener conto sia dell’anzianità sia del merito e sia delle attitudini. Ebbene, posso affermare che Lombardini sovrastava Caselli su
tutti e tre i piani...”.
SA REPUBLICA - C’è un altro caso su cui
è calato il silenzio... Il caso-Mario Fortunato
Piras di Arzana, la persona che Lombardini
riteneva fosse particolarmente informata
delle vicende del sequestro di Silvia Melis,
e che sinora nessuno a Palermo e a Cagliari
ha – per quel che si sa – mai interrogato.
Chi pagò la trasferma (andata e ritorno) –
si parla di decine di milioni – a Piras e ai carabinieri dal carcere vicino a Caserta a
Badd’e Carros e Arzana? Chi fece la richiesta? E per quale motivo?
PINTUS - “Questa domanda è stata oggetto
di una interrogazione a firma del senatore
Marcello Pera. Interrogazione alla quale il Ministro di Grazia e Giustizia a tutt’oggi non ha
dato alcuna risposta. Eppure dal momento della presentazione della interrogazione sono passati, salvo errori, sei mesi.
Un punto è certo. Per poter spostare un detenuto nelle forme in cui si è spostato Mario
Fortunato Piras sono necessarie due condizioni: o che paghi l’interessato, ma non risulta
che abbia pagato, oppure che paghi lo Stato.
In questo caso è lo Stato che deve spiegare
perché si è seguita quella strada”.
SA REPUBLICA - Un’ultima domanda.
Sempre più spesso oggi in Italia si parla di
un intreccio perverso tra Magistratura e
politica. A suo avviso, la Magistratura è indipendente dal potere politico?
PINTUS - “Dal potere politico penso che sia
assolutamente indipendente. Se qualche rischio c’è, invece, è che il potere politico sia
indipendente dagli organi della Magistratura,
soprattutto da quelli del Pm.
Di fatto è una situazione anomala che non
può proseguire ulteriormente. Infatti si corre
il rischio di sacrificare l’indipendenza della
Magistratura. Ma ne esiste un altro di pericolo:
‘oggi l’unico pericolo per la Magistratura è
rappresentato dal Csm!’. Non sono parole mie,
sono parole di Giovanni Falcone”. s
(ringraziamo il periodico “SA Republica”
e il suo direttore per averci consentito
di pubblicare l’intervista all’ex procuratore
di Cagliari Francesco Pintus)
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