CRITICAsociale ■ 9 10 / 2012 dazione. In proposito ricordiamo che l’Iri fu istituito (intorno al 1933 o ‘34) allo scopo di mantenere in vita importanti industrie e banche, portate al dissesto dai proprietari precedenti. Ricordiamo inoltre che una parte molto consistente delle industrie dell’Iri avevano funzione strategica, riguardando armamenti, prodotti di base ed alta tecnologia (ovviamente all’epoca); inoltre lo Stato interveniva nell’approvvigionamento energetico (Agip). Essendo il Governo di tipo autoritario-dittatoriale, ovviamente non esisteva alcuna necessità di usare l’Iri come fonte di finanziamento della contesa politica (elezioni, apparati di partito, etc.). 10. Fra il 1955 ed il I960 alcuni politici appartenenti alla sinistra Dc (Fanfani, Vanoni, Mattei principalmente), decisero di utilizzare gli enti ed industrie dello Stato come fonte di finanziamento autonoma per la gestione del sistema politico (apparati di partito, spese elettorali, etc.). In questo modo si apriva una fonte di finanziamento non più dipendente dalla grande industria privata, né da potenze straniere (principalmente Urss, ma anche Usa). 11. Questa decisione comportava evidentemente un controllo politico molto più stretto sugli enti delle PRSS., sia con la costituzione di un apposito ministero che con l’uscita delle industrie di Stato dalla Confindustria. Le aziende di Stato si inserivano così nel sistema politico, sia come fonte di risorse (come già detto), che come strumento di politica estera oltre che di pianificazione industriale. Sono databili in tale periodo le azioni dell’Eni per disporre di risorse petrolifere indipendenti (cioè non attraverso il controllo anglo-americano), per esempio in Iran ed Algeria, azioni certamente impossibili senza un qualche collegamento con il Governo. 12. Circa la questione, sempre ricorrente, dell’alto costo del sistema politico italiano, ci limitiamo all’osservare che: la presenza di un enorme apparato del Pci (dal 1948 accettato nel sistema con funzioni varie) disponente di ampie risorse di provenienza Urss, rendeva necessaria la costituzione ed il mantenimento di apparati comparabili da parte dei partiti anticomunisti, con i relativi costi. (Questo argomento potrebbe essere oggetto di una trattazione separata: scelta della Dc di mantenere il Pci nella legalità, governo locale nelle regioni rosse, etc.). 13. Ritorniamo all’argomento del paragrafo 8, cioè la dipendenza dai privati del funzionamento del sistema politico. La Presidenza del Consiglio ha recentemente diffuso uno strano opuscolo, L’Italia privatizza, dove con argomenti puerili è spiegato perché e come il risparmiatore italiano provvederà ad acquistare le azioni “privatizzate”. Ma la sola cosa seria dell’opuscolo è l’ignobile vignetta di copertina: l’Italia in veste di “Vu cumprà” che offre fabbriche a stranieri d’ogni colore. 14. Le tre vendite importanti del 1993 confermano quanto illustrato in copertina dall’opuscolo Ciampi-Barucci. Gli acquirenti delle aziende Sma (Italgel, Cirio, etc.) e Nuovo Pignone sono stranieri. Il che si spiega facilmente sia per il modesto prezzo pagato (molto modesto se riferito al fatturato delle aziende), che per la forte svalutazione della nostra moneta, opportunamente fatta nel 1992 dai futuri privatizzatori. La terza privatizzazione del 1993 (Credito Italiano) appare veramente molto particolare, sia per procedure che per beneficiari, e non dovrebbe essere ripetuta. E’ ragionevole credere che le prossime grandi banche avranno acquirenti stranieri. 15. A privatizzazione conclusa, le attività industriali e di servizi, ora sotto controllo dello Stato, avranno proprietari stranieri. Poiché il funzionamento di un sistema politico del tipo democratico-parlamentare necessariamente comporta costi elevati (in Italia come in ogni altro paese: Usa, Francia, Germania, Spagna, Giappone, etc.), questo sistema sarà condizionato e/o dipendente dai suoi finanziatori. 16. Non si ritiene seriamente proponibile un finanziamento pubblico completo, che dovrebbe essere (a stima) dell’ordine di 5/10 volte l’attuale, e neppure un finanziamento per mezzo di quote d’iscrizione (non finte) ai partiti. Pertanto il finanziamento dell’attività politica dipenderà anche in futuro dal sistema economico. Se le attività principali (grandi industrie, banche, servizi, energia, etc.) saranno sotto controllo non italiano, il conseguente condizionamento verso il sistema politico potrà limitare considerevolmente l’indipendenza nazionale, oltre che favorire gli interessi dei “privati” (per esempio con normativa fiscale, tariffaria, di trasferimento capitali, etc.). s ■ 1999 - IL CASO DEL GIUDICE PINTUS ORMAI NON MI RICONOSCO IN QUESTA MAGISTRATURA Gianfranco Pinna U n altro capitolo – e particolarmente amaro – è venuto ad arricchire il tormentato momento della giustizia italiana: la lettera-denuncia al presidente della Repubblica e del Csm Carlo Azeglio Ciampi, con cui il procuratore della Repubblica di Cagliari Francesco Pintus ha dato le dimissioni dalla magistratura. In quattro cartelle e mezzo, il j’accuse del procuratore Pintus: “Non riesco più a riconoscermi in una magistratura che troppe volte mostra di aver rotto gli argini delle proprie competenze e che vedo troppo frequentemente straripare in settori che non le appartengono”. È chiaro che il suo dissenso contro il protagonismo di alcuni magistrati amplificato da una stampa compiacente, il ruolo ambiguo del Csm e l’uso perverso dei pentiti che hanno ca- ratterizzato il sistema giudiziario dell’era “Mani pulite”. Ma il suo atto d’accusa va ben oltre e investe la sfera politica. Nella lettera vengono elencati tutti i problemi e le necessità della giustizia italiana: la separazione delle carriere, la terzietà del giudice, l’obbligatorietà dell’azione penale, la grande disponibilità di mezzi impiegati per istituire processi eclatanti, puntualmente ribaltati dalle sentenze in appello. Tutto questo a danno dei cittadini, che non si sentono più tutelati da una giustizia che rincorre i teoremi giudiziari a scapito dei reati cosidetti minori che mettono in pericolo la sicurezza sociale. Per non parlare dei tempi lunghi che oggi un procedimento richiede. Ma ciò che maggiormente denuncia il procuratore Pintus è la condotta del CSM, “l’organo che dovrebbe tutelare tutti i magistrati” e che invece “si comporta assai spesso in modo tale da far dubitare della sua soggezione ad influenze di correnti, di amicizie e clientele, e che adempie alle proprie funzioni praticamente al riparo da qualsiasi controllo”. Infatti, “casi analoghi, se non identici, vengono trattati in modo differente, le “regole” vengono adattate ai singoli casi oggetto di giudizio”. Insomma, arbitrarietà dell’azione penale ed eccessiva politicizzazione. E qui non si può non entrare nella sfera personale. Il procuratore Pintus infatti ha sperimentato sulla propria pelle che in magistratura titoli e meriti oggi non sono più sufficienti. Ne sono la riprova le sue mancate nomine alla Procura Generale e alla Presidenza della Corte d’Appello di Milano. “Per ragioni di opportunità (non mi si ritenne omogeneo al pool Mani pulite)”. Già, cosa ha a che fare Pintus col pool Mani pulite? Niente. “Lui”, uno dei fondatori di Magistratura Democratica, è rimasto garantista, ed è colpevole appunto per i suoi principi garantistici. Inoltre, ha avuto l’ardire di difendere Corrado Carnevale. Da lì la sua ascesa al calvario. Le iniziative che si susseguono, l’inizio di un procedimento paradisciplinare. Per piegarlo, umiliarlo e offenderlo. E alla fine, Pintus, “spinto soltanto da amore per la verità e da esigenze di giustizia”, non ne può più. Esce dalla Magistratura sbattendo la porta. Ma a testa alta. Perché la verità non ha prezzo, e nessuno può fermarla. La sua è una nuova sfida: respingere e contrastare definitivamente, prima che sia troppo tardi, la demagogia e l’assalto di quel manipolo di “oltranzisti giustizialisti”, che per sete di potere e con l’arma del ricatto oggi minacciano seriamente la democrazia e la libertà del Paese. Quella che segue è la sintesi di un colloquio, durato oltre due ore, in cui, fra l’altro, si è parlato del tragico epilogo di Luigi Lombardini. SA REPUBLICA - Dottor Pintus, la sua lettera-denuncia al Presidente della Repubblica e del Csm Carlo Azeglio Ciampi, con cui ha rassegnato le dimissioni dalla Magistratura, ha suscitato grande scalpore in tutta Italia. Perché questo gesto eclatante dopo quarantacinque anni di attività di cui sette come Procuratore Generale di Cagliari? PINTUS - “Io non ho dato le dimissioni dall’ordine giudiziario. Ho semplicemente rinunciato a usufruire del biennio di proroga, dopo la scadenza naturale dell’incarico che ha coinciso con il mio settantesimo anno di età. Per quel che riguarda invece “lo scalpore” che avrebbe suscitato la mia lettera, devo dire che è calato un chiassosissimo silenzio, come succede sempre nel nostro Paese”. SA REPUBLICA - Non ritiene che la sua “rinuncia” possa essere considerata come una resa? PINTUS - “Io le battaglie le ho sempre combattute fino in fondo per questi due problemi ineludibili: l’indipendenza della Magistratura e la certezza del diritto”. SA REPUBLICA - Tuttavia se ne va sbattendo la porta. C’è chi dice però che ha lasciato la toga per porre fine ai procedimenti di “incompatibilità ambientale” avviati contro di lei dal Csm... PINTUS - “Per quanto riguarda quei procedimenti, devo dire che io stesso per accertare la verità ne ho più volte sollecitato la conclusione. Ma sia l’allora ministro di Grazia e Giustizia Flick, sia il Procuratore Generale della Cassazione hanno omesso di fare qualsiasi passo per l’accertamento della verità... E lo stesso Csm, pur sollecitato dal Presidente della Repubblica Scalfaro, si è limitato a raccogliere ulteriori elementi d’accusa contro di me”. SA REPUBLICA - Sta dicendo che la sua era una lotta impari che andava fatalmente verso un’unica direzione, e che prescindeva comunque dall’accertamento della verità? PINTUS - “Sì, voglio dire proprio questo”. SA REPUBLICA - Quindi quella di Procuratore Generale alla Corte di Appello di Cagliari è una “poltrona” scomoda? PINTUS - “È scomoda per chi fa il proprio dovere. Per chi invece vuole gestire il posto di Procuratore Generale come sede di partecipazione alle cerimonie è una poltrona comodissima”. SA REPUBLICA - Dottor Pintus, lei ha sperimentato sulla propria pelle che oggi per far carriera in Magistratura titoli e meriti non sono sufficienti. Lo dimostrano le sue mancate nomine alla Procura Generale e alla Presidenza della Corte d’Appello di Milano. Infatti, nessuna è andata in porto. Anzi, da lì sono iniziati i suoi guai. Ci dica, perché non la volevano a Milano? PINTUS - “L’unica spiegazione che posso dare è questa: non mi si considerava omogeneo al pool Mani pulite”. SA REPUBLICA - A questo proposito, in un’intervista rilasciata al Giornale, che è stata riportata dallo scrittore Giancarlo Lehner nel suo ultimo libro “Due pesi, due misure - Il nodo della giustizia in Italia”, lei disse: “Ho l’impressione che ci sia una continua ricerca dell’uomo giusto al posto giusto... mi limito a una banale considerazione: a me è stato contestato che mio figlio eserciti l’attività forense a Parma, mentre non è stato ritenuto ostativo per Borrelli il fatto che la nuora faccia l’avvocato a Milano...”. Insomma, un vero e proprio doppiopesismo! PINTUS - “Esattamente. Tra parentesi, la nuora di Borrelli continua ancora nell’esercizio della professione forense a Milano, mentre il suocero è stato nominato Procuratore Generale, e nella stessa città il marito è giudice civile. Ma non è l’unico ‘doppopesismo’. Di situazioni simili ne esistono tante altre, in diverse procure...”. SA REPUBLICA - A Milano in particolare chi non la voleva? PINTUS - “Borrelli ha negato ogni suo intervento in tal senso. E Borrelli, come dice Shakespeare, è uomo d’onore. Devo quindi supporre che indipendentemente dalla sua volontà, il Csm ha voluto ‘fargli un favore’”. SA REPUBLICA - Un fatto è certo. Oggi in Italia gran parte della opinione pubblica non crede più nella giustizia, non si sente più garantita: ritiene che esiste una “Magistratura deviata”, una “Magistratura politica”. E questa convinzione, dopo le sentenze di Perugia e Palermo che hanno assolto Andreotti, sentenze che hanno visto crollare alcuni teoremi giudiziari, è notevolmente cresciuta. D’altra parte, l’uso perverso dei pentiti, la strumentalizzazione della custodia cautelare, le condizioni delle carceri, le morti sempre più frequenti, il protagonismo di alcuni magistrati amplificato da una stampa compiacente e il ruolo ambiguo del Csm sono questioni reali e gravi che fanno riflettere. PINTUS - “Sono problemi dolenti. Anche questi ineludibili. D’altro canto, nella lettera che ho inviato al capo dello Stato ne parlo esplicitamente: ‘Il nuovo codice di procedura penale ha creato figure nuove la cui opera ha finito per incidere in modo determinante sulle regole del processo’. Sottolineo che ‘quest’ultimo si celebra sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi’ e che ‘i mezzi di informazione creano nell’opinione pubblica convinzioni ed aspettative, con la conseguenza che giorno dopo giorno diminuisce presso i cittadini la fiducia nei giudici’. Inoltre accuso quel- 10 ■ CRITICAsociale la ‘limitata schiera di protagonisti che determina correnti di opinione che finiscono per influenzare la politica, e talvolta, perfino le decisioni giudiziarie’. Ma soprattutto accuso la condotta del Csm, ‘l’organo che dovrebbe tutelare tutti i magistrati’ e che invece ‘si comporta assai spesso in modo tale da far dubitare della sua soggezione ad influenze di correnti, di amicizie e clientele, e che adempie alle proprie funzioni praticamente al riparo da qualsiasi controllo’”. SA REPUBLICA - Dottor Pintus, lei ha sempre condannato la giustizia-spettacolo e ha trascorso una vita a tutelare le regole e le garanzie. Le chiedo: quali iniziative occorre intraprendere per ripristinare la giustizia-giusta? PINTUS - “Le cause di fondo stanno nel disfacimento della giustizia, nella incapacità complessiva della macchina giudiziaria di smaltire tutti i lavori e nella cosiddetta giustizia elefantiaca. Del resto – inutile negarlo – quello che sta accadendo oggi in Italia è sotto gli occhi di tutti: gli uffici giudiziari continuano a ‘macinare’ processi che saranno prescritti. Pertanto, inevitabilmente, dovranno essere spazzate via tutte le procedure, e sono moltissime, destinate fatalmente alla prescrizione. Si chiamini Mani pulite o altro, la cosa non cambia. Finiranno prescritte anche le contravvenzioni, e i reati di maggiore gravità. Certo, io non so quante prescrizioni stiano maturando nelle varie Procure della Repubblica, nei vari Tribunali e Corti d’Appello. La mia esperienza è limitata agli uffici giudiziari della Sardegna. Le posso garantire che il numero delle prescrizioni cresce in modo impressionante, e riguarda tutti i reati, per i quali la celebrazione del processo coincide con una data a ridosso della scadenza dei termini di prescrizione. Perciò quando si celebra il giudizio di primo grado, si sa già che il processo sarà destinato alla prescrizione”. SA REPUBLICA - E quindi? PINTUS - “Di conseguenza se non si incide sulle cause dello sfascio, non si può parlare di ‘giustizia-giusta’, che viene assicurata mediante il rispetto rigoroso della obbligatorietà dell’azione penale. Altrimenti sarebbe opportuno eliminare l’obbligatorietà, che sarebbe soltanto una finzione, e introdurre la facoltatività dell’azione penale. Però questa volta non affidata ai magistrati, bensì a organi che abbiano l’investitura del popolo sovrano. Per questo ho sempre criticato la lentezza dei processi, che ha causato una valanga di prescrizioni, e quindi una surrettizia forma di amnistia. Per questo ho sempre chiesto il rispetto della obbligatorietà dell’azione penale, e ne ho criticato la facoltatività. Questi sono i nodi da sciogliere, per ripristinare la certezza del diritto!”. SA REPUBLICA - La storia della società italiana è sempre stata costellata di consensi, rinunce, ricatti e compromessi. D’improvviso, con una sorta di cancellazione della storia, “certi magistrati, elevati dalla piaggeria apologetica, dal conformismo acritico a eroi e superuomini”, scoprono “l’acqua calda”: tangentopoli. Quindi la degenerazione, giustizialismo e “giustizia a orologeria”. Perché questa tardiva e, tutto sommato, velleitaria sete di giustizia contro una sola parte politica? PINTUS - “Di fatto l’investitura della Magistratura come salvifica e taumaturgica operazione di bonifica morale del Paese ha creato molte illusioni. Illusioni – ripeto – che oggi stanno per naufragare in un mare di prescrizioni, mentre nel contempo si continua a trascurare l’esercizio dell’azione penale nei confronti di tutti gli altri reati. Lei mi chiede: ‘Perché questa tardiva e, tutto 10 / 2012 sommato, velleitaria sete di giustizia contro una sola parte politica?’. Beh, non saprei. Probabilmente occorrerà attendere l’apertura di altri armadi”. SA REPUBLICA - Resta comunque il fatto che a seguito della “Rivoluzione Mani pulite” cinque partiti “storici” sono stati cancellati dalla scena politica, mentre il PciPds-Ds è stato appena sfiorato. E D’Alema è al governo con Cossutta, nonostante i dossier Mitrokhin, Havel e tanti altri in arrivo... Andreotti assolto. Forlani ai servizi sociali. Mentre Craxi, esule e ammalato ad Hammamet, è l’unico pluricondannato con sentenze definitive per questo teorema: non poteva non sapere. Nonostante, dulcis in fundo, le dichiarazioni di Gerardo D’Ambrosio: “Craxi non ha mai intascato soldi a titolo personale. La storia gli ha dato ragione. I soldi li presero tutti”. Dottor Pintus, è possibile risolvere il caso-Craxi? PINTUS - “Il caso-Craxi ho il sospetto che non sia risolvibile se non attraverso aggiustamenti che – a quanto mi è dato capire – l’on. Craxi non gradisce. È certo che, se dovesse beneficiare di una grazia, l’on. Craxi potrebbe ritornare in Italia, ma non avrebbe la possibilità di riprendere l’attività politica, perché sarebbe ineleggibile finché esistono sentenze passate in giudicato”. SA REPUBLICA - Però esiste la possibilità della revisione dei processi, il caso-Sofri docet... PINTUS - “Sì, è vero. Ma è uno strumento estremamente delicato, uno strumento lungo è difficile da percorrere... Tuttavia c’è da dire che la valutazione che Craxi ‘non poteva non sapere’, si scontra con l’opinione di Nordio su altri segretari di partito, che secondo lui invece ‘potevano non sapere’. Un’altra possibilità infine è l’amnistia, che però in questo momento pare che sia rifiutata da tutte le forze politiche. Un’amnistia generalizzata che consenta ai fini giudiziari di togliere dagli armadi tutti i fascicoli che sono ormai sull’orlo della prescrizione. E dunque si ricominci da zero. Io però vedo nerissimo nell’avvenire della giustizia italiana...”. SA REPUBLICA - Veniamo alla Sardegna. L’11 agosto dello scorso anno moriva tragicamente Luigi Lombardini, Procuratore capo della Pretura di Cagliari, dopo un estenuante interrogatorio durato oltre sei ore condotto dal pool di Palermo, guidato da Giancarlo Caselli. L’accusa a Lombardini – cui in verità nessuno ha mai creduto – era gravissima e infamante: estorsione. Era accusato, come è risaputo, di essersi appropriato del riscatto pagato per la liberazione di Silvia Melis in concorso con l’editore Nicola Grauso, l’ex presidente della Sardaleasing avv. Antonio Piras e l’avv. Luigi Garau. Inoltre di aver tentato di estorcerne un altro al padre di Silvia Melis. Perché a distanza di tanto tempo il Tribunale di Palermo non ha ancora fissato l’udienza per l’esame del rinvio a giudizio? Perché questo ritardo? Perché tutto tace? PINTUS - “Queste domande me le sono poste anch’io, ma finora non sono riuscito a darmi una risposta”. SA REPUBLICA - Qual è il suo giudizio su Lombardini? PINTUS - “Un fatto è certo: neppure gli ultimi eventi sono riusciti a scalfire l’onestà intellettuale e morale del dottor Luigi Lombardini. Non c’è dubbio però, come ho riferito al Ministro di Grazia e Giustizia, che Lombardini fosse un magistrato ‘anomalo’, e che il suo modo di operare non fosse in linea con i miei principi garantistici. Ma i successi da lui ottenuti nella lotta contro la criminalità sarda in genere e contro i sequestri di persona in particolare (da cinquanta dei primi anni ‘80, si erano ridotti a zero nel 1989), la totale dedizione alla causa cui si era votato, anche al di là dei doveri istituzionali, gli avevano valso un unanime apprezzamento... Difatti, oggi in Sardegna c’è la consapevolezza che è venuto meno con lui un prezioso contributo per la conoscenza della criminalità sarda e delle sue specificità. E si legittima il dubbio che l’intervento del pool di Caselli (verosimilmente con piena legittimità, data la mole ingentissima di denunce partite contro Lombardini da diversi uffici giudiziari sardi) su alcuni dei suoi supposti abusi, con il grande spiegamento di forze (cinque magistrati e una decina tra agenti e collaboratori giunti da Palermo con un volo della Compagnia privata Aeronautica Italiana a bordo di un Falcom 50 I-SAME, operazione a dir poco inusuale per gli uffici giudiziari sardi, e senza precedenti...) e l’intensità dell’indagine, caratterizzata dalla contemporanea partecipazione di tutti i pubblici ministeri di Palermo, abbia giocato un ruolo non secondario sulla tragica morte di Lombardini”. SA REPUBLICA - A suo avviso, perché è stato “rimosso” Caselli dalla Procura di Palermo? PINTUS - “Guardi, io non so se Caselli sia stato rimosso dalla Procura della Repubblica. Non so se sia stato promosso con finalità di rimozione, rimosso con finalità di promozione, oppure promosso indipendentemente dal fatto che lui fosse suscettibile di rimozione. Quel che mi lascia perplesso è il fatto che, nonostante le promesse che aveva fatto, sia andato via dalla Procura di Palermo senza aver concluso il processo sul quale aveva giocato tutte le carte, cioè il processo Andreotti”. SA REPUBLICA - Ancora: che fine hanno fatto gli esposti da lei presentati? PINTUS - “Per quel che so, non hanno avuto alcun esito: né quelli penali alla Procura della Repubblica di Palermo, né quelli disciplinari al Csm. Devo dire invece che la procedura nei miei confronti è stata velocizzata oltre ogni limite”. SA REPUBLICA - Né si sa più nulla sulla “struttura parallela”... PINTUS - “Per la verità di ‘struttura paral- lela’ si è parlato a livello giornalistico, e ne ha parlato una relazione rispetto alla quale io ho preso tutte le distanze: la commissione Antimafia e il sottocomitato, presieduto dal senatore Pardini, il quale ha detto pubblicamente che io sapevo tutto dell’attività di Lombardini, di questa ‘struttura parallela’. Invece io ribadisco che non sapevo assolutamente nulla, come ho ben dimostrato al Csm. D’altra parte, l’unica volta che io sono stato formalmente investito dell’attività di Lombardini, riguarda la vicenda Furianetto, ma puntualmente ne ho informato i titolari dell’azione disciplinare, i quali hanno archiviato la pratica. Mi pare poco prudente, quindi, che si dica che io conoscevo l’esistenza della ‘struttura parallela’, che conoscevo l’attività svolta da Lombardini e non abbia fatto niente per impedirla. Ripeto: non ne sapevo o non ne so assolutamente nulla. Ma mi viene il sospetto che anche altri non ne sappiano assolutamente nulla”. SA REPUBLICA - È vero o no che Luigi Lombardini avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di Procuratore capo di Palermo al posto di Caselli? PINTUS - “Tra la collocazione del ruolo di anzianità di Lombardini e quella di Caselli vi era una differenza di quattro anni. Quattro anni di anzianità a favore di Lombardini. Ora lo so – secondo quello che dice il Csm – che nell’assegnazione di incarichi di quel genere si deve tener conto sia dell’anzianità sia del merito e sia delle attitudini. Ebbene, posso affermare che Lombardini sovrastava Caselli su tutti e tre i piani...”. SA REPUBLICA - C’è un altro caso su cui è calato il silenzio... Il caso-Mario Fortunato Piras di Arzana, la persona che Lombardini riteneva fosse particolarmente informata delle vicende del sequestro di Silvia Melis, e che sinora nessuno a Palermo e a Cagliari ha – per quel che si sa – mai interrogato. Chi pagò la trasferma (andata e ritorno) – si parla di decine di milioni – a Piras e ai carabinieri dal carcere vicino a Caserta a Badd’e Carros e Arzana? Chi fece la richiesta? E per quale motivo? PINTUS - “Questa domanda è stata oggetto di una interrogazione a firma del senatore Marcello Pera. Interrogazione alla quale il Ministro di Grazia e Giustizia a tutt’oggi non ha dato alcuna risposta. Eppure dal momento della presentazione della interrogazione sono passati, salvo errori, sei mesi. Un punto è certo. Per poter spostare un detenuto nelle forme in cui si è spostato Mario Fortunato Piras sono necessarie due condizioni: o che paghi l’interessato, ma non risulta che abbia pagato, oppure che paghi lo Stato. In questo caso è lo Stato che deve spiegare perché si è seguita quella strada”. SA REPUBLICA - Un’ultima domanda. Sempre più spesso oggi in Italia si parla di un intreccio perverso tra Magistratura e politica. A suo avviso, la Magistratura è indipendente dal potere politico? PINTUS - “Dal potere politico penso che sia assolutamente indipendente. Se qualche rischio c’è, invece, è che il potere politico sia indipendente dagli organi della Magistratura, soprattutto da quelli del Pm. Di fatto è una situazione anomala che non può proseguire ulteriormente. Infatti si corre il rischio di sacrificare l’indipendenza della Magistratura. Ma ne esiste un altro di pericolo: ‘oggi l’unico pericolo per la Magistratura è rappresentato dal Csm!’. Non sono parole mie, sono parole di Giovanni Falcone”. s (ringraziamo il periodico “SA Republica” e il suo direttore per averci consentito di pubblicare l’intervista all’ex procuratore di Cagliari Francesco Pintus)