Personaggio Casanova tra Genova e Venezia comprimari, testimonianze e due ritratti di Giuseppe Bignami L’aspettativa fondamentale alla quale non può sottrarsi chi intenda divulgare avvenimenti e figure che abbiano avuto attinenza con Giacomo Casanova, è che sia ancora possibile la grande scoperta, il ritrovamento del documento o della lettera che possano gratificare di nuova luce il percorso indagatissimo della vita dell’avventuriero veneziano. Rifacendoci nondimeno ad un proclama che Alessandro D’Ancona impose ai suoi contemporanei studiosi di storia locale affinché, a partire dal 1882, “avvalorassero sempre meglio la verità delle Memorie Casanoviane”, se non altro per rimanere in ambiente ligure è strettamente d’obbligo avvicinare gli scritti d’uno dei primi nostri indagatori, Luigi Tommaso Belgrano , non tanto per conoscere “un altro desiderio vivissimo espresso dall’Ademollo, e testé riproposto dal Mola” – e cioè la pubblicazione integrale delle memorie di Casanova dopo che Wilhelm von Schütz in tedesco, e Jean Laforgue in francese, ne diedero alla luce il testo da loro “interpretato” sin dal 1822 e dal 1826 (il secondo traducendo addirittura in francese il tedesco 1 A fronte Francesco Maria Narici (1719 ca -1785). Presunto ritratto di Giacomo Casanova a 35 anni (Coll. Bignami, part.). che lo aveva preceduto!) – quanto per cercare spunti utili, ancora, a proporsi domande e verifiche aggiornate. È risaputo che Joseph Pollio, Console Generale di Francia e attivissimo cultore casanoviano anche in ambiente ligure, abbia ripubblicato, proprio nella nostra città, un “episodio autobiografico” di Casanova, “Il Duello”, presso l’importante Libreria Editrice Moderna di Galleria Mazzini, dove passava tanta parte della cultura di quel tempo, nel 1914. L’edizione, limitata (e quando “limitatissima” corredata della firma del responsabile Giovanni Ricci), è vivacemente commentata da Piero Chiara quando, prima d’accennare ad una successiva edizione francese dell’opuscolo, sempre a cura del Pollio, nel 1925, ascrive al curatore il merito e l’intelligenza d’essersi accorto dell’importanza memorialistica del testo (in pratica: il solo saggio in lingua italiana dell’autobiografia di Casanova, apparso a Venezia, per i tipi del Fenzo, negli introvabili “Opuscoli Miscellanei”, me2 3 25 suo pretendente ch’era un amico fraterno dell’avventuriero, Andrea Memmo (poi ideatore del celeberrimo Prato della Valle a Padova), non potevano più essere verificate per costatata e irrimediabile “asportazione” (in questo caso d’un fascicolo nell’indice dei “Matrimoni Secreti” dall’anno 1756 sino al novembre 1758”). Fortemente indiziata l’anziana signorina, ormai scomparsa, che sottopose al suo corrispondente genovese d’allora fotocopie di documenti originali, in quanto tali da considerarsi ufficialmente (ma chissà fino a che punto…), “non disponibili”. A Giustiniana Wynne , poi contessa di Orsini Rosenberg, dobbiamo una descrizione “dal vivo” di Casanova che si trova in una lettera al Memmo da lei scritta da Parigi l’8 gennaio 1759, lettera che ha il notevole merito di confermare, come poi sarebbe piaciuto al D’Ancona, la veridicità sincerissima delle memorie casanoviane, ma redatta in uno stile astioso che malissimo si concilia con un certo rapporto intimo-abortivo che l’autrice si preparava a consumare con Casanova nella “ville lumière”, naturalmente all’insaputa del marito “secreto”, il Memmo, da lei sposato a Venezia nell’estate del 1757; mai, però, diventato capo d’una famiglia tradizionale : Quella stessa sera in un palco presso al mio eravi Casanova magnifico, che ci conobbe, e venne a trovarci, e adesso è da noi ogni dì, benché non mi piaccia la sua compagnia, e credo, che non ci convenga. Ha carrozza, staffieri, ed è vestito con magnificenza. Ha due bellissimi anelli di brillanti, due mostre diverse e di molto gusto, scattole d’oro, e merli sempre. Egli non so come, s’è sparso per le buone case di Parigi. Dice di esser interessato in un Lotto, e vanta, che gli renda molto; oltre di che mi fu detto ch’è mantenuto da una vecchia Dama ricchissima. Egli è pien di sé, e scioccamente fastoso; insomma insoffribile, quando però non parla della sua fuga, che racconta mirabilmente. Parlo con lui di te assai spesso. Ma t’ho a dir di Versailles… Un altro formidabile ritratto del Casanova propone l’abate Pietro Chiari, fiero oppositore della maniera teatrale del tanto più grande Carlo Goldoni, in una sua commedia nella quale fa esprimere alla protagonista un distillato di velenosa ferocia che altro non è se non la sua vendetta personale per essere stato pubblicamente attaccato proprio dal nostro avventuriero sul terreno sensibilissimo del confronto Goldoni-Chiari (di grande interesse a quei tempi quanto risibile oggi): C’era tra gli altri un certo Sig. Vanesio di sconosciuta, e, per quanto dicevasi, non legittima estrazione, ben fatto della persona, di colore olivastro, di affettate maniere, e di franchezza indicibile, che pretendeva di farmi da Cicisbeo; ma non aveva il primo principio per essere amabile. Era costui uno de’ Fenomeni dell’Atmosfera civile, che non si sa come splendano, voglio dire, come facciano a vivere, e vivere signorilmente, non avendo né terre al Sole, né impieghi, né abilità che loro diano quella onorevole sussistenza, che si deve in essi argomentare dal loro vestito. Invasato costui dal fana6 7 se di giugno, 1780), e proclama il libretto – “in sedicesimo, dalla copertina verde, in veste popolare e dimessa” – essere “ormai un’altra rarità bibliografica”, scomparsa rapidamente dalla circolazione. Quello che Chiara certamente non ha sottolineato è la debolezza, purtroppo comune, come vedremo, presso altri ricercatori e in altri luoghi, che ha spinto il Pollio, attivo presso l’Archivio di Stato a Genova nei primi lustri del ‘900, ad appropriarsi di alcuni documenti relativi al suo grande interesse, Casanova, impedendo ai posteri (tra i quali qualcuno ha verificato l’inspiegabile assenza d’un così controverso e pubblico personaggio fra i tanti citati a Genova nel 1760 e nel 1763) di trovare traccia del suo passaggio in città . Anche a Venezia, per tornare al nostro tempo e per parlare di persone che è stato possibile incontrare, si sono avventurate mirabili figure capaci di lasciare ampia traccia della loro ricerca (e testimonianza del grande dono, in esse, di saper collaborare) anche sotto il velo d’un aristocratico silenzio. A tali doti risponde sotto molti aspetti Costantina Dalle Fusine, nata nel 1906 a Saarbrucken in Germania, titolare d’una dedica nella fondamentale bibliografia casanoviana di J. Rives Childs (“Casanoviana”, Vienna, Nebehay, 1956), attivissima esploratrice degli archivi veneziani pubblici e privati alla ricerca di libri, di documenti e date che hanno particolare interesse nell’ambito di queste note. Chi scrive poté verificare nel 1990 , a prezzo d’irripetibili sopralluoghi nello storico Caffè Florian a Venezia, che alcune vicende esistenziali d’un’amica del Casanova, Giustiniana Wynne (1737-1791), con un 4 5 26 8 Personaggio A fronte La copertina di un volumetto del Casanova. Ritratto di Giustiniana Wynne. Miniatura di anonimo del XVIII sec. (Coll. Fremantle, England). tismo di cose oltremontane, e straniere, non aveva in bocca, che Londra, e Parigi, quasi che fuori di quelle due illustri Metropoli non ci fosse più mondo. Di fatto egli ci avea dimorato qualche tempo, non so in quale figura, né con quanta fortuna. Londra, e Parigi doveva entrare in ogni discorso suo; Londra, e Parigi era la norma della sua vita, de’ suoi abbigliamenti, de’ studi suoi, che vale a dire in una parola delle sue stolidezze. Sempre polito quanto un Narciso, sempre pettoruto, e gonfio come un pallone, sempre in moto come un mulino, si faceva una occupazione continua di cacciarsi da per tutto, di fare a tutte il galante, e di adattarsi a tutte quelle circostanze favorevoli, che gli fornivano qualche mezzo o di far denari, o di far fortuna in amore. Coll’avaro facea da alchimista, colle belle facea da Poeta, col grande facea da politico, con tutti faceva di tutto: ma non per altro, al giudizio degli assennati, che per farsi ridicolo. Volubile come quell’aria, di cui avea pieno il cervello, nel breve giro d’un giorno era amico giurato, e nimico implacabile della persona medesima. Dopo avermi lodata sul volto mio, fino a mettermi sopra le stelle, era capace di mettermi sotto gli abissi, tosto che m’avea voltate le spalle. In somma il suo sistema si era d’esser tutto di tutti; e per conseguenza diverso essendo l’umore delle persone, non doveva essere amico a nessuno… Non abbiamo lo spazio per trascrivere integralmente anche il magnifico ritratto di “Aventuros” tracciato dal principe di Ligne, che ebbe modo d’ascoltare la lettura delle pagine fresche d’inchiostro delle Memorie dalla viva voce dell’anziano autore, suo notevole e stimato amico, nell’ultimo esilio Personaggio di Dux, in Boemia; ritratto spesso amaro ma d’una plastica vivacità e sempre molto suggestivo: Sarebbe un gran bell’uomo, se non fosse brutto. È alto, forte come un Ercole, ma il suo colorito d’africano e gli occhi vivaci, pieni d’arguzia, anche se lasciano trasparire una certa suscettibilità, inquietudine o rancore, gli conferiscono un aspetto quasi feroce, di chi è più incline alla collera che non all’allegria. Ride poco ma fa ridere gli altri… Le uniche cose che non sa sono quelle che pretende di sapere… . 9 Giustiniana Wynne non fu solo buona amica di Casanova e sposa segreta di Andrea Memmo: conobbe anche, e frequentò a lungo fino al termine della propria esistenza nella bella villa di Altichiero nei pressi di Padova, il senatore Angelo Querini, riferimento culturale fondamentale soprattutto per coloro che amavano l’archeologia interpretata attraverso l’interrogazione delle tante statue che il giardino della villa di Altichiero esibiva; statue raccolte dal padrone di casa, amate e disposte con la sapienza classica e architettonica tipica di quei tempi. Giustiniana ringraziò il suo munifico ospite per le numerose giornate ricche di scambi ed incontri con un libro che ebbe ai suoi tempi lusinghiere recensioni ed è oggi una splendida rarità bibliografica essendo anche, a pieno titolo, un “figurato veneziano” di grande fascino: “Alticchiero, par Mad. J.W.C.D.R., à Padoue, 1787”; l’opera, in quarto, è corredata d’una pianta ripiegata e di ben 29 tavole incise. Casanova custodiva una copia di questo lavoro nella biblioteca di cui era diventato responsabile nel castello di Dux, e l’estensore di queste divagazioni ha potuto arricchire il pro- 27 prio già magnifico esemplare con una lettera autografa del Querini, ignota a chi s’è occupato della villa di Altichiero, che testimonia la volontà caparbia del padrone di casa di farsi attribuire una patente d’autenticità relativamente ad una colonna che la Wynne dichiara falsa testimonianza d’un fatto d’armi mai avvenuto, e meramente leggendario. La “Colon- ne de Salbore” è commentata nel libro a pag. 55, e riprodotta nella tavola XXV. Ecco cosa domanda il senatore Querini al suo ignoto corrispondente (forse il Canova?) nella sua lettera del 14 dicembre 1793 (due anni dopo la morte di Giustiniana Wynne, e sei anni dopo la stampa del volume su Altichiero), da Venezia, inedita: La tavola XXV in “Alticchiero” di Giustinana Wynne. Catalogo de’ nuovi Associati. La tavola III in “Dell’Illiade di Omero, tradotta in ottava rima da Giacomo Viniziano”, tomo III, Venezia, 1778. (Coll. Bignami). A fronte Lettera, inedita, autografa dell’abate Eusebio Maria della Lena al libraio Carlo Scapin, Padova, 10 giugno 1795. 28 Personaggio Tra questi tiene distinto luogo anche per l’Amor Patrio l’iscrizione trasportata da Salbore, su cui mi ricordo che, fissandosi ella sulla forma di quei caratteri, come sopra indicazione di qualche forza per trarne argomento di autenticità, lasciò in me grandissimo desiderio / ch’ella potesse averla comodamente sott’occhio, e credesse dirmene poscia più fondatamente il di lei riputatissimo sentimento. Ecco dunque perché ne ho fatto fare una copia esattissima e mi faccio adesso a supplicarla di voler avere la pazienza di quei confronti sopra di essa che dall’immensa sua erudizione unicamente posso promettermi più sicuri ed autorevoli… Possono essere interessanti, come saluto a Giustiniana, al senatore Angelo Querini e al Memmo, le fresche parole con cui la figlia del conte Bruno Brunelli Bonetti di Padova (massimo studioso della Wynne, per rimanere strettamente in argomento, con il suo “Un’amica del Casanova”, Palermo, Sandron, 1924) ebbe a indirizzare allo scrivente il 6 luglio 1985: … Le dirò un particolare marginale: la villa Querini di Altichiero era passata poi alla famiglia di mia madre, Soster, anche con alcune raccolte d’arte, come per esempio dei busti. Io ho regalato alla raccolta Querini al Museo una ventina di calchi in gesso di busti del 700. In quanto all’Andrea Memmo noi avevamo un suo ritratto d’epoca, che ora conserva una mia nipote. Piccole curiosità!... Prima d’abbandonare Venezia, e i fasti di Casanova in laguna, merita qualche cenno un compitissimo gentiluomo del tempo, il conte Aurelio Guarnieri Ottoni patrizio d’Osimo, che due soli piccoli motivi legano a Casanova. Il primo, noto a coloro che hanno scorso l’indice dei sottoscrittori alla traduzione dell’Iliade a cui Casanova aveva affidato tante speranze, a Venezia dal 1775 al 1778 (non saranno poi tanto numerosi…), è la presenza del nome del conte nell’elenco dei 24 ardimentosi “prenotati” al III volume d’un’opera che sarebbe comunque rimasta incompiuta (il quarto e ultimo Personaggio 29 altri. Un documento, in particolare, giustifica questo inserto, e consola circa il mancato reperimento d’una comunicazione casanoviana : una lettera di Lodovico Antonio Loschi scritta al conte al fine di giustificare la “pìstola dedicatoria” (evidentemente non prima autorizzata dal Guarnieri) sull’edizione italiana degli “Eloges à M. de Voltaire par differens auteurs”: appunto gli “Elogi…” volgarizzati e tradotti da L.A. Loschi, presso Storti, a Venezia, subito dopo la morte di Voltaire, nel 1779 (ambedue le edizioni in r.B.); proprio quella dedica che il conte Guarnieri Ottoni doveva aver trovato imprudente per l’accostamento del suo nome di gentiluomo e buon cristiano a quello d’un “filosofo” come Voltaire… (Ecco alcune righe della complessa originalità d’un documento che è modo e testimonianza d’un rito non infrequente nella cultura dell’epoca: … Ad ogni modo, palese essendomi, Nob.e ed Ornat.mo Sig.r Conte, la estrema di lei delicatezza, a bella posta non ho voluto nella pistola dedicatoria esprimere il titolo dell’opera che al nome suo si consacra, cosicché si potrebbe quella pistola quindi tolta altrove comodamente collocare; ed in realtà né pur ho inteso tanto di consacrarle una sì tenue fatica, richiedendosi un più degno lavoro all’altezza del singolare merito suo, quanto di cogliere quella occasione, che prima avea a presentarsi, per non differire più a lungo la significazione della mia stima e devozione…). Casanova, che aveva pur scritto un suo immediato “Scrutinio del libro Eloges de M. de Voltaire”, a Venezia, presso il Fenzo, nel 1779 (r.B.), ben memore dei suoi burrascosi trascorsi col padrone di casa a Ferney, con lo sfortunato suo libro “Ne Amori Ne Donne, ovvero la stalla ripulita”, Venezia, Fenzo, 1782 (nel 1981 si contavano, da verificare, quattordici copie di questo volumetto, più una, sola conosciuta in carta pesante, in r.B.), conclude la sua permanenza veneziana oltraggiando il nobiluomo Carlo Grimani che, in casa propria e in sua presenza, aveva permesso a un certo Carletti d’insultare atrocemente l’ospite Casanova. Il libello è particolarmente interessante per le conseguenze biografiche (e le speranze anagrafiche!) che offre, in una complessa chiave di lettura nella quale è possibile individuare il genovese Carlo Spinola, marchese del Sacro Romano Impero e di Roccaforte, conte di Ronco, signor del Borgo de’ Fornari, di Vigo, di Sentrassi ec. ec. ec., nei panni del “re Augia”. Casanova ne fu in un certo senso segretario, a Venezia, dal 1775 al 1783, dove gli dedicò il I volume della sua traduzione dell’Iliade proprio nel 1775. Ricerche condotte a Genova presso l’allora vivente marchese Ambrogio Spinola non poterono approdare alla biblioteca di famiglia nel castello di Tassarolo, troppo sospettosamente custodita, dove sarebbe stato auspicabile il rinvenimento, quanto meno, di questo primo volume, passato fisicamente dalle mani di Casanova a quelle di Carlo Spinola, e forse custode d’una traccia autografa che non è stato possibile neppure cercare. Come altre volte Casanova ebbe a pentirsi di questa sua intrapresa editoriale, e non solamente perché l’elaborato risultò ben po12 volume non vide mai la luce per esaurimento dei fondi); il secondo è noto soltanto ai duecento abbonati della rivista “L’Intermédiaire des Casanovistes” (già presentata), che ne abbiano letto il VI numero . In esso si apprende come un esemplare d’altra opera casanoviana d’estrema rarità, l’“Exposition Raisonnée du different, qui subsiste entre les deux Republiques de Venise et d’Hollande”, 1785 , rechi chiaro segno dell’interesse del Guarnieri al Casanova attraverso la sua firma d’appartenenza. Se nel 1778 Guarnieri sottoscriveva, a Venezia, un’opera di Casanova, e un’altra ne acquisiva per la sua biblioteca in rio Marin alle Zattere nel 1785, quando già Casanova aveva lasciato per sempre la Serenissima, poteva ben darsi che l’archivio del gentiluomo, nato ad Osimo nel 1737 e morto a Venezia nel 1789 – ereditato da un discendente collaterale, il conte Aurelio Balleani Baldeschi, e collocato ad Osimo in un palazzo avito accessibile solo tramite autorizzazione della famiglia – potesse consentire a un valoroso ricercatore di documentare connessioni di determinante rilievo. Alla verifica, nel luglio 1987, furono rinvenute lettere di Andrea Memmo al conte Aurelio (in due delle quali si accenna alla preparazione del Prato della Valle ed ad Angelo Querini); di Pietro Zaguri, forte corrispondente del Casanova; di Elisabetta Caminer Turra (editrice anche di Giustiniana Wynne); del libraio padovano Scapin (otto lettere a lui dirette dall’abate Della Lena - forse il primo biografo, oltre che ottimo amico, di Casanova - sono in r.B.); e di tanti 10 11 30 Personaggio co appetibile e gravemente lesivo dell’onore della nobiltà comunque citata sotto mitologico aspetto, quanto perché impedirà al suo autore di rimettere piede ancora una volta, almeno, nell’adorata e matrigna Venezia. Ben diversamente Genova doveva accogliere Casanova nell’autunno del 1760, e poi nel 1763, reduce da trionfali presenze nei salotti parigini dove aveva condotto una vita di società “non conoscendo la quale nessuno avrebbe potuto poi dire d’avere veramente vissuto”… La narrazione della sua fuga dai Piombi di Venezia, realizzata solo cinque anni prima, lasciava stupefatti gli ascoltatori dopo tre ore di magica esposizione; i suoi successi, il suo fascino di conquistatore e di magnifico conversatore, il suo estro di filosofo, scienziato, matematico, diplomatico, finanziere (all’occorrenza cabalista ed occultista), non erano ancora offuscati dalle “lettres de cachet” per il momento in agguato, dalle reclusioni in carcere più o meno motivate, dalla futura attività di “confidente” per il Consiglio dei Dieci, a Venezia; da una vecchiaia raminga e irrisa, da una lontananza irrimediabile e sofferta dall’agognata patria. A Genova erano gli anni del locale stile Luigi XV, quel “barocchetto genovese” che dovette segnare, insieme agli argenti Torretta, l’apoteosi del gusto e dell’evoluzione delle più elevate personalità cittadine con i suoi cassettoni, ribalte, sopralzi; specchi e cornici laccate o dorate (dove si sprecavano i tralci intagliati, le bacche, le foglie, le “pellacce” d’inarrivabile armonia e leggerezza); porte e intere pareti decorate, gallerie tanto simili a quelle di Versailles, scintillanti tra specchi, infinite candele e stoffe sontuose. A Genova intervenivano i migliori ingegni e spiriti cosmopoliti da ogni dove, e il teatro aveva una vitalità non certo compromessa dalle vertenze sindacali e dagli scioperi dei giorni nostri attuali… All’albergo “de Saint Martin” (presso la chiesa di Santa Fede, all’Annunziata), frequentato dai più illustri visitatori, Casanova occupò tre stanze, e insieme a lui era presente fra gli ospiti Giuseppe Baretti. Non era facile, ap- pena giunti in città, scegliere uno dei due migliori alberghi disponibili; la concorrenza tra il “Santa Marta” (il “Saint Martin” di cui sopra) e l’altro, unico albergo di qualche spicco in Sottoripa, la “Croce di Malta”, era a dir poco feroce: messi dei due alberghi raggiungevano in porto i viaggiatori giurando che l’unico albergo “attivo” era il loro, l’altro essendo stato appena devastato da un indomabile incendio!... Nell’aprile del 1760 Casanova aveva conosciuto a Zurigo l’ex cappuccino genovese Giustiniani, ormai inferocito contro qualunque comunità religiosa (suo il merito d’aver distolto il discepolo dalla velleità di prendere i voti), e lo aveva assunto come maestro di lingua tedesca. Ma ben più cospicuo rappresentante della migliore società cittadina doveva poi incontrare ad Avignone (autunno del 1760), stringendo con lui un rapporto di solidarietà che non andava mai esente dal grande rispetto che il gentiluomo, allora cinquantacinquenne, sapeva estendere intorno alla propria autorevole figura: il marchese Gian Giacomo Grimaldi, che aveva terminato il biennio dogale il 22 giugno del 1758. Casanova accettò senza indugiare l’invito che il gentiluomo gli aveva prospettato ad Avignone e, appena arrivato a Genova, si recò a visitarlo nel Conversazione in un giardino d’Albaro (particolare). Genova, Civici Musei di Strada Nuova. A fronte Incisione di Jan Berka da “Histoire de ma fuite…1788” di G. Casanova. Personaggio 31 suo palazzo in Fossatello, “in vicinanza della strada Lomellina”, come annota diligentemente il Belgrano, sempre sul Caffaro, il 27 aprile 1884, dove ancora aggiunge: “a me sembra che possa identificarsi col maestoso edifizio che levasi in angolo appunto sulla destra del Fossatello, e protende l’un de’ fianchi a levante sui primi passi della via testé ricordata. Fu già dei nobili Centurioni, ed oggi appartiene ai Cambiaso”. È qui che Casanova consegnò il suo biglietto da visita, che tutti i casanovisti vorrebbero ritrovare, ed è in San Pier d’Arena (o forse a Pegli?) che si collocava la villa nella quale il marchese invitò ben presto Casanova e Rosalìa, sua affettuosa compagna in quei bei momenti. Ancora il Belgrano sollecita la nostra passione di posteri spiegando che “Il palazzo dei Grimaldi di San Pier d’Arena si trova indicato vicino alla chiesa di S. Giovanni Battista. Ma tutto si mutò qui in breve giro di tempo. Il titolo del Precursore cedette a quello di S. Gaetano; i fiori del giardino furono strappati dalle aiole, per lasciar posto alle ortaglie; la casa, bella della semplicità delle forme architettoniche, e ridente per un loggiato di cui s’indovina tuttavia l’eleganza, alberga ora una fabbrica di paste. Il lettore, pago di richiamarsi alla memoria que’ luoghi, ne cerchi inoltrandosi per un viale, che ha l’ingresso sulla strada di S. Martino, segnato col numero 14”. Ma nel 2008 quale speranza potrà nutrire il lettore di vivere in loco la malinconica memoria di questi sbiaditi affreschi? Non furono, però, esclusivamente rose e ligustri tutti i giorni casanoviani di quegli scorci del 1760 e 1763. L’avventuriero Giacomo Passano, genovese, attore mediocre, pittore di miniature oscene su avorio, poeta, facile autore di discutibili sonetti satirici e di un poema “criticosatiricogiocoso” contro l’abate Pietro Chiari (la “Chiareide”, mai pubblicata nonostante gli eroici sforzi dell’autore), rappresentò una debolezza frettolosa del nostro Casanova, che più e più volte finse di non vedere i lati negativi, pur numerosi, di questo suo tanto più modesto collega e concorrente fra gli avventurieri. Infatti ordiranno insieme il tremendo raggiro contro l’anziana marchesa d’Urfé, lusingata, a Marsiglia, con la promessa d’una sua “rigenerazione” secondo un sofisticato rito filosofale che non poteva essere coronato da successo, ma sicuramente avrebbe fruttato somme da capogiro a ideatore e comprimari. Passano, che inventò straordinari pseudonimi per firmare lettere e poesie (Ascanio Pogomas, Cosimo Aspagona, Simon Agassopago, Pascasio Gomona, Simaco Pagonoso, Nicasio Magospa, Canisio Gaspamo, Gian Maso Sopaco, Panagio Somasco, Egisarco Laprisio, Bobolco Lapponio), ha lasciato di sé, quantomeno leggibile, un copialettere del 1757 , che solo per un modesto scarto temporale non annovera la presenza di Giacomo Casanova, conosciuto, appunto, solo tre anni più tardi. Sempre firmandosi Ascanio Pogomas (A.P.), Passano si rivolse soprattutto ad autori, attori, capocomici, impresari di teatro; fra i primi ritroviamo addirittura un riottoso Carlo Goldoni… A Genova Passano trovò da affittare un appartamentino per Casanova e signora; una graziosa casetta borghese che non è localizzabile: “quatre pièces très bien meublées, dans une belle exposition”, che offrivano una magnifica vista, altra passione sempre viva tra i genovesi. Prima che fra Casanova e Passano scoppiassero, com’era inevitabile proprio fra avventurieri, gravissimi e definitivi dissapori, il Passano veniva pagato dal Nostro con un pezzo “tosato” da 100 lire vinto al gioco ; ben presto sequestrato, al cambio, pres13 14 Il Canal Grande in un dipinto del 1770 circa. Londra, Coll. Kenwood House. 32 Personaggio Lettera autografa di Giacomo Casanova al conte Ottaviano Antonio di Collalto, Dresda, 2 luglio 1790 (in P. Molmenti, “Carteggi Casanoviani, lettere di G. Casanova e di altri a lui”, Palermo, 1916. Coll. Bignami). Personaggio 33 bruciante l’impossibilità di leggerne il testo, manoscritto in cinque copie, mai trovato fino ad oggi e da considerarsi perduto fra le 43 opere censite del grande avventuriero, forse ancora in attesa di illuminare con il suo emozionante rinvenimento qualche polveroso archivio nobiliare, o il mistero di qualche baule in soffitta. Casanova, tantomeno a Genova, non trascurò di interessarsi alla società locale, agli incontri, alla tavola (famosi i funghi della Val di Vara e di Valletti!), al gioco, al costume, alle donne. Per compiacerne alcune, come si è lasciato supporre in un precedente articolo di questa rivista , il veneziano comprò per Rosalìa “des étoffes chinoises en coton de la plus grande beauté… pour s’en faire deux mezzaro, sorte de mantelet à capuchon dont les femmes se servent à Gênes pour se promener dans la ville, comme le cendal sert à Venise et la mantilla à Madrid” . In altra compagnìa, appunto con la graziosa marsigliese ch’egli chiama con lo pseudonimo di “Crosin”, Casanova riferisce l’offerta d’un’ostessa alla ragazza “si elle voulait acheter une belle mantille de Pékin à la mode de Gênes” (appunto nel 1763 l’Accinelli lasciò scritto: “S’introdusse in Genova l’uso delle mantelline, pervenuto da paesi oltramontani”). Ancora: Marcolina (amante del fratello Giovanni) e Rosalìa, alle processioni del giovedì santo e alle “casaccie” del giorno successivo, in sua compagnìa assistettero “bien couvertes de leur mezzaro…; car ma venitienne accoutumée du ménage du cendal, savait manier et faire jouer le Mezzaro aussi bien et mieux qu’une génoise”. 15 16 so la Banca di S. Giorgio. Imprigionato perché omertoso nel rivelare da chi la moneta gli fosse pervenuta, inviò dalla prigione in cui subito fu trattenuto un biglietto a Casanova, che immediatamente si consigliò con il marchese Agostino Grimaldi della Pietra (solo un omonimo del citato Gian Giacomo), il quale intervenne con gli Inquisitori di Stato riuscendo a mettere ogni cosa sotto silenzio, e a liberare il “Pogomas”, per di più risarcito del giusto valore della moneta! Uno dei grandi, pochi, motivi che rimangono per ricordare non solo a livello locale il passaggio di Casanova a Genova, rimane la sua traduzione dell’ “Ecossaise” di Voltaire, subito trascritta nel 1760 dal segretario Gaetano Costa, e recitata, senza suggeritore (cosa inaudita, a quei tempi) dalla compagnia del bravo Gaetano Rossi presso il teatro “da” S. Agostino per cinque sere di seguito, circostanza rarissima in quell’epoca. Otto giorni prima della rappresentazione ne fu reso pubblico l’annunzio con il titolo “L’Ecossaise de M. de Voltaire, traduite par une plume inconnue”, e da recitarsi “sans souffleur”. Tralasciando la disapprovazione di Voltaire che, subito ricevuto il lavoro, giudicò “pessima” la traduzione di Casanova (che anche per questo serberà inimicizia mortale, quanto innocua, contro il filosofo di Ferney; salvo poi pentirsi in tarda età) è giusto sottolineare come il successo di questa commedia fosse stato grandissimo a Genova, e come sia purtroppo 34 Abbiamo lasciato, fino a questo punto, che a spiegare chi fosse Casanova bastassero le parole di chi lo frequentò, giovane o vecchio, “ligure” o “veneziano”, nelle testimonianze che abbiamo prodotte, tutte influenzate, a loro modo, dalla penna di chi ebbe a redigerle, più o meno abile nel delineare tratti che del discusso avventuriere tramandassero la figura, il carattere, le doti, i molti difetti. Certo l’aspetto fisico di quel metro e novantatre centimetri di irresistibile voglia di vivere ne riesce appena tratteggiato, e non ci sono di grande aiuto, in questi nostri giorni bombardati da immagini e da infinite e ripetitive proposte fotografiche, i pochi ritratti che del veneziano ritraggano le sembianze fisiche. Come è stato ricordato in tempi relativamente vicini esistono di Casanova solo tre ritratti indiscutibili: due di questi furono esposti a Venezia nella mostra che la Ca’ Rezzonico organizzò nel bicentenario della morte del suo illustre cittadino (1998), ma il terzo, Casanova vecchio – commentato dalla citata signorina Costantina dalle Fusine come “brutto ritratto, impietosa rappresentazione della vecchiaia d’un uomo il cui inesprimibile fascino non è qui dato neppure di intuire” – rimase a Roma, nelle gelosissime mani di chi lo ereditò, e non fu reso disponibile neppure dopo accorati, pubblici interventi. Così, nelle splendide sale veneziane di quel tempio del secolo dei 17 18 Personaggio Anton Graff (attr.) presunto ritratto di Casanova a 36 anni, miniatura su avorio, 1761 circa. Retro del ritratto. Presunto ritratto di W. A. Mozart, matita su carta. Copia da J.H. W. Tischbein. (Coll. Bignami). A fronte Lettera di G. Passano a Carlo Goldoni del 1757. Personaggio 35 Francesco Maria Narici, presunto ritratto di Casanova a 35 anni, cm 196 x 154 (coll. Bignami). 36 Personaggio lumi che è il museo della Ca’ Rezzonico, benissimo fece lo scrivente a prestare i due ritratti della sua collezione, e ne fu largamente remunerato nonostante fosse dichiarata come indiscutibilmente presunta la realtà storica delle due immagini – la più piccola e la più grande fra le superstiti rappresentazioni iconografiche del Nostro, la miniatura “Graff” e il maestoso ritratto oltretutto soltanto attribuito ad Anton Raphael Mengs (1728-1779). Non è qui il caso di dilungarsi sull’avaro destino d’un uomo che le corti europee del suo tempo ravvisavano da lontano, e oggi nessuno, neppure da vicino, saprebbe riconoscere come uno dei protagonisti - ancorché, per taluni, “minore” - del movimento intellettuale e letterario del Settecento. Comunque sia, visto che nel 2006 comparve l’ultimo studio sull’iconografia casanoviana , a distanza di due anni possiamo riproporre l’argomento, e aggiornare chi di Casanova ancora “perisce”. La piccola miniatura su avorio, che qui rappresentiamo ben corredata del “retro” originale con la didascalia Casanova/Giacomo che la direzione della Ca’ Rezzonico non volle esporre nel 1998 (qualcuno dei visitatori la cercò inutilmente!), è da considerarsi falso “Graff” (Anton Graff, Winterthur, 1736-1813), ma assai probabile Casanova solo fino all’intervento di H. Watzlawick di cui alla nota 19. Infatti la recente acquisizione alla conoscenza casanoviana d’un presunto ritratto a Mozart, opera attribuita al pittore tedesco Johann Heinrich Wilhelm Tischbein (17511819), somigliante in modo impressionante al nostro falso Graff, porta a concludere che il personaggio rappresentato sia sicuramente lo stesso in entrambi i ritratti, ma non sia assolutamente, per i musicisti, il grande compositore (come già scriveva P. Paumgartner nel suo “Mozart”, Einaudi, 1945), né possa più essere, per i casanovisti, il loro sfuggente idolo… E Casanova, almeno lui, si allontana ancora una volta nella nebbia del suo caparbio destino. Ma un particolare, non ancora pubblicato se non in modo alquanto marginale in ambiente non casanoviano , sull’individuazione dell’autore del grande ritratto prestato a Venezia, ancora presentato come “attribuito” ad A.R. Mengs nel 1998, porta la luce e il riscatto d’una certezza indiscutibile e scientifica in questo panorama dai confini ancor oggi tanto evanescenti: “l’opera è sicuramente da attribuire al pittore Francesco Narici, di origine genovese, ma attivo soprattutto a Napoli alla metà del Settecento” . Così, con una nuova testimonianza e la riproduzione del particolare e dell’intero d’un quadro insigne, possiamo concludere insieme a Casanova trascrivendo una sua certezza che non è tanto un apporto d’ottimismo esistenziale, quanto un maturo incoraggiamento per tutti, sempre e dovunque : Je crois encore aujourd’hui que lorsque l’homme se met dans la tête de venir à bout d’un projet quelconque, et qu’il ne s’occupe que de cela, il doit y parvenir malgré toutes les difficultées. 19 20 21 22 23 Personaggio Note 1 L.T.BELGRANO, Aneddoti e ritratti casanoviani, dieci articoli pubblicati su “Il Caffaro” nel 1884, mese di aprile, e raccolti a cura di F. Luccichenti, a Roma, nel 2008 (copyright “L’Intermédiaire des Casanovistes”, Suisse); 2 La prima edizione integrale delle memorie casanoviane, e quindi la vera edizione “originale” nonostante porti la data del 1960, è quella Brockhaus-Plon, Wiesbaden-Paris; 6 volumi con il testo in francese; 3 Saggi, Libelli e Satire di Giacomo Casanova, a cura di PIERO CHIARA; “I Cento Libri”, Longanesi, 1968, pagg. 106-107; 4 Inevitabile essere associati alla memoria dell’Archivio della Repubblica trovandosi nominati, come Casanova e Giacomo Passano (che incontreremo più avanti) in ribalde transazioni monetarie con pezzi d’oro “tosati”, Inquisitori di Stato da rabbonire, marchionali interventi diplomatici da mettere in atto…; 5 G. BIGNAMI, Costantina Dalle Fusine; un incontro, in “L’Interm.”, op. cit., Genève, 1996; 6 Vedasi anche, a cura di G. BIGNAMI, Mademoiselle XCV, Pirella, Genova, 1985; 7 Si veda Mad. XCV, op. cit., a pag. 15 e segg.. La lettera è tratta da una delle tre raccolte manoscritte settecentesche fino ad oggi conosciute, florilegio di 102 e 119 lettere, rispettivamente presso la Biblioteca del Museo Civico di Padova; la Randolph-Macom College Library in Virginia (USA) e la raccolta Bignami in Genova, che in seguito chiameremo r.B.; 8 La Commediante in fortuna, o sia memorie di madama N.N. scritte da lei medesima, Napoli, 1755; 2° vol., art. V, pagg. 136 e segg.; r.B.; 9 CHARLES-JOSEPH DE LIGNE, Aneddoti e ritratti, Sellerio editore, 1979, pagg. 187 e segg.; 10 “L’Interm.”, op. cit.., 1989, pagg. 35-40, per G. BIGNAMI, Appartenenze; libri e fatti del N. signor Conte Aurelio Guarnieri Ottoni; 11 Se ne conoscono, fuori d’Italia, 3 copie soltanto: l’unica italiana è stata reperita da chi scrive presso la Biblioteca Civica di Trieste; una è in r.B.. L’opera è stata preceduta da una prima edizione nel 1784 (un solo esemplare in Svizzera), e da una “Lettre historiquecritique sur un fait connu…” del 1784 (una copia a Dux, una a Trieste, una in r.B.); 12 Archivio Guarnieri Ottoni, Osimo; busta 41, ultima carta, lettera del 22 luglio 1779; 13 Manoscritto autografo: Lettere del 1757: 228 missive commentate da Bruno Brunelli in Avventurieri minori del settecento, GIACOMO PASSANO; “Archivio Veneto”, 1933; oggi in r.B.; 14 L. T. BELGRANO, op. cit., articolo del 18 aprile 1884. Il 19 aprile Belgrano spende il VI successivo articolo per raccontarci l’ “infernale biribissi” che tanto scottò Casanova in casa della magrissima signora Isolabella, di gran salotto e amante del marchese Agostino Grimaldi; 15 “La Casana”, Suggestioni d’oriente nei Mezzari Genovesi, a cura di G. BIGNAMI, luglio 2008; 16 L.T. BELGRANO, op. cit., articolo del 14 aprile; anche per il seguito. Scuseremo il valente estensore per i tremendi errori nella trascrizione in francese, che solo la consultazione molto laboriosa della prima edizione delle memorie casanoviane del 1826/1838, da noi posseduta, ci ha permesso di emendare; 17 G. BIGNAMI, Aggiornamenti e proposte sull’iconografia casanoviana, “L’Interm.”, op. cit., 1994, pagg. 17-23; 18 Vedasi la nota 5; 19 HELMUT WATZLAWICK, Divertissements Iconographiques, “L’Interm.”, op. cit., 2006, pag. 14 (II: Ni Casanova Ni Mozart); 20 Così E. Berckenhagen, autore di Anton Graff, leben und werk, Deutscher Verlag, Berlin, 1967, in una sua gentilissima lettera, definitiva, del 1985; 21 EZIA GAVAZZA e LAURO MAGNANI, Pittura e Decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Carige, Sagep, Genova, 2000: “Francesco Maria Narice”, pag. 429; 22 “Ministero per i beni culturali e ambientali di Napoli”, lettera del Soprintendente Nicola Spinosa, al proprietario del quadro, in data 19 febbraio 1998; 23 GIACOMO CASANOVA, Histoire de ma fuite des prisons de la Republique de Venise, qu’on appelle les Plombs, Leipzig, 1788, pag. 58. Edizione originale, in r.B. 37