1/2005
NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 5 reg. trib. ps nr. 427 - Dir. Resp. G. Dall’Ara redazione Sant’Agata Feltria
Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione ilponte - Stampa La Pieve poligrafica editoriale, V. Verucchio - email [email protected]
Lettera al paese
del presepe
Sommario
2
Nella storia del liscio
3
S. Agata ai tempi dell’Unità
4
Il ferro battuto, un’arte!
5
Le elezioni del 1951
6
Maiano coi fiocchi
7
Martignon e Cadumnò
8
Racconti: L’è mort e’ dutor
9
A Frontino si studia italiano
10
Il Comune, la mostra e l’arte
11
La storia dei Cappuccini
12
Passeggiate nel Montefeltro
ROCCA
È UN’INIZIATIVA
COMITATO FIERE
ED INIZIATIVE PROMOZIONALI
P
iù che mai questi giorni mi sento
vicino (non solo geograficamente)
a S. Agata Feltria, descritta come il
Paese del Natale e presa d’assalto dalla
gente di tutti i dintorni.
Non sarà certamente una doccia fredda
sull’interesse, l’entusiasmo, la gioia dei
piccoli e dei grandi quanto è stato detto
e scritto in qualche paese d’italia che
ama presentarsi come civile.
Che quattro signori (non intendo con
queste parole offendere e umiliare dei
fratelli), piovuti in Italia in cerca di lavoro e di fortuna abbiano il coraggio di
dettar legge nelle nostre chiese e ferire
le nostre tradizioni più care. Questa è
per lo meno una mancanza di educazione per non dire peggio. È semplicemente ridicola la pretesa che
Cappuccetto Rosso prenda il posto di
Gesù Bambino, che si possa impunemente buttar dalla finestre i Crocefissi
delle nostre scuole. Anche S. Francesco
dalla sua tomba avrà reagito e protestato. Non è certamente un dogma di fede
il Presepio che Lui per primo ho costruito, però è certamente la rappresentazione del più dolce e soave mistero della
Redenzione. Toccare i Protagonisti del
Presepio è un’offesa per quanto ci rappresentano e ricordano. Io ho visitato
tante moschee nella mia vita, ne ho
ammirato la bellezza, ho camminato
scalzo sui loro pavimenti, senza abbracciare con questo le loro idee o disprezzare i loro semtimenti.
Noi permettiamo la costruzione delle
loro moschee accanto alle nostre cattedrali, abbiamo il coraggio di sollecitare
anche qualche aiuto e ci vediamo pagati in questo bel modo.
Però sappiamo che spesso non è la loro
pretesa, ma lo zelo di qualche esponente di casa nostra, che fa lo scandalizzato fuori posto o il democratico scrupoloso, che non saprei se chiamare pusillo o fariseo.
A Natale la nostra gente ha sempre cantato con S. Alfonso. “Tu scendi dalle
stelle, o Re del Cielo, e vieni in una
grotta al freddo e al gelo”. La preoccupazione di oggi è quella di far “cadere
Papà Natale sopra un panettone morbido, perchè non si faccia male”. Non
sono riusciti a cancellare con le settimane bianche, con cenoni natalizi, coi
Papà Natale… lo stupore, l’inno del più
sentito mistero dell’anno. Ci provano
questa volta con Cappuccetto Rossa. Ma
la neve non fa più, i lupi sono in estinzione, le vecchiarelle vivono nel tepore
dei ricoveri… Dovranno attaccarsi al
tram!
Don Pietro Cappella
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
STORIA
CRONACA
Sistro a teatro
Per non dimenticare
S.Agata ai tempi dell’unità d’Italia
I
B
l 27 gennaio si è festeggiata in tutta Italia la giornata
della memoria. Anche la Rocca vuole dare il suo piccolo contributo ricordando i 45 deportati santagatesi nella
Germania nazista.
Ecco di seguito, per i lettori del giornale, l’elenco dei giovani di S. Agata F. “rastrellati” il 19 agosto del 1944 e finiti
in Germania nei campi di concentramento. L’elenco, purtroppo incompleto, è tratto dal periodico santagatese
Cultura Italica del 1945.
Agostini Cesare (nato nel 1927), Alessi Virgilio (’27), Baldini
Ettore (’27), Cedrini Venanzio (’27), Flenghi Edgardo (’27),
Giacessi Giuseppe (’27), Gosti Gino (’27), Mariani Giovanni
(’27) Spada Luciano (’27), Tani Enzo (’27), Valli Piero (’27),
Tagliavento Enzo (’24), Paci Francesco (’24), Battistini
Francesco (1908), Crociati Luigi (1908), Calvo Antonio
(1907), Paolucci Giacinto (1903), Paci Giovanni (1901),
Nucci Lazzaro (1900), Antinori Egisto, Babini Arnaldo,
Cangini Francesco, Capillo Gennaro, Castellani Luigi,
Cecchini Elio, Corazzino Andrea, De Marchi Francesco,
Marchetti Angelo, Sabbatici Angelo, Scernesi Domenico,
Valli Luigi.
ella serata a teatro il 22 gennaio scorso.
L’associazione culturale musicale “Sistro” di
Bologna, composta da una quindicina di elementi,
ha presentato “Vita e amori nelle corti e nelle piazze
dell’Europa rinascimentale”, un itinerario di canti e quadri,
con brani francesi, spagnoli e italiani, che ha entusiasmato
i presenti.
Il coro è stato magistralmente diretto dal maestro Roselise
Gentile, ed accompagnato alla spinetta da massimo
Guidetti. Il ricavato è stato devoluto alla Scuola di S. Agata
Feltria. Grazie dunque all’Associazione Sistro e agli organizzatori della serata da parte del nostro giornale. Chi desiderasse contattare il coro per altre serate può fare riferimento a Nicoletta Stagni, un’amica dei nostri paesi ([email protected]).
Novafeltria è nella
storia del liscio
P
roprio così, Novafeltria è nella storia del liscio. Arte
Tamburini, la prima voce femminile di un’orchestra
romagnola si esibì per la prima volta a Novafeltria,
quando aveva appena 16 anni. E non si trattò di una esibizione qualsiasi: la Tamburini cantò con l’orchestra di
Secondo Casadei. Ecco come lei stessa ricorda quei
momenti: “Il mio debutto vero e proprio è stato a
Novafeltria. Andò bene. Ricordo come se fosse adesso
quando alla fine il Maestro Casadei disse al gestore: la cantante non è inclusa nel contratto; è un regalo al veglione.
Così ricevetti 3 mila lire dal gestore e 3 mila lire da Casadei.
Una bella cifra che mi fece prendere seriamente in considerazione la professione di cantante. Con Casadei sul palco
bisognava dare il massimo: Diceva: voglio che la gente si
balli le gambe! La sua musica è una musica di istinto, viene
dritta al cuore”.
(tratto da “Guida alla Romagna di Secondo Casadei” di
Gianfranco Miro Gori, Panozzo editore, Rimini 2002).
Come e quanto sottoscrivere?
Ordinario 13 Euro Sostenitore 15 Euro
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Le sottoscrizioni possono essere inviate alla
redazione della Rocca, Casella Postale 26,
61019 S. Agata Feltria (Pesaro), oppure possono essere consegnate ai vari collaboratori che
distribuiscono (volontariamente) il giornale.
La Rocca, il giornale
del tuo paese
Una comunità laboriosa e florida
Q
onsultando archivi e pubbliche biblioteche in giro per
l’Italia con gli occhi sempre
puntati sui temi che, per nascita e per
adozione, mi destano particolare interesse, cioè S.Agata Feltria e Pegli , mi
sono imbattuto nel Dizionario
Corografico dell’Italia edito nel 1868:
le notizie che esso riporta su S.Agata
F. mi sembrano di particolare interesse anche per la loro attendibilità, infatti in chiusura del pezzo dedicato al
nostro comune, alla pagina 1036, sta
scritto:
“Alcune delle surriferite notizie debbonsi alla cortesia dell’onorevole
Sindaco di questo comune.
S. Agata F. comprende le frazioni
seguenti: Caioletto, Libbiano, Maiano,
Monte Benedetto, Pereto, Petrella,
Rivolpaio, Rocca Pratiffi, Rusciano,
Sapigno, Scavolo, S.Donato, Ugrigno e
varie case di campagna”.
Sorprende l’assenza della frazione di
Romagnano: a quei tempi non era
unita a S. Agata F. oppure è un’omissione degli autori?
Molto significativa è la parte descrittiva sul piano demografico ed economico.
“Il comune ha una superficie di 7072
ettari. La sua popolazione di fatto,
secondo il censimento del 1861, contava abitanti 3.962 ( maschi 2039 ,femmine 1923 ). La sua guardia nazionale consta di due compagnie con 738
militi iscritti, di cui 476 mobilizzabili.
Gli elettori amministrativi nel 1865
erano 134 e 65 i politici, iscritti nel
Collegio di Urbino”. Ricordiamo che il
suffragio universale in Italia venne
introdotto con la riforma Giolitti nel
1912 ed esteso poi anche alle donne
nel febbraio 1945. La descrizione prosegue così:
“Ha ufficio postale, pretura di mandamento e ufficio del registro. Appartiene
alla diocesi del Montefeltro. Nella circoscrizione elettorale è sezione con
128 elettori. Il suo territorio per due
terzi è montuoso e per l'altro terzo
piano e a collina; produce grano, granoturco, legumi e frutti in gran copia,
pascoli, vino e diversi altri vegetabili.
Vi si contano 7530 capi di bestiame e
cioè 280 cavalli, 1450 buoi e vacche,
5.000 pecore e 800 maiali. Ha una
strada rotabile per Rimini, con cui
tiene commercio.
In questo territorio trovasi molta lignite ed esistono due miniere di zolfo, di
cui una a Maiano detta la Marazzana
a tre chilometri da S. Agata F., esistente già da secoli e produttrice di molto
minerale; l'altra a Sapigno, castello a
5 chilometri da S. Agata, di minor
importanza, abbandonata per lungo
tempo ed ora rimessa in attività. Della
prima è proprietaria la Società delle
miniere sulfuree di Bologna; l’altra è
di proprietà del Comune.
S. Agata F., capoluogo del Comune, è
una borgata di circa 900 abitanti. Il
suo antico castello era cinto di mura,
come in parte lo è anche presentemente. S. Agata non manca di buoni fabbricati (edifici n.d.r.). Le principali
industrie di questo comune sono rivol-
te alla coltura del terreno ed all'allevamento del bestiame bovino, lanuto e
suino, di cui si fa grande traffico particolarmente nelle fiere e nei mercati
invernali. Il legname che si trae dall'estesa selva del Mont’Ercole, serve mirabilmente a costruire tini e botti. S.
Agata ha una tipografia, un asilo
infantile, un istituto per l'educazione
delle giovinette diretto dalle suore di S.
Dorotea ed un teatro.
A S. Agata sonvi varie opere pie, delle
quali la più importante è l’opera pia
detta del Collegio di S. Antonio, che
istruisce i giovani nelle belle lettere e
dispone di un reddito di L. 1.492. Le
altre opere sono: i lasciti Bennucci,
Menghi ed altri lasciti per limosine ai
poveri, l'opera pia Correali per doti e il
così detto legato dei poveri. Oltre a
queste opere di beneficenza, S. Agata
ne possiede due di previdenza nella
cassa di risparmio, in cui furono concentrati i 6 monti frumentari del
comune e l’altra nella società di
mutuo soccorso”.
A S. Agata dunque era già allora particolarmente sentita ed attiva la funzione di quello che oggi è definito “lo
stato sociale”.
Nella prossima puntata ci occuperemo
delle notizie storiche che tirano in
campo un “campo” di Romagnano e
dunque indirettamente si riconosce
l’esistenza della frazione annessa a
S.Agata.
Antonio Marani
(fine prima puntata)
Grazie ai volontari che hanno provveduto a scrivere e
distribuire il giornale, grazie alle fotografie di Enzo
Liverani e Marco Zanchini, a Paola Boldrini e ad Arrigo
Bonci che coordina la distribuzione, e grazie ai lettori
e sostenitori, numerosi come sempre. Se il giornale vi
piace ditelo ai vostri amici, e chiedete loro di sottoscrivere, per ricevere regolarmente la Rocca! Se volete
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curato da Gino Sampaoli è ora pieno di informazioni e
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2
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Nello Rinaldi (sost) Maiano
Paolo Antimi (sost) Vezzi Portio
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Ulderico Sabba (ben) Novafeltria
Leopoldo De Rosa (ben) USA
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Augusto Mancini (sost) S. Agata
Municipio di S. Agata (ben) S. Agata
Daniele Rossi (sost) S. Agata
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Franco Vicini (sost) S. Agata
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Romano Guidi (sost) S. Agata
Cristiana Bossari (sost) S. Agata
F.lli Grazia (sost) Novafeltria
Fernando Bartolini (sost) S. Agata
Mario Urbini (sost) Parigi
Ugo Gorrieri (sost) San Leo
Laila Antinori (sost) Sesto S.Giovanni
3
Eva Mariani (sost) Novafeltria
Marco Zanchini, S. Agata
Enedina Antinori, Miniera
Giovanna Antinori, Miniera
Sergio Toni (sost), Miniera
Piero Raggi (sost) Ravenna
Gianfranca Sampaoli (sost)
Peschiera Borromeo
AnnaMaria Peruzzi (sost) S. Agata
Giuseppe Peruzzi (sost) Igea Marina
Gabriella Polidori (sost) S. Agata
Decio Valli (sost) S. Agata
Martino Valli (sost) S. Agata
Giancarlo Sonetti, Rimini
Telesforo Tomei, Novafeltria
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
MERCATINO E S. AGATA
ELEZIONI
Il ferro battuto di Mercatino Marecchia
Le elezioni del 1951
S
egnaliamo ai lettori della Rocca
la bella collana editoriale curata
dall’Università aperta “Giulietta
Masina e Federico Fellini” sede di
Novafeltria. Sono stati pubblicati 3
graziosi libretti. Il primo ha come
titolo La notte dei cento catini, fole e
suggestioni di Ginetta Bianchi
Grandi. È una raccolta di racconti e
consigli, di ricette e poesia sull’onda
della nostalgia. Il secondo è un volumetto di Cesare Angelini: Lettere a
Paola e altre amicizie letterarie. Il
sacerdote Angelini, pensatore fine e
autore di numerose pubblicazioni,
scrive a Paola Mattei (nata a
Novafeltria nel 1910 e morta nel
2000), instancabile testimone delle
fede in Gesù Cristo. Il terzo volumetto è stato curato da Carlo Venerucci
Grazie Lello
ed ha come titolo L’arte del ferro battuto a Mercatino Marecchia nella
prima metà del novecento. Le foto di
Stefano Antonini permettono di scoprire angoli preziosi nelle strade di
Novafeltria. I libri sono pubblicati
grazie all’impegno in particolare di
Wilma Baldinini cui vanno le nostre
felicitazioni.
N
el numero scorso della Rocca
abbiamo ricordato le elezioni
del 1956 vinte dal maestro
Bagnoli. Proviamo a vedere cosa era
successo prima.
Per le elezioni comunali del 27 maggio 1951 si presentarono due liste: la
prima guidata dal sindaco in carica, il
comunista Pasquale Cellarosi, che
aveva come emblema il libro della
Costituzione, la torre e l’incudine, la
seconda guidata da Pietro Pagnoni
che aveva come simbolo la torre civica.
Le due liste contrapposte si presentarono con questi candidati:
- Pasquale Cellarosi, Luigi Vicini,
Guerrino D’Orazi, Mario mambelli,
Lino Mosconi, Ezio Angelici, Palmo
Guidi, Giocondo Bartolini, Lazzaro
Gita in campagna
D
agli USA, con grande piacere, abbiamo ricevuto del
materiale fotografico inedito, di grande valore … storico per noi santagatesi, che contiamo di pubblicare
poco alla volta sul nostro giornale, a cominciare da questo
numero. Il materiale ci è stato inviato dal dott. Leopoldo De
Rosa, santagatese doc, che vive da lungo tempo negli Stati
Uniti, ma che è sempre rimasto legato a S. Agata Feltria, dove
vino gli zii Fernanda e Cassio Botticelli. Lello, come lo chiamavamo noi amici, ha avuto modo di conoscere il nostro
periodico, e ci ha fatto giungere il suo apprezzamento. Di ciò
siamo compiaciuti e gliene siamo grati, anche perché il dott.
De Rosa di giornalismo se ne intende davvero! Gli abbiamo
chiesto anche di inviarci qualche reportage da poter pubblicare sui prossimi numeri della Rocca. Grazie Lello, e arrivederci a presto.
Arrigo Bonci
Le case nuove 1940
Dal basso: Manlio Bellocchi - Poupette Scateni Mirella Oprandi - Anna Maria Scateni - Mario Flenghi
(Paggetto) - Annie Oprandi - Mario Paci - Leopoldo De
Rosa.
Foto L. De Rosa
4
L’illustrazione popolare, periodico che veniva distribuito
in 70mila copie, il 16 marzo 1890 dedicò la sua prima
pagina a Padre Agostino
5
Pratiffi, Aurelio Moretti, Venenzio
Giovanetti, Emilio Zanghini, Luigi
Ercolani,
Fernando
D’Orazi,
Francesco Giovanetti, Domenico
Grazia,
- Pietro Pagnoni, Osiride Vicini, Enzo
Ragazzini, Pio D’Alessandri, Vittorio
Bossari, Giuseppe Rinaldi, Luigi
Paolucci, Alfredo Polidori, Angelo
Bagnoli, Giovanni Ricci, Giovanni
Cappelli,
Germano
Marinelli,
Francesco Botticelli, Gino Cesari,
Vincenzo Bianchi, Guglielmo Sartini.
La lista Cellarosi guidava S. Agata dal
1946, e affisse in campagna elettorale un grande manifesto con l’elenco
dei lavori effettuati nel quinquennio
(diversi realizzati dal Genio Civile:
dal muro di sostegno di via Cupa,
alla riparazione di diverse strade
come quelle per San Donato,
Maiano, Pereto Putrella, di diverse
chiese come Romagnano e Rocca
Pratiffi e addirittura delle campane di
San Girolamo). Diversi i lavori effettuati direttamente dal Comune (il
lavatoio di Sapigno e quelli di
Rivolpaio, Barberini, Cavo Nero e M.
Benedetto di Sopra, riparazione uffici
comunali, ampliamento casa Mutuo
Soccorso). Le promesse elettorali
riguardavano case per impiegati ed
edificio scolastico nel capoluogo,
case popolari Ina Casa, scuola di Cà
Masini, ricostruzione del cimitero di
Sapigno, muro di cinta della piazza a
Maiano, primo lotto della strada di
circonvallazione nel capoluogo. Non
conosciamo gli argomenti elettorali
dell’opposizione. Vinse la lista socialcomunista guidata da Cellarosi che
prese personalmente 1777 voti
(secondo risultò Luigi Vicini con 1749
voti); il più votato della lista di
opposizione fu Germano Marinelli
con 1182 voti, seguito da Gino Cesari
con 1177. G.D.
(aiutateci a ricostruire le campagne
elettorali del passato inviandoci
ricordi e opuscoli pubblicitari)
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
MAIANO
MAIANO
Maiano coi fiocchi
I
l 29 dicembre nel Teatro Mariani si
è svolta la serata organizzata dal
Comitato festeggiamenti di Maiano
e dal nostro periodico. Il programma
della serata prevedeva l’esibizione del
complesso Maiano Folk (Manlio
Flenghi, Vincenzo Liverani, Pierluigi
Vicini, Sesto Righi, Faustina Ciccioni, e
Massimo Giovanetti), la recita di
Scenette e poesie dialettali, la proiezione di un documentario visivo su
Maiano, e la rappresentazione di una
commedia breve dal titolo “Scene dal
processo alla Banda Martignon”. La
commedia ha proposto l’interrogatorio
ad un componente della banda di
Martignon dopo l’eccidio dei tre carabinieri, avvenuto a San Donato nel
1872. Il testo, rigorosamente ripreso
dagli atti del processo a Martignon, e
adattato per motivi scenici, è riportato
in questo stesso numero del giornale.
La filodrammatica, nata per l’occasione, era composta da: Massimo
Bernardini, Arrigo Bonci, Mariolino
Nalin, Marino Marini. Presentatore
della serata è stato Vallino Rinaldi,
coadiuvato dai tecnici Roberto Rinaldi
e da Daniele Manzi. Quest’ultimo ha
presentato il nuovo calendario di S.
Agata che può essere richiesto a
Planet informatica (anche via web).
I brani musicali presentati nella serata
hanno spaziato dal 1800 (con il walzer
di Caprile) al tipico walzer di balera
del Maestro Casadei, alle canzoni di
sapore locale (S. Agata di Piero
Camporesi), ad un brano inedito composto da Pierluigi Vicini.
La serata aveva l’obiettivo di permettere a chi vive nei nostri paesi di stare
assieme, di ricordare le storie e le tradizioni comuni, e di mostrare che ci
può essere un utilizzo anche popolare
del Teatro, che non va sentito come
qualcosa di lontano dalla gente che
abita qui.
Martignon e Cadumnò
Il litigio tra i parenti fece intervenire i carabinieri, e con
l’occasione Giovanni Manzi fu scoperto in possesso di
“arma insidiosa”, un lungo coltello a serramanico. Per questo Giovanni fu arrestato. L’arresto del fratello fece accorrere Martignon che sfidò pubblicamente il brigadiere, chiedendogli di liberare Giovanni. Visto poi che il brigadiere
Raviol non cedeva alle insistenze di Martignon, e anzi portava Giovanni in carcere a S. Agata, fu deciso l’agguato,
durante il quale i tre carabinieri presenti furono barbaramente trucidati. Nell’agguato rimase ferito anche
Giovanni Manzi che venne portato dal fratello e dai suoi
compari a Maiano, poi dopo essere stato curato, dopo
qualche tempo fu portato con una cveja in casa di
Domenico Cappelli sempre a Maiano. L’idea era di portarlo a Talamello, ma poi, viste le condizioni del ferito, e l’orrore suscitato dall’eccidio, la banda di Martignon decise di
lasciarlo a Maiano, e si diede alla fuga. L’interrogatorio a
Cadumnò, sospettato di fare parte della banda, avvenne
alla Rocca di S.Agata. Il giudice fu Achille Galli.
M
olti di voi ricorderanno la storia di Martignon,
Martino Manzi, un violento, un assassino che
ebbe tra l’altro la responsabilità dell’uccisione di
tre carabinieri a San Donato. La tradizione popolare vuole
che all’origine dei fatti vi fosse il corteggiamento che un
carabiniere di S. Agata, tale Pisani, avesse fatto alla morosa di Giovanni Manzi, fratello di Martino, in particolare,
sempre secondo la tradizione, tutto sarebbe avvenuto dopo
un battibecco che ebbe luogo in occasione dell’inaugurazione del teatro Mariani, l’8 settembre 1872.
La vendetta sarebbe poi scattata la domenica successiva, il
15 settembre, in occasione della festa di San Donato.
Il processo mostra invece che all’origine dei fatti vi fu il
gesto di sfida verso la forza pubblica che Martignon ed i
suoi compagni (tutti iscritti al partito democratico mazziniano) attuarono a San Donato, a seguito di un litigio tra
i parenti di Angelo Giacomini, detto Cadumnò, sull’assistenza al padre di Cadumnò, un anziano non autosufficiente.
L’interrogatorio di Cadumnò
Giudice (restando seduto prende il
plico): Bene, bene ecco qua il caso
Martignon, quel delinquente! Che caso
efferato... (pensoso, comincia a leggere
in silenzio poi si alza di scatto e legge
ad alta voce).
L’anno del Signore 1872, il 16 settembre noi sottoscritti Vicebrigadiere...
ecc. dichiarano... ecco qua “trovandosi
alla festa arrestarono certo Giovanni
Manzi perché detentore di arma pericolosa: un lungo coltello acuminato a
molla.
Ma il fratello di lui, Martino Manzi di
Perticara detto Martignon, uno dei capi
del Partito Democratico, chiese ai carabinieri di liberarlo. Avuta una risposta
negativa organizzò un gruppo di una
ventina di persone, tutti appartenenti al
Partito Democratico, che armati attesero che i carabinieri passassero lungo la
strada che da San Donato porta a S.
Agata. E così alle 10...”
Cancelliere: Lo so io come sono andati i fatti (deciso) alle 10 gli assassini
erano appostati vicino a Cà Polidori,
Giudice:Vicino al cimitero?
Cancelliere: No, molto prima del cimitero, appena usciti da San Donato
Giudice: Ho capito, ma fammi leggere
6
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
“gli spararono a bruciapelo, e li ferirono tutti, e poi gli saltarono addosso
disarmandoli e colpendoli orrendamente alla testa, nel corpo, dappertutto. E
così fecero evadere l’arrestato, lasciando i carabinieri a terra, feriti e... morti”.
Giudice (rivolto al cancelliere): Allora
cosa aspetti? Fallo entrare!
Entra Cadumnò e il cancelliere lo
accompagna e lo presenta in dialetto
“ecco Cadumnò”
Giudice: Ma che Cadumnò e
Cadumnò, io lo voglio sapere da lui
come si chiama! (rivolto all’imputato
che si è seduto di fronte a lui, di fian-
co, quasi di fronte al pubblico) Allora,
come ti chiami?
Cadumnò (un po’ in italiano e un po’
in dialetto): Sono Giacomini Angelo,
(sottolinea con la voce e guarda di
traverso
il
Cancelliere) detto
Cadumnò.
Cancelliere commenta: Cadumnò,
prema la dà, e po’ la tò
Cadumnò (guarda il Cancelliere ringhioso e poi continua): Ho 34 anni,
sono nato e abito a Maiano di S. Agata,
ho moglie e figli e sono un sorvegliante
ai lavori della Miniera di Perticara.
Giudice: E processi ne hai avuti
Cadumnò: Mai processato! (abbassando la voce, timoroso)... solo una volta,
condannato a 10 Lire per una contravvenzione (il pubblico rumoreggia).
Cancelliere: Il pubblico faccia silenzio,
se nò caccio fuori tutti
Giudice (guarda il Cancelliere meravigliato, con aria di uno che ha
pazienza, poi si rivolge a Cadumnò):
E allora perché sei qui?
Cadumnò: Sono stato arrestato ieri alla
Marazzana dai Carabinieri e dai
Bersaglieri. Io stavo per uscire dalla galleria della miniera, ma mi hanno arrestato, mi hanno detto per colpa dei fatti
di San Donato... dell’uccisione dei tre
carabinieri. Ma io sono estraneo!!
Giudice: Ma tu c’eri alla festa di San
Donato?
Cadumnò: Sì c’ero, ma di sera (gesticolando), alle 7 e mezza me ne sono tornato a casa, e poi, dopo aver curato mio
padre che è a letto ammalato, sono
andato a lavorare alla Marazzana, in
miniera.
Giudice: Ma allora perché prima dell’arresto il tuo amico, Giovanni
Simoncini ti ha detto di scappare via?
Come mai?
Cadumnò: Non è vero! (pausa breve)
O almeno io non l’ho sentito! E poi perché dovevo avere paura dei carabinieri?
Giudice: Ehi, qui le domande le faccio
io! Allora spiegami perché a San Donato
durante la festa i Carabinieri di S.Agata,
quelli poi che sono stati uccisi come...
come... sì insomma proprio quelli che
sono stati uccisi, come mai ti hanno
perquisito? Cosa avevi fatto?
Cadumnò: No giudice, guardi che io
mi ero solo arrabbiato con i miei fratelli per via del fatto che loro, a nostro
padre non lo guardano nemmeno. Sa
mio padre è malato, ha sempre bisogno
di assistenza e io sono sempre fuori al
lavoro… insomma per questo è nato un
diverbio, ci siamo scaldati, io forse ho
alzato la voce... Allora i carabinieri si
sono avvicinati per separarci. Sì è stato
così, si in effetti il carabiniere
Bartolomei ha frugato nelle mie
tasche… mi ha perquisito, ma non ha
trovato niente, nessuna arma!! E poi
con parole amichevoli mi disse che
non era il momento di fare quei discorsi. Signor Giudice: era una festa!
Giudice: Se le cose stanno così, cosa
faceva Martino Manzi, Martignon, lì con
te?
Cadumnò: Ah non lo so! Quando litigavo con i miei fratelli c’era diversa
gente che si era fermata a guardare, ma
io non so davvero se ci fosse
Martignon.Anzi mi sembra di ricordare
che Martignon stava passeggiando con
il Brigadiere, forse c’era Giovanni
Manzi, suo fratello. Comunque sia io
dopo quelle parole ho preso e sono
andato a casa mia. Ho i testimoni, Paolo
Rinaldi di San Donato, Antonio Paci,
Domenico Angeloni… Mi deve aver
visto anche Pietro Cinarelli. Sono arrivato a casa alle 8 e mezza. I miei vicini… i miei vicini, Gambetti e sua
moglie Colomba, mi hanno di sicuro
sentito arrivare. E poi alle 9 sono partito per la miniera.
Giudice: (sospettoso) ma il tuo turno
non cominciava alle 11?
Cadumnò: Beh sì cominciava alle 11,
ma sono voluto andare via prima,
(incerto) avevo paura di addormentarmi. Sono andato subito me Butghen, al
Botteghino, ma era chiuso e mi sono
addormentato lì. Mi hanno di sicuro
visto Pietro Piva, Cinarelli, Librari…
Giudice (interrompendolo): arriviamo
al dunque. Come mai poi sei andato da
Cappelli, a Maiano, anziché in miniera?
Cadumnò: Ecco, ci stavo arrivando: alle
11 mi sono alzato e stavo per entrare in
miniera quando è arrivato Domenico
Cappelli di Maiano, Cappelli mi disse
che Martignon mi voleva parlare per
dei lavori urgenti da fare in miniera, e fu
per questo che andai con lui a casa
sua... dove Martignon mi aspettava.
Signor Giudice (appellandosi)… mi
aveva detto che era urgente!
Giudice (sprezzante):Abbiamo capito.
Vai avanti
Cadumnò: Come Le dicevo io ci andai,
chiesi a Girolamo Bugli di Montecchio
di accompagnarmi. E appena arrivato,
Martino Manzi mi disse che non poteva
venire al lavoro perché suo fratello
stava morendo, ma io gli chiesi subito
cos’era successo… ma lui non volle
dirmi altro. Mi disse solo che suo fratello Giovanni aveva litigato con i carabinieri di S.Agata.
Giudice: Ma tu non hai visto niente?
Cadumnò: Beh sì, (grattandosi la
testa) effettivamente ho visto Giovanni
Manzi, sdraiato, era assistito da
7
Riminino, cioè da Antonio Giacomini,
l’infermiere della Miniera. Fu proprio
con lui che poi mi incamminai verso la
miniera. Ma poi tornai indietro, perché
avevo dimenticato la lanterna e
Riminino disse che se non avesse trovato la strada mi avrebbe aspettato. Così
tornai da Cappelli, presi la lanterna che
avevo lasciato là, passai da casa mia a
mettere l’olio e andai alla miniera.
Giudice: E chi altri hai visto? Chi c’era
a casa di Cappelli oltre a Giovanni
Manzi?
Cadumnò: Beh c’era Davide Manzi, il
Tasso, cioè Antonio Grazia, (pensoso)
Rinoso, cioè Angelo Berardi un contadino delle Macchie, poi c’era suo zio,
Giuseppe Giordani, e e e…. Napoleone
Strada.
Giudice: Insomma una bella combriccola! E cosa ci facevano là, era una riunione di lavoro? Aspettavano tutti istruzioni di lavoro per la miniera?
Cadumnò: Mi dissero che Martignon
aveva lasciato detto al Botteghino che
andassero tutti da Cappelli, che li aspettava là.
Cadumnò: Ma non hai visto se qualcun
altro era ferito?
Cadumnò: No. Non me ne sono accorto. So solo che arrivato alla miniera tutti
sapevano che a Cà Polidori si era fatto a
schioppettate. Ma io non lo sapevo.
Solo dopo che me lo sentii raccontare,
che seppi dei tre carabinieri morti, pensai che forse Giovanni Manzi era rimasto ferito in quelle circostanze. Per il
resto non so niente, e nessuno mi ha
detto niente.
Giudice (in piedi, solenne): Giacomini
Angelo: tu sei imputato di ribellione alla
forza pubblica e di triplice assassinio,
cioè – assieme ad altri compagni – la
sera del 15 settembre 1872, ti sei opposto ai Carabinieri per impedire l’arresto
di Giovanni Manzi, fratello di Martignon
e quindi, di esserti appostato sulla strada che porta a S. Agata, sopra Cà
Polidori, in attesa dei Carabinieri reali
che lo conducevano in arresto a S.
Agata; e di aver ucciso gli stessi carabinieri, compreso il Brigadiere, con colpi
di arma da fuoco e con coltelli… in un
modo orrendo
Cadumnò (drammatico): No signor
Giudice, io non c’entro. Quello che ho
raccontato è tutto vero. La prego ascolti i testimoni!!!
Al termine del processo Angelo
Giacomini, riconosciuto colpevole di
aver preso parte attiva all’omicidio dei
tre carabinieri, fu condannato a vita e
portato nelle carceri di Urbino.
Giancarlo Dall’Ara, Manlio Flenghi
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
RACCONTO
SVILUPPO LOCALE
L’è mort e’ dutor
M
io
nonno
morì
all’improvviso; era il
medico
condotto
titolare del mo piccolo paese,
dove aveva esercitato per oltre
40 anni.
Era andato in pensione da un
mese circa e ricopriva il posto
di medico interino nell’attesa
che fosse nominato il suo successore.
Per la sua gente era stato un
bravo medico, una sorta di
istituzione: aveva curato i
nonni, i padri, i figli e i nipoti
e la sua repentina scomparsa
aveva creato uno sconcerto,
un senso si abbandono; sembrava quasi impossibile.
Pur nel contesto di indiscusse
doti umane e di competenza
professionale, anch’egli aveva
i suoi principi, le sue idee, che
talvolta in qualche modo
interferivano anche sulla sua attività,
In particolare non sopportava “i squèsmi”, come li definiva nella sua parlata imolese, cioè le lamentazioni enfatizzate, specialmente se a lamentarsi
erano gli uomini, sottoposti a qualche
semplice intervento di piccolo chirurgia.
Con il sesso femminile, di cui era persuaso estimatore, era assai più tollerante… Una mattina, che era appena
ritornato dall’asilo, udii una serie di
frasi pronunciate con chiassosa esuberanza, frammiste a qualche irriguardoso epiteto. Era lui, che rivolto ad un
aitante giovane del contado, lo gratificava con sferzante ironia: “Ch’as fèt
tòtti stal maravèi, cè ta n si gnènca
bòn d’andè a uròsa!”.
Con la capocchia di un grosso chiodo,
reso incandescente al color bianco, gli
aveva bruciato – allora non esistevano
i bisturi elettrici – una escrescenza carnosa, come una grossa nocciola, che
gli pendeva dalla fronte.
Ricordo che un sentore di carne arrosto aveva varcato la soglia dell’ambulatorio mentre il paziente si esibiva in
lamentazioni a non finire.
Il giorno in cui il nonno morì era una
gelida mattina di dicembre e un’alba
grigia si era levata silenziosa; era nevi-
cato per tutta la notte e all’intorno era
un grande silenzio.
Le campane della chiesa parrocchiale
lanciarono i primi segnali della luttuosa notizia: erano rintocchi ovattati che
la coltre di neve rendeva opprimenti.
“E sòna da mòrt” mormoravano
inquiete le donnette mentre attraverso
i vetri scrutavano la strada deserta,
“chi sarà mòrt?”.
Poi si diffuse una notizia che aveva
dell’incredibile: “L’è mòrt d’ dutòr!”.
“S’a l’ò incòntri pròpi ir mattina” affermava Matteo il postino.
“E mè a so andèt pròpi l’èlt dè a purtèi
a visitè la mi nmòi, e stèva bèin”
dichiarava Pirèin il barbiere.
Quella morte sembrava proprio un’assurdità.
L’intero paese prese parte alle esequie: l’unica guardia comunale, con le
insegne del Comune apriva il corteo
funebre seguita da due carabinieri,
veniva poi la banda del paese che
precedeva il parroco che camminava
recitando le preghiere dei defunti.
Seguiva carro funebre con tanto fiori
trainato dai due maestosi muli di
Amedeo bardati a lutto.
Poi le donne della compagnia “della
buona morte” in doppia fila con un
cero acceso, salmodiavano insieme;
era un tremolio dimesso, come una
8
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
voce lontana. Io camminava
attaccato alla gonna della mamma
che procedeva al braccio del
babbo; tutti due pallidi e sconvolti accanto ai fratelli, alle sorelle,
agli zii con gli occhi arrossati dal
pianto puntati verso terra.
Poi gli amici, i compaesani, il sindaco e la giunta comunale, il farmacista, il notaro: gli uomini a
capo scoperto e le donne con un
fazzoletto nero che copriva i
capelli “Requiem aeternam dona
ei Domine” recitavano a bassa
voce…
Non ultimi, due a due, avvolti
capparelle e con pesanti berrette
di lana sul capo, venivano i bambini delle scuole elementari;
erano affiancati dalle loro maestre
e preceduti dal bidello che reggeva la bandiera tricolore: il nonno
era stato anche il medico della
scuola.
A testa bassa spingevo il mio sguardo
a destra e sinistra, quasi con rabbia,
come per cercare qualche cosa che
non riuscivo a identificare. Mi sembrava di non essere partecipe e di essere
indifferente all’atmosfera di dolore
che regnava all’intorno e non potevo
piangere, nonostante un groppo che
sentivo dentro.
La strada innevata era scivolosa e a
tratti ghiacciata, bisognava procedere
lentamente e con prudenza,
Giungemmo alla soglia del cimitero. Il
freddo si era fatto ancora più pungente e tirava una gelida aria di tramontana.
Ero diventato irrequieto e nonostante
i rimproveri della mamma saltellavo
sul suolo ghiacciato invece che camminare. Scivolai finalmente e caddi,
mi sbucciai le ginocchia e alcune
gocce di sangue caddero sulla neve,
Allora piansi, piansi con dolore il mio
nonno che non avrebbe medicato le
mie ferite e dentro di me si sciolse la
morsa di un sentimento che non ero
riuscito ad esprimere.
Piansi anche perché nessuno può
negare che, allorché i bambini cadendo si sbuccino le ginocchia, abbiano il
diritto di piangere.
Alvaro Masi
A Frontino si studia l’italiano
A
Frontino, un piccolo borgo del
Montefeltro, ricco di bellezze
naturalistiche, tradizioni e
tesori d’arte, da circa un anno è attivo
un Centro Studi per la valorizzazione
e lo studio della lingua italiana. Come
ci spiega il professor Antonio G.
Saluzzi, responsabile dell'istituto, “l’obiettivo del Centro Studi Rocca dei
Malatesta, nato nell’aprile del 2003, è
quello di promuovere la lingua e la
cultura italiana nel mondo, la conservazione e valorizzazione delle arti e
dei mestieri della nostra tradizione e
lo splendido ed incontaminato entroterra pesarese”.
Professore Saluzzi, perché avete
pensato ad un villaggio di 400 abitanti per l’ubicazione del Centro
Studi?
“I corsisti nella maggioranza dei casi
provengono da grandi città o metropoli, dove i ritmi di vita sono frenetici
e stressanti, dove l'anonimato e l’alienazione sono spesso la regola. A
Frontino, invece, si vive una dimensione più umana e più familiare, con
uno stile di vita ancora agricolo-rurale: si è immersi nel verde del Parco
Naturale di Sasso Simone, si mangiano
cibi genuini è facile familiarizzare con
gli abitanti e si entra più rapidamente
nella cultura e nella mentalità italiana”.
Quali sono i corsi che offrite?
“Il Centro Studi organizza corsi di lingua e cultura italiana, corsi di cucina,
corsi di ceramica e di pittura, viaggi di
studio – per studenti universitari stranieri con buona padronanza della lingua italiana – finalizzati alla conoscenza della situazione politica, economica, sociale e culturale delle
Marche e del Montefeltro in particolare. I corsi sono rivolti ad appassionati
stranieri e a persone di origine italiana
residenti all’estero che desiderano
combinare lo studio con una rilassante ed istruttiva vacanza in uno dei più
affascinanti angoli d’Italia”.
Qual è la durata di un corso e quali
i metodi di insegnamento?
“Abbiamo diverse soluzioni, a seconda dei corsi che si vogliono seguire.
Non ci sono vincoli, ci si può iscrivere per un minimo di 2 settimane o per
un massimo di 6 mesi. Tutti i corsi
sono tenuti da docenti professionisti,
ognuno specializzato nel proprio
campo. Questo vale sia per gli insegnanti d'italiano che per i docenti dei
corsi di cucina, di ceramica e di pittura, i quali sono tutti artigiani e artisti
che hanno un proprio laboratorio e
vivono del loro lavoro. La caratteristica principale del nostro metodo d'insegnamento è lo stretto legame tra
teoria e pratica. Infatti i corsi sono
organizzati in modo tale che alla
lezione teorica segue subito l'esercitazione pratica e ad ognuno è abbinato
un programma culturale-ricreativo
particolare. Per esempio il corso di
cucina prevede visite ad aziende vinicole, a laboratori artigianali e a sagre
paesane di prodotti tipici (miele, formaggio, tartufo, olio, farina), degustazioni di vini locali condotte da sommelier”.
Perché oltre alla lingua italiana
date tanta importanza alla cucina?
“Sappiamo tutti che la cucina italiana
è amata in tutto il mondo e che gli
stranieri sono molto interessati ad
apprenderne i segreti. A questo si
aggiunge la peculiarità del nostro territorio. Infatti, lo stile di vita nel il
Montefeltro continua ad essere agricolo-rurale. I suoi abitanti sono attaccati
alle loro tradizioni culinarie, conservano antiche ricette che prevedono l'utilizzo di ingredienti genuini e non artefatti.
Gianluigi Bertolini
(liberamente tratto da èItalia
n. 25, 2004)
ISTITUTO
STORICO
DELLA
RESISTENZA
Forlì
II Presidente
Francesco
Cossiga
visita
Tavolicci
(Verghereto Forlì)
Luglio 1984
9
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
STORIA
LETTERE
C
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
Ci scrive il Comune
La storia dei cappuccini
per vantarci di quello che abbiamo
fatto, che rientra nei doveri di una
pubblica amministrazione che voglia
tutelare e preservare i beni artistici
della comunità, ma per riconoscere i
meriti alle istituzioni e alle persone
che hanno creduto in questa iniziativa, che è stata apprezzata come
una novità all’interno delle manifestazioni fieristiche, destando l'interesse di un pubblico più selezionato.
Anche nel futuro l’Amministrazione
comunale è disponibile a collabora-
Terza puntata
aro direttore, ho letto con
interesse l'articolo pubblicato
in prima pagina sul periodico
da Lei diretto, dal titolo “Il tesoro di
San Girolamo”, apparso nell'ultimo
numero della rivista “Rocca”.
Mi fa piacere aver riscontrato approvazione per un’iniziativa comunale
da me perorata, pur notando però
che nell'articolo non vi è nessun
riferimento esplicito al Comune, che
in realtà si è speso con molta dedizione alla realizzazione di questa
mostra. Penso che si tratti solo di
una dimenticanza.
La mostra, che si colloca in più
generale programma del Comune di
valorizzazione del patrimonio storico artistico santagatese, è stata curata, egregiamente, dal professor
Alessandro
Marchi,
della
Sovrintendenza di Urbino, al quale
rinnovo, assieme al Sindaco, il ringraziamento per gli accuratissimi
studi sulle opere d’arte conservate
nei monumenti di Sant’Agata Feltria.
Abbiamo pensato, che fosse più
proficuo per la popolazione e i turisti, esporre al pubblico le splendide
opere d’arte conservate nella Chiesa
di San Girolamo da secoli, anziché
chiuderle in una stanza in attesa
della fine del restauro.
Questa piccola operazione ha comportato alcuni costi, piuttosto gravosi per il nostro bilancio, soprattutto
in tempi di recessione. Ringraziamo
a questo proposito anche la
Presidenza del Consiglio Regionale
e la Pro Loco (che inoltre si è resa
disponibile alla gestione dell'apertura della mostra durante tutto il periodo delle manifestazioni del tartufo e
del Natale), che hanno sostenuto e
in parte finanziato l'iniziativa.
Le spese hanno riguardato l’installazione di un impianto d’allarme, il
trasferimento nel Palazzo Comunale
delle opere d’arte di personale qualificato
indicato
dalla
Sovrintendenza, il restauro e la ripulitura che ha valorizzato la bellezza
dei dipinti, e infine la creazione di
dépliants e locandine ideate dal
geom. Fulvio Bettini del Comune.
Questo va precisato certamente non
re con tutte le associazioni e i singoli
cittadini portatori di idee per iniziative volte alla conoscenza e valorizzazione del nostro patrimonio artistico, nonché naturalmente per altre
attività di sviluppo sociale, culturale,
economico della nostra comunità
santagatese.
Colgo l’occasione per porgere i più
cordiali auguri di un 2005 di pace e
serenità.
Con stima Guglielmo Cerbara
Assessore del Comune
di Sant’Agata Feltria
Tomba del Cardinale Federico Fregoso.
Duomo di Gubbio (foto Alessandro Paci)
10
N
atale Cappelli (Enrico), nato
a Maiano 28.12.1884, entrato
nel seminario dei capuccini il
6.4.1897, vestito 17.1.1900, sacerdozio
29.6.1907. Fu inviato a Roma per frequentare l’Università Gregriana dove
ottenne il dottorato in sacra teologia
nel 1911; rientrato in provincia fu professore di S. Scrittura, patristica e liturgia a Bologna (1911-1915 e 19191921), interruppe dal 1916 al 1918
perché chiamato sotto le armi come
cappellano militare nella prima guerra
mondiale. Per le sue doti umane e
religiose i superiori gli affidarono il
delicato ufficio di maestro dei novizi
(ufficio nel quale occorre discernere
le vocazioni e avviarle ala serietà della
vita religiosa) dal 1921 al 1935, anno
nel quale fu eletto ministro provinciale, cioè superiore di tutti i religiosi
della Provincia di Bologna, che resse
fino al luglio 1938; morì a Bologna il
9 marzo 1939.
A succedere al p. Natale al governo di
tutta la Provincia fu eletto nel capitolo
del 1938 Arsenio Guidi (Angelo):
anch’egli nato a Maiano il 20.12.1885,
entrato nel seminario dei cappuccini il
15.3.1898, vestito il 1.3.1901, sacerdozio 12.7.1908; inviato a Roma per perfezionarsi negli studi filosofici (1911),
ma dopo un anno, per motivi di salute, dovette rientrare a Bologna.
Superata la crisi di salute i superiori
ugualmente gli affidarono l’ufficio di
insegnante e responsabile della formazione dei nostri religiosi candidati
al sacerdozio (dal 1912-1916 e 1920);
anch’egli fu cappellano militare dal
1916 al 1920. Nel 1920 partì per la
missione che i cappuccini bolognesi
avevano nel Nord-India ad Allahabad
ed anche qui furono subito messe a
frutto le sue doti come maestro dei
novizi cappuccino (era stato eretto il
primo noviziato per formare i capuccini indiani – Sardhana 1922-1924) e
insegnante (Mussorie 1924-1927).
Rientrato in Italia, sempre per motivi
di salute, i superiori provinciali lo
nominarono guardiano in vari conventi e professore di filosofia; di lui si
ineressarono anche i superiori mag-
giori di Roma che lo nominarono rettore e professore dello studio interprovinciale dei cappuccini a Napoli
(1933-1938). Partecipa al capitolo di
Bologna nel 1938 dove, come detto,
viene eletto provinciale, carica che
tiene sino al 1941. Tra i cappuccini si
può fare carriera, ma quando si arriva
all’apice e si scade dal proprio ufficio,
si diventa semplici frati e così il p.
Arsenio terminato il suo triennio di
provincialato, fu destinato nel 1941 al
convento di Santarcangelo di
Romagna dove poi morì il 25.6.1943.
Bernardino Librari (Ilario), nato a S.
Agata F. 14.5.1897, entrato nel seminario dei cappuccini il 9.3.1910, vestito
8.9.1910, vestito 8.9.1912, prima del
concordato del 1929 (Patti lateranensi)
anche i giovani frati erano costretti a
fare il servizio militare e così anche fr.
Bernardino fu militare in zona di guerra dal 1917 al 1922, questo gli causò il
ritardo al sacerdozio che ricevette il
20.5.1923.
Dal 1924 al 1931 fu insegnante ai
ragazzi delle scuole medie del seminario serafico di Imola, fu poi in vari
conventi, generalmente come vicario;
morì a Bologna il 24.7.1947 (prozio di
Gianfranco Liverani).
Benigno Cornieti (Paolo), nativo di
Monteriolo di Sarsina 26.9.1885, entrato nel seminario dei cappuccini il
25.10.1898, fu ammesso tra i cappuccini il 31.10.1900 col nome di Benigno
da S. Agata, sacerdozio 4.4.1908; i
superiori lo destinarono nel seminario
serafico (quasi interrottamente 19091935), dove fu anche rettore a Imola
1910-1920; poi fu in vari conventi
come confessore e direttore spirituale,
ed è in questo periodo che si dedica
alle ricerche storiche sulla sua S.
Agata, ancor’oggi importanti, che pubblica nel 1950 “S. Agata Feltria e la
Madonna dei cappuccini” e che per
cura di Enzo Liverani (pronipote?) e di
Giancarlo Dall’Ara è stato riedito nel
2000. Morì a Castelbolognese il
26.10.1962.
Nella seconda metà del secolo XX è il
rilancio delle vocazioni santagatesi:
Lino Valli (Felice), nato a S. Donato
11
7.9.1909, entrato nel seminario dei
cappuccini il 21.8.1922, vestito cappuccino
17.9.1924,
sacerdozio
13.5.1934; persona intraprendente fu
attivo in vari conventi dove svolse
anche la carica di Guardiano (S. Agata
1951-1957, Santarcangelo 1960-1966,
Lugo 1969-1975), e fu anche cappellano di ospedale (a Bologna 1945-1948,
Tresigallo 1948 e Rimini 1975-1979);
gli ultimi anni della sua vita li trascorse nel convento di Ferrara (19811988), morì a Bologna 26.10.1988.
Valerio Mazzoli (Walter), nato a S.
Agata F. 21.2.1916, entrato nel seminario dei cappuccini il 2.10.1927, vestito
1.8.1932, sacerdozio 9.6.1940; dopo
essere stato impegnato come insegnante di storia nei luoghi di formazione degli studenti cappuccini, fa
parte del gruppo dei 14 missionari che
partono per l’India nella nuova missione di Lucknow affidata ai cappuccini bolognesi (in seguito alla divisione della ormai bene avviata la docesi
di Allahabad). Rientrato nel 1955 in
Italia per motivi di salutem sarà a
Bologna fino alla morte rendendosi
disponibile per i servizi della fraternità
e collaborando con la nostra rivista
Messaggero cappuccini con articoli
sulla missione; morì il 27.6.1985.
Fedele Dall’Ara (o dall’ara?) (Pietro),
nato a Maiano 6.9.1912, seminario:
No, vestito 14.6.1930. Come fratello
“laico” fu impegnato come questuante
e ortolano in vari conventi, specialmente luoghi di formazione, (Cesena,
Lugo, Forlì, Faenza, Casola, Bologna):
lavori importanti per la vita e l’economia dei conventi, specialmente dove
vi sono tante bocche da sfamare.
Ammirati per quanto ben tenuti erano
da lui tenuti perché sapeva che era
importante il suo lavoro. Ma non
distaccata dal lavoro era la sua vita di
preghiera, nella quale si dimostrò un
religioso esemplare. Morì a Bologna il
28.12.1985. Anche un suo fratello
Nazzareno (al secolo Eliseo) n.
19.10.1914, entrò con lui tra i cappuccini, ma nel 1940 chiese ed ottenne di
lasciare l’Ordine.
Padre Andrea
La Rocca
Gennaio / Febbraio 2005
ELOGIO DEL MONTEFELTRO
Montefeltro, passeggiate
fra natura e storia
L’articolo che segue è stato scritto da
Piero Meldini, scrittore di successo
riminese, per il giornale del
Convention Bureau di Rimini “Hallo
News”, ed è apparso nel n. 17 del
2002.
I lettori della Rocca che fossero interessati agli scritti di Meldini, che è
stato a lungo direttore della biblioteca Gambalunga di Rimini, non si
facciano scappare il suo romanzo
“La falce dell’ultimo quarto” (un
vero capolavoro), uscito nel 2004
con Mondatori, e presentato a
Novafeltria il 30 dicembre 2004.
A
i lettori di HalloNews vorrei
suggerire un’escursione in un
luogo che non esiste. O
meglio, che non esiste come entità
amministrativa.
Parlo
del
Montefeltro.
Il suo territorio è diviso fra tre provincie – Rimini, Pesaro e Arezzo -,
tre regioni – Emilia-Romagna,
Marche e Toscana – e addirittura fra
due Stati – Italia e Repubblica di San
Marino. A dispetto di tutto questo, la
sua identità storica e culturale è fuori
discussione.
I Feretrani (così si chiamano gli abitanti del Montefeltro, dal latino
Mons. Feretri) hanno un legame vivo
e profondo con il loro passato e le
loro tradizioni e, pur evitando di coltivare propositi secessionistici, non si
sentono in effetti né romagnoli né
marchigiani né toscani, ma membri
di una comunità a sé. Tanto più
unita e autonoma in quanto non
delimitata da confini amministrativi,
ma da frontiere ideali tracciate da
vicende millenarie.
Il territorio feretrano coincide tuttora
con quello dell’antica diocesi del
Montefeltro, formatasi nell’alto
Medioevo. La prima sede vescovile
fu San Leo, già caposaldo romano,
poi fortezza dei Goti, presidio bizantino, roccaforte longombarda e rifugio dei primi re d’Italia. Nel 1572 la
cattedra vescovile fu trasferita a
Pennabilli, dove rimase fino alla sua
soppressione.
Territorio che da collinare si fa via
via montuoso, il Montefeltro è tagliato in due dal fiume Marecchia, che
dalla sorgente appenninica di Monte
Zucca scende, trasportando ciotoli e
sabbia bionda, fino a Rimini, dove
sfocia nel mare Adriatico.
Sulla valle fiabesca in cui il fiume
scorre incombono, da entrambi i lati,
scogli rocciosi che si direbbero
giganti pietrificati posti a guardia dei
luoghi.
E tali saranno apparsi già ai primi
abitatori che si installarono su queste
rocche naturali.
Le tribù villanoviane dominavano,
da questi cucuzzoli, l’antichissima
via commerciale che collegava
l’Italia centrale con l’Adriatico e ne
controllavano i traffici. Le loro armi,
le loro urne cinerarie, i loro raffinati
monili d’oro e ambra si possono
ammirare nel museo di Verucchio.
Su questi stessi speroni di roccia, da
cui si godono panorami incantevoli,
costruiranno i loro castelli le famiglie
signorili che per trecento anni, dal
XIII al XVI secolo, si contenderanno
il territorio: i riminesi Malatesta e gli
urbinati Montefeltro, nemici mortali,
e poi i Medici, i Della Rovere e una
miriade di signorotti locali.
Pochissime aree italiane conservano,
come il Montefeltro, un rapporto
così stretto fra natura e storia, avvinghiate l’una dall’altra così tenacemente che i promontori rocciosi
sembrano opera dell’uomo e le torri,
le rocche, le pievi, le case rurali,
costruite con la pietra delle cave
feretrane, formazioni geologiche.
Basta lasciare la strada che corre
parallela al fiume, deviando a destra
o a sinistra, per immergersi nel
verde. Già dopo pochi chilometri si
incontrano boschi centenari di castagni.
Se si continua a salire, i boschi si
fanno sempre più vasti e fitti, e là
dove si levano il Sasso Simone e il
Simoncello, suo fratello minore, li
12
circonda un mare di alberi.
Questo paesaggio d’altri tempi e
queste venerande memorie sopravvivono a non più di mezz’ora di macchina da Rimini e dalla costa romagnola.
E poiché, oltre all’occhio, anche la
bocca vuole la sua parte, gioca ricordare che nella cucina del Montefeltro
si sposano due distinte e per molti
versi contrastanti culture alimentari e
gastronomiche: la tosco-marchigiana
e la romagnola.
Come tutte le cucine di confine, la
feretrana è una cucina ibrida ed
eclettica che accoglie – e adatta –
piatti dell’una e dell’altra tradizione:
la romagnolissima piadina (che evolve lentamente nell’opulenta crescia
urbinate) e il pane cosiddetto toscano, da cavarne crostini e bruschette;
i cappelletti romagnoli e le minestre
asciutte con sughi poveri di verdure
e legumi, tipicamente centroitaliane;
le crudità e le misticanze, e le verdure stufate e gratinate; le carni alla
brace e le carni in tegame.
Tra queste il coniglio in porchetta,
cioè cucinato con gli ingredienti e le
tecniche della porchetta di maiale,
onore e vanto di tutta la vallata del
Marecchia.
La cucina feretrana meritò nel 1705
gli elogi sperticati di Giovan Maria
Lancisi, medico personale di
Clemente XI che nel giugno di quell’anno si concesse un week-end di
quattro giorni nel Montefeltro in
compagnia del nipote del papa, del
Cardinal Legato di Urbino e di una
quindicina fra prelati e gentiluomini.
Il Lancisi era persuaso di mangiare,
“tra quelle montagne”, con “semplicità pastorale”. Scoprì invece una
“tavola sibaritica” da far invidia a
Lucullo.
Il lettore non si aspetti tanto. Troverà
comunque soprattutto nella stagione
dei funghi e dei tartufi di che leccarsi i baffi.
Piero Meldini
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Rocca di Febbraio 2005 - il giornale di Sant`Agata Feltria