10 BIOGRAFIA Giulio Grimaldi sulla porta di casa e, nella pagina a fianco, in una foto da giovane “Giulio Grimaldi. Professore, critico, romanziere, poeta, lettore ed editore di carte, riordinatore di archivi, direttore di riviste e giornali, riuscito sempre, parlando o scrivendo, arguto, lucido, geniale”1. Tutto questo fu Giulio Grimaldi. Nacque a Fano l’8 gennaio 1873 da Blandimiro Grimaldi ed Anna Pierpaoli. Sulla facciata della sua casa, in via S. Agostino n. 20 (oggi piazza Giulio Grimaldi n. 6), il 22 aprile 1938, per iniziativa dell’Opera Nazionale Balilla, alla presenza delle autorità cittadine, di parenti, amici e ammiratori provenienti da varie città, fu inaugurata la seguente iscrizione: “Giulio Grimaldi – nato in questa casa l’VIII gennaio MDCCCLXXIII – ebbe ingegno versatile – onde in lui mirabilmente congiunte arte ed erudizione – si rivelò poeta in lingua di gentili sensi – nel suo dialetto di arguta festività – romanziere efficace ed elegante al vero ritrasse la vita marinaresca fanese – diligente indagatore di antiche carte fu sagace nel rievocare le patrie memorie – col dotto insegnamento delle lettere onorò la Scuola – e più avrebbe affermata l’opera sua se per crudele fatalità il II agosto MCMX non fosse miseramente perito vittima del mare a Marina di Pisa. – L’Opera Balilla a ricordo del concittadino illustre pose.” Purtroppo l’iscrizione dopo la II guerra mondiale andò perduta. Solo nel 2008 il Lions Club di Fano si assunse l’onere (e l’onore) di sostituirla: “Qui nella casa natale dello – scrittore e poeta – Giulio Grimaldi – (Fano 1873 - Marina di Pisa 1910) – il Lions Club Fano pose questa – lapide a ricordo, nel centenario – della pubblicazione del – romanzo – “Maria Risorta” – suggestivo ed ineguagliabile – spaccato della vita marinara – fanese”. La sua famiglia era numerosa, ma il padre, maestro elementare superiore2, avviò i suoi figli agli studi, in particolare alcuni, tra cui Giulio, presso il Reale Liceo – Ginnasio Nolfi di Fano3. Giulio, come è testimoniato dal suo amico G. Natali4, era un bambino vivace, dalla fervida fantasia; alla sera recitava sempre lunghe preghiere in ginocchio. A dodici anni espresse il desiderio di entrare in seminario e vi riuscì, vincendo la riluttanza dei genitori; si presentò poi a sostenere gli esami di licenza ginnasiale nel R. Liceo – Ginnasio di Fano. Ottenuti buoni risultati, fu mandato a continuare gli studi nel Seminario Pontificio Romano, a spese della Curia: lì frequentò il primo e secondo anno di liceo. Se il rendimento scolastico risultava buono, la condotta invece lasciava a desiderare, cosa che infastidiva il suo prefetto5. A diciassette anni, però, capì che la carriera ecclesiastica non sarebbe stata il suo futuro: svanita la vocazione religiosa, Giulio, che odiava l’ipocrisia, non esitò ad uscire dal Seminario Romano, per tornare nella sua città. Ed è qui, infatti, che ottenne la licenza liceale, come privatista, nell’ottobre del 1888. I suoi studi proseguirono alla Facoltà di Lettere a Roma, grazie ad un sussidio ottenuto dal Pio Sodalizio dei Piceni. Per poter seguire tali studi, soffrì anche la fame, ma sempre con dignità e con il sorriso sulle labbra; il suo amico Alberto Niccolai6 a tale proposito ricorda un piccolo episodio: Giulio Grimaldi, dovendo una volta partire da Roma per tornare a casa, si era trovato alla 11 stazione senza denaro e così si era messo a chiederlo ai passanti! Allievo del filologo Ernesto Monaci, si laureò con il massimo dei voti nel giugno del 1895, con una tesi sui “Commediografi del Cinquecento” e, in particolare, sul Cardinale Dovizi da Bibbiena. Iniziò prestissimo la sua carriera di insegnante di lettere, che lo vide prima al Collegio Commerciale “Silvio Pellico” di Legnano (quando ancora era studente), poi al Ginnasio di Fabriano, alla Scuola Normale di Urbino e infine alla Scuola Normale di Pisa. “Era un maestro, un vero maestro, senza aver nulla della gravità professorale; semplice e modesto quanto valente e coscienzioso, giustamente severo per amore, epperò molto amato da’ suoi alunni, futuri educatori, ai quali dava non solo insegnamenti di dottrina, ma l’esempio d’una vita tutta consacrata a gli studii, alla scuola, alla famiglia”7. Il lavoro, tanto amato da Grimaldi, non gli permise però una vita agiata, visto lo stipendio modesto che lo Stato assicurava ai professori8. Si sposò il 21 ottobre 1900 a Fabriano con Flavia Leotardi, di Jesi; a lei l’anno precedente aveva dedicato il suo libro di poesie Maternità, con la prima lirica della raccolta: “… Ma tu sorridi, Flavia … Ah che se gli occhi dolcissimi su me rivolgi a pena, io ridivento un bimbo come allora”. Dal matrimonio ebbe quattro figli; la prima, Lidia, nacque il 23 ottobre 1901, come sappia12 Pagella di licenza liceale di Giulio Grimaldi (Archivio Istituto “Nolfi” - Fano) mo da una lettera che Grimaldi stesso inviò a Cesare Selvelli9. E così dedicava tutto il tempo che il lavoro gli lasciava libero alla famiglia e agli studi, che lo vedevano impegnato in faticose indagini erudite negli archivi di Fano, Fabriano, Urbino, Matelica … Oltre a ciò, continuava a scrivere poesie e racconti; per questo, come ricordato da tanti che lo conobbero, si vedeva spesso girare con la pipa in bocca per le vie di Fano, soprattutto al porto, dove si fermava nelle osterie e prendeva appunti: questi sarebbero stati poi la base per il suo scritto I pescatori dell’Adriatico e, soprattutto, per il romanzo Maria risorta. Nel frattempo fondò e diresse per dieci anni la rivista Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti: pur avendo vari collaboratori, ci dice Giulio Natali10 che “faceva quasi tutto lui: esponeva con molto bongusto i resultamenti delle sue ricerche archivistiche, dava spogli ricchissimi di rassegne e giornali, recensiva opere e opuscoli inviati al periodico, annunziava tutto che potesse interessare la cultura regionale, stimolava i collaboratori, correggeva le prove di stampa”. Uomo instancabile, poliedrico, non fu però attratto dalla politica, un mondo che non gli apparteneva; forse il suo giudizio sui politici non era poi tanto diverso da quello che fa pronunciare ad un popolano nella poesia satirica in vernacolo Chi becca becca: I partìt, i partìt … êt tenp a dì, êt tenp a fa, mo quant sìn a la fin, o sucialista, o pret, o capucìn, tuti, chi cmanda, fan le bojarì. Eh nòo? prima, ni sorta de muìn, fan l’àrt dla scimia per gì su, per gì … Pu en v’aguàrden più manca de chì e lì, e tiren tuti l’aqua al su mulìn. Jì vagg a veda, urmài, ch’ j dagg ragiòn ma quel ch’ diva en giorn clu, tun cl’ustaria … Fa’ nascia prima, na rivulusiòn, e p una legg’ ch’ j dicen la narchia. Sa cla legg’ quela, è come l gvern d’i pcion: chi becca becca. E, malì, chi pja pja.11 Quel mondo non si addiceva per nulla con la sua innata modestia, messa in evidenza da vari conoscenti e amici; per tutti, un articolo di un suo alunno, Corrado Vannini: “Il valore dello scrittore nostro era superato da una cosa sola: dalla sua modestia … Circa un anno fa, egli assegnò a noi lo svolgimento di un tema che aveva per titolo: “Quali sono le vostre letture preferite”. E poiché io, povero untorello della letteratura, … scrivevo che fra i miei libri prediletti era – dopo le opere del De Amicis – il suo ultimo romanzo “Maria risorta”, … egli non volle lasciarsi cogliere dalla tenue adulazione né predominare dalla piccola vanità e scrisse in margine “troppa grazia!” … ”12 Dell’integrità di Giulio Grimaldi parlò anche un giovane Alberto Niccolai: “Troppa sincerità lo animava, tale da farlo apparire quasi ingenuo … Era un idealista nella vita, quasi un mistico; anche nel male voleva, e, talora, sapeva anche scorgere la parte men brutta. Forse, in fondo al suo cuore, non si era ancora spento quel senso di fervida fede che, giovine, lo aveva spinto ad una concezione religiosa della vita, e che, maturo d’ingegno, lo aveva indirizzato ad altri sogni, ad altri ideali di sereno amore più umano.”13 13 Come professore, aspirava ad essere trasferito da Pisa a Roma o a Firenze, per poter terminare i suoi studi sul Cardinale da Bibbiena14, ma una morte drammatica lo colse all’improvviso il 2 agosto 1910. Quel giorno era andato con la sua famiglia al mare a Marina di Pisa; verso le ore 12, provetto nuotatore, si gettò in mare per un bagno, ma poco dopo, forse colto da malore, cominciò ad annaspare tra le onde, chiedendo aiuto; nulla riuscirono a fare per lui e Grimaldi annegò di fronte agli occhi attoniti e disperati della moglie e dei figli. Tale evento drammatico suscitò commiserazione per la morte di uno studioso e scrittore dal valore riconosciuto, ma anche sdegno; molti giornali dell’epoca ne parlarono, da Firenze a Pisa, da Roma a Milano e, ovviamente, nelle Marche15. Lo sdegno scaturiva dalla cronaca dei fatti: è riferito che, quando Grimaldi invocò aiuto, né il bagnino dei “Bagni Giulia”, in cui si era fermato, né quelli dei bagni limitrofi, pur avvisati, si spinsero al salvataggio. Allora un venditore di panini che si trovava sulla spiaggia, presa una barca sulla battigia, raggiunse l’uomo e con grande difficoltà, essendo solo, lo trasse a riva, ma ormai Grimaldi non dava più segno di vita. E’ opinione unanime che, con una pronta opera di soccorso, si sarebbe potuto salvare; per questo fu anche aperta un’inchiesta e, su ordine dell’autorità giudiziaria, nel frattempo fu disposta la chiusura degli stabilimenti balneari “Giulia” e “Apollonia”16. Giulio Grimaldi fu sepolto nel cimitero di Pisa. Grande e commossa fu la partecipazione al corteo funebre, alle cui spese vollero provvedere i colleghi, viste le non floride condizioni economiche della sua giovane famiglia17. 14 OPERE “Arte ed erudizione – questi due termini così antagonistici da sembrar quasi inconciliabili fra di loro – si fusero nel Grimaldi in quella perfetta armonia che ci fa risalire col pensiero alle magnifiche tempre di umanisti, che destano stupore e ammirazione in chi ne studia l’opera variamente complessa”18. In effetti la versatilità e i molteplici interessi di Grimaldi sono la causa della poliedrica varietà dei suoi scritti: poesie in vernacolo e in lingua italiana, novelle, romanzo, saggi critici … A dire il vero, se oggi è valorizzata soprattutto la sua produzione letteraria in prosa, i contemporanei ne apprezzavano particolarmente la forma poetica; un esempio, tra tanti, è quanto scrive di lui Riccardo Grassetti: “… Giulio Grimaldi fu principalmente, essenzialmente poeta. I versi gli sgorgavano spontanei e abbondanti dal cuore … Ed egli li raccoglieva in quei quaderni di carta rigata, con la copertina in litografia, che adoperano gli scolaretti delle elementari … E quanti versi ha profusi, con signorile munificenza, in giornali, in riviste, in pubblicazioni d’occasione!”19. Ancora studente, scrisse poesie dialettali che vennero pubblicate in giornaletti umoristici estivi; e anche per gli anni seguenti possiamo trovare sue poesie su locali giornali d’informazione, come il Piccolo Corriere o La Fortuna o, in seguito, nella Rivista Marchigiana illustrata. Per queste produzioni usava inizialmente uno pseudonimo: “Sparvengul”, poi divenuto “Spervengul”; si firmò anche “Berlich” o “Berlòch”, “B. Scotto” o “B. Stecca”, “Il Gactone” o “El puciadét”, “El sor Ugeni”, “Ditta Barilon et Schirichin”. Nelle bibliografie del nostro autore, non si è finora mai fatta menzione di un suo interessamento al teatro: per certo risulta che scrisse un monologo, I pupin de Gigiaia, che lui stesso recitò. La notizia è riportata su La Fortuna dell’8 ottobre 1893, in un trafiletto firmato, con uno pseudonimo, Fra Galdino: “Fano à avuto una stagione teatrale, più o meno splendida con Tamagno; Cartoceto l’à avuta esso pure, per l’iniziativa di alcuni bravi giovani, che superando le difficoltà noiosissime che sorgono sempre, quando si tratta di fare qualcosa, ànno dato due serate nel nostro grazioso teatro del Trionfo. Hanno esordito, il quattordici settembre, con tre produzioni esilarantissime: Il vecchio celibe e la serva, In pretura … e Il villano innamorato, dove il vostro concittadino Giulio prof. Grimaldi, che faceva da contadino, à suscitato un vero uragano di applausi, che interrompendolo a ogni parola, servirono appena di sfogo all’entusiasmo rumoroso del pubblico; accoglienza molto lusinghiera per un principiante … Domenica scorsa (1 ottobre), con una piena straordinaria, abbiamo assistito alla seconda recita, che à avuto un successo anche più soddisfacente della prima. È stata eseguita una bella commedia di Gherardi del Testa, Il sistema di Giorgio; dove si sono distinti tutti i filodrammatici che ò già nominati. Poi, il prof. Giulio Grimaldi à recitato un suo monologo in dialetto, I pupin de Gigiaia, che è piaciuto molto; ma il pubblico si aspettava sempre che venisse in scena qualch’altro personaggio. Nella farsa, Tre salami in un cesto, benissimo tutti, specialmente la 15 signorina Fedeli, il signor Ribolla, caratterista brillantissimo, e il prof. Grimaldi, sempre novo e sempre spiritoso, nell’interpretazione esatta del contadino nostro.” Da qui si deduce un’immagine di Grimaldi ben diversa da quella fino ad oggi attribuitagli. Su La Fortuna. Periodico settimanale letterario – artistico – umoristico – illustrato possiamo trovare dei bozzetti in dialetto scritti da Grimaldi: Sa la favrita, I pajin, Com s’mor da i purett. A questo proposito, il prof. Aldo Deli commenta: “Grimaldi aveva tutti i numeri per scrivere un’opera teatrale, una commedia, un dramma in dialetto: si fermò a questi bozzetti dove la mimica è a fior di pelle e dove il “parlato” di cento anni fa, quando ancora il nostro dialetto non ricalcava la lingua italiana, rivive in pregnanti stilemi ormai perduti. E forse il narratore “verista” più convincente e autentico è piuttosto in queste pagine dialettali che nel Grimaldi del romanzo marinaresco “Maria Risorta”.”20 La prima sua vera e propria raccolta di poesie, nel 1892, fu Asfodèli, interessante soprattutto per un’introduzione, in cui, facendo la recensione delle liriche del giovane poeta Carlo Barattini, espresse la sua personale concezione dell’arte, con una critica alla lirica contemporanea: “… Allora per chi è fatta l’opera d’arte? e perché vi lamentate se il popolo non cura più la poesia e la prosa, dal momento che non vi capisce? Per di più, manchiamo di libri adatti alle donne, che sono una metà della popolazione … Di chi è la colpa se la poesia non piace più a nessuno? è di voialtri poeti, degli argomenti che trattate, del modo come scrivete … La poesia è una delle tante forme dell’arte e non un mezzo per riformare la morale: alla morale ci pensano i padri predicatori … si può essere poeta senza seccare il prossimo. Chi ci riuscirà? Mi viene in mente che si può seccare il prossimo anche scrivendo in prosa. Per questo faccio punto qui.”21 Nel 1899 Grimaldi pubblicò con la casa editrice Marzocco la raccolta di poesie in lingua Maternità: sono 56 sonetti, che ritraggono in modo naturale e realistico le gioie e i dolori di madri, quadretti familiari con la presenza di bimbi … A questa, seguirono le raccolte Le intime (1900) e Ninne nanne (1901): le prime sono dolci canti legati al momento delle sue nozze con Flavia, le seconde furono ispirate dalla nascita della prima figlia, Giulia. Se ad un lettore del 2000 quei versi possono apparire troppo dolci, direi quasi melliflui, la critica del suo tempo li trovò piacevoli e li lodò, forse oltremisura: “Al Grimaldi va data lode di espertissimo artefice di versi: nulla mai che stoni, nulla che macchi la nitida melodia dei suoi versi; ma né pure mai leziosità di pascoliano, mai bisantinerie di dannunziano: da per tutto una dignitosa semplicità, una eleganza onesta e schietta, che innamora”22. Alberto Niccolai, inoltre, considerava Grimaldi, come poeta di bimbi, “di gran lunga superiore” a De Amicis e, confrontandolo con la poetessa Ada Negri, così affermava: “Mi sia permesso, senza per questo mancar di rispetto alla umile maestrina lombarda, … di dire che nel confronto ella riesce inferiore a G. Grimaldi”23. Ma il poeta si dedicò anche alla poesia dialettale, che riteneva di ugual dignità rispetto a quella in lingua. Spinto dall’amico Giovanni Crocioni, studioso e autore dell’opera Poesia dialettale marchigiana, raccolse 46 sonetti in una pubblicazione del 1905 dal titolo significativo Bròd e acin (che significa “mosto e vinaccioli”); allo stesso Crocioni in precedenza aveva inviato un libretto con 77 sonetti, dal titolo Quater fregnacc a la legra de chel brutt boja de 16 Frontespizio del libello “Arturo e Bianca” Dedica posta in prefazione alla novella “Arturo e Bianca” Spervengul: si trattava di versi scritti tra il 5 ottobre 1897 e il 25 gennaio 1900. Queste poesie ritraggono un mondo popolare, con i pettegolezzi, le superstizioni, gli amori, il vino e altri aspetti di vita quotidiana della semplice gente di Fano. Nel 1905 partecipò alla Mostra di Macerata, un cui settore era dedicato al folklore marchigiano: poeti dialettali, canti popolari, feste ed usi caratteristici della regione24. Su questa sua esperienza, così Grimaldi si espresse dalle pagine del periodico da lui diretto, Le Marche: “Serata indimenticabile, quella del 29 ottobre u.s., a Macerata! … Dopo Pesaro, Fano: altro dialetto mezzo ostrogoto per orecchie maceratesi, ma che fu tuttavia capito benissimo. Risparmio però gli elogi al dicitore, perché … sono stato appunto io”. Nel campo della prosa, tra il 1897 e il 1899 scrisse alcune novelle: Fra’ Romano, Un’agonia, Cose grosse, Guerra civile, Messa novella (unica pubblicata dall’autore, nel 1906)25. In verità, Grimaldi, appena diciassettenne, scrisse un’altra novella con lo pseudonimo “Sacramoro”: Arturo e Bianca; il libretto, presente tra i manoscritti grimaldiani, è redatto con un’accurata grafia e corredato, in copertina, da disegni eseguiti dallo scrittore stesso. Il racconto, in versi con rima alternata, ha un valore letterario veramente scarso, ma è importante testimonianza su un momento delicato della sua vita: evidentemente aveva compreso di non essere fatto per la vita ecclesiastica e stava scoprendo i turbamenti dell’amore; questo è affermato nella dedica posta in prefazione allo scritto, stilata il 28 ottobre 1890: “Alla Adalgisa mia. T’offro questa novella, ove sfogava affetti ignoti ancor quando, Adalgisa, non m’inebriava il sorriso d’amor. Ero felice allor che la composi tra la luce, tra i fior mentre s’apriva a desideri ascosi dolcemente il mio cor… Poveri sogni d’or!”. Esemplificativi di questa particolare fase giovanile risultano essere anche alcuni sonetti inediti, presenti nel quaderno manoscritto intitolato Quater fregnacc a la legra de chel brut boja del Spervengul: Grimaldi aveva volutamente tralasciato di pubblicarli, proprio perché li ritenne eccessivamente licenziosi. Tornando alle opere di Grimaldi oggi più note, l’ unico romanzo, Maria Risorta, edito dalla S.T.E.N. di Torino nel 1908, è considerato il suo vero capolavoro: éros e thánatos sulle rive del mar Adriatico, tra i pescatori del tempo, nelle case e nelle vie del porto di Fano, sua città natale. L’opera, negli anni seguenti accostata ai romanzi di grandi scrittori come Verga o Pirandello26, alla sua prima pubblicazione non riscosse il successo e l’attenzione che si aspettavano gli amici ed estimatori di Grimaldi; a questo riguardo così sottolineò Giulio Natali: “Quando, nel 1908, la ora defunta S.T.E.N. di Torino pubblicò, da me consigliata, “Maria Risorta”, la Marca ebbe finalmente, un po’ in ritardo, il suo primo romanzo regionale. Ma non se ne accorse … Invano io protestai, in un articolo pubblicato dal buon Ernesto Teodoro Moneta nella “Vita Internazionale”, contro certa stampa, che, mentre incensava al cielo tanti istrioni e ciarlatani, lasciava nell’ombra gl’ingegni verecondi, creatori d’opere belle e, forse, durature”27. Quell’ambiente marinaresco, che Grimaldi tanto studiò e tanto amava, è ritratto nel breve saggio Pescatori dell’Adriatico (1907), che per l’autore fu come uno studio preparatorio per il romanzo e per il lettore è oggi un interessante spaccato sul mondo della marineria del tempo, fanese e di “ognuno di quei piccoli porti – canali, di cui è ricca specialmente la parte centrale della nostra costa adriatica”28. 17 L’attaccamento di Grimaldi alla sua città è evidente anche in alcuni articoli da lui redatti per varie riviste; un esempio è quel che scrisse di Fano in L’Esposizione Marchigiana: “Conoscete la cittadina linda e tranquilla, adagiata sulla riva del nostro bell’Adriatico, dove pianura, collina e mare si uniscono in vago connubio?”; e continua, ricordando in breve la storia, i monumenti e le spiagge della città29. Come storico, la sua “fatica” maggiore, che avrebbe pubblicato, se la morte non lo avesse colto così all’improvviso, fu lo studio sul cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, di cui si era occupato già per la sua tesi di laurea nel 1894; volendo compiere una ricerca più approfondita, Grimaldi continuò a frugare negli archivi romani e fiorentini, riuscendo a trovare interessanti lettere inedite del cardinale. Una parte di tale epistolario venne pubblicandolo; la monografia completa era già in parte pronta per la stampa, come risulta chiaro da uno degli annunzi bibliografici apparsi su Le Marche: “Essa consterà di un volume sopra le 500 pagine, in 8° grande, adorno d’uno splendido ritratto in fototipia, riproducente quello che si conserva nella Galleria Pitti, in Firenze, con il quale Raffaello immortalò la pensosa figura dell’arguto cardinale. Verrà posto in vendita al prezzo di L.10 (estero L.12). Al volume annunziato ne seguirà presto un secondo, in cui il Grimaldi opportunamente raccoglierà tutte le lettere del Dovizi, per la maggior parte finora inedite e indecifrate”30. Ma evidentemente la pub18 Porto di Fano: rientro di un barchetto blicazione poi non vide la luce, come testimonia anche Vittorio Cian dopo la morte di Grimaldi: “Ond’io penso con una stretta al cuore a questa esistenza giovanile spezzata crudelmente nei suoi anni migliori, a quest’opera solida di erudizione e di critica condannata forse a rimanere vuota ed inutile, e per la quale l’autore aveva raccolto, con tenace entusiasmo, un materiale ingente”31. Il “tenace entusiasmo” da archivista portò Grimaldi a trascorrere molto del suo tempo libero dal lavoro negli archivi di Fano, Fabriano, Urbino, Matelica: quelle ricerche in parte uscirono postume, altre le aveva via via pubblicate nella rivista da lui fondata e diretta dal 1901 al 1910, Le Marche, che gli diede grande notorietà al tempo. Nel ricordare dopo la morte l’uomo Grimaldi e la sua opera, così scriveva su Il Giornale d’Italia Giovanni Crocioni: “… Ma forse il maggior titolo che il Grimaldi possa vantare, che gli dà maggior diritto d’essere ricordato, gli viene dalla rivista che egli fondò e diresse per tanti anni: Le Marche. Premiata all’esposizione di Macerata (1905), pregiata da tutti gli eruditi italiani, archivio di notizie innumerevoli su le Marche ed i marchigiani, esse rimarranno fonte preziosa agli studi futuri per lunghissimo tempo. Il Grimaldi non si contentava di passare gli scritti alla tipografia, ma ordinava, distribuiva, consigliava, aiutava. Inoltre dava spogli ricchissimi di riviste e giornali, recensiva le opere inviate, annunziava tutto ciò che potesse interessare la nostra regione. Possiamo dire, senza troppo esitare, che nelle Marche è la riprova e la misura dell’ingegno, della cultura, della genialità e dell’operosità del Grimaldi!”. 19 20 LE MARCHE Lettere di Grimaldi a Cesare Selvelli Il titolo completo della rivista, il cui ricco materiale fino ad oggi non è stato esplorato dagli studiosi delle opere di Grimaldi, era Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti. Inizialmente il titolo a cui aveva pensato era un altro, come ebbe a scrivere al suo amico Cesare Selvelli, che allora si trovava a Gubbio: “Caro Cesare, il periodico, che sai, uscirà per il 1° di gennaio prossimo, con il titolo Il Marchigiano. Manda, quindi, qualcosa subito, per il 1° numero, e indirizza al direttore, cioè … a me. Se trovassi qualche altro collaboratore, tra i tuoi amici, accaparralo senz’altro. Appena saranno stampate, ti manderò qualche circolare – programma”32. La cartolina porta la data del 4 ottobre 1900. Nei manoscritti se ne trova un’altra del 16 dicembre 1900, sempre inviata a Selvelli: “Caro Selvelli, ti scrissi tempo fa, annunciandoti la prossima pubblicazione del periodico, di cui si parlava prima della tua partenza. Perché non ti sei fatto vivo? Tratterà anche d’arte, ed eccotene il titolo: “Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere e nelle arti”. Come vedi, ci sarà di tutto. Ti manderò la circolare – programma, già stampata … manda qualcosa per il giornale”. Sempre riguardo al titolo del periodico, in seguito, nell’ultimo numero del 1904, Grimaldi volle rispondere al prof. Pietro Sensini, che dalle colonne de L’Opinione geografica, pur giudicando la rivista “buona e utile”, ne aveva criticato il nome definendolo “brutto e spropositato”: “Le Marche non sono una ragazza che deva trovar marito … Conosco – e conoscevo anche quando fondai la rivista – gli argomenti da Lei addotti, a sostegno della sua ferma opinione che si debba dire “Marca” e non “Marche”; ma, non me ne voglia male, non mi hanno mai persuaso.” Tornando ai preparativi per la rivista, il 24 ottobre 1900 Grimaldi si era rivolto anche all’onorevole Mariotti, proponendogli di diventarne il direttore: “Onorevole signor avvocato, … il tipografo Montanari, volendo dar corpo a una sua vecchia idea, pensa di fondare qui un periodico mensile, in trentadue pagine, il quale tratti di storia, specialmente locale e regionale, e di letteratura, e riempia, in certo modo, la lacuna ora esistente, non essendoci in tutte le Marche pubblicazioni di questo genere. Io credo che il progetto non sia cattivo, e che si riuscirebbe certo a metter insieme una rivista discreta, quando accettassero di prender parte alla sua compilazione i molti studiosi ed eruditi sparsi in tutte le Marche, e che non mancano nemmeno nella nostra provincia. Per esempio, avremmo già l’adesione del Mabellini, e non sarebbe difficile aver quella del Vernarecci e di altri, che si potrebbero interpellare. Ma prima vorrei sapere se Ella sarebbe disposta ad assumere la direzione del periodico, o, per lo meno, a collaborarvi e dargli il suo appoggio, con l’autorità del nome e con gli scritti. Non le faccia meraviglia la fretta mia per una cosa della quale avrei anche potuto parlarne al suo ritorno; ma ho preferito scrivergliene subito, poiché, vista la buona disposizione di Montanari, che di questo tentativo farebbe tutte le spese, ho voluto batter il ferro mentr’è 21 caldo.”33 E così, il primo numero della rivista uscì, come previsto, nel gennaio del 1901, al prezzo di L.1 per un fascicolo separato, mentre l’abbonamento annuale costava L.5. Veniva edita a Fano dalla Tipografia A. Montanari e ne era direttore lo stesso Grimaldi, con il quale, come risulta dal frontespizio, collaborarono: G. C. Abba, Anselmo Anselmi, Oreste Antognoni, Enrico Bottini Massa, Giuseppe Castellani, Alighiero Castelli, Zina Centa Tartarini (Psiche), Ivo Ciavarini Doni, Giovanni Crocioni, Gaetano Gigli, Riccardo Grassetti, Adolfo Mabellini, Ruggero Mariotti, Enrico Mestica, Medardo Morici, Giovanni Pischedda (Gian Raffaellini), Luigi Provasi, Giuseppe Radiciotti, Cesare Selvelli, Augusto Vernarecci. Evidentemente Grimaldi era riuscito nel suo scopo: coinvolgere Selvelli, Mariotti e tanti altri studiosi della regione! E i seguito i collaboratori andarono via via aumentando: “Il Grimaldi ebbe il merito … di raccogliere intorno a sé una schiera di studiosi, animandoli alle ricerche e preservandoli dalle infatuazioni del campanilismo. Perché egli concepì la rassegna regionale con spirito perfettamente italiano”34. Questo “intendimento regionale e nazionale” è espresso fin dalle prime righe dell’annuncio “Ai lettori” del gennaio 1901: “Questo periodico, che vede oggi per la prima volta la luce, si propone un intendimento regionale e nazionale a un tempo: d’illustrare cioè con documenti, monografie e articoli la vita delle Marche, ne’ vari tempi e nelle varie e molteplici manifestazioni, mirando a preparare buona materia per la storia della nostra regione, e a fornire insieme un contributo alla storia d’Italia. Non ostante l’opera attiva e sagace della benemerita Deputazione di storia patria per le province delle Marche, la nostra regione è ancora poco nota, anzi poco esplorata. Eppure merita di essere meglio studiata e apprezzata questa terra, che per amenità di paesaggio, per importanza di fatti storici, per ricchezza di monumenti, per il patriottismo de’ suoi figli, per eccellenza di uomini illustri nella politica, nelle lettere e nelle arti non è inferiore ad alcuna altra d’Italia. Noi pertanto ci volgiamo a quanti, preposti ad Archivi e Biblioteche, eruditi, letterati, artisti, hanno notizie, documenti, idee da comunicare, da illustrare, da esporre. E così con l’ajuto di tutt’i buoni, ci sorride la speranza che non riuscirà vana l’opera, a cui ci poniamo con la fiducia di accrescere stima e decoro alle nostre care Marche”35. Grimaldi avrebbe ribadito più volte tale lacunosità degli studi marchigiani, come nel fasc. 1-2 del 1909: “Qualche tempo addietro, un tale di Macerata, nell’annunziare una sua pubblicazione storica, affermava solennemente esser venuta l’ora di farla questa benedetta storia della nostra regione, senz’altro bisogno di cercarne e prepararne le fonti; perché, diceva, il materiale ad essa necessario si può considerare come tutto pubblicato, e, almeno nella massima parte, ormai noto agli studiosi. Già: i nostri archivi notarili e capitolari sono tuttora, salvo rare eccezioni, si può dire inesplorati; troppo incompleta è la conoscenza di quelli comunali, di cui molti sempre in attesa o in via di riordinamento; ben poche le città nostre che abbiano a stampa i loro statuti più antichi, sebbene ce ne siano, o interi o frammentari, anche dei secoli XIII e XIV; si contano sulle dita d’una mano quelle che possiedono a stampa il più notevole peculio delle loro carte diplomatiche, e tali, spesso, da non escludere la necessità di una ripubblicazione più accurata e sicura …”. Nelle ultime pagine di ogni numero, dopo gli articoli dei diver22 si studiosi, erano previste rubriche che nel tempo furono variamente intitolate: “Per gli studiosi di cose marchigiane”, “Varietà”, “Notizie”, “Dalle Riviste”, “Libri e opuscoli ricevuti in dono”, “Annunzi bibliografici”; questi ultimi erano corredati da recensioni, molte delle quali scritte dallo stesso Grimaldi, che esprimeva in modo diretto e sincero o parole di lode o giudizi critici piuttosto severi e graffianti. Fin dai primi mesi, la rivista dovette affrontare problemi economici, nonostante l’ardore e l’impegno di Grimaldi, che se ne lamentò, con toni sempre più accesi, sulle pagine del periodico. Ad aprile, rivolgendosi agli abbonati, scrisse bonariamente: “… Nella fiducia di far così opera grata a molti studiosi, ci auguriamo ch’essi vogliano conservarci la benevolenza e l’appoggio di cui ci furono fin qui cortesi, e che c’incoraggino a perseverare procurandocene i mezzi, poiché non de solo pane vivit homo. E’ per questo che, rivolgendoci di nuovo a quanti ritennero fino ad ora le copie del periodico ad essi inviate, li preghiamo caldamente di mettersi in regola con l’Amministrazione, che li considera come abbonati”. Le difficoltà venivano anche dai rapporti con la tipografia, come Grimaldi scrisse tristemente in una lettera inviata a Giulio Natali il 25 gennaio 1901: “Le Marche non sono morte ma hanno corso un pericolo serio per motivo della fenomenale trascuratezza del tipografo”; poi, ancora, il 2 febbraio 1904 ribadì all’amico che “a causa dell’indolenza dell’editore Le Marche sono di nuovo in ritardo” e il 23 aprile 1906: “Le Marche attraversano un brutto periodo per i continui ritardi e per la scarsità di fondi, in questi giorni mi sono assunto l’onere a mio spese”36. Sempre a proposito delle difficoltà finanziarie, quel caldo invito rivolto agli abbonati già nel mese di giugno 1901 era diventato una minaccia: “Sospenderemo l’invio de “Le Marche” a quelli che, malgrado i nostri ripetuti inviti, non ci hanno ancora inviato l’importo d’abbonamento, dopo aver tacitamente aderito, con il ritenersi fin qui il periodico; e ne stamperemo i nomi”. Subito dopo, però, Grimaldi cercava di invogliare i lettori con un “dono agli abbonati”: pensò di pubblicare una serie di ritratti di “valentuomini che con l’ingegno e l’indefesso lavoro illustrarono ed illustrano questa nostra cara regione”; il primo di questi fu il marchese cavalier Ciro Antaldi di Pesaro. L’anno seguente, nel numero di maggio-agosto, anche l’editore Montanari, che era inoltre l’amministratore della rivista, sottolineava come fossero “pochini” quelli che, avendo già inviato l’importo dell’abbonamento per l’anno in corso, avevano avuto diritto al premio, che consisteva nel ritratto del generale Rodolfo di Montevecchio, caduto in Crimea nel 1855: era una fotografia su cartoncino di cm. 70x50. Anche questa iniziativa, però, non valse i frutti sperati ed infatti fu presto interrotta. L’editore già in precedenza, nelle ultime dispense del 1901, si era rivolto in modo deciso e diretto agli abbonati: “Molti strillano perché la Rivista non esce puntualmente ed hanno ragione; ma io non ho torto: difatti, quando il mio chiar.mo amico Sig. Prof. Dott. Giulio Grimaldi mi propose la pubblicazione a mie spese di una Rivista mensile per illustrare la storia, le arti e le lettere delle nostre Marche, io mi lusingavo non di un lauto guadagno, ma di trovare l’incoraggiamento di tutte le persone colte e amanti della nostra dimenticata regione. Ma, ohimé! Cominciai a spedire 400 copie della prima dispensa … Ebbene, nonostante i miei ripetuti inviti e con avvisi in copertina della Rivista e con brevi circolarine 23 a stampa, e nonostante una cartolina sollecitatoria, solo settanta hanno risposto col pagare l’abbonamento annuale e cinque l’abbonamento semestrale. Fra questi 75 vi sono due biblioteche e tre municipi. Otto abbonati hanno condita la loro adesione con tali improperi e con tali ingiurie da… non parlarne … Così è avvenuto che circa 200 illustri e chiarissimi Signori hanno fino ad oggi tenuta la Rivista, senza tenersi obbligati a respingerla o pagarne l’abbonamento. E va bene. Però da parte mia dichiaro, che, per quanto a malincuore se non avrò l’adesione pura e semplice di centocinquanta abbonamenti per l’anno 1902, io, dopo aver pubblicata la XII dispensa, per soddisfare ai 75 che mi hanno pagato l’abbonamento, tralascerò la pubblicazione de “Le Marche” poiché la gloria di rimettere 400 lire all’anno non è fatta per me”. Oltre al problema economico, Grimaldi ci tenne anche a stigmatizzare il disinteresse e l’invidia rivolti al suo periodico, come puntualizzò in una “nota volante” nell’aprile del 1901: “Mentre – è doloroso il dirlo! – la stampa regionale mostra di disinteressarsi della nostra pubblicazione (l’unica del genere, che, buona o cattiva, esiste oggi nelle Marche), tanto che qualcuno di quei giornali che vanno per la maggiore, non s’è neppure degnato, o l’ha fatto a pena di sfuggita, di darne notizia al suo pubblico, ecco il giudizio che ne leggiamo nel n. 101 de La Nazione di Firenze: “Da Fano ci giungono le due prime dispense di questo nuovo periodico, diretto dal prof. Giulio Grimaldi, coadiuvato da una schiera numerosa di valenti collaboratori. A giudicarlo da questi due saggi, il periodico promette assai bene, e noi, mentre gli auguriamo lunga e prospera vita, consigliamo tutti i cultori degli studi storici ad abbonarsi alla nova, seria e interessantissima rivista”. Che fosse il caso di ripetere il nemo propheta …?”; e poi aggiunge: “Comincia a giungermi fino quassù l’eco di ringhi invidiosi di botoli più o meno sdentati, che, pare, vedano di mal occhio, per chi sa quali reconditi fini, questa pubblicazione. A certi messeri di certi miserabili chiesole, che, a forza di darsi fra loro dei ch.mi e degli ill.mi, hanno forse finito per crederlo, e, gonfiandosi per una nebulosissima fama di persone edotte ed erudite, ch’essi godono tra le ristrette mura paesane, si arrogano quasi … il monopolio degli studi storici; a certi dilettanti da strapazzo, che in ogni compagno di ricerche vedono gelosi un concorrente da respingere, sarebbe forse più dignitoso rispondere solo con la noncuranza e continuare serenamente nel lavoro. Ma poiché a volte non è male dar una lezione a costoro, sia pure a rischio di perdere il ranno famoso, m’è parso di avvertirli prima di ciò che li aspetta, se mai continuassero a seccarmi troppo. E per questa volta – e m’auguro per sempre – punto e basta”. Certamente la rivista vedeva, intanto, anche l’apprezzamento di vari studiosi, come si evince dalla lettera inviata alla rivista da Francesco Budassi e pubblicata nel giugno 1901: “Ho ricevuto le prime quattro dispense del vostro giornale: “Le Marche”. Plaudo alla buonissima iniziativa e mando l’importo del mio abbonamento. Vedo che il giornale prende ottima piega, e mi compiaccio di vedervi frequentemente menzionate le cose di Urbino … E’ però assai doloroso, che in questa illustre e colta città difetti quello spirito di conservazione e di amore delle memorie patrie, che in altri luoghi assume le proporzioni di un vero culto …”. Al termine del primo anno di vita la rivista (che intanto non sempre poté uscire mensilmente e che dal 1902 sarebbe diventata bimestrale), in dicembre Grimaldi si rivolse dalle pagine del periodi24 co “a gli amici”, con un velo di delusione e tristezza: “Quando, or fa un anno, animato dal desiderio di riempire, al meno in parte, un vuoto imperdonabile nella stampa marchigiana, rivolsi un caldo appello a tutte le persone colte delle Marche, perché desse ognuna il proprio contributo alla nascitura rivista, fu un meraviglioso e concorde consenso d’incitamenti e d’auguri, che valse a rendermi più persuaso della bontà e opportunità del tentativo. Pure, in mezzo alle benevole parole di plauso, non mancarono timidi ammonimenti di amici vecchi e nuovi, i quali volevano mettermi in guardia contro la giovanile fiducia di riuscire a dar vita a un periodico di tal genere. L’apatia, lo scetticismo, la noncuranza del pubblico, più o meno letterato, le difficoltà d’ogni specie che avrei incontrato non valsero tuttavia a farmi desistere da un proposito che ritenevo lodevole; e il desiderio divenne realtà. Pur troppo non tutti risposero all’appello: molti non sentirono l’obbligo d’incoraggiare e favorire un’impresa, tentata e ritentata vanamente da altri valorosi, e sempre fallita per l’indifferenza imperdonabile del pubblico istruito. Quasi tutti i municipi hanno negato a “Le Marche” quelle misere cinque lire annue, che certo non avrebbero pesato troppo sul bilancio … Non pertanto io continuerò serenamente, mosso dal pensiero di compiere cosa non inutile e non immeritevole, fiducioso di scuotere la colpevole freddezza degli uni, di conservare l’amichevole ajuto degli altri …”. Intanto l’editore Montanari, nonostante la già citata minaccia, continuò a pubblicare la rivista, finché l’edizione passò, dal maggio 1904, alla Tipografia Artigianelli di Fano. Ad un esame superficiale, agli studiosi de Le Marche sembrò che avesse mantenuto quel che aveva scritto; in realtà di questa nuova tipografia era direttore lo stesso Montanari, che infatti nel numero di marzo-aprile 1902 aveva rivolto la seguente richiesta dalle pagine della rivista: “Quei Signori Abbonati che avessero qualche opuscolo, qualche volume o qualsiasi lavoro da stampare, si rivolgano all’EDITORE A. MONTANARI IN FANO, ché egli può eseguirli a prezzi non mai praticati da alcun tipografo per la loro modicità, essendo attualmente direttore dell’importantissimo Stabilimento Tipografico dell’ Istituto Artigianelli di Fano, ove vengono raccolti tutti gli adolescenti poveri o privi di cure paterne per essere avviati ad un mestiere”. Ma già dal novembre del 1904 l’edizione passò all’Istituto S. Arcangelo Scuola Tipografica di Fano; la notizia, con le motivazioni, fu data sulle pagine della rivista: “… a rimuovere lo sconcio dei ritardi sistematici nell’uscita dei fascicoli, ci siamo decisi ad assumere per nostro conto la stampa di essi, nella fiducia che gli abbonati, da parte loro, rimuoveranno quello, non meno sistematico, del ritardo nel mandare il prezzo d’abbonamento. Pensino i nostri amici e collaboratori che ora soprattutto c’è necessaria quella benevolenza, di cui ci sono stati larghi fino ad oggi e ci ajutino del loro meglio, cominciando dal mettersi in regola con i pagamenti”. Dal 1906 iniziò una nuova serie edita dalla Società Editrice Tipografica Marchigiana di Senigallia; il titolo, parzialmente modificato, era Le Marche. Rivista storica bimestrale. Nel frontespizio, al posto della dicitura “Direttore: Giulio Grimaldi”, è messo l’elenco del comitato redazionale: Anselmo Anselmi (fino al primo fascicolo del 1907: lo studioso morì in quell’anno; solo dal quarto fascicolo del 1909, al suo posto, si aggiunse Cesare Annibaldi), Giovanni Crocioni, Giulio Grimaldi, Gino Luzzatto, Luigi Mancini, Medardo Morici, Giulio Natali, G. Scipione Scipioni, Ernesto Spadolini. Nel25 lo stesso frontespizio erano annotati gli indirizzi utili: la direzione era curata sempre da Giulio Grimaldi, ormai trasferitosi a Pisa, e l’amministrazione da Gino Luzzatto, ugualmente residente a Pisa. Comunque il problema finanziario persisteva, come più volte ebbe a scrivere Grimaldi all’amico Giulio Natali tra il 1906 e il 1907. Questa la situazione fino al 1909. E’ da notare come l’ultimo numero di quell’anno in realtà fu finito di stampare il 19 agosto 1910; tale differimento cronologico spiega quella che poteva altrimenti sembrare una stranezza: in quel fascicolo del 1909 si legge la necrologia di Giulio Grimaldi, che morì il 2 agosto 1910! La rivista riprese vita nel 1911, per una terza serie diretta da un comitato, solo in parte cambiato rispetto a quello precedente: si aggiunsero Bernardino Feliciangeli e Manlio Mariani, mentre non ritroviamo il nome di Ernesto Spadolini. Nel frontespizio Giulio Grimaldi è ricordato solo, ovviamente, come fondatore; per i manoscritti e le stampe, l’indirizzo di riferimento diventò quello del prof. Luigi Mancini di Senigallia, mentre l’amministrazione era ancora del prof. Gino Luzzatto, trasferitosi nel frattempo a Bari. Tale rimase l’organizzazione della rivista fino al suo ultimo anno di vita, il 1912. A livello di contenuti, il periodico all’inizio non sembra avere obiettivi programmatici innovativi e ben definiti, al di là di quel generico “intendimento regionale e nazionale a un tempo” da Grimaldi espresso nella citata prefazione al primo numero de Le Marche. Certamente il periodo storico, con un’unità d’Italia ottenuta da pochi decenni e quindi ancore da costruire, fa ben comprendere la necessità di approfondire le tematiche di una regione poco nota e poco studiata, unitamente alla volontà di contribuire al processo di unificazione nazionale, non limitandosi al microcosmo regionale. D’altra parte, ricordiamo come la rivista viva in un periodo di grandi fermenti culturali, caratterizzati da una mescolanza di tradizione e innovazione. Inoltre, in un territorio ancora prevalentemente rurale, gli studiosi locali iniziavano ad allontanarsi da una concezione storica che privilegiava personaggi illustri e lotte dinastiche; diversi articoli, nella rivista, sono infatti riferibili alla vita del popolo, che siano contadini, artigiani o marinai. Altro obiettivo programmatico messo in luce ne Le Marche era quello di affrontare lo studio della storia, basandosi sugli aspetti sociali, economici e giuridici, considerati imprescindibili per la comprensione del passato. In particolare, dagli archivi dei diversi Comuni vennero riportati alla luce anche quei documenti che testimoniavano la vita commerciale della regione, i suoi rapporti storici con altri centri della penisola.37 Dunque, una rivista che dava spazio a saggi che, pur di argomento riguardante il passato, sapevano far proprie le tendenze più attuali, come sottolineato da Paolo Giannotti: “Nuovi problemi, nuove istanze, nuovi conflitti erano venuti a scuotere la secolare immobilità di queste zone. Il socialismo, le prime iniziative delle leghe contadine, le prime lotte mezzadrili, la rivendicazione più sentita dell’autonomia comunale sono le manifestazioni che orientano e attirano la curiosità intellettuale di questi giovani studiosi. La rivista coglie appieno queste tensioni e fermenti e li assume come punto di partenza di una nuova ricerca storica, di un più concreto e alto lavoro storiografico, di una più moderna e precisa visione del passato della regione”38. 26 Note 1 Giovanni Crocioni, La poesia dialettale marchigiana, Fabriano 1934, vol. I, pag. 106 2 Abbiamo notizia da A. Montanari, in Le Marche, anno V, pag. 356, che Blandimiro Grimaldi “per distrarre la noia del meritato riposo (dice lui) s’adatta a fare il consigliere comunale” fino al 1914, anno della sua morte. 3 Nell’Archivio della scuola sono testimoniate anche le presenze dei fratelli Arturo (nato nel 1869) ed Ercole (nato nel 1876); Arturo in seguitò si laureò in Medicina e Chirurgia nella R. Università di Bologna ed iniziò la sua carriera come medico–chirurgo a S. Lorenzo in Campo, per poi diventare chirurgo primario e direttore dell’Ospedale di Pergola; la carriera del Dott. Cav. Arturo Grimaldi in seguito continuò a Roma. 4 Nella prefazione al libro di Giulio Grimaldi Poesie postume, Fano 1939. 5 Come il protagonista del suo racconto Messa novella, che si chiama Giulio ed è in modo evidente un suo autoritratto, egli “era d’una vivacità e d’un fuoco straordinario”. 6 Commemorazione di Giulio Grimaldi, tenuta al Teatro Verdi in Pisa l’8 gennaio 1911 a cura della Sezione pisana della “Federazione Nazionale fra gli Insegnanti delle Scuole Medie” e pubblicata il 2 agosto 1911. 7 G. Natali, op. citata. 8 La cosa è sottolineata dallo stesso Grimaldi in modo ironico negli ultimi tre sonetti della raccolta di poesie Brod e àcin, in cui una donna di servizio spettegola sulle ristrettezze economiche della famiglia di un professore. 9 Biblioteca Federiciana di Fano, Mss Federici, 273. 10 G. Natali, op. citata. 11 Dalla raccolta Brod e àcin; ricordiamo che a Fano erano chiamati “capucìn” i monarchici. 12 Su Il Telegrafo, Livorno, 6 agosto 1910. 13 In Commemorazione di Giulio Grimaldi, op. citata, pag. 28. 14 Su queste speranze aveva scritto a Riccardo Grassetti, come è riferito dallo stesso in L’Ordine, Corriere delle Marche, Ancona, 4-5 agosto 1910. 15 Tali articoli sono raccolti in Giulio Grimaldi 1873-1910. Necrologie,Pisa, 1910. 27 16 Nella raccolta di articoli citata, sono riportati con dovizia di particolari i fatti e le testimonianze dei presenti. Si possono leggere anche le lettere che i giorni seguenti hanno inviato a Il giornale d’Italia di Roma il fratello di Giulio, Arturo, e la sorella Maria, che sottolineavano come la morte fosse dovuta non ad imperizia ed incoscienza del congiunto, ma alla “vigliaccheria” delle persone che avrebbero dovuto e potuto salvarlo. La sorella così terminava la sua lettera: “Quindi, non per fatalità di destino, ma per mancanza d’ogni aiuto, la bella ed operosa intelligenza del Grimaldi si spense … Povero Giulio, che tanto amavi il mare e che tanto entusiasticamente avevi scritto del nobile e generoso cuore dei marinai!” 17 Ad Urbino fu anche aperta una sottoscrizione per inviare aiuti alla moglie, rimasta sola con quattro bambini piccoli. 18 Gino Luzzatto, in Commemorazione di Giulio Grimaldi, op. citata, pag. 11. 19 Giulio Grimaldi. 1873-1910, op. citata. 20 Aldo Deli, “Disiecta” grimaldiana, in Nuovi studi fanesi 1994, pag. 105. 21 Giulio Grimaldi, introduzione ad Asfodèli, Roma 1892. 22 Giulio Natali, op. citata, pag. 24. 23 In Commemorazione di Giulio Grimaldi, op. citata. 24 In quell’occasione Grimaldi lesse alcuni suoi sonetti in vernacolo. Alla stessa mostra partecipò anche il pesarese Odoardo Giansanti, conosciuto come Pasqualon, sul quale Grimaldi nel 1893 aveva tenuto una conferenza mirata a dare dignità alle opere in dialetto. 25 Queste novelle sono state recentemente pubblicate in un volume a cura di M. Fabrizi: Grimaldi, “Novelle rare e inedite”, Metauro, Pesaro 2004. 26 Vari sono gli interventi critici degli studiosi riguardo al romanzo di Grimaldi. Recentemente una ristampa anastatica dell’opera è stata curata da Dante Piermattei: Giulio Grimaldi, “Maria Risorta”, Fano, 1995. 27 Giulio Natali, op. citata, pag. 28. 28 Giulio Grimaldi, Pescatori dell’Adriatico, in I pescatori dell’Adriatico nel ‘900, a cura di Dante Piermattei, Fano, 1996, pag. 42. 29 L’Esposizione Marchigiana, Macerata, 1905, n.19. Si tratta della rivista collegata alla prima Esposizione regionale di Macerata e diretta dal dott. Domenico Spadoni. Il citato articolo è corredato da sei illustrazioni della città: la Rocca Malatestiana, l’Arco d’Augusto, S. Michele, piazza XX Settembre, la Corte Malatestiana e gli Stabilimenti bagni. Sulla rocca scrisse anche in Rocche marchigiane, nell’ Almanacco Italiano 1908, Firenze. 30 Le Marche, fasc. V e VI, 1902. 28 31 Il Fanfulla della Domenica, Roma, 14 agosto 1910. 32 Archivio Biblioteca Federiciana di Fano, Mss. Federici, 273. 33 Archivio Biblioteca Federiciana di Fano, Mss. Mariotti, 73. 34 G. Natali, op. citata, pag. 18. 35 Vari furono gli interventi di Grimaldi rivolti ai lettori nel primo anno di vita della rivista, poi andarono scemando, finché rimase solo la sua voce da studioso. 36 Questi scritti fanno parte del “Carteggio Natali”, presente alla Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele” di Roma, con segnatura A.R.C. 7. Tra le 11.737 lettere pervenute alla Biblioteca per dono degli eredi di Natali, nella scatola XLVIII si trovano le 52 lettere autografe scritte da Grimaldi a Giulio Natali tra il 27 febbraio 1901 e il 9 luglio 1910. Uno studio di queste è stato fatto da Katiuscia Mazzanti per la sua tesi di laurea Inventario delle carte di Giulio Grimaldi, Università degli studi di Urbino, a.a. 2002-2003. 37 Di tali linee di tendenza si possono trovare vari esempi riguardanti la città di Fano nella parte antologica di seguito riportata in copia anastatica. 38 Giulio Grimaldi e la cultura marchigiana del primo ‘900, a cura di Marco Ferri, Quattroventi, Fano, 1991, pag. 98. 29