martedì 6 dicembre 2005 ‘‘ ‘‘ ‘‘ ‘‘ Viene da una famiglia nella quale è sempre stata importante l’espressione artistica. E infatti ama anche la musica... Un’altra sua passione è costituita dai viaggi. In questa intervista parla di alcuni di essi. E adora in modo particolare la Francia A colloquio con Sara Merlino, la quale ha appena inaugurato “Evvivanoé”, il suo spazio espositivo a Cherasco «L’arte? Per me, una missione» Sara Merlino con il fidanzato Francesco Rasero all’inaugurazione della galleria “Evvivanoé”, tenutasi sabato scorso. Lo spazio dedicato all’arte contemporanea è visitabile a Cherasco, in via Vittorio Emanuele 56. P er restare in ambito artistico iniziamo subito dicendo che Sara è il ritratto della dolcezza. Il suo animo sensibile si coglie appena la si sente parlare di pittura, viaggi e musica. E della sua galleria d’arte: un’avventura iniziata sabato 4 marzo con l’inaugurazione dei locali espositivi situati nel centro storico medievale di Cherasco sotto i portici di via Vittorio Emanuele. Come dice il vecchio detto, forse è proprio vero che la mela non cade mai lontano dall’albero e Sara, che arriva da una famiglia di artisti, questa passione ce l’ha nel sangue. Parlami dei tuoi trascorsi scolastici. Da piccola avevi già la passione per l’arte? «Sin da bambina ero bravissima a disegnare. Disegnavo in continuazione. I miei nonni materni dipingono per hobby nel tempo libero. Dopo la scuola media avrei voluto iscrivermi al Liceo artistico, ma sia i professori che i genitori me lo sconsigliarono facendomi optare per il Classico. Se potessi tornare in dietro nel tempo forse seguirei il mio istinto, perché il periodo delle superiori è stato molto duro: bisognava studiare tantissimo e, nel mio caso, per di più materie che non amavo particolarmente, costringendomi ad accantonare le mie vere passioni. Il lato innegabilmente positivo del Liceo classico è stato la grande apertura mentale trasmessami, la profonda cultura umanistica e l’amore che mi ha fatto scoprire per la filosofia». Dopo le superiori ti sei iscritta all’Università? «Sì, ma il mio è stato un percorso travagliato. Inizialmente mi iscrissi alla Facoltà di architettura di Torino, prendendo l’indirizzo di conservazione dei beni architettonici e ambientali. Mai scelta fu meno azzeccata: credevo che avrei anche studiato materie inerenti al restauro e alla conservazione di dipinti e sculture, invece si parlava unicamente delle grandi opere architettoniche. Frequentai e detti alcuni esami del primo anno. Poi decisi di cambiare scegliendo lettere con indirizzo artistico (percorso di laurea che, a Torino, dopo la riforma, prese il nome di scienze dei beni culturali, ndr). Finalmente trovai la mia dimensione. Adesso devo solamente completare la stesura della tesi per ottenere il diploma di laurea triennale». Intendi proseguire gli studi e completare con i due anni di specializzazione? «Sì, però vorrei farlo in parallelo con il lavoro, anche perché la specializzazione a Torino è in via di sperimentazione e non è neppure molto ben chiaro come vorranno condurla nei prossimi anni». Mi hai detto che ami moltissimo viaggiare. «Il viaggio è arricchimento, scoperta. Dall’età di 18 anni ho iniziato a viaggiare con gli amici e con il mio ragazzo. Viaggi in treno, in giro per tutta Europa tra campeggi e ostelli della gioventù. Amo l’arte in generale, ma all’università mi sono dedicata soprattutto al periodo medievale e l’Europa è piena di opere di questo periodo». Come mai proprio l’arte medievale? Cosa ti affascina? «Tutta la produzione pittorica del medioevo viene spesso vista come cupa, caratterizzata da colori scuri e lugubri. In realtà non è così, nel senso che i dipinti medievali appaiono scuri oggi, ma un tempo i colori erano vivi e luminosi. Il fatto è che, a quel tempo, i colori venivano fatti a mano, partendo da una mistura di polveri derivate da pietre preziose e altri elementi naturali. Con il tempo e con il contatto dell’aria i colori si sono ossidati e deteriorati, scurendosi. Ciò che mi affascina di più sta proprio nello studio del lavoro di preparazione degli artisti prima di eseguire l’opera. Nel medioevo i pittori dovevano creare tutto: dalla tela ai colori, persino i pennelli li costruivano loro. Osservando meglio i quadri si scoprono dettagli meravigliosi che fanno capire come a quel tempo gli artisti fossero anche artigiani: le foglie naturali imbevute nell’oro poste sulla tela, le pietre preziose incastonate... Insomma... lo trovo un periodo magico». C’è qualche Paese, in particolare, che ti è piaciuto più di altri? «Veramente sono diversi. La Francia innanzi tutto. L’ho visitata in lungo e in largo, dalla Normandia alla Camargue: ogni regione ha caratteristiche singolari e i francesi hanno il merito di saper valorizzare e custodire i loro tesori artistici, dai palazzi più sfarzosi ai paesini di campagna meno noti che rivelano sempre scorci meravigliosi, come piccoli quadri d’autore. Ho visitato anche molti Paesi dell’est Europa. Di quelle terre amo la semplicità e lo spirito accogliente della gente comune. Sembra di tornare in dietro di cinquant’anni: si lasciano case e macchine aperte e l’autostop, vista la penuria di mezzi di trasporto pubblici, è considerato un normale Sara Merlino si laureerà in autunno in lettere (indirizzo artistico). metodo per spostarsi da una città all’altra. Inoltre, dal punto di vista artistico, si nascondono perle di rara bellezza: in Romania ho visto monasteri medievali perfettamente conservati con le pareti esterne completamente affrescate da racconti biblici. Le opere vengono conservate dal restauro sapiente dei monaci che, grazie alle offerte di fedeli e turisti, custodiscono il monumento. In Slovacchia, invece, esiste un vero e proprio circuito di chiese realizzate totalmente in legno. Di fronte a ogni chiesa si trova un opuscolo fotocopiato con l’indirizzo della donna che detiene la chiave d’ingresso: così tocca fare una specie di caccia al tesoro al fine di scovare la casa a cui bussare per visitare il monumento. Queste signore vengono preposte alla pulizia delle chiese e un giorno a settimana i portoni sono aperti al pubblico per celebrare le funzioni. In Polonia mi ha molto colpito la visita a Cracovia. La città è decadente, priva di colori, vinta da un grigio apatico. Il ghetto ebraico è lì immutato dal 1945, come un immenso monumento a cielo aperto alla memoria, con i suoi palazzi oltraggiati e feriti da bombe e pallottole. Ma Cracovia è anche musica. Ovunque per le strade si respira la loro spiccata cultura musicale ed esiste un grande e rinomato conservatorio nella città». Ti piace la musica, Sara? «Diciamo che la musica è un’altra mia vocazione artistica. In famiglia praticamente tutti suonano: mio papà la chitarra, mia mamma il piano, mia sorella il flauto e mio nonno la batteria. Durante le scuole medie ho studiato pianoforte con mia mamma che teneva lezioni a casa anche per altri ragazzi. Verso la terza superiore ho smesso e mi sono appassionata a un altro strumento: il violino. Il perché non mi è del tutto chiaro. Forse si può ricondurre al fatto che, sin da quando ero piccola, mia madre faceva suonare e risuonare per casa dischi di musica classica. Ricordo bene quanto mi piacesse il suono dei violini e poi credo che ciò che respiriamo in continuazione dentro casa ci venga in qualche modo naturalmente trasmesso o, quanto meno, faccia emergere le nostre inclinazioni. Il violino l’ho studiato per circa cinque anni e rimane una di quelle cose che, terminata l’università, mi piacerebbe riprendere». Parliamo della tua galleria d’arte. Com’è nata l’idea? «Ho sempre desiderato lavorare in ambito artistico. A Torino mi è capitato di lavorare in alcune manifestazioni pittoriche come Artisti, esposizione di pittori emergenti e affermati che il capoluogo provinciale allestisce ogni anno. In queste occasioni sono venuta in contatto con diversi artisti e ho iniziato a fare delle considerazioni. Innanzi tutto ho pensato che uno spazio espositivo di riferimento per l’arte contemporanea nella zona braidese non esisteva e che si trattava una grave mancanza nel panorama artistico e culturale locale. Inoltre volevo offrire uno spazio espositivo per tutti i gran- 3 LA CARTA D’IDENTITÀ ■ DATI ANAGRAFICI Sara Merlino nasce a Bra il 5 maggio 1979 da papà Roberto, impiegato alla Miroglio, e mamma Patrizia Canavero, sarta. Ha una sorella di 21 anni, Pamela. Sara è fidanzata con Francesco Rasero da sei anni e il 17 giugno prossimo convoleranno a nozze. ■ STUDI E PROFESSIONE Sara frequenta le scuole dell’obbligo braidesi e si diploma al Liceo classico. Si iscrive alla Facoltà di architettura di Torino, ma dopo un anno si iscrive a lettere, scegliendo l’indirizzo artistico. È la sua strada: in autunno si laureerà e pensa già di continuare il percorso di studi universitari frequentando i due anni di specializzazione. Dopo aver lavorato a Torino per alcuni eventi ed esposizioni artistiche, ha deciso di aprire una sua galleria d’arte moderna a Cherasco. ● di artisti contemporanei italiani, ma anche stranieri, le cui opere meritano visibilità e il plauso del pubblico». A che tipo di pubblico si rivolge la galleria? «Questo è un concetto importante per me: l’arte dev’essere fruibile da tutti. Esistono, purtroppo, convinzioni popolari sbagliate su chi sia adatto ad apprezzare e comprendere l’arte. L’arte non ha bisogno di essere analizzata e studiata, per essere capita. L’uomo disegna dal tempo delle caverne per esprimere la sua interiorità: arte è ciò che colpisce la nostra anima e riesce a rapire allo stesso modo l’occhio di un contadino come quello di un letterato. L’arte è sensazione. Certo io sarò lì per spiegare le opere, poiché a volte dietro a quadri apparentemente semplici si nasconde una tecnica pittorica strepitosa, piuttosto che un tormento spirituale interiore dell’artista che, senza conoscere le sue emozioni al momento della realizzazione, non si possono cogliere». Com’è strutturato lo spazio espositivo? «Si tratta di circa 40 metri quadrati, divisi in due aree. L’area anteriore, caratterizzata dalla presenza di un muro di oltre dieci metri d’origine medievale, più volte rimaneggiato nei secoli durante le vicissitudini storiche cheraschesi e oggi sapientemente recuperato, sarà dedicata alle esposizioni principali. L’area retrostante sarà utilizzata per esporre, ma anche come laboratorio e magazzino. Il pavimento della galleria è in legno dipinto di bianco: mi sono ispirata ad alcune case olandesi dove ho spesso trovato pavimenti in legno dipinti e ho scelto il bianco per creare, con il bianco dei muri, un ambiente uniforme. Lo spazio vuole innanzitutto essere accogliente, informale, avvolgente: voglio che la gente si senta a casa ogni volta che entra nella galleria!». Quanti artisti esponi? «Per ora sono otto, tutti rappresentanti della pittura figurativa: due stranieri e sei italiani. Mile Davidovic, serbo, è un naif che dipinge ad olio su vetro: la tecnica è originale e complessa, da vedere. Chistian Choisy, francese, propone una pittura molto materica, utilizza la spatola e colori chiari. Piero Rasero (padre del fidanzato di Sara, ndr), piemontese, espone quadri paesaggistici. Silvia Bertola realizza grandi fiori su più tele unite che abbina a oggetti d’arredamento, anch’essi dipinti. Ruggero Marrani è un futurista e dipinge con una tecnica chiamata “aeroscultura”: crea altorilievi in terracotta e ceramica su base di tela grezza o legno raffiguranti vedute panoramiche dall’alto di città. Penelope torna ora da un’esposizione a Parigi ed è un’antiquaria tessile: realizza tele con tecnica a collage, utilizzando stralci di stoffe antiche, creando opere che narrano vicende di grandi opere letterarie. Rodolfo Allasia dipinge soggetti ingigantiti: mucche, verdure, temi della natura. Pier Flavio Gallina, di La Morra, utilizza tecniche miste per realizzare paesaggi della Langa». Per la galleria hai scelto un nome bizzarro: Evvivanoé. Ha un significato? «Volevo un nome che la legasse al territorio. Evvivanoé è un antico grido beneaugurale utilizzato un tempo dai cheraschesi alla fine della vendemmia, come sorta di “benedizione” data da Noè per garantire un ottima annata di vini. In seguito lo si utilizzò come generico scambio di augurio tra i cittadini al momento della stretta di mano. È una chicca che ho scoperto leggendo il libro Tra le mura stellate di Gina Lagorio che raccoglie racconti romanzati di antiche usanze cheraschesi». Chiara Canavero