XXVII domenica del Tempo Ordinario
Lc 17,5-10
Potreste dire a questo gelso: “Sràdicati
e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe
A
vere fede è avere tutto, è non temere nulla, è agire in base a
credenze indubbie e infallibili. Avere fede è sentirsi le spalle protette, è camminare nel buio sapendo che una luce, invisibile ai più,
ci guida nel cammino, è guardare alla vita e alla morte in modo
sempre risoluto e fiducioso. Avere fede è sapere in anticipo che tutto
ha un senso, è aspettare con fiducia la vittoria e la realizzazione delle
promesse dei libri sacri, è testimoniare nella propria vita che l’impossibile è possibile. Sono tutte belle queste definizioni di “fede”,
ma non ci aiutano molto perché non ci danno della fede una visione
univoca, bensì plurale e soggettiva. Ognuno infatti le può interpretare a suo modo e, se ci si fosse data l’opportunità di commentarle,
senza dubbio ascolteremmo attuazioni pratiche antitetiche e discordanti. Ma allora cosa vuol dire esattamente avere fede?. Credo che
bisognerebbe, prima di rispondere a questa domanda, accordarci in
modo da non usare questa parola così importante in modo ambiguo
e ambivalente.
I termini “Dio” e “la fede” sono, certo, parole attraenti e seducenti e sono assai presenti nel linguaggio comune, ma, quando vengono citate, non ci danno l’opportunità di fare chiarezza sul loro
profondo significato, perché, per lo più, vengono recepite come un
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sostegno e un supporto alla propria visione religiosa o al proprio
credo. Ad esempio si sente non infrequentemente citare una espressione di Dostoevskij che non ho mai assolutamente condiviso: “Senza
Dio non c’ è morale”. Nessuno, però, aggiunge di quale Dio si tratta.
Perché non c’è bisogno di essere esperti in storia delle religioni per
comprendere che il Dio dei mussulmani ha una visione etica differente dal quella del Dio dei cristiani e che anche il Dio del Qoelet
differisce nelle sue richieste morali dal Dio che è alla base dei vangeli
sinottici. Senza quale Dio non c’è morale? Senza il mio o senza il
tuo? Senza quello degli occidentali o senza quello degli orientali? E
potremmo continuare così all’infinito.
Molti interpretano a frase di Dostoevskij in modo fondamentalista, come se l’uomo che non crede in un Dio rivelato non possa
comportarsi in modo morale. Per loro chi non si fida di Dio manca
necessariamente di una base etica rassicurante e confortante sulla
bontà delle scelte compiute. A queste persone consiglierei di studiare
la storia e di verificare quante volte in nome del Dio rivelato, conosciuto e dogmatizzato si sono compiuti orrendi misfatti e crudeli
delitti e di guardarsi attorno e accorgersi di quante persone, insieme
non credenti e oneste, incontriamo sul nostro cammino. Esse hanno
come guida la loro coscienza morale che reputano e inviolabile e
sacra. Del resto ,dilettandomi di storia, mi è successo spesso di
imbattermi persino in santi che, pur dichiarati tali dalla Chiesa, si
sono resi rei di torture efferate e di supplizi atroci, inducendo altri
ad uccidere senza pietà l’eretico e lo scismatico e giustificando tutto
in nome della fede che difendevano e della purezza del dogma che
promuovevano. Per fortuna non infrequentemente mi sono anche
imbattuto in persone agnostiche e atee che affermavano con determinazione che preferivano essere uccise che uccidere.
Quando noi chiediamo come gli apostoli “Accresci in noi la fede!,
sappiamo che non chiediamo di accrescere la fede che ci ha insegnato la nonna o che ci ha tramandato l’ora di religione, ma solo
quella del Padre nostro che, in Luca, prima di tutto ci chiede di
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“santificare il suo nome e di far venire il suo regno”. Non chiediamo a
Dio di fare il pieno della fede di certi opuscoli mirabolanti che invitano a mandare soldi per veder realizzate le proprie preghiere, ma di
“perdonare a noi i nostri peccati, come anche noi perdoniamo a ogni
nostro debitore”. Vedo queste seconde richieste più vicine alla fede di
Gesù che le prima.
Basterebbe avere “quanto un granello di senape” di questa fede per
poter vedere attorno a noi crescere e svilupparsi cose strabilianti e
iperboliche come “dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel
mare”, ed esso vi obbedirebbe”. Il mondo aspetta me, attende te, spera
in noi. Si augura che abbiamo fede per aiutarlo a risorgere e a raggiungere le mete che gli orizzonti di Dio gli prospettano quotidianamente. Diversamente non potremo neppure essere definiti “servi
inutili”, ma dannosi, perché non “abbiamo fatto quanto dovevamo
fare”. Se “ci vergogneremo della testimonianza da rendere al Signore
nostro” non “custodiremo il buon deposito con l’aiuto dello spirito Santo
che abita in noi” e vergognosamente dovremmo ammettere che “non
abbiamo fatto tutto quello che ci era stato ordinato”
Se è vero che “il giusto vive di fede”,come ci ripete Abacucuc, è
anche vero che l’uomo di fede vive di giustizia. Non dovremmo mai
dimenticarlo. Perché aver fede nel Dio di Gesù significa credere alla
sua promessa che “i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre
mio” (Mt 13,43) e che “ ciò che esce dalla bocca rende impuro l’uomo.
Dal cuore infatti provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono
impuro l’uomo; ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende impuro
l’uomo” (Mt 15, 18-20). Avere fede in Gesù significa invece vivere
da “servi” che riconoscono di avere ricevuto il dono e la grazia di
conoscere e servire suo Padre e che, con questa speranza, attendono
l’eternità per avere il tempo di ringraziarlo e di benedirlo.
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Il Vangelo secondo
un anonimo di Baltimora
“P
rocedi con calma tra il frastuono e la fretta e ricorda quale
pace possa esservi nel silenzio.
Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti
con tutti.
Esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri
pur se noiosi e incolti: hanno anch’essi una loro storia.
Evita le persone volgari e prepotenti: costituiscono un tormento
per lo spirito.
Se insisti nel confrontarti con gli altri, rischi di diventare borioso
e amaro, perché sempre esisteranno individui( migliori e peggiori
dite. Godi dei tuoi successi e anche dei tuoi progetti.
Mantieni interesse per la tua professione, benché umile essa costituisce un vero patrimonio nella mutevole fortuna del tempo. Usa
prudenza nei tuoi affari perché il mondo è pieno d’inganno, ma
questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù: molti sono coloro
che perseguono alti ideali e dovunque la vita è colma di eroismo. Sii
te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non ostentare cinismo verso l’amore, perché, pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità, esso resta perenne come il sempreverde”.
Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare
Mi hai dato la sensibilità e la bontà, Signore,
ed ho cercato di intuire i bisogni degli altri,
senza soccombere per aver trascurato me stesso.
Mi hai dato l’amore per la riflessione, Signore,
ed ho cercato di comprendere la molteplicità della vita,
raccogliendo i contributi degli uomini saggi.
Mi hai dato la fantasia e la creatività, Signore,
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ed ho cercato di sviluppare la bellezza
delle immagini, delle parole, delle storie,
costruendo sintesi nuove ed originali,
da offrire ad un mondo che cammina veloce.
Mi hai dato l’amore per la musica, Signore,
ed ho sviluppato il gusto per le armonie ed i suoni,
per servire la gioia e la delicatezza
di cui gli uomini hanno bisogno.
Mi hai dato l’intelligenza e la logica,
per destreggiarmi tra i numeri e le regole,
per svolgere un compito con precisione e intuitività.
Mi hai dato un fisico longilineo ed elastico,
per conservare la salute e mettermi a disposizione
di chi sta crescendo o ha smarrito la sua mobilità.
Mi hai dato la profondità e il desiderio di chiedermi di più,
affinché la mia coscienza fosse un baluardo ai mali peggiori,
la mia testimonianza fosse autentica ed incisiva.
Mi hai dato la sofferenza e le delusioni,
affinché fossi in grado di comprendere quelle degli altri,
il mio orgoglio si fermasse all’obiettività
e riconoscessi il bisogno di essere salvato.
Mi hai dato tanto ed io ho fatto ciò che sono riuscito a fare,
anche se non è tutto quello che avrei potuto fare.
Io spero che sia quanto dovevo fare,
tuo servo non indispensabile, ma, come tutti, utile.
Caro don Guido,
sai che sono sempre stato parco di complimenti, soprattutto alle persone più adulte. Da adolescente avevo un target molto alto, quindi
ce ne voleva perché un individuo mi colpisse così tanto da lasciarmi
andare ad una battuta in cui riconoscevo tutta la mia stima. Inoltre avevo sofferto tanto che qualcuno mi desse del “violino”, cioè
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colui che fila i potenti con complimenti non sinceri per ottenere dei
favori.
Tu però ce l’avevi fatta: eri pieno di sorprese ed avevi un carisma che trascinava chiunque. Tu eri diretto e vero, non potevo avere
alcun timore. Non ricordo ciò che ti dissi, ma mi rimase impressa
la tua risposta. Citasti esclusivamente il Vangelo: Lc 17,10. Forse fu
la prima risposta che ti venne in mente, ma era tarata su di me: ero
io il ragazzino tutto casa e chiesa, l’unico che avrebbe apprezzato
quel genere di risposta. Ad un mio sguardo stupito ed interrogativo
– ovviamente non era una citazione molto frequentata – mi dicesti
la frase: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo
fare”. Io studiavo da ragioniere ed il concetto di utilità mi era ben
caro. Per questo non la condividevo. “Vorrei che tutti fossero inutili
come te!” – pensai.
Accolsi l’ennesima lezione: tutto ciò che eri e che facevi era già
dentro di te. Stavi solo cercando di tirarlo fuori, con la stessa passione che mettevi nell’educere, cioè tirare fuori dai giovani che incontravi in birreria, all’oratorio, per la strada, nel confessionale, tutto il
bene e il meglio possibile.
C’era un’altra grande lezione cristiana che volevi passarmi:
“Potrete presto fare a meno di me”. Era la lezione di Gesù che predicò per pochissimo tempo, delegando ai suoi “servi” gli stessi oneri
ed onori, utili a tempo determinato e pronti a passare la mano. Solo
così la missione primitiva si allargò a macchia d’olio e fu così efficace.
Quando a 19 anni mi affidasti la direzione dell’oratorio, in
tandem con un amico, caddi dalle nuvole, ma capii che tutto era
stato preparato a dovere. Pochi giorni prima ero veramente arrabbiato con te, perché mi avevi lasciato responsabile di una settimana
con un manipolo di quattordicenni, con l’aiuto di un paio di animatori più giovani e di un chierico polacco che non parlava neanche
bene l’italiano. Ovviamente ce l’avevo fatta e tu, già da prima, avevi
capito che ce la potevo fare. Avevo solo bisogno di qualcuno che mi
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buttasse nella mischia, come la gabbianella di Sepulveda che impara
a volare quando viene gettata giù dal campanile.
Anch’io ero un servo a termine, perché la professione presto mi
tolse il tempo necessario per quel servizio. Ma ce n’era un altro, poi
un altro ancora, e così fino ad oggi. Sì, aveva ragione Gesù: siamo
servi superflui, anche se Lui sogna che diamo tutto, giorno per
giorno, nello spazio e nel tempo che ci è stato affidato.
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