DISTRETTO 2100 Calabria Calabria - Campania Territorio di Lauria Commissione Arte e Cultura Il Restauro del “Minotauro” Testi: Alessia Merenda Grafica:Luigi Marino Il Rotaract, l’Arte e la Cultura Durante l’anno del quarantennale, il Distretto 2100, nella convinzione che la valorizzazione del patrimonio culturale ed artistico del nostro territorio rappresenti, oltre che un’occasione per lasciare un’impronta significativa nell’ambito della realtà in cui agisce, soprattutto un canale attraverso il quale esaltare beni potenziali della regione Campania al fine di renderli fruttiferi, ha dedicato una apposita Commissione, la Commissione Arte e Cultura, al recupero di importanti opere d’arte per sottrarle ai danni causati dal decorso del tempo. Il Distretto in tal modo si propone, altresì, di veicolare cultura, rendendo conoscibile attraverso visite nelle scuole e nelle università, il progetto cardine della Commissione, allo scopo di avvicinare i giovani agli ideali ed ai valori che da sempre albergano in ogni rotaractiano. Fare “service” vuol dire anche sforzarsi di soddisfare le esigenze della comunità locale collaborando con le istituzioni pubbliche e dialogando con la società civile per provare ad instillare, soprattutto nei nostri coetanei, i principi che non dovrebbero animare solo il buon rotaractiano, ma tutti. A questo proposito la Commissione Arte e Cultura è incentrata sul progetto afferente al restauro del Minotauro. Il frammento “Il Minotauro” è uno stucco parietale risalente all’età romana rinvenuto in un piccolo stabilimento termale sito presso il Foro dell’antica città di Telesia. Del frammento, raffigurante il mostro mitologico intento a lottare con il giovane Teseo, è visibile soltanto il braccio destro con cui l’eroe ateniese afferra il Minotauro per un corno; la mano sinistra con cui quest’ultimo prova a difendersi bloccando il polso dell’impavido Teseo; quella destra protesa, nel tentativo di ghermirlo, verso il ginocchio del giovane. Lo stato di conservazione dello stucco, a causa della mancata pulitura della sua superficie, danneggiata dalle concrezioni di scavo e da micro-lesioni accentuatesi nel corso del tempo, si presenta ictu oculi precario. Pertanto, la Commissione Arte e Cultura si propone di reperire, attraverso una serie di attività impiantate sulla sinergia tra i diversi clubs del distretto 2100, i fondi necessari a finanziare il restauro dell’opera. La Commissione Arte e Cultura nelle scuole e nelle università Nel preciso intento di incoraggiare i giovani ad appassionarsi al progetto stimolandoli congiuntamente a sviluppare le proprie capacità creative, ma soprattutto, allo scopo di facilitare ed intensificare i rapporti con le scuole, la Commissione Arte e Cultura ha promosso il concorso “Racconta ed illustra il mito del Minotauro” nei licei classici, scientifici ed artistici delle città di Aversa e di Benevento i cui clubs sono in prima linea impegnati nella realizzazione del summenzionato progetto. Due sono le sezioni contemplate dal regolamento del concorso: la sezione articolo di giornale e la sezione disegno. Ai partecipanti dei primi due licei è richiesto di elaborare in forma di articolo di giornale il racconto del mito del Minotauro soffermandosi sulla sua connessione intrinseca con le luci e le ombre dell’animo umano; ai partecipanti dei licei artistici è richiesto invece di raffigurare, mediante la tecnica del carboncino, il leggendario mostro. I due elaborati migliori, verranno scelti, uno per sezione, da una giuria presieduta dal RRD e poi pubblicati sul Review, giornale del Rotaract. Inoltre le scuole e gli alunni vincitori saranno premiati con una pergamena. Quanto agli atenei, la Commissione ha intrapreso, con il Dipartimento di Restauro della Facoltà di Architettura di Aversa, una collaborazione imperniata sulla volontà di lumeggiare, attraverso una serie di incontri, quali convegni, conferenze, forum, il potenziale artistico e culturale di alcuni beni della nostra Regione che, rimasti per lungo tempo privi di ogni forma di trattamento conservativo e di interventi di restauro, rischiano di deteriorarsi irreparabilmente. Intessere una fitta rete di relazioni con le istituzioni presenti sul territorio e più direttamente con i cittadini, consente di divulgare la logica, emblematica dell’Associazione, del “fare service”, in base alla quale la crescita morale di un individuo è commisurata all’impegno profuso a favore degli altri, alle energie convogliate in un progetto destinato a fornire la soluzione al problema: questo è essere rotaractiani! Telesia La città originariamente denominata Tulosiom dai Sanniti, successivamente ribattezzata Telesia dai Romani, sorgeva non lontana dal punto di confluenza del fiume Calore con il Volturno. Collocata in una posizione strategica, la fertile pianura era dotata di terme dalle acque ricche di sodio e di zolfo; di un foro, fulcro della vita della città, in cui si svolgevano i più disparati traffici commerciali; di un anfiteatro in cui i cittadini si riunivano per assistere ai giochi gladiatori, o alla naumachia, vale a dire a simulazioni di scontri navali; e perfino di una propria moneta mediante la quale compiere scambi commerciali con i popoli limitrofi. La lingua adottata era l’osco, diffuso prevalentemente in tutta l’Italia Meridionale, poi soppiantato dal latino. La storia di Telesia, proprio a causa della sua fortunata collocazione geografica, fu tribolata e scritta col sangue, trattandosi di una città contesa dai diversi popoli che si avvicendarono sul suo territorio. Da terra sannitica divenne colonia romana, in seguito fu assediata dall’esercito cartaginese per poi tornare ad essere conquistata dai Romani in epoca sillana. Dopo la caduta dell’impero romano venne occupata prima dai Goti, successivamente dai Longobardi, poi fu colpita da un violento terremoto, ed infine fu completamente distrutta dai Saraceni. Attualmente dell’antica cittadina sannitica non rimangono che i resti delle mura perimetrali che si estendono per circa 2,5 km. Esse furono concepite e realizzate mediante una peculiare ed innovativa tecnica costruttiva conosciuta come “opera reticolata”, fondata sull’utilizzo di un fortissimo calcestruzzo allo scopo di rendere la città inespugnabile agli attacchi esterni. Le cosiddette “mura in opus reticolatum” rappresentano un sistema difensivo unico nel suo genere, costituito da una cinta muraria munita di quattro porte principali ed alcune secondarie, e da una serie di torri cilindriche o poligonali disposte su tutta la sua lunghezza in corrispondenza dei punti in cui si presentava scarsa ed insufficiente la difesa fornita dalla naturale conformazione del territorio. Attraverso gli scavi archeologici, condotti agli inizi del ventesimo secolo nella valle Telesina, sono stati rinvenuti importanti reperti, alcuni dei quali risalenti addirittura all’età preistorica, altri invece all’età romana. Ed è esattamente tra questi ultimi che figura il Minotauro. Il reperto in questione, oggi custodito presso il museo del Sannio sito a Benevento, è precisamente uno stucco parietale raffigurante la lotta tra Teseo e il feroce mostro, metà toro e metà uomo. Il frammento che al momento degli scavi non fu sottoposto ad alcun trattamento conservativo, si presenta in uno stato di deterioramento avanzato e pertanto abbisogna che un tempestivo restauro gli restituisca l’originario splendore. Tra mito e realtà La genesi del mito del Minotauro è presumibilmente riconducibile ad una tradizione risalente di matrice minoico-micenea, consistente nella pratica, in occasione di feste cittadine, di un peculiare sport denominato tauromachia, di cui una specialità era costituita dalle cosiddette taurocatapsie, rischiose acrobazie compiute da fanciulli e fanciulle in groppa al toro, seguite dal sacrificio dello stesso. Richiami al mito ed ai suoi personaggi sono effettuati da diversi autori e storici greci e latini, si pensi ad Omero che dedica alcuni versi dell’Odissea a Minosse; ad Erodoto, primo ad usare il termine Labirinto; ad Apollodoro che fa menzione del mito nel Libro III della sua Biblioteca; ed ancora a Platone che lo riporta in alcuni dei suoi dialoghi. Anche Tucidide narra le vicissitudini del re di Creta nelle sue Storie, quattro secoli prima di Cristo; mentre Ovidio nella sua Ars Amatoria ripropone il dubbio “semibovemque virum, semivirumque bovem”, vale a dire mezzo uomo e bovino, mezzo bovino e uomo; infine nella letteratura italiana si ricordi Dante che, nella sua Divina Commedia, precipita il Minotauro nell’Inferno. In particolare l’elaborazione del racconto mitico prende le mosse dagli innumerevoli tentativi di ricostruzione della ambigua figura mitico-storica di Minosse, saggio sovrano secondo alcuni, dispotico tiranno secondo altri, di Creta. Il mito narra che Minosse, frutto della fugace e clandestina passione tra la principessa fenicia Europa ed il fedifrago Zeus, marito di Hera, nacque sull’isola di Creta della quale ben presto, dopo aver spodestato e sottomesso i fratelli Reclamante, illustre legislatore, e Sarpedonte, prode e valoroso guerriero, divenne re. Sua sposa fu Pasifae, figlia di Helios, la quale prima amorevolmente gli diede numerosi figli - tra cui l’atleta Androgeo, Fedra “la splendente”, Arianna “la pura”, ed infine Egle “la luminosa”- poi, stando alla più accreditata versione del mito, consumata dalla gelosia per le reiterate scappatelle del marito, facendo ricorso alle arti magiche di cui era esperta, gli lanciò una maledizione, condannandolo, qualora si fosse congiunto carnalmente con altre donne, ad espellere dal corpo durante l’amplesso animali di ogni sorta: serpenti, scorpioni, millepiedi. Nonostante avesse riportato una vittoria dietro l’altra governando le colonie conquistate attraverso la forza della legge, non pago di aver assoggettato i popoli di quasi tutto il Peloponneso, Minosse, sospinto dall’indifferibile esigenza di ottenere un segno, una conferma del favore di cui godeva presso gli dei, si persuase ad invocare Poseidone, “il dio che racchiude e tiene prigioniera la Terra”, affinché gli inviasse un prodigio da parte dell’Olimpo, un simbolo dell’approvazione divina su cui fondare la sua legittimazione a governare. Accolta la richiesta di Minosse, il signore dei mari fece materializzare tra le onde un raro esemplare di toro dal manto bianco strappando, in cambio al sovrano, la promessa che di lì a poco lo avrebbe immolato. Ma l’avido re, soggiogato dallo splendore dell’animale, decise di tenerlo per sé impiegandolo come toro da monta per i suoi greggi e di sacrificarne uno ossuto e macilento in sostituzione. Avvedutosi del tentativo di raggiro posto in essere da Minosse, l’adirato Poseidone orchestrò, avvalendosi dell’ausilio del celebre ingegnere Dedalo che a quel tempo viveva presso la corte di Cnosso, una tremenda vendetta mediante la quale infliggere all’impostore un castigo esemplare: Pasifae si sarebbe perdutamente invaghita del toro tanto caro al marito al punto tale da ordinare a Dedalo di progettare e costruire una giumenca di legno e vimini nella quale introdursi al fine di trarre in inganno l’agognato toro e di riuscire nell’ irresistibile ed insano intento di copulare con lui. Da questo connubio innaturale nacque il Minotauro - “toro di Minos”-, un mostro dal corpo umano sormontato da un capo taurino, che a cagione della sua inverosimile ferocia, venne rinchiuso nel Labirinto, costruzione articolata in un intrico di angusti sentieri, inquietanti sotterranei, tutti talmente simili tra di loro da rendere remota l’eventualità di non smarrirvisi. Gli dei si accanirono ulteriormente contro Minosse strappandogli finanche prematuramente il figlio Androgeo, abile atleta che, essendosi recato su invito di Egeo, re di Atene, in Attica in occasione delle feste panatenee, perì durante il combattimento contro il toro di Maratona. Consapevole dell’impossibilità di lenire l’acuto dolore cagionato da una tale precoce e cruenta dipartita, nel disperato tentativo di renderlo quanto meno più sopportabile, il re decise di vendicarsi imponendo ad Atene un oneroso tributo: ogni 9 anni 14 ateniesi, 7 ragazzi e 7 ragazze, sarebbero stati inviati a Creta e dati in pasto al Minotauro. Ad interrompere questo filone di morte e terrore intervenne Teseo, giovane ed impavido eroe ateniese, divenuto celebre per essersi più volte imbattuto, sconfiggendoli, in pericolosi mostri che infestavano le varie città dell’Attica seminando il panico tra gli abitanti e minandone la quiete. Il giovane, che per tutta la vita aveva ignorato l’identità del padre, scoprì di essere figlio di Egeo durante i festeggiamenti per la sua ultima vittoria contro il toro di Maratona. Al toccante e concitato momento del ricongiungimento ben presto, però, seguì una nuova separazione dipesa dalla irrevocabile decisione di Teseo di partire per la spedizione più impegnativa che si fosse mai trovato ad affrontare, intorno alla cui riuscita gravitava un forte rischio di insuccesso:eliminare il Minotauro. A nulla valsero i ripetuti ed accorati appelli del vecchio Egeo volti a distogliere il ritrovato figlio dall’ambizioso quanto scellerato proposito. Sprezzante del pericolo Teseo si determinò ad imbarcarsi con gli altri 13 ateniesi, non prima di essersi recato tra gli applausi e le grida di incitamento del popolo, presso il tempio di Apollo, per offrire al dio un ramoscello di ulivo avvolto in un ciuffo di lana bianca: gesto questo, che gli avrebbe, secondo la credenza del tempo, assicurato protezione. Infine, prima di congedarsi dal padre gli promise che se fosse tornato vincitore avrebbe issato vele bianche in sostituzione di quelle nere con cui si accingeva a prendere il largo. Approdato a Creta, a dispetto della sorte che lo attendeva, gli fu riservata un’accoglienza degna di un figlio di re. Nel corso del banchetto organizzato in suo onore, Teseo conobbe Arianna, figlia di Minosse, la quale affascinata dai racconti delle sue imprese, sentì sin dal primo incrocio di sguardi di essere attratta dal giovane eroe. La fanciulla infatti, pur di impedire che l’ oggetto del suo desiderio finisse tra le fauci del Minotauro, tradì il padre ed il fratello mettendo a punto un astuto piano: si procurò una spada a due tagli ed un gomitolo di lana che consegnò segretamente all’amato un attimo prima che entrasse nel Labirinto in cambio del giuramento da parte del giovane che l’avrebbe sposata e condotta con sé ad Atene. Nel percorrere quel dedalo di tetri corridoi e soffocanti cunicoli, Teseo prese a srotolare il gomitolo per tracciare il percorso da seguire al ritorno, sino a quando non incappò nella bestia che, non appena lo ebbe scorto, affamata, gli si avventò contro ingaggiando con lui una lotta senza quartiere. La superiorità fisica del Minotauro era di un’evidenza palmare, ma l’eroe avvezzo a questo genere di scontri fisici non si perse d’animo, attese che la fiera si distraesse, prontamente impugnò la spada e gliela conficcò nella testa procurandole la morte. Poi, seguendo il filo della matassa via via dipanata lungo il cammino, il vittorioso Teseo ripercorse lo stesso tragitto fino all’uscita dove trovò trepidante ad aspettarlo a braccia aperte Arianna che, come promesso, portò con sé. Durante la traversata, numerosi conviti si susseguirono per festeggiare la vittoria grazie alla quale furono fatte salve le vite di poveri innocenti e fu interrotta la macabra tradizione che si protraeva da ormai ben 27 anni, e proprio durante uno dei tanti festeggiamenti Teseo ed Arianna consumarono il loro amore. Ma l’idillio, era destinato a durare soltanto il tempo di una notte. Fatto scalo sull’isoletta di Nasso, l’irriconoscente Teseo, infrangendo vilmente il giuramento fatto, lasciò la dormiente Arianna sulla spiaggia e fece ritorno alla nave ancorata al largo. La fanciulla sedotta ed abbandonata però ben presto si consolò tra le braccia di Dioniso che dopo averla trovata sola e smarrita, ammaliato dalla sua particolare bellezza, la rese sua sposa. Quanto a Teseo, inebriato dalla vittoria che una volta tornato a Creta lo avrebbe consacrato eroe patrio, non rammentò di dover issare, secondo quanto promesso al padre, le vele bianche. Il vecchio Egeo, che da quando il figlio era partito trascorreva l’intera giornata a fissare l’orizzonte dall’alto del promontorio, alla vista delle vele nere trasalì e convinto che il figlio fosse morto si precipitò da una rupe nel mare che da quel giorno prese il suo nome. Il simbolismo Stando all’etimologia del termine, dal greco mithos “racconto fatto a voce, parola detta”, i miti si originarono in Grecia dall’esigenza di spiegare, mediante racconti tramandati dalla tradizione popolare, primigenie questioni afferenti alla creazione del mondo; a fenomeni naturali quali il vento, le eruzioni dei vulcani; ad accadimenti particolari quali la guerra e così via. Trattandosi di una trasposizione della realtà fenomenica in una dimensione fantastica in cui dei ed uomini convivono a stretto contatto, mutuando gli uni prerogative peculiari dagli altri e viceversa, il mito risulta inevitabilmente intriso di simbolismi complicati, talvolta indecifrabili, talaltra variamente interpretabili. La ratio sottesa al mito del Minotauro consiste nel ritrarre la dualità della natura umana in chiave allegorica. L’istinto e la ragione, componenti essenziali dell’animo umano volte alternativamente ad orientare le azioni degli uomini, sono personificati dal mostro che, per la metà in cui è toro rappresenta quella spinta interiore, congenita, quell’impulso ad agire, proprio degli animali, che si sostanzia nel cosiddetto istinto di conservazione; per la parte in cui è uomo rappresenta la facoltà di discernere, con conseguente capacità di mitigare o reprimere gli impulsi rettili. Nel mito del Minotauro dunque è compendiato il tema dell’ambiguità dell’essenza umana, ambiguità scaturente dall’impossibilità di determinare con certezza se l’uomo sia essere razionale o irrazionale, in altri termini se sia buono e perfettibile o cattivo e corrotto. N.B.Illustrazione liberamente tratta da opere raffiguranti il Minotauro ed il Labirinto