Regione Veneto Assessorato alle Politiche per l’Ambiente e per la Mobilità Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto Rischio da Campi elettromagnetici come comunicare Manuale del corso di formazione a distanza Comunicazione del rischio elettromagnetico Progetto cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma DOCUP obiettivo 2 misura 4.3 «Informazione ed educazione ambientale» REGIONE VENETO Assessore alle Politiche per l’Ambiente e per la Mobilità Renato Chisso Segretario Regionale all’Ambiente e Lavori Pubblici Roberto Casarin ARPAV Direttore Generale Paolo Cadrobbi Direttore Area Ricerca e Informazione Sandro Boato Dipartimento per il Sistema Informativo e l’Educazione Ambientale Paola Salmaso Osservatorio Regionale Agenti Fisici Pierluigi Mozzo, Flavio Trotti PROGETTAZIONE E COORDINAMENTO: Paola Salmaso Gianfranco Baldo Alessandra Tosi TESTI: Luca Carra (Zadig srl, Milano) Bruna De Marchi (ISIG, Gorizia) Margherita Fronte (Zadig srl, Milano) Progetto cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma DOCUP obiettivo 2 misura 4.3 «Informazione ed educazione ambientale». PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: Laboratorio srl, Milano Novembre 2003 Stampato su carta ecologica sbiancata senza uso di cloro I campi elettromagnetici sono presenti in natura e l’uomo è da sempre esposto alla loro azione. L’aumento, negli ultimi anni, delle fonti artificiali di campi elettromagnetici – prodotti dagli elettrodotti, dalle telecomunicazioni e dalla telefonia mobile – ha portato a forti preoccupazioni nell’opinione pubblica. Ai rischi ipotetici sulla salute, derivanti dai campi elettromagnetici, si sovrappone nella popolazione una percezione del rischio che dipende in maniera preponderante da fattori di natura culturale non direttamente connessi, quindi, al fenomeno e pertanto fortemente influenzati dalla qualità dell’informazione. Occorre dire che i mezzi di comunicazione di massa, in generale, non sempre aiutano il cittadino a capire la reale portata dei rischi ambientali per la salute umana ed in particolare per l’elettromagnetismo la cui produzione dipende non solo dagli impianti (elettrodotti e antenne) ma soprattutto dagli elettrodomestici e da altre apparecchiature elettriche di uso quotidiano (televisione, computer, asciugacapelli, telefonino cellulare, lampade, ecc.). Per favorire una corretta informazione sul problema ambientale specifico, le cui conseguenze sulla salute sono controverse, la Regione Veneto e l’ARPAV, nell’ambito delle attività di comunicazione, educazione e formazione ambientale – previste nel Piano Triennale Regionale di Educazione Ambientale 20012003 – hanno programmato l’attuazione del presente «Corso di formazione a distanza sulla comunicazione del rischio da campi elettromagnetici» rivolto a tecnici e operatori dipendenti degli Enti Locali e delle aziende ULSS del Veneto. Lo scopo del corso è di formare operatori in grado di svolgere un’efficace funzione informativa ed educativa sulla tematica ambientale in oggetto, attraverso l’acquisizione di specifiche abilità nell’uso delle tecniche di comunicazione e conoscenza delle chiavi di lettura del processo relazionale con particolare riferimento alla gestione delle situazioni critiche. La metodologia utilizzata della formazione a distanza, con l’utilizzo di una piattaforma informatica «on line», oltre a consentire il coinvolgimento di un rilevante numero di operatori interessati ad approfondire l’argomento, consente all’Agenzia di sperimentare ed integrare le metodologie formative di tipo attivo, già utilizzate nei corsi del Catalogo ARPAV di formazione ambientale 2003-2004. L’ASSESSORE REGIONALE ALLE POLITICHE PER L’AMBIENTE E PER LA MOBILITÀ IL DIRETTORE GENERALE ARPAV Renato Chisso Paolo Cadrobbi CAPITOLO PRIMO Campi elettromagnetici e salute di Margherita Fronte I campi elettromagnetici sono presenti in natura, e l’uomo è sempre stato esposto alla loro azione. Tuttavia nell’ultimo secolo lo sviluppo delle reti di distribuzione dell’energia elettrica e, più recentemente, quello delle telecomunicazioni e della telefonia cellulare, hanno enormemente incrementato la presenza di questi agenti nell’ambiente in cui viviamo. In passato, alcuni studi hanno collegato l’esposizione ai campi elettromagnetici con l’insorgenza di varie malattie – in particolare tumori. Questi studi hanno destato allarme nella popolazione, e in alcuni casi hanno influenzato le politiche di alcuni stati o regioni, che hanno varato leggi ad hoc per proteggere la popolazione. Studi successivi hanno peraltro ridimensionato l’allarme di alcuni anni fa. Caratteristiche dei campi elettromagnetici La radiazione elettromagnetica si propaga come un’onda ed è caratterizzata da due grandezze: la frequenza, che si misura in hertz (Hz) e indica il numero di oscillazioni che l’onda compie in un secondo, e la lunghezza d’onda che corrisponde alla distanza fra una cresta dell’onda e la successiva. La gamma completa delle frequenze è detta spettro elettromagnetico. Le radiazioni elettromagnetiche che si origina- no da sorgenti artificiali si posizionano in punti diversi dello spettro e hanno vari utilizzi (figura 1). Per esempio, la banda delle radiofrequenze, che va da 10 megahertz a 300 gigahertz, è sfruttata nella telefonia mobile o per le trasmissioni radiotelevisive. Le linee che trasportano la corrente elettrica e molti elettrodomestici emettono invece campi elettromagnetici alla frequenza di 50 Hz (60 Hz negli Stati Uniti). Nelle misurazioni sull’intensità dei campi elettromagnetici si utilizzano diverse unità di misura. Negli studi epidemiologici, l’intensità del LE SORGENTI PIÙ COMUNI SONO: Basse frequenze: gli elettrodotti e più in generale gli impianti di distribuzione dell’energia elettrica, gli elettrodomestici. Alte frequenze: telefoni cellulari, impianti per la telefonia cellulare, antenne per trasmissioni radio e TV, forni a microonde. campo magnetico alle basse frequenze è espressa attraverso il tesla (T), che esprime la densità di flusso, una grandezza correlata all’intensità del campo magnetico. Per le alte frequenze si utilizza spesso il volt al metro (V/m) (unità di misura del campo elettrico), oppure il watt per metro quadro (W/m2) (unità di misura della densità di potenza). La densità di potenza diminuisce in maniera proporzionale al quadrato della distanza dalla stessa. La distinzione fra basse frequenze e alte frequenze è fondamentale quando si parla di effetti sulla salute dei campi elettromagnetici, in quanto emissioni di tipo diverso provocano effetti diversi sull’organismo. Non è quindi corretto estrapolare i dati scientifici ottenuti per le basse frequenze alle alte frequenze, né è possibile fare il processo inverso. Che cosa succede quando siamo esposti ai campi elettromagnetici? A seconda della frequenza e dell’intensità, i campi elettromagnetici esercitano azioni diverse sull’organismo. I campi elettromagnetici a 50-60 Hz influenzano la distribuzione delle cariche elettriche nei tessuti biologici e inducono correnti nel corpo, la cui intensità dipende dall’intensità del campo. Per livelli particolarmente elevati (superiori a quelli cui è esposta normalmente la popolazione), i campi elettromagnetici alle basse frequenze possono provocare la contrazione involontaria di muscoli, oppure possono stimolare i nervi. Il limite di esposizione di 100 microtesla indicato dall’ICNIRP (International Commission on Non-Ionising Radiation Protection) è stato stabilito proprio in base alla soglia di intensità cui inizia a manifestarsi la stimolazione di muscoli e nervi. Per i campi elettromagnetici alle radiofrequen- SPETTRO ELETTROMAGNETICO 15-30 50-90 50 KHz RAGGI X KHz Hz 900-1800 CORRENTE CONTINUA MHz LUCE VISIBILE 2450 MHz ALL’INTERNO DEL FORNO 0Hz 10 15 RAGGI GAMMA Hz RADIAZIONI IONIZZANTI 0 Hz 10 2 Hz 10 4 Hz 10 6 Hz 10 8 Hz 10 10 Hz 10 12 Hz 10 14 Hz 1016 Hz 1018 Hz 1020 Hz 1022 Hz RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE LE LEGGI Sulle esposizioni ai campi elettromagnetici esistono leggi recenti che vengono considerate, in rapporto alle legislazioni degli altri paesi, ALTE FREQUENZE (3-3000 MHZ): ■ Soglie da rispettare (DPCM 8 luglio 2003 GU n. 199 28/8/03) valori limite di campo elettrico valori limite di campo magnetico valori di attenzione di campo elettrico 20 V/m 0,05 A/m 6 V/m (per edifici con permanenze non inferiori alle 4 ore) valori di attenzione 0,016 A/m di campo magnetico (per edifici con permananenze non inferiori alle 4 ore) obiettivo di qualità di campo magnetico 6 V/m (per aree all’aperto intensamente frequentate, come parchi gioco e altri luoghi di ritrovo pubblico) cautelative. Alle leggi nazionali si aggiungono inoltre leggi regionali, in genere con soglie ancora più precauzionali. ■ Modalità per l’installazione degli impianti per telefonia mobile (D.Lgs 259/03) L’interessato deve chiedere autorizzazione o effettuare denuncia inizio attività all’ente locale (rispettivamente per potenza > o < 20 W). Da allegare documentazione , tra cui valutazione di impatto elettromagnetico per le antenne > 20 W. Si prevede un pronunciamento dell’ARPA sulla documentazione fornita entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza. Nella Regione Veneto si è mantenuta la pregressa accompagnatoria della comunicazione dell’attivazione dell’impianto. Tale modulistica consente di tenere aggiornato il catasto degli impianti per telefonia mobile a cura dell’ARPAV. BASSE FREQUENZE: ■ Soglie da rispettare (DPCM 28 luglio 2003, GU n. 200, 29/8/03) valori limite di campo elettrico valori limite di campo magnetico 5 kV/m 100 microT valori di attenzione 10 microT di campo magnetico (permanenze superiori alle 4 ore e aree gioco e scolastici per l’infanzia) obiettivo di qualità 3 microT di campo magnetico (nuovi impianti e nuovi edifici con permanenze superiori a 4 ore o aree gioco per l’infanzia) ■ Soglie da rispettare (legge regionale Veneto 27/93, in vigore dal 1° gennaio 2000) valori di attenzione di campo elettrico 0,5 kV/m valori di attenzione 0,2 microT di campo magnetico ze, l’effetto biologico principale che si riscontra in seguito all’esposizione è il riscaldamento dei tessuti che sono più a contatto con la sorgente. Questo fenomeno è ben visibile negli utilizzatori dei telefoni cellulari, in cui è stato evidenziato un incremento della temperatura dalla parte della testa ove si posiziona il telefonino durante l’utilizzo. Gli esperti sottolineano che il fatto che l’esposizione ai campi elettromagnetici provochi effetti biologici misurabili (come l’aumento della temperatura o l’induzione di correnti) non significa automaticamente che debbano esserci conseguenze sulla salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 1996 ha avviato un programma specifico sui campi elettromagnetici, sottolinea che gli effetti biologici sono le risposte naturali dell’organismo agli stimoli che provengono dall’ambiente. Gli effetti sulla salute si verificano quando l’esposizione lede l’integrità dell’organismo. Effetti sulla salute Da una trentina di anni a questa parte la ricerca scientifica studia la questione degli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici. CAPITOLO 1 CAMPI ELETTROMAGNETICI E SALUTE Soprattutto per le emissioni alle basse frequenze, la questione è stata indagata a fondo e sono stati prodotti circa 25.000 articoli scientifici che riguardano sia le conseguenze immediate dell’esposizione (effetti acuti), sia quelle che potrebbero insorgere nel lungo periodo (effetti cronici). Effetti acuti Gli effetti acuti per le basse frequenze si manifestano nel breve periodo quando si è esposti a intensità del campo magnetico superiori a 100 microtesla (µT), e cessano quando si rimane per un tempo sufficiente distanti dalla sorgente del campo. Per le alte frequenze gli effetti acuti si verificano per valori di campo elettrico non inferiori a 20 V/m. I disturbi più comuni sono insonnia, brividi e mal di testa, sensazione di malessere. Questi effetti sono stati accertati da molti studi e su di essi i ricercatori non hanno dubbi. E’ noto che alcuni individui sono particolarmente sensibili ad azioni di agenti ambientali, quali possono essere quelle dei campi elettromagnetici sia alle alte sia alle basse frequenze, manifestando malesseri anche a intensità per le quali normalmente non vengono avvertiti. Fino a CAMPI ELETTRICI E CAMPI MAGNETICI E H Campi elettrici (E) e magnetici (H) variabili nel tempo, come quelli prodotti da linee elettriche e da elettrodomestici, inducono nel corpo il passaggio di correnti elettriche che si differenziano tra loro per il diverso tipo di percorso (fonte: Bevitori, «Pericoli e Paure», ed. Marsilio, 1994) oggi, gli studi che hanno analizzato l’ipersensibilità elettromagnetica non hanno tuttavia dato risultati riproducibili. A parte questi casi, comunque, soltanto lavoratori di particolari categorie sono esposti a intensità tali da provocare questi disturbi. Il dibattito sulla presunta nocività dei campi elettromagnetici si concentra invece sugli effetti cronici, che si manifesterebbero a intensità molto minori, che si registrano a volte anche nelle abitazioni e nei comuni luoghi di lavoro. Effetti cronici1 Per motivi storici, la gran parte della ricerca epidemiologica si è concentrata sugli effetti cronici dei campi elettromagnetici a 5060 Hz, mentre le indagini sulle conseguenze a lungo termine dell’esposizione alle radiofrequenze è indagata in modo sistematico da meno tempo. ■ Basse frequenze: le ricerche presero il via nel 1979, quando Nancy Wertheimer e Ed Leeper pubblicarono sull’American Journal of Epidemiology uno studio che collegava l’esposizione a intensità superiori a 0,2 microT alla leucemia infantile. Poiché ai campi elettromagnetici siamo tutti esposti, e poiché, colpendo i bambini, la malattia in questione ha un forte impatto RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE psicologico, quello studio fece molto scalpore, e indusse altri ricercatori a indagare a fondo la questione. Per molti anni i risultati sono stati incerti. Alle incertezze su come misurare l’esposizione individuale dei soggetti in esame, si univano i dubbi relativi alla plausibilità biologica. Negli ultimi anni mettendo assieme gli studi prodotti i ricercatori sono arrivati a un pur minimo accordo. Secondo l’OMS, nonostante le prove rimangano controverse, «se i campi elettromagnetici hanno un effetto cancerogeno, allora l’incremento del rischio deve essere molto piccolo». L’unica forma tumorale per cui si vede un piccolo aumento del rischio è la leucemia infantile. Il rischio resta costante fra 0,2 e 0,4 microtesla, mentre tende a crescere per intensità più elevate. Una stima dell’Istituto Superiore di Sanità calcola che in Italia l’esposizione ai campi magnetici a 50-60 Hz possa provocare ogni anno tre casi di leucemia infantile. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) definisce i campi elettromagnetici come «possibile cancerogeno», come peraltro caffé e saccarina (vedi tabella). Gli studi epidemiologici non hanno fornito le prove che esista un’associazione fra esposizio- GRUPPO Gruppo 1: Agente cancerogeno DATI SCIENTIFICI NECESSARI prove epidemiologiche sufficienti Gruppo 2A: prove epidemiologiche limitate o inadeguate Probabile cancerogeno e prove sufficienti su animali ESEMPI alcolici, asbesto, benzene, radon N° 75 formaldeide, benzopirene 59 Gruppo 2B: Possibile cancerogeno prove epidemiologiche limitate e dimostrazioni cloroformio, caffè, saccarina, limitate o inadeguate su animali CEM a 50-60 Hz 227 Gruppo 3: Non è classificabile come cancerogeno prove epidemiologiche inadeguate e prove inadeguate o limitate su animali caffeina, mercurio 471 Gruppo 4: Probabilmente non è un cancerogeno mancanza di prove di cancerogenicità su animali e uomini, oppure dimostrazioni epidemiologiche inadeguate con mancanza di dimostrazioni di cancerogenicità in animali caprolattano 1 N° = numero di sostanze che fanno parte del gruppo DEFINIZIONE Prove sufficienti EPIDEMIOLOGIA relazione causale stabilita STUDI SU ANIMALI relazione causale dimostrata in due studi indipendenti o in due specie diverse Prove limitate Osservata una relazione per cui è credibile una associazione causale, ma in cui non si può escludere una interpretazione non causale Osservata una cancerogenicità, ma in un solo studio oppure solo per tumori benigni o tumori che hanno un’elevata incidenza Prove inadeguate Studi di qualità insufficiente o poco consistenti per stabilire l’esistenza di una associazione, oppure mancanza di dati nell’uomo Studi di insufficiente qualità e consistenza per arrivare a una conclusione, oppure mancanza di dati negli animali Mancanza di cancerogenicità Studi negativi e consistenti che comprendano un ampio range di esposizioni e che non mostrano una associazione con nessun tipo di tumore Studi negativi e consistenti in almeno due specie con un ampio range di esposizioni e che non mostrano carcinogenesi CAPITOLO 1 CAMPI ELETTROMAGNETICI E SALUTE ne ai campi elettromagnetici a 50-60 Hz e malattie diverse dalla leucemia infantile. Alte frequenze: gli studi epidemiologici che hanno analizzato gli effetti dell’esposizione a radiazioni emesse da antenne e ripetitori sono troppo pochi e hanno dato risultati contraddittori. Questi risultati hanno tuttavia attirato l’attenzione sui possibili danni da esposizioni croniche alle alte frequenze. Più che su antenne e ripetitori, gli studi epidemiologici si sono concentrati sulle relazioni fra tumori del cervello e uso del telefono cellulare. Due studi importanti pubblicati fra la fine del 2000 e l’inizio del 2001 escludono che l’esposizione prolungata alle radiazioni emesse dai telefoni cellulari provochi la malattia. «I nostri dati non avvalorano l’ipotesi secondo cui l’utilizzo dei telefoni cellulari provoca tumori al cervello» scrivono gli esperti del National Cancer Institute statunitense su New England Journal of Medicine. «I nostri dati suggeriscono che l’impiego dei telefonini non è associato al rischio di sviluppare il tumo■ LA PLAUSIBILITÀ BIOLOGICA Né i campi elettromagnetici a 50-60 Hz, né quelli alle radiofrequenze hanno un’energia sufficiente per rompere i legami chimici del DNA; tuttavia, proprio questa è una condizione necessaria affinché si instauri un processo tumorale. Per questo motivo, molti ricercatori escludono che i campi elettromagnetici possano rappresentare la causa primaria di un tumore. Per molti anni si è pensato, tuttavia, che potessero favorire un processo tumorale già in atto, scatenato da altri agenti cancerogeni. Tuttavia, fino a oggi, non esistono dati scientifici certi in grado di avvalorare questa ipotesi. Tornando ai presunti effetti cronici delle radiofrequenze, l’OMS sostiene che «non c’è nessuna evidenza convincente che l’esposizione a radiofrequenze abbrevi la durata della vita umana, né induca o favorisca il cancro». Le organizzazioni internazionali sottolineano comunque la necessità di ulteriori studi, sia sugli adulti sia sui bambini, e, considerato il continuo aumento nell’ambiente di fonti di campi elettromagnetici ad alta frequenza, diversi autori consigliano l’adozione di politiche cautelative2 basate sulla riduzione di tali esposizioni soprattutto per i bambini. Note re del cervello» concludono su JAMA i medici dell’American Medical Association. Entrambi gli studi sono stati condotti su gruppi di pazienti maggiori di 18 anni, mentre restano da accertare gli effetti sui bambini. Si ritiene infatti che un sistema nervoso ancora in fase di sviluppo possa essere più sensibile agli effetti delle radiazioni. Per questo motivo l’OMS raccomanda di non far usare il telefonino ai bambini. 1. Per un approfondimento dei temi relativi agli effetti sulla salute delle esposizioni croniche ai campi elettromagnetici si veda la revisione di P. Comba, «Studi epidemiologici sui campi elettromagnetici: evidenze di rischio e indicazioni per la prevenzione», Epidemiologia&Prevenzione 4/2002. 2. Per una messa a punto del concetto di principio di precauzione si veda il testo di P. Comba «Il principio di precauzione: evidenze scientifiche e processi decisionali», in pubblicazione su Epidemiologia&Prevenzione. Sul principio di precauzione si veda anche il capitolo terzo. CAPITOLO SECONDO Filosofia della comunicazione del rischio di Bruna De Marchi Esiste una lunga tradizione di studi e ricerche sulla «percezione del rischio», le cui origini risalgono all'inizio degli anni settanta del secolo scorso e che ha fornito anche numerose indicazioni operative e suggerimenti pratici per la gestione e la comunicazione dei rischi. Sarebbe opportuno non ignorarla, per non re-inventare continuamente la ruota (scoprendo cose già note da tempo) e soprattutto per evitare di inventare una ruota quadrata, ovvero, fuor di metafora, di proporre strategie che si sono già abbondantemente e ripetutamente rivelate inefficaci o addirittura controproducenti. Lezioni dal passato Una trentina di anni fa si era pensato che il diffuso scetticismo e timore del pubblico verso alcune tecnologie, in particolare quella nucleare, fosse il risultato dell'incapacità di comprendere il calcolo probabilistico. Sarebbe bastato dunque «alfabetizzare» la gente, chiamando gli esperti a spiegare quanto bassi fossero i rischi, per farle abbracciare con entusiasmo la nuova promettente tecnologia. I presupposti sottesi erano numerosi. Fra questi: che l'unica conoscenza valida e attendibile fosse quella prodotta dagli scienziati; che il pubblico fosse formato da una massa abbastanza omogenea di individui per lo più ignoranti; che gli esperti avrebbero saputo e potuto fornire valutazioni obiettive, corrette e soprattutto univoche; che il pubblico dovesse fidarsi dei loro risultati, delle loro competenze e della loro buona fede; che l'accettabilità o meno di un certo rischio dipendesse solo da considerazioni sulla sua frequenza; e così via. I ripetuti insuccessi derivati dall'applicazione di una strategia comunicativa a senso unico dall'alto in basso (top-down) vennero attribuiti al- l’irriducibile ignoranza della gente (a cui proprio non si riusciva a spiegare il concetto di probabilità). Finché qualcuno non pensò di interrogarsi sui presupposti e sulle ipotesi di partenza. Nacque così il filone di ricerca sulla percezione del rischio, etichetta che con il tempo, come vedremo, si è rivelata infelice e riduttiva, ma che comunque denota il superamento delle semplificazioni fino ad allora dominanti. L'obiettivo prevalente era ancora quello di convincere la gente ad accettare determinate tec- nologie e i relativi rischi – che gli esperti valutavano irrilevanti o inesistenti – ma veniva riconosciuto che il modo di ragionare del pubblico è un po' più complesso e articolato di quello fino ad allora dato per scontato. Sono stati comunque gli ingegneri i primi ad avventurarsi a indagare la psicologia popolare e a tentare di svelare le preferenze del pubblico, non interrogandolo, ma utilizzando dati statistici relativi ai rischi e benefici di vari tipi di industrie e attività. Attraverso calcoli e modelli complicati, all’interno di un paradigma rigorosamente ingegneristico-economicistico, essi arrivarono a proporre vere e proprie formule di calcolo. Per esempio, una di queste stabiliva che l’accettabilità del rischio di una data attività è pressappoco proporzionale al suo beneficio elevato alla terza potenza. Il paradigma psicometrico Il pubblico vero entra in scena quando entrano in scena gli scienziati sociali, più inclini ad accettare il fatto che, nell’attività di ricerca, soggetto e oggetto non possono sempre essere nettamente separati, e disposti anche a concedere che «il dato» debba essere interpretato e che, attraverso scelte e costrizioni meto- dologiche, esso viene in qualche misura «costruito». Il paradigma psicometrico deriva da una serie vastissima di indagini effettuate con questionari contenenti domande sulla percezione di rischi e benefici e dei rapporti fra gli stessi . Esso si discosta da quello economicista (che adotta il denaro come unico parametro per la quantificazione di perdite e benefici) e individua una serie di elementi che influenzano l'accettabilità o meno di determinati rischi, o meglio di determinate attività. Il rischio, valutato in termini probabilistici da quanti applicano tecniche quantitative formalizzate di assessment, diventa, all'analisi degli scienziati sociali, una costruzione complessa che permette di individuare, per le più diverse attività, dei profili di rischio in cui entrano e si combinano in vari modi caratteristiche e considerazioni di tipo persona- le, economico, culturale, etico. La «irrazionalità» della gente comincia dunque a mostrare una sua logica. Nel formarsi delle opinioni, la gente non percepisce il rischio – che come ogni entità astratta non si può percepire – bensì compie una serie di valutazioni di diversi elementi di una determinata attività in base a diversi criteri. L'etichetta «percezione del rischio», purtroppo ormai definitivamente appiccicata a tali processi, genera confusione. Si continua così a parlare di «rischio percepito», in con- RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE trapposizione a «rischio reale» o «rischio oggettivo», essendo le seconde espressioni non meno scorrette della prima. Esse rappresentano infatti una vera e propria contraddizione di termini, dato che si riferiscono a valutazioni probabilistiche, fondate talvolta su statistiche di eventi (incidenti, malattia, morte eccetera), talvolta su stime degli stessi: possono dunque essere definite scientificamente basate, ma certamente non oggettive o reali tout court . La considerazione delle diverse componenti individuate dagli studi psicometrici è essenziale per instaurare un dialogo con il pubblico. Ciò certamente non eviterà contrasti e conflitti, ma potrà ridurre la confusione e i fraintendimenti e possibilmente favorire un confronto civile che rispetti l’integrità degli attori coinvolti, pur nella differenza di posizioni e valutazioni. Fattori rilevanti nella «percezione del rischio» Qui di seguito elencheremo e commenteremo alcuni fattori e aspetti relativi alla «percezione del rischio», che assumono particolare rilevanza in vista di un dialogo con il pubblico: ■ Rischi volontari e rischi imposti o tenuti nascosti: le persone tendono a giudicare inaccettabili i rischi a cui siano state sottoposte contro la propria volontà o a propria insaputa, in conseguenza di attività o decisioni umane. Le decisioni possono riguardare anche fenomeni o eventi che non sono determinati dall’attività dell’uomo, e che tuttavia siano stati tenuti nascosti da quanti ne erano a conoscenza: per esempio la riconosciuta esistenza di un rischio sismico, i segnali di un’imminente eruzione vulcanica o di un’inondazione, eccetera. Dunque oltre che l’imputabilità del rischio, assume rilevanza la responsabilità della diffusione o meno dell’informazione, aspetto quest’ultimo sempre più rilevante, nel momento in cui sfuma la distinzione fra rischi di origine naturale e rischi di origine antropica, a causa degli interventi molteplici e invasivi dell’uomo sull’ambiente. Distribuzione di rischi e benefici: in generale si fa appello al principio secondo cui chi gode dei vantaggi derivanti da una certa scelta dovrebbe anche sopportarne i costi (certamente non solo di natura economica). In pratica la questione viene sollevata da chi si trova a subire un rischio, e non da parte di chi lo tra- ■ sferisce ad altri. Così può accadere che una certa comunità si opponga alla costruzione di un impianto di smaltimento dei rifiuti sovradimensionato rispetto alle proprie esigenze, ma non si attivi per evitare che i rifiuti tossici prodotti nel proprio territorio vengano esportati in qualche paese in via di sviluppo. DARE VOCE A CHI NON CE L’HA Ognuno di noi tende a vedere più facilmente i torti subiti che quelli provocati e inoltre si sente più o meno vicino ad altri esseri umani in base a molteplici considerazioni. Tuttavia, oltre agli individui direttamente interessati, altri soggetti, emanazione dello stato o della società civile, possono fare appello a principi di equità e responsabilità, parlando non per se stessi, ma per entità che non hanno capacità o possibilità di espressione: l’ambiente, diverse specie vegetali e animali, i bambini, alcuni gruppi svantaggiati, le generazioni future. Tali principi, ancorché non sempre tradotti in specifiche norme, sono spesso sanciti giuridicamente e possono essere fatti valere in consessi nazionali, sovra nazionali e internazionali. CAPITOLO 2 FILOSOFIA DELLA COMUNICAZIONE Le considerazioni relative all’equa distribuzione non sono né univoche né oggettivamente misurabili, quando si passa dai principi alle applicazioni. Come ha ben sintetizzato alcuni decenni fa un giornalista, formulando la «legge del morto per chilometro», l’effetto psicologico di un certo episodio è direttamente proporzionale al numero dei morti e inversamente proporzionale alla distanza geografica. Oggi, in tempi di globalizzazione, la legge ha certamente ancora valore, purché al termine «distanza» non venga attribuita una valenza esclusivamente spaziale. Restando nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti, non è raro sentire affermare che tanto vale continuare a inquinare siti già degradati, magari pagando una piccola compensazione in denaro, così i residenti potranno almeno vivere un po’ meglio (grazie ai rifiuti). ■ La gravità delle conseguenze: è certamente un elemento di valutazione, ma, come si è detto la gravità non si misura con semplici numeri. Chi subisce un danno, ne aveva consapevolmente accettato il rischio? E i danni sono reversibili o permanenti? Si manifestano immediatamente o possono essere differiti nel tempo? Riguardano solo la persona esposta o anche altri soggetti, magari ignari e impossibilitati a proteggersi (si pensi per esempio ai danni al patrimonio genetico causati dalle radiazioni ionizzanti). Nella percezione della gravità di un certo rischio, e nel giudizio relativo alla sua accettabilità personale o sociale, entra anche l’elemento del controllo, ossia la misura in cui si pensa di poter influenzare, con proprie scelte o azioni, una determinata attività potenzialmente pericolosa e le sue conseguenze. Per esempio, la maggioranza delle persone tende a sentirsi più sicura alla guida della propria auto piuttosto che su un aeroplano di linea, indipendentemente dalla loro maggiore o minore conoscenza delle statistiche di morte per incidenti di trasporto stradale e aereo. Per ragioni simili (e ancora indipendentemente dalla conoscenza delle statistiche), molti fumatori, inclusi molti medici, sono convinti che il loro uso di tabacco non sia tale da danneggiare la loro salute, e che comunque saprebbero rinunciare al fumo nel momento in cui ciò si rivelasse necessario (momento che, guarda caso, non è mai quello presente). E, ancora, molti chirurghi sono più allarmati di un comune paziente quando fini- scono sul tavolo operatorio, sia pure per un’operazione banale, perché, dovendosi mettere nelle mani di un collega, vengono espropriati di una funzione di controllo che normalmente possiedono. Per quanto riguarda i campi elettromagnetici, molte persone si preoccupano per l’installazione di antenne radio base, ma continuano a utilizzare il telefono cellulare. ■ Conoscenza di un certo rischio, nella sua definizione e valutazione scientifica: si è ritenuto a lungo che la conoscenza dei rischi derivanti da nuove tecnologie portasse a una loro maggiore accettazione. In realtà, la relazione non è né univoca né automatica. Molto spesso sono proprio quanti hanno approfondito le questioni da un punto di vista scientifico a manifestare riserve su conclusioni troppo affrettate e a suggerire cautela verso applicazioni troppo rapide e diffuse. Essi conoscono infatti le limitazioni delle tecniche di risk assessment; sanno che, se il rischio è calcolabile, non lo è l’incertezza; sono consapevoli del fatto che ogni scelta di metodo (a partire dalla stessa definizione del problema) condiziona inevitabilmente i risultati; riconoscono l’esistenza di aree di vera e propria ignoranza (non sapere) e addirittura di RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE «ignoranza al quadrato» (non sapere di non sapere). Tornando al chirurgo sul tavolo operatorio, egli sa che ogni intervento, anche il più banale, comporta la possibilità di imprevisti difficilmente calcolabili (incertezza) o addirittura non ipotizzabili a priori (ignoranza). ■ Familiarità con un oggetto o attività fonte di rischio: una lunga coabitazione, soprattutto se non funestata da incidenti, tende a spegnere le preoccupazioni, o addirittura a promuovere una sindrome di invulnerabilità, dovuta a eccessiva fiducia in se stessi, «negli dei» o nella buona sorte. Ciò può avere effetti deleteri, per esempio limitando l’attenzione ai segnali di pericolo o all’applicazione delle norme di sicurezza. Al contrario un agente di rischio sconosciuto, nuovo, e magari neppure direttamente esperibile con i propri sensi (come è il caso dei campi elettromagnetici), causa ansia e preoccupazione. Il fattore che i ricercatori hanno chiamato «dread» si riferisce ad attività o eventi che, per la loro natura, le loro finalità o le loro conseguenze, suscitino timore o addirittura terrore. Insomma, in assenza di controllo e conoscenza si può solo sperare, oppure fidarsi di qualcuno. Ma di chi? A quali domande siamo chiamati a rispondere? I problemi di metodo nella valutazione dei rischi tendono a non trovare spazio nelle comunicazioni pubbliche. Le domande della gente in merito vengono screditate come non pertinenti o non rilevanti. «Come fate a sapere che una tale sostanza non fa male?»; «Per quanto tempo avete studiato questo fenomeno, per giungere alle vostre conclusioni?»; «Avete considerato l’influenza di altri fattori?»; «Quanti e quali soggetti avete considerato?»; «Quali tipi di danni alla salute o all’ambiente avete preso in considerazione?»; «Sulla base di quali teorie o modelli avete scelto di esplorare certe ipotesi e di trascurarne altre?» e così via. Tali domande, benché spesso formulate in un linguaggio inadeguato, e talvolta in modo ingenuo, sono di fatto domande sul metodo di valutazione dei rischi (il metodo, si badi, non semplicemente le tecniche). La prima cosa da fare, per fornire una risposta adeguata, è capire che cosa il nostro interlocutore sta chiedendo. Una risposta adeguata non è necessariamente esauriente, né definitiva, né certa; è una risposta alla domanda che è stata posta, e non ad altre (o a nessuna). Può anche essere un onesto «non so», che in ogni caso è meglio di uno spocchioso «questo non c’entra». Tornando alle domande di metodo che più spesso la gente solleva, e traducendole in termini un po’ più tecnici, possiamo dire che esse si riferiscono a come gli errori vengono trattati. Si ricordi che l’errore di tipo 1 indica i falsi positivi (trovare la prova di un effetto o relazione quando in realtà non sussiste) e quello di tipo 2 i falsi negativi (non trovare prova di un effetto o relazione quando in realtà sussiste). Sottesa a molte domande della gente, vi è una preoccupazione riguardo ai falsi negativi, che CAPITOLO 2 FILOSOFIA DELLA COMUNICAZIONE si ritiene siano indagati con molta minore attenzione dei falsi positivi, qualora si voglia promuovere una certa tecnologia o quando si mettano in atto misure di salute e igiene pubblica. Il seguente scambio di battute a proposito della encefalopatia spongiforme bovina (mucca pazza), avvenuto fra due «persone qualunque», serve a chiarire di che cosa si sta parlando: «Il ministro della salute ha detto che ci sono buone notizie. Hanno ripetuto il test su una mucca che era risultata ammalata alla prima prova, e risulta invece che è sana». «Bene, ma chissà se ripetono i test anche su tutte le mucche che risultano sane alla prima prova!». Esiste poi un altro errore possibile, che si è proposto di codificare come di tipo 3, quello di essere totalmente fuori strada, avendo definito il problema oggetto di indagine in modo improprio, o inadeguato, oppure sbagliato, per esempio ipotizzando certi tipi di meccanismi di induzione del danno anziché altri, o certi target, invece di altri. Un altro dubbio espresso dalla gente comune, che di fatto riguarda il metodo, è relativo al modo di considerare l’assenza di prove che dimostrino gli effetti negativi: «Anche se i ricer- catori non hanno scoperto effetti negativi, come faccio a essere sicuro che non si manifesteranno o verranno scoperti in futuro?». Anche numerosi scienziati hanno espresso avvertimenti a questo proposito. Per esempio David Fisk, Chief Scientist dell’ufficio del vice primo ministro britannico, nel suo indirizzo inaugurale alla giornata Schuman del 1998 presso il centro Comune di Ricerca della Commissione Europea di Ispra, ricordava che: «uno degli errori più comuni nella valutazione scientifica è di confondere l’assenza della prova di un effetto, con la prova che tale effetto non esiste». Come dobbiamo rispondere: comunicazione e fiducia Da quanto si è detto fin qui, appare chiaro che il contenuto della comunicazione deve essere ben più articolato e sofisticato che la semplice «spiegazione dei numeri». Ma oltre che aspetti di contenuto, la comunicazione comprende aspetti di relazione. L’efficacia di un comunicatore dipende anche dalla sua capacità di costruire una relazione che faciliti, se non l’accettazione, almeno la comprensione del messaggio secondo le sue intenzioni. La centralità della fiducia per la realizzazioni di politiche efficaci nel campo dell’ambiente, della sicurezza e della salute è riconosciuta e sottolineata in un numero crescente di norme e documenti programmatici dell’Unione europea, che insistono sull’importanza del dialogo fra autorità e cittadini e sulla necessità che questi ultimi partecipino anche all’analisi dei rischi integrando (non certo sostituendo) il contributo degli esperti. E’ bene chiarire subito che riconoscere l’importanza del dialogo e la centralità della fiducia implica una revisione radicale del rapporto fra autorità e cittadini, che non si realizza semplicemente apprendendo e applicando una serie di tecniche comunicative. Queste possono certamente risul- RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE tare utili per capire e per farsi capire meglio, per recepire il feedback e per correggere il proprio messaggio in modo che venga compreso, migliorando al contempo anche le pubbliche relazioni. Tuttavia esse da sole non sono sufficienti a costruire un rapporto di fiducia, se non vi è, da parte di tutti, la disponibilità di fondo ad ascoltare, a mettersi in discussione ed eventualmente a rivedere i propri presupposti, i propri atteggiamenti, le proprie convinzioni, le proprie conclusioni. In particolare, quando si tratta di tecnologie (vecchie o nuove) che implicano la messa in gioco di interessi economici notevoli, le questioni di rischio e sicurezza si intrecciano saldamente con altre (e ne sono spesso inseparabili), relative, in ultima analisi, alla fiducia: fiducia nei sistemi esperti, ma anche e soprattutto nei sistemi regolativi e di gestione. La gente porrà domande su chi finanzia la ricerca, chi finanzia le applicazioni tecnologiche, chi è responsabile della gestione, chi, in caso di danni, verrà chiamato a risponderne, legalmente, economicamente e moralmente. E poiché in una società democratica l’informazione (e anche la disinformazione) circolano con facilità, è ingenuo pensare di presentare solo gli aspetti positivi di certe tecnologie, occultandone o semplicemente ignorandone i potenziali impatti negativi. Alle voci tranquillizzanti dei soggetti che promuovono una certa scelta se ne contrapporranno immediatamente altre, preoccupate o addirittura allarmistiche. Più o meno consapevolmente, la gente valu- terà sia la congruenza interna di un certo messaggio sia quella fra messaggi diffusi da fonti diverse. Inoltre – cosa che si tende a dimenticare – i giudizi sull’affidabilità di un certo attore si formeranno sulla base di un «record comunicativo» di maggiore o minore congruenza: «Come mai oggi affermi qualcosa di diverso da ieri?»; «Come mai oggi ammetti che ci sono dei rischi, ancorché minimi, quando fino a ieri affermavi che qualunque preoccupazione era pura fantasia?»; «Come mai fai riferimento a uno studio i cui risultati non sono del tutto tranquillizzanti, solo dopo che un altro attore lo ha citato, mentre prima non ne avevi fatto cenno?». Si tende a dimenticare anche che la congruenza comunicativa non si misura solo in base ai messaggi verbali: il record sulla base del quale si formano i giudizi include i comportamenti che si sono tenuti, oltre alle informazioni che si sono diffuse, e i primi hanno un peso ben maggiore delle seconde: «Come mai, se non c’è alcun rischio, non mandi i tuoi bambini alla scuola accanto all’antenna per la telefonia mobile?»; «Come mai la linea ad alta tensione passa accanto ai quartieri popolari e non tocca quelli residenziali?». CAPITOLO 2 FILOSOFIA DELLA COMUNICAZIONE Una formula sintetica Il rifiuto o la diffidenza che spesso la gente manifesta verso la tecnologia contemporanea riflettono dunque la percezione di una minaccia e di una mancanza di conoscenza e di controllo, nonché il sospetto che interessi particolari, di tipo economico o altro, condizionino la ri- cerca, le sue applicazioni tecnologiche, l’analisi e la gestione dei rischi. Tutto ciò va unito al timore che qualora dovessero verificarsi danni, l’onere della prova spetterà a chi li ha subiti e che, verosimilmente, essi non saranno riconosciuti e tanto meno risarciti. La seguente formula, proposta da Peter Sand- man della Rutgers University,4 sintetizza efficacemente la situazione RISK = Hazard + Outrage laddove con «hazard» ci si riferisce agli aspetti prettamente tecnici del rischio e con «outrage» (letteralmente «sdegno») a quelli non tecnici. Note 1. Classico è il lavoro di Paul Slovic, Baruch Fischhoff e Sara Lichtenstein «Cognitive Processes and Societal Risk Taking», in J.S. Carrol e J.W. Paine (a cura di), Cognition and Social Behavior, Potomac, MD, Erlbaum, 1976, pp.165-184. Per un resoconto aggiornato si veda James Flynn, Paul Slovic, Howard Kunreuther (a cura di), Risk, Media, and Stigma: Understanding Public Challenges to Modern Science and Technology, Earthscan Publications Ltd., London, 2001. Per una sintesi in italiano, si veda B. De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungaro, Il rischio ambientale, Il Mulino, Bologna, 2001 (in particolare il cap. 3). 2. Per chiarire ciò che qui si intende, si veda la seguente citazione tratta dalla rivista Nature: «Ma giudizi devono essere espressi in molti stadi, anche in studi che si suppongono oggettivi. L’estrapolazione da modelli animali a impatti sull’uomo porta con sé delle incertezze; supposizioni apparentemente ragionevoli possono rivelarsi disastrosamente sbagliate [...]. Anche la selezione di appropriate misure di impatto necessita di essere considerata con attenzione: il rapporto morti accidentali di lavoratori per tonnellata prodotta dall’industria del carbone statunitense è andato calando negli ultimi anni, ma il rapporto fra morti accidentali e numero dei lavoratori è andato crescendo. [...] In breve, anche un’analisi del rischio altamente oggettiva è gravata di giudizi che richiedono un esame minuzioso» [«Risk and the Inadequacy of Science», Nature 385, 1997, p. 1 [Traduz. nostra]. 3. Ne citiamo alcuni, solo a mo’ di esempio: il Sesto programma d’azione per l’ambiente, COM(2001)31-2 [http://europa.eu.int/comm/environment/newprg/index.htm]; il Libro bianco Commissione sulla governance, COM(2001) 428, Bruxelles, 25.7.2001 [http:// europa.eu.int/comm/governance/white_paper/index_en.htm]; la Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, COM (2001) 1, 02.02.2000 [http://europa.eu.int/ comm/dgs/health_ consumer/library/pub/pub07_en.pdf]; il Piano d’azione della Commissione su «Scienza e società» del 2002 [http://www.cordis.lu/ science-society]. Sono numerosissime anche le direttive, recepite nella legislazione nazionale, in cui la partecipazione del pubblico è non solo raccomandata, ma prescritta, ad esempio in materia di rischi industriali, nucleari, legati alla produzione di energia, relativi alla filiera alimentare, ecc. Merita di essere ricordata anche la pubblicazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, European Environment Agency (2001), Late lessons from early warnings: The precautionary principle 18962000, Luxembourg, Office for Official Publications of the European Communities [http://www.eea. eu.int]. I casi illustrano i tipi di errore in cui si può incorrere nella valutazione e nella gestione dei rischi e dimostrano come anche la conoscenza «laica» possa offrire un contributo importante nei processi decisionali. 4. P. M. Sandman, «Hazard Versus Outrage: a Conceptual Frame for Describing Public Perception of Risk», in H. Jungermann, R.E. Kasperson, P. Wiedemann, Risk Communication, Forschungzentrum Julich: 163-168. CAPITOLO TERZO La comunicazione sul rischio elettromagnetico di Luca Carra In nessun altro caso come nei campi elettromagnetici vale l’affermazione secondo la quale il rischio per gli «esperti»1 è di dimensioni assai ridotte e per i «non esperti» può essere molto alto. Da una recente analisi condotta dall’ARPAV sulle percezioni dei temi ambientali da parte dei cittadini del Veneto («L’ambiente e i cittadini del Veneto. Comportamenti, conoscenze, percezioni») emerge che, relativamente ad altri rischi, il cosiddetto inquinamento elettromagnetico viene percepito in realtà come meno grave rispetto a inquinamento da traffico, inquinamento industriale, da amianto e diminuzione dell’acqua potabile. Tuttavia, per una buona percentuale degli intervistati (81%) i campi elettromagnetici rappresentano un problema per l’ambiente e la salute dell’uomo; principalmente perché causano malattie (55%). Le persone più sensibili al problema sono gli anziani; la fonte principale delle informazioni in materia sono i telegiornali (52%). Tra gli elettrodomestici che vengono reputati più dannosi per la salute svetta il cellulare (87%). Specularmente un Focus Group condotto a cura dell’ARPAV a Teolo nell’ottobre 2001 (in preparazione di questo corso), rivolto a sindaci, funzionari pubblici, medici e altri soggetti «competenti», ha messo in luce un profondo scetticismo nei confronti della natura nociva di tale inquinamento. Questo paradosso rende assai difficile, per i funzionari della pubblica amministrazione, agire e comunicare su questo tema senza incorrere in spiacevoli incidenti e incomprensioni. E’ quindi urgente riuscire a elaborare una strategia di comunicazione che consenta di riempire il vuoto informativo che esiste tra esperti e non esperti, cercando di riannodare un dialogo difficile alla ricerca di un possibile consenso. A questo fine è opportuno porsi alcune domande strategiche. Il diritto all’informazione ■ Stante questa polarizzazione del dibattito, ha senso porsi l’obiettivo di comunicare con la cittadinanza? La domanda non è peregrina, poiché secondo alcuni autori quello da esposizioni elettromagnetiche (antenne radiobase, ripetitori ed elettrodotti) sarebbe un «rischio fantasma»,2 sostanzialmente inesistente ma percepito come reale per una sorta di «disturbo sociogenico di massa».3 Gli stessi autori ritengono che la comunicazione del rischio in questi casi non può suonare che negativa e così facendo aumentare le resistenze e le reazioni avverse di quella categoria di cittadini che vede nei campi elettromagnetici qualcosa di profondamente nocivo. Meglio sarebbe non parlarne agendo piuttosto sui media affinché non continuino a propalare notizie allarmistiche e scorrette sull’argomento. In questo caso la strategia potrebbe essere di parlare d’altro, proponendo ai media la trattazione di rischi ben più gravi, quali il radon, il fumo, l’alimentazione sbilanciata, andando in questo modo a occupare lo spazio finora occupato dai campi elettromagnetici. TABELLA 1 Rischio stimato (esperti) LA MATRICE DELLE CONTROVERSIE TRA ESPERTI E PERSONE COMUNI Basso Medio Alto In realtà, come succede nel caso dei campi elettromagnetici ad alta e bassa frequenza, non parlarne alimenta sospetti sempre più gravi sulla trasparenza della pubblica amministrazione e fomenta il dubbio che dietro il silenzio si nascondano dati gravi e preoccupanti che si vogliono tenere nascosti. Questo effetto-censura ingigantisce, anziché moderare, la percezione del rischio. Un secondo motivo per cui è bene informare la cittadinanza è l’esistenza di uno specifico diritto-dovere a essere informati. Lo sancisce in primo luogo la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (833/1978). L’articolo 20 dice che le attività di prevenzione devono comprendere la comunicazione dei dati accertati sui fattori di rischio e la diffusione della loro conoscenza (nei Rischio percepito (non esperti) Basso Medio Alto Rischio elettromagnetico luoghi di lavoro e negli ambienti residenziali), sia direttamente sia attraverso gli enti locali. Il diritto a una informazione adeguata viene riconosciuto anche dalla legge 81/1998 («Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti») e da alcune leggi su specifici inquinanti quali la legge 277/1991 («Controllo di piombo, benzene e rumore»). Come osserva Marco Biocca «per motivi che mi sfuggono, in altre importanti leggi di interesse ambientale non compare alcun riferimento al dovere di informazione: si pensi alla legge quadro sull’inquinamento acustico; alla direttiva ministeriale per i piani del traffico (…). Neppure nella recente legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge 36/2001) compare alcun riferimento esplicito all’informazione dei cittadini. Questo esempio è ancora più sorpredente perché il problema dei rischi da campi elettromagnetici ha suscitato molta attenzione e discussione in questi anni e sotto il profilo della comunicazione del rischio rappresenta un caso molto significativo».4 La legge 241/1990 (diritto di accesso ai documenti amministrativi) sancisce inoltre un diritto di accesso alle informazioni, mentre la legge 150/2000 disciplina l’organizzazione dell’atti- RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE vità di informazione e di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni. Infine tali diritti di accesso all’informazione e di partecipazione del cittadino vengono sanciti con il decreto legge 39/1997 e con la legge 108/2001, che recepisce la Convenzione di Aahrus. Da questi cenni si vede che non solo informare, ma anche ascoltare l’opinione altrui si configura come un dovere per la pubblica amministrazione. In generale vale la legge secondo cui le decisioni prese insieme alla popolazione sortiscono effetti più duraturi delle decisioni prese isolandosi dall’opinione pubblica, e tenendo conto delle informazioni provenienti dalla comunità scientifica. L’attenzione sul rischio da parte della cittadinanza può essere interpretata anche come un modo per esprimere l’esigenza di partecipazione. Modelli di rischio ■ Perché esiste questa differenza di percezione tra esperti e pubblico sulla rilevanza del rischio da campi elettromagnetici? asimmetria di conoscenze tra pubblico ed esperti. Se il pubblico fosse in grado di comprendere il linguaggio della scienza si sposterebbe sulla Tabella 2 FATTORI DI PAURA ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Una risposta possibile, abbracciata da non pochi scienziati, è che la differenza è dovuta alla (BENNETT) In genere preoccupano di più e sono meno accettabili i rischi: ■ non volontari (es. l’esposizione all’inquinamento) rispetto a quello volontari (es. sport pericolosi o il fumo) ■ distribuiti in modo diseguale (alcuni ne beneficiano mentre altri ne soffrono le conseguenze) ■ ineludibili, anche prendendo precauzioni con origini non note o nuove derivanti da cause umane e non da fonti naturali che causano danni nascosti e irreversibili (es. determinano l’insorgere di malattie molti anni dopo l’esposizione) particolarmente pericolosi per i bambini o per le donne incinte, o in generale per le generazioni future che possono portare a forme di morte (o di malattie) particolarmente temute che danneggiano vittime identificabili e non anonime poco compresi dalla scienza oggetto di affermazioni contraddittorie da parte delle fonti responsabili (o, peggio, della stessa fonte) posizione minimalizzatrice degli esperti rassicurandosi sul reale impatto sanitario dei campi elettromagnetici, che è sostanzialmente nullo. Un’altra possibile risposta è che la differenza nasce dal senso radicalmente diverso che le due comunità danno al concetto di rischio, da cui seguono diverse valutazioni: per gli esperti il rischio si fa spiegare in termini probabilistici, e considera l’effetto sull’insieme della popolazione. Gli eventi avversi vengono contati e non ponderati (in base, per esempio, al fatto di conoscere o meno la persona, o al fatto che la vittima sia giovane o vecchia). Si accetta inoltre come costitutiva l’incertezza inerente alla scienza e si ragiona in base a prove; per i non esperti il rischio si traduce in esperienze, casi della vita reale. La prospettiva è individuale: le vittime non si contano ma si ponderano in base alla maggiore/minore vicinanza a sé. L’aneddoto ha la meglio sulla prova. Non si accetta l’incertezza scientifica. Si chiedono risposte cautelative su certe categorie di persone (bambini) e si manifestano preoccupazioni sulle generazioni future. Per il pubblico, la maggiore o minore sensibilità ai rischi dipende da una molteplicità di variabili che vengono riassunte nella tabella a fianco:6 CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO ELETTROMAGNETICO Una efficace strategia comunicativa, volta a costruire il consenso sulla gestione del rischio da campi elettromagnetici, si deve quindi porre alcuni obiettivi: b. Individuare i soggetti del pubblico con cui entrare in relazione. Sono i gruppi di cittadini che hanno sollevato il problema, per esempio della localizzazione di un’antenna radiobase della telefonia cellulare, i medici, le associazioni e gli esperti che a vario titolo supportano l’azione del gruppo, i giornalisti, che dalla relazione con il gruppo traggono materia di racconto e di inchiesta. a. Conoscere le prove degli esperti e comprendere le ragioni degli oppositori a un determinato progetto. E’ opportuno quindi entrare in relazione con organismi scientifici istituzionali (vedi Istituto Superiore di Sanità, CNR, OMS, ICNIRP) sui quali appoggiarsi per l’autorevolezza della parte scientifica. Nel contempo sono utili strumenti di analisi delle opinioni quali focus group e indagini di popolazione per mettere a fuoco le ragioni dell’opposizione al singolo progetto. In questo senso risulta utile capire quanto il fattore «rischio per la salute» sia sentito come primario o come strumentale al raggiungimento di un fine che ha una valenza diversa. In alcuni casi, infatti, la battaglia sul rischio salute subentra quale argomento retorico per avere più adesioni a una battaglia che muove da presupposti diversi: contro un’infrastruttura possono esserci ragioni di tipo paesistico, economico (valore immobiliare), ecc. c. Elaborare un piano di comunicazione direttamente sul pubblico e sui media. Siamo dunque arrivati al che fare: che cosa dire, come dirlo, quando dirlo, attraverso quali mezzi e in che contesti di relazione con il pubblico. Un piano di comunicazione ■ Che cosa dire? E’ impossibile dettare regole su cosa dire a prescindere dalle situazioni concrete nelle quali ci si trova. Molto di quanto si va a dire è in risposta alle domande e alle istanze dei cittadini, anche se sarebbe buona regola non rincorrere ma precedere tali domande. Per far questo bisogna definire con precisione gli obiettivi della comunicazione. a. In primo luogo non si deve nascondere il carattere intrinsecamente incerto delle conoscenze in materia. La stima del pubblico nasce anche dalla percezione di avere un interlocutore istituzionale che impronta la sua azione alla trasparenza. La gente si aspetta di essere informata e tutelata rispetto ai possibili rischi. b. La coerenza tra i messaggi e i comportamenti è un altro punto importante del processo di comunicazione. Se per esempio si teorizza il controllo delle emissioni inquinanti e poi non si effettuano tali controlli, la fiducia del pubblico viene meno. c. Come amministrazione pubblica, prediligere i contenuti che riguardano la propria attività rispetto a contenuti scientifici generali, sui quali si viene facilmente portati nella discussione pubblica. A questo proposito, uno dei temi che è prioritario affrontare con il pubblico è quello del controllo delle esposi- RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE zioni. E’ importante spiegare nel modo più chiaro che la pubblica amministrazione, con le sue articolazioni tecnico-scientifiche, sta lavorando seriamente per monitorare le esposizioni a questi campi, ritenuti pericolosi oltre una certa soglia. In tutte le esperienze svolte in Italia, il monitoraggio costante delle esposizioni, con la produzione di mappe del rischio, è sempre stato un elemento apprezzato dalla popolazione, comunque un punto di partenza importante per negoziare un accordo. Nella Regione Veneto tale monitoraggio viene effettivamente svolto dall’ARPAV e in particolare dai sette Dipartimenti Provinciali competenti per territorio per quanto riguarda le misure sul campo e le valutazioni modellistiche preventive a successive installazioni. Inoltre, ad opera dell’Osservatorio Regionale Agenti Fisici (ORAF), sono in fase di elaborazione degli indicatori di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, oltre alla raccolta periodica di una serie di informazioni sintetiche inerenti i vari aspetti del rischio da campi elettromagnetici, utili per una fotografia sempre aggiornata della situazione regionale. Per le basse frequenze (elettrodotti) si è prodotto un catasto delle linee elettriche di alta tensione (quasi interamente popolato) e lo si è incrociato alle sezioni di censimento ISTAT arrivando a stimare con una certa approssimazione la percentuale della popolazione che vive a un livello di esposizione superiore a 0,2 microtesla (livello di esposizione della legge regionale, non ancora soppiantata dal DPCM nazionale approvato nel 2003, che sposta tale soglia a 3 e 10 microtesla). Nella zona di Verona l’ORAF ha calcolato un tasso di circa il 2% di popolazione con livelli di esposizione superiori ai cautelativi 0,2 microtesla.7 Per le alte frequenze (antenne radiobase e ripetitori) si è messo a punto uno strumento di simulazione (progetto Etere) per stimare i livelli di esposizione ai campi elettrici generati dalle installazioni; da esso e dai controlli eseguiti sul campo risulta, in sostanza, che il problema degli sforamenti della soglia di legge di 6 Volt/metro non si pone quasi mai per le antenne radiobase, mentre si pone in diversi casi per i ripetitori radiotelevisivi. Per l’intera regione, è possibile stabilire, incrociando sem- pre le mappe dei livelli di campo generati dagli impianti con le sezioni del censimento ISTAT, la distribuzione della popolazione rispetto ai valori di campo elettrico, da correlare con i limiti di legge; 8,9 il test effettuato sul comune di Verona dà indicazione di un valore medio di campo elettrico intorno a 0,6 Volt/metro. Il principio di precauzione ■ Nelle discussioni pubbliche sugli effetti dei campi elettromagnetici, così come su altri rischi, spesso viene invocato il «principio di precauzione». Che cos’è esattamente? E’ giustificabile nel caso dei campi elettromagnetici? Di principio di precauzione parla per la prima volta la Dichiarazione di Rio, del 1992, all’interno dell’Agenda 21, nel modo seguente: «Per proteggere l’ambiente, gli stati devono prendere misure precauzionali secondo le loro capacità. In caso di rischio di danno grave e irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire come pretesto per rinviare l’adozione di misure effettive che mirino a prevenire il degrado dell’ambiente». CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO ELETTROMAGNETICO Negli anni il principio si è andato meglio definendo come uno dei cardini della politica ambientale della Unione Europea.10 In sostanza, esso «implica un insieme di regole finalizzate a impedire un possibile danno futuro, prendendo in considerazione rischi tuttora non del tutto accertati».11 Questo principio riguarda quindi sia la valutazione, sia la gestione, sia la comunicazione dei rischi incerti. Infatti, quando un agente presenta un rischio accertato per la salute, scattano norme preventive. La precauzione si applica a rischi di natura incerta, ma – si potrebbe aggiungere – non così incerta da essere semplici congetture di qualche ricercatore. Caratteristiche salienti del principio di precauzione sono «l’aspetto dell’anticipazione, l’ascolto delle preoccupazioni del pubblico e una modalità di gestione del rischio che tenga conto delle istanze etiche oltre che di quelle tecnologiche ed economiche».12 Sull’applicabilità o meno di tale principio al rischio elettromagnetico c’è controversia. Alcuni sono favorevoli, altri ritengono che adottare approcci precauzionali in materia non faccia che rinforzare le preoccupazioni della popolazione a fronte di un rischio minimo, se non inesistente.13 Una possibile via d’uscita da questa diatriba viene indicata da molteplici esperienze locali, in cui diversi enti hanno applicato misure di prudent avoidance sui campi elettromagnetici. Va sottolineato in questo senso il ruolo di supporto tecnico-informativo spesso esercitato dall’ARPA nei confronti degli organi decisori: va da sé l’azione istituzionale di individuazione di situazioni di non conformità alle soglie di legge e il supporto per il risanamento. Si pensi, in aggiunta, al controllo sistematico sviluppato dall’ARPAV sugli impianti per telefonia mobile, tramite lo strumento Etere, che consente di rappresentare la distribuzione dell’esposizione al campo elettrico segnalando le aree di maggiore intensità, ovvero di ottimizzare le installazioni sul territorio attraverso piani di localizzazione.14 L’ARPA della Regione Toscana ha seguito una gestione del rischio simile, monitorando i campi elettromagnetici a bassa frequenza e adottando misure atte a riportarli al livello di esposizione di 0,2 microtesla, obiettivo di qualità specificato dalla legge regionale toscana 51/99. A questo fine l’ARPAT ha individuato diverse tipologie di intervento in ordine decrescente di complessità e impatto economico: a. spostare la linea elettrica su un tracciato alternativo in modo da ridurre le esposizioni b. spostare dalle aree urbane le cabine primarie di trasformazione in modo da evitare che le linee passino vicino alle aree residenziali c. ottimizzare la disposizione delle fasi per linee in doppia terna d. ottimizzare la disposizione delle fasi rispetto alla gestione dei flussi di energia in presenza di due linee (in molte situazioni sullo stesso sostegno vengono installate due linee distinte. In questo caso è possibile ottimizzare le fasi conoscendo il verso dei flussi di energia). Adottando, a seconda dei casi, le soluzioni A, B, C, o D in varie situazioni territoriali, l’ARPAT è riuscita, con spese contenute, a minimizzare RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE le esposizioni per una popolazione interessata di circa 1500 persone.15 Recependo il valore positivo di queste esperienze, è in fase di avanzata elaborazione una nuova bozza di documento dell’OMS dedicato alla adozione di politiche precauzionali in caso di rischi incerti.16 Il documento chiarisce che un approccio precauzionale (Precautionary Framework), a differenza di una compiuta gestione del rischio (Risk Management), non si basa solo su dati scientifici (che nel caso di rischi di natura incerta sono insufficienti) ma anche su informazioni di altro genere, tra cui ovviamente un calcolo rischi/benefici, osservazioni episodiche, ragionamenti per analogia con altri agenti rischiosi, percezioni del pubblico coinvolto nel problema. Tutti questi elementi devono integrarsi con i dati scientifici noti per dar vita a una valutazione del rischio in questione che tenga conto di molteplici fattori: ● quantificazione del danno, ● probabilità del suo verificarsi, ● elementi di incertezza, ● ubiquità dell’agente in esame, ● modalità di esposizione, ● diseguaglianze nella distribuzione dell’esposizione, ● ● ● gravità reale o simbolica della malattia in questione e disagio psicologico associato all’esposizione, valore etico-culturale che si assegna alle potenziali vittime dell’esposizione (in molte società, per esempio, i bambini e le fasce più vulnerabili godono di uno statuto particolarmente elevato), natura volontaria o involontaria dell’esposizione. In base a questi parametri è possibile stilare un calcolo costi/benefici per decidere quali azioni intraprendere per minimizzare questo rischio. A seconda che la severità del danno e il grado di certezza del rischio in questione siano giudicati più o meno elevati si procederà da un minimo (“non fare niente”) a un massimo (“bandire l’agente in esame”), passando attraverso gradi intermedi di risposta, tra cui: un attento monitoraggio dell’esposizione; programmi di comunicazione intesi a rendere la popolazione edotta delle caratteristiche del rischio; nuove norme protettive; tecniche di mitigazione delle esposizioni, ecc. In linea generale, secondo il documento OMS, le misure che vengono eventualmente adotta- te in base al principio di precauzione devono essere: ● proporzionate al livello di tutela che si intende garantire, ● non discriminatorie nella loro applicazione, ● coerenti con le misure adottate in casi analoghi in presenza di dati adeguati, ● basate su un bilancio costo-beneficio basato anche, dove possibile, su valutazioni di tipo economico, ● soggette a revisione periodica alla luce dei nuovi dati scientifici. Come comunicare ■ Come dire le cose? Cenni sul linguaggio più appropriato per una comunicazione con il pubblico. Il linguaggio dev’essere lo stesso degli interlocutori. Quindi non rigorosamente scientifico ma comune; non gergale né tecnicistico bensì discorsivo e comprensibile. Prima ancora di dare regole linguistiche – compito solo in parte realizzabile – bisogna partire dalla constatazione di fondo della differenza di percezione del rischio tra tecnici e non tecnici, prima riportata: quan- CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO ELETTROMAGNETICO do parla di rischio, il tecnico privilegia un’ottica di popolazione, mentre il cittadino si riferisce a una prospettiva individuale.10 Da ciò consegue la necessità di una attenzione maggiore al caso singolo, alla traduzione dei dati a dimensioni quantitative più semplici e riferibili al singolo. a.L’uso della statistica e dei numeri il più delle volte ha sul pubblico un effetto annebbiante. In primo luogo bisogna evitare l’iperprecisione: non serve, per esempio, riportare più di un decimale nelle statistiche. b. Nel riferire di studi epidemiologici, è molto meglio dare rischi assoluti rispetto a rischi relativi, cioè il numero delle persone colpite da un certo effetto piuttosto che l’aumento percentuale di rischio. A questo proposito, l’Istituto Superiore di Sanità aveva calcolato che il numero annuo di leucemie infantili attribuibili a campi elettromagnetici a bassa frequenza era, in base agli studi epidemiologici svolti, di circa tre unità all’anno in Italia. Tabella 3 SCALA DI GRANDEZZA DEI RISCHI Possibile Grandezza atteggiamento del rischio lativo, questo va contestualizzato dando il rischio di base (vale a dire la frequenza del- schi non omogenei, per esempio, rischi volontari con altri imposti da terzi (per es. fumo con campi elettromagnetici). Più in generale, qualsivoglia confronto fra rischi può facilmente erodere la fiducia e la credibilità acquistata con il pubblico, perché si presta a gravi fraintendimenti e strumentalizzazioni. Non è mai corretto scagionare una fonte di rischio mettendola in rapporto a rischi più gravi che già accettiamo. Tale situazione spinge piuttosto a rigettare qualsiasi nuovo rischio aggiuntivo! Frequenza attesa Non 1:1 accettabile 1:10 In ogni individuo Uno per famiglia 1:100 Uno ogni strada Uno ogni paese Fascia di 1:1000 Uno ogni città piccola attenzione 1:10 000 1:100 000 Uno ogni città media Uno ogni città grande Accettabile 1:1 000 000 1:10 000 000 Uno ogni regione 1:100 000 000 Uno ogni nazione 1:1 000 000 000 Uno ogni continente 1:10 000 000 000 Uno al mondo l’evento considerato). Dire, per esempio, che nel caso delle esposizioni ai campi elettromagnetici a bassa frequenza, si corre un rischio raddoppiato di leucemia infantile, è un’informazione fuorviante se non si aggiunge quanto è la probabilità di contrarre una leucemia infantile. Raddoppiare una quantità infima, infatti, è molto diverso che raddoppiare una probabilità assai comune. d.Bisogna sempre essere in grado di trasforc.In ogni caso, laddove si parla di un rischio re- e.E’ molto pericoloso confrontare tra loro ri- mare le scale di grandezza dei rischi in termini comprensibili, traducendo i numeri in aggettivi e metafore (si veda la tabella 3). ■ Come comportarsi con i media? Attraverso i media si arriva alla cittadinanza, ma non necessariamente nei termini in cui ci si voleva arrivare. E’ bene quindi da un lato sviluppare – anche attraverso uffici di comunicazione e stampa – una migliore conoscenza con i giornalisti, e dall’altro perseguire anche una comunicazione diretta con il pubblico. I giornali, le radio, le televisioni, sono macchine che producono notizie con una forte predilezione per contenuti non banali, nuovi, imprevisti, possibilmente a forte impatto emotivo. Dif- RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE Tabella 4 LE MOLLE CHE SCATENANO I MEDIA (BENNET) ■ ■ Un rischio possibile per la salute pubblica diventerà più facilmente un caso di cronaca se saranno presenti alcuni dei seguenti fattori: ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Qualcosa/qualcuno da biasimare Presunti segreti o tentativi di insabbiare Interessi umani identificabili con precise figure: l’eroe, le vittime, il cattivo, il credulone, ecc. Legami con importanti personalità o con temi molto dibattuti Conflitti Possibili mali futuri Alto numero delle persone esposte al rischio, se pure ad un livello basso Forte impatto visivo (es. fotografie di persone sofferenti) Connessioni con il sesso e/o il crimine ficilmente bastano rassicurazioni generiche per giustificare l’uscita di un articolo che ridimensioni un rischio. Nel caso dei campi elettromagnetici e di altri rischi i media hanno avuto un ruolo centrale nell’amplificazione sociale del rischio. nuovi dati e novità, enfatizzando il fatto di aver riportato a norma impianti, o di aver completato mappe del rischio, cui allegare un’interpretazione corretta ma comprensibile. c. Importante parlare attraverso personaggi ria. E’ importante quindi sviluppare un rapporto di consuetudine con i giornalisti dando loro dati, mappe e materiale già lavorato in senso divulgativo affinché siano spinti a utilizzarlo efficacemente nei loro servizi. conoscibili e credibili, da investire del ruolo di “paladino” della precauzione dai rischi ambientali per conto della pubblica amministrazione. d. Non aspettare a dover difendersi da accuse, b. Utile, a questo proposito sarebbe tenere conferenze stampa periodiche per proporre rimostranze ecc. ma andare al confronto con le proprie strategie. Chi l’ha detto che una pubblica amministrazione debba essere conservatrice e non piuttosto proattiva nella difesa della salute dei cittadini attraverso attività di controllo e prevenzione? ■ Con quali materiali arrivare direttamente agli interlocutori? Accanto a quanto viene detto in occasione di incontri pubblici e in occasioni di articoli o servizi giornalistici, è utile creare un set di documenti sul tema per il pubblico più generale (che vale anche per i media). a. A monte è utile prevedere uno o più rapporti tecnici sintetici e comprensibili, ma abbastanza precisi, da mettere sul sito internet dell’istituzione e da far conoscere ai principali soggetti interessati al tema. b. Altre brochure, documenti in power-point e locandine possono essere pensati – meglio se realizzati sotto il profilo redazionale e grafico da professionisti dell’editoria – per un pubblico selezionato in grado di diffondere i contenuti al resto della popolazione. Costoro, che alcuni definiscono «cittadini competenti»,18 CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO ELETTROMAGNETICO sono insegnanti, medici, dirigenti di associazioni, professionisti, politici, sindacalisti ecc. ■ Quando iniziare a parlare e quanto a lungo parlarne? Le grandi emergenze tipo Chernobyl, mucca pazza, ecc. hanno insegnato che tutto ciò che viene detto con un ritardo superiore ai dieci giorni viene letto dall’opinione pubblica come un’ammissione di colpevolezza, o quanto meno di collusione e ignavia, da parte della pubblica amministrazione. c. Solo nel caso si ritenga importante contrastare il messaggio sul tema fatto passare dai media, si può prevedere di andare direttamente su tutto il pubblico con materiali ad hoc, caratterizzati da forte chiarezza e sinteticità del messaggio, che rimanda per eventuali approfondimenti ai documenti del livello illustrato in (b). Tali strumenti di comunicazione possono essere sia cartacei (locandine, dépliant da inviare a casa) sia audiovisivi per una trasmissione attraverso radio e televisioni locali. Anche un numero verde che risponda ai dubbi della popolazione può essere uno strumento adeguato a entrare nel merito dei contenuti, sempre che il servizio sia prestato in modo efficiente. La comunicazione deve essere tempestiva e proattiva, cioè non rincorrere ma anticipare le proteste. ● La comunicazione deve essere continuativa: non serve a niente impostare una campagna di comunicazione per poi abbandonarla dopo qualche mese. Fino a che ci sarà il problema, è un dovere tenere attivi canali di comunicazione con il pubblico. ● ■ Come creare e, soprattutto, mantenere, un clima di fiducia con il pubblico e un’immagine di credibilità come istituzione? Nessun contenuto, informazione, per quanto corretta essa sia, possono nulla se non c’è un clima di fiducia con l’interlocutore. Riportiamo nelle pagine seguenti le sette «regole cardinali» per cercare di «immergere» la comunicazione in un clima propizio.19 ■ Come verificare se la comunicazione approntata è stata efficace o meno? L’unico modo per migliorare le proprie capacità comunicative e avere un riscontro di quanto fatto consiste nel monitorare la comunicazione. A fine campagna, sarebbe opportuno quindi condurre analisi sulla percezione del problema da parte della popolazione interessata e, parallelamente, condurre focus group mirati per misurare eventuali cambiamenti nella consapevolezza del problema. Come ricordato all’inizio di questo capitolo, entrambi gli strumenti sono stati sperimentati dall’ARPAV in merito alla percezione dei campi elettromagnetici. L’analisi della percezione pubblica RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE LE «SETTE REGOLE CARDINALI» PER LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO 1 Accettare e coinvolgere il pubblico considerandolo interlocutore legittimo a tutti gli effetti ● Coinvolgere tutti i soggetti interessati o portatori di interessi ricordando che ognuno ha i propri interessi, bisogni, priorità, preferenze e organizzazioni. ● Dimostrare rispetto per gli interlocutori e sottolineare la sincerità dell'impegno comunicativo coinvolgendo la comunità fin dalle fasi iniziali e comunque prima che vengano prese importanti decisioni. ● Rendere evidente che nel prendere le decisioni fondamentali vengono presi in considerazione tutti i fattori e non solo la grandezza del rischio. 2 Programmare accuratamente il processo comunicativo e valutare i risultati ● I differenti gruppi coinvolti hanno obiettivi diversi e richiedono strategie comunicative diverse. Iniziare con obiettivi semplici e chiari quali offrire informazioni, motivare le persone ad agire, stimolare un comportamento in caso di emergenza o contribuire alla soluzione di un conflitto. ● Considerare l'informazione disponibile su un rischio e conoscere la sua forza e i suoi punti deboli. ● Classificare e segmentare gli interlocutori in modo da indirizzare la comunicazione in modo preciso. ● Utilizzare per la comunicazione persone capaci di presentare bene i problemi e di interagire con gli interlocutori. ● Curare la formazione delle persone, compresi i tec- nici, incaricate di svolgere compiti di comunicazione. ● Fare una verifica preliminare, se possibile, del messaggio da comunicare. ● Valutare accuratamente gli sforzi effettuati e imparare dagli errori commessi. 3 ● Ascoltare gli interlocutori Le persone sono spesso più attente alla fiducia, alla credibilità, al controllo, alla competenza, alla volontarietà, all'equità e alla compassione che alle statistiche di mortalità o ai dettagli sulla stima quantitativa del rischio. ● Non ci si può aspettare che gli interlocutori ascoltino se non li si è ascoltati. ● Non bisogna fare assunzioni affrettate su ciò che i soggetti coinvolti conoscono, pensano o desiderano che venga fatto sui rischi. ● Occorre, invece, dedicare tempo e risorse a indagare su ciò che le persone pensano utilizzando tecniche come le interviste, i focus group e le indagini di popolazione. ● Permettere a tutte le parti in causa di essere ascoltate. ● Riconoscere i sentimenti delle persone. Far capire che si comprendono gli argomenti e le preoccupazioni degli interlocutori e li si considerano alla pari dei propri. ● Riconoscere gli elementi nascosti, i significati simbolici e le considerazioni di carattere più generale di ordine economico e politico che spesso sottostanno e complicano i processi comunicativi. 4 Essere onesti, franchi e aperti ● La fiducia e la credibilità sono le basi più solide su cui costruire la comunicazione e anche le più difficili da ottenere. Se vengono perdute è quasi impossibile riconquistarle. ● Presentarsi senza aspettare automaticamente di essere creduti. ● Se non si conosce una risposta o si è incerti è meglio dirlo. ● Tornare dalle persone con la risposta alle domande cui non si era risposto in precedenza. ● Ammettere gli errori. Rendere nota l'informazione appena possibile sottolineando eventuali riserve sull'attendibilità. Se in dubbio è meglio condividere più informazioni che essere accusato di nasconderne. Discutere le incertezze sui dati, la rilevanza e i punti critici, anche di quelli identificati da altri soggetti credibili. Descrivere le stime peggiori come tali e considerare il range nelle stime quando è il caso. 5 Coordinarsi e collaborare con altre fonti credibili ● Le alleanze possono essere importanti. I conflitti e le divergenze in pubblico tra fonti credibili sono uno dei principali problemi per la comunicazione del rischio. ● Dedicare tempo e risorse per costruire relazioni e collaborazioni con le altre organizzazioni e per coordinare in modo integrato le comunicazioni. ● Utilizzare intermediari credibili e autorevoli. ● Cercare di diffondere comunicazioni congiunte con CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO ELETTROMAGNETICO altre fonti autorevoli e credibili (esperti universitari, medici, funzionari di enti pubblici riconosciuti). 6 Andare incontro alle esigenze dei mezzi di informazione ● I mezzi di informazione sono un trasmettitore primario di informazioni. Essi svolgono un ruolo critico nel definire la priorità degli argomenti e nel determinare l'effetto. Essi sono spesso più interessati alla politica che alle statistiche, più alla semplicità che alla complessità, più al pericolo che alla sicurezza. ● Occorre, quindi, essere aperti e disponibili nei confronti dei giornalisti. Rispettare i loro tempi, molto stretti di solito. ● Offrire le informazioni in modi utili per ogni tipo di media (ad esempio: fotografie, grafici e altri sussidi audiovisivi per la televisione). ● Preparare in anticipo e offrire materiale informativo di base sulle questioni più complesse e importanti. ● Garantire la continuità della comunicazione su un episodio, indipendentemente dai risultati positivi o negativi. Cercare di stabilire relazioni stabili di fiducia e collaborazione con giornalisti ed editori. 7 ● Esprimersi con chiarezza e passione Il linguaggio tecnico e gergale può essere utile per facilitare le comunicazioni tra esperti, ma è un ostacolo all'efficacia della comunicazione con gli altri interlocutori. Se le persone sono motivate sufficientemente sono anche abbastanza in grado di comprendere infor- mazioni complesse sui rischi anche se sono in disaccordo. ● Occorre, quindi, usare un linguaggio semplice, non tecnico, usare immagini concrete e comprensibili adatte a una comunicazione a livello personale. È utile usare esempi e aneddoti che danno vita ai dati tecnici sui rischi. È, invece, opportuno evitare un linguaggio distante, astratto, scostante su temi come la morte, gli infortuni e le malattie. Riconoscere e rispondere, a parole e nei fatti, alle emozioni che il pubblico esprime come l'ansia, la paura, la rabbia, l'oltraggio, il bisogno di aiuto. ● Riconoscere e rispondere in merito alle distinzioni che il pubblico giudica importanti nella valutazione del rischio come la volontarietà, la controllabilità, la familiarità, la paura, la causa (naturale o umana), i benefici, l’equità e il potenziale catastrofico. ● È utile utilizzare paragoni tra i rischi per aiutare a vedere i rischi in prospettiva, ma è controindicato fare paragoni che ignorano elementi di distinzione che le persone considerano importanti. ● Cercare di includere sempre una descrizione delle azioni che sono state intraprese o delle decisioni adottate. Dire con chiarezza cosa non si può fare. ● Promettere solo ciò che si può mantenere e assicurarsi che venga fatto. ● Non lasciare mai che gli sforzi che si fanno nell'informare sui rischi inducano a dimenticare di riconoscere e manifestare che ogni malattia, infortunio o morte è una tragedia. ● In ogni caso, indipendentemente dagli sforzi, vi sarà sempre qualcuno insoddisfatto. dei rischi si basa su una selezione ponderata della popolazione in modo da ottenere un campione rappresentativo della stessa, cui somministrare un questionario. Un’analisi quali-quantitativa di questo genere può essere riproposta in modo più mirato sui campi elettromagnetici su piccole popolazioni locali prima e dopo una campagna di comunicazione, in modo da verificare l’impatto della stessa sulla cittadinanza. Lo strumento del focus group si integra con l’analisi della percezione del rischio, svolgendo un’analisi qualitativa in profondità su una decina di persone tramite questionari, giochi di ruolo, libere discussioni e altre tecniche. Si svolge generalmente in una giornata e si dimostra particolarmente utile per far emergere i punti critici di un tema. RISCHIO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: COME COMUNICARE Note 1. 2. Uso il termini «esperti» tra virgolette per intendere la comunità tecnico-scentifica che, pur non avendo necessariamente nozioni precise sull’epidemiologia dei campi elettromagnetici (fisici, ingegneri, medici di famiglia ecc.), ha a che fare con l’informazione e talvolta la gestione di questo rischio. K. Foster, D. Bernstein, P. Huber, Phantom Risk. Scientific inference and the Law, Massachussetts Institute of Technology Press, 1993. 3. M. Fronte, «Il caso della Coca Cola: malattia sociogenica di massa?», Epidemiologia&Prevenzione 24(1) 2000. 4. M. Biocca, La comunicazione sul rischio per la salute, Centro scientifico editore, 2002. Devo a questo autore molti suggerimenti e ispirazioni per la trattazione del tema in questo opuscolo. 5. Si vedano i ricorrenti editoriali di Tullio Regge su Le Scienze. 6. P. Bennett, K. Calman, Risk communication and public health, Oxford University Press, 1999. 7. Flavio Trotti, Giampaolo Fusato, ARPAV (Direzione Area tecnico-scientifica – Osservatorio Agenti Fisici), Popolamento di indicatori di esposizione ai CEM, 2002. 8. Flavio Trotti, Marco Vassanelli, ARPAV (Direzione Area tecnico-scientifica – Osservatorio Agenti Fisici), Popolamento di indicatori di esposizione ai CEM, 2002. 9. F. Trotti, M. Vassanelli, C. Zampieri, ARPAV (Direzione Area tecnico-scientifica – Osservatorio Agenti Fisici), Controllo dell’inquinamento elettromagnetico sul territorio della Regione Veneto, 2002. 10. P. Kourilsky, G. Viney, Le principe de precaution, Rapport au premier ministre, Odile Jacob Edition, Paris, 2000. health/ph_determinants/environment/EMF/ conf_ february_2003_en.htm 14. F. Trotti, M. Vassanelli, C. Zampieri, op cit. 15. G. Licitra, N. Colonna, «Applicability of the precautionary principle to power lines: some successful case studies in Tuscany», Luxembourg, 24 Febbraio 2003, scaricabile dal sito internet http://europa.eu.int/ comm/health/ph_determinants/environment/EMF/c onf_february_2003_en.htm 16. WHO, «Precautionary Framework for Public Health protection», Draft for.review (2 maggio 2003), scaricabile dal sito dell’Organizzazione mondiale della sanità http://www.who.int/peh-emf/meetings/ Lux_PP_Feb2003/en/ 11. P. Comba, R. Pasetto, «Il principio di precauzione: evidenze scientifiche e processi decisionali», Epidemiologia&Prevenzione, in pubblicazione. 17. M. Biocca, La comunicazione sul rischio per la salute, Centro scientifico editore, 2002, pp.44-45. 12. Idem 19. V. Covello, F. Allen, Seven cardinal rules of risk communication, US EPA, Office of Policy Analysis, 1998. 13. Per una rassegna completa delle posizioni sul principio di precauzione e i campi elettromagnetici si vada al sito internet http://europa.eu.int/ comm/ 18. M. Biocca, op.cit. ARPAV Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto Direzione Generale: Piazzale Stazione 1 35131 Padova Italy Tel. +39 049 823 93 01 Fax. +39 049 660 966 e-mail: [email protected] www.arpa.veneto.it ISBN 88-7504-071-0