Psichiatria e Psicoterapia (2010) 29, 1, 47-53
IL DELIBERATE SELF-HARM INVENTORY (DSHI):
VALIDAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE DELLA VERSIONE ITALIANA
Mario Rossi Monti, Alessandra D’Agostino
Introduzione
Se si prendono in considerazione i dati epidemiologici relativi alla frequenza delle condotte
autolesionistiche negli ultimi venti o trent’anni, si nota come questi eventi siano diventati un vero
e proprio problema sociale nella popolazione generale (Welch 2001).
Da una ricerca del 2003 (Klonsky et al.) è emerso che circa 1 persona su 25, all’interno di un
ampio gruppo di soggetti apparentemente ben adattati e funzionanti e non affetti da alcuna patologia, presenta nella sua storia uno o più episodi di autolesionismo.
Il dato più preoccupante è che questo fenomeno è in forte crescita soprattutto tra i giovani.
Uno studio inglese (Hawton et al. 2002) ha documentato che, su circa 6000 ragazzi di 41 scuole
inglesi di età compresa tra i 15 e i 16 anni (a cui era stato somministrato un questionario anonimo), quasi il 7% riferisce di aver compiuto un atto autolesivo nell’anno precedente.
Dati analoghi sono emersi anche da uno studio più recente condotto sulla popolazione scolastica australiana (De Leo, Heller 2004): in un gruppo di studenti (età media = 15,4 anni) il
fenomeno dell’autolesionismo riguarda il 6,2% dei soggetti ed è prevalentemente rappresentato
dal tagliarsi (cutting). Uno studio condotto in Scozia (O’Connor et al. 2009) su oltre 2.000 adolescenti di 15-16 anni mostra il progressivo emergere del fenomeno: il 13,8% dichiara di avere
praticato condotte di autoferimento (il 71% nell’ultimo anno).
Uno studio relativo a quattro scuole del sud della Svezia (Bjärehed, Lundh 2008) fornisce
dati ancora più allarmanti: gli adolescenti di 14 anni che riferiscono almeno un episodio di
autolesionismo oscillano tra il 36 e il 40%.
Insomma, un’impressionante diffusione delle condotte autolesionistiche, che coinvolgono
sia l’ambito della popolazione “normale”, soprattutto adolescente, sia l’ambito della popolazione
che presenta invece patologie di tipo psichico.
Si fa, dunque, sempre più urgente la necessità di individuare uno strumento, standardizzato
ed empiricamente valido, che consenta di quantificare il peso clinico di questo fenomeno. Negli
Stati Uniti sono stati messi a punto diversi questionari self-report per indagare l’autolesionismo;
uno dei più recenti è il Deliberate Self-Harm Inventory (Gratz 2001; Tabella I). In Italia uno
strumento orientato in tal senso ancora non esiste.
L’obiettivo di questa ricerca è sviluppare la versione italiana del DSHI, testandone la validità linguistica e culturale, al fine di consentirne un uso immediato e una applicazione anche nel
nostro paese.
SOTTOMESSO DICEMBRE 2009, ACCETTATO MARZO 2010
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Mario Rossi Monti, Alessandra D’Agostino
Tabella I. Versione originale del Deliberate Self-Harm Inventory (DSHI)
This questionnaire asks about a number of
different things that people sometimes do to hurt
themselves. Please be sure to read each question
carefully and respond honestly. Often, people who
do these kinds of things to themselves keep it a
secret, for a variety of reasons. However, honest
responses to these questions will provide us with
greater understanding and knowledge about these
behaviors and the best way to help people. Please
answer yes to a question only if you did the
behavior intentionally, or on purpose, to hurt
yourself. Do not respond yes if you did something
accidentally (e.g., you tripped and banged your
head on accident). Also, please be assured that
your responses are completely confidential.
1. Have you ever intentionally (i.e., on purpose)
cut your wrist, arms, or other area(s) of your body
(without intending to kill yourself)? (circle one):
If yes,
1. Yes 2. No
How old were you when you first did this?
How many times have you done this?
When was the last time you did this?
How many years have you been doing this? (If
you are no longer doing this, how many years did
you do this before you stopped?)
Has this behavior ever resulted in hospitalization
or injury severe enough to require medical
treatment?
In the questionnaire given to participants, the
above format is used for each of the following items,
with each index question followed by the five followup questions. Like Item 1, each of the following items
begins with the phrase: Have you ever intentionally
(i.e., on purpose)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
Burned yourself with a cigarette?
Burned yourself with a lighter or a match?
Carved words into your skin?
Carved pictures, designs, or other marks into your
skin?
Severely scratched yourself, to the extent that
scarring or bleeding occurred?
Bit yourself, to the extent that you broke the skin?
Rubbed sandpaper on your body?
Dripped acid onto your skin?
Used bleach, comet, or oven cleaner to scrub your
skin?
Stuck sharp objects such as needles, pins, staples,
etc. into your skin, not including tattoos, ear
piercing, needles used for drug use, or body
piercing?
Rubbed glass into your skin?
Broken your own bones?
Banged your head against something, to the
extent that you caused a bruise to appear?
Punched yourself, to the extent that you caused
a bruise to appear?
Prevented wounds from healing?
Done anything else to hurt yourself that was not
asked about in this questionnaire? If yes, what
did you do to hurt yourself?
Metodi
Descrizione del DSHI originale
Il Deliberate Self-Harm Inventory (DSHI) è un questionario autocompilato sviluppato nel
2001 da Kim L. Gratz, presso il Dipartimento di Psicologia della University of Massachusetts
Boston di Boston. Il test è costituito da 17 item e si basa su una definizione di autolesionismo data
da Favazza nel 1989, secondo cui “l’autolesionismo è un comportamento ripetitivo, solitamente
non letale per severità né intento, diretto volontariamente a ledere parti del proprio corpo”.
Il DSHI indaga diversi aspetti delle condotte autolesionistiche, come: forma, frequenza,
gravità e durata. Tutti gli item (tranne l’ultimo) cominciano con la frase: “Ha mai intenzional48
Deliberate Self-Harm Inventory
mente (o di proposito)…” e sono seguiti da uno specifico comportamento (ad es., “…provocato
dei tagli al suo polso, alle sue braccia, o ad altre parti del suo corpo?”). Ogni item è seguito da 5
domande supplementari che indagano l’evoluzione di quello specifico comportamento nel tempo
(ad es., “Da quanti anni lo fa?”).
La validità di questo strumento è stata testata su un campione di 150 studenti della University
of Massachusetts Boston, di età compresa tra i 18 e i 64 anni (età media = 23.19), a cui è stato
somministrato il DSHI insieme ad altri test. Dati preliminari evidenziano che il DSHI ha un’elevata consistenza interna (α = .82); adeguata validità di costrutto, convergente e discriminante;
adeguata affidabilità test-retest in un range di tempo che va dalle 2 alle 4 settimane (φ = .68, p <
.001; Gratz 2001).
Procedura di traduzione e adattamento trans-culturale
Per sviluppare la versione italiana, sono state seguite le linee guida proposte per l’adattamento trans-culturale dei questionari self-report (Beaton et al. 2000; Tabella II).
In una prima fase, la versione originale del DSHI è stato tradotta in italiano da due traduttori
esperti sia di inglese che di italiano (forward translation): l’uno, con background psicologico, per
assicurare una maggiore equivalenza da un punto di vista clinico; l’altro, con background non
psicologico, per assicurare una maggiore equivalenza da un punto di vista culturale-semantico.
Ognuno doveva tradurre il questionario separatamente dall’altro e annotarsi eventuali difficoltà
riscontrate durante la traduzione. Si sono così venute a delineare le versioni 1 e 2.
A questa fase è seguito un “incontro di consenso”, in cui i due traduttori si sono riuniti e
hanno messo a confronto le due versioni (alla presenza di un osservatore). Le differenze riscontrate sono state discusse fino ad arrivare a una versione comune: la versione 3.
Successivamente, un traduttore madrelingua inglese con background non psicologico, senza
aver mai visto la versione originale, ha ritradotto la versione 3 in lingua inglese (back translation),
creando così la versione 4.
A questa fase è seguita una sessione di “controllo di qualità” in cui una commissione di
esperti (tra cui psichiatri, psicologi clinici, linguisti e traduttori coinvolti) ha svolto una revisione
formale di tutte le versioni esistenti fino ad arrivare a una versione pre-finale: la 5.
Quindi, un gruppo di 40 soggetti volontari, di età compresa tra i 18 e i 64 anni, provenienti
da differenti regioni italiane, è stato sottoposto a una fase di pre-test, consistita nella
somministrazione individuale della versione 5. Ai partecipanti è stato, poi, richiesto di scrivere
un commento libero sulla comprensibilità e chiarezza degli item a livello linguistico e di fornire
eventuali consigli per migliorare la presentazione degli stessi.
Dopo aver valutato attentamente i suggerimenti dati dai soggetti, si è giunti alla formulazione della versione italiana definitiva: la versione 6 (Tabella III), che è stata inviata all’autrice
dello strumento (Kim L. Gratz) per l’autorizzazione finale.
Risultati
Durante il processo di adattamento trans-culturale ci si è trovati a discutere su diverse questioni. La difficoltà maggiore si è presentata nella prima fase di forward translation, quando è
emerso un problema di carattere culturale. In alcuni casi, infatti, una traduzione letterale non
avrebbe ottenuto la stessa efficacia della versione originale. Ad esempio, il verbo to scrub (nell’item
10) letteralmente significa lavare sfregando; ma si è scelto di tradurlo con il termine sfregare per
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Mario Rossi Monti, Alessandra D’Agostino
Tabella III. Versione italiana del Deliberate Self-Harm Inventory (DSHI)
Questo questionario raccoglie informazioni su un
certo numero di cose che le persone fanno per farsi
del male. Legga ogni domanda con attenzione e risponda onestamente. Spesso, le persone che mettono in atto questi comportamenti contro se stessi lo
tengono nascosto per svariati motivi. Rispondere
onestamente a queste domande ci aiuterà a sviluppare una maggiore comprensione e conoscenza di
questi comportamenti e a trovare il modo migliore
per aiutare queste persone. Risponda sì a una domanda solo se ha fatto quella cosa intenzionalmente, o deliberatamente, per farsi del male. Non risponda sì se ha fatto qualcosa per caso (ad esempio, ha
inciampato e sbattuto la testa accidentalmente). Le
assicuriamo che le sue risposte saranno trattate con
la massima riservatezza.
1. Ha mai intenzionalmente (o deliberatamente)
provocato dei tagli al suo polso, alle sue braccia, o ad altre parti del suo corpo (senza l’intento di uccidersi?) (cerchiare una risposta):
Se sì,
1. Sì 2. No
Quanti anni aveva quando lo ha fatto la prima volta?
Quante volte lo ha fatto?
Quando è stata l’ultima volta che lo ha fatto?
Da quanti anni lo fa? (se non lo fa più, per quanti
anni lo ha fatto prima di smettere?)
Questo comportamento ha mai portato a un ricovero in ospedale o a ferite così gravi da richiedere un
trattamento medico?
Nel questionario consegnato ai partecipanti, lo schema sopra riprodotto viene applicato ad ognuno dei
seguenti item: ogni domanda di indice seguita dalle
5 domande supplementari. Come l’item 1, ognuno
dei seguenti item inizia con l’espressione: Ha mai
intenzionalmente (o deliberatamente)
2. Bruciato se stesso con una sigaretta?
3. Bruciato se stesso con un accendino o un fiammifero?
4. Inciso parole sulla sua pelle?
5. Inciso figure, disegni, o altri segni sulla sua pelle?
6. Graffiato violentemente se stesso, al punto tale
da procurarsi cicatrici o perdita di sangue?
7. Morso se stesso al punto tale da staccarsi la pelle?
8. Strofinato carta vetrata sul suo corpo?
9. Sgocciolato acido sulla sua pelle?
10. Usato candeggina, disinfettanti o prodotti per il
forno per sfregarli sulla sua pelle?
11. Conficcato oggetti taglienti come aghi, spilli,
graffette, etc. nella sua pelle, esclusi tatuaggi,
piercing per l’orecchio, aghi usati per drogarsi o
piercing per il corpo?
12. Inserito vetro nella sua pelle?
13. Rotto le sue ossa?
14. Sbattuto la testa contro qualcosa, al punto tale
da procurarsi un livido visibile?
15. Picchiato se stesso, al punto tale da procurarsi
un livido visibile?
16. Ostacolato la guarigione delle ferite?
17. Fatto nient’altro per farsi del male che non sia
stato chiesto nel questionario? Se sì, che cosa ha
fatto per farsi del male?
due motivi: primo, per mantenere la stessa incisività del verbo originale; secondo, per conservarne la “forza” (il verbo pulire avrebbe avuto una valenza più debole).
In altri casi, invece, comparivano parole ed espressioni tipiche americane o anglosassoni
difficili da rendere in italiano. Ad esempio, la parola comet (sempre nell’item 10) faceva riferimento a una specifica marca di disinfettanti in uso solo negli Stati Uniti. La cosa più corretta da
fare sarebbe dovuta essere lasciare il termine inalterato (essendo un brand specifico con un suo
nome proprio), ma nel nostro paese non sarebbe stato compreso; per cui si è optato per il termine
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Deliberate Self-Harm Inventory
Tabella II. Linee guida per l’adattamento trans-culturale dei questionari self-report
)DVH,
7UDGX]LRQHGDOO¶LQJOHVHDOO¶LWDOLDQRGDSDUWHGHLWUDGXWWRULH
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disinfettante, perché, seppur più generico, indicava il tipo di detersivo a cui quella marca rimandava.
Una seconda difficoltà si è evidenziata in fase di back translation. Confrontando infatti la
versione riconvertita in inglese con l’originale, si è notata qualche differenza a livello linguisticogrammaticale. Ad esempio, la frase introduttiva “Howewer, honest responses to these questions
will provide us with greater understanding and knowledge about these behaviors and the best way
to help people.” è stata tradotta: “By replying honestly to these questions, you will help us to get
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Mario Rossi Monti, Alessandra D’Agostino
to know and understand the problem of self-harm better as well as find the best way to help
people suffering from this behaviour.”). Trattandosi, però, di un problema di carattere puramente
formale e provata invece la sostanziale equivalenza semantica, la versione ritradotta in inglese è
stata comunque approvata dalla commissione di esperti.
Un’ultima difficoltà è comparsa nel momento in cui si è andati a somministrare la versione
italiana al gruppo di soggetti volontari (fase di pre-test). Dai commenti registrati si è riscontrata,
non tanto una mancanza di chiarezza o comprensibilità degli item a livello linguistico-formale,
quanto una discutibilità, a livello di contenuto, delle domande incentrate sulla variabile “tempo”.
Un soggetto, ad esempio, ha sottolineato che la domanda “Da quanti anni lo fa? (se non lo fa più,
per quanti anni lo ha fatto prima di smettere?)” dava per scontato una continuità di comportamento, che, però, non è detto sia sempre presente in questo tipo di condotte, spesso solo saltuarie.
Altri soggetti, invece, hanno lamentato il fatto che il questionario indagasse la dimensione
temporale soltanto da un punto di vista “oggettivo” (ossia l’età in cui si è iniziato o smesso), e non
anche “soggettivo” o “vissuto” (ad esempio, chiedendo in che occasione), il che invece avrebbe
permesso di collocare l’evento temporale entro il quadro della vita psichica ed emotiva della
persona.
Tutti i commenti annotati dai soggetti sono stati valutati attentamente per apportare eventuali modifiche al questionario; tuttavia, dato che queste eventuali modifiche avrebbero implicato
significativi cambiamenti non solo nella forma ma anche nel contenuto dello strumento, si è
deciso di non introdurle per non stravolgerlo.
Conclusioni
Questo studio ha descritto lo sviluppo della versione italiana del Deliberate Self-Harm
Inventory, attraverso una validazione di carattere linguistico e culturale. I risultati evidenziano
che il DSHI è uno strumento auto-compilativo di facile comprensione e utilizzo. Prima, però, di
proporlo nel nostro paese come strumento clinico di routine, sono necessarie ulteriori ricerche
(tuttora in corso da parte del nostro gruppo di lavoro) che ne analizzino le proprietà psicometriche.
Ringraziamenti
Un vivo ringraziamento alla Prof.ssa Rowena Coles e alla dr.ssa Paola Scerre per la collaborazione alle
fasi di traduzione forward-back, e un affettuoso ringraziamento al dr. Egidio Bove e al dr. Stefano Blasi per
i preziosi suggerimenti in fase di revisione.
Riassunto
Parola chiave: autolesionismo, questionario, traduzione, validazione
Oggetto: L’autolesionismo è un fenomeno che è diventato negli ultimi anni sempre più frequente,
soprattutto tra i giovani. Tuttavia, non esiste ancora in Italia uno strumento standardizzato, empiricamente
valido, in grado di misurare tale comportamento. L’obiettivo di questo studio è sviluppare la versione italiana del questionario Deliberate Self-Harm Inventory (Gratz 2001), testandone la validità linguistica e culturale.
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Deliberate Self-Harm Inventory
Metodo: La versione originale statunitense del DSHI è stata tradotta e validata in italiano con un
procedimento di traduzione di tipo forward-backward. La versione italiana così ottenuta è stata, poi, somministrata a un gruppo di volontari di età tra i 18 e i 64 anni, provenienti da differenti regioni del nostro paese,
che hanno espresso la loro opinione in merito alla comprensibilità e chiarezza delle domande.
Risultati: Dopo aver portato a termine la validazione linguistica e culturale, la versione italiana del
DSHI è stata messa a punto, tenendo conto anche dei suggerimenti del gruppo di volontari.
Conclusioni: Il DSHI è uno strumento auto-compilativo di facile comprensione e utilizzo. Ma, per
poterne consentire l’impiego come strumento clinico di routine, sono necessarie ulteriori ricerche (tuttora in
corso da parte del nostro gruppo di lavoro) che ne analizzino le proprietà psicometriche.
CULTURAL AND LINGUISTIC VALIDATION OF THE ITALIAN VERSION
OF THE DELIBERATE SELF-HARM INVENTORY
Abstract
Key Words: self-injury, questionnaire, translation, validation
Objective: Self-injury is a phenomenon that has become in the last years more and more frequent,
especially among the teen-agers. However, in Italy there is still no standardized, empirically validated,
instrument able to measure this behavior. The objective of this study is to develop the Italian version of the
questionnaire Deliberate Self-Harm Inventory (Gratz 2001), testing its linguistic and cultural validity.
Method: The original American version of DSHI has been translated and validated into Italian with a
procedure of forward-back translation. Then, the Italian version so gotten has been administered to a group
of volunteers aged 18-64, coming from different areas of our country, who gave their opinions about
comprehensibility and clarity of the questions.
Results: Completed the linguistic and cultural validation, the Italian version of DSHI has been realized,
taking account of the suggestions of the group of volunteers.
Conclusions: The DSHI is a self-report measure of easy understanding and use. But in order to use it in
routine clinical practice, further researches (still in progress from our team) are needed on the analysis of its
psychometric properties.
Bibliografia
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adaptation of self-report measures. Spine 25, 24, 3186-91.
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De Leo D, Heller TS (2004). Who are the kids who self-harm? An Australian self-report school survey.
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Welch SS (2001). A review of the literature on the epidemiology of parasuicide in the general population.
Psychiatric Services 52, 368-75.
Mario Rossi Monti, Alessandra D’Agostino
Dipartimento di Psicologia e del Territorio, Università degli Studi di Urbino
Corrispondenza
Prof. Mario Rossi Monti, Dipartimento di Psicologia e del Territorio, Università degli Studi di
Urbino, Via Ottaviano Ubaldini 17, 61029, Urbino (PU) – Tel/Fax 0722.329690 – E-mail:
[email protected]
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Deliberate Self-Harm Inventory