Università degli Studi di Bologna e Istituto Veritatis Splendor di Bologna a.a. 2011-2012 Seminario “Sistema etico e nuovo welfare” La spesa pubblica per l’assistenza e le prospettive di riforma nell’Italia federalista Stefano Toso Dipartimento di Scienze Economiche Università di Bologna [email protected] 2 aprile 2012 Contenuti della lezione • Definizione del campo d’indagine e ragioni dell’intervento pubblico nell’assistenza • Modelli teorici di intervento • La spesa per assistenza in Italia: caratteristiche e limiti strutturali • La Commissione Onofri e le riforme 1998-2001 • Le politiche assistenziali negli anni della crisi economica (2008-2011) • Il disegno di legge delega Tremonti del 2011 e i provvedimenti del Governo Monti Definizione del campo d’indagine e ragioni dell’intervento pubblico nell’assistenza Le prestazioni assistenziali • Programmi di contrasto della povertà – Pensione sociale – Reddito minimo di inserimento • Programmi per portatori di handicap – Pensioni e rendite per handicap – Pensioni invalidi civili – Servizi per non autosufficienti • Politiche per la famiglia e i minori – Assegni per i figli – Servizi di asilo nido Ragioni dell’intervento pubblico nel campo dell’assistenza • Equità • Esternalità • Assicurazione Ragioni dell’intervento pubblico nel campo dell’assistenza: equità Lo Stato paternalista impone le proprie preferenze a quelle dei cittadini e realizza gli obiettivi distributivi desiderati (Musgrave 1959). Redistribuzione come bene di merito (violazione dell’ipotesi di razionalità economica e dell’impostazione strettamente individualistica dell’Economia del benessere). Ragioni dell’intervento pubblico nel campo dell’assistenza: esternalità La redistribuzione è votata all’unanimità, se si ipotizzano individui non pienamente selfinterested e caratterizzati da altruismo. La redistribuzione produce esternalità positive (vita sociale più coesa, minore delinquenza, ecc.), se i soggetti sono altruisti. Ragioni dell’intervento pubblico nel campo dell’assistenza: assicurazione In presenza di informazioni incomplete sulla propria posizione nella scala dei redditi (decisioni collettive prese sotto il “velo di ignoranza”), votare a favore della redistribuzione può risultare razionale (Rawls 1971). Redistribuzione come assicurazione contro il rischio (di essere poveri). Modelli teorici di intervento Modelli di interventi assistenziali Selettività Universalismo Categorialità Ci concentriamo su: Trasferimenti monetari di contrasto della povertà, perché sono l’esempio più significativo di spesa per l’assistenza. La categorialità è un modo semplificato e a volte ovvio (es.: pensioni per non vedenti), ma imperfetto di fare selettività. Dilemma classico selettività vs. universalismo: means-testing o basic income? Programmi universali e selettivi Ypost F Spesa del programma means tested A P’ 45° 0 pi P Ym Ymax Ypre Sussidio B 0 B = P - Ypre Ypost = Ypre + B = P se Ypre < P = Ypre se Ypre P Esempio, con P=500 se Ypre= 0 B=500 se Ypre=100 B=400 se Ypre=500 B= 0 se Ypre=600 Ypost = 0+500 Ypost =100+400 Ypost =500+0 Ypost =600 Programmi universali e selettivi Ypost F Spesa del programma means tested A P’ 45° 0 P Ym Ymax Ypre Programmi universali e selettivi C Ypost F Spesa del programma universale A P’ 45° 0 P Ym Ymax Ypre Pro e contro della selettività Vantaggi: • Minore spesa • Migliore target efficiency • Vi sono servizi a domanda individuale in cui è opportuno prevedere un razionamento della domanda o una compartecipazione al costo, causa moral hazard o carenze dal lato dell’offerta • Trade-off tra finalità universali dei programmi e livello socialmente accettabile della pressione fiscale • Insoddisfacente efficacia redistributiva dell'imposta progressiva sul reddito Svantaggi: • Trappola della povertà • Costi amministrativi • Problemi di asimmetria informativa • Stigma sociale e mancato take-up Target efficiency: definizione e misure Definizione: capacità di un programma di spesa di indirizzare i trasferimenti verso coloro che sono ritenuti veramente bisognosi Misure: 1) Efficienza verticale (proporzione della spesa destinata alle famiglie povere) 2) Efficienza orizzontale (capacità di un programma di colmare il Poverty Gap Aggregato) Trappola della povertà Disincentivo ad uscire dalla situazione di povertà: Welfare dependence Attenuazione della trappola della povertà Programmi di contrasto parziale della povertà: il trasferimento copre solo una parte del poverty gap B = a (P - Ypre) Esempio, con P=500 e a=0,5 se Ypre= 0 B=0,5(500- 0)=250 se Ypre=100 B=0,5(500-100)=200 con a<1 Ypost = 0+250 Ypost =100+200 Programmi di contrasto parziale della povertà Ypost F Spesa del programma parziale A P’ P” 45° 0 P Ym Ymax Ypre Costi amministrativi Le procedure amministrative per accertare i mezzi sono complesse e costose (oltre che imperfette) Asimmetrie informative • • Possibilità di errori di due tipi: - Escludere soggetti meritevoli (falsi negativi) - Includere soggetti non meritevoli (falsi positivi) Necessità di criteri di selettività adeguati Stigma sociale e mancato take up • • Lesione della dignità della persona Fratture sociali (cittadini di serie A: contribuenti netti, e di serie B: sussidiati netti) La spesa per assistenza in Italia: caratteristiche e limiti strutturali La spesa per l’assistenza sociale nel 2010 (miliardi di euro) 2010 % del Pil Sostegno delle responsabilità familiari Assegni familiari Detrazioni fiscali per familiari a carico Contrasto della povertà Assegno per famiglie con tre figli, social card Pensioni sociali Integrazioni pensioni al minimo (stima) Non autosufficienza e handicap Indennità di accompagnamento - di cui per anziani non autosufficienti Pensioni ai ciechi e sordomuti Altre pensioni agli invalidi civili Offerta di servizi locali Assistenza sociale (servizi) Altre spese 16,863 6,347 10,516 16,801 0,800 4,001 12,000 16,394 12,600 8,800 1,338 2,456 8,605 8,605 3,237 Spesa complessiva In % del Pil 61,900 4,0 Fonte: IRS (2011). 1,1 0,4 0,7 1,1 0,1 0,3 0,8 1,1 0,8 0,6 0,1 0,2 0,6 0,6 0,2 I limiti strutturali della spesa • Prevalgono le prestazioni monetarie su quelle in servizi e quelle governate dal centro su quelle di competenza degli enti locali • Programmi frammentati, categoriali e non coordinati tra loro • Manca un istituto universale di contrasto della povertà • Criteri di selettività economica per l’accesso alle prestazioni e la compartecipazione alla spesa da parte degli utenti non omogenei • Disparità territoriale nell’entità e qualità degli interventi e servizi socio-assistenziali • Mediocre performance redistributiva della spesa, soprattutto nell’azione di lotta alla povertà Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per Regione nel 2008 Fonte: Istat (2011) Distribuzione della spesa per pensioni sociali, assegni familiari e indennità di accompagnamento (valori %) per decili di famiglie Decili di famiglie 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Fonte: Irs [2011] Ripartizione della spesa totale Pensioni sociali Assegni familiari Indennità accompagnamento 17,1 10,3 3,6 19,2 16,5 5,7 14,7 15,8 7,4 13,8 12,5 12,3 10,9 10,6 13,2 7,0 9,1 14,8 7,2 8,4 14,8 6,0 7,2 14,0 2,7 5,5 7,7 1,4 4,0 6,6 La Commissione Onofri e le riforme 1998-2001 Linee di riforma della commissione Onofri (1997): l’universalismo selettivo • Maggiori risorse per l’assistenza • Razionalizzare i programmi esistenti: maggiore universalità • Riforma dei criteri di selettività economica • Nuovo assetto legislativo (più servizi e decentramento a livello locale) Le riforme: 1997-2001 • Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) • Assegno per nuclei con almeno tre figli (A3F) e Assegno di maternità (AM), universali e commisurati all’ISEE • Reddito Minimo di Inserimento (RMI) sperimentale (1999-02) • Legge di riforma dell’assistenza (328/2000) Limiti del processo di riforma • Logica incrementale, più che una convinta adesione al disegno di riforma della Commissione Onofri • Posizione a favore della permanenza dell’ANF e del potenziamento delle detrazioni Irpef per carichi di famiglia • Ritardi e difficoltà di applicazione della l. n. 328/2000 (anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione) Nuovi criteri di selettività economica: l’Isee • Riferimenti normativi: L. 449/97 art.59, DLgs 109/98 e DLgs 130/00 • Metro di misura della condizione economica per regolare l’accesso e/o la tariffazione di prestazioni sociali agevolate • Somma della situazione reddituale e della situazione patrimoniale (ponderata al 20%), valutate a livello familiare I difetti dei criteri di selettività precedenti • Il reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali è incompleto e soggetto ad evasione • Assenza o irrazionalità di applicazione delle scale di equivalenza preesistenti • Scarsissima uniformità di applicazione (prestazioni, territori) • Un precedente positivo: i nuovi criteri per le tasse universitarie e le borse di studio (1994-95) Come misurare la condizione economica? La genesi dell’Isee • In linea astratta, se escludiamo il patrimonio che è uno stock, le variabili monetarie di flusso che determinano la condizione economica sono il reddito (R) e il consumo (C): U = f( R, C) • Per applicazioni relative alla spesa di welfare è preferibile fare riferimento al reddito poiché esso rappresenta più direttamente la spesa potenziale di breve periodo, mentre il consumo è più indicativo di un reddito permanente, misurato sul ciclo di vita. • Problemi relativi all’uso del consumo: quali voci di consumo scegliere? Come aggregarle? L’utilizzo di molte voci di spesa è costoso dal punto di vista amministrativo. Al contrario, considerare solo alcune voci potrebbe produrre risultati stravaganti. Come misurare la condizione economica? La genesi dell’Isee • La valutazione in sede tecnica al momento della nascita dell’Isee fu che reddito e patrimonio erano le grandezze più appropriate per la definizione della condizione economica … • … mentre eventuali informazioni su particolari tipologie di consumo si sarebbero potute usare in sede di controlli. • Opportuno che gli indicatori di consumo siano costituiti da beni o servizi nei confronti dei quali si è in grado di effettuare controlli in modo rapido e semplice (possesso di automobili, consumi elettrici, telefonici, ecc.). I punti di forza del nuovo indicatore • Il reddito fiscale a fini Irpef è integrato da una valutazione dei redditi da attività finanziarie • Combinazione di reddito e di patrimonio • Condizione economica valutata a livello familiare (applicazione di una scala di equivalenza) Il calcolo dell’Isee • Una ricetta “semplice”: (R + α P)/SC R: componente reddituale α: coefficiente patrimoniale (fissato per legge: 20%) P: componente patrimoniale SC: coefficiente di equivalenza Il calcolo dell’Isee: la componente reddituale Reddito complessivo Irpef (redditi agrari: criterio Irap) + Reddito imputato delle attività finanziarie ( r*Pmob) - Deduzione per casa in affitto fino a 5.165 euro [Il rendimento da applicarsi ai fini del calcolo del reddito imputato delle attività finanziarie è quello medio annuo dei titoli decennali del Tesoro; per il 2010 pari al 4,01%] Il calcolo dell’Isee: la componente patrimoniale Patrimonio immobiliare (valori ICI) + patrimonio Mobiliare - Franchigie Le franchigie: 15.494 euro dal Pmob , 51.646 euro (o mutuo residuo) da Pimmob per chi ha la casa di abitazione in proprietà Il calcolo dell’Isee a livello familiare • Per valutare l’Isee a livello familiare e poter confrontare l’Isee di famiglie di diversa tipologia (per numero di componenti, presenza di minori/non autosufficienti, ecc.) c’è bisogno di una scala di equivalenza. • Una scala di equivalenza è un insieme di coefficienti (uno per ciascuna famiglia) che consente confronti di omogenei di benessere tra famiglie eterogenee tra loro • Non esiste un unico metodo di costruzione delle scale di equivalenza (una scala non vale l’altra) La scala di equivalenza dell’Isee N°componenti Coefficiente 1 1,00 2 1,57 3 2,04 4 2,46 5 2,85 Per ogni componente in più + 0,35 Maggiorazioni Nuclei monogenitoriali + 0,20 Per ogni componente con handicap o invalidità > 66% + 0,50 Entrambi i genitori lavoratori (o l’unico genitore se monogenitore) + 0,20 Dal reddito all’Isee: chi guadagna, chi perde P Escono Isee = R + a P C D Isee a A Isee P= a - R a Entrano B 0 R Isee R L’effetto dell’aumento del peso della componente patrimoniale a P Ulteriori uscite Isee = R + a’ P C D Isee a Aumento di a ad a’ A Non entrano B 0 R Isee R Le prestazioni a cui si applica l’Isee Prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE Principali prestazioni locali che dovrebbero essere erogate sulla base dell’ISEE Principali prestazioni che utilizzano discrezionalmente l’ISEE pur in assenza di un obbligo specifico Prestazioni nazionali per cui l’uso dell’ISEE è escluso dalla legge Assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori Assegno di maternità per le madri prive di altra garanzia assicurativa Fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo Erogazione borse di studio (ex L. n. 62/2000) Prestazioni del diritto allo studio universitario Agevolazione per il canone telefonico Tariffa sociale per il servizio di distribuzione e vendita dell’energia elettrica Carta Acquisti (social card) Asili nido e altri servizi educativi per l’infanzia Mense scolastiche Servizi socio-sanitari domiciliari Servizi socio-sanitari diurni, residenziali, ecc. Altre prestazioni economiche assistenziali (ad es., reddito di cittadinanza) Esenzione ticket sanitari (ad es., Regione Sicilia) Agevolazione per tasse universitarie Contributo per il pagamento dei canoni di locazione (ex L. 431/1998) Agevolazioni per il canone di locazioni in edilizia residenziale pubblica Agevolazione per trasporto locale Servizio di scuola-bus Agevolazioni per tributi locali (rifiuti solidi urbani, ICI) Formulazione graduatorie per il pubblico impiego (ex art. 16 l. 56/87) Integrazione al minimo pensionistico Assegno e pensione sociale Maggiorazione sociale Pensione di invalidità civile Le criticità attuali 1) Isee nazionale o Isee regionali/locali? 2) la definizione del nucleo familiare 3) le modalità di calcolo dell’indicatore Stato di applicazione a livello regionale e locale • Solo la metà delle Regioni ha recepito la normativa nazionale e la gran parte di queste ha introdotto correttivi (maggiore flessibilità nella definizione del nucleo familiare e/o inclusione dei redditi fiscalmente esenti e delle provvidenze regionali ad anziani e disabili) • Altre (Campania, Basilicata) affiancano l’Isee ad altri indicatori della condizione economica basati sui consumi; regioni/province autonome (Friuli, Tn, Bz) hanno addirittura introdotto un indicatore diverso • Alcune regioni (Toscana, Emilia Romagna) hanno esteso l’Isee ad ambiti di intervento (NA) non regolati dalla normativa nazionale Isee nazionale o Isee regionali/locali? • E’ giuridicamente ammissibile la presenza di Isee regionali o di singoli enti locali “in competizione” con l’Isee nazionale? • La disciplina dell’Isee rientra o no tra le materie di competenza dello Stato? ISee nazionale o Isee regionali/locali? (2) • Problema: pur essendo utilizzato in prevalenza per interventi nazionali (riduzioni canoni utenze, A3F, social card, borse di studio universitarie, …), l’Isee interviene nelle politiche assistenziali la cui competenza esclusiva è stata affidata, con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, alle Regioni. • E se considerassimo l’Isee come strumento dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), quindi di competenza esclusiva dello Stato? Isee nazionale o Isee regionali/locali? (3) • Sebbene la riforma del Titolo V Cost. riconosca alle Regioni competenza legislativa piena in materia di servizi sociali, tale materia si presta ad interferenze da parte del legislatore statale, in virtù dell’art. 117, c. 2, lett. m: “lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni [LEP] concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.” • Problema: la norma che stabilisce che l’Isee è uno strumento dei LEP, e quindi di competenza esclusiva dello Stato, non esiste. La domanda quindi è … Isee nazionale o Isee regionali/locali? (4) • Un Isee regionale, quindi in teoria differente da regione a regione, è compatibile con i LEP? • La previsione di strumenti di valutazione della situazione economica degli assistiti diversi da regione a regione crea una disparità di trattamento tra i residenti nelle varie aree del paese e mette in discussione i LEP → • → la previsione di Isee regionali andrebbe nella direzione contraria ai LEP • I LEP in materia di assistenza non sono ancora stati definiti dallo Stato. La definizione del nucleo familiare • E’ più opportuno valutare la condizione economica del richiedente una prestazione sociale agevolata con riferimento all’individuo o al nucleo familiare? • La teoria economica dice l’individuo ma il benessere individuale ha come importante riferimento la famiglia • Se si opta per il nucleo familiare, come definirlo? Non esiste una definizione unica di famiglia. La definizione del nucleo familiare (2) • La normativa nazionale prevede una definizione di nucleo familiare in senso anagrafico • Sollecitazioni normative (art. 3, c. 2, d.lgs. 130/2000) per applicazioni dell’Isee nell’ambito della cura per la non autosufficienza che valutino la situazione economica “del solo assistito” • Problemi di equità orizzontale e di bilancio pubblico con un Isee individuale: stessa contribuzione a utenti che, per il contesto familiare in cui vivono, sono in condizioni economiche molto diverse → vantaggi per le famiglie più abbienti e lievitazione della spesa a carico dei comuni. Le modalità di calcolo dell’indicatore • Problemi aperti • Possibili direzioni di riforma: 1) valutare la componente reddituale in termini di reddito disponibile invece che di reddito complessivo Irpef 2) rivedere il peso dato alla componente patrimoniale, riducendo l’importo delle franchigie 3) Revisione della scala di equivalenza? Misura della componente reddituale • Il riferimento al reddito complessivo Irpef (ossia al lordo di Irpef e dei CS a carico dei lavoratori indipendenti) non rileva l’effettivo tenore di vita di chi percepisce anche redditi fiscalmente esenti • I redditi da trasferimenti sono inclusi solo se soggetti a Irpef (es.: pensioni di vecchiaia, sussidi di disoccupazione), mentre non rilevano ai fini Isee redditi come ANF, AM, A3F, indennità di accompagnamento, pensioni assistenziali Misura della componente reddituale (2) • Il reddito complessivo Irpef è calcolato prima di ogni deduzione, quindi include il reddito catastale sull’abitazione di proprietà → trattamento asimmetrico dei servizi della casa adibita ad abitazione (favoriti i soggetti che vivono in affitto) • Come risolvere tale asimmetria di trattamento? • Il proprietario dell’abitazione deduce dalla componente reddituale Isee la rendita catastale. Per ragioni di equità orizzontale, anche la deduzione dell’affitto dovrebbe essere consentita in misura piena, senza alcun tetto Misura della componente patrimoniale • Valutazione del patrimonio immobiliare secondo i criteri catastali già impiegati ai fini ICI • Valutazione del patrimonio mobiliare: problemi di mancata/incompleta dichiarazione dei valori effettivi • L’istituzione dell’anagrafe dei conti finanziari e il potenziamento dell’attività di controllo delle dichiarazioni Isee introdotto con la LF per il 2008 dovrebbero limitare tale fenomeno. Al momento tuttavia … Misura della componente patrimoniale (2) • … la ricchezza mobiliare al netto della franchigia risulta positiva solo in circa il 6% dei casi a livello nazionale, con una media di 1,6 mila euro, circa il 10% del patrimonio netto complessivo • Accentuato divario territoriale: al Sud solo lo 0,5% dei dichiaranti riporta un patrimonio mobiliare lordo > 15.494 euro (il valore della franchigia), contro il 15% del Nord Ovest. Differenziali elevati si riscontrano anche nei valori medi → → la capacità selettiva del patrimonio mobiliare è trascurabile Il problema delle franchigie patrimoniali • Le franchigie affievoliscono l’effetto selettivo dell’indicatore, concentrandolo solo sui nuclei più benestanti e svilendo lo spirito della riforma • L’impatto della franchigia sul patrimonio immobiliare è tale da rendere nullo tale forma di ricchezza nel 60% circa delle DSU • Auspicabile una riduzione degli importi delle franchigie • Rilevanza del problema nella spesa per la NA (utenti con basso reddito e alto patrimonio). Soluzioni? Permettere agli anziani di usare il valore della propria abitazione per compartecipare alla spesa, senza perdere il diritto ad abitare a vita nell’abitazione di proprietà Rivedere la scala di equivalenza? • La scala di equivalenza Isee penalizzerebbe le famiglie numerose • Si propone di rivedere la scala di equivalenza per attribuire un peso maggiore ad ogni individuo successivo al secondo, soprattutto in presenza di bambini • Anziché inventarsi nuove scale, perché non realizzare stime aggiornate di parametri di una scala osservata, per tenere conto dei cambiamenti intervenuti nei comportamenti di consumo? • Da un confronto tra scale emerge un quadro diversificato… Scale di equivalenza a confronto componenti Isee Quoziente Parma Carbonaro Ocse Povertà modificata* assoluta** 1 1 1 1 1 1 2 1,57 1,57 1,67 1,5 1,36 3 2,04 2,17 2,22 1,8 1,64 4 2,46 2,87 2,72 2,1 1,95 5 2,85 3,67 3,17 2,4 2,24 (*) Si è ipotizzato che i componenti successivi al secondo abbiano meno di 14 anni. (**) Si è ipotizzato che il primo e il secondo componente abbiano età 18-59 anni, il terzo e quarto 4-10 anni, il quinto 11-17 anni. Reddito minimo di inserimento • In via sperimentale (in 36 Comuni, poi diventati 306) • Obiettivo: un sussidio monetario a soggetti in povertà e a rischio di marginalità sociale che si trovino nell’impossibilità di mantenere sé e i figli per cause psichiche/fisiche/sociali • Destinatari: soggetti legalmente residenti da almeno 12 mesi con meno di 500mila lire mensili (single), privi di patrimonio ad eccezione dell’abitazione principale • Means-test: reddito familiare (scala equivalenza Isee), comprensivo delle prestazioni previdenziali e assistenziali del richiedente, conviventi e soggetti a carico ai fini Irpef • Il reddito di lavoro concorre nella misura del 75% (espediente con cui si riduce la trappola della povertà) Reddito minimo di inserimento (2) • Gestito dai Comuni, che dovevano elaborare un programma di integrazione sociale, entro 30 giorni dall'accoglimento della domanda • Iscrizione al collocamento per i soggetti in grado di lavorare, disponibilità ad accettare offerte di lavoro anche a tempo determinato • Iscrizione non richiesta per chi è impegnato in recupero scolastico e di formazione professionale o in compiti di cura di figli con meno di tre anni e di portatori di handicap grave. Reddito minimo di inserimento (3) • Si tratta di un classico sussidio di minimo vitale su un livello inferiore alla soglia della povertà • L’inclusione, ai fini della prova dei mezzi, del reddito da lavoro nella misura del 75% ha il significato di attenuare la trappola della povertà • Sono presenti aspetti di workfare Reddito minimo di inserimento F Ypost B P’ 0P Linea della povertà D L G’ G = 258/0,75= 344 G’= 258 A 45° 0 G P Ypre Reddito minimo di inserimento F Ypost B P’ D L G’ G’ = 258 A 45° 0 G P Ypre Reddito minimo di inserimento: i problemi • Difficoltà nella definizione del nucleo familiare (anagrafe inefficiente) • Comuni impreparati a predisporre i programmi di integrazione sociale • Incertezze sul costo del programma a regime e comunque difficoltà di finanziamento (circa 2,5 mld euro) • Rigidità nella componente patrimoniale nulla Il reddito di ultima istanza (Rui): una riforma mai nata • Istituito dalla LF2004 «quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale» • Destinato ai nuclei familiari i cui componenti non beneficiano di altri ammortizzatori sociali e che, sottoposti ad una prova dei mezzi, aderiscono a misure di accompagnamento e reinserimento sociale • Analogie del disegno teorico del RUI con il RMI • Mancato finanziamento (stima di spesa: 3-5 mld €) • La LF2004 rimandava le modalità di attuazione della misura a uno o più decreti ministeriali (mai usciti), ma nel frattempo la Corte Cost. ha giudicato illegittimo il cofinanziamento statale Le politiche assistenziali negli anni della crisi economica (2008-2011) L’azione anticiclica delle politiche pubbliche a sostegno del reddito • Nessuna riforma strutturale delle politiche pubbliche per l’assistenza • Incremento della spesa corrente per ammortizzatori sociali (estensione della CIG in deroga) • Introduzione una-tantum di un “bonus famiglia” (solo 2009) di 200-1.000 euro annui, riservato alle famiglie con redditi prevalenti da lavoro dipendente o da pensione, inferiori a 1522.000 euro annui • Mancata revisione del sistema degli ammortizzatori sociali, che lascia molte categorie di disoccupati senza sostegno monetario (lavoratori temporanei, “atipici” e con carriere frammentate) • Le misure anti-crisi non hanno intaccato i limiti strutturali della spesa per assistenza e gli ammortizzatori sociali Chi è stato più colpito dalla crisi • La crisi ha colpito in particolare: – lavoratori temporanei, giovani e con bassi livelli di istruzione – molti di loro vivono in famiglia e possono essere mantenuti dai redditi di genitori e nonni – lavoratori stranieri (senza voce politica) – lavoratori indipendenti a reddito medio-basso → Effetti sociali della recessione ancora poco evidenti • Il ricorso alla CIG ha interessato soprattutto il Nord (imprese export-oriented), le fasce centrali di età e i lavoratori dell’industria • Blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici Contrasto della povertà e politiche pubbliche: la cultura del dono • Il “LB sul futuro del modello sociale ”, Min. Lavoro, 2009: il dono come nucleo normativo delle nuove politiche sociali, come interpretazione autentica del principio di sussidiarietà. Si insiste molto sulle dimensione di prossimità, sulla microcomunità e sulla rete familiare • Implicazioni di policy: la povertà “vera” è quella assoluta. La povertà relativa è un concetto vago, simile a quello della diseguaglianza • Il governo Berlusconi non ha mai mostrato interesse ad uno schema non categoriale di reddito minimo, sebbene l’Italia sia uno dei pochissimi paesi europei (UE-27) a non averne uno • Introdotta la Carta acquisti (Social Card) nel 2008 La Carta acquisti • Un buono spesa (voucher) in forma di bancomat riservato alle famiglie con anziani (over 65enni) o con almeno un minore di 3 anni • Finalizzato al contrasto della povertà assoluta: criteri di meanstesting molto selettivi • La carta può essere usata per acquistare qualunque tipo di bene e/o servizio, seppure solo in negozi e supermercati selezionati, o per il pagamento delle utenze energetiche (gas, luce, acqua) • Importo mensile accreditato sulla carta: 40 euro, indipendentemente dal grado di povertà della famiglia • La carta è riservata ai cittadini italiani residenti • Carta acquisti e cultura del dono: ¼ circa del finanziamento deriva da donazioni private (Enel, Eni) La Carta acquisti (2) • Brutta copia del Food Stamp Program USA perché: • non impone i vincoli merceologici alla spesa del Food Stamp, consentendo l’acquisto di generi alimentari non coerenti con standard dietetici corretti • non ha le medesime caratteristiche di universalità • è di un importo mensile ridotto (copre poco più di un quarto della spesa mensile in alimentari di un pensionato con più di 65 anni) • non è differenziato territorialmente e quindi non tiene conto del diverso costo della vita in generi alimentari tra macroaree • non è condizionato alla disponibilità a lavorare essendo rivolto in prevalenza alla popolazione anziana → recepisce le caratteristiche peggiori del FSP, tipiche di un modello di welfare caritatevole e non inclusivo Effetti distributivi della Carta acquisti • Beneficiari stimati: 800.000 persone, 1,4% della popolazione totale (3% di famiglie). Spesa annua complessiva: 400 milioni • Quasi il 50% dei beneficiari vive in 4 regioni del Sud (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) • 60% della spesa totale va al 10% più povero della famiglie, … ma solo il 17% delle famiglie povere in senso assoluto ha diritto alla social card • Motivo principale: tutte le famiglie senza anziani o con minori con più di 3 anni sono esclusi dalla platea dei potenziali beneficiari. La social card è di fatto un trasferimento a favore degli anziani: 80% dei beneficiari hanno più di 65 anni. → nonostante la Carta acquisti, l’efficacia redistributiva delle politiche pubbliche a favore dei più deboli rimane largamente insoddisfacente. Sperimentazione di una nuova Carta acquisti nel 2011 • L. n. 10/2011: sperimentazione della Carta Acquisti a favore degli enti caritativi operanti nei Comuni con più di 250.000 abitanti, della durata di 12 mesi (i beneficiari della Carta sono gli enti caritativi) • Ampliata l’utenza: target su “persone e famiglie in condizioni di grave bisogno” (homeless, genitori soli e famiglie più numerose?) • Gli enti caritativi ricevevano le carte dallo Stato e le consegnavano agli aventi diritto (ambiguità della definizione “ente caritativo”: chiara la volontà di attribuire un ruolo privilegiato al terzo settore) • Introdotti i “progetti individuali di presa in carico”: percorsi di inserimento sociale da affiancare al contributo economico • Importo della Carta differenziata in base alla città di residenza e al numero di componenti il nucleo familiare (da 40 a 137 euro) • Il decreto attuativo non è mai stato promulgato Il disegno di legge delega Tremonti del 2011 e i provvedimenti del Governo Monti Il d.d.l. Tremonti (29/7/2011) • Il d.d.l. per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566 del 29/7/2011) comprende all’art. 10 una richiesta di delega per interventi di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale • La delega assistenziale stabilisce che siano adottati, nell’arco di un biennio, uno o più decreti legislativi finalizzati «alla riqualificazione e all’integrazione delle prestazioni socio-assistenziali a favore dei soggetti autenticamente bisognosi, al trasferimento ai livelli di governo più prossimi ai cittadini delle funzioni compatibili con i principi di efficacia e adeguatezza, alla promozione dell’offerta sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni con finalità sociali» • I criteri direttivi a cui si ispira la delega assistenziale … I criteri direttivi del d.d.l. Tremonti a) revisione dell’Isee, con particolare attenzione alla composizione dei nuclei familiari, e riordino dei criteri economici per l’accesso alle prestazioni socio-assistenziali, inclusi quelli relativi ai trattamenti di invalidità e reversibilità c) armonizzazione degli strumenti tax-benefit a sostegno delle condizioni di bisogno, per evitare duplicazioni di prestazioni d) istituzione di un fondo per l’indennità sussidiaria alla NA, ripartito tra le regioni, in base a parametri legati alla popolazione residente, il tasso di invecchiamento e alcuni fattori ambientali, per razionalizzare le prestazioni, incentivare la libertà di scelta dell’utente, diffondere l’assistenza domiciliare e finanziare in via prioritaria gli interventi attuati dal terzo settore e) trasferimento ai comuni del sistema relativo alla SC, per identificare i beneficiari in termini di prossimità, integrare le risorse pubbliche con la raccolta di erogazioni a carattere liberale e affidare la gestione della carta acquisti alle organizzazioni no profit La clausola di salvaguardia del d.d.l. Tremonti • La doppia manovra correttiva dell’estate 2011 stabiliva che, in caso di mancata attuazione della delega entro il 30/9/2013, la realizzazione dei minori oneri/maggiori gettiti previsti era da ottenersi da una clausola di salvaguardia (taglio lineare delle esenzioni/agevolazioni fiscali o, in alternativa anche parziale, la rimodulazione delle aliquote Iva e delle accise) • L’entità dei minori oneri/maggiori gettiti attesi dall’attuazione della delega è stata ridotta dal decreto Salva Italia del governo Monti • La riduzione del 2012 è resa possibile dall’incremento di 2 punti delle aliquote (del 10 e del 21%) dell’Iva, disposto dall’ottobre 2011. Il decreto Salva Italia modifica la clausola di salvaguardia, abrogando i tagli lineari delle esenzioni/agevolazioni fiscali e sostituendoli con l’incremento delle aliquote Iva, reso permanente e a cui seguirà un altro incremento di 0,5 punti dal 2014, se entro settembre 2012 non entrano in vigore le norme attuative della delega. I limiti del d.d.l. Tremonti 1) i principi e i criteri direttivi sono declinati in modo indeterminato (richiamo solo formale ai LEP e genericità di indirizzi per la riforma dell’Isee) 2) la delega non configura una vera riforma dell’assistenza, che potenzi i servizi, ma solo una revisione dell’indennità di accompagnamento e della SC (due benefit in moneta!) 3) non prende in considerazione l’introduzione di uno schema di RMI, simile a quelli esistenti in EU-27 4) non individua alcun campo di sovrapposizione tra regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale e prestazioni assistenziali, dalla cui riduzione/eliminazione dovrebbero venire i risparmi preventivati. I provvedimenti del governo Monti • Il governo Monti ha dato seguito, introducendo primi importanti correttivi, al disegno di legge delega Tremonti, con riferimento a: • 1) la riforma dell’Isee (art. 5, l. n. 214/2011) • 2) la sperimentazione di una nuova social card (art. 60, d.l. n. 5/2012) La riforma dell’Isee • Tre punti su cui il governo è tenuto a intervenire con appositi decreti attuativi: a) revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore e dei campi di applicazione b) rafforzamento dei sistemi dei controlli e sviluppo del nuovo sistema informativo c) determinazione delle modalità attuative con cui riassegnare i risparmi derivanti dalla riforma dell’Isee al Ministero del lavoro per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali. La sperimentazione della nuova Social Card • Sperimentazione di una nuova SC nei comuni con più di 250.000 abitanti, di cui beneficeranno cittadini italiani e stranieri • La nuova Carta, di importo variabile a seconda della numerosità della famiglia, include un programma di reinserimento lavorativo/inclusione sociale, affidandone la regia ai Comuni • Prova generale per la messa a regime di uno schema di reddito minimo rivolto al contrasto della povertà assoluta? • Questioni aperte: quale Isee applicare? Sinergie tra Comuni e terzo settore? Monitoraggio e valutazione dell’esperimento? Le prospettive del welfare nell’Italia federalista: spontaneismo solidale o diritti costituzionalmente riconosciuti? • L’avvento del governo Monti ha rimosso dall’agenda politica la riflessione su una riforma tipo LB 2009, ma … • … se le prestazioni di welfare sono un dono, invece di un diritto costituzionalmente garantito, anche l’obbligo della prestazione e la sua esigibilità universale sfuma nel regno della eventualità (non ci sono diritti nel dono) e i ragionamenti fatti su universalismo, selettività e categorialità perdono di senso! • Necessaria una scelta di campo: spontaneismo solidale e sua promozione vs. logica del diritto, che va sostanziato, e progettazione di meccanismi istituzionali che garantiscano questo esito. Per saperne di più • Gorrieri, E. [2002], Parti uguali tra disuguali. Povertà, disuguaglianza e politiche redistributive nell’Italia di oggi, Bologna, Il Mulino. • Guerzoni, L. (a cura di) [2008], La riforma del welfare. Dieci anni dopo la “Commissione Onofri”, Bologna, Il Mulino. • Mitchell, D., Harding, A., e Gruen, F., [1994], Targeting Welfare, in “Economic Record”, pp. 315-340. • Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps [2012], Rapporto sulla coesione sociale. Anno 2011. • Ranci Ortigosa, E. [2011], Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), Camera dei Deputati, Commissioni riunite Finanze e Affari sociali, Roma. • Revelli, M. [2011], Povertà della politica, politica della povertà, in Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, a cura di P. Ginsborg e E. Asquer, Roma-Bari, Laterza. • Tardiola, A. [2010], Le politiche per la povertà tra diritti e welfare compassionevole, in L’Italia possibile. Equità e crescita, a cura di G. Ciccarone, M. Franzini e A. Saltari, Milano, Brioschi Editore.