Università degli Studi di Bologna e Istituto Veritatis Splendor di Bologna
a.a. 2011-2012
Seminario “Sistema etico e nuovo welfare”
La spesa pubblica per l’assistenza e le
prospettive di riforma nell’Italia
federalista
Stefano Toso
Dipartimento di Scienze Economiche
Università di Bologna
[email protected]
2 aprile 2012
Contenuti della lezione
• Definizione del campo d’indagine e ragioni dell’intervento
pubblico nell’assistenza
• Modelli teorici di intervento
• La spesa per assistenza in Italia: caratteristiche e limiti
strutturali
• La Commissione Onofri e le riforme 1998-2001
• Le politiche assistenziali negli anni della crisi economica
(2008-2011)
• Il disegno di legge delega Tremonti del 2011 e i
provvedimenti del Governo Monti
Definizione del campo
d’indagine e ragioni
dell’intervento pubblico
nell’assistenza
Le prestazioni assistenziali
• Programmi di contrasto della povertà
– Pensione sociale
– Reddito minimo di inserimento
• Programmi per portatori di handicap
– Pensioni e rendite per handicap
– Pensioni invalidi civili
– Servizi per non autosufficienti
• Politiche per la famiglia e i minori
– Assegni per i figli
– Servizi di asilo nido
Ragioni dell’intervento pubblico nel
campo dell’assistenza
• Equità
• Esternalità
• Assicurazione
Ragioni dell’intervento pubblico nel
campo dell’assistenza: equità
Lo Stato paternalista impone le proprie preferenze
a quelle dei cittadini e realizza gli obiettivi
distributivi desiderati (Musgrave 1959).
Redistribuzione come bene di merito
(violazione dell’ipotesi di razionalità economica e
dell’impostazione strettamente individualistica
dell’Economia del benessere).
Ragioni dell’intervento pubblico nel
campo dell’assistenza: esternalità
La redistribuzione è votata all’unanimità, se si
ipotizzano individui non pienamente selfinterested e caratterizzati da altruismo.
La redistribuzione produce esternalità positive
(vita sociale più coesa, minore delinquenza,
ecc.), se i soggetti sono altruisti.
Ragioni dell’intervento pubblico nel
campo dell’assistenza: assicurazione
In presenza di informazioni incomplete sulla
propria posizione nella scala dei redditi
(decisioni collettive prese sotto il “velo di
ignoranza”), votare a favore della redistribuzione
può risultare razionale (Rawls 1971).
Redistribuzione come assicurazione contro il
rischio (di essere poveri).
Modelli teorici di intervento
Modelli di interventi assistenziali
Selettività
Universalismo
Categorialità
Ci concentriamo su:
Trasferimenti monetari di contrasto della povertà,
perché sono l’esempio più significativo di spesa per
l’assistenza.
La categorialità è un modo semplificato e a
volte ovvio (es.: pensioni per non vedenti), ma
imperfetto di fare selettività.
Dilemma classico selettività vs. universalismo:
means-testing o basic income?
Programmi universali e selettivi
Ypost
F
Spesa del
programma
means tested
A
P’
45°
0
pi
P
Ym
Ymax
Ypre
Sussidio B  0
B = P - Ypre
Ypost = Ypre + B
= P se Ypre < P
= Ypre se Ypre  P
Esempio, con P=500
se Ypre= 0
B=500
se Ypre=100
B=400
se Ypre=500
B= 0
se Ypre=600
Ypost = 0+500
Ypost =100+400
Ypost =500+0
Ypost =600
Programmi universali e selettivi
Ypost
F
Spesa del
programma
means tested
A
P’
45°
0
P
Ym
Ymax
Ypre
Programmi universali e selettivi
C
Ypost
F
Spesa del
programma
universale
A
P’
45°
0
P
Ym
Ymax
Ypre
Pro e contro della selettività
Vantaggi:
• Minore spesa
• Migliore target efficiency
• Vi sono servizi a domanda individuale in cui è opportuno
prevedere un razionamento della domanda o una
compartecipazione al costo, causa moral hazard o carenze
dal lato dell’offerta
• Trade-off tra finalità universali dei programmi e livello
socialmente accettabile della pressione fiscale
• Insoddisfacente efficacia redistributiva dell'imposta
progressiva sul reddito
Svantaggi:
• Trappola della povertà
• Costi amministrativi
• Problemi di asimmetria informativa
• Stigma sociale e mancato take-up
Target efficiency: definizione e misure
Definizione:
capacità di un programma di spesa di indirizzare i
trasferimenti verso coloro che sono ritenuti
veramente bisognosi
Misure:
1) Efficienza verticale (proporzione della spesa
destinata alle famiglie povere)
2) Efficienza orizzontale (capacità di un
programma di colmare il Poverty Gap
Aggregato)
Trappola della povertà
Disincentivo ad uscire dalla situazione di povertà:
Welfare dependence
Attenuazione della trappola della
povertà
Programmi di contrasto parziale della povertà:
il trasferimento copre solo una parte
del poverty gap
B = a (P - Ypre)
Esempio, con P=500 e a=0,5
se Ypre= 0
B=0,5(500- 0)=250
se Ypre=100
B=0,5(500-100)=200
con a<1
Ypost = 0+250
Ypost =100+200
Programmi di contrasto parziale della povertà
Ypost
F
Spesa del
programma
parziale
A
P’
P”
45°
0
P
Ym
Ymax
Ypre
Costi amministrativi
Le procedure amministrative per accertare i mezzi
sono complesse e costose (oltre che imperfette)
Asimmetrie informative
•
•
Possibilità di errori di due tipi:
- Escludere soggetti meritevoli
(falsi negativi)
- Includere soggetti non meritevoli
(falsi positivi)
Necessità di criteri di selettività adeguati
Stigma sociale e mancato take up
•
•
Lesione della dignità della persona
Fratture sociali (cittadini di serie A:
contribuenti netti, e di serie B: sussidiati netti)
La spesa per assistenza in
Italia: caratteristiche e
limiti strutturali
La spesa per l’assistenza sociale nel 2010 (miliardi di euro)
2010 % del Pil
Sostegno delle responsabilità familiari
Assegni familiari
Detrazioni fiscali per familiari a carico
Contrasto della povertà
Assegno per famiglie con tre figli, social card
Pensioni sociali
Integrazioni pensioni al minimo (stima)
Non autosufficienza e handicap
Indennità di accompagnamento
- di cui per anziani non autosufficienti
Pensioni ai ciechi e sordomuti
Altre pensioni agli invalidi civili
Offerta di servizi locali
Assistenza sociale (servizi)
Altre spese
16,863
6,347
10,516
16,801
0,800
4,001
12,000
16,394
12,600
8,800
1,338
2,456
8,605
8,605
3,237
Spesa complessiva
In % del Pil
61,900
4,0
Fonte: IRS (2011).
1,1
0,4
0,7
1,1
0,1
0,3
0,8
1,1
0,8
0,6
0,1
0,2
0,6
0,6
0,2
I limiti strutturali della spesa
• Prevalgono le prestazioni monetarie su quelle in
servizi e quelle governate dal centro su quelle di
competenza degli enti locali
• Programmi frammentati, categoriali e non coordinati
tra loro
• Manca un istituto universale di contrasto della
povertà
• Criteri di selettività economica per l’accesso alle
prestazioni e la compartecipazione alla spesa da
parte degli utenti non omogenei
• Disparità territoriale nell’entità e qualità degli
interventi e servizi socio-assistenziali
• Mediocre performance redistributiva della spesa,
soprattutto nell’azione di lotta alla povertà
Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli
e associati per Regione nel 2008
Fonte: Istat (2011)
Distribuzione della spesa per pensioni sociali, assegni
familiari e indennità di accompagnamento (valori %)
per decili di famiglie
Decili di famiglie
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Fonte: Irs [2011]
Ripartizione della spesa totale
Pensioni sociali Assegni familiari Indennità accompagnamento
17,1
10,3
3,6
19,2
16,5
5,7
14,7
15,8
7,4
13,8
12,5
12,3
10,9
10,6
13,2
7,0
9,1
14,8
7,2
8,4
14,8
6,0
7,2
14,0
2,7
5,5
7,7
1,4
4,0
6,6
La Commissione Onofri e le
riforme 1998-2001
Linee di riforma della
commissione Onofri (1997):
l’universalismo selettivo
• Maggiori risorse per l’assistenza
• Razionalizzare i programmi esistenti: maggiore
universalità
• Riforma dei criteri di selettività economica
• Nuovo assetto legislativo (più servizi e
decentramento a livello locale)
Le riforme: 1997-2001
• Indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE)
• Assegno per nuclei con almeno tre figli (A3F)
e Assegno di maternità (AM), universali e
commisurati all’ISEE
• Reddito Minimo di Inserimento (RMI)
sperimentale (1999-02)
• Legge di riforma dell’assistenza (328/2000)
Limiti del processo di riforma
• Logica incrementale, più che una convinta
adesione al disegno di riforma della Commissione
Onofri
• Posizione a favore della permanenza dell’ANF e
del potenziamento delle detrazioni Irpef per carichi
di famiglia
• Ritardi e difficoltà di applicazione della l. n.
328/2000 (anche alla luce della riforma del Titolo V
della Costituzione)
Nuovi criteri di selettività economica:
l’Isee
• Riferimenti normativi: L. 449/97 art.59, DLgs
109/98 e DLgs 130/00
• Metro di misura della condizione economica per
regolare l’accesso e/o la tariffazione di
prestazioni sociali agevolate
• Somma della situazione reddituale e della
situazione patrimoniale (ponderata al 20%),
valutate a livello familiare
I difetti dei criteri di selettività
precedenti
• Il reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali è
incompleto e soggetto ad evasione
• Assenza o irrazionalità di applicazione delle scale
di equivalenza preesistenti
• Scarsissima uniformità di applicazione
(prestazioni, territori)
• Un precedente positivo: i nuovi criteri per le tasse
universitarie e le borse di studio (1994-95)
Come misurare la condizione
economica? La genesi dell’Isee
• In linea astratta, se escludiamo il patrimonio che è uno stock, le
variabili monetarie di flusso che determinano la condizione
economica sono il reddito (R) e il consumo (C): U = f( R, C)
• Per applicazioni relative alla spesa di welfare è preferibile fare
riferimento al reddito poiché esso rappresenta più direttamente la
spesa potenziale di breve periodo, mentre il consumo è più
indicativo di un reddito permanente, misurato sul ciclo di vita.
• Problemi relativi all’uso del consumo: quali voci di consumo
scegliere? Come aggregarle? L’utilizzo di molte voci di spesa è
costoso dal punto di vista amministrativo. Al contrario, considerare
solo alcune voci potrebbe produrre risultati stravaganti.
Come misurare la condizione
economica? La genesi dell’Isee
• La valutazione in sede tecnica al momento della nascita
dell’Isee fu che reddito e patrimonio erano le grandezze
più appropriate per la definizione della condizione
economica …
• … mentre eventuali informazioni su particolari tipologie
di consumo si sarebbero potute usare in sede di
controlli.
• Opportuno che gli indicatori di consumo siano costituiti
da beni o servizi nei confronti dei quali si è in grado di
effettuare controlli in modo rapido e semplice (possesso
di automobili, consumi elettrici, telefonici, ecc.).
I punti di forza del nuovo indicatore
• Il reddito fiscale a fini Irpef è integrato da una
valutazione dei redditi da attività finanziarie
• Combinazione di reddito e di patrimonio
• Condizione economica valutata a livello
familiare (applicazione di una scala di
equivalenza)
Il calcolo dell’Isee
• Una ricetta “semplice”:
(R + α P)/SC
R: componente reddituale
α: coefficiente patrimoniale (fissato per legge: 20%)
P: componente patrimoniale
SC: coefficiente di equivalenza
Il calcolo dell’Isee:
la componente reddituale
Reddito complessivo Irpef (redditi agrari: criterio Irap)
+ Reddito imputato delle attività finanziarie ( r*Pmob)
- Deduzione per casa in affitto fino a 5.165 euro
[Il rendimento da applicarsi ai fini del calcolo del reddito imputato delle attività finanziarie è
quello medio annuo dei titoli decennali del Tesoro; per il 2010 pari al 4,01%]
Il calcolo dell’Isee:
la componente patrimoniale
Patrimonio immobiliare (valori ICI)
+ patrimonio Mobiliare
- Franchigie
Le franchigie:
15.494 euro dal Pmob ,
51.646 euro (o mutuo residuo) da Pimmob per chi ha la casa di
abitazione in proprietà
Il calcolo dell’Isee a livello familiare
• Per valutare l’Isee a livello familiare e poter confrontare
l’Isee di famiglie di diversa tipologia (per numero di
componenti, presenza di minori/non autosufficienti, ecc.)
c’è bisogno di una scala di equivalenza.
• Una scala di equivalenza è un insieme di coefficienti
(uno per ciascuna famiglia) che consente confronti di
omogenei di benessere tra famiglie eterogenee tra loro
• Non esiste un unico metodo di costruzione delle scale di
equivalenza (una scala non vale l’altra)
La scala di equivalenza dell’Isee
N°componenti
Coefficiente
1
1,00
2
1,57
3
2,04
4
2,46
5
2,85
Per ogni componente in più
+ 0,35
Maggiorazioni
Nuclei monogenitoriali
+ 0,20
Per ogni componente con handicap
o invalidità > 66%
+ 0,50
Entrambi i genitori lavoratori
(o l’unico genitore se monogenitore)
+ 0,20
Dal reddito all’Isee: chi guadagna, chi perde
P
Escono
Isee = R + a P
C
D
Isee
a
A
Isee
P= a -
R
a
Entrano
B
0
R
Isee
R
L’effetto dell’aumento del peso
della componente patrimoniale a
P
Ulteriori uscite
Isee = R + a’ P
C
D
Isee
a
Aumento di a ad a’
A
Non entrano
B
0
R
Isee
R
Le prestazioni a cui si applica l’Isee
Prestazioni
nazionali
erogate sulla base dell’ISEE
Principali prestazioni locali
che
dovrebbero
essere
erogate sulla base dell’ISEE
Principali prestazioni che
utilizzano discrezionalmente
l’ISEE pur in assenza di un
obbligo specifico
Prestazioni nazionali per cui
l’uso dell’ISEE è escluso
dalla legge
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Assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori
Assegno di maternità per le madri prive di altra garanzia assicurativa
Fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo
Erogazione borse di studio (ex L. n. 62/2000)
Prestazioni del diritto allo studio universitario
Agevolazione per il canone telefonico
Tariffa sociale per il servizio di distribuzione e vendita dell’energia elettrica
Carta Acquisti (social card)
Asili nido e altri servizi educativi per l’infanzia
Mense scolastiche
Servizi socio-sanitari domiciliari
Servizi socio-sanitari diurni, residenziali, ecc.
Altre prestazioni economiche assistenziali (ad es., reddito di cittadinanza)
Esenzione ticket sanitari (ad es., Regione Sicilia)
Agevolazione per tasse universitarie
Contributo per il pagamento dei canoni di locazione (ex L. 431/1998)
Agevolazioni per il canone di locazioni in edilizia residenziale pubblica
Agevolazione per trasporto locale
Servizio di scuola-bus
Agevolazioni per tributi locali (rifiuti solidi urbani, ICI)
Formulazione graduatorie per il pubblico impiego (ex art. 16 l. 56/87)
Integrazione al minimo pensionistico
Assegno e pensione sociale
Maggiorazione sociale
Pensione di invalidità civile
Le criticità attuali
1) Isee nazionale o Isee regionali/locali?
2) la definizione del nucleo familiare
3) le modalità di calcolo dell’indicatore
Stato di applicazione
a livello regionale e locale
• Solo la metà delle Regioni ha recepito la normativa
nazionale e la gran parte di queste ha introdotto correttivi
(maggiore flessibilità nella definizione del nucleo
familiare e/o inclusione dei redditi fiscalmente esenti e
delle provvidenze regionali ad anziani e disabili)
• Altre (Campania, Basilicata) affiancano l’Isee ad altri
indicatori della condizione economica basati sui
consumi; regioni/province autonome (Friuli, Tn, Bz) hanno
addirittura introdotto un indicatore diverso
• Alcune regioni (Toscana, Emilia Romagna) hanno esteso
l’Isee ad ambiti di intervento (NA) non regolati dalla
normativa nazionale
Isee nazionale o Isee regionali/locali?
• E’ giuridicamente ammissibile la presenza di
Isee regionali o di singoli enti locali “in
competizione” con l’Isee nazionale?
• La disciplina dell’Isee rientra o no tra le materie
di competenza dello Stato?
ISee nazionale o Isee regionali/locali? (2)
• Problema: pur essendo utilizzato in prevalenza per
interventi nazionali (riduzioni canoni utenze, A3F,
social card, borse di studio universitarie, …), l’Isee
interviene nelle politiche assistenziali la cui
competenza esclusiva è stata affidata, con la riforma
del Titolo V della Costituzione del 2001, alle
Regioni.
• E se considerassimo l’Isee come strumento dei
livelli essenziali delle prestazioni (LEP), quindi di
competenza esclusiva dello Stato?
Isee nazionale o Isee regionali/locali? (3)
• Sebbene la riforma del Titolo V Cost. riconosca alle Regioni
competenza legislativa piena in materia di servizi sociali,
tale materia si presta ad interferenze da parte del legislatore
statale, in virtù dell’art. 117, c. 2, lett. m:
 “lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni [LEP]
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale.”
• Problema: la norma che stabilisce che l’Isee è uno
strumento dei LEP, e quindi di competenza esclusiva dello
Stato, non esiste. La domanda quindi è …
Isee nazionale o Isee regionali/locali? (4)
• Un Isee regionale, quindi in teoria differente da
regione a regione, è compatibile con i LEP?
• La previsione di strumenti di valutazione della situazione
economica degli assistiti diversi da regione a regione
crea una disparità di trattamento tra i residenti nelle varie
aree del paese e mette in discussione i LEP →
• → la previsione di Isee regionali andrebbe nella
direzione contraria ai LEP
• I LEP in materia di assistenza non sono ancora
stati definiti dallo Stato.
La definizione del nucleo familiare
• E’ più opportuno valutare la condizione
economica del richiedente una prestazione
sociale agevolata con riferimento all’individuo o
al nucleo familiare?
• La teoria economica dice l’individuo ma il
benessere individuale ha come importante
riferimento la famiglia
• Se si opta per il nucleo familiare, come definirlo?
Non esiste una definizione unica di famiglia.
La definizione del nucleo familiare (2)
• La normativa nazionale prevede una definizione di
nucleo familiare in senso anagrafico
• Sollecitazioni normative (art. 3, c. 2, d.lgs. 130/2000) per
applicazioni dell’Isee nell’ambito della cura per la non
autosufficienza che valutino la situazione economica “del
solo assistito”
• Problemi di equità orizzontale e di bilancio pubblico con
un Isee individuale: stessa contribuzione a utenti che,
per il contesto familiare in cui vivono, sono in condizioni
economiche molto diverse → vantaggi per le famiglie più
abbienti e lievitazione della spesa a carico dei comuni.
Le modalità di calcolo dell’indicatore
• Problemi aperti
• Possibili direzioni di riforma:
1) valutare la componente reddituale in termini di
reddito disponibile invece che di reddito complessivo
Irpef
2) rivedere il peso dato alla componente patrimoniale,
riducendo l’importo delle franchigie
3) Revisione della scala di equivalenza?
Misura della componente reddituale
• Il riferimento al reddito complessivo Irpef (ossia al
lordo di Irpef e dei CS a carico dei lavoratori
indipendenti) non rileva l’effettivo tenore di vita di chi
percepisce anche redditi fiscalmente esenti
• I redditi da trasferimenti sono inclusi solo se soggetti
a Irpef (es.: pensioni di vecchiaia, sussidi di
disoccupazione), mentre non rilevano ai fini Isee
redditi come ANF, AM, A3F, indennità di
accompagnamento, pensioni assistenziali
Misura della componente reddituale (2)
• Il reddito complessivo Irpef è calcolato prima di ogni
deduzione, quindi include il reddito catastale
sull’abitazione di proprietà → trattamento
asimmetrico dei servizi della casa adibita ad
abitazione (favoriti i soggetti che vivono in affitto)
• Come risolvere tale asimmetria di trattamento?
• Il proprietario dell’abitazione deduce dalla
componente reddituale Isee la rendita catastale. Per
ragioni di equità orizzontale, anche la deduzione
dell’affitto dovrebbe essere consentita in misura
piena, senza alcun tetto
Misura della componente patrimoniale
• Valutazione del patrimonio immobiliare secondo
i criteri catastali già impiegati ai fini ICI
• Valutazione del patrimonio mobiliare: problemi di
mancata/incompleta dichiarazione dei valori
effettivi
• L’istituzione dell’anagrafe dei conti finanziari e il
potenziamento dell’attività di controllo delle
dichiarazioni Isee introdotto con la LF per il 2008
dovrebbero limitare tale fenomeno. Al momento
tuttavia …
Misura della componente patrimoniale (2)
• … la ricchezza mobiliare al netto della franchigia
risulta positiva solo in circa il 6% dei casi a livello
nazionale, con una media di 1,6 mila euro, circa il
10% del patrimonio netto complessivo
• Accentuato divario territoriale: al Sud solo lo 0,5%
dei dichiaranti riporta un patrimonio mobiliare lordo
> 15.494 euro (il valore della franchigia), contro il
15% del Nord Ovest. Differenziali elevati si
riscontrano anche nei valori medi →
→ la capacità selettiva del patrimonio mobiliare
è trascurabile
Il problema delle franchigie patrimoniali
• Le franchigie affievoliscono l’effetto selettivo
dell’indicatore, concentrandolo solo sui nuclei più
benestanti e svilendo lo spirito della riforma
• L’impatto della franchigia sul patrimonio immobiliare è
tale da rendere nullo tale forma di ricchezza nel 60%
circa delle DSU
• Auspicabile una riduzione degli importi delle franchigie
• Rilevanza del problema nella spesa per la NA (utenti con
basso reddito e alto patrimonio). Soluzioni? Permettere
agli anziani di usare il valore della propria abitazione per
compartecipare alla spesa, senza perdere il diritto ad
abitare a vita nell’abitazione di proprietà
Rivedere la scala di equivalenza?
• La scala di equivalenza Isee penalizzerebbe le famiglie
numerose
• Si propone di rivedere la scala di equivalenza per
attribuire un peso maggiore ad ogni individuo successivo
al secondo, soprattutto in presenza di bambini
• Anziché inventarsi nuove scale, perché non realizzare
stime aggiornate di parametri di una scala osservata, per
tenere conto dei cambiamenti intervenuti nei
comportamenti di consumo?
• Da un confronto tra scale emerge un quadro
diversificato…
Scale di equivalenza a confronto
componenti
Isee
Quoziente
Parma
Carbonaro
Ocse
Povertà
modificata* assoluta**
1
1
1
1
1
1
2
1,57
1,57
1,67
1,5
1,36
3
2,04
2,17
2,22
1,8
1,64
4
2,46
2,87
2,72
2,1
1,95
5
2,85
3,67
3,17
2,4
2,24
(*) Si è ipotizzato che i componenti successivi al secondo abbiano meno di 14 anni.
(**) Si è ipotizzato che il primo e il secondo componente abbiano età 18-59 anni, il terzo e quarto 4-10 anni, il quinto 11-17 anni.
Reddito minimo di inserimento
• In via sperimentale (in 36 Comuni, poi diventati 306)
• Obiettivo: un sussidio monetario a soggetti in povertà e a
rischio di marginalità sociale che si trovino nell’impossibilità
di mantenere sé e i figli per cause psichiche/fisiche/sociali
• Destinatari: soggetti legalmente residenti da almeno 12 mesi
con meno di 500mila lire mensili (single), privi di patrimonio
ad eccezione dell’abitazione principale
• Means-test: reddito familiare (scala equivalenza Isee),
comprensivo delle prestazioni previdenziali e assistenziali
del richiedente, conviventi e soggetti a carico ai fini Irpef
• Il reddito di lavoro concorre nella misura del 75%
(espediente con cui si riduce la trappola della povertà)
Reddito minimo di inserimento (2)
• Gestito dai Comuni, che dovevano elaborare un programma
di integrazione sociale, entro 30 giorni dall'accoglimento
della domanda
• Iscrizione al collocamento per i soggetti in grado di lavorare,
disponibilità ad accettare offerte di lavoro anche a tempo
determinato
• Iscrizione non richiesta per chi è impegnato in recupero
scolastico e di formazione professionale o in compiti di cura
di figli con meno di tre anni e di portatori di handicap grave.
Reddito minimo di inserimento (3)
• Si tratta di un classico sussidio di minimo vitale
su un livello inferiore alla soglia della povertà
• L’inclusione, ai fini della prova dei mezzi, del
reddito da lavoro nella misura del 75% ha il
significato di attenuare la trappola della povertà
• Sono presenti aspetti di workfare
Reddito minimo di inserimento
F
Ypost
B
P’
0P Linea della povertà
D
L
G’
G = 258/0,75= 344
G’= 258
A
45°
0
G
P
Ypre
Reddito minimo di inserimento
F
Ypost
B
P’
D
L
G’
G’ = 258
A
45°
0
G
P
Ypre
Reddito minimo di inserimento: i problemi
• Difficoltà nella definizione del nucleo familiare
(anagrafe inefficiente)
• Comuni impreparati a predisporre i programmi di
integrazione sociale
• Incertezze sul costo del programma a regime e
comunque difficoltà di finanziamento (circa 2,5 mld
euro)
• Rigidità nella componente patrimoniale nulla
Il reddito di ultima istanza (Rui):
una riforma mai nata
• Istituito dalla LF2004 «quale strumento di
accompagnamento economico ai programmi di
reinserimento sociale»
• Destinato ai nuclei familiari i cui componenti non
beneficiano di altri ammortizzatori sociali e che, sottoposti
ad una prova dei mezzi, aderiscono a misure di
accompagnamento e reinserimento sociale
• Analogie del disegno teorico del RUI con il RMI
• Mancato finanziamento (stima di spesa: 3-5 mld €)
• La LF2004 rimandava le modalità di attuazione della misura
a uno o più decreti ministeriali (mai usciti), ma nel frattempo
la Corte Cost. ha giudicato illegittimo il cofinanziamento
statale
Le politiche assistenziali negli
anni della crisi economica
(2008-2011)
L’azione anticiclica delle politiche pubbliche
a sostegno del reddito
• Nessuna riforma strutturale delle politiche pubbliche per
l’assistenza
• Incremento della spesa corrente per ammortizzatori sociali
(estensione della CIG in deroga)
• Introduzione una-tantum di un “bonus famiglia” (solo 2009) di
200-1.000 euro annui, riservato alle famiglie con redditi
prevalenti da lavoro dipendente o da pensione, inferiori a 1522.000 euro annui
• Mancata revisione del sistema degli ammortizzatori sociali, che
lascia molte categorie di disoccupati senza sostegno monetario
(lavoratori temporanei, “atipici” e con carriere frammentate)
• Le misure anti-crisi non hanno intaccato i limiti strutturali della
spesa per assistenza e gli ammortizzatori sociali
Chi è stato più colpito dalla crisi
• La crisi ha colpito in particolare:
– lavoratori temporanei, giovani e con bassi livelli di
istruzione
– molti di loro vivono in famiglia e possono essere mantenuti
dai redditi di genitori e nonni
– lavoratori stranieri (senza voce politica)
– lavoratori indipendenti a reddito medio-basso
→ Effetti sociali della recessione ancora poco evidenti
• Il ricorso alla CIG ha interessato soprattutto il Nord
(imprese export-oriented), le fasce centrali di età e i
lavoratori dell’industria
• Blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici
Contrasto della povertà e politiche
pubbliche: la cultura del dono
• Il “LB sul futuro del modello sociale ”, Min. Lavoro, 2009: il
dono come nucleo normativo delle nuove politiche sociali,
come interpretazione autentica del principio di sussidiarietà.
Si insiste molto sulle dimensione di prossimità, sulla
microcomunità e sulla rete familiare
• Implicazioni di policy: la povertà “vera” è quella assoluta. La
povertà relativa è un concetto vago, simile a quello della
diseguaglianza
• Il governo Berlusconi non ha mai mostrato interesse ad uno
schema non categoriale di reddito minimo, sebbene l’Italia sia
uno dei pochissimi paesi europei (UE-27) a non averne uno
• Introdotta la Carta acquisti (Social Card) nel 2008
La Carta acquisti
• Un buono spesa (voucher) in forma di bancomat riservato alle
famiglie con anziani (over 65enni) o con almeno un minore di 3 anni
• Finalizzato al contrasto della povertà assoluta: criteri di meanstesting molto selettivi
• La carta può essere usata per acquistare qualunque tipo di bene e/o
servizio, seppure solo in negozi e supermercati selezionati, o per il
pagamento delle utenze energetiche (gas, luce, acqua)
• Importo mensile accreditato sulla carta: 40 euro, indipendentemente
dal grado di povertà della famiglia
• La carta è riservata ai cittadini italiani residenti
• Carta acquisti e cultura del dono: ¼ circa del finanziamento deriva
da donazioni private (Enel, Eni)
La Carta acquisti (2)
• Brutta copia del Food Stamp Program USA perché:
• non impone i vincoli merceologici alla spesa del Food Stamp,
consentendo l’acquisto di generi alimentari non coerenti con
standard dietetici corretti
• non ha le medesime caratteristiche di universalità
• è di un importo mensile ridotto (copre poco più di un quarto della
spesa mensile in alimentari di un pensionato con più di 65 anni)
• non è differenziato territorialmente e quindi non tiene conto del
diverso costo della vita in generi alimentari tra macroaree
• non è condizionato alla disponibilità a lavorare essendo rivolto in
prevalenza alla popolazione anziana
→ recepisce le caratteristiche peggiori del FSP, tipiche di
un modello di welfare caritatevole e non inclusivo
Effetti distributivi della Carta acquisti
• Beneficiari stimati: 800.000 persone, 1,4% della popolazione totale
(3% di famiglie). Spesa annua complessiva: 400 milioni
• Quasi il 50% dei beneficiari vive in 4 regioni del Sud (Campania,
Puglia, Calabria, Sicilia)
• 60% della spesa totale va al 10% più povero della famiglie, … ma solo
il 17% delle famiglie povere in senso assoluto ha diritto alla social card
• Motivo principale: tutte le famiglie senza anziani o con minori con più
di 3 anni sono esclusi dalla platea dei potenziali beneficiari. La social
card è di fatto un trasferimento a favore degli anziani: 80% dei
beneficiari hanno più di 65 anni.
→ nonostante la Carta acquisti, l’efficacia redistributiva
delle politiche pubbliche a favore dei più deboli rimane
largamente insoddisfacente.
Sperimentazione di una nuova Carta
acquisti nel 2011
• L. n. 10/2011: sperimentazione della Carta Acquisti a favore degli
enti caritativi operanti nei Comuni con più di 250.000 abitanti, della
durata di 12 mesi (i beneficiari della Carta sono gli enti caritativi)
• Ampliata l’utenza: target su “persone e famiglie in condizioni di
grave bisogno” (homeless, genitori soli e famiglie più numerose?)
• Gli enti caritativi ricevevano le carte dallo Stato e le consegnavano
agli aventi diritto (ambiguità della definizione “ente caritativo”: chiara
la volontà di attribuire un ruolo privilegiato al terzo settore)
• Introdotti i “progetti individuali di presa in carico”: percorsi di
inserimento sociale da affiancare al contributo economico
• Importo della Carta differenziata in base alla città di residenza e al
numero di componenti il nucleo familiare (da 40 a 137 euro)
• Il decreto attuativo non è mai stato promulgato
Il disegno di legge delega
Tremonti del 2011 e i
provvedimenti del
Governo Monti
Il d.d.l. Tremonti (29/7/2011)
• Il d.d.l. per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566 del
29/7/2011) comprende all’art. 10 una richiesta di delega per
interventi di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale
• La delega assistenziale stabilisce che siano adottati, nell’arco di un
biennio, uno o più decreti legislativi finalizzati «alla riqualificazione e
all’integrazione delle prestazioni socio-assistenziali a favore dei
soggetti autenticamente bisognosi, al trasferimento ai livelli di
governo più prossimi ai cittadini delle funzioni compatibili con i
principi di efficacia e adeguatezza, alla promozione dell’offerta
sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni
con finalità sociali»
• I criteri direttivi a cui si ispira la delega assistenziale …
I criteri direttivi del d.d.l. Tremonti
a) revisione dell’Isee, con particolare attenzione alla composizione dei
nuclei familiari, e riordino dei criteri economici per l’accesso alle
prestazioni socio-assistenziali, inclusi quelli relativi ai trattamenti di
invalidità e reversibilità
c) armonizzazione degli strumenti tax-benefit a sostegno delle
condizioni di bisogno, per evitare duplicazioni di prestazioni
d) istituzione di un fondo per l’indennità sussidiaria alla NA, ripartito tra
le regioni, in base a parametri legati alla popolazione residente, il
tasso di invecchiamento e alcuni fattori ambientali, per
razionalizzare le prestazioni, incentivare la libertà di scelta
dell’utente, diffondere l’assistenza domiciliare e finanziare in via
prioritaria gli interventi attuati dal terzo settore
e) trasferimento ai comuni del sistema relativo alla SC, per identificare i
beneficiari in termini di prossimità, integrare le risorse pubbliche con
la raccolta di erogazioni a carattere liberale e affidare la gestione
della carta acquisti alle organizzazioni no profit
La clausola di salvaguardia del d.d.l.
Tremonti
• La doppia manovra correttiva dell’estate 2011 stabiliva che, in caso
di mancata attuazione della delega entro il 30/9/2013, la
realizzazione dei minori oneri/maggiori gettiti previsti era da
ottenersi da una clausola di salvaguardia (taglio lineare delle
esenzioni/agevolazioni fiscali o, in alternativa anche parziale, la
rimodulazione delle aliquote Iva e delle accise)
• L’entità dei minori oneri/maggiori gettiti attesi dall’attuazione della
delega è stata ridotta dal decreto Salva Italia del governo Monti
• La riduzione del 2012 è resa possibile dall’incremento di 2 punti
delle aliquote (del 10 e del 21%) dell’Iva, disposto dall’ottobre 2011.
Il decreto Salva Italia modifica la clausola di salvaguardia,
abrogando i tagli lineari delle esenzioni/agevolazioni fiscali e
sostituendoli con l’incremento delle aliquote Iva, reso permanente e
a cui seguirà un altro incremento di 0,5 punti dal 2014, se entro
settembre 2012 non entrano in vigore le norme attuative della
delega.
I limiti del d.d.l. Tremonti
1) i principi e i criteri direttivi sono declinati in modo
indeterminato (richiamo solo formale ai LEP e genericità
di indirizzi per la riforma dell’Isee)
2) la delega non configura una vera riforma
dell’assistenza, che potenzi i servizi, ma solo una
revisione dell’indennità di accompagnamento e della SC
(due benefit in moneta!)
3) non prende in considerazione l’introduzione di uno
schema di RMI, simile a quelli esistenti in EU-27
4) non individua alcun campo di sovrapposizione tra regimi
di esenzione, esclusione e favore fiscale e prestazioni
assistenziali, dalla cui riduzione/eliminazione
dovrebbero venire i risparmi preventivati.
I provvedimenti del governo Monti
• Il governo Monti ha dato seguito, introducendo
primi importanti correttivi, al disegno di legge
delega Tremonti, con riferimento a:
• 1) la riforma dell’Isee (art. 5, l. n. 214/2011)
• 2) la sperimentazione di una nuova social card
(art. 60, d.l. n. 5/2012)
La riforma dell’Isee
• Tre punti su cui il governo è tenuto a intervenire
con appositi decreti attuativi:
a) revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore
e dei campi di applicazione
b) rafforzamento dei sistemi dei controlli e sviluppo
del nuovo sistema informativo
c) determinazione delle modalità attuative con cui
riassegnare i risparmi derivanti dalla riforma
dell’Isee al Ministero del lavoro per l’attuazione
di politiche sociali e assistenziali.
La sperimentazione della nuova Social
Card
• Sperimentazione di una nuova SC nei comuni con più di
250.000 abitanti, di cui beneficeranno cittadini italiani e
stranieri
• La nuova Carta, di importo variabile a seconda della
numerosità della famiglia, include un programma di
reinserimento lavorativo/inclusione sociale, affidandone
la regia ai Comuni
• Prova generale per la messa a regime di uno schema di
reddito minimo rivolto al contrasto della povertà
assoluta?
• Questioni aperte: quale Isee applicare? Sinergie tra
Comuni e terzo settore? Monitoraggio e valutazione
dell’esperimento?
Le prospettive del welfare nell’Italia federalista:
spontaneismo solidale o diritti
costituzionalmente riconosciuti?
• L’avvento del governo Monti ha rimosso dall’agenda
politica la riflessione su una riforma tipo LB 2009, ma …
• … se le prestazioni di welfare sono un dono, invece di
un diritto costituzionalmente garantito, anche l’obbligo
della prestazione e la sua esigibilità universale sfuma nel
regno della eventualità (non ci sono diritti nel dono) e i
ragionamenti fatti su universalismo, selettività e
categorialità perdono di senso!
• Necessaria una scelta di campo: spontaneismo solidale
e sua promozione vs. logica del diritto, che va
sostanziato, e progettazione di meccanismi istituzionali
che garantiscano questo esito.
Per saperne di più
• Gorrieri, E. [2002], Parti uguali tra disuguali. Povertà, disuguaglianza
e politiche redistributive nell’Italia di oggi, Bologna, Il Mulino.
• Guerzoni, L. (a cura di) [2008], La riforma del welfare. Dieci anni
dopo la “Commissione Onofri”, Bologna, Il Mulino.
• Mitchell, D., Harding, A., e Gruen, F., [1994], Targeting Welfare, in
“Economic Record”, pp. 315-340.
• Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps [2012],
Rapporto sulla coesione sociale. Anno 2011.
• Ranci Ortigosa, E. [2011], Audizione nell’ambito dell’indagine
conoscitiva sulla riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), Camera
dei Deputati, Commissioni riunite Finanze e Affari sociali, Roma.
• Revelli, M. [2011], Povertà della politica, politica della povertà, in
Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, a cura di P. Ginsborg
e E. Asquer, Roma-Bari, Laterza.
• Tardiola, A. [2010], Le politiche per la povertà tra diritti e welfare
compassionevole, in L’Italia possibile. Equità e crescita, a cura di G.
Ciccarone, M. Franzini e A. Saltari, Milano, Brioschi Editore.
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