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Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
Al lettore
Per onorare la memoria del Padre Réginald Garrigou-Lagrange O.P. nel
ventesimo della morte, avvenuta il 15 febbraio 1964, alle ore 5 del
mattino, la Pontificia Università di San Tommaso d'Aquino de Urbe, che
lo ebbe per tanti anni insigne maestro, cura questa nuova edizione del
suo capolavoro di teologia spirituale: Le tre età della vita interiore, nella
speranza e col proposito di farla seguire da quella delle altre opere
principali.
Forse non è inutile, specialmente per i lettori delle nuove generazioni
venute dopo la scomparsa di quel «classico» della teologia e
l'esaurimento delle sue opere, ricordare la sua figura, il suo
insegnamento, le sue pubblicazioni, che per circa mezzo secolo lo posero
al centro della vita scientifico-ecclesiastica di Roma e di una vasta area
della Chiesa.
Nato a Auch nel 1877, il Padre Réginald Garngou-Lagrange (al secolo
Gontran), dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie, si
iscrisse alla Facoltà di Medicina nell'Università di Bordeaux, che poi lasciò
per entrare nell'Ordine Domenicano, dove fu formato da grandi maestri
della scienza teologica, come i Padri Ambroise e Gardeil, pionieri del
rinnovamento tomista in Francia. Per disposizione dei Superiori,
frequentò anche la Facoltà di Lettere dell'Università di Parigi, a cui si
iscrisse nel 1904. Divenuto a sua volta professore, insegnò per qualche
tempo a Le Saulchoir, nel Belgio, dove si era trasferito lo studentato
domenicano della Provincia di Francia; poi passò a Roma nel 1909,
chiamatovi dal Servo di Dio P. Giacinto Cormier, Maestro Generale del
suo Ordine, perché insegnasse nel nuovo Collegio Angelico, divenuto in
seguito Pontificia Università di San Tommaso, e vi rimase fino al 1960.
Gli innumerevoli studenti passati alla sua scuola, - tra i quali Karl Wojtila
negli anni 1946-1948, - poterono ammirare la limpidità e acutezza della
sua intelligenza, il fervore e vigore del suo insegnamento, specialmente
intorno ai temi fondamentali della dottrina cattolica e del tomismo, e
anche tante espressioni di un animo semplice, bonario, delicato, schietto,
arguto, generoso, che non valgono meno delle folgorazioni geniali della
sua mente naturalmente portata ai sondaggi più arditi nell'abisso del
mistero.
Alla sua scuola si apprendeva una dottrina viva, non solo perché il Padre
Garrigou-Lagrange aveva il pregio di saper cogliere gli elementi più
essenziali e i valori perenni della metafisica dell'essere e della teologia
soprannaturale e di farne afferrare e godere la luce irradiante, ma anche
perché si vedeva in lui un uomo posseduto da quella verità, diventata
quasi sostanza della sua vita spirituale e principio informatore della sua
psicologia, forma costitutiva della sua mentalità.
È questo uno degli aspetti più notevoli, ci sembra, della sua personalità:
una meravigliosa fusione, in lui, dell'uomo, dello studioso, del maestro,
nella sintesi unitaria della verità luminosa e calda, che egli aveva
abbracciato come ideale sublime arriso alla sua giovinezza insieme con la
vocazione religiosa.
La scuola fu il campo principale dove egli poté servire questo ideale e far
gustare ai suoi alunni, pur nel rigore scientifico del metodo teologico e
nell'acume speculativo dell'insegnamento, la bellezza della verità, sia
sulle altezze della dottrina metafisica e teologica, sia nella sua traduzione
e applicazione nel campo delle scienze pratiche e della vita, specialmente
col suo corso di Ascetica e Mistica del sabato sera, diventato famoso a
Roma e frequentato da una folla di studenti, non solo dell'Angelicum, ma
anche di altri atenei e centri di studio dell'Urbe.
Ma la sua attività scientifica, che copre tutta la prima metà del nostro
secolo, si svolse anche con la pubblicazione di libri e articoli, che
espandevano il suo pensiero ben oltre le aule scolastiche. Autore di
numerosi libri e collaboratore assiduo di molte riviste, tra le quali
specialmente Angelicum, Revue Thomiste, Vie Spirituelle, la sua
produzione letteraria è stata vastissima: più di cinquecento scritti tra
articoli e volumi. La sua bibliografia, curata nel 1961 in una tesi di
diploma presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia, si estende per ben
150 pagine dattiloscritte.
Alcune sue opere segnano dei momenti definitivi nella storia della
teologia e della scuola cattolica nel nostro secolo, specialmente: Le sens
commun, la philosophie de l tre et lesformules dognatiques (1908);
Dieu, son existence, sa nature (1915); i due volumi De Revelatione
(1918), che costituiscono dei basamenti sicuri e ormai imprescindibili per
la teologia apologetica, i sette volumi di commento alla Summa
Theologiae; il libro stupendo Le seni du mystère et le clair-obscur
intellectuel (1934); e i due trattati di spiritualità, che sono testi
fondamentali per lo studio dei problemi della vita spirituale e per la sua
pratica attuazione: Perfection chrétienne et contemplation (1923), e Les
trois àges de la vie intérieure (1938).
Queste ultime due opere, insieme con una terza, uscita a metà strada tra
luna e l'altra: L'amour de Dieu et la Croix de Jésus (1929), formano una
trilogia della vita spirituale, nella prima delle quali trattava soprattutto
dei principi della teologia ascetica e mistica, applicati ai problemi pratici
alla luce di San Tommaso d'Aquino e di San Giovanni della Croce, mentre
nella seconda (in ordine di tempo) riprendeva quell'insegnamento
facendolo più direttamente convergere nella teologia dell'amore di Dio
quale si manifesta in ciò che vi è di più profondo nella vita interiore di
Cristo, e per conseguenza in quella del cristiano, che lo deve imitare: il
mistero della Croce. «È unicamente per la via regale della Croce che
l'anima cristiana entra davvero nella contemplazione soprannaturale dei
misteri della fede e li vive in profondità, con amore».
Dopo i due primi tentativi (1923 e 1929) di ristrutturare una teologia
spirituale chiara, solida e nutriente, Padre Garrigou-Lagrange «non si
sentiva ancora soddisfatto», come scrive A. Huerga nella introduzione a
una nuova edizione di Perfezione cristiana e contemplazione, in
preparazione. Perciò nel 1938 pubblicò - ancora una volta in due volumi,
questa volta di maggior mole - una nuova sintesi: Les àges de la vie
intérieure: un trattato di teologia ascetica e mistica, certo, ma anche un
poema, un prélude teologico.
Con quest'opera egli chiudeva la trilogia dei suoi tentativi di ordinare e
strutturare il dinamismo della vita mistica. Nella prefazione confessava:
«La presente opera è come il riassunto di un corso d'ascetica e mistica
da me tenuto più di venti anni fa alla facoltà di teologia del Collegio
Angelico di Roma. Riprendo ora in modo più semplice, e allo stesso
tempo più elevato, lo studio dei soggetti che già ho trattato in altre due
opere: Perfection chrétienne et cantemplation, 1923, e L'Amour de Dieu
et la Croix de Jésus, 1929. Per soddisfare una richiesta che mi era stata
fatta, ho riunito qui le ricerche precedenti in una grande sintesi, le cui
varie parti si equilibrano e si elucidano vicendevolmente».
Dichiarava inoltre d'aver cercato di eliminare - certo senza riuscirvi del
tutto, egli che era un lottatore nato (la sua lotta fu sempre nobile e a
servizio della causa della verità, in sé nobilissima) - le asprezze
polemiche d'un tempo.
Anziché disputare a livello accademico, quel che adesso si proponeva era
che la dottrina andasse in aiuto delle anime. La dimensione apostolica
costituisce una delle costanti di Garrigou-Lagrange professore e scrittore.
Qui però affiora in un'effusione ancor più impetuosa. Ne deriva che la
nuova opera presenta, di volta in volta, le caratteristiche del manuale
scolastico e del manuale di vita spirituale: in ogni caso un libro di
sublime teologia e di apostolato della spiritualità.
In realtà nelle Tre età dove, come egli stesso amava ripetere, si
concentra la quintessenza della sua teologia, il Padre Garrigou-Lagrange
spezza una lancia contro «molte opere di volgarizzazione in materia
religiosa» e contro «non pochi libri devozionali» poiché essi «son privi di
solido fondamento dottrinale». Per il loro stesso genere letterario quei
libri di divulgazione «evitano» (esame di determinati problemi
fondamentali che, se risolti alla luce dei grandi principi, si rivelano invece
come fonte di luce. «E spesso si tratta di luce essenziale».
La ferma adesione ai principi teologici di San Tommaso e di San Giovanni
della Croce diede, indubitabilmente, consistenza e trasparenza al
magistero del Nostro.
Come dicevamo, in quest'opera Padre Garrigou-Lagrange svolge la sua
trattazione in un clima di serenità e di pace, a differenza di opere
precedenti, compresa Perfezione cristiana e contemplazione, dove la vis
polemica fa spesso capolino. Bisogna dire, a questo proposito, che in
molte di quelle opere, specialmente tra le più antiche, si ritrova la
testimonianza dell'azione battagliera che egli svolse come campione nella
lotta contro il modernismo e le sue implicazioni razionalistiche,
positivistiche, soggettivistiche, laicistiche. Ma al di sopra delle
contingenze storiche in cui furono composte, quelle opere dischiudono al
lettore, ancora oggi, apporti definitivi su molti problemi che
continuamente si pongono allo spirito umano: specialmente intorno al
rapporto tra natura e grazia, al valore della ragione umana nella ricerca
della verità, alla stabilità e al progresso del dogma, al senso vero del
soprannaturale.
Del resto, ciò che spiccava in Padre Garrigou-Lagrange era (universalità
del suo sapere teologico e filosofico. Meno portato alla specializzazione
su punti particolari, egli tutto comprendeva, esplorava e giudicava in una
sintesi più vasta, sulla linea dei grandi teologi classici, e specialmente di
San Tommaso d'Aquino. Non che sui punti particolari la sua
considerazione fosse superficiale e poco scientifica: tutt'altro; ma i
teologi di razza come Garrigou-Lagrange non sono mai uomini di una
sola tesi o di un solo libro, bensì abbracciano nella loro visione,
accompagnata dalla versatilità e fertilità dell'ingegno, tutto l'orizzonte del
pensiero e della vita, su cui proiettano la luce della loro sintesi
sapienziale.
Così si spiega che il Nostro, da quando cominciò la sua attività di
scrittore nel 1904, con un articolo della Revue Thomiste («Notes sur la
preuve de Dieu par les degrés des étres chez St. Thomas»), si sia
occupato di una quantità di problemi e di temi, che impressiona.
Un lavoro immenso, la cui mole basterebbe da sola a giustificare la vita
di un uomo e ad imporre venerazione per la sua memoria; ma a questo
lavoro si devono aggiungere la direzione spirituale, la predicazione di
ritiri e di esercizi, i corsi di conferenze e di lezioni, la consulenza
teologica a studiosi che ricorrevano a lui da tutto il mondo, la trattazione
di pratiche presso la curia romana e specialmente presso la Sacra
Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi e il
Sant'Uffizio, di cui era consultore: attività sempre svolta da lui con
spirito soprannaturale, con discrezione e finezza, con generosa
dedizione, che gli meritarono la stima e l'affetto, come degli alunni, così
di confratelli, superiori, amici, lettori.
e si vuole un giudizio complessivo sull'uomo, sulla sua vita e sulla sua
opera, sia lecito attingere agli appunti riservati del Maestro Generale
dell'Ordine Domenicano, P. Michele Browne, in seguito Cardinale, che nel
1957, in occasione dell'ottantesimo anno di età del Padre GarrigouLagrange scriveva: «Nessuna mia parola potrebbe adeguatamente
descrivere i meriti di Padre Garrigou-Lagrange verso la Santa Sede e
verso l'Ordine Domenicano. Teologo dottissimo e profondissimo, formato
da insigni maestri alla scuola di San Tommaso e dei grandi tomisti,
professore famoso, autore di innumerevoli scritti teologici e filosofici,
nella grande crisi del modernismo come nelle controversie dottrinali
odierne, il Padre Garrigou-Lagrange ne per latam quidem unguem si è
mai scostato dalle direttive del magistero della Chiesa né dalla fedeltà
alla dottrina di San Tommaso. Oltre il suo indefesso lavoro nel campo
generale della teologia e filosofia tomista, si è dato con zelo particolare
allo studio ed all'insegnamento della dottrina della perfezione cristiana.
«Come religioso, la sua vita è sempre stata di una esemplarità
straordinaria: ubbidiente come un bambino, semplicissimo nel suo
tenore di vita, senza alcuna pretesa a trattamento particolare, economo
in sommo grado del tempo, assiduo nell'assistenza a tutti gli atti comuni,
massimamente a quelli della vita corale, pieno di carità verso i confratelli
e verso i poveri ed afflitti, sempre a disposizione per confessare e per
dirigere le anime, nonostante le sue occupazioni come professore.
L'esempio di virtù religiosa che ha dato in quarantotto anni di residenza
all'Angelicum, è tale che l'Ordine Domenicano non potrà mai
dimenticare.
«Nel periodo delle vacanze estive, il Padre Garrigou-Lagrange si è dato
quasi completamente al lavoro apostolico e di sacro ministero, in
maniera particolare alla predicazione di esercizi spirituali a religiosi,
predicando fino a sei e sette corsi di esercizi durante le vacanze...».
Si direbbe che sia questo il sommario per una bolla di canonizzazione!
Che cosa si potrebbe dire di meglio sulla vita di un religioso?
Dobbiamo ora aggiungere qualche parola sul nostro caro Maestro e
Confratello in hora mortis.
A quest'ora il Padre Garrigou-Lagrange venne preparato da un lungo
processo di spogliamento umano, che in lui, teologo delle «purificazioni
passive», ha forse un significato misterioso ed esemplare, che non è
facile indagare e decifrare nel fondo di un'anima dove si nasconde il
segreto di Dio, ma che tuttavia può essere quasi percepito da chi
consideri il fatto di uno studioso instancabile, di un luminare della scuola
e della cultura teologica, che dopo tanti anni di studio e di insegnamento,
viene privato, prima della parola, e poi dell'uso dell'intelligenza e ridotto,
si può dire, per più di due anni, a una vita quasi esclusivamente
vegetativa e sensitiva (a differenza di Papini, immobilizzato in tutto, ma
vivido fino all'ultimo nello spirito sì da poter celebrare la «felicità
dell'infelice». Al Padre Garrigou-Lagrange non fu concessa questa
beatitudine).
Non sarà lecito intravvedere in questo fatto una disposizione della
Provvidenza, che ha voluto far conchiudere la carriera terrena di un
grande maestro e direttore di anime, con un'ultima lezione, una lezione
di vita: quella appunto dello spogliamento totale, della purificazione
definitiva?
In realtà, tutta la vita del Padre Garrigou-Lagrange si era svolta sotto la
condotta paterna e sapiente di Dio, non senza fatiche e pene,
mortificazioni e discipline, e soprattutto con la penitenza del vivere
quotidiano, che lo legava a una rigorosa ascesi del pensiero e dello
studio, anche se per molti anni il Signore gli aveva risparmiato, come
egli stesso, ormai anziano, riconosceva con gratitudine, due croci: la
malattia e il superiorato.
Negli ultimi anni, qualche volta il Padre fu nominato «Vicario» della
comunità dell'Angelicum durante i mesi estivi. Ricordiamo che prendeva
molto sul serio quell'ufficio, anche se in comunità eravamo ridotti a due o
tre religiosi. E una volta, chiedendogli per celia che cosa si provava a
essere "Superiori", Padre Garrigou-Lagrange ci rispose con tutta serietà:
«Si capisce che si è tanto inferiori...».
Piccola croce, questa, in confronto a quella della malattia finale che lo
afflisse così a lungo, e lo portò alla morte. Ma fino agli ultimi intervalli di
lucidità, il Padre Garrigou-Lagrange la accettò con spirito di fede e col
Rosario tra le mani. Lui che aveva scritto così bene sulla Madonna e sulla
devozione illuminata e soprannaturale che l'anima cristiana deve avere
per lei, finiva la sua vita all'ombra di Maria, secondo la tradizione del suo
Ordine: nel Rosario trovava l'ancora della fede e l'ultimo segnacolo della
pietà, della contemplazione orante, della filiale devozione alla Madonna
che avevano so-stanziato di soprannaturalità tutta la sua vita e che
ormai, sulle soglie della morte, già lasciavano penetrare nel suo spirito,
oltre l'umana miseria della carne inferma e il mistero della prova finale,
una fragranza celeste.
!
P. Raimondo Spiazzi 0. P.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
L'unica cosa necessaria
Mi propongo di far qui la sintesi di due altre opere: Perfezione cristiana e
contemplazione, L'amor di Dio e la croce di Gesù, nelle quali, al lume dei
principi di San Tommaso, ho studiato i problemi principali della vita
spirituale, in particolare quello che mi si presentò in modo più esplicito in
questi ultimi anni: La contemplazione infusa dei misteri della fede e
l'unione con Dio che ne consegue è forse in se stessa una grazia
straordinaria, oppure si trova, al contrario, nella via normale della
santità?
Vorrei ora riprendere tale questione in modo più semplice e in pari
tempo più elevato, con la dovuta prospettiva, per vedere meglio la
subordinazione di tutte le cose della vita interiore in rapporto all'unione
con Dio.
A tale scopo si considereranno primieramente i fondamenti della vita
interiore, - quindi l'allontanamento degli ostacoli, - il progresso
dell'anima purificata e rischiarata dalla luce dello Spirito Santo, la docilità
che deve avere rispetto a Lui, e finalmente l'unione a Dio alla quale
conducono questa docilità, lo spirito di preghiera e la croce portata con
pazienza, riconoscenza ed amore.
A modo d'introduzione, ricordo brevemente ciò che è l'unico necessario
per ogni cristiano e come tale questione si presenti urgente nell'ora
attuale.
I. L'UNICA COSA NECESSARIA
La vita interiore, come può facilmente concepirsi da ognuno, è una forma
elevata della conversazione intima che ciascuno di noi fa con se stesso
non appena si ritrova solo, sia pure in mezzo al tumulto delle vie di una
grande città. Tosto che l'uomo cessa dal conversare coi suoi simili,
conversa interiormente con se stesso su quanto maggiormente lo
interessa. Tale conversazione varia assai secondo le diverse età della
vita; quella del vecchio non è quella del giovane; varia ancor molto
secondo che l'uomo è buono o cattivo.
Se cerca seriamente la verità e il bene, questa conversazione intima con
se medesimo tende a diventare conversazione con Dio, e a poco a poco,
invece di ricercarsi in tutto, invece di tendere, in modo più o meno
cosciente, a fare di sé il punto centrale, l'uomo tende a ricercare Dio in
ogni cosa, ed a sostituire all'egoismo l'amore di Dio e delle anime in Lui.
Tale è la vita interiore; e non v'è uomo sincero che non possa
riconoscerlo senza difficoltà.
L'unica cosa di cui parlava Gesù a Marta ed a Maria consiste
nell'ascoltare la parola di Dio e nel viverla.
La vita interiore concepita in tal modo è in noi qualcosa di assai più
profondo e necessario della vita intellettuale o del culto delle scienze,
della vita artistica e letteraria, sociale o politica. Troviamo, purtroppo,
molti grandi scienziati, matematici, fisici, astronomi, che non hanno, per
dir così, alcuna vita interiore; si dedicano allo studio della loro scienza
come se Dio non esistesse, e nei loro momenti di solitudine non hanno
alcuna conversazione intima con Lui. Sotto qualche aspetto sembra che
anch'essi ricerchino, nella loro vita, il vero e il buono in un ambito più o
meno circoscritto, ma tale ricerca è talmente contaminata dall'amor
proprio e dall'orgoglio intellettuale, che vien fatto di domandarci se
veramente porterà frutti per l'eternità.
Non pochi artisti, letterati, e molti uomini politici s'elevano ben poco
sopra questo livello di un'attività puramente umana e, tutto considerato,
assai esteriore. Nell'intimo della loro anima vivono forse di un bene
superiore a loro stessi, e cioè di Dio? A dir vero, non sembrerebbe.
Questo ci dimostra come la vita interiore, o vita dell'anima con Dio,
meriti davvero di essere chiamata l' unica cosa necessaria, perché è per
essa che tendiamo verso il nostro ultimo fine e assicuriamola nostra
salvezza, che non dobbiamo troppo separare dalla santificazione
progressiva perché questa è la via stessa della salute.
Molti sembrano pensare che, in ultima analisi, ciò che conta è di salvarsi,
e non è quindi necessario essere un santo. Che non sia necessario essere
uno di quei santi che operano miracoli, la cui santità è riconosciuta
ufficialmente dalla Chiesa, è cosa evidente; ma se vogliamo salvarci
dobbiamo prendere la via della salvezza, e questa è in pari tempo quella
della santità.
In cielo non vi saranno che dei santi, sia che vi siano entrati
immediatamente dopo la loro morte, sia che abbiano avuto bisogno
d'essere purificati nel purgatorio. Nessuno entra in cielo se non ha quella
santità che consiste nell'essere puro da ogni macchia. Perché un'anima
possa godere per sempre della visione di Dio, vederlo ed amarlo come
egli vede ed ama se stesso, ogni colpa anche veniale deve essere
cancellata, e la pena dovuta al peccato scontata o rimessa. Se un'anima
entrasse in cielo prima della remissione totale delle sue colpe, non
potrebbe restarvi, e da se stessa si precipiterebbe nel purgatorio per
esservi purificata.
La vita interiore del giusto che tende a Dio, e che già vive di Lui, è
veramente l'unica cosa necessaria. È evidente che per essere un santo
non è indispensabile aver ricevuto una cultura intellettuale, e spiegare
grande attività esteriore; basta vivere profondamente di Dio. È appunto
quanto vediamo nei santi della chiesa primitiva, di cui molti erano povera
gente, e magari anche schiavi; come possiamo vedere in San Francesco,
in San Benedetto Giuseppe Labre, nel Curato d'Ars e in tanti altri.
Tutti hanno compreso profondamente questa parola del Salvatore: «A
che serve guadagnare il mondo intero, se poi perdiamo l'anima?» (Mt
16, 26). Se sacrifichiamo tante cose per salvare la vita del corpo, che
dopo tutto dovrà morire, come non dobbiamo esser pronti a tutto
sacrificare per salvare la vita dell'anima destinata a durare in eterno? E
non deve l'uomo amare la propria anima più del suo corpo? «Che darà
un uomo in cambio dell'anima sua?», soggiunge il Salvatore (ibid.).
Unum est necessarium, dice pure Gesù (Lc 10, 42) . Una sola cosa è
necessaria, ascoltare la parola di Dio e viverla per salvare l' anima
propria. E' questa la parte migliore che non può essere tolta all'anima
fedele anche se questa avesse perduto tutto il resto.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
La questione della sola cosa necessaria nell'epoca
nostra
Quanto abbiamo detto è vero per tutti i tempi, mala questione della vita
interiore si presenta oggi in modo più impellente che in altre epoche
meno inquiete della nostra.
Ciò avviene perché tanti uomini si sono separati da Dio, cercando di
organizzare la vita intellettuale e quella sociale senza di Lui. I grandi
problemi che hanno sempre preoccupato l'umanità, hanno preso un
aspetto nuovo e spesso tragico. Il voler fare senza Dio, causa prima e
ultimo fine, conduce a degli abissi; non solo conduce al nulla, ma alla
miseria fisica e morale peggiore del nulla. I grandi problemi si aggravano
allora sino all'esasperazione, e l'uomo deve accorgersi finalmente che
tutti debbono far capo allo stesso punto, quello cioè di rimettere in
campo il problema religioso, e di considerarlo a fondo; tutti dovranno
pronunziarsi definitivamente o per Dio o contro di Lui, e qui sta appunto
il problema della vita interiore in quello che ha di più essenziale. «Qui
non est mecum, contra me est», dice il Salvatore (Mt 12, 30).
Così le grandi tendenze moderne, scientifiche e sociali, in mezzo ai
conflitti che insorgono tra loro, e nonostante l'opposizione degli scopi dei
loro rappresentanti, convergono - volere o no - verso la questione
fondamentale dei rapporti intimi dell'uomo con Dio.
A questo punto si arriva dopo molte deviazioni. Quando l'uomo non vuol
più adempiere i suoi primi doveri religiosi verso Chi l'ha creato ed è suo
ultimo fine, non potendo assolutamente fare a meno della religione, se
ne crea una a modo suo; mette, per esempio, la sua religione nella
scienza, o nel culto della giustizia sociale, in qualche ideale umano, che
finisce col considerare in modo religioso ed anche mistico, per sostituirlo
all'ideale superiore che ha abbandonato. Egli si scosta in tal modo dalla
suprema Realtà, e pone avanti a sé una massa di problemi che, per
amore o per forza, non potranno avere soluzione alcuna se non
ritornando al problema fondamentale dei rapporti intimi dell'anima con
Dio.
Già è stato osservato più volte come ai giorni nostri la scienza pretenda
essere una religione; in pari tempo il socialismo e il comunismo vogliono
essere una morale scientifica e si presentano come un culto febbrile della
giustizia, sforzandosi in tal modo di soggiogare gli spiriti ed i cuori.
E' un fatto che nell'ora attuale, il dotto moderno sembra avere un culto
scrupoloso del metodo scientifico, al punto da sembrare talvolta che
preferisca il metodo della ricerca alla verità stessa. Se apportasse eguale
diligenza e serietà nell'affare della sua vita interiore, egli giungerebbe
ben presto alla santità. Troppo spesso, però, questa religione della
scienza è ordinata piuttosto all'apoteosi dell'uomo che all'amore di Dio.
Lo stesso dobbiamo dire dell'attività sociale, in particolare sotto la forma
che riveste nel socialismo e nel comunismo. Questa infatti s'ispira ad un
misticismo che vuol tendere verso una trasfigurazione dell'uomo,
negando talvolta nel modo più assoluto i diritti di Dio.
Tutto ci porta a concludere che nel fondo d'ogni grande problema si
ritrova sempre il problema religioso dei rapporti dell'uomo con Dio.
Dobbiamo dichiararci favorevoli o contrari; non è possibile restare
indifferenti. L'epoca attuale ce lo dimostra in modo impressionante. La
crisi economica mondiale del momento presente ci mostra ad evidenza
quello che gli uomini possono fare da loro stessi quando vogliono fare a
meno di Dio. Quando si vuol fare a meno di Dio, la serietà della vita
viene ad essere spostata. Se la religione non è più cosa seria e grave,
ma cosa di cui si può sorridere, è necessario allora cercare altrove la
serietà.
Si pone, o per lo meno si pretende porla nella scienza, o nell'attività
sociale; si vuol lavorare religiosamente alla ricerca della verità
scientifica, oppure all'avvento della giustizia tra le classi e fra i popoli. E
dopo qualche tempo si è costretti a constatare che si va incontro ad un
immane disordine, e che i rapporti tra gl'individui e tra i popoli
divengono sempre più difficili, per non dire impossibili. È chiaro - come
già dissero Sant'Agostino e San Tommaso - che gli stessi beni materiali,
al contrario di quelli dello spirito, non possono appartenere
integralmente a più persone allo stesso tempo. La stessa cosa, la stessa
terra non possono appartenere totalmente nello stesso tempo a diversi
individui; né lo stesso territorio a diversi popoli. Di qui il terribile conflitto
degl'interessi, quando l'ultimo fine viene collocato febbrilmente in questi
beni inferiori.
Al contrario - e Sant'Agostino vi insiste con compiacenza - gli stessi beni
spirituali possono appartenere simultaneamente e integralmente a tutti e
ad ognuno. Senza nuocere l'uno all'altro, possiamo possedere
pienamente la stessa verità, la stessa virtù, lo stesso Dio. Per questo,
nostro Signore ci ha detto: Cercate il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà
dato per giunta (Mt 6, 33) .
Non ascoltare questa lezione è lavorare alla propria rovina.
Si verifica quindi ancora una volta la parola del Salmo 126,1: «Nisi
Dominus aedificaverit donum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam;
nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam. Se
Dio non edifica la casa, invano lavorano coloro che la costruiscono; se
Dio non veglia sopra la città, invano vigilano alle sue porte le sentinelle».
Se il lato serio della vita viene spostato, se non riguarda più i nostri
doveri verso Dio, ma l'attività scientifica o sociale dell'uomo; se l'uomo
cerca continuamente se stesso invece di cercare Dio, suo ultimo fine, i
fatti non tarderanno a mostrargli che si è impegnato in una via
impossibile che conduce, non solo al nulla, ma ad un disordine
insopportabile e alla miseria. È indispensabile il ritorno a quelle parole
del Salvatore: Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con
me, disperde (Mt 12, 20) . I fatti le confermano.
Ne consegue che la religione non può dare una risposta efficace,
veramente realista, ai grandi problemi attuali se non è una religione
profondamente vissuta; non soltanto una religione superficiale e a buon
mercato, che potrebbe consistere in qualche preghiera vocale, in qualche
cerimonia in cui l'arte religiosa avesse maggior posto della vera pietà.
Ora, non v'è religione profondamente vissuta senza vita interiore, senza
questa conversazione intima e frequente di ciascuno di noi, non solo con
se stesso, ma anche con Dio.
È questo (insegnamento delle ultime Encicliche di S.S. Pio XI. Per
rispondere alle aspirazioni generali dei popoli, in quello che hanno di
buono, aspirazioni alla giustizia e alla carità tra gl'individui, le classi e i
popoli, il supremo Pastore ha scritto le Encicliche riguardanti Cristo Re, il
suo influsso santificatore su tutto il Corpo Mistico, la famiglia, la santità
del matrimonio cristiano, le questioni sociali, la necessità della
riparazione, le missioni. In tutte queste encicliche si tratta del regno di
Dio sopra (intera umanità. Da tutto il loro complesso risulta evidente che
per mantenere la preminenza che sull'attività scientifica e su quella
sociale deve avere la religione, la vita interiore deve essere profonda,
deve essere vera vita d'unione con Dio. È una necessità evidente.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
Scopo di quest'opera
Come ragioneremo qui della vita interiore? Non intendiamo trattare in
modo tecnico questioni già ampiamente esposte dai teologi sulla grazia
santificante e sulle virtù infuse. Le supponiamo conosciute e non vi
accenneremo che nella misura necessaria per (intelligenza di ciò che
deve essere la vita spirituale.
Il nostro scopo è d'invitare le anime a divenire più interiori e a tendere
all'unione con Dio.. A tal fine, due scogli assai diversi l'uno dall'altro,
sono da evitare.
Avviene spesso che lo spirito animatore della ricerca scientifica, anche in
queste materie, s'indugia sopra i particolari, al punto da deviare il
pensiero dalla contemplazione delle cose divine. Nella maggior parte le
anime interiori non hanno bisogno di tante ricerche indispensabili al
teologo; per comprendere dovrebbero avere una iniziazione filosofica che
non hanno, e che, in un certo senso, sarebbe loro d'imbarazzo, poiché o
di colpo o per altre vie salgono più in alto, come San Francesco d'Assisi,
il quale si meravigliava di vedere come nei corsi di filosofia fatti ai suoi
religiosi ci si occupasse ancora a dimostrare l'esistenza di Dio.
Oggi la specializzazione, talvolta esagerata, degli studi fa sì che molte
intelligenze manchino delle vedute generali necessarie per giudicare
sapientemente delle cose, anche di quelle di cui si occupano in modo
speciale e delle quali non scorgono più il rapporto colle altre. Il culto del
particolare non deve far perdere la veduta d'insieme. Invece di
spiritualizzarsi ci si materializza e sotto pretesto di scienza esatta e
minuziosa ci si scosta dalla vera vita interiore e dall'alta sapienza
cristiana.
D'altra parte, molte opere di volgarizzazione in materia religiosa e
parecchi libri di pietà mancano di un solido fondamento dottrinale. La
volgarizzazione, a motivo del genere di semplificazione un po' materiale
che ad essa s'impone, evita spesso l'esame di problemi fondamentali e
difficili, da cui, tuttavia, scaturirebbe luce, e talvolta luce vitale.
Per sfuggire questi due scogli opposti, seguiremo la via indicataci da San
Tommaso, il quale se non fu un volgarizzatore, rimane però sempre il
grande classico della teologia. Dalla dotta complessità delle sue prime
opere e delle questioni disputate, si elevò alla semplicità superiore dei
più belli articoli della Somma teologica. E seppe elevarsi così bene, che al
termine della sua esistenza, assorto in sublime contemplazione, non gli
fu possibile dettare l'ultima parte della Somma, perché più non poteva
discendere alla complessità delle questioni e degli articoli che voleva
ancora comporre.
L'arrestarsi al particolare e la semplificazione superficiale allontanano in
modo diverso dalla contemplazione cristiana, la quale si eleva al disopra
di queste deviazioni opposte, come un'eccelsa vetta verso cui tendono
tutte le anime di orazione.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
Oggetto della teologia ascetica e mistica
Dalle stesse materie che deve trattare, vediamo come la teologia
ascetica e mistica è un ramo, ossia una parte della Teologia,
un'applicazione della teologia alla condotta delle anime. Deve dunque
procedere al lume della Rivelazione, perché questa sola permette di
conoscere che cos'è la vita della grazia e l'unione soprannaturale
dell'anima con Dio.
Questa parte della teologia è soprattutto uno svolgimento del trattato
dell'amor di Dio e di quello dei doni dello Spirito Santo, per mostrarne le
applicazioni, o per condurre le anime all'unione divina. Allo stesso modo
la casistica è - in un campo meno elevato - un'applicazione della teologia
morale per discernere praticamente ciò che è obbligatorio sotto pena di
peccato mortale o veniale. La teologia morale non deve trattare soltanto
dei peccati da evitare, ma delle virtù da praticarsi, e della docilità nel
seguire le ispirazioni dello Spirito Santo. Sotto questo aspetto le sue
applicazioni si chiamano ascetica e mistica.
L'ascetica tratta soprattutto della mortificazione dei vizi o difetti e della
pratica delle virtù. La mistica tratta principalmente della docilità allo
Spirito Santo, della contemplazione infusa dei misteri della fede,
dell'unione a Dio che ne risulta, ed ancora delle grazie straordinarie come visioni e rivelazioni - che accompagnano talvolta la contemplazione
infusa.
A riguardo poi del quesito se l'ascetica sia essenzialmente ordinata alla
mistica, noi l'esamineremo chiedendoci se la contemplazione infusa dei
misteri della fede e l'unione di Dio che ne deriva sia una grazia di per sé
straordinaria, come le visioni e le rivelazioni, o se non sia piuttosto nei
perfetti l'esercizio eminente, ma normale, dei doni dello Spirito Santo
che si trovano in tutti i giusti. La risposta a tale questione, assai discussa
ai nostri giorni, formerà la conclusione di quest'opera.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
INTRODUZIONE
Metodo della teologia ascetica e mistica
Quanto al metodo da seguirsi, ci limiteremo qui all'essenziale. Quello che
importa è di evitare due deviazioni contrarie in cui è facile incorrere; una
derivante dall'uso quasi esclusivo del metodo descrittivo o induttivo,
l'altra da un eccesso opposto.
L'uso quasi esclusivo del metodo descrittivo o induttivo induce a
dimenticare che l'ascetica e la mistica sono un ramo della teologia, e in
ultimo a considerarle come una parte della psicologia sperimentale. In tal
modo non si farebbe altro che radunare il materiale della teologia
mistica. Con la perdita del lume direttivo, tutto verrebbe ad essere
impoverito e diminuito. È coi grandi principi della teologia sulla vita della
grazia, delle virtù infuse e dei sette doni che dobbiamo trattare la
mistica. Allora tutto s'illumina, e ci troviamo davanti ad una scienza e
non già davanti ad una collezione di fenomeni, descritti più o meno bene.
Inoltre, usando quasi esclusivamente il metodo descrittivo, si resta
soprattutto colpiti dai segni più o meno sensibili degli stati mistici, e non
dalla legge fondamentale del progresso della grazia la cui
soprannaturalità essenziale è d'ordine troppo elevato per cadere sotto il
dominio dell'osservazione. Allora si presterebbe maggiore attenzione a
certe grazie straordinarie e in qualche modo esteriori, come visioni,
rivelazioni, stimmate, ecc., che allo svolgimento normale ed elevato della
grazia santificante, delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo.
Di qui la tentazione di confondere ciò che è straordinario di per se stesso
con quello che non lo è che di fatto, vale a dire ciò che è eminente, ma
normale; di confondere l'unione intima con Dio nelle sue forme più
elevate con le grazie straordinarie e relativamente inferiori che talvolta
l'accompagnano.
Finalmente, l'uso esclusivo del metodo descrittivo darebbe troppa
importanza al fatto, facilmente riscontrabile, che l'unione intima con Dio
e la contemplazione infusa dei misteri della fede sono relativamente
rare. Ciò farebbe pensare che tutte le anime interiori e generose non vi
sono chiamate nemmeno con un appello remoto e generale. E non
sarebbe forse un dimenticare le parole di nostro Signore, spesso qui
ricordate dai mistici: «Molti sono i chiamati, pochi gli eletti»?
È necessario, d'altra parte, guardarsi da un'altra deviazione che potrebbe
nascere dall'uso quasi esclusivo del metodo teologico deduttivo. Certi
spiriti un po' ingenui sono portati a dedurre la soluzione dei problemi più
difficili della spiritualità partendo dalla dottrina comune in teologia sopra
le virtù infuse e i doni, tale e quale viene esposta da San Tommaso,
senza considerare abbastanza le magnifiche descrizioni dateci da Santa
Teresa, San Giovanni della Croce, San Francesco di Sales ed altri grandi
santi, dei diversi gradi della vita spirituale, e particolarmente dell'unione
mistica.
Ora, è precisamente a questi fatti che qui dobbiamo applicare i principi, o
per meglio dire, sono questi fatti, ben conosciuti in se stessi, che
dobbiamo in primo luogo rischiarare alla luce dei principi soprattutto per
discernere quanto in essi vi può essere di veramente straordinario e
quanto è eminente, ma normale.
L'uso eccessivo del metodo deduttivo potrebbe condurre ad una
confusione radicalmente opposta a quella accennata sopra. Siccome i
sette doni dello Spirito Santo - secondo la Tradizione e secondo San
Tommaso - sono in ogni anima in stato di grazia, saremmo forse inclinati
a credere che lo stato mistico o la contemplazione infusa siano assai
frequenti, e potremmo confondere con questi ciò che non ne è che il
preludio, come ad es. l'orazione affettiva semplificata.
Saremmo pertanto indotti a non tenere abbastanza conto dei fenomeni
concomitanti di certi gradi di unione mistica, come la legatura (dei sensi)
e l'estasi, e cadremmo nell'estremo opposto a quello dei partigiani del
solo metodo descrittivo.
Praticamente in conseguenza a questi due eccessi, vi sono pure due
estremi da evitare nella direzione delle anime: far loro abbandonare
troppo presto o troppo tardi la via ascetica. Ne riparleremo distesamente
nel corso di quest'opera.
Si comprende dunque come sia necessario unire insieme i due metodi,
induttivo e deduttivo, analitico e sintetico.
Dobbiamo anzitutto analizzare bene le nozioni ed i fatti della vita
spirituale; in primo luogo analizzare le nozioni della vita interiore, della
perfezione cristiana, della santità che ci dà il Vangelo, per vedere
chiaramente il fine proposto dallo stesso Salvatore a tutte le anime
interiori, e per scorgerlo in tutta la sua elevatezza, senza punto
diminuirlo.
Dobbiamo quindi analizzare i fatti: imperfezione dei principianti,
purificazione attiva e passiva, gradi diversi di unione, ecc., per
distinguere in essi l'essenziale dall'accessorio.
Dopo questo lavoro d'analisi, dobbiamo fare la sintesi e mostrare ciò che
è necessario o assai utile e desiderabile per giungere alla pienezza della
perfezione cristiana, e ciò che, al contrario, è propriamente straordinario
e non richiesto affatto per la più alta santità.
Parecchie di tali questioni sono difficilissime, sia a motivo
dell'elevatezza dell'oggetto trattato, sia per le contingenze che
s'incontrano nell'applicazione e che dipendono o dal temperamento delle
persone (la dirigersi, oppure dal beneplacito di Dio, il quale talvolta può
accordare, per esempio, la grazia della contemplazione a dei principianti
e ritirarla momentaneamente ad anime più inoltrate nelle vie dello
spirito.
Date queste molteplici difficoltà, lo studio dell'ascetica e della mistica
richiedono una profonda conoscenza della teologia, soprattutto dei
trattati della grazia, delle virtù infuse, dei doni dello Spirito Santo nei
loro rapporti coi grandi misteri della Trinità, dell'Incarnazione, della
Redenzione, dell'Eucaristia. Richiede inoltre la conoscenza dei grandi
autori spirituali, soprattutto di quelli che la Chiesa designa come guida in
tali questioni.
INTRODUZIONE
00 Introduzione
01L'unica cosa necessaria
02 La questione della sola cosa necessaria nell'epoca
nostra
03 Scopo di quest'opera
04 Oggetto della teologia ascetica e mistica
05 Metodo della teologia ascetica e mistica
00 Parte prima
Origine e fine della vita interiore
Prologo
01 La vita eterna
02 La vita eterna promessa dal Salvatore agli uomini di
buona volontà
03 Il germe della vita eterna in noi
04 Conseguenza importante
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore
Vol. I
LA VITA INTERIORE
Parte prima- Origine e fine della vita interiore
Prologo
Poiché la vita interiore è una forma ognora più cosciente della vita della
grazia in ogni anima generosa, parleremo primieramente della vita della
grazia per vederne tutto il valore. Passeremo poi a considerare che cosa
sia l'organismo spirituale delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo,
che derivano dalla grazia santificante in ogni anima giusta.
Tutto questo ci condurrà a parlare dell'abitazione della SS. Trinità
nell'anima dei giusti, come pure del perenne influsso che esercita sopra
di questa Nostro Signore Gesù Cristo, mediatore universale, e Maria,
mediatrice di tutte le grazie.
Tali sono le sorgenti della vita interiore che troviamo molto in alto, come
la sorgente dei fiumi che scaturisce dalle vette delle più alte montagne.
Ed è appunto perché discende da grande altezza, che la nostra vita
interiore pub risalire sino a Dio e condurci ad una unione di grande
intimità con Lui.
In questa prima parte, dopo aver parlato dell'origine della vita interiore,
tratteremo del suo fine, vale a dire della perfezione cristiana alla quale è
ordinata e dell'obbligo di tendervi, ciascuno secondo la propria
condizione. In tutte le cose dobbiamo in primo luogo considerare il fine,
poiché questo è il primo nell'ordine d'intenzione benché sia l'ultimo di
esecuzione.
È il fine a cui aneliamo sin dall'inizio, sebbene non possiamo ottenerlo
che in ultimo luogo. Ecco il motivo per cui Nostro Signore ha
incominciato la sua predicazione col parlarci delle beatitudini, e perché
ancora la teologia morale ha il suo inizio col trattato dell'ultimo fine al
quale debbono essere ordinate tutte le nostre azioni.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore - Vol. I
LA VITA INTERIORE
Parte prima- Origine e fine della vita interiore
Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna
La vita eterna
La vita interiore del cristiano suppone lo stato di grazia che è contrario
allo stato di peccato mortale. Nel piano attuale della Provvidenza, ogni
anima si trova o in stato di grazia o in quello di colpa mortale; in altri
termini, o è rivolta a Dio, ultimo fine soprannaturale, o ha deviato da
Lui.
Non v'è uomo che possa trovarsi in uno stato puramente naturale,
essendo tutti chiamati al fine soprannaturale, che consiste nella visione
immediata di Dio e nell'amore che ne risulta. Sin dal giorno della
creazione l'umanità fu ordinata a questo fine supremo. E, dopo la
caduta, è ancora verso tal fine che ci conduce il Salvatore, offertosi
vittima per la salute di tutti gli uomini.
Per possedere una vera vita interiore non è certamente sufficiente
trovarsi in stato di grazia, com'è un bambino dopo il battesimo, o un
penitente dopo l'assoluzione delle sue colpe. La vita interiore richiede,
inoltre, una lotta contro tutto ciò che può farci ricadere nel peccato, ed
un serio impegno dell'anima a tendere verso Dio.
Se avessimo una conoscenza profonda dello stato di grazia, vedremmo
che esso non è solamente il principio d'una vita veramente interiore e
santissima, ma che è ancora il germe della vita eterna. È necessario
insistere fin dal principio su questo punto, ricordando la parola di San
Tommaso: Bonum gratiae unius maius est quam bonum naturae totius
universi: il minimo grado di grazia santificante vale più di tutti i beni
naturali dell'intero universo (I° II°, q. 113, a. 9, ad 2); poiché la grazia è
il germe della vita eterna, la quale è incomparabilmente superiore alla
vita naturale dell'anima nostra o a quella degli angeli.
Ecco quanto può mostrarci, più d'ogni altra cosa, il valore della grazia
santificante, ricevuta nel battesimo, e che l'assoluzione ci restituisce se
abbiamo avuto la disgrazia di perderla.
Non possiamo conoscere il valore di un germe se non conosciamo in
qualche modo ciò che ne può nascere in seguito. Per sapere, per
esempio - nell'ordine della natura - il valore del germe contenuto in una
ghianda, è necessario aver vista una quercia nel suo pieno sviluppo.
Nell'ordine umano, per conoscere il valore dell'anima ragionevole che
ancora sonnecchia nel bambino, bisogna sapere qual è normalmente la
forza di un'anima in un uomo che ha raggiunto il suo pieno sviluppo.
Così pure non possiamo conoscere il valore della grazia santificante che
sta nell'anima di un piccolo battezzato e nei giusti, se non abbiamo
considerato, per lo meno imperfettamente, ciò che sarà il pieno sviluppo
di questa grazia nella vita dell'eternità. E ci è utile considerarlo alla luce
stessa delle parole del Salvatore, le quali sono «spirito e vita», e
contengono un sapore superiore a ogni commentario. Il linguaggio del
Vangelo, lo stile di Nostro Signore ci portano alla contemplazione in
modo assai più immediato del linguaggio tecnico della teologia per
quanto sicura e sublime. Niente di più salutare del respirare l'aria
purissima di quelle altezze d'onde scendono le acque vive del fiume della
dottrina cristiana.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore - Vol. I
LA VITA INTERIORE
Parte prima- Origine e fine della vita interiore
Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna
La vita eterna promessa dal Salvatore agli uomini di
buona volontà
L'espressione «vita eterna» è rara nell'Antico Testamento, dove la
ricompensa dei giusti dopo la morte è spesso presentata in modo
simbolico, per esempio, sotto la figura della terra promessa.
Ciò si comprende ancora meglio dal fatto che i giusti dell'Antico
Testamento, dopo la morte, dovevano aspettare il compimento della
Passione del Salvatore e del Sacrificio della croce per vedersi schiudere
le porte del cielo. Nell'Antico Testamento, tutto era anzitutto ordinato
alla venuta del Salvatore promesso.
Nella predicazione di Gesù, invece, tutto è ordinato immediatamente alla
vita eterna. E se osserviamo con attenzione le sue parole, vedremo
quanto questa vita eterna differisca dalla vita futura di cui parlarono i
migliori filosofi, come ad esempio un Platone. La vita futura era ai loro
occhi di ordine naturale e la concepivano come «un bel rischio da
correre» senza averne, tuttavia, una certezza assoluta. Il Salvatore,
invece, parla con la più assoluta sicurezza non soltanto d'una vita futura,
ma della vita eterna superiore al passato, al presente e al futuro, vita
tutta soprannaturale misurata coll' unico presente come la vita intima di
Dio, di cui essa è una partecipazione dell'immobile eternità.
Gesù insegna che stretta è la via che conduce alla vita eterna, che per
ottenerla dobbiamo abbandonare il peccato, ed osservare i
comandamenti di Dio. Nel quarto Vangelo ci dice, a più riprese: «Chi
crede in me ha la vita eterna», vale a dire: chi crede in me Figlio di Dio,
d'una fede viva, unita alla carità, alla pratica dei precetti, ha
incominciato la vita eterna.
Ed è quanto Gesù dichiara ancora nelle otto beatitudini fin dall'inizio della
sua predicazione: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il remo dei
cieli; ...beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati; ...beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Che cos'è dunque
la vita eterna se non questa sazietà, questa visione di Dio nel suo regno?
A quelli che soffrono persecuzione per la giustizia, vien detto in modo
particolare: «Rallegratevi ed esultate perché grande sarà in cielo la
vostra ricompensa».
Troviamo in San Giovanni (17, 3) come Gesù, prima della sua Passione,
si esprimesse ancora più chiaramente, dicendo: «Padre, l'ora è venuta di
glorificare il Figlio tuo poiché tu gli hai dato autorità sopra ogni carne,
affinché tutti quelli che tu gli hai dato, ricevano da lui la vita eterna. Ora,
la vita eterna è che conoscano Te, il solo vero Dio, e colui che tu hai
mandato, Gesù Cristo».
Lo stesso San Giovanni Evangelista ci spiega queste parole del Salvatore,
quando scrive: «Noi siamo ora figliuoli di Dio, ma non è ancora
manifesto quello che noi saremo; sappiamo però che al tempo di questa
manifestazione saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è».
Lo vedremo com'è, e non più solamente per il riflesso delle sue
perfezioni nelle creature, nella natura sensibile o nell'anima dei santi che
traspariva nelle loro parole e nei loro atti; lo vedremo in modo
immediato tale e quale Egli è in se stesso.
San Paolo soggiunge: «Ora lo vediamo (Dio) come in uno specchio, in
modo oscuro, ma allora lo vedremo faccia a faccia; oggi lo conosco
parzialmente, ma allora lo conoscerò come io stesso sono conosciuto»
(9)
Notiamo, che San Paolo non dice: lo conoscerò come conosco me stesso,
come conosco l'interno della mia coscienza. Non v'ha dubbio che l'interno
dell'anima mia è da me conosciuto più di quanto possa esserlo da altri;
ma ha tuttavia dei segreti per me: non posso misurare tutta la gravità
delle mie colpe, direttamente o indirettamente volontarie. Dio solo mi
conosce a fondo: i segreti del mio cuore non sono interamente svelati
che al suo sguardo.
Ora - dice San Paolo - io lo conoscerò (in cielo) come sono conosciuto da
lui. Come Dio conosce l'essenza della mia anima e la mia vita intima
senza intermediari, così io lo vedrò non per mezzo di alcuna creatura e
nemmeno - come aggiunge la teologia - per mezzo di alcuna idea
creata.
Difatti, nessuna idea creata può rappresentare tale e quale è in se stessa
la pura luce intellettuale, eternamente sussistente, cioè, Dio e la sua
verità infinita. Ogni idea creata è finita, è un concetto di tale o tal'altra
perfezione di Dio, del suo essere, della sua verità o della sua bontà, della
sua sapienza o del suo amore, della sua misericordia o della sua
giustizia.
Ma questi diversi concetti delle perfezioni divine sono incapaci a farci
conoscere com'è in se stessa l'essenza divina sommamente semplice, la
Deità, ossia la vita intima di Dio. Questi concetti molteplici stanno alla
vita intima di Dio, alla semplicità divina, un poco come i sette colori
dell'arcobaleno alla luce bianca dalla quale procedono.
Siamo quaggiù come uomini i quali, non avendo mai veduto altro che i
sette colori, desiderano vedere la pura luce d'onde emanano. E finché
non avremo veduta la Deità com'è in se stessa, non giungeremo a
vedere l'intima conciliazione delle perfezioni divine, particolarmente
dell'infinita misericordia e della giustizia infinita. Le nostre idee create
intorno ai divini attributi sono come piccoli quadrelli di mosaico che
rendono alquanto duri i tratti della fisionomia spirituale di Dio.
Quando pensiamo alla sua giustizia, questa può sembrare troppo rigida,
e quando consideriamo le predilezioni gratuite della sua misericordia,
queste possono apparirci arbitrarie. Riflettendovi sopra, diciamo a noi
stessi: ma in Dio giustizia e misericordia si fondono insieme, non v'è
alcuna reale distinzione tra loro. È verissimo, e noi l'affermiamo con
certezza; tuttavia, non vediamo ancora l' intima armonia di queste
perfezioni divine. Per vederla sarebbe necessario vedere in modo
immediato, senza il mezzo di alcuna idea creata, l'essenza divina tale e
quale è in se stessa.
Questa visione costituirà la vita eterna. Chi può esprimere l'immensità
della gioia e dell'amore che ne ridonderanno in noi: un amore di Dio
forte, assoluto, che niente potrà più, non solo distruggere, a nemmeno
diminuire; amore per il quale ci rallegreremo soprattutto che Dio sia Dio,
infinitamente santo, giusto, misericordioso; adoreremo tutti i decreti
della sua Provvidenza in vista della manifestazione della sua bontà.
Ci troveremo immersi nella di Lui beatitudine, secondo la stessa
espressione del Salvatore: «Va bene, servo buono e fedele; sei stato
fedele nel poco, ed io ti farò padrone del molto: entra nel gaudio del tuo
Signore; intra in gaudium Domini tui». Vedremo Dio come egli vede
immediatamente se stesso, senza tuttavia esaurire la profondità del suo
essere, del suo amore e della sua onnipotenza, e l'ameremo come egli si
ama.
Vedremo pure Nostro Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore.
Tale è essenzialmente la beatitudine eterna, senza parlare della gioia
accidentale che proveremo nel vedere ed amare la SS. Vergine Maria e
tutti i santi, specialmente le anime che avremo conosciute arante il
nostro terrestre pellegrinaggio.
Garrigou-Lagrange o.p.
Le tre eta' della vita interiore - Vol. I
LA VITA INTERIORE
Parte prima- Origine e fine della vita interiore
Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna
Conseguenza importante
Da quanto abbiamo detto finora, fin da questo momento si ha per lo
meno una certa presunzione sul carattere non straordinario della
contemplazione infusa dei misteri della fede e dell'unione a Dio che ne
risulta. Tale presunzione troverà la sua conferma ognor più in seguito,
fino a diventare certezza.
La grazia santificante e la carità, che ci uniscono a Dio nella sua vita
intima, sono, in realtà, assai superiori alle grazie gratis datae e
straordinarie, come la profezia e il dono delle lingue, che sono semplici
segni dell'intervento divino e che per se stesse non ci uniscono
intimamente a Dio. San Paolo l'afferma in modo categorico. e San
Tommaso lo spiega molto bene.
Ora, è proprio dalla grazia santificante, detta «grazia delle virtù e dei
doni», che tutti riceviamo nel battesimo, e non già dalle grazie gratis
datae e straordinarie, che procede, come vedremo, la contemplazione
infusa, atto della fede infusa, illuminata dai doni d'intelletto e di
sapienza. I teologi sono in generale concordi su tal punto. Vi é dunque
fin d'ora una seria presunzione che la contemplazione infusa e l'unione a
Dio che ne consegue non siano di per sé straordinarie, come la profezia o
il dono delle lingue. E se non sono di per se stesse straordinarie, non si
trovano forse nella via normale della santità?
V'è una seconda ragione più efficace ancora che deriva direttamente da
quanto abbiamo detto: Essendo la grazia santificante, per la stessa sua
natura, ordinata alla vita eterna, essa è pure ordinata di per sé, in modo
nomale, alla disposizione prossima destinata a ricevere tosto il lume
della gloria.
Ora tale disposizione prossima è la carità perfetta col vivo desiderio della
visione beatifica, vivo desiderio che ordinariamente trovasi soltanto
nell'unione a Dio risultante dalla contemplazione infusa dei misteri della
salute. Questa contemplazione non è dunque di per se stessa
straordinaria, come la profezia, ma è qualcosa di eminente, che già
sembra ritrovarsi nella via normale della santità, per quanto sia
relativamente rara come l'alta perfezione.
Dobbiamo inoltre notare che l' ardente desiderio della visione beatifica si
trova, nella sua pienezza, soltanto nell'unione trasformante, o unione
mistica superiore, la quale perciò non sembra essere fuori della via
normale della santità. Per afferrare appieno il senso e il valore di questa
ragione, dobbiamo osservare che se vi è un bene che il cristiano debba
desiderare ardentemente, è certamente quello di vedere Dio faccia a
faccia ed amarlo sopra ogni cosa, senza più possibilità alcuna di
commettere il peccato. È chiaro che deve esservi proporzione tra
l'intensità del desiderio e il valore del bene desiderato; ora nel caso
nostro il valore dell'oggetto è infinito. Dovremmo tutti essere «pellegrini
dell'Assoluto», quandium in hoc vita peregrinamur a Domino (2 Cor 5, 6)
.
Finalmente, come la grazia santificante è di per sé ordinata alla vita
eterna, così pure è ordinata ad una disposizione prossima, a ricevere
cioè il lume di gloria subito dopo la morie, senza passare per il
purgatorio. Poiché il purgatorio è una pena che suppone una colpa la
quale avrebbe potuto essere evitata, ed una soddisfazione insufficiente
che avrebbe potuto essere completa, se avessimo accettato in modo
migliore le pene della vita presente. È infatti cosa certa, che in
purgatorio sarà trattenuto soltanto chi ha commesso dei peccati che
avrebbe potuto evitare, o fu negligente nel ripararli. Normalmente,
dovremmo fare il nostro purgatorio in questa vita, accumulando meriti, e
crescendo nell'amore, invece di farlo dopo la morte, senza merito alcuno.
Ora la disposizione prossima a ricevere il lume della gloria subito dopo
morte suppone una vera purificazione analoga a quella delle anime che
escono dal purgatorio, e che hanno un ardente desiderio della visione
beatifica. Tale ardente desiderio non esiste ordinariamente in questa
vita che nell'unione a Dio proveniente dalla contemplazione infusa dei
misteri della salute. Questa ci si presenta quindi, non come una grazia
straordinaria, ma come una grazia eminente nella via normale della
santità.
Il vivo desiderio di Dio, Sommo Bene, che è la disposizione prossima
normale alla visione beatifica, è stato espresso mirabilmente da S. Paolo
(2 Cor 4, 16 segg., e 5, 1 segg.) : «Anche se il nostro uomo esterno si
corrompe, l'uomo interiore si rinnova tuttavia di giorno in giorno...
gemiamo sotto questa tenda terrestre, bramando di penetrare nella
nostra abitazione celeste... ora, chi ci ha formati a questo fine è Dio, che
ci ha dato in caparra lo Spirito».
E' chiaro che, per trattare come si conviene le questioni della teologia
ascetica e mistica, non dobbiamo perdere di vista queste altezze, come
ce le fa conoscere la Sacra Scrittura, spiegata dalla teologia dei grandi
Maestri. Se vi è un campo in cui dobbiamo considerare gli uomini, non
solo come sono, ma come debbono essere, è evidentemente quello della
spiritualità. Qui, al disopra delle convenzioni umane, dobbiamo poter
respirare liberamente l'aria delle vette più alte. Beate le anime provate
che, come San Paolo della Croce, non trovano più aria respirabile se non
dalla parte di Dio ed aspirano a Lui con la massima intensità.
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05 Metodo della teologia ascetica e mistica 00 Parte