23 SET - OTT 2012 anno IV SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 INTERVENTI “8th FIG Regional Conference 2012” Radisson Victoria Plaza Hotel Montevideo (Uruguay) PROGETTI “Palais Lumière Pierre Cardin” PROTAGONISTI GEOMATICA Ugo Filippini, Geometra Mappatura GPS delle Ippovie ZOOM Enrico Mattei 23 Geo Network sOfTware unici per Ogni esigenza sempl ic i, c Ompl e T i e p rOfessiOnal i nova studio tecnico parcelle - preventivi e disciplinari di incarico de.a.s gestione coMpleta successioni e volture dal 1973 ad oggi anche secondo il dM 140/2012 euclide studi tecnici redazione del dvr per lo studio professionale euclide certificazione energetica eXpert dvr ps sicurezza cantieri eXpert dvr ps iMpresa edile nuova versione nuova versione calcolo coMpleto del fabbisogno energetico conforMe alla norMa uni/ts 11300, parti 1°, 2°, 3° e 4° con disegno esecutivo del ponteggio per gestire ogni aspetto della sicurezza nei cantieri edili lo struMento ideale per la redazione del dvr per l’iMpresa edile ed iMpiantistiche scarica oggi le versioni trial! 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Un WebGIS per il turismo equestre di Cristina Castagnetti, Alessandro Capra Irene Bedostri, Tiziano Bedostri 33 PERSONAGGI Le Lauree di Meyra Moise 35 FOCUS Carlo Rambaldi Geometra Scenografo 37 IDEE “La parola come utensile” 44 ZOOM Le stazioni di servizio Agip Il modello di Enrico Mattei 37 49 PROTAGONISTI Ugo Filippini Geometra racconta i suoi progetti 66 AUTORI “Il calcolo rapido della trave continua” Renato Scassa Geometra 69 49 79 EDILIZIA La sicurezza sul lavoro per il committente privato di lavori edili: l’informazione come fondamento della sicurezza Prima parte di Giovanni Piga 74 74 88 MISURE Il monitoraggio dei vulcani attivi di Danilo Reitano, Susanna Falsaperla Giuliana D’Addezio 79 IMPIANTI Esempio di scelta e dimensionamento componenti: cantiere edile Quinta lezione di Mauro Cappello FORMAZIONE Il cuneo Macchina onnipresente nella carpenteria lignea Semplice, potente utile e bello 94 NEWS 96 BOOKS di Franco Laner 66 Per questo numero si ringrazia Online 69 La rivista è consultabile agli indirizzi web: www.fondazionegeometri.it www.cng.it www.cassageometri.it Sezione “Geocentro” Vincenzo Acunto Irene Bedostri Tiziano Bedostri Alessandro Capra Alessandro Cariani Cristina Castagnetti Giuliana D’Addezio Susanna Falsaperla Ugo Filippini Giovanni Piga Danilo Reitano Centro di Documentazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata Eni Festival della mente – Sarzana Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Crepe nei muri? Cedimenti? NOVATEK È LA SOLUZIONE DEFINITIVA. Resine espandenti Micropali in acciaio NOVATEK: LA SOLUZIONE IDEALE CHE CONSOLIDA VERAMENTE LA TUA CASA, PER SEMPRE. 1 Iniezioni di resine espandenti per riempire i vuoti, consolidare e sollevare l’edificio. 2 Infissione di micropali in acciaio per trasferire in profondità il peso della struttura e garantire un risultato certo e duraturo. PER SOPRALLUOGHI E PREVENTIVI GRATUITI IN TUTTA ITALIA, CHIAMACI IN ORARIO DI UFFICIO AL: PAGAMENTI IN 24 COMODE RATE MENSILI A ZERO INTERESSI SENZA SPESE DI ISTRUTTORIA. Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Offerta subordinata all’approvazione della società finanziaria. Tan 0% Taeg 0%. Maggiori informazioni sulle condizioni economiche e contrattuali applicate sono indicate nei fogli informativi disponibili presso la sede di Novatek. Via dell’Artigianato, 11 - 37021 BOSCO CHIESANUOVA (VR) Tel. 045 6780224 - Fax 045 6782021 | [email protected] - www.novatek.it Libertè, Egalitè, Fai da te.* Fino al 15 gennaio, Abitantionline.it è aperto solo ai professionisti e artigiani della casa. Se sei un geometra, un avvocato, un commercialista, un notaio, un artigiano o un’impresa registrati subito. Dal 15 gennaio il primo social network della casa apre al pubblico che potrà trovare i migliori professionisti e artigiani, dialogare con gli esperti e farsi consigliare da chi ha avuto gli stessi problemi. Approfitta dell’offerta riservata ai professionisti della casa! www.abitantionline.it è gratis! * Il primo social network per la casa EDITORIALE OCCHIO ALLA TERRA di Franco Mazzoccoli Direttore di GEOCENTRO/magazine Il primo passo di Neil Armstrong sulla Luna, luglio 1969, è stato in realtà meno importante del suo sguardo rivolto alla Terra: “piccola e fragile sfera blu”. Christian Brodhag Proprio questa “sfera blu” ha ispirato la nostra copertina. Per impegnare tutti a non smettere di guardare la Terra la cui origine risale a 4,5 miliardi di anni fa ed il livello dei mari era più alto di 70-90 metri e la temperatura superiore di 10°C. Ci sono voluti circa 180 milioni di anni alla natura per la trasformazione dell’anidride carbonica dell’atmosfera, in risorse sotterranee di combustibili fossili: petrolio e carbone. L’uomo compare sulla terra circa 200.000 anni fa. L’Umanità alla ricerca del profitto in tempi brevi ha sfruttato e continua a farlo le risorse naturali. Oggi siamo tutti chiamati a tener conto non dei risultati del profitto, ma ai dati dell’ambiente, quindi ad una economia impostata in funzione della Terra ed alla sua sostenibilità. Eliminando le vecchie industrie inquinanti o ristrutturandole con nuovi impianti ecocompatibili. Questa trasformazione coinvolge le industrie delle auto non più a benzina ma ad idrogeno, la produzione dell’energia elettrica mediante l’eolica e quella solare. Un sostanziale cambiamento di tutti i settori, da quello agroalimentare, delle costruzioni, al riciclo dei rifiuti, dell’acqua, che mettono in campo nuove figure di Professionisti specializzati. In questo momento di crisi pensare ad una economia in sintonia con la Terra è un’opportunità di grande investimento. Questa economia ha come base lo sviluppo sostenibile che si fonda sulla equità sociale, l’efficienza economica, la tutela dell’ambiente (risorse naturali). Dobbiamo riflettere sul rapporto che l’essere umano ha con la natura. Alla trasformazione di questa economia in “economia compatibile” deve responsabilmente partecipare ognuno di noi. I Professionisti più a contatto ed a servizio dei cittadini, hanno il compito di informarli e sensibilizzarli facendoli partecipare alle decisioni nelle quali sono coinvolti. A proposito del rapporto “essere umano-pianeta”, Fausto Savoldi, nel suo discorso in Montevideo alla “8th FIG Regional Conference 2012”, ha trattato questo tema partendo dalle parole chiave, che per i Professionisti Geometri sono “Territorio e Ambiente”, mettendo in evidenza che la categoria da anni si batte per l’istituzione di un sistema di formazione permanente su questi temi. Restando nel tema, il progetto “Palais Lumière Pierre Cardin” si propone come esempio di ecosostenibilità in senso compiuto, con il più basso impatto sulle risorse ambientali e sul sistema circostante dei trasporti di merci e persone ed anche “coprendo” un ampio spettro di energie rinnovabili: geotermico, solare ed eolico, per soddisfare interamente il fabbisogno termico ed elettrico complessivo annuale, non trascurando la separazione e lo smaltimento dei rifiuti. Sostenibilità e responsabilità, sono gli elementi alla base del progetto “Turismo equestre” nato nel 2009 nella regione Emilia Romagna realizzando la mappatura, con GPS, del sentiero fruibile a cavallo ed anche per obiettivi quali una più ampia fruibilità e per individuare siti di interesse culturale-naturalistico. Così come illustrato nell’articolo di Cristina Castagnetti, Alessandro Capra, Irene Bedostri, Tiziano Bedostri. Sfogliando questo numero di GEOCENTRO non potrà non incuriosirvi l’attività sul “monitoraggio dei vulcani attivi”, utile anche al monitoraggio dei terremoti, che si svolge 24 ore su 24 in tre sale operative dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): Roma, Napoli, Catania. Quanto vi ho raccontato sin qui non è che una parziale e succinta anticipazione di quello che troverete in questo numero di GEOCENTRO con il mio augurio di buona lettura. 7 INTERVENTI “8th FIG Regional Conference 2012” Radisson Victoria Plaza Hotel Montevideo (Uruguay) Intervento di Fausto Savoldi Presidente del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati Cari colleghi, prima di tutto, vi ringrazio molto per l’invito inaspettato qui al vostro congresso. Credo che sia la prima volta che un Geometra italiano abbia la possibilità di offrire un piccolo contributo alla discussione sul futuro della nostra Professione in Sud America. Spero di essere all’altezza di questo privilegio. Dal momento che siamo tutti Professionisti non vale la pena fare una lezione accademica sulla storia ed i fondamenti della Topografia: sono certo che sulla questione siate più aggiornati di me! Preferisco introdurre un diverso tipo di prospettiva. Premetto che in Italia il ruolo del Geometra è incentrato su tre attività principali: Topografia (ovviamente!); estimo e progettazione edilizia. Non a caso tutte queste competenze rientrano in una stessa Professione. È ovvio che la realtà europea è totalmente differente da quella sud-americana. Tuttavia, proprio questo ci consente di determinare il nostro ruolo in modo indipendente ed in risposta alle esigenze della società in cui viviamo. Cosa caratterizza realmente il Mondo di oggi? Un fenomeno comunemente noto come “GLOBALIZZAZIONE”. Al di là dei paroloni, se ne può dedurre che qualsiasi 8 problema in una singola regione del Pianeta ha un’influenza sulla realtà di tutto il Globo terrestre. Per noi Professionisti le parole-chiave sono solo due: TERRITORIO e AMBIENTE. Il nostro Territorio va conosciuto e misurato: è necessario valutarne le risorse e le potenzialità sia ai fini del mercato, sia ai fini del suo utilizzo. È necessario pianificarne l’uso. Stiamo parlando di eco-sostenibilità ed è qui che entrano in gioco le competenze del Professionista. In primo luogo: cosa si intende per “sostenibilità” o “sviluppo sostenibile”? Se ci si basa sulla definizione del “POLICY FRAMEWORK FOR SUSTAINABLE REAL ESTATE MARKETS”, pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2010: “Sustainable development: development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations so to face their own needs”. In parole povere, non si può semplicemente togliere alla Terra le risorse che essa offre. Alla data del 22 di Agosto 2012, le ricerche hanno stabilito che l’Umanità ha consumato tutto ciò che la Terra poteva dare. Da tale data in poi abbiamo solo sottratto risorse che non saranno più disponibili per i nostri figli o i nostri nipoti. Credo sia molto significativa una metafora che aiuta a visualizzare la condizione dell’Uomo: un bambino nasce con la sua pelle; deve essere subito vestito; entra in una casa; assume una sua identità culturale; viene a far parte della totalità del Mondo. Sono le “5 pelli dell’Uomo”. Fuori c’è l’Universo. È un modo per esprimere il fatto che, dato che l’Umanità è necessariamente votata allo sviluppo, questo sviluppo va collocato in contesti che costituiscono una sorta di schema di cerchi concentrici. Non è possibile limitarci a considerare il nostro Pianeta un mero sfondo rispetto al primo piano della nostra esistenza. Il Territorio non è solo uno sfondo: è ciò che fa risaltare il ruolo stesso dell’Uomo. Non possiamo consentire che i colori di questo sfondo si sbiadiscano. Le sfide sono molteplici. La prima è l’inesorabile crescita della popolazione mondiale. Sull’intero Pianeta nascono 230.000 bambini ogni giorno (la popolazione dell’intera Germania!). Se oggi siano 7 miliardi, in pochi anni diverremo 10 miliardi! Come poter gestire la disponibilità, ad esempio, delle risorse idriche per garantire la produzione alimentare necessaria ad una popolazione in continua crescita? La seconda sfida: il cambiamento climatico. Si tratta di un fattore che, a lungo andare, è destinato ad influire sulle condizioni di vita di tutti. Stando alle previsioni, la progressiva desertificazione, l’aumento dell’effetto serra, il riscaldamento globale, il graduale scioglimento dei ghiacciai ai Poli ed il conseguente innalzamento del livello degli Oceani e dei Mari rendono prioritario considerare il ruolo dei topografi al fine di migliorare questa situazione di crisi. La Topografia non può essere vista solo come una semplice rappresentazione del Territorio. Essa è piuttosto un modo di raccogliere dati indispensabili per una corretta pianificazione volta ad uno sviluppo sostenibile dell’ambiente in cui viviamo. Un’equa e corretta rappresentazione del Territorio deve poter divenire uno strumento di monitoraggio e valutazione dei cambiamenti geo-climatici e dei rischi sismici ed idro-geologici. Uno strumento in grado di consentire l’elaborazione di dati ed informazioni utili a migliorare la condizione di vita di coloro che abitano questo Pianeta. Al giorno d’oggi non si può più affermare che la Topografia è solo questione di raccogliere misurazioni e determinare confini. Essa costituisce invece la chiave per un reale sviluppo politico ed economico in tutto il Mondo. Una cartografia globale e, lo sottolineo, condivisibile universalmente attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, ci porta a sapere con esattezza dove siamo e dove andiamo; ci porta a poterci incontrare; ci porta a poter far fronte alle situazioni di emergenza in modo efficace. In 5 parole: ci porta a poter “vivere”. Se un tempo anche in Italia il ruolo del Topografo si limitava al confronto dei documenti del Registro Catastale, ora, dato che abbiamo a che fare con la necessità di uno sviluppo globale, la rilevanza di rappresentazioni topografiche condivise diventa essenziale. Il progresso della tecnologia diviene lo strumento di una corretta gestione del Territorio. Proprio per il fatto che il Territorio è il contesto in cui le persone vivono, diventa indispensabile la figura di un Professionista che si faccia carico anche degli aspetti socio-culturali. Da anni in Italia, la nostra Categoria si batte affinché venga istituito un sistema di “formazione permanente” per tutti i Professionisti. Se è vero che il Geometra italiano “è di famiglia” e quindi conosce a fondo la propria realtà umana ed ambientale, è anche vero che non possiamo permetterci di ignorare le nuove possibilità di confronto e di apertura (tra noi e verso i clienti) che la tecnologia ci offre di continuo. A questo proposito, vorrei presentarvi un’indagine che il CNG/GL ha commissionato ad un team di esperti nel 2010. Il progetto è stato denominato “Euclide 2020. I Geometri del futuro”. Si tratta di una previsione basata sulle risposte ad un questionario specifico sottoposto ad un vasto campione di Professionisti e su di una successiva analisi da parte di un gruppo di esperti in vari settori. Lo scopo era quello di determinare quale potrebbe essere l’evoluzione del ruolo del Geometra in Italia nei prossimi 10 anni. Prima di tutto si è voluto chiarire ciò che possiamo definire il macro-scenario: • evoluzione sociale; • tendenze economiche; • variazioni del contesto demografico, delle tipologie urbanistiche e del rapporto con il Territorio; • influenza delle politiche pubbliche; • evoluzione dei vari Ordini professionali. È risultato evidente come la nostra Professione abbia bisogno di una profonda trasformazione. La necessità crescente di specializzazione rende indispensabile da un lato acquisire competenze sempre più settoriali e finalizzate, dall’altro lato saper creare studi associati che coinvolgano vari tipi di Professionisti. È questa la sola chiave per un contributo efficace allo sviluppo, dato che l’esasperata concentrazione su di un solo settore non può che generare una visione limitata e di scarso impatto nel quadro globale. Questo vale soprattutto per la Topografia. Voglio ribadirlo con forza ancora una volta. Misurare non basta. Si tratta di conoscere da vicino la realtà umana e culturale del Territorio. Si tratta di garantire la certezza dei diritti di proprietà. Si tratta di far comprendere alle persone ed alle Istituzioni l’importanza del nostro lavoro. Si tratta di condividere con i colleghi dati ed informazioni. Si tratta di avere una visione “satellitare” dei problemi del Mondo intero. Si tratta di essere in grado di innovarsi ed aggiornarsi di continuo, sfruttando tutta la tecnologia a nostra disposizione. Sono queste LE sfide! E sono convinto che il senso di questo incontro sia per Voi prepararvi ad affrontarle. Lo siento mucho: no hablo español. Pero estoy intentando! Gracias por todo y buena suerte por esta vostra reunion. Thank you very much and good work!!! 9 CIPAG/STRUMENTI Il Building Manager: una nuova figura professionale di Vincenzo Acunto Managing Director GROMA Il grande tema che attraversa oggi il settore delle costruzioni, e con il quale tutti gli operatori si devono confrontare, è quello della trasformazione delle città, invece che della sua espansione. La sfida che il mercato della manutenzione pone al mondo delle costruzioni diventa quindi sempre più complessa: il “manutenere” anziché il “costruire” si presenta come un grande mercato, rappresentabile come una grande piramide, in cui dal microintervento, quello promosso dalla famiglia che si trova all’apice, si passa progressivamente alla riqualificazione dell’esterno degli alloggi, cioè degli edifici, e da qui alla riqualificazione di intere parti di città, fino a coinvolgere porzioni sempre più elevate del costruito. In altre parole: • interventi di manutenzione ordinaria degli alloggi; • sostituzione di componenti di prodotto edilizio; • riqualificazione e ristrutturazione interna di interi edifici; • restauro e conservazione del patrimonio storico artistico; • recupero strutturale di edifici; • manutenzione straordinaria ed ordinaria di patrimoni pubblici e privati; • riqualificazione di spazi pubblici; • recupero e riqualificazione di aree dismesse; • recupero di parti di città. Trovandoci di fronte ad un mercato complesso, è necessario quindi sviluppare nuove figure professionali per essere in grado di poter sfruttare appieno tutte le possibili opportunità che questo mercato è in grado di offrire. Ricordiamo infatti che, nonostante la sua complessa articolazione, due sono gli elementi che accomunano le più diverse attività di manutenzione: • non servono aree nuove, si lavora su qualcosa che già esiste; 10 • agli attori che vi operano sono richieste nuove capacità come quelle di erogare non solo prodotti e lavoro, ma anche progettualità, informazione e servizio). In questo scenario di evidente “evoluzione” e “rivoluzione” di concetti, specializzazioni e professionalità, ci si pone una serie di interrogativi, costanti, assidui, che ricorrono con frequenza tra gli addetti ai lavori: • quanto è giusto spendere per la manutenzione immobiliare? • quali interventi potrebbero migliorare gli standard qualitativi degli immobili? • come e chi può misurare il grado di efficienza energetica degli immobili? • si possono anticipare – quindi risolvere – le problematiche di chi vive in quegli immobili? • si possono monitorare e controllare i costi degli immobili ed individuare le aree di ottimizzazione? Tutte queste domande e la premessa iniziale hanno risposta in una nuova figura professionale. Una figura tecnica, specialistica, con competenze specifiche nel settore immobiliare ed in particolare in quello della gestione, una figura distante dalla definizione classica di “Amministratore di condominio” più legato a ripartire spese (già sostenute) che a definire e gestire quella da sostenere; una figura che è ormai nota con il nome di “Building Manager”. Il Building Manager a differenza del classico Amministratore di Condominio non si occupa di tutti quegli aspetti connessi a procedure contabili e/o amministrative, legali o della morosità, dei pagamenti o delle scadenze, o meglio, se ne occupa, ma in maniera residuale, grazie anche all’evoluzione dei sistemi informatici. La prevalenza delle attività di questa figura “Tecnica” sarà orientata a gestire con maggiore efficacia gli aspetti Tecnico-manutentivi di un “bene” immobiliare. A prevenire costi attraverso la programmazione manutentiva, ad analizzare le migliori soluzioni tecniche per meglio godere le 4 pareti che tutti noi abitiamo ogni giorno (casa, ufficio, negozio, ecc.). La Rete di Building Manager di GROMA Per GROMA (Società di proprietà della CIPAG – Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, presieduta da Fausto Amadasi) il BM è stata una figura innovativa dalla fine degli anni ’90, quando si avviò a formare giovani professionisti che avessero dimestichezza con le nuove strumentazioni informatiche (perché tutta l’attività è tracciata informaticamente), sulla “cultura” della manutenzione e con propensione commerciale (avendo a che fare con fornitori di servizi e di beni). Lo sviluppo di doti di diplomazia e di “problem solving”, completavano le doti da coltivare nella neonata rete di BM di GROMA. Purtroppo non esistevano e non esistono percorsi universitari dedicati a questa figura, anche se si promuovono Master e corsi “fai da te”. L’aggiornamento costante e la formazione continua sono però requisiti necessari alla qualificazione di un BM per la sua attività che raramente ha momenti di staticità o di consuetudine. GROMA dispone oggi di un’ampia rete di Building Manager composta da 36 professionisti attivi sul territorio nazionale pronta ad espandersi a seconda del patrimonio da gestire. Quando incominciammo a fare le prime selezioni ed i primi corsi di formazione sull’argomento e sulla qualificazione di questa nuova figura professionale, c’era nei primi Building Manager una difficoltà in aula con molti risolini sulla terminologia utilizzata e uno scetticismo nei confronti del mestiere con atteggiamenti di superiorità, il senso di perdita di tempo, soprattutto da parte di professionisti più avanti con l’età e magari più esperti e già formati su altri argomenti e con formazione consolidata. Il BM GROMA è un elemento fondamentale nella gestione strategica dei patrimoni immobiliari in gestione. Spesso amiamo definirlo come una telecamera orientata sull’immobile da gestire. Perché il BM GROMA è scelto per monitorare l’edificio o il complesso immobiliare nel posto in cui vive e lavora. È suo dovere quindi conoscere. Dove conosce la realtà dello stato dei luoghi, magari il piano regolatore aggiornato del Comune, i migliori fornitori di fiducia, le caratteristiche dell’area, insomma, il BM gestisce un immobile dove è nato e che vede mediamente tutti i giorni. Tra i suoi compiti, tra l’altro, il BM: • intrattiene i rapporti con i singoli inquilini curando l’esatto adempimento degli obblighi contrattuali (anche con visite periodiche e sopralluoghi) segnalando per iscritto alla Proprietà eventuali inadempienze; • provvede, mediante continuo e scrupoloso controllo, ai sensi di legge, a che gli immobili ed i relativi impianti siano sempre conservati in buono stato di manutenzione, fornendo ogni assistenza tecnica ed amministrativa, sia per i lavori di ordinaria che di straordinaria manutenzione; • cura la perfetta efficienza dei servizi di vigilanza, custodia e pulizia dei singoli immobili, controllando l’esatto adempimento, da parte del personale addetto, di tutti gli obblighi contrattuali. Inoltre, nei confronti delle imprese di pulimento, verifica che siano rispettati i requisiti richiesti dalla vigente normativa per espletare il servizio medesimo: obblighi contributivi, assicurativi, previdenziali previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro; • reperisce preventivi in relazione ai lavori di manutenzione da eseguire e ad eventuali trasformazioni e miglioramenti che la Proprietà decidesse di far apportare agli immobili, curando la sorveglianza e l’esatta esecuzione delle opere ed avvalendosi, ove necessario, dell’opera di tecnici di sua fiducia, ferma restando la Sua personale responsabilità; • notifica immediatamente qualsiasi fatto che rechi turbativa alle proprietà o pregiudichi il godimento degli immobili da parte degli inquilini, intervenendo opportunamente; • comunica tempestivamente, entro i termini previsti per la pubblicazione, le varianti di Piano Regolatore Generale, e l’adozione di strumenti attuativi dello stesso, che interessino, anche solo di riflesso, le proprietà immobiliari amministrative affidategli; • segnala ogni notizia circa eventuali opere nelle proprietà pubbliche e private contigue che possano originare servitù, arrecare danni o produrre limitazioni al diritto di proprietà dell’immobile affidatogli; • pone in essere, tutto quanto necessario ed opportuno ai fini della perfetta efficienza e del miglior rendimento dell’immobile; • cura, nel caso di condominio e supercondominio, i rapporti con i condomini e rappresenta la Proprietà – su apposita delega – nelle riunioni delle assemblee condominiali. • denuncia tempestivamente tutti i sinistri alla compagnia assicuratrice, informando contestualmente la Proprietà circa l’ammontare del danno presunto. Concorda successivamente, con il perito incaricato dalla Compagnia stessa, la liquidazione dei danni, comunicando alla Groma l’importo dell’indennizzo definitivo. Ma in particolare, il BM si occupa di tutte quelle attività necessarie a “mantenere” o a “riportare” un bene esistente (un’entità) in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta. E quando questa ha carattere “prestazionale”, suscettibile quindi di modificarsi nel tempo, devono intendersi comprese nella manutenzione anche le attività di “ammodernare” e “trasformare”. In una parola, occuparsi della conservazione dello stato funzionale e prestazionale di un complesso. Questa esperienza oggi è riconosciuta anche a livello Europeo attraverso la richiesta di BM formati da GROMA per il mercato Tedesco delle Facility. È infatti in fase di definizione una partnership con la holding Tedesca “RGM” per la fornitura di strumenti informatici e figure professionali quali BM appartenenti alla rete di GROMA. 11 PROGETTI “Palais Lumière Pierre Cardin” di Alessandro Cariani Il progetto “Palais Lumière Pierre Cardin” si propone di dare un nuovo e originale impulso allo sviluppo economico e culturale di Venezia, promuovendo la nascita di un polo dell’economia creativa di grande interesse per la città e per il Veneto. Il progetto prevede: • la realizzazione del Palais Lumière, un nuovo complesso polifunzionale di visibilità internazionale, caratterizzato da un edificio di grande altezza e di grande originalità architettonica, progettato da Pierre Cardin con avanzati criteri di eco-sostenibilità; • il recupero e la riqualificazione urbanistica e paesaggistica di un’ampia area intorno al Palais Lumière per circa 16 ettari, mediante la dismissione degli edifici presenti in stato di degrado, la bonifica dei suoli e delle acque inquinati dalle precedenti attività industriali e la creazione di un grande parco che metta in comunicazione Mestre e Marghera; • la riorganizzazione della viabilità stradale circostante, tramviaria e ferroviaria merci, con particolare riguardo al traffico in ingresso e in uscita dalla zona portuale. 12 Lo studio di fattibilità del progetto “Palais Lumière Pierre Cardin” è stato trasmesso alla Regione del Veneto (cfr. Protocollo Regionale n. 669579 del 24.12.2010) e alla Direzione Urbanistica e Paesaggio (cfr. Protocollo di Giunta n. 72148 del 14.02.2012) con istanza di attivazione di un Accordo di Programma ai sensi dell’art. 32 della L.R. n. 35 del 29.11.2001. Con DGR n. 417 del 20.03.2012 la Giunta Regionale del Veneto ha dato avvio al procedimento relativo all’Accordo di Programma tra Comune di Venezia e Regione del Veneto per realizzazione del progetto “Palais Lumière Pierre Cardin” descritto nel sopracitato studio di fattibilità, dando atto che è stata verificata la sussistenza dell’interesse regionale, così come espresso nella Valutazione Tecnica Regionale n. 17 del 07.03.2012, che recepisce e fa proprie le considerazioni e conclusioni del Parere del Comitato previsto dall’art. 27 della L.R. 11/2004. La Giunta Regionale ha delegato il Dirigente Regionale della Direzione Urbanistica e Paesaggio alla sottoscrizione del sopracitato Accordo. Il presente progetto preliminare fornisce la base tecnica per la sottoscrizione dell’Accordo di Programma. 1. Palais Lumiére 2. Bolle Pierre Cardin 3. Piscina coperta 4. Silos parcheggio autoveicoli 5. Fermata linea tramviaria 6. Piazza-giardino sopraelevata 7. Piazza pedonale lastricata 8. Viabilità di progetto 9. Edificio esistente a servizio della darsena Ubicazione del Palais Lumière e area oggetto di recupero urbanistico Linea tramviaria di progetto Percorso ciclopedonale di progetto Descrizione degli interventi di progetto L’elemento qualificante del progetto è il Palais Lumière (Palazzo della Luce), un edificio di grande altezza e di grande originalità architettonica, progettato da Pierre Cardin con avanzati criteri di ecosostenibilità. Il Palais Lumière è stato ideato per ospitare non solo un Ateneo Internazionale della Moda sostenuto dallo stesso Pierre Cardin, ma anche residenze, alberghi e ristoranti, attività direzionali, commerciali, servizi, centri di eccellenza e delle arti, poli di ricerca applicata, un centro congressi e centri di istruzione superiore, per un totale di circa 230.000 mq. Ubicazione Il Palais Lumière s’inserisce in un’area di Porto Marghera di circa 16 ettari, con destinazione urbanistica direzionale/ commerciale, adiacente agli abitati di Mestre e Marghera. Tale area confina a est con via del Commercio, a nord con via della Libertà e la stazione Ferroviaria di Mestre, a ovest con via dell’Elettricità e a sud con via delle Macchine e la darsena del Canale Industriale Ovest. Le coordinate dell’asse del Palais Lumière sono: latitudine: N 45° 28’ 33”, longitudine: E 12° 14’ 15” Come illustrato più avanti, gli interventi previsti di sistemazione della viabilità stradale, ferroviaria e tramviaria allargano l’area interessata dalle opere di progetto a ovest fino a Piazzale Giovannacci, a sud lungo via dell’Elettricità fino alla Strada Regionale 11 (via Padana) e a nord-est lungo via Torino fino a Forte Marghera. L’area di Porto Marghera è fra le aree più qualificate per ospitare quest’opera, per la sua natura stessa, per le sue dimensioni, per le funzioni di innovazione e riqualificazione del territorio che si propone di svolgere. Il Palais Lumière si propone, infatti, come esempio di ecosostenibilità in senso compiuto: quindi sarebbe improprio ubicarlo in un’area agricola da urbanizzare, ma si deve preferire un’area da riqualificare e recuperare. È una costruzione verticale, che distribuisce gli spazi in altezza per favorire la massima estensione del verde al suolo. Deve essere costruito e mantenuto con il più basso impatto sulle risorse ambientali e deve prevenire l’impatto sul sistema circostante dei trasporti di merci e persone. Per la sua forma simbolica il Palais Lumière si propone come elemento di raccordo/discontinuità fra terra e acqua. L’area e le costruzioni accessorie che lo accolgono si propongono come elemento di passaggio fra l’urbanizzazione di Mestre e Marghera e le costruzioni dell’area industriale e portuale. L’area del Palais Lumière: • si affaccia su un canale di Porto Marghera, il Canale Ovest, garantendo il contatto diretto con la laguna e rendendo possibile il collegamento acqueo con Venezia insulare; • è adiacente ai centri abitati di Mestre e di Marghera (e quindi assicura la reciproca 13 ANNO IV • | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 valorizzazione) e alla stazione di Mestre (e quindi è un’area facilmente accessibile e fruibile, di immediata urbanizzazione, rapidamente collegabile con Venezia tramite i trasporti locali); comprende estese aree da riqualificare ed è solo parzialmente occupata da attività produttive e commerciali in esercizio. Tali attività esistenti in parte vengono lasciate a margine del piano di riqualificazione al fine di ridurre le interferenze con esse; le restanti possono trovare ricollocazione in aree adiacenti. L’area è situata in una posizione strategica di collegamento tra le aree residenziali di Marghera e Mestre e l’area produttiva di Marghera, tutte parti del territorio, storicamente consolidate, in cui la morfologia e la tipologia insediativa presentano caratteristiche peculiari tali da rappresentare nell’insieme un valore storicotestimoniale da preservare e valorizzare. In particolare ad ovest dell’area sorge il quartiere urbano storico di Marghera, che divenne operativo dagli anni ‘20/‘30 con la realizzazione di un progetto urbanistico (1922) chiamato “Città Giardino”. Nel corso dei decenni tale quartiere si è sviluppato allontanandosi dall’idea iniziale di progetto di area residenziale dotata di giardini Archivio Ente Zona Industriale: “Panoramica da Mestre della zona industriale e delle barene”. 196; nel cerchio a destra è indicata l’area in cui sorgerà il Palais Lumière 14 ed orti ed oggi sta cercando di evolvere da periferia di Venezia e Mestre a realtà con una fisionomia propria. L’ubicazione in prossimità di tale area del Palais Lumière e del parco di pertinenza fornirebbe un forte ed immediato impulso al recupero dell’ambiente urbano del quartiere. Al confine nord si trova il tracciato ferroviario della linea Venezia-Milano e la Strada Regionale 11 (via della Libertà), importanti arterie di collegamento tra Venezia e l’entroterra veneto, a nord delle quali si sviluppa l’abitato di Mestre. Poco distante, oltre la stazione ferroviaria, trovano luogo alcuni importanti interventi di valorizzazione urbana e architettonica dell’entroterra veneziano, fra cui il nuovo campus universitario dell’Università Ca’ Foscari in fase di realizzazione lungo via Torino e, proseguendo verso est, il Forte Marghera, per il quale è previsto un recupero architettonico, e quindi il parco S. Giuliano. L’ubicazione in quest’area del Palais Lumière presenta una forte valenza di ricucitura del tessuto urbano di Mestre e Marghera grazie agli interventi di progetto di riorganizzazione del sistema viario e di realizzazione di una grande copertura verde al di sopra dello snodo viario, che consente di mettere in comunicazione i quartieri a sud della ferrovia con quelli in fase di riqualificazione a nord. Il quartiere urbano di Marghera denominato “Città Giardino”, ad ovest dell’area del Palais Lumière Per la localizzazione, nonché per le funzioni di cui verrà dotato, il Palais Lumière costituisce poi elemento di congiunzione tra l’ambito residenziale e quello produttivo-direzionale. Non si dimentichi infatti che immediatamente ad est del Palais sorgono le attività legate alla cantieristica navale (Fincantieri) e il polo direzionale del Vega Park in fase di espansione. L’area interessata dagli interventi di riqualificazione urbana previsti è oggi in larga parte dismessa e solo parzialmente occupata da attività commerciali che interessano in particolare il settore della logistica (spedizioni, trasporti); non sono invece presenti nell’area attività primarie industriali e di produzione. Dal punto di vista della destinazione d’uso la Variante al PRG per la Terraferma classifica la zona di categoria D2, cioè adibita a “Zona commerciale, direzionale, ricettiva e per l’artigianato di servizio”. In particolare rientra nelle zone D2.a, che, con riferimento all’art. 29 della Variante al PRG per Porto Marghera, consente le seguenti destinazioni d’uso (punto 2, art. 14): “destinazioni terziarie”: • commerciale (attività di vendita all’ingrosso ed al minuto nonché di somministrazione di alimenti e bevande); • direzionale (attività di produzione di servizi; attività bancarie, finanziarie ed assicurative, attività professionali); • • • • per deposito merci al servizio di attività insediate altrove; ricettiva alberghiera; ricettiva annessa alle attività produttive (foresteria); artigianale di servizio. La porzione più settentrionale dell’area è invece classificata come RTS-2m, cioè zona mista residenza terziarioservizi; rientra dunque fra le aree per le quali è prevista una utilizzazione sia per attività direzionali, commerciali e ricettive sia per residenza. Tale area si estende anche a nord, oltre la stazione ferroviaria di Mestre. Vi è poi un’area classificata come SP, cioè rientrante fra le aree per servizi alle attività produttive (parcheggi, verde ed attrezzature di uso collettivo) ed un’area destinata a parcheggio multipiano (PM), già realizzato. Le destinazioni d’uso previste dal presente progetto risultano dunque coerenti con le previsioni del PRG. Si ritiene che in questa ubicazione il Palais possa diventare un simbolo della rinascita del sistema culturale, economico produttivo di Marghera, senza penalizzare e interferire con le aree destinate alle attività industriali e portuali esistenti, ma anzi valorizzando le iniziative di sviluppo industriale e portuale in corso, che interessano principalmente l’isola portuale, a sud-est dell’area di intervento, e la cosiddetta penisola del Petrolchimico, a sud. 15 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Estratto della Variante al PRG per Porto Marghera/Terraferma con ubicazione del Palais Lumière titolo II - NORME DI ZONA - capo II Le zone terziarie: zone territoriali omogenee D2 Articolo 29 La Zona commerciale, direzionale, ricettive e per l'artigianato di servizio di completamento (D2.a) ha, quali destinazioni principali, quelle di cui al punto 2 del precedente art.14 (dovendo però la Sp, avente la destinazione di cui al punto 2.1, essere contenuta nel 15% 22 di quella complessiva); quali destinazioni compatibili, quelle di cui ai punti 1.1, 1.7, 3.2 e 4 del ricordato art.14. Gli insediamenti aventi destinazione ricettiva alberghiera sono consentiti solo se abbiano una consistenza complessiva, per ciascuno strumento urbanistico attuativo, non superiore all'8% dell'intera Sp e se la Sp di ciascuna unità non sia inferiore ai 5.000 mq. Estratto N.T.A. della Variante al PRG per Porto Marghera (Art.29) Nelle parti di detta zona soggette a strumento urbanistico attuativo obbligatorio, prima dell'approvazione di detto strumento sono consentiti esclusivamente gli interventi di manutenzione e di risanamento conservativo, senza possibilità di variare le destinazioni d'uso esistenti alla data di adozione della variante per Porto Marghera. Gli strumenti urbanistici attuativi debbono rispettare gli indici, la dotazione di standard e le prescrizioni di cui alla tabella allegata sub A alle presenti norme; l'altezza massima non può eccedere i 18 m, salvo che si tratti di edifici con tipologia a torre o lamellare, per i quali è consentita un'altezza massima di 30 m. Nelle parti di detta zona non soggette a strumento urbanistico attuativo obbligatorio, gli interventi edilizi possono comportare l'aumento della Sp sino ad un massimo del 25% di quella esistente alla data di adozione della variante del PRG per Porto Marghera solo ove siano mantenute integralmente le destinazioni di cui ai punti 1.1, 1.4, 1.5 e 1.7 del precedente art.14 esistenti alla data suddetta. In caso di demolizione con successiva ricostruzione, ove quest'ultima non sia fedele riproduzione dell'edificio o del manufatto preesistente, e/o in caso di ampliamento, vanno rispettati i seguenti indici: Dc= 0 m o 5 m; Dz= 5 m; Df= 10 m; Ds= 10 m. Gli interventi di ristrutturazione edilizia od urbanistica volti a consentire l'insediamento delle destinazioni principali di zona debbono essere disciplinati da strumento urbanistico attuativo, nel rispetto dei seguenti indici: Ut= 1 mq/mq; Ds= 10 m (15 m rispetto a via F.lli Bandiera); Dc= 0 m o 5 m; Df= 10m; Hmax= 18 m (30 m in caso di edifici con tipologia a torre o lamellare); standard primario non inferiore ai 4/10 della Sp; standard secondario non inferiore ai 2/10 della Sp; lo standard eccedente detta soglia può essere -in sede convenzionale- monetizzato, secondo quanto previsto dall'ultimo comma del precedente art.17. 22) Modifica introdotta per accoglimento dell'osservazione n.12 ed emendamento n. 5 16 Estratto della Variante al PRG per Porto Marghera: limite di intervento e identificazione delle aree non soggette a Piano Attuativo Estratto N.T.A. della Variante al PRG per Porto Marghera (Tabella sub A allegata agli Art. 29-30) 17 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Il P.A.T. e il P.U.A. Il Comune di Venezia ha redatto il Piano di Assetto del Territorio in copianificazione con la Regione del Veneto e con la Provincia di Venezia, l’ha approvato in Consiglio Comunale e ha avviato la procedura delle osservazioni. L’area di progetto rientra tra le aree di “riqualificazione e/o riconversione” (Art.29) dove sono ammessi interventi volti al recupero e alla valorizzazione dei siti che presentano carattere di degrado da attuarsi mediante Piani Urbanistici Attuativi confermando pertanto gli indirizzi di pianificazione dell’attuale P.R.G., secondo il quale essa è inclusa tra le aree classificate D, “Zona territoriale omogenea terziaria”, che comprende le destinazioni d’uso commerciale, direzionale, ricettiva e per l’artigianato di servizio e di completamento (D2a) e di espansione (D2b) e suddivide l’area in diversi piani di recupero urbano di iniziativa privata e di iniziativa pubblica. La proposta di Accordo di Programma riguarda la realizzazione di un grande complesso polifunzionale d’interesse regionale quale polo di “economia creativa” all’interno del quale si svolgeranno attività di operatori provenienti da tutto il mondo secondo schemi d’uso già in essere in edifici simili realizzati in altre capitali. Pertanto le destinazioni d’uso ammesse dal P.U.A. saranno quelle presenti nella città consolidata (Zone B) piuttosto che quelle riferite alle sole zone produttive e così i limiti inderogabili di densità fondiaria saranno quelli indicati dalla legge nazionale per comuni superiori ai duecentomila abitanti. Data la rilevanza dell’intervento, la dotazione degli standard urbanistici sarà maggiore di quanto prevede la norma e il costo delle numerose quanto rilevanti opere pubbliche o di uso pubblico sarà superiore agli oneri di urbanizzazione dovuti per legge: l’intero costo delle opere sarà sopportato dalla società Concept Crèatif Pierre cardin committente dell’opera. Estratto catastale e perimetro PUA legato all’intervento del Palais Lumière 18 Il Parco e la Piazza aerea La sistemazione esterna del Palais Lumière ha lo scopo non solo di creare armonia visiva ed estetica nel paesaggio, ma anche di restituire ai cittadini un grande polmone verde limitrofo al quartiere urbano di Marghera, che si collega, grazie alla copertura verde che sovrappassa la ferrovia, con le aree residenziali di Mestre. Il parco del Palais offre agli abitanti nuove possibilità di vivere la propria città, riveste una funzione sociale e toglie dal degrado urbano aree attualmente molto critiche. Il parco, che copre circa 10 ettari, parte a sud dallo specchio acqueo del Canale Ovest e va salendo di quota verso nord, creando un anfiteatro erboso attorno al Palais. La quota massima è raggiunta in corrispondenza dell’asse stradale e ferroviario Mestre-Venezia. Da qui la Piazza aerea si divide in due rami che vanno ad abbracciare Mestre, da una parte verso la stazione ferroviaria, dall’altra verso via Torino, assicurando così un collegamento pedonale, ciclabile e tramviario circondato di verde e lontano dal traffico. Impianti ecosostenibili per il fabbisogno energetico Il Palais Lumière è stato progettato con l’obiettivo di adottare i più avanzati criteri di ecosostenibilità e proporre idee innovative. Per questo motivo copre un ampio spettro di energie rinnovabili (geotermico, solare ed eolico), gestisce con efficienza la separazione e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e si fa promotore della mobilità sostenibile. L’impianto di climatizzazione geotermico a bassa ed alta entalpia è stato dimensionato per coprire interamente il fabbisogno termico complessivo annuale del Palais Lumière. Gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, cioè quelli solare ed eolico, sono stati dimensionati per coprire interamente il fabbisogno termico ed elettrico complessivo annuale del Palais Lumière. Il Palais Lumière adotta un avanzato sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani basato su una rete pneumatica di raccolta differenziata ad ogni piano e un compattatore nei locali tecnici alla base dell’edificio. Oltre agli innegabili vantaggi economici e gestionali, dal punto di vista ambientale il sistema progettato permette un risparmio in CO2 emessa stimabile in circa 700 ton/anno. Sezioni longitudinale sud-nord e trasversale ovest-est del parco e della piazza aerea del Palais Lumière 19 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 CTR, viabilità di progetto e perimetro PUA legato all’intervento del Palais Lumière Gli edifici satellite (bolle) La proposta di un “campus” destinato a studenti, ricercatori e visitatori, ma non solo, nasce dall’esigenza di soddisfare anche in Veneto la crescente richiesta di scambio culturale formativo giovanile internazionale. Ciò tenendo conto della vicinanza con il nuovo polo universitario in costruzione nella vicina via Torino. L’area di Marghera, grazie al sistema di collegamento 20 veloce proposto all’interno dell’iniziativa e alla vicinanza con aree ricreative e sportive, appare un sito ideale per queste residenze temporanee destinate a persone di varie nazionalità che vedono il “polo dell’economia creativa” intorno al Palais come occasione di crescita culturale, professionale, artistica. Gli edifici satellite (anche denominati “bolle”) dislocati in alcuni punti del parco verde vogliono accogliere questa esigenza. La piscina coperta L’edificio polifunzionale che ospita la piscina coperta trova spazio nell’anfiteatro verde a est del Palais Lumière. Le tribune ospitano 2.500 persone. La parete vetrata si affaccia al parco e allo specchio acqueo del Canale Ovest. Ubicazione dell’edificio polifunzionale con piscina coperta Rendering degli edifici satellite nelle tre tipologie previste (singolo, doppio, triplo) 21 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Rendering dell’edificio polifunzionale con piscina coperta I parcheggi coperti esterni al Palais Lumière Oltre ai due piani di parcheggi coperti ricavati sotto il basamento del Palais Lumière, è previsto lo sfruttamento dello spazio sottostante la Piazza aerea come parcheggi multipiano coperti. L’acceso ai parcheggi avverrà verso sud (2 piani fuori terra - 1.400 posti auto) e verso nord (3 piani fuori terra - 720 posti auto) dall’attuale sedime di via della Pila. I parcheggi saranno in diretta comunicazione con la piazza/parco soprastante, con le strutture del Palais, con le due fermate del tram e con i percorsi ciclo-pedonali che mettono in comunicazione Mestre, Marghera e Venezia ed in gran parte asserviti a sistemi di ricarica per vetture elettriche dalle fonti rinnovabili installate sul Palais. Ubicazione dei parcheggi coperti esterni al Palais Lumière 22 Rendering dei parcheggi coperti esterni al Palais Lumière Il riordino della viabilità stradale, ferroviaria e tramviaria Assieme alla realizzazione del complesso del Palais Lumière è prevista la riorganizzazione della viabilità circostante stradale, tramviaria e ferroviaria merci, con particolare riguardo al traffico in ingresso e in uscita dalla zona portuale, nonché la connessione alla stazione della linea ferroviaria Mestre-Venezia e il prolungamento del sistema di trasporto metropolitano di accesso al Palais Lumière. Riorganizzazione dei collegamenti stradali e ferroviari/ tramviari tra Mestre e Marghera La proposta di riorganizzazione della viabilità e delle linee tramviarie/ferroviarie è stata elaborata secondo tre principi ispiratori: 1. Garantire un’accessibilità diretta ed agevole all’area interessata dal Piano di Riqualificazione con qualunque sistema di trasporto (Stazione Ferroviaria, Aeroporto mediante la futura linea AV/AC, Autostrada A4 e Tangenziale mediante il raccordo veloce esistente, agglomerati urbani di Mestre e Marghera, Siti Universitari nell’entroterra in fase di costruzione, Centri Direzionali come il Vega Park in fase di espansione e la stessa Città di Venezia “Capitale della Cultura” attraverso le linee tranviarie, ferroviarie e la viabilità locale); 2. Migliorare l’accessibilità ai centri direzionali e commerciali dell’entroterra veneziano differenziando il traffico leggero/urbano da quello pesante/ commerciale mediante la riqualificazione delle seguenti direttrici di trasporto: • riordino della viabilità urbana a ridosso dell’area del complesso Palais Lumière lungo via della Libertà • adeguamento funzionale di via dell’Elettricità per il traffico commerciale con riordino della rete viabilistica e ferroviaria • nuova linea tramviaria di collegamento tra la linea 2 di Marghera e la Variante di via Torino-Vega Park 3. Ripristinare un’ideale continuità anche a livello infrastrutturale tra i centri abitati di Mestre e di Marghera, prevedendo la continuità delle direttrici viabilistiche storiche C.so del Popolo-via F.lli Bandiera-via Paolucci. Alla ricucitura del “tessuto urbano” contribuisce anche il prolungamento della linea tranviaria che di fatto si propone, con il proprio anello di tracciato, di riprendere ed inglobare all’interno del centro di Mestre tale porzione dell’abitato di Marghera. Ad integrazione della linea tranviaria viene prevista anche una nuova rete di collegamenti ciclo-pedonali, che attraverso la “piazza” sopraelevata al di sopra del nodo viabilistico di via della Libertà e del parco 23 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 ferroviario di Mestre, permettono la continuità delle utenze “deboli” provenienti dalle direttrici principali di Marghera quali via Rizzardi, via Durando e F.lli Bandiera e quelle di Mestre, identificate in via Cà Marcello e via Torino fino a Forte Marghera. Compatibilmente con gli spazi esistenti, con i vincoli plano-altimetrici stradali imprescindibili, con la necessità di mantenimento di una adeguata accessibilità a livello locale e con il rispetto delle previsioni urbanistiche, si è impostata una viabilità che disponga delle massime larghezze per le nuove sezioni stradali previste. Riordino della viabilità stradale, ferroviaria merci e tramviaria (inquadramento sua via dell’Elettricità – tratto nord) Recupero ambientale delle aree di intervento A Porto Marghera grandi quantità di rifiuti industriali misti a sedimenti di dragaggio sono stati abbancati in passato con lo scopo di recuperare suolo dalla laguna e destinarlo all’espansione industriale. A questo inquinamento dei suoli si somma quello derivante dalle attività industriali pregresse, che affligge soprattutto le falde sotterranee. Per bonificare terreni e falde gli operatori possono oggi disporre di più sistemi integrati: • Progetto Integrato Fusina (PIF): piattaforma di 24 trattamento delle acque civili, di falda e industriali; • Vallone Moranzani: piattaforma polifunzionale di trattamento, conferimento finale in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi resi stabili e non reattivi; • Impianti ALLES: piattaforma per il trattamento di rifiuti anche pericolosi; • Forno SG31: forno a letto fluido per il trattamento termico di rifiuti. Anche in questo caso tutte le opere di bonifica delle aree saranno a carico della committenza. Riordino della viabilità stradale, ferroviaria merci e tramviaria (inquadramento sull’area del Palais Lumière) Costi, tempi e benefici La realizzazione del Palais Lumière comporta una serie articolata di investimenti rilevanti, per un totale stimato dell’ordine di 1,4 miliardi di euro (importo previsto per le opere principali, per quelle compensative e per l’acquisizione delle aree, al netto dell’IVA). Le opere saranno completamente finanziate dal promotore Pierre Cardin tramite la società Concept Crèatif Pierre cardin S.p.A.. Si prevede una durata complessiva dei lavori pari a 4 anni (da gennaio 2013 a dicembre 2016). L’utilizzazione parziale dell’opera può essere programmata già da fine 2015. L’iniziativa si qualifica come un importante strumento di rilancio e rivitalizzazione dell’economia locale, tenuto conto anche dell’attuale situazione di criticità dal punto di vista economico/occupazionale dell’area. La realizzazione dell’opera coinvolge i settori dell’industria, delle imprese di costruzioni e dei servizi. Gli interventi di progetto comportano un forte impulso per l’occupazione veneta e veneziana in particolare: fin dal 2013 nei settori delle costruzioni e della produzione di beni ad alto contenuto tecnologico, e a partire dal 2016 nei settori dei servizi e dell’economia creativa. Si prevede che l’intervento coinvolga a regime (dopo il 2016) un numero complessivo di circa 7.800 addetti, tra occupazione diretta e indiretta nell’ambito del Palais e delle strutture collegate. Alessandro Cariani Laureato in Ingegneria aerospaziale presso il Politecnico di Milano, si occupa inizialmente di termofluidodinamica sperimentale e computazionale nel settore impiantistico civile e industriale ad alta tecnologia, collaborando con il Dipartimento di Ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano. A partire dal 1997 si occupa di ricerca e sviluppo nel settore energetico con particolare attenzione all’ambito della progettazione di sistemi di scambiatori di calore ad alta efficienza integrati a sistemi in geotermia avanzata, di progettazione di impiantistica industriale “ZeroEmission” e di sistemi di desalinizzazione e potabilizzazione non osmotica per grandi impianti industriali e residenziali. Dal 2008, grazie ad accordi di collaborazione tecnologica fra la società Modutech S.r.l. e la Maison Cardin, collabora direttamente con Pierre Cardin allo sviluppo di sistemi a impatto energetico zero di design integrati in recuperi di strutture architettoniche o ad integrazioni energetiche “ghost” in nuovi progetti quali il Palais Lumière. 25 GEOMATICA Mappatura GPS delle ippovie e individuazione siti di interesse culturale Un WebGIS per il turismo equestre di Cristina Castagnetti, Alessandro Capra DIEF, Università di Modena e Reggio Emilia Il progetto “Turismo equestre” nasce nel 2009 e si pone l’obiettivo di potenziare un settore di nicchia, quello dell’equiturismo, in continuo ampliamento e caratterizzato da aspetti fondamentali per gli Enti di gestione del territorio, ovvero sostenibilità e responsabilità, aumentando, inoltre, le opportunità di sviluppo lavorative del Tecnico di equitazione di campagna, figura professionale licenziata dalla Federazione Italiana Sport Equestri (FISE). Questo progetto, che pone al centro dei suoi obiettivi l’utente finale, è stato avviato nell’ottica di un turismo equestre sostenibile, ecocompatibile, responsabile ed accessibile Tra i principali attori, il Comitato EmiliaRomagna della Federazione FISE, i Tecnici di equitazione di campagna e il Laboratorio di Geomatica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il presente articolo illustra le prime fasi sperimentali del progetto e la progettazione delle attività da svolgere nell’imminente futuro, tra cui la tabellazione dei percorsi “test” e la pubblicazione del prototipo di piattaforma 26 online. Non mancherà una discussione sulle principali problematiche giuridiche connesse alla divulgazione e fruizione di un simile progetto. Obiettivi del progetto Le finalità del progetto riguardano primariamente i seguenti aspetti: • mappatura mediante strumentazione GPS (Global Positioning System) della sentieristica realmente fruita e transitabile a cavallo nella regione Emilia-Romagna; • individuazione dei siti di particolare interesse naturalistico e/o culturale; • creazione di un database dei percorsi facilmente aggiornabile; • progettazione di un WebGIS (Web Geographic Information System) al servizio dell’utente finale dal quale sia possibile scegliere i percorsi in base al grado di difficoltà, oltre a poter scaricare le traiettorie e tutte le informazioni correlate al singolo tragitto. Ambizione della sperimentazione iniziale è anche la photo©shutterstock.com/Mark Kuipers Irene Bedostri, Tiziano Bedostri FISE, Federazione Italiana Sport Equestri - Comitato Emilia-Romagna definizione di una metodologia standardizzata per la mappatura di nuovi percorsi da parte dei tecnici della Federazione FISE che si dovranno occupare in futuro di ampliare il database creato in questa prima fase sperimentale. A questo scopo sono stati tracciati una serie di percorsi “test” utilizzando contemporaneamente un ricevitore tipo Garmin e un ricevitore geodetico a doppia frequenza al fine di valutare l’affidabilità della traiettoria fornita dal Garmin nelle situazioni più difficoltose. Proprio quest’ultimo aspetto ha reso fondamentale la sperimentazione per confrontare le soluzioni di diverse tipologie di ricevitori e per definire una metodologia standardizzata per la mappatura dei percorsi e l’aggiornamento del database. I rilievi sono stati eseguiti in modalità cinematica con due ricevitori a confronto: un Garmin con soluzione basata su correzioni EGNOS e un Leica 1200 che costituisce la soluzione di riferimento ottenuta in post-elaborazione. (Figura 2) Mappatura GPS La prima fase della sperimentazione si è concentrata sullo studio e sulla sperimentazione della modalità più idonea per l’esecuzione dei rilievi in funzione delle esigenze di accuratezza per le traiettorie e i percorsi da inserire nel database e fondamentali per la costruzione del WebGIS. A tal scopo è stato scelto un percorso “test” per valutare l’affidabilità del ricevitore Garmin fornito in dotazione ai tecnici FISE per la costruzione/l’aggiornamento del database. L’obiettivo di precisione finale per queste applicazioni è di qualche metro (indicativamente al massimo 2 m). I rilievi “test” sono stati eseguiti a cavallo, come mostrato in Figura 1, nel mese di dicembre al fine di minimizzare la copertura fogliare. Queste particolari condizioni operative presentano certamente alcune difficoltà come ad esempio la visibilità satellitare ridotta per la presenza di montagne e soprattutto la difficoltà nella stima di altezza dell’antenna a causa del movimento ondulatorio e sussultorio del cavallo. Figura 2. I ricevitori utilizzati nella sperimentazione iniziale: Garmin GPSMAP 60CSx e Leica GX1230 con antenna AX1202 Figura 1. Esecuzione dei rilievi da parte dei tecnici FISE. L’ing. Irene Bedostri durante l’esecuzione dei test atti a valutare la qualità dei ricevitori Garmin rispetto a un ricevitore in doppia frequenza Il calcolo di post-elaborazione della traiettoria di riferimento è stato eseguito mediante il software GrafNav rivelatosi, rispetto ai più comuni software commerciali, in grado di fissare l’ambiguità anche in situazioni particolarmente difficoltose. Dal confronto delle soluzioni ottenute mediante le due tipologie di ricevitori (visualizzate in Figura 3) si evince che la traiettoria fornita dal Garmin è rimasta entro i 2 m da quella di riferimento nella maggior parte dei casi. Si evidenziano differenze anche di 5,6 metri riscontrate nelle situazioni più disagevoli. In quei casi però anche la soluzione di riferimento non può essere considerata tale a causa del mancato fissaggio dell’ambiguità. Individuazione dei siti di interesse culturale/naturalistico Altra finalità molto importante del progetto è l’individuazione di siti di interesse culturale, intendendo questo termine nella sua più vasta accezione. Si intende censire, infatti, i siti di interesse storico, artistico e naturalistico/geologico perché sia il paesaggio sia la storia sono ritenuti dai fautori del progetto, come punti chiave per un turismo sostenibile ed ecocompatibile. Si riportano in Figura 4 alcuni esempi di siti di interesse nell’Appennino modenese, zona in cui è stata avviata questa sperimentazione. Altro aspetto estremamente interessante è la riscoperta delle antiche vie di transito, le cosiddette ippovie storiche. 27 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Legenda percorso rilevato con ricevitore commerciale percorso rilevato con ricevitore geodetico idrografia principale formazioni boschive a prevalenza latifoglie abitati 28 Figura 3. I due ricevitori a confronto: in giallo la traiettoria fornita dal ricevitore commerciale Garmin. In rosso il percorso di riferimento fornito dal ricevitore geodetico in doppia frequenza. Nelle zone a maggior copertura fogliare è presente la sola soluzione Garmin; nessuna soluzione di riferimento è presente in quei tratti Figura 4. Alcuni esempi di siti di interesse culturale nell’Appennino modenese, la Torre di Montecenere e il Ponte d’Ercole. Un esempio di monografia del sito di interesse 29 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Il WebGIS per il turismo equestre L’obiettivo principe del progetto “Turismo equestre” è creare un Sistema Informativo Geografico (GIS) per il turismo equestre che sia in grado di divulgare questa forma di fruizione ecosostenibile del territorio, ad oggi settore di nicchia. Per una maggiore divulgazione si è pensato di progettare un WebGIS che potesse beneficiare delle potenzialità offerte dal web. La procedura di creazione del GIS ha visto i seguenti passe salienti: • i tracciati, ottenuti in WGS84, vengono poi trasformati nel sistema UTM ED50* (specifico sistema di riferimento cartografico adottato dalla Regione Emilia-Romagna); • i dati rilevati vengono archiviati in un database continuamente aggiornato di nuovi percorsi grazie alla formazione dei tecnici FISE che, dotati di Garmin, mappano i percorsi. Al rientro scaricano e controllano il tracciato; • upload sulla piattaforma online con interfaccia web su Google Earth (per ora ad accesso limitato) dei tracciati con possibilità di visualizzarli a seconda del grado di difficoltà; • realizzazione di un livello del GIS non pubblicato online e non accessibile al pubblico, finalizzato ad un uso esclusivo della FISE per monitorare lo sviluppo del progetto (tenere traccia dei tecnici che mappano i singoli percorsi, di quando eseguono i rilievi, ecc.). I servizi e prodotti per gli utenti invece sono: • potranno accedere ai servizi ed effettuare le operazioni di download a seguito di registrazione al sito (ciò permette un controllo degli accessi da parte della Federazione FISE); • possibilità di scaricare il tracciato in .kml (anche altri formati saranno in futuro disponibili) e caricarlo sul proprio palmare semplicemente e rapidamente; • visualizzazione dei percorsi su tavole in base al grado di difficoltà del percorso, in base alla lunghezza o al profilo altimetrico (selezioni personalizzabili dall’utente); è possibile anche far apparire una mappa con indicazione dei siti di interesse culturale attraversati; • possibilità di scaricare la curva altimetrica del tracciato e valutarne la fattibilità in base alla propria esperienza; • possibilità di scaricare monografie e schede descrittive dei siti arricchite di informazioni storiche e geologiche. Alcuni esempi dei prodotti e delle tavole che si possono costruire a partire dal GIS sono riportare in Figura 5. Figura 5. Un esempio di tavola estratta dal GIS contenente i percorsi mappati nel territorio regionale classificati per anno di esecuzione 30 Legenda percorso rilevato con ricevitore commerciale percorso rilevato con ricevitore geodetico idrografia principale formazioni boschive a prevalenza latifoglie abitati Conclusioni e sviluppi futuri Il progetto “Turismo Equestre” è nato nel 2009 in EmiliaRomagna e si è sviluppato anche grazie a una tesi di laurea specialistica a cura dell’Ing. Irene Bedostri sviluppata presso il Laboratorio di Geomatica dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”. Nell’ambito di questa tesi, la sperimentazione condotta ha messo a punto la metodologia di mappatura dei tracciati e i contenuti per la formazione dei tecnici FISE ad un corretto uso della strumentazione. Allo stato attuale il progetto consiste nel database che, costruito per l’archiviazione di dati, viene costantemente aggiornato dai tecnici FISE. Il loro contributo nell’ambito del progetto è fondamentale in quanto si occupano di censire e mappare nuovi tracciati al fine di continuare ad aggiornare il database delle ippovie e promuoverne una fruizione sostenibile. Lungo i percorsi si individuano, inoltre, i siti di interesse culturale che vengono documentati con monografie contenenti informazioni storiche e geologiche. Il Figura 6. Il dettaglio di un percorso con l’indicazione dei siti di interesse sovrapposto al DTM (Modello Digitale del Terreno) GIS diventa poi WebGIS grazie alla progettazione e realizzazione di un prototipo di piattaforma online su base Google Earth attualmente ad accesso limitato (fase di test). Nella sperimentazione si sono incontrate alcune difficoltà tra cui l’impossibilità di stimare correttamente l’altezza dell’antenna a causa del moto ondulatorio del cavallo o la presenza di copertura fogliare di cui risentono fortemente la strumentazione GPS di natura geodetica e l’utilizzo di software di elaborazione. I ricevitori commerciali offrono precisioni senz’altro inferiori ma adeguate all’applicazione (mappatura di sentieristica finalizzata a un GIS per la fruizione del territorio) per cui sono richiesti alcuni metri nella soluzione finale. Esistono inoltre alcuni problemi di natura giuridica non trascurabili: • responsabilità nei confronti degli utenti non accompagnati (legata alla pubblicazione online dei tracciati); • accessibilità ai percorsi e transito: ai fini del turismo 31 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 il tracciato deve insistere su strade pubbliche aperte e ad accesso libero, non sono ammessi percorsi su strade poderali; • la maggior parte dei tracciati, soprattutto le ippovie storiche di grande interesse, insiste su strade poderali e ciò ne limita fortemente l’effettiva fruizione; • esiste un vuoto di legislazione e per ora l’Ente si deve far carico coi proprietari per ottenere l’accesso al transito; • nelle aree private non è concessa la tabellazione del percorso. Per il futuro il progetto prevede alcuni sviluppi mirati a promuoverlo e possibilmente a trovare i finanziamenti necessari per una serie di attività tra le quali, ad esempio, la tabellazione del percorso. In tal senso si partirà da tracciati “test” accessibili al transito con l’inserimento di cartelli di descrizione del percorso (in particolare il grado di difficoltà) e di monografia / schede per la “musealizzazione” del sito di interesse culturale (storico, geologico, biologico). Si intende, a scopo turistico e di promozione territoriale, effettuare una ricerca e mappatura dei sentieri storici, testimonianza delle antiche vie di transito nella Regione Emilia-Romagna. Un ulteriore passo consiste nella pubblicazione della piattaforma online (previa valutazione degli aspetti giuridici citati). Alessandro Capra Professore Ordinario di Geomatica e Direttore del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. I suoi interessi di ricerca nel settore della Geomatica riguardano: la topografia e la geodesia (applicazioni di sistemi GPS e GNSS, rilievi laser scanning ) la fotogrammetria e le applicazioni LIDAR (aerea e terrestre), il telerilevamento, le applicazioni del rilievo ai beni culturali, il monitoraggio di strutture e di versanti instabili. È autore e coautore di 150 pubblicazioni e di memorie presentate a Convegni. Chief Officer del Geoscience Standing Scientific Group (GSSG) dello SCAR (Scientific Committee on Antarctic Research) per il periodo 2008-2012. Editor-in chief della rivista Applied Geomatics. Presidente della SIFET (Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia). Cristina Castagnetti Nata nel 1982 a Reggio Emilia, consegue nel 2006 la laurea in Ingegneria ambientale all’Università di Modena e Reggio Emilia e, successivamente, il titolo di dottore di ricerca con tesi sull’utilizzo di sistemi integrati GPS/piattaforma inerziale/ sensori a basso costo per la navigazione terrestre in applicazioni di agricoltura di precisione. Dal 2006 svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia riguardo i sistemi integrati e la fusione di dati multi-sensore sia per attività di monitoraggio del territorio sia di strutture. Nell’anno accademico 2010-2011 è docente di Geomatica per l’archeologia all’Università di Bologna. Attualmente svolge assistenza ai corsi di Geomatica e Geomatica per il monitoraggio all’Università di Modena e Reggio Emilia. Irene Bedostri Nata ad Aosta nel 1982, a 18 anni consegue il primo titolo federale (FISE) di abilitazione all’istruzione dell’equitazione. Negli anni successivi acquisisce esperienze nell’equitazione di campagna e come atleta nelle discipline olimpiche. Nel 2010 si laurea in Ingegneria ambientale all’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulla mappatura GPS della sentieristica a cavallo, mettendo a frutto le sue esperienze sia in campo equestre che in campo ingegneristico e integrandole in un progetto all’interno della FISE Emilia Romagna. Si è occupata del censimento e della gestione dei dati riguardanti la sentieristica regionale raccolti sul campo da un team di tecnici di equitazione di campagna. Tiziano Bedostri Nato a Toano (RE) nel 1957 inizia a montare a cavallo all’età di 9 anni prediligendo l’equitazione di campagna. A trent’anni si dedica al turismo equestre intraprendendo poi l’iter formativo per divenire professionista presso la FISE. Dal 1993 partecipa ai campionati regionali della Valle d’Aosta conquistando titoli di Campione regionale in diverse discipline (Dressage, Salto ostacoli, Completo ed Endurance). Negli anni ’90 intraprende l’attività di Tecnico/Istruttore dedicandosi alla formazione del settore giovanile. Nel 2008 avvia un centro di equitazione a Polinago nell’Appennino modenese e dal 2009, su incarico del Comitato FISE dell’Emilia Romagna, diviene Referente dell’Equitazione di campagna e del Turismo equestre, occupandosi della formazione dei Tecnici del settore. 32 PERSONAGGI Le Lauree di Meyra Moise La sua terza laurea l’ha conseguita ad 89 anni. 110 e lode, con una tesi in Scienze filosofiche, presso l’Università di Verona, intitolata: “Francesco Patrizi, l’enciclopedia del sapere”. Uno studio approfondito e appassionato dedicato ad un filosofo platonico del XVI secolo con cui condivide la stessa origine e sorte, l’isola di Cherso, oggi croata, che entrambi sono stati costretti ad abbandonare. Meyra Moise, chersina, è un esempio illuminante di amore per la cultura e, soprattutto, di come lo studio possa essere un percorso “aperto” che si svolge per tutto l’arco della vita. Professoressa dal 1946, dopo avere conseguito la laurea in Lettere a Padova, Meyra ha svolto con passione e grande volontà, sfidando e superando le dure prove postegli dalla vita e dalla storia, il lavoro di insegnante. Poi, una volta in pensione, dopo un periodo di meritato riposo, superata l’età di 80 anni, la forza di credere e di desiderare l’ha spinta a realizzare un antico sogno “laurearmi in filosofia, cosa che volevo fare già tanti anni fa, quando mia mamma mi dissuase e mi esortò a dedicami con impegno all’insegnamento dal momento che avevo già una laurea”. Una motivazione, come ha spiegato, anche animata anche dalla volontà e il piacere “di frequentare l’università, cioè di vivere quotidianamente l’esperienza della presenza alle lezioni assieme ad altri, cosa che da giovane non avevo mai potuto fare, perché avevo sempre studiato sui libri e sulle dispense presentandomi poi agli esami”. E così Meyra si è iscritta ed ha cominciato a frequentare i corsi dicendosi, costantemente, “Provo, provo”. Un incoraggiamento, verrebbe da dire, che interpreta lo spirito insieme di modestia e tenacia di una donna abituata a lottare per quello in cui crede. E che la porta a conseguire la seconda laurea ad 85 anni nell’ottobre del 2008 e, nei mesi scorsi, la terza. La sua, d’altra parte, è una storia davvero particolare. Meyra discende da parte paterna dalla famiglia Moise di Cherso, da parte materna dalla famiglia Misetich di Ragusa (Dubrovnik). I Moise, nobili, agiati e colti, sono presenti a Cherso fin dal 1300, e noti per la partecipazione di due membri della famiglia alla battaglia di Lepanto e per l’abate, educatore, linguista, Giovanni Moise, nato e vissuto sempre a Cherso nell’800, conosciuto e stimato da tutto il mondo della cultura del suo tempo per la sua “Grammatica della lingua italiana” che gli meritò l’inserimento nell’Accademia della Crusca. Non meno importante la famiglia della madre di Meyra, Lieposava Misetich, figlia del dott. Rocco Misetich, di Spalato (Split), che esercitò la professione di medico e fu per un certo periodo medico di corte del re del Montenegro, padre della regina Elena, moglie del re d’Italia Vittorio Emanuele III. Di ottimi natali, come si dice, la vita di Meyra venne sconvolta prima dalla guerra e poi dalla successiva occupazione dell’Istria da parte della Jugoslavia. “Sono una profuga istriana”, ricorda. “Nel 1948 sono venuta in Italia con un barcone, come fanno oggi gli esuli dell’Africa, senza niente; ho perso due case, un palazzo a Fiume e molti campi. La guerra e l’occupazione dei partigiani di Tito, comunisti leninisti che ce l’avevano a morte con i cattolici, hanno rovinato la mia giovinezza: a ventitré anni sono stata arrestata, ero insegnante al liceo classico di Fiume e frequentavo la chiesa, quindi il regime temeva che potessi trasmettere agli alunni dottrine ‘sbagliate’. In carcere mi hanno chiesto di scegliere: Dio o il lavoro. Ho scelto Dio. La fede mi ha sostenuto nei momenti 33 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 peggiori della mia vita: ho perso due figlie, una delle quali era cieca dalla nascita”. Una volta in Italia, dopo un duro periodo in un campo profughi, Meyra viene chiamata dal Provveditorato agli studi di Gorizia (“fu come un balsamo all’anima – ricorda – anche se ciò significava il distacco dai miei. Insegnare per me è stata sempre una missione da vivere nella gioia, donando il meglio di me stessa”) e avvia, così, la sua carriera di insegnante che la porterà in diverse città del Paese. Nel 1954 sposa il veronese prof. Severino Lucchi e va con lui ad abitare nella sua casa di famiglia di Parona di Valpolicella, alle porte di Verona, dove vive tuttora. Da quest’unione nascono tre figli, ma solo uno sopravvive, dandole quattro nipoti. Con grande energia, parallelamente all’attività di insegnamento, si dedica alla danza classica: una delle sue passioni e alla poesia. Declinando, inoltre, la propria fede nella disponibilità verso gli altri, occupandosi di persone in difficoltà, economiche e d’altro genere. Poi, su consiglio e stimolo di un sacerdote il ritorno allo studio e alla “scuola”. Dopo l’ultima laurea, Meyra Moise è assurta, come si dice, all’onore delle cronache suscitando l’interesse dei media. A chi le ha chiesto se era stato difficile ricominciare a studiare ha risposto: “No, ho un’ottima memoria e un buon metodo: faccio il riassunto di appunti e libri e, poi, il riassunto del riassunto, evidenziando i punti chiave. Frequentando tutte le lezioni ho fatto meno fatica. È stato un bel periodo, non mi ha stancato: a volte mi domando come ho fatto, andando avanti e indietro con l’autobus quasi tutti i giorni. Questi anni di studio mi hanno allungato la vita”. Importante, nell’esperienza, per Meyra, il rapporto con i giovani compagni. “Mi hanno trattato non come un’anziana – dice – ma come una ragazza di vent’anni: mi offrivano il caffè, mi accompagnavano in ascensore... Sono stati generosi e pronti ad aiutarmi. Ho imparato a 34 conoscere meglio i ragazzi d’oggi e a capire cosa cercano: hanno bisogno di testimoni. Secondo me sono migliori di quanto sembrino”. Con parole di lode verso i docenti che ha avuto modo di frequentare (“sono davvero competenti, forse più bravi di quelli che avevo a Padova, tant’è che quando uscivo dalla lezione era come se avessi già studiato mezzo programma d’esame. E mi hanno sempre trattata come tutti gli altri allievi”) Meyra ha trovato, come era naturale, un’università diversa da quella frequentata oltre sessant’anni prima. “È meno severa. Io che ero studiosissima, da ragazza non ho mai avuto la lode; in questi anni invece ho preso quasi tutti trenta e lode. Ne ho parlato con uno dei miei professori e lui mi ha risposto che si sono dovuti abbassare un po’ i toni perché gli studenti, oggi, arrivano dalle scuole superiori meno preparati di una volta. Forse nei licei ci sono troppi indirizzi diversi, e questo non avvantaggia i ragazzi”. Giovani ai quali dà un consiglio sentito: “di tenere duro. Con una laurea si ha una possibilità in più, anche in questa crisi”. Ancora attiva, dà ripetizioni gratuite agli studenti bisognosi delle scuole elementari, medie e superiori e, in parrocchia, fa parte del Consiglio pastorale, è ministro straordinario e porta l’Eucarestia ai malati ogni primo venerdì del mese. Tutte le estati ritorna alla sua isola. “Dopo la caduta del regime, ci hanno restituito una piccola rimessa che era il deposito della nostra barca; mio fratello, che è mancato l’anno scorso, l’ha sistemata e ne ha ricavato una casetta. Il palazzetto dove abitavamo è stato nazionalizzato e adesso è in degrado”. È contenta di quello che ha fatto: “posso dire di non aver buttato via neanche un quarto d’ora della mia vita. Mi sono sempre ricordata delle parole di Gesù: ‘Amatevi gli uni gli altri’. Questo ha dato un valore diverso alle cose che ho fatto”. photo©wikipedia.org/Sl-Ziga Cherso FOCUS Carlo Rambaldi Geometra Scenografo Come preannunciato nell’Editoriale del scorso numero, pubblichiamo il testo dell’intervista del 27 novembre 2001 fatta a Carlo Rambaldi, nella sede CIPAG (Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza Geometri Liberi Professionisti), da Giuseppe Caterini, all'epoca Direttore di GEOCENTRO. Carlo Rambaldi, Geometra-Scenografo, iscritto dal 1951 al 1991, prima al Collegio di Ferrara e poi – dal ’57 – a quello di Roma, fu accompagnato da Pino Baudille, all’epoca Presidente del Collegio di Roma e anche Consigliere di Amministrazione della CIPAG. Giuseppe Caterini pose a Rambaldi le seguenti domande. Dunque il famosissimo Maestro Carlo Rambaldi, è anche Geometra. Perché scelse questo corso di studi? Intanto, se permetti, diamoci del tu. Abbiamo tutti e due i capelli bianchi, anche se tu sei più giovane di me. Sì sono Geometra e ne sono onorato. La scelta fu mia, ma dalla mia famiglia incoraggiata e ben accetta. Negli anni ’40 era un titolo di studio importante e prestigioso; anche ora, ma allora di più. Per le materie che si studiavano, la serietà e la completezza dei curricula professionali e gli sbocchi di lavoro era il diploma tecnico più importante – forse anche ora, non so – ma allora sì. Era considerato una vera e propria laurea. Ricordo che agli esami di stato di abilitazione – come sai anche tu – si sostenevano cinque prove scritte; italiano, costruzioni, topografia, estimo e contabilità e agli orali c’erano anche il diritto, agraria e storia. Gli esami scritti – ricordo – finivano per noi, uno, due giorni dopo di quelli del liceo classico, dello scientifico e delle industriali. E nel corso di studi c’erano disegno geometrico e architettonico, matematica, chimica, fisica, scienze naturali e trigonometria. Insomma si sgobbava e i professori erano molto preparati e molto esigenti. Il Geometra – ricordo – era il tecnico che veniva consultato e incaricato di più sia dai privati che dalle amministrazioni pubbliche. Non ce n’erano molti e lavoravano tutti. Gli Ingegneri e gli Architetti poi erano proprio pochi e si occupavano di grandi opere, di commesse veramente importanti: grandi palazzi pubblici e privati, cattedrali, grandi viadotti, avvalendosi naturalmente dell’opera dei Geometri. Anche mio fratello Werter, due anni più piccolo di me, è Geometra, iscritto al Collegio di Ferrara dal 1952 al ’93. Lui ha esercitato la professione a tempo pieno per tutti questi anni con buoni risultati, ora è vostro pensionato. Voi della Cassa dovreste darla anche a me la pensione: sono stato iscritto dal ’51 al ’91. Scherzo, naturalmente, ormai ho avuto la restituzione dei contributi annullando così la mia posizione. Hai fatto qualche esperienza professionale di Geometra? Sì. Appena conseguito il diploma ero stato assunto al Comune di Vigarano. Fu un primo impatto con la vita di categoria e con i tanti problemi tecnici della gente. Dopo alcuni mesi però optai subito per la libera professione e mi iscrissi all’Albo, come ho detto. Con grande preoccupazione di mia madre che invece allora vedeva bene il posto fisso, il pane sicuro. La mia le sembrò una scelta sconsiderata. Feci alcuni lavori interessanti. In particolare ricordo alcune progettazioni non pagate e, per conto di un’impresa di un Ingegnere, il rilievo e il progetto di una strada di quattro chilometri. Aspetto ancora le competenze. Solo dopo seppi che quell’impresa aveva l’abitudine di non pagare nessuno. Poi passai al mio lavoro attuale che mi attrasse e assorbì completamente. Il corso di Geometra con la riforma universitaria e anche per l’equipollenza dei titoli in Europa, sta per essere elevato di tre anni e il titolo diventa laurea triennale o di primo livello. Tu, che hai fatto gli studi negli anni ’40 e che hai un’esperienza di lavoro e di vita fuori da 35 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 nostri confini nazionali, come vedi questa modifica? Nell’evoluzione tecnologica, politica e sociale ritieni che la figura e il mestiere del Geometra possano e debbano avere un futuro? Pur essendo ormai lontano da molti anni dall’Italia seguo con interesse le vicende del nostro Pase, in cui ritorno spesso per lavoro e per motivi affettivi. L’Italia resta sempre la mia patria, perciò mi tengo aggiornato, però con una visione più ampia rivolta non solo all’Europa ma al mondo. Ebbene in questa ottica, ritengo proprio dì sì, la figura professionale e l’opera del Geometra è e potrà essere necessaria alla società italiana e mondiale per secoli, se è vero come è vero che c’è stata dall’antichità più remota. Ma a guardare bene ha saputo rinnovarsi, reinventarsi. Ed è ciò che deve fare adesso. Intanto mi pare necessario che abbia un ciclo di studi universitario completo, senza altri percorsi alternativi, con una laurea di base, ma anche con l’altra di livello superiore specialistica in materie specifiche per quanti hanno voglia di continuare, e ciò per essere alla pari degli altri titoli, del resto come avviene – che io sappia – in quasi tutti gli altri Paesi del mondo. Vanno ricercati ambiti e spazi nuovi per la professione, evitando il più possibile la sovrapposizione di competenze con le altre categorie concorrenziali. In un Paese libero, oggi che nascono nel mondo nuove discipline, nuovi studi e nuovi titoli, non credo che non ci sia spazio per il Geometra che è una figura tradizionale e importante nel settore tecnico. Spetta a voi dirigenti saper trovare percorsi formativi e nuovi sbocchi professionali, adeguandosi ai tempi senza nostalgie. Nelle tue ideazioni e realizzazioni scenografiche hai tratto vantaggio dagli studi tecnici compiuti? Eccome! Dal disegno alla geometria, dalla fisica alla trigonometria, all’ottica e soprattutto dall’impostazione tecnico-pratica polivalente degli studi che ti dà una formazione articolata e composita abituandoti alla soluzione concreta dei vari problemi che ti si presentano. Il resto è passione e, perché no, un po’ di fortuna. Trovarsi il giorno giusto al posto giusto, incontrare la persona giusta, pensare positivo, lavorare sodo e imbroccare l’idea giusta che il pubblico di quel momento s’aspetta. Tu per i tuoi mostri meccanici sei nella realtà quello che nella fiaba è mastro Geppetto per Pinocchio. Mi dici come hai avuto queste idee così originali di King Kong, Alien e soprattutto E.T., e come hai proceduto nella realizzazione? Mah, erano i tempi in cui cominciavano a piacere il fantastico e l’horror, perciò di volta in volta dai registi e produttori mi venne chiesto di inventare qualcosa di nuovo, di moderno, gradito al pubblico. Così ho fatto mettendoci 36 di mio, della mia fantasia, del mio immaginario. Qualcosa che evidentemente la gente gradiva. In particolare E.T. è scaturito dalle precedenti esperienze. Il regista Steven Spielberg mi chiese di creare un personaggio futuristico per un film di fantascienza. Così in tre giorni mi inventai questo mostricciattolo sui generis dall’età indefinibile, né giovane né vecchio, dalla faccia e movenze agili in cui si può intravvedere un gatto. Dapprima sullo schermo la faccia non rendeva bene, così pensai di allungargli il muso e il collo e l’effetto piacque molto a Spielberg e poi alla gente. E i costi sono stati abbastanza contenuti. Tre mesi di riprese per il film; per la realizzazione meccanica del soggetto abbiamo lavorato in 12 e in 8 per animarlo. Il film è costato 11 milioni di dollari, e ha incassato 690 milioni. Tempi, costi e persone impiegate sarebbero stati di gran lunga maggiori con mezzi informatici. Immagino che i guadagni siano stati adeguati al successo? Direi di sì. Si possono dire. Tanto le tasse sono state pagate fino al centesimo. Per King Kong ero a stipendio: 3.000 dollari alla settimana nel ’76. Per E.T. un milione e quattrocentomila dollari nell’ ’83, di cui circa un quarto si può considerare netto. Più i diritti d’autore, naturalmente? Solo sulla produzione dei giocattoli; sulla proiezione del film no. Di questo progetto di Museo Virtuale d’Italia e della consulenza per il Ministero dei Beni Culturali sarai contento? Beh, sì. Ho già qualche idea per la testa. Poi si vedrà, quando il progetto sarà meglio definito. Anticipaci qualcosa Vedi, vorrei lavorare al progetto così come fa il Geometra. La formazione m’è rimasta, no? Per esempio per gli antichi monumenti come il Colosseo dare l’idea alla gente, oltre che dalle grandezza e dell’epoca dell’opera, anche della fatica umana, delle quantità dei materiali, dei tempi e dei costi impiegati per la sua realizzazione. Quante migliaia di uomini, quanti anni, quanti metri cubi di travertino, sia grezzo che messo in opera. Insomma in dettaglio tutte le notizie per arrivare all’opera finita. Nello svolgimento di questo lavoro torneranno di nuovo molto utili le mie conoscenze costruttive apprese nel corso di studi di Geometra. Ottimo incipit per un impegno così importante. Auguri di cuore, Maestro Grazie, ma che Maestro! Carlo. IDEE “La parola come utensile” Questo il titolo dell’intervento, qui pubblicato in estratto, tenuto dallo scrittore Erri De Luca, nell’ambito del Festival della Mente 2102, svoltosi a Sarzana, dedicato al tema “La conoscenza come valore assoluto e imprescindibile” e promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia e dal Comune di Sarzana. “Queste manifestazioni, inventate dai piccoli centri come Sarzana, raccolgono molte persone e molta attenzione e io penso che questo dipenda dalla necessità di contrappeso delle parole correnti. Abbiamo delle parole correnti che circolano nella nostra società che hanno perso di peso, di consistenza, di responsabilità. La parola politica ma anche la parola economica sono diventate parole pubblicitarie, che valgono il momento in cui vengono pronunciate e che devono servire, semplicemente, a raggranellare il consenso provvisorio di quell’istante. Subito dopo possono essere smentite, travisate, tradite, senza che il titolare di quella parola falsa ne subisca delle conseguenze, che ne perda di prestigio, di autorità o di credibilità. Dunque c’è una svalutazione della parola pubblica, anche di quella privata. Oggi qualcuno dice ‘io ti amo’ e poi, subito dopo, ‘ma no, ho cambiato idea, non ti amo più’. Anche una parola solenne come questa, quella di impiegare il verbo ‘amare’ per rivolgersi ad una persona, rientra in questa specie di riduzione di senso e di peso. Allora, ecco che ci sono delle occasioni come queste nelle quali si ha voglia di sentirsi raccontare delle storie con delle parole che valgono esattamente la storia che stanno raccontando, che pesano tanto quanto la storia che stanno raccontando. Che portano la responsabilità di quel piccolo momento di scambio e di intrattenimento. Questa parola viene qui ascoltata con questo desiderio, che è un desiderio antico perché tutta la storia della nostra civiltà è stata prima di tutto una storia orale. Gli antenati si sono trasmessi l’esperienza, la conoscenza, il mestiere, le scoperte, le parole affettuose, le parole con cui rivolgersi alle divinità, se le sono tramesse così, con la voce, con dei riti e con la voce che accompagnava il canto. In questo modo la storia dell’umanità ha fatto rimbalzare la sua pallina da una generazione all’altra, sempre più grande, aumentando di consistenza, di peso, di varietà, questa parola iniziale che le generazioni hanno inventato per comunicarsela. È uno strumento di comunicazione questa parola, sicuro, ma uno strumento di comunicazione totale, che è molto legato alla voce, al corpo che la pronuncia. Mia mamma mi diceva: ‘ma che è capitato a questo mondo che prima la gente, le persone, credevano ad una divinità e poi, tutte insieme, si sono messe a smettere di credere a quella divinità per credere ad un’infinità di chiacchieroni, di oroscopi, di indovini, di pubblicitari. Una quantità di trafficanti, di venditori all’incanto, strilloni di strada. Si sono messi a credere alle storie. E anche tu – mi diceva – tu non credi e però se trovi qualcuno che ti racconta una storia, rimani lì a bocca aperta e gli credi’. E io le dicevo: ‘Sì è così. Io credo, però per credere ho bisogno di vedere quella persona. Di vedere i suoi occhi che, in quel momento, mentre la stanno dicendo quella storia, stanno svariando nella memoria per ripescarla. Ho bisogno di vedere i suoi piedi come sono messi e la sua voce come la dice. Ho bisogno, quindi, di credere a quell’insieme fisico che ho davanti. Allora sì, credo, oppure smetto di credere all’improvviso se trovo qualche stonatura fisica, qualcosa che in quel momento non funziona in quella trasmissione. Allora smetto di credere. Questo mi spiega perché sono non credente. Sono un lettore assiduo e un traduttore di quelle pagine della Bibbia, addirittura andate a pescare nel proprio formato originale, che si sono formate col tempo e attraverso le traduzioni, indebolite, affievolite. Sono passate, come secondo l’età, da buoni denti che dovevano sgranocchiarle ad un formato un po’ più morbido, adatto alle gengive 37 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 successive della tarda età. Sono un lettore di quelle storie, ma non credente, perché a me manca la voce di quelle storie, le labbra che muovono quelle linee, quelle sillabe. E siccome ce le devo mettere io le labbra e la voce non posso e non riesco a credere. Ma prima di parlare di questo magnifico strumento di comunicazione tra una divinità e le creature, cominciò a raccontare cosa è stato per me avere a che fare con le parole. Che razza di strumento sono state. Allora, intanto, sono nato in una città, Napoli, di Dopoguerra. Ogni città ha bisogno di essere precisata nel suo tempo, nella sua ora, nel suo momento. Quel luogo è profondamente cambiato, come tutti i luoghi del nostro Paese, come tutta questa nostra società e geografia che è stata trasformata. Ma, appunto, sono nato in quel posto nel Dopoguerra. E allora lì si parlava semplicemente, un dialetto, una parlata. Io ho imparato diverse lingue, curioso dei vocabolari e degli alfabeti degli altri, ma non posso imparare un secondo dialetto. Il dialetto è uno solo, è una lingua madre. Se uno perde quella lingua madre non può diventare figlio adottivo di un’altra lingua madre, di un altro dialetto. Rimane sempre approssimato per difetto, un figlio di secondo letto di quel dialetto. Dunque c’era quel napoletano che avevo intorno, ed era un napoletano di voci, cantate, strillate, bestemmiate, accarezzate, vendute. Voci che dovevano passare attraverso i muri, che pure erano poca cosa. I nostri muri di tufo non sono stati capaci di difendere e di separare. Il tufo, materiale vulcanico, non se lo immaginava, nella sua storia, di essere utilizzato come materiale di separazione, come materiale isolante. È il contrario. Il tufo è materiale poroso, traspirante e anche, dal punto di vista acustico, trasparente; le voci passano da un muro all’altro, da una casa all’altra, da un vicolo all’altro. Napoli è stata un’esperienza acustica per me, nella mia infanzia. L’orecchio era l’organo principale di quell’informazione che mi raggiungeva attraverso la parola. La parola esterna che era una parola che non andava a dormire mai, era insonne, veloce, tronca. Del resto, i dialetti sono sempre più corti dell’italiano che è arrivato dopo e se l’è presa comoda. Qualunque nostro dialetto in confronto ad una pagina dell’italiano è più breve, proprio perché l’italiano non è stata una lingua immediata. L’abbiamo raggiunta, come lingua nazionale e della nostra Unità, in un tempo successivo. Non napoletani abbiamo il verbo più veloce al mondo. Andare si dice ‘i’. Più svelto di così, non si può. L’inglese, con ‘go’ già ci mette il doppio del tempo… Dunque, questo dialetto che era corto, affannato, veloce. Che stava dentro l’acustica e che mi costringeva anche a difendermi da quelle voci che non la smettevano mai. Per mio temperamento di bambino, nato per sbaglio su quel 38 Golfo, geneticamente più tarato per un fiordo norvegese e invece finito dentro un vicolo di Napoli, quell’acustica e quelle parole che avevo intorno mi costringevano a nascondermi da qualche parte. Dove mi potevo nascondere? Certo non mi potevo tappare le orecchie. Non si poteva fare questo gesto osceno nei confronti dell’unica comunicazione che arrivava da fuori, le voci. Questo gesto di opposizione sarebbe stato svergognato e spietato da parte di quel bambino. E allora c’era un punto nella casa dove non mi arrivavano quelle voci. Era uno stanzino, una piccola stanza gremita dai libri di mio padre, dove io sono cresciuto dormendo dentro quella stanza. Lì c’era una protezione da quelle voci. Non facevo niente di irregolare o di scostumato andandomi a chiudere là dentro. Anzi, un poco solleticavo il desiderio di mio padre di fare di me un lettore, perché lui è stato un appassionato divoratore di libri. Ed è stato così appassionato da dover condividere il destino di Borges, lo scrittore argentino che, nell’ultima parte della vita, diventò cieco. E parlò della magnifica ironia di Dio che gli diede, tutta insieme, i libri e la notte. La stessa cosa capitò a mio padre che non aveva le parole per definire ‘magnifica’ l’ironia della divinità, e non aveva nessun contatto, del resto, con la divinità, ma che si piegò a quella mutilazione facendosi leggere i libri da quelli che aveva intorno. Da mia madre, mia sorella, da me, qualche volta. Quel padre vedeva di buon occhio il fatto che quel marmocchio di figlio suo si andasse a rintanare dentro il ripostiglio dei libri. Era un equivoco. Non mi piacevano i libri, mi piaceva il loro materiale isolante. Quella bella materia spessa che ricopriva le pareti. Quella tappezzeria affettuosa che mi salvava dall’acustica intorno. Poi dopo, lentamente, ho cominciato a staccare pezzi di quella tappezzeria e ci ho messo il naso dentro e ho cominciato a leggere quell’immensa stesura della conoscenza. Ma all’inizio per me quello era semplicemente un modo per difendermi dalle voci. Ma c’erano anche voci che volevo sentire ed erano le voci delle donne. Le donne raccontavano. Uno come me, nato in quel periodo, non sentiva tanto parlare gli uomini. Gli uomini in quel periodo non avevano tanta voglia di raccontare la maledetta guerra che avevano attraversato. La loro sorte di soldati, spesso alleati e complici, per forza, dei peggiori boia della storia dell’umanità. Che erano passati attraverso le sconfitte, le prigionie, o le fughe, le latitanze, le clandestinità. Eh, non avevano voglia di raccontarla quella pesante umiliazione della loro gioventù. Della loro gioventù presa e calpestata. E invece le donne sì. Le donne non solo avevano voglia ma avevano diritto. Ho capito dopo perché avevano il diritto, loro, di parlare e non gli uomini. Ho capito dopo che questo dipendeva dal fatto che era stata inventata nel 1900 la guerra moderna. E la guerra moderna, a dispetto e a differenza di tutte le altre guerre del passato, distrugge più di indifesi, di civili, di tutte le età, donne, vecchi, bambini, che di soldati. Questo è il suo puntuale fatturato, di tutte le guerre moderne, Afghanistan compreso, in cui ci abbiamo messo le nostre zampe supplementari. E che dovremo ritirare presto. Vedete, il 1989 è stato l’anno, si dice, della caduta del Muro di Berlino, ma è stato anche l’anno in cui le truppe della Russia Sovietica si sono ritirate dall’Afghanistan, per sconfitta. È stato l’anno in cui, allora, io ho sentito di congratularmi e poi in seguito di celebrare quell’anniversario scrivendo che per me l’evento più importante era stato quello in cui quelle truppe avevano smesso di intervenire fuori dai loro confini. Dunque, per questi motivi, dovrò festeggiare anche il ritiro dell’ultimo soldato straniero da quel suolo che ha ricacciato, regolarmente, tutte le truppe straniere che si sono presentate a occuparlo. Storicamente è andata così, l’Afghanistan non è espugnabile, militarmente né materialmente. Solo Emergency è riuscito a piantare il suo piede di ospedali in Afghanistan è lì rimanere. Lì continuare a curare i feriti, di tutte le parti lese, perché ogni ferito appartiene al reparto delle parti lese, senza distinzione. Allora, questa guerra moderna, che distrugge molte più vite di indifesi che di soldati, è materialmente, per forza di cose, una guerra criminale. Una guerra che commette più crimini che battaglie. E i crimini della guerra moderna che è toccata ai miei genitori e alle donne, che sono toccati a loro, al di là dei crimini sistematici di annientamento di comunità, sono stati il bombardamento aereo della città. I bombardamenti aerei di una città sono l’atto terroristico per eccellenza, perché vogliono distruggere il numero più alto possibile di vite indifese, nel mucchio, a casaccio, all’improvviso. Rispetto a questo, tutto ciò che noi chiamiamo sotto la voce terrorismo è una sfumatura. Il bombardamento aereo della città di Napoli che, anche se ha finito la guerra un po’ prima delle altre città italiane, è comunque la città che ha incassato più bombardamenti aerei della Seconda guerra mondiale. Quella città è stata martellata, in quel modo, dal cielo, a distruggere tutto quello che poteva trovare il suo obiettivo. Obiettivo libero, perché all’inizio si bombardava all’incirca nella zona del Porto, all’incirca nella zona della Ferrovia. Negli ultimi mesi dell’estate del ’43 si bombardava ad obiettivo libero ad alta quota. Quindi con l’impossibilità persino della segnalazione da parte della sirena d’allarme. Ecco questa evidenza della guerra moderna mi ha dimostrato e fatto capire che il fronte principale delle guerre erano le retrovie, erano le città dove le donne hanno retto e resistito all’urto maggiore della distruzione. Le donne, dentro le città. Per gli uomini la guerra poteva anche finire l’8 settembre del ’43, quelli che non sono stati fatti prigionieri, quelli che non sono stati fucilati, quelli che non sono stati spediti al lavoro obbligatorio e gratuito dentro le fabbriche tedesche. Ma per le donne la guerra è finita solamente nell’aprile del ’45. Non si sono potute congedare sino a che non è finita completamente la guerra. Su di loro è pesato il carico maggiore della guerra moderna. È così, regolarmente, per tutte le guerre in corso. Su di loro. E allora ecco perché quelle donne di Napoli, naturalmente, spontaneamente, sentivano di avere il diritto di raccontare quelle storie. Ma quelle storie erano violente, atroci, volgari, infami. E allora non erano storie adatte per le orecchie delle creature, dei bambini, dei marmocchi. E così noi venivamo allontanati da quei racconti. Ma che vuoi allontanare in un palazzo, in una casa di Napoli... Quelle voci che non volevo sentire gridare, quelle voci le volevo invece sentire sussurrare. E le sentivo dietro quei muri che chiudevano poco e facevano passare i fiati e le voci dietro le porte e gli infissi che chiudevano male. Quelle voci napoletane. Ecco, lì, quelle parole che si raccontavano, quelle storie, entravano per la via maestra dentro l’orecchio. L’orecchio teso che passava il tempo a sentire, ascoltare, quei racconti. E quell’orecchio piano piano si trasformava e diventava 39 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 l’organo principale della conoscenza. Tutto quello che era successo di importante, di decisivo, nelle storie delle vite precedenti, veniva trasmesso a me attraverso quelle voci che dentro l’orecchio si diramavano in tutti gli altri sensi. Era così attento quell’ascolto, che poteva informare anche tutti gli altri sensi. Attraverso quel racconto a voce io potevo sentire con il naso, potevo odorare, potevo toccare, gustare, vedere. Essere travolto dalle loro commozioni, dalle loro collere, dalle loro vergogne, dalle loro confessioni, che passavano, immediatamente, dalle loro voci ai miei sensi. Le mettevano in scena dentro di me, le rappresentavano, le allestivano. Ecco quelle voci diventavano il mio teatro interno, che arpeggiava tutti i miei nervetti di ragazzino, di bambino. Sono figlio di quel posto non perché sono residente lì, ma perché quelle voci mi hanno reso proveniente da quel posto. Hanno formato tutto il mio scheletro sentimentale, tutta la mia capacità di reagire alle cose del mondo. Vengo dalle voci di quelle donne. Provengo da quell’acustica, magnifica, che sempre mischiava al tragico il contrappeso del comico, del ridicolo, del buffo. Perché quel tragico andava sgambettato all’improvviso per poterlo poi rendere digeribile. Perché è così che si sono smaltiti i lutti, le perdite. Attraverso il racconto ripetuto e ripetuto dalle voci che oscillavano, cambiavano, anche modificavano le versioni, qualche volta. Aggiungevano o toglievano, cambiavano di tono. La voce umana è il più perfetto strumento musicale che esista. Credo che tutti gli altri strumenti cerchino semplicemente di imitarla. Quelle voci umane mi hanno determinato l’ascolto. Hanno fatto di me una persona capace di ascolto. La prima vocazione di una capacità di ascolto è quella di stare zitti. Prima statti zitto, sennò non serve a niente. Se parli non serve a niente. Avevano diritto, loro, di parlare e gli uomini di tacere. E la storia di mio padre, in guerra, lui partito alpino, nella fanteria alpina, sui monti della Grecia e dell’Albania, da quella storia lui è tornato indietro muto. Ha raccontato solamente di una sua speciale gratitudine e tenerezza nei confronti delle montagne. Quelle gli hanno salvato una parte, una parte piccola, della sua maledetta gioventù, in quella guerra. Quello mi ha trasmesso, uno sguardo di affetto nei confronti delle montagne, che ha fatto di me, poi, un praticante delle scalate e di alpinismo. Così come ha fatto di me uno che scrive storie. Il fatto di essere stato dentro la stanza dei suoi libri. Di avere cominciato da lì a sfogliare quella biblioteca, quella enciclopedia della conoscenza che erano i libri. E poi anche il suo rammarico di non avere operato nella Resistenza. L’8 settembre del ’43 si è trovato in licenza a Napoli per casa bombardata e come tutti si è tolto la 40 divisa, si è imboscato e subito dopo la Liberazione si è occupato degli affari suoi. E però si è riempito gli scaffali di libri di quella storia che gli era passata addosso, di cui era stato contemporaneo, e della quale non aveva capito niente. Succede così, ai poveri testimoni di una storia. Che non sono gli spettatori di una storia. Perché lo spettatore si muove da casa, acquista il biglietto. Sa esattamente a che cosa va ad assistere. Ma il testimone, è il malcapitato che all’improvviso si trova in mezzo alla confusione, alla concitazione di un evento gigantesco. E il 1900 è stato abbondante di eventi giganteschi, dalle emigrazioni, alle guerre, alle rivoluzioni. Ecco uno che è stato contemporaneo di questi eventi giganteschi da testimone, è stato quello che ci ha capito meno di tutti. È quello che si è trovato coinvolto dentro questo vortice, ha cercato un po’ di ripararsi, di proteggersi, insomma, di scamparla. Il testimone, ha poco da raccontare. E quando racconta, spesso, cambia quello che ha visto e sentito, perché era in condizione di percezione alterata in quel momento. Non era lo spettatore. E allora mio padre, dentro a quella storia di cui non aveva capito niente, cercava i pezzi per poterla ricostruire e intenderla. E dunque quella sua storia per me era un atto di accusa nei suoi confronti. Era anche un bisogno di rispondere a quello che lui non aveva fatto. Allora penso, come figlio – perché siccome non ho avuto figli, sono rimasto figlio –, che si è figli dei propri genitori quando si eredita il loro debito, quando si eredita la loro omissione, il loro rammarico. Quello che avrebbero voluto fare e non hanno potuto o saputo fare. Ecco io perseguitato, per la mia vita evidentemente, senza progetto, senza programma, ho proseguito le cose lasciate in sospeso da mio padre. E sono diventato suo figlio per questo. E poi c’erano quei libri che parlavano delle storie grandi, grandiose che erano successe. Poi libri di romanzi, di narrativa. Non c’erano libri per bambini o per ragazzi, mio padre non ne comprava. Però mi permetteva di guardare, di aprire, di sfogliare quella sua biblioteca. E allora leggevo le storie delle persone adulte, dei grandi. Per un marmocchio entrare dentro quelle storie era entrare dentro il meccanismo degli adulti. Di quei giganti che sembravano conoscere tutto, governare le proprie sorti, e invece erano dei marmocchi cresciuti storti, male. Venuti incerti, indifesi, pieni di dubbi. Eppure dovevano sembrare così perfetti, così compiuti. Dovevano dare il tono, dovevano dirigere la casa, la città, la famiglia, i palazzi. E poi, a guardarli, a leggere dentro quelle loro storie, erano friabili come delle meringhe, si sbriciolavano all’interno. Allora quei libri davano una strana capacità di intendere gli adulti dall’interno. Ad un marmocchio davano questo delirio di potenza. Di sapere che dietro quella loro facciata c’era il vuoto. Il vuoto di case bombardate, il vuoto di quello che avevano perduto. Ho amato quei libri perché mi davano questa capacità di conoscenza del mondo degli altri, del mondo degli adulti. E mi davano questa capacità di giudicare e di accusare. Senza rivolgere nessuna parola. All’esterno ero docile e inerte, ma dentro di me, continuamente si svolgeva un tribunale nei confronti di quel mondo che avevo intorno. Quelle parole mi davano uno strumento di conoscenza ma anche di demolizione. Mentre costruivo dentro di me, anche demolivo quello che avevo intorno. E nessuna parola detta dagli adulti era, per me, presa per buona. Andava verificata, controllata, contraddetta. Dentro di me, continuamente, avveniva questo spirito di contraddizione che non si è più spostato. Si è piantato al centro della mia conoscenza, anche della mia scrittura. Sono continuamente assistito da uno spirito di contraddizione che contraddice anche quello che scrivo e che mi permette di corrispondere a quello spirito, a doverlo soddisfare continuamente per non essere respinto, come gli adulti, da quello stesso spirito di contraddizione. Quello spirito di contraddizione della realtà dell’evidenza che poi, quando ho avuto l’età di ragione e sono andato via di casa, me lo sono trovato intorno. C’era un’intera generazione, un mondo, che aveva trasformato quel mio spirito di contraddizione in una forza di trasformazione. Perché il 1900 si è spostato con le rivoluzioni. Questo è stato lo strumento politico con cui si sono mosse le storie e i destini del 1900. I popoli del mondo hanno cambiato il loro destino nel 1900 attraverso lo strumento delle rivoluzioni, in tutti i continenti, dall’Asia all’Africa, all’Europa, alle Americhe. Se la sono scansata solo l’Oceania e l’Antartide. La presenza di questo strumento politico, dello spirito di contraddizione che sono state le rivoluzioni del 1900, poi me lo sono trovato intorno. Ma finché stavo dentro a quella casa, quello spirito di contraddizione riguardava quei libri da cui provenivo, che mi trasformavano, mentre che mi formavano. Ecco, racconto storie ambientate anche in quel luogo. Storie dell’infanzia, di adolescenza. Ma non posso dire che sono dei racconti di formazione. Per uno che è cresciuto a Napoli, in quel periodo, l’esperienza di quei bambini non era un’esperienza di formazione. Era un’esperienza di continua resistenza alle deformazioni dovute alle condizioni oggettive del mondo intorno. Il fatto che avevamo la più alta mortalità infantile d’Europa, il fatto che i bambini, anche quelli che superavano quella soglia di sbarramento, poi andavano a lavorare a 4, 5, 6 anni, anche a costo zero, gratuitamente pur di non stare in mezzo ai piedi a casa. Pur di ricevere un boccone da qualche parte, pur di non pesare a casa. Non era una città per bambini, quella città di allora. Il mondo che ho conosciuto, la natura che ho conosciuto, l’ho conosciuta d’estate quando sbarcavo sopra un’isola e allora lì avevo a che fare con le parole, che non capivo. Le parole che riguardavano la natura non le capivo. Bisognava che le imparassi in quel tempo dello stato brado in cui un bambino veniva preso e lasciato agli elementi, a inselvatichirsi, a scalzarsi subito per cominciare a formarsi il callo sotto al piede, la seconda buccia della pelle che era come quella del serpente. Quella di prima cadeva tutta quanta a pezzi, a bolle, a piaghe. E poi si formava sopra, invece, la seconda pelle, quella buccia di carrubo, che resisteva, era più consistente, e che dava a quel bambino l’esperienza della libertà e della natura. 41 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Quella natura non era lì per accoglierci. Era lì gigantesca, potente, immensa. Se ne infischiava di noi, meravigliosa. Ecco la bellezza che ho conosciuto da bambino, quella bellezza fisica, buttata a profusione, scialacquata e anche calpestata da noi. Quella bellezza gigantesca non era una decorazione, un arredo di natura. Era una forza interna, un’energia, la più potente energia di natura che stava dentro le cose della natura, e spingeva, dal basso verso l’alto. Tutta quella bellezza di quel Golfo, di quell’isola, di quelle fumarole, di quelle insenature, tutta quella bellezza era stata formata dalla potenza di cataclismi e catastrofi gigantesche. La bellezza era quella forza che aveva buttato tutto all’aria e aveva lasciato quel residuo della potenza della sua energia che era pronta a scatenarsi ancora. Perché abitavamo e abitiamo sotto un vulcano attivo e catastrofico. Abitanti d’azzardo di quel luogo. La bellezza che ho conosciuto la dovevo conoscere lì. Non dentro quella città, ma fuori. Appena sbarcato sopra quell’isola. Le parole che riguardavano la voce mare, cielo, stelle, le ho sapute da bambino, addosso, con gli occhi spalancati, con tutti i pori aperti che ricevevano quelle notizie, precise, inesorabili. Non le potevo più confondere con niente quelle parole. Non erano più disegni, era quel corpo gigantesco su cui stavo e che avevo intorno. Dunque sono uno che viene da un mucchio di parole a voce, dalle migliori parole a voce, e poi dalle parole scritte. E la differenza era che c’era una lingua di mezzo. In mezzo c’era il passaggio dal napoletano all’italiano. L’italiano era quella lingua che mio padre voleva parlare, in casa, e pretendeva che si parlasse in casa, con lui, solamente senza accento. Ed era una lingua perciò paterna, patria. Ecco, io non sono un patriota. Non sono sensibile all’inno, alla fanfara, alla bandiera. Sono un patriota della lingua. Quella lingua è la mia patria, italiana. E nessun esilio può fare di me un apolide in italiano. Io sono piantato dentro questa lingua e residente dentro questa lingua italiana. Ci abito, l’ho voluta abitare perché è stata la mia lingua seconda. La lingua dei libri, di mio padre. La lingua che se ne stava zitta dentro i libri e veniva parlata sottovoce in casa, con mio padre. Era una lingua opposta al napoletano. E perciò quando ho cominciato a scrivere le mie storie, e ho cominciato presto a usare questo utensile per me stesso, le dovevo scrivere in italiano. L’italiano era quella lingua seconda che poteva accogliere le esperienze in un tempo successivo, distante, anche fisicamente, in un altro luogo, in un altro posto. Poi leggo, da qualche parte, in un diario di Kafka, solo più tardi: ‘ vedi ciò che hai visto’. Così è anche per me nella scrittura. Solo più tardi posso scrivere quello che mi è passato attraverso il corpo e l’esperienza. Non sono 42 uno che riesce ad inventare granché, posso dire che non invento quasi niente. Pesco, volentieri, e unicamente dal tempo passato, dal tempo accaduto, con quel pizzico di innesco elettrico che mi dà un ricordo. Capita a noi tutti di ricevere la scossa elettrica di un ricordo improvviso, ma, passa subito. Come la bellezza di una sorpresa, come la scoperta di una verità, che è entusiasmante nel momento in cui viene pronunciata e subito dopo è già ovvia, appassita. Ecco il ricordo è così, improvvisamene è emotivo, commuove e poi subito dopo svanisce. Ma ecco che uno che ha il tempo di afferrare quel ricordo e di spenderlo per iscritto e di mettersi a scrivere quella storia di quel momento, ecco che quel ricordo dura, prosegue, si impianta. Diventa il luogo in cui il passato si riconvoca, si trova un’altra volta insieme. Ecco a me piace di trovarmi insieme a quelle persone del passato. Più passa il tempo e più quelle persone sono assenti. Finite chissà dove, disperse. Senza che io possa stabilire una distanza da loro. Succede con i lutti come per l’ergastolo, non scadono. Almeno a me succede così. Più vivi e più ci resti. E per me, nei confronti dei lutti, sono rimasto sempre al giorno 1, perché così sono i giorni dell’assenza. Non si possono contare, non fanno numero. Non hanno mucchio e non fanno spessore, almeno per me. Ma quello che non può fare l’esperienza, perché sono incapace di questa stratificazione del tempo, lo può fare la scrittura, per me. Con la scrittura io sto di nuovo, riesco a stare di nuovo una seconda volta con quelle persone, con quel tempo e raccontarlo. Certo non è una cronaca, non è una riproduzione del tempo passato. È sempre un punto di vista laterale, di uno che la sta raccontando dall’interno, non la capisce neanche tanto bene. La vede dal suo punto di vista, come la vedeva allora. E però mentre la riscrive, mentre la fa accadere una seconda volta, perché questo faccio quando scrivo una storia, la faccio accadere una seconda volta, non ne posso cambiare i connotati, non ho poteri di trasformazione dei passati. Neanche il buon Dio lo può fare. Il passato non è trasformabile, non è modificabile. Tranne che dagli storici… C’è un proverbio polacco – i polacchi sono degli esperti in questo genere di trasformazioni della storia – che dice proprio questo: ‘Da noi solo il futuro è certo, il passato cambia sempre’. Nei confronti di quel passato che faccio avvenire una seconda volta e non mi posso prendere la libertà di cambiargli i connotati e fargli fare un’altra fine, di aggiungere una seconda fine, una variante, però posso farla avvenire in maniera più concentrata, più densa, dove le persone riescono a scambiarsi l’essenziale di quel tempo. Tralasciando tutto quello che intorno c’era e faceva parte della vita corrente, che sembrava anche importantissimo, ma non era decisivo. Riesco a trattenere, semplicemente, il resto. Allora per me, questo tipo di scrittura, questi racconti che faccio io, sono come quel residuo di cristalli di sale che si trova in una pozza prosciugata, in mezzo agli scogli. Tutta l’acqua della vita è evaporata. Ci rimane solo quel residuo solido. La scrittura per me è questo resto lasciato dalla vita che io vado a raccogliere. Come uno che va dietro ai raccoglitori. Uno che va a spigolare. La vita ha già mietuto e io vado a raccogliere il resto. Se si tratta di una vigna, vado a racimolare quello che è rimasto a terra. Il resto di quel tempo passato. Così faccio con le parole, uso le parole in questo modo per farle diventare il posto dove il mio passato si rincontra un’altra volta. E si scambia un’ultima stretta. Un’ultima intenzione e intensità. La parola è stata lo strumento con cui la divinità monoteista si è decisa di stare nel Mediterraneo. Si è andata a scegliere un piccolo buco nel Mediterraneo, un angolino insignificante, secondario, laterale, al riparo dalle grandi correnti e dalle grandi potenze della storia di quel tempo. E lì è andata a piantare il suo seme arido, secco, di parole. Che cosa aveva quella divinità per sbancare il mondo delle divinità di allora? Il politeismo più brulicante della geografia umana stava nel Mediterraneo. Che aveva quel monoteismo per spiantare tutti i culti precedenti? Aveva la parola, parlava. Parlava continuamente. Aprite quell’antico testamento, il verbo più abbinato al soggetto divinità, ai nomi di Dio, è il verbo ‘dire’. ‘Disse’, ‘disse’… Continuamente. È così importante quel verbo, che si trova all’inizio della frase. Precede anche il soggetto. Non importa il soggetto. In quel momento, importa la comunicazione, il dire. La volontà di trasmettere. Quella divinità si mette a parlare. Parla anche quando non c’è nessuno. E tutti i giorni della creazione sono preceduti dalle parole della divinità perché quelle parole servono alla divinità come utensile per fare avvenire il mondo. Il mondo avviene con quelle parole. Non basta che le pensi o che le desideri, che le voglia. Le deve dire, le deve pronunciare. È il dire della divinità che precede tutti gli atti della creazione, anzi sono l’atto della creazione. Al momento in cui lo dice, la creazione avviene. E allora là sopra quella scrittura sacra del monoteismo sta collocata la funzione più alta che la parola possiede, quella di diventare immediatamente fatto compiuto, opera realizzata. Quella parola della divinità fa avvenire le cose. I profeti, con le loro parole, non fanno delle previsioni del tempo, ma mettono un’urgenza dentro al futuro perché si compia in quel modo. L’annuncio di un messaggero a una donna sterile non è semplicemente un buon augurio ma è direttamente la fecondazione di quel grembo chiuso. Quelle parole fanno avvenire la vita e il mondo. Ecco perché in quella lingua, e solo in quel vocabolario, esiste un termine che vuol dire sia ‘parola’ che ‘cosa compiuta’. Legate dentro un solo termine. Solo in quella lingua può esistere questa cosa perché lì questa divinità ha raggiunto la sintesi più alta di quello che può combinare una parola. Fare avvenire le cose, immediatamente, sotto la sua pronuncia. E quel popolo ha conservato nelle sue scritture qualcosa che dice così: ‘finché le parole sono nella tua bocca, tu sei il loro signore. Quando escono dalla tua bocca, tu sei il loro servo’. Questo è quello che mi auspico dal futuro. Che le parole riescano a portare questa responsabilità. Di reggere le cose, di fare avvenire le cose”. Erri De Luca Scrittore, giornalista, traduttore, ha svolto diversi lavori tra Africa, Francia e Italia come operaio, muratore, studiando da autodidatta lo yiddish e l’ebraico, traducendo alcuni testi della Bibbia. Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989); Una nuvola come tappeto (1991); Aceto, arcobaleno (1992); In alto a sinistra (1994); Alzaia (1997); Tu, mio (1998); Tre cavalli (1999); Montedidio (2001); Il contrario di uno (2003); Mestieri all’aria aperta (con Gennaro Matino, 2004); Solo andata (2005); In nome della madre (2006); Almeno 5 (con Gennaro Matino, 2008); Il giorno prima della felicità (2009); Il peso della farfalla (2009); E disse (2011); I pesci non chiudono gli occhi (2011); Il torto del soldato (2012). Ha curato, sempre per Feltrinelli: Esodo/Nomi (1994); Giona/Ionà (1995); Kohèlet/Ecclesiaste (1996); Libro di Rut (1999); Vita di Sansone (2002); Vita di Noè Nòah (2004) e L’ospite di pietra di Puškin (2005). Per Giuntina, Le sante dello scandalo (2011) Per Drago Edizioni, A piedi, in bicicletta (2012). 43 ZOOM In occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa di Enrico Mattei pubblichiamo un’intervista a Lucia Nardi, Responsabile Attività culturali ENI, che ripercorre le tappe principali della nascita e dello sviluppo del modello ideato dall’allora Presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi per le nuove stazioni di servizio Agip, contraddistinte dall’inconfondibile marchio del cane a sei zampe. Esempi di progettazione e marketing che hanno contribuito a trasformare il modo di viaggiare in automobile negli anni del boom economico. Il famoso cane a sei zampe, marchio dell’Agip e oggi dell’Eni, chi l’ha pensato e come è nato? Agli inizi del 1952 – quando ormai la nascita di Eni è certa – Enrico Mattei, non ha ancora un logo per due prodotti di punta della sua azienda, la benzina Supercortemaggiore e la bombola Agipgas. Ben cosciente di dover risolvere questa mancanza, decide di fare un investimento economico importante per l’epoca: un concorso con un montepremi di dieci milioni di lire per i due marchi dei relativi cartelloni pubblicitari e la colorazione della colonnina di distribuzione del carburante. Mattei stabilisce in prima persona – come è solito fare – le modalità di svolgimento del concorso, i tempi, i premi, persino la giuria. Nell’aprile del 1952, dopo un rapido consulto con Alberto Alì e Marcello Boldrini, il bando è pronto. Nel maggio viene pubblicato sulla rivista Domus, allora diretta da Gio Ponti, considerata la rivista di architettura e arredamento più importante in Italia. Il bando fissava al 31 luglio 1952 il termine ultimo di 44 presentazione delle opere secondo una serie di requisiti standard: per i cartelloni, era necessaria una misura di 100 centimetri per 70, la consegna su superficie rigida e un motto. Per i marchi, un foglio ripiegato di 40 centimetri per 20 contenente all’interno il marchio a colori e in bianco e nero. La giuria vanta un parterre di grande qualità: oltre a due rappresentanti dell’Agip e al segretario Dante Ferrari, giornalista, compaiono Mario Sironi, pittore e parte attiva del gruppo Novecento, Mino Maccari, incisore che ha animato con i suoi disegni numerosi periodici tra i quali la rivista aziendale Eni “Il Gatto Selvatico”, Gio Ponti architetto e designer cui sarà affidata successivamente la progettazione di alcuni oggetti d’arredo dei MotelAgip, Antonio Baldini, scrittore e presidente in quegli anni della esposizione Quadriennale d’Arte di Roma, e Silvio Negro, giornalista e curatore di numerose mostre fotografiche. Tra il maggio e il luglio del 1952 arrivano alla segreteria del concorso oltre 4.000 elaborati. Il numero dei partecipanti, i continui impegni dei giurati, impediscono alla commissione di esprimere un verdetto in tempi rapidi. È soltanto l’8 settembre infatti che la commissione giudicatrice (ad eccezione di Gio Ponti che non riuscirà a rientrare in tempo da un viaggio di lavoro in Argentina) si decide finalmente a dare avvio ai propri lavori. Un resoconto dettagliato di questa operazione ci racconta un vero tour de force: il primo giorno la giuria lavora ininterrottamente fino alle 21.30. Il giorno successivo fino alle venti e quello ancora dopo fino alle 1.30 della mattina. Alla fine una votazione che il verbale sottolinea Foto © Archivio storico ENI, Roma Le stazioni di servizio Agip Il modello di Enrico Mattei Foto © Archivio storico ENI, Roma “a grande maggioranza” dichiara i vincitori. Per il cartellone Supercortemaggiore – che di lì a poco invaderà le strade italiane – viene prescelto il cane a sei zampe dello scultore Luigi Broggini (presentato tuttavia al concorso dal milanese Giuseppe Guzzi) accompagnato dal motto “3X3”, per il cartellone Agipgas il bozzetto del veneziano Enzo Rota, per il marchio Supercortemaggiore, il bozzetto presentato dai due artisti Carlo Dradi e Fulvio Pardi (anche se Giuseppe Guzzi viene nuovamente scelto e si piazza al terzo posto), e infine per il marchio Agipgas quello del torinese Egidio Matta. Molto si è detto sulla storia del cane a sei zampe. Nelle numerose biografie dedicate negli anni al presidente di Eni si è spesso creato leggende attorno al marchio. In realtà i verbali del concorso e la ricostruzione della sua storia sfatano una volta per tutte il racconto che il cane di Broggini non avesse vinto alcun concorso e che Enrico Mattei l’avesse personalmente ripescato tra gli esclusi. Sfatano anche, una volta per tutta, l’altra storia spesso riportata, che il cane avesse originariamente 4 zampe e che Enrico Mattei ne avesse fatte aggiungere altre due, con un sorprendente tocco di fantasia e originalità. Non è neanche vero, tuttavia, che Enrico Mattei fu completamente ignaro rispetto a quanto si andava decidendo sul marchio. Se è vero infatti (e molte persone del suo entourage di allora lo confermano) che al presidente di Eni il cane, la sua forma strana e aggressiva, le sei zampe, la colorazione forte, la fiamma rossa piacevano eccome, è altrettanto vero che ebbe una parte per niente marginale nel decidere di utilizzare questa grafica non solo per i cartelloni pubblicitari ma anche per il marchio. Già alla fine del 1952 infatti, il cane a sei zampe rappresenta “la potente benzina italiana” sulle pagine dei principali quotidiani e su molte riviste di vario contenuto, a tiratura nazionale. Questo marchio ha identificato tutte le stazioni di servizio Agip. Quali i professionisti coinvolti nel progettarle con le regole di Mattei? L’investimento nell’immagine non si ferma all’ideazione di loghi e cartelloni, ma abbraccia un’idea di reinvenzione assai più vasta. Contemporaneamente alla ricerca di nuovi strumenti pubblicitari viene messo a punto anche un progetto per una stazione di servizio tipo. Nel giugno del 1953 Mattei informa i suoi collaboratori dell’introduzione di nuove architetture per la rete stradale. L’incarico di elaborare un progetto tipo viene assegnato a Mario Bacciocchi, architetto milanese, su incarico personale di Mattei, probabilmente in virtù di una pluriennale amicizia e un rapporto di fiducia. L’architetto, oltre a mettere a punto i prototipi delle stazioni di servizio è impegnato per l’ente anche nella progettazione della sede amministrativa e direzionale con annessi quartieri residenziali e infrastrutture per i dipendenti, Metanopoli, ubicata alle porte di Milano. L’elemento distintivo che maggiormente caratterizza la stazione di servizio di Bacciocchi – anche detta “la Bacciocca” – è la sua copertura aggettante sviluppata in un pezzo unico in calcestruzzo, partendo dalla parete retrostante che funge da contrappeso e dispone di una sua corta pensilina retrostante. La copertura poi si estende in una pensilina che si getta sia in avanti che in alto, finendo con una piega verso li basso. Lo slancio dinamico della vistosa copertura rende immediatamente riconoscibile la costruzione, diventando una sorta di “marchio architettonico”. 45 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Per le prime stazioni quali i progetti scelti e gli autori? Fino al 1968 i progetti sono sempre firmati da Bacciocchi: vengono realizzate tuttavia 13 varianti dello stesso modello che vanno dal più semplice, la sola pensilina, passando dalle varie dimensioni (piccolo, medio, grande) del chiosco con o senza pensilina, della stazione di rifornimento fino ad arrivare alla stazione di servizio. Con il crescere della dimensione, anche i servizi diventano più articolati: accanto a quelli strettamente inerenti all’automobile come grassaggio, lavaggio e officina, sono “di serie” anche telefono, wc, bar, tabacchi, tavola calda fino al “RistorAgip”; nelle stazioni di servizio grandi è prevista anche una abitazione per il gestore. Il fabbricato è rivestito di strette mattonelle con profilo in rilievo in ceramica color avana; sulla piccola pensilina retrostante è installato un box luminoso con la scritta “Agip”, mentre la curvatura finale verso il basso funge da display per la scritta “Supercortemaggiore”. Solo dal 1960 al nome di Bacciocchi si unisce quello del grafico Marcello Nizzoli, autore insieme con Mario Oliveri anche del primo palazzo uffici a Metanopoli, che disegna 46 un nuovo tipo di erogatore. Il nuovo erogatore Nizzoli disponeva di un display dagli angoli arrotondati ed è più basso e compatto rispetto alle colonnine in uso allora, conferendogli un’immagine più al passo con i tempi. Quali le particolarità di questi progetti e, più in generale, quale il “modello”, pensato da Mattei, che poi si è affermato? L’unico modello che si afferma è il “modello Bacciocchi”. La possibilità di integrare una serie di attività intorno al rifornimento rappresenta una rivoluzione copernicana per l’Europa (mentre negli States era già diffusa). La predisposizione al customer service contribuisce a dare il via a quella trasformazione della valenza simbolica della stazione di servizio che si esprime anche semanticamente nel passaggio dalla “stazione di rifornimento” alla “stazione di servizio”, dal luogo di utilità ad un luogo di piacere basato sul consumo, diventando così un vero e proprio simbolo del boom economico. Un concetto commerciale questo che l’Agip incarna non solo al meglio, ma anche come una delle prime compagnie petrolifere in Europa. Foto © Archivio storico ENI, Roma Uno dei primi modelli di stazione Agip progettati dall’architetto Mario Bacciocchi, 1953 Foto © Federico Patellani Oltre agli aspetti progettuali quali le principali innovazioni in termini di “filosofia” e servizi nelle nuove stazioni? La filosofia alla base di tutte le stazioni Agip è stata senza dubbio quella dell’attenzione al cliente, oggi si chiamerebbe con un termine di marketing, customer care. Il customer care se possibile va persino oltre il customer service, è letteralmente l’attenzione ai bisogni e alle necessità dell’automobilista. Per Mattei il rifornimento doveva essere solo una delle attività possibili. La trasformazione delle aree di rifornimento carburanti in aree di “servizi” segna così l’inizio di una nuova era dove la sosta rappresenta un momento piacevole per l’automobilista che può usufruire delle opportunità offerte da motel, bar, ristoranti, piccoli market, officine di riparazione. Per perfezionare questo servizio al cliente l’azienda costituisce anche un severo regolamento per la gestione degli impianti di rifornimento. Memorabile è la scena del film di Francesco Rosi “Il caso Mattei” in cui il presidente Eni si infuria con il personale di un impianto Agip in Sicilia trovato da lui in cattive condizioni, rimproverando loro per il danno così apportato all’immagine dell’Agip. Per recuperare lo svantaggio delle altre società petrolifere anche in campo della formazione dei propri addetti alle pompe, l’ente decide di istituire a Metanopoli una scuola professionale per i gestori. Il materiale formativo viene edito nelle più svariate lingue, dall’inglese all’amarico, per i gestori che arrivano a Metanopoli dai lontani paesi in cui è attiva l’Agip. Per stimolare il senso di appartenenza alla “grande famiglia” e per perfezionare il customer care viene distribuita inoltre una rivista con l’eloquente titolo “Buon lavoro, amici!”, che informa i gestori su eventi aziendali e fatti tecnici, dispensa consigli per un buon rapporto con il cliente e per l’abbellimento floreale dell’impianto. La rivista continua ad esistere fino Stazione di servizio Agip con servizio di assistenza stradale. Roma, Ponte Libertà, 1959 47 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 ad oggi sotto il titolo “Professione gestore”. I numerosi servizi rappresentano il fiore all’occhiello dell’Agip e un surplus nel confronto dei concorrenti, necessario per poter tenere testa nella competizione della corsa al cliente con le compagnie petrolifere estere dominanti sul mercato italiano Dalle stazioni di servizio ad una catena di Motel il perché di questa evoluzione e quali furono i progettisti? Le aree di servizio negli anni Cinquanta divennero presto punti di ristoro e di svago, non solo per gli automobilisti. Vi erano ristoranti e bar per chi volesse trovare conforto nei viaggi più lunghi e addirittura furono creati dei motel: i motelAgip (il primo fu realizzato a Metanopoli). I motelAgip, sempre a firma di Bacciocchi e poi anche di Nizzoli, erano delle strutture accoglienti ideate per chi viaggiava per strada e aveva bisogno di sentirsi a casa. Mattei sapeva che alla motorizzazione e al nuovo movimento turistico non corrispondeva una attrezzatura alberghiera adeguata. Particolarmente scarso di attrezzature era il Mezzogiorno, verso il quale invece si stava indirizzando una notevole parte del turismo motorizzato. Questa è la ragione per cui si optò anche in Italia per la diffusione di motel soprattutto se dislocati in zone poco conosciute e suggestive. I piccoli edifici, generalmente lontani dai centri abitati, dovevano permettere alle macchine e ai viaggiatori una sosta altrimenti impossibile. Senza raggiungere la diffusione e le proporzioni dei villaggi per automobilisti americani, anche i motelAgip potevano assolvere una importantissima funzione, rendendo veramente accessibili località che finora erano rimaste escluse dai principali itinerari. Tutto era studiato e curato nei minimi dettagli, il servizio Agip era il meglio che l’italiano e lo straniero potessero trovare lungo lo Stivale. Le nuove aree di servizio erano concorrenziali anche nei prezzi, imposti per tutti i gestori, non solo della benzina Supercortemaggiore, ma anche del caffè al bar e delle stanze dei motel che praticavano il prezzo di un tre stelle pur appartenendo alla categoria dei quattro stelle. Veduta del Motel Agip. Firenze, Italia, 1963 48 Foto © Archivio storico ENI, Roma ANNO IV PROTAGONISTI Ugo Filippini Geometra racconta i suoi progetti Nato nel 1931 a Brescia, ho abitato, fino al 1962, nel pieno degli anni del “boom”, al Quartiere Leonessa, in quella che al tempo era la periferia sud di una città in piena espansione. Un quartiere costruito in periodo fascista per i dipendenti del Comune. A quel tempo il progettista si ispirò vagamente alle opere di architetti viennesi di fine Ottocento. Dopo gli studi di fanciullezza, l’approdo all’Istituto per Geometri “Niccolò Tartaglia” per gli studi superiori. Il Diploma arriva nel 1951 a conclusione degli esami di Stato all’Itg “De Simoni” di Sondrio. Tempi difficili, quelli del dopoguerra, in un Paese che faticosamente cercava di uscire dal dramma delle conseguenze, umane e materiali, del conflitto mondiale. Difficile ottenere un posto. Così cominciò la trafila “sofferta” come Geometra responsabile di cantiere, alcuni dei quali gestiti dal Ministero dei Lavori Pubblici. Fra questi, i lavori per la realizzazione di una strada a nord del Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, per il collegamento con la periferia di Salò. I lavori per il raccordo furono diretti dal sottoscritto e portati a termine. Fu poi la volta dei lavori di allargamento di due principali vie, nel nucleo antico di San Felice del Benaco; con la demolizione di parte dei vecchi edifici e la loro successiva riedificazione più arretrata. Tempi duri, con la consapevolezza che con i suddetti lavori si acquisiva poco o nulla al fine della professione. Il giro d’orizzonte si focalizzò orientandomi verso lo Studio del Geometra Luigi Paterlini, a quel tempo noto nella città del Cidneo. Venni assunto e vi rimasi fino al 1962. Gettai, così, le basi della professione con l’ausilio e il conforto saldo e sodale della serietà e professionalità dello stesso Paterlini, figura integerrima e speciale, cui devo moltissimo. Un maestro che non si dimentica, divenuto tra l’altro, Segretario e Presidente del Collegio di Brescia. Negli anni a seguire, l’avventura della libera professione, durata fino al 2010. Agli inizi, lavorai con un Architetto realizzando con lui un palazzetto a Lumezzane, grosso centro industriale della Valle Trompia. Ancora, per un piccolo complesso industriale a Collebeato, alle porte di Brescia e infine ad una piccola chiesetta posta sulla vetta del Monte Maddalena, la montagna dei bresciani. In seguito, l’avvio di uno Studio con altri due professionisti, un Ingegnere e un Architetto, e il ritorno al mio “studiolo anomalo-anonimo” in quel di Bovezzo, che mi lasciava vedere l'esterno da una piccola finestra con grata. Non ho mai ambito ad avere uno Studio importante e, men che meno, rappresentativo. Ho seguito sin qui quello che l’istinto mi ha dettato. Ho sempre pensato che la professione non fosse duro lavoro, bensì passione, piacere di lavorare, di sperimentare e di conoscere, valori che ancora non sono sopiti. 49 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Villa a Memmo di Collio - Alta Val Trompia Progettata e realizzata agli inizi della libera professione (1962) su incarico di un piccolo artigiano. La Villa sorge su un poggio prospiciente una piccola piazza di un modesto agglomerato di case di montagna. Il proprietario, con mia meraviglia, fece scrivere a grandi lettere ed in dialetto: “La Cà de Memm”. Forse voleva minimizzare l’intervento nei confronti della gente montanara. 50 51 ANNO IV 52 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Ville a Salò - Frazione Villa Progettate e costruite verso i primi anni ‘70, per conto di un’Agenzia Immobiliare di Salò. Le unità furono due e simili. 53 ANNO IV 54 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Ville a San Felice del Benaco Progettate per un numero di tre unità simili, nel 1972 ed ultimate dopo oltre un anno, con iniziativa immobiliare di mio fratello. 55 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Ville a Moniga del Garda Costruite verso il 1974 ed ultimate poco dopo, per conto di due fratelli commercianti con negozi in Brescia. I progetti di tutte le Ville furono condizionati dalla necessità di adattare sistemi costruttivi tradizionali del tempo. Progetti che dovevano passare al “vaglio” della Soprintendenza dei Beni Culturali e del Paesaggio di Milano, ove spesso ci si doveva recare per discuterli. 56 57 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Breve descrizione delle caratteristiche costruttive delle Ville illustrate Le camere ed i servizi, furono studiate secondo dimensioni minime (erano per lo più seconde case, o meglio case per vacanze o per fine settimana). In ogni soggiorno pranzo, con la realizzazione di una zona soppalcata, è stato facile, mediante il vuoto creatosi su tali zone, mettere in evidenza la struttura della copertura lignea all’interno, oltre a percepire all’esterno e caratterizzare il volume e la sagoma di ogni unità. Le strutture verticali furono prevalentemente in laterizio porizzato; le tramezze interne in semplice laterizio. 58 La Villa di Memmo ha la base in pietra locale lavorata a spacco di cava. Con fuga vuota. Il soppalco di ogni villa era composto da un piano di calpestio in doghe di larice larghe e stagionate; affrancate alla grossa orditura portante di travi squadrate d’abete. Le pareti esterne furono per lo più tinteggiate bianche a base di calce. Gli infissi esterni ed interni colorati con pigmenti “noce chiaray”, come la struttura a vista della copertura. Nella Villa di Memmo, per il clima rigido d’inverno, furono posti in opera infissi esterni “accoppiati” tipici dell’ “Ampezzano”. I vetri doppi o vetro-camera, tipo “Termopan”, non erano ancora stati inventati. Complesso a Brescia in via Gualla Progettato sempre all’inizio della professione, era il 1963, e terminato alla fine del 1965. Non possiedo alcun grafico della progettazione tranne una prospettiva del complesso che fu edificato solo nel corpo a sinistra. A tutte le facciate fu applicato, per la prima volta a Brescia, un “rivestimento plastico”, che poi alla fine non si rivelò adatto perché poco traspirante. 59 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Tecna – Corpo Direzionale in Zona industriale a Brescia, in via G. Di Vittorio La progettazione iniziò nel 1980 e successivamente ci fu l’edificazione. La destinazione industriale era ed è tutt’ora di “Trattamento termico” di materiali acciaiosi. All’inizio era composto da tre capannoni con struttura metallica ciascuno di mt. 18,00 x 80,00, con in testata il corpo uffici in muratura e c.a. Il tutto crollò con la nevicata del 1985. Rimase intatto il corpo uffici al rustico, che venne completato con i servizi degli operai e la loro mensa nel 1990, unitamente alla realizzazione di un “giardinetto zen”. 60 Tecna corpo direzionale Giardino zen nell'interno della zona uffici 61 ANNO IV 62 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Il design degli interni Non ho mai trascurato la sistemazione distributiva degli arredi che ho sempre fatto realizzare su miei disegni con molta cura dei particolari, dei materiali e delle scelte cromatiche. Negozio “AMICA” sul Corso Palestro a Brescia Realizzato nel 1975, “AMICA” negozio di calzature con delle strutture espositive, corpi illuminanti e particolari soluzioni che suscitarono molto interesse e che ancora oggi sono di attualità. Cascinetta a Carzano di Monte Isola – Lago di Iseo La progettazione avvenne nel 1990 e l’opera completata verso il 1992. La “ex cascinetta” si insedia, se pur su un'isola di lago, in una vasta area di proprietà caratterizzata da numerosi terrazzamenti, realizzati nel tempo, con muri sapientemente costruiti con pietre a secco contornati da ulivi ed altre essenze spontanee. Il piccolo edificio si presentava in stato di abbandono da alcuni anni e subito si valutarono le numerose difficoltà, fra le quali la impervia dislocazione e gli onerosi trasporti laustri che si sarebbero dovuti affrontare per una seria ristrutturazione. Con distanze notevoli da realizzare, si portarono tutti i servizi essenziali. Si sottopose il piccolo progetto alla Soprintendenza dei Beni Ambientali della Lombardia, ricadendo Monte Isola in zona di notevole interesse paesistico. Si procedette all’attento restauro delle antiche strutture murarie in pietra, esterne ed interne, che erano in lento e progressivo disfacimento, con particolari intonaci a base di calce purissima. L'intervento edilizio non ha alterato che in minima parte le originarie strutture murarie, non ha modificato la dimensione né tantomeno la sua sagoma. L'umile antica opera è servita da suggerimento nella elaborazione del progetto. Si sono mantenuti i livelli preesistenti dei piani: quello “alto” e quello “basso”, mettendoli in comunicazione con una scala lignea. Al piano “basso”, scavando in roccia, è stata realizzata una stanza per comporre compiutamente l'unità abitativa. L'angolo di roccia affiorante nella piccola stalla è stato ripulito e messo in risalto nella nuova camera matrimoniale. La rustica ed appena accennata forometria bifora, un tempo realizzata per arieggiare il piccolo fienile, ha dato l'idea per creare ampie vetrate fisse, nel nuovo soggiornopranzo, quasi a farvi entrare il lago sottostante e le montagne circostanti. Stessa veduta si gode dal piccolo soppalco, la cui balaustra avvolta con reti da pescatore, lascia intravedere la totale realizzazione 63 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Soppalco con balconata avvolta con rete da pesca 64 Diverse e tante sono state le opere realizzate sui miei progetti e pubblicate su riviste del settore. “Dentro Casa” dedicò un servizio dell'Arch. Stefania Vanoglio sulla ristrutturazione da me progettata e diretta di un rustico a Montisola (Brescia) di cui avevo curato anche il design degli interni. La stessa rivista pubblicò un servizio sulla “Cascina Zabelli”, le cui soluzioni progettuali ed anche di sistemazione interna avevano valorizzato un appartamento all'interno di un vecchio complesso agricolo. Avrei da raccontare ancora... altri progetti, ma sono molto contento di vederne pubblicati taluni su Geocentro, il magazine della mia categoria professionale. Non posso invece non raccontare di aver partecipato tempo fa ad una Mostra Fotografica Regionale organizzata dalle Acli di Brescia e dal Cinefotoclub sul tema “Il lavoro umano” e di aver vinto il Primo Premio con questa foto che sintetizza l'attività del Costruire che alla base ha il Progettare. 65 AUTORI “Il calcolo rapido della trave continua” Renato Scassa Geometra Nel dicembre del 1971, il Prof. Ingegnere Giovanni Battista Ormea, Docente dell’Università di Cagliari, scrisse nella presentazione: “L’opera tratta i sistemi iperstatici con notevole semplicità di forma, con appropriato linguaggio tecnico e razionale continuità d’esposizione. Dopo alcune premesse, sulla deformazione delle travi e della relazione fra momenti flettenti e linea elastica, l’autore riporta alcuni teoremi di geometria differenziale sui quali si appoggia la scienza delle costruzioni. Le premesse che tendono a chiarificare la netta distinzione che esiste fra le travi vincolate iperstaticamente, e quelle a semplici vincoli statici, sono esposte in forma molto chiara, accessibile anche a chi non ha profonde cognizioni della materia. Il raffronto fra le formule analitiche e risultati grafici mediante l’applicazione di Mohr è molto indovinata e tende ad illustrare il procedimento analitico col quale si è giunti ai risultati finali, i quali trovano applicazione in una casistica veramente pregevole e forse unica nei testi di costruzione inquantochè tutti gli schemi possibili di travature sulle varie ipotesi di carico sono riportati nell’opera. Alle formule generali corrispondenti ai vari esempi, vengono aggiunte appropriate Tabelle, nelle quali in funzione dei rapporti fra le variabili interessate, è facile ottenere momenti flettenti e sforzi di taglio nelle varie sezioni delle travi. Il lavoro è nuovo nel suo genere, perché estende i dati in un campo che altri trattati consimili non contemplano. Dal punto di vista pratico l’opera costituisce un ottimo formulario di consultazione e certamente interesserà molti progettisti”. 66 Questa Rubrica presenta testi i cui autori sono Geometri che, nel corso degli anni, hanno contribuito e contribuiscono a diffondere la cultura tecnica nei diversi campi. Il testo di 155 pagine, stampato dalla E.C.C.E. (Edizioni Centro Calcoli Elettronici) di Castell’Alfero d’Asti, nel 1976, grazie al contributo nella spesa del Collegio dei Geometri di Asti, contiene: 25 Tavole; 24 Tabelle con 55.000 coefficienti precalcolati; 198 disegni e schemi; 52 esercizi per le più svariate condizioni di carico, per qualsiasi numero di campate, per qualsiasi condizione di vincolo photo©shutterstock.com/Losevsky Photo and Video Prefazione dell’Autore Renato Scassa “I progressi scientifici della ricerca da un lato e quelli tecnologici dall’altro, hanno collaborato strettamente per porre in atto, in questi ultimi tempi, nuove teorie di calcolo e la disponibilità di materiali dotati di più spiccate e sicure prestazioni. Il calcolatore aggiornato sulle nuove teorie e sulle caratteristiche degli attuali materiali disponibili, ha, pertanto, la possibilità di realizzare strutture notevolmente più economiche che in passato e dotate di un adeguato grado di sicurezza anche nel tempo. Queste possibilità rivestono oggi carattere di capitale importanza, specie nel nostro Paese ove è in corso una preoccupante crisi economico-produttiva che potrà essere superata soltanto se da parte di tutti, ciascuno nel proprio campo di azione, si porranno in atto tutte le provvidenze atte a ridurre i consumi e ad evitare gli sprechi. Questo asserto è valevole, ed in modo più sentito ed accentuato, anche nel settore delle costruzioni. È intuitivo che l’applicazione delle nuove teorie e dei nuovi procedimenti nel campo della statica delle costruzioni in un rapporto con l’adozione di materiali a più alte prestazioni, impongono una maggiore cura e precisione del calcolo e l’abbandono di quelle approssimazioni di comodo molte volte adottare in passato fidando sui larghi margini di sicurezza insiti nell’altrettanto largo spreco di materiali. Nella giusta considerazione dell’apporto di economia offerto dalla continuità delle moderne strutture che, attraverso a questa continuità, sono chiamate a collaborare l’una con le altre nel migliorare le prestazioni statiche del complesso, lo scrivente ha ritenuto che rivestisse particolare interesse il calcolo delle strutture iperstatiche in genere e quello della trave continua in particolare. Per tale ragione, nella convinzione di fare cosa utile al calcolare di strutture e di schemi statici, è stato concepito e redatto questo volume. 67 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Tenuto presente che nel calcolo delle strutture iperstatiche e delle travi continue si intrecciano infinite combinazioni di geometria differenziale con elementi di meccanica applicata dalla cui azione combinata derivano le sollecitazioni cui vanno soggette le singole strutture; avuto inoltre debito riguardo al fatto che tali intrecci ed azioni combinate impongono al calcolatore una continua ponderazione e valutazione che, prolungata può determinare stanchezza e rischi di errori materiali e concettuali; lo scopo che si è prefisso l’opera è stato quello di trasformare un affaticante calcolo ponderato in un semplice e piano calcolo meccanico guidato, nel quale sia facile e rapido il raggiungimento del risultato finale. Nella prima parte del volume sono esposti in modo conciso i principi teorici riguardanti le strutture iperstatiche, ivi compreso il Teorema di Mohr e conseguente corollario da cui deriva l’equazione di Clapeyron dei tre momenti mercè la quale, note le condizioni di carico e le luci delle campate nonché le condizioni di vincolo delle due estremità della trave continua, è possibile calcolare i momenti negativi su ogni appoggio. Per questa prima fase del calcolo sono indicate formule risolutive per le più svariate condizioni di vincolo e, tenuto conto della possibile sommatoria degli effetti, di ogni più varia condizione di carico. Apposite Tabelle offrono coefficienti destinati ad abbreviare i calcoli relativi. Per la seconda fase del calcolo diretta alla ricerca degli sforzi di taglio alle estremità sinistra (A) e destra (B) di ogni campata, dell’ascissa nella quale il taglio si azzera ed il momento di campata raggiunge il valore massimo ed il valore di questo momento massimo, in apposite Tavole, ciascuna inerente ad una data condizione di carico, sono riportate le formule la cui risoluzione porta alla conoscenza degli elementi sopracitati. Anche in questa fase il calcolo è reso facile e rapido dall’introduzione nelle formule di numerosi coefficienti W contenuti in estese Tabelle nelle quali i valori dei detti coefficienti sono funzione di alcune variabili che rispecchiamo le condizioni di carico. Completa l’opera una serie di oltre 50 Esercizi destinati ad offrire la dimostrazione pratica dell’impiego sia delle numerose formule che delle Tabelle, dei Coefficienti e delle Tavole. Nella speranza che il volume offra effettivamente al calcolatore quei servigi che sono stati oggetto delle intenzioni del compilatore e che, pertanto, riveli la sua utilità a favore di più accurati calcoli statici circa le sollecitazioni che investono le strutture costruttive, lo scrivente sarà grato a quanti vorranno segnalare eventuali manchevolezze o possibilità di perfezionamenti e completamenti”. Renato Scassa Nato a Portacomaro (Asti) il 22.11.1902. Consegue nel 1923 il Diploma di Perito Agrimensore presso il Regio Istituto Tecnico Giobert di Asti. Iscritto nel 1940 al n°96 all'Albo dei Geometri della Provincia di Asti nel quale riveste la carica di Consigliere dal 1959 al 1974. Nel 1973 nominato Consulente dal Consiglio Nazionale dei Geometri presso il Consiglio Superiore dei LL.PP. per la regolamentazione della legge sul Cemento Armato. è autore anche dei seguenti testi: “Calcolo a rottura del cemento armato” (Sezioni rettangolari ed a T inflesse – 144 Tabelle con 100.000 coefficienti precalcolati); “Nuove tecniche di calcolo e di esecuzione del cemento armato” (Teoria di calcolo – Formulari – Tabelle – Tensione semplice – Pressione semplice – Pressoflessione – Tensoflessione – Flessione semplice – Taglio – Torsione – Coazioni varie – Effetti termici – Ritiro – Flange – Fessurazione – Deformazione – Norme di corretta esecuzione). Iscritto nell'Albo d'Oro del Collegio dei Geometri di Asti. Conferita inoltre l'Onorificenza di “Cavaliere della Repubblica Italiana”. Muore all'età di 90 anni. 68 EDILIZIA La sicurezza sul lavoro per il committente privato di lavori edili: l’informazione come fondamento della sicurezza Prima parte1 di Giovanni Piga Quanto sia necessaria per qualsiasi tipo di società la condivisione di regole tra i suoi componenti non può che essere chiaro a tutti. Un sistema dove le regole sono certe e condivise è fondamentale in particolare per le professioni tecniche. Questo è ancora più vero se ci occupiamo di sicurezza sul lavoro, un campo in cui il rispetto delle regole insieme con la scelta accurata di professionisti ed esecutori delle opere può consentire di salvare vite umane. In questo campo, tra coloro che più di altri sono stati individuati come responsabili della corretta applicazione di regole, generali e specifiche, necessarie per la salute dei lavoratori e la prevenzione degli incidenti nei luoghi di lavoro, troviamo il committente: il soggetto per conto del quale l’intera opera viene eseguita, individuato dalla giurisprudenza come perno intorno al quale ruota l’intero sistema della sicurezza. Tuttavia pur riconoscendo al committente questo importante ruolo, norme cogenti e giurisprudenza, che impongono ai professionisti e agli esecutori, dai vertici delle imprese fino all’ultimo operaio, l’obbligo della formazione, non tengono in considerazione il fatto che 1 La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata nel prossimo numero di GEOCENTRO/magazine la maggior parte dei committenti ben poco conosce di sicurezza sul lavoro. È come voler affidare la guida di un veicolo a una persona che non solo non ha la patente, ma non ha neanche idea di cosa sia il codice della strada. Il problema non era certo sfuggito al legislatore, che nella prima emanazione del Testo Unico sulla sicurezza individuava progettisti e direttori dei lavori come responsabili dei lavori ai fini della sicurezza. Tutta una serie di ragioni, che qui tralasciamo di ripetere, evidenziarono la difficile applicabilità di tale norma che infatti con il decreto successivo fu modificata. Informare il committente È evidente, quindi, la necessità di rendere edotto il committente dei suoi doveri in materia di sicurezza sul lavoro e delle conseguenti gravi responsabilità sia legali che morali che ne derivano. Questo onere oggi purtroppo ricade quasi esclusivamente sui tecnici, i quali, pur non essendovi tenuti, si fanno carico di questo compito per venire incontro alle esigenze dei propri clienti, ma non è raro che la disinformazione e conseguente sottovalutazione dei problemi da parte del committente sia causa di contrasti con i professionisti incaricati, siano essi coordinatori o direttori dei lavori. Quindi, dal punto di vista dei tecnici, interagire con un 69 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Il sistema per la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro committente consapevole, con il quale poter avere un confronto costruttivo ai fini di una corretta progettazione e pianificazione delle opere, non può che costituire un vantaggio. Esiste inoltre una vasta tipologia di opere per le quali non è necessario il supporto di alcun tecnico. In questi casi si può sperare di raggiungere un livello accettabile di prevenzione dei rischi solo affidandosi alla buona volontà di committente ed esecutori dei lavori, sempre che siano in possesso di una conoscenza almeno di base delle norme relative alla sicurezza sul lavoro. Quanto detto evidenzia l’assoluta necessità di evitare di lasciare l’informazione dei committenti solo alla buona volontà dei tecnici professionisti o al caso. La guida per il committente Si dovrebbe dunque informare il committente. La guida che viene illustrata in queste pagine e che tratta esclusivamente dei cantieri mobili di lavori privati, si propone di offrire un contributo alla risoluzione di questo problema. La guida, pensata non solo per la “signora Maria” ma anche per il “professor Giuseppe”, che non si sono mai occupati di edilizia, può essere un valido aiuto anche per 70 il tecnico che si trovi nella necessità di dare informazioni al proprio committente. La pubblicazione è organizzata in cinque capitoli. Il primo introduce in forma estremamente semplificata i concetti e la terminologia specifici della sicurezza e si conclude invitando a seguire il percorso della sicurezza, oggetto del secondo capitolo, che guida il committente passo dopo passo nell’individuazione ed esecuzione di tutte le azioni e gli atti richiesti dalla normativa vigente. Il terzo capitolo oltre ad approfondire alcuni dei concetti precedentemente trattati, fornisce un riepilogo delle sanzioni previste nel caso di mancato rispetto delle norme. Gli ultimi due capitoli propongono alcune schede di aiuto per l’esecuzione dei vari adempimenti e uno stralcio delle norme del Testo Unico sulla sicurezza di maggiore interesse per il committente. Un committente informato Scopo della guida è quello di informare il committente ma nello stesso tempo di renderlo consapevole dei propri limiti, in modo da fargli capire che, nel caso non fosse in possesso delle conoscenze necessarie, non dovrebbe prescindere dalla nomina di un responsabile dei lavori tecnicamente competente quale è il Geometra. 71 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 In questa sequenza sono mostrate le pagine del primo capitolo della guida, dedicato ai concetti di base Una opportunità professionale Considerando le complesse competenze multidisciplinari oggi necessarie nell’edilizia, questo ruolo potrebbe anche svilupparsi e articolarsi per offrire un servizio più completo. Con una specifica delega del committente e all’interno di un programma di spesa concordato, il tecnico potrebbe operare da un lato come responsabile dei lavori ai fini della sicurezza, dall’altro come project manager che gestisce 72 scadenze, budget, approva materiali e impianti, verifica e predispone le necessarie documentazioni. Tutto ciò sarebbe senz’altro un servizio importante per il committente ma non dovrebbe costituire un nuovo onere, in quanto i compensi per questa attività potrebbero essere recuperati dai minori costi per progettista e direttore dei lavori, ai quali questo committente tecnicamente competente faciliterebbe notevolmente il lavoro. Una riflessione per il futuro Osando con la fantasia si potrebbe anche pensare ad una ulteriore estensione delle attribuzioni di questa figura professionale, che assumendosi responsabilità di certificatore, potrebbe fare da tramite tra i cittadini e le amministrazioni pubbliche, garantendo gli uni e gli altri sulla corretta applicazione della mole di norme che gravano sull’edilizia. Utopia? Forse. Ma questa figura professionale da affiancare al progettista e al direttore dei lavori, non sarebbe poi così difficile da realizzare e, opportunamente normata, potrebbe snellire la burocrazia e risolvere tanti problemi. In questo momento di discussione sulle professioni è necessario guardare al futuro sforzandosi di superare gli schemi noti ed esplorando nuove possibilità. Giovanni Piga Nato nel 1954 a Lanusei, in Ogliastra, storica regione della Sardegna, consegue il diploma di Geometra a Sassari nel 1973. Lavora per alcuni anni presso imprese edili. Nel 1981 s’iscrive all’allora denominato Albo dei Geometri della Provincia di Nuoro e inizia la libera professione occupandosi, anche in collaborazione con altri Studi, di rilievi topografici, lottizzazioni di zone di espansione, progettazione e direzione lavori di edifici di vario genere e importanza. Dal 1996, con una struttura societaria, si occupa di comunicazione per aziende ed enti, didattica museale e archigrafia. 73 MISURE Il monitoraggio dei vulcani attivi di Danilo Reitano, Susanna Falsaperla - INGV OE Catania Giuliana D’Addezio – INGV Roma L’Italia è un territorio ad alto rischio sismico e vulcanico. La sua particolare posizione nel complesso sistema geodinamico del Mediterraneo, ha dato origine a sistemi di faglie attive responsabili di terremoti anche di magnitudo elevata e di vulcani tra i più attivi al mondo. In particolare, apparati vulcanici potenzialmente in grado di produrre eventi eruttivi con pesanti ricadute sociali sono presenti nell’area campana, con il Vesuvio e i Campi Flegrei, e nell’area siciliana con l’Etna, le isole Eolie e Pantelleria. La differente composizione dei magmi di questi apparati è responsabile dei diversi stili eruttivi, prevalentemente esplosivi o eff usivi. Condizioni di attività persistente con continuo degassamento e frequenti esplosioni stromboliane e/o fontane di lava sono caratteristiche di vulcani come l’Etna (Figura 1) e lo Stromboli. La condizione di “quiescenza” determina, invece, lunghi periodi di riposo durante i quali si rilevano principalmente attività idrotermali e fumaroliche come 74 quelle attualmente osservate al Vesuvio, Campi Flegrei, Vulcano e Pantelleria. Sebbene possa essere intuitivo il pericolo del risveglio di un vulcano a lungo quiescente e caratterizzato da attività di tipo esplosivo, non vanno tuttavia sottovalutati i gravi problemi derivanti anche da fenomeni eruttivi apparentemente “minori” come le emissioni di cenere. Ad esempio, in anni recenti le fontane di lava che hanno interessato la zona craterica etnea – ben lontana dai centri abitati pedemontani – hanno indotto la ripetuta chiusura dell’aeroporto di Catania per l’abbondante emissione di cenere, arrecando gravi disagi nonché perdite finanziarie ingenti a causa della cancellazione dei voli. In questa situazione di potenziale emergenza e vulnerabilità riveste particolare importanza la presenza sul territorio di un sistema di ricerca, monitoraggio e sorveglianza che oltre allo studio e alla ricerca scientifica sia in grado di fornire informazioni e interpretazioni su fenomeni eruttivi di rilievo per la collettività. photo©Alfio Amantia Figura 1. L’Etna come appariva nel corso dell’eruzione del novembre 2002. In primo piano è visibile l'osservatorio di Pizzi Deneri a quota 2.950 m sul livello del mare L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) Nasce nel 1999 con l’obiettivo di raccogliere in un unico polo le principali realtà scientifiche nazionali nei settori della geofisica e della vulcanologia. Oltre alla sede centrale di Roma, l’Ente si articola in sezioni che operano in varie città italiane: Milano, Bologna, Pisa, Napoli, Catania e Palermo. È attualmente la più grande istituzione europea nel campo della geofisica e vulcanologia e coopera con numerose università ed altre istituzioni di ricerca nazionali e internazionali. La missione principale dell’INGV è il monitoraggio e lo studio dei fenomeni geofisici nelle due componenti fluida e solida del nostro pianeta. All’INGV è inoltre affidata la sorveglianza sismica del territorio nazionale e delle zone di vulcanismo attivo, attraverso reti strumentali tecnologicamente avanzate. I segnali acquisiti sono trasmessi in tempo reale alle tre sale operative di Roma, Napoli e Catania, dove personale specializzato, presente 24 ore su 24, elabora i dati per ottenere i parametri principali degli eventi in atto. Al verificarsi di un evento importante o potenzialmente risentito dalla popolazione, entro pochi minuti viene informata la Protezione Civile. Il monitoraggio Rappresenta il punto di convergenza delle attività di ricerca multidisciplinari e costituisce il presupposto conoscitivo fondamentale per la definizione delle attività di sorveglianza più efficaci e mirate. In particolare, monitorare un vulcano attivo significa individuare e misurare fenomeni che possono essere indotti direttamente o indirettamente dal movimento di magma in profondità e che quindi possono rappresentare dei precursori di un evento eruttivo. Allo stesso modo, nel caso di condizioni eruttive conclamate, il rilevamento delle variazioni di parametri chiave è fondamentale per una interpretazione scientifica quanto più possibile corretta e completa, in grado di fornire informazioni utili alle autorità competenti sulle possibili evoluzioni del fenomeno. L’attività di monitoraggio di aree a rischio vulcanico viene effettuata attraverso alcuni percorsi, che si possono così sintetizzare: • l’individuazione delle aree oggetto di studio; • la realizzazione di una rete di sensori – meglio se di varia tipologia – per un approccio multidisciplinare; • la posa in opera di un sistema di alimentazione/ trasmissione dei dati di tipo continuo o temporaneo per l’uso di stazioni mobili; • l’invio dei parametri acquisiti ad un centro di raccolta nel quale personale specializzato esegue opportune analisi, valuta il superamento di soglie prestabilite, attiva comunicazioni/allarmi quando necessario. L’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania dell’INGV ha il compito di svolgere attività di monitoraggio e sorveglianza dei principali vulcani attivi siciliani, ovvero l’Etna, le isole Eolie con il vulcano Stromboli, e Pantelleria. Il territorio siciliano oggetto di studio è suddiviso in aree ben definite dove sono state installate varie tipologie di stazioni di misura. A titolo di esempio, una tipica installazione di una stazione multidisciplinare per misure in continuo prevede, una volta individuato un sito adeguato, la realizzazione di un sistema di alimentazione elettrica, generalmente attuato attraverso pannelli solari e batterie, il posizionamento sul terreno di uno o più sensori, un sistema in grado di raccogliere opportunamente il segnale prodotto ed un apparato di trasmissione dati. La rete presente sul vulcano più alto d’Europa – l’Etna – è formata da circa 150 stazioni, suddivise per tipologia come riportato in Figura 2. Nel dettaglio sono presenti: • sensori sismici (49) e accelerometrici (4) utili al monitoraggio dei terremoti; • le reti che studiano le deformazioni lente del suolo (36 sensori GPS, 11 clinometri, 4 estensimetri), ovvero le variazioni areali dovute ad intrusione/ risalita di magma; • le reti geochimiche per l’analisi dei gas vulcanici (9); • la rete di telecamere (l’occhio attivo sui vulcani) in grado di acquisire sia nel visibile che nell’infrarosso termico per un totale di 7 sensori; • la rete infrasonica (con 11 sensori) che effettua il monitoraggio delle esplosioni a bassa frequenza tipiche delle aree vulcaniche. Questo complesso sistema di sensori richiede una manutenzione affidata a personale esperto in grado di operare sul campo nel corso di tutto l’anno, anche in difficili condizioni di lavoro in quota durante i mesi invernali (l’Etna è alto 3.350 metri sul livello del mare e le stazioni sommitali vicine alle zone crateriche attive raggiungono quota 3.000 metri) o durante le emergenze, quando l’attività sul campo in aree con flussi di lava a temperature di oltre 1.000 °C è possibile solo grazie a speciali attrezzature. I dati raccolti dalle reti di monitoraggio sono trasmessi in tempo reale attraverso le più avanzate tecnologie di comunicazione dati: reti cablate a banda larga, reti WiFi, vettori satellitari e radio comunicazioni (Figura 3). La Sala Operativa dell’INGV-Osservatorio Etneo 75 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Figura 2. Mappa dell’Etna con la disposizione della rete multiparametrica Figura 3. Catena di trasmissione dei dati in tempo reale 76 photo©Alfio Amantia rappresenta il centro di monitoraggio e controllo dei segnali provenienti dalle stazioni remote: essa è da considerarsi un sistema ad alte prestazioni che garantisce il funzionamento H24 per 365 giorni l’anno (Figura 4). Una volta ricevuti i segnali, questi vengono acquisiti, elaborati, immagazzinati ed immediatamente visualizzati presso la Sala Operativa e resi disponibili agli utenti. Due unità di personale operano sempre nelle 24 ore, in turni di 8 ore ciascuno. Il personale turnista, così costituito, è coadiuvato da varie unità di personale esperto, disponibile in condizione di reperibilità. Per le sue caratteristiche, la Sala Operativa è da considerarsi un sistema ad alta affidabilità (nata per applicazioni mission critical), ovvero deve possedere requisiti di robustezza, indipendenza elettrica, ridondanza dei suoi componenti etc. Ma la sua funzione principale si esplicita durante i contesti di emergenza, dove essa diviene un vero e proprio Centro di gestione delle emergenze con il compito di assicurare il corretto flusso delle informazioni, attraverso comunicazioni scientificamente validate, agli organi di Protezione Civile, alle Prefetture ed alla collettività. Un sistema così articolato può essere garantito solo da un numero elevato di unità di personale, di alta specializzazione e di differente estrazione: geologi, fisici, chimici, ingegneri, informatici, tecnici, amministrativi, tutti concorrono al corretto funzionamento di attività molto articolate come quelle affidate all’INGV. In particolare, durante le emergenze, a seguito di significative variazioni dei parametri monitorati e superate opportune soglie, in Sala Operativa scattano degli allarmi (visivi/acustici) dovuti ai sistemi esperti presenti che sono di supporto ai turnisti ed indicano una possibile variazione dello stato di uno dei vulcani monitorati. Fatte le opportune verifiche, di concerto con l’esperto reperibile (in questo caso un vulcanologo) i turnisti attivano le procedure di comunicazione agli Enti preposti attraverso aggiornamenti continui sull’evoluzione del fenomeno, seguono le fasi di interesse, si interfacciano con le autorità competenti per la elaborazione di analisi di dettaglio utili alla migliore descrizione delle fenomenologie in atto. Figura 4. La Sala Operativa dell’INGV-Osservatorio Etneo 77 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 L’attività divulgativa dell’INGV: l’esempio del Festival della Scienza di Genova Oltre alle attività di ricerca e monitoraggio, l’INGV ogni anno organizza attività divulgative e informative per portare la scienza fuori dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori. La cronaca degli ultimi anni testimonia come in Italia si verifichino frequentemente terremoti a volte distruttivi ed eruzioni vulcaniche che provocano allarme. È quindi particolarmente importante diffondere la conoscenza dei fenomeni geofisici che investono il Pianeta Terra e mostrare ai cittadini cosa viene fatto per studiare e monitorare terremoti e vulcani. Conoscere i fenomeni naturali che danno origine a questi eventi, apprendere il corretto comportamento da mantenere quando ci troviamo coinvolti e soprattutto sviluppare il concetto essenziale di prevenzione è un primo passo per arrivare ad una significativa riduzione dei danni prodotti da eventi naturali. Tutto questo viene fatto cercando di organizzare eventi e attività che possano incuriosire, interessare e coinvolgere il pubblico di tutte le età. Uno degli eventi divulgativi a cui l’INGV partecipa ogni anno è il Festival della Scienza di Genova dove quest’anno, nei 10 giorni di svolgimento, 2.000 bambini e ragazzi sono stati “scienziati” per un giorno con le attività organizzate nell’ambito del progetto “Che laboratorio vulcanico: le rocce dell’Etna raccontano” (Figura 5). Un’esperienza affascinante per capire i processi “nascosti” all’interno di un vulcano e per comprendere i rischi e gli effetti sull’ambiente associati a questo spettacolare fenomeno naturale. Le attività divulgative, come tutte le attività descritte, richiedono competenza e professionalità, oltre ad una grande passione. Molte di esse non potrebbero essere svolte senza il contributo del personale dell’Ente con contratto a tempo determinato. L’attuale situazione di grande incertezza e disagio ha ripercussioni in tutto l’Ente. Il nostro augurio è che a breve la situazione si risolva positivamente, permettendo a tutti di continuare a svolgere con serenità, professionalità e passione il proprio lavoro. Figura 5 – Festival della Scienza di Genova 2012, allestimento dell’INGV “Che laboratorio vulcanico: le rocce dell’Etna raccontano” 78 photo©Emanuela Bargelli ANNO IV FORMAZIONE Il cuneo Macchina onnipresente nella carpenteria lignea Semplice, potente utile e bello di Franco Laner Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura all’Università Iuav, da anni tiene un corso di “Tecnologia delle costruzioni di legno”. Credo che ognuno di noi quando scrive di cose tecniche pensi di aver qualcosa da dire perché ha studiato, capito ed anche – spero! – perché ha fatto. Altrimenti perché scrivere? Ma ogni volta che si scrive, ovvero si cerca di mettere ordine intorno ad un argomento, qualche cosa di nuovo vien fuori, assolutamente insospettato all’inizio! Occupandomi del cuneo, mai avrei pensato di dedicare alcune righe all’alfabeto cuneiforme, adottato dai Sumeri a partire dal 4.000 a. C. Il cuneo che avevo ed ho in mente è la macchina semplice (1). Chiedendomi però perché i cunei della scrittura abbiano tutti la punta verso destra, oppure verso il basso, ho pensato al gesto di impugnare lo stilo o lo scalpello. In entrambi i casi, immaginando che allora come ora pochi sono i mancini, è inevitabile che nell’incidere il cuneo si inizi con la punta per poi affondare ed allargare la forma. Il gesto è possibile solo andando verso sinistra o dall’alto verso il basso. Perciò si legge da destra verso sinistra! La logica sottesa è quella indotta dal gesto tecnico e non quello della logica mentale! Forse qualcuno ha già fatto questa osservazione. 1. P : R = t : l Quanto più piccolo è t (o quanto maggiore è l), tanto il potere di P sarà grande! 79 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Ma a me poco importa, perché ci sono arrivato da solo e nella piccola, presunta scoperta, sta spesso la soddisfazione del lavoro di scrivere che altrimenti sarebbe troppo duro e privo di gratificazione (2 e 3)! 2. Scrittura cuneiforme 3. L’archetipo della scrittura da destra verso sinistra potrebbe dipendere dal gesto tecnico: con la destra si impugna il martello e con la sinistra lo stilo o lo scalpello. Il cuneo ha inizio dalla punta e quindi è logico proseguire da destra verso sinistra. Il disegno è di Romano Burelli. Quale onore! Ma anche a ciò serve l’amicizia! 80 Provo a cambiare registro e tornare alla macchina cuneo! Vi è mai successo che un semplice foglio di carta vi abbia leggermente tagliato un dito? Come può un così debole materiale, la carta, tagliare? Ecco dunque la forza della forma: il cuneo! Il cuneo penetra, allarga, si fa posto anche quando sembra impossibile! La punta della radichetta entra nella pietra e la spacca, la prua della nave fende l’acqua, ma anche lo strato di ghiaccio! L’arco a sesto acuto del gotico è un cuneo che sembra voler penetrare il cielo. La lama del pugnale squarcia la carne e spacca il cuore. Il vomere dell’aratro dissoda la terra e la prepara al seme. Ancor prima di definire il cuneo come macchina semplice e definirne le caratteristiche mi viene da parlare della sua forza evocativa, prima che meccanica. Mi sembra che poche cose, come appunto il cuneo, siano in grado di tener così bene insieme due opposti, come l’utile ed il bello, la razionalità e l’evocazione, la forza e l’astuzia, necessità e grazia, o se vogliamo, ingegneria ed architettura. Ora cambio registro davvero! Il cuneo è un prisma che ha per sezione un triangolo isoscele. Più allungato è, meglio è. Se diciamo t la base del triangolo, l il suo lato obliquo, P ed R rispettivamente la potenza applicata su t e la resistenza offerta dal materiale in cui si vuole far penetrare il cuneo, la condizione di equilibrio (prescindendo dagli attriti) è: P:R=t:l La penetrazione del cuneo richiede dunque una potenza tanto minore, quanto più grande è l (oppure quanto più piccolo è t). La lama del coltello rappresenta un ottimo esempio! Il cuneo è senza dubbio fra i primissimi utensili dell’uomo: è presente negli oggetti di percussione, di taglio, nelle asce di pietra, nei raschietti, nella punta delle frecce e delle lance. Soprattutto è un utensile atto a sollevare, smuovere, schiacciare e bloccare. È così diffuso e connaturato in ogni civiltà che le sue applicazioni si affinano, si complicano e diventano base per nuove sinergie ed invenzioni. Spesso se ne perde la forma primitiva e semplice. Ad esempio nell’incastro a coda di rondine i cunei sono quattro ma bisogna fermarsi un attimo per riconoscerli (4). 4. Incastro a coda di rondine. Pochi riconoscono in questo incastro l’azione di quattro cunei! 81 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 La semplice forma del torchio giapponese (5a), serrato grazie ai cunei contrapposti fa capire quanta potenza possa essere – con semplicità – messa a servizio di strumenti utili per il quotidiano. La tecnica se ne è servita a piene mani ed in quella delle costruzioni gli esempi sono innumerevoli, sorprendenti, magnifici. Tra le tante applicazioni del cuneo ho privilegiato negli esempi quelle che inducono stati di coazione. Più che la descrizione sull’utilità valga l’eloquenza dell’immagine e la soddisfazione che il lettore ne trae capendo l’intelligenza sottesa. Accanto alla figura del torchio, ho schizzato l’impiego del cuneo per aumentare l’attrito fra il tenone e la mortasa ed unire saldamente le parti, o per non far uscire il martello dal manico. Il cuneo è stato usato per fendere la pietra. In questo caso non si usa solo la potenza, ma anche, se il cuneo è di legno, viene sfruttata la proprietà del legno di dilatarsi trasversalmente qualora lo si bagni (5b e 5c). 5a, 5b, 5c. Eloquenti impieghi del cuneo. Oltre al cuneo, per spaccare la roccia, viene impiegata la bagnatura del legno che ingrossandosi spinge ed aumenta l’azione del cuneo L’impiego del cuneo nella carpenteria lignea è sempre presente. Nei sistemi di giunzione a dardo di Giove, il cuneo è impiegato per serrare le due travi da unire, ma soprattutto, infilato nell’apposita sede centrale, spinge le due facce contrapposte dove i carpentieri, con la sega, le rifilano (6). Ed in opera, due cunei contrapposti metteranno in coazione la giunzione a dardo di Giove! Questa unione è storicamente presente presso molte popolazioni sia nella carpenteria navale, sia in quella civile. È una tecnica di giunzione che potrebbe diventare di nuova attualità con l’impiego di macchine a controllo numerico. 6. Unione a dardo di Giove; 6bis. Trave composta con biette contrapposte ed in coazione per impedire lo scorrimento longitudinale 82 Anche nel “ciavariol”, apparecchio usato per interrompere l’appoggio di una trave al muro, ad esempio se c’è una canna fumaria, funziona grazie ai doppi cunei contrapposti e con grande semplicità, senza ricorrere a costose, brutte e pericolose scarpe metalliche (7). 7. Il “ciavariol” è una delle tecnologie più semplici ed efficaci di collegamento di elementi lignei nel piano Ogni volta infatti che legno ed acciaio vengono a contatto, a causa delle inevitabili condense provocate dall’acciaio, iniziano sul legno attacchi biotici. L’impiego del cuneo per mettere in tensione catene e tiranti di acciaio ha nel dardo di Giove il suo archetipo (8). 8. Giunzione per tirantature metalliche. Si capisce che l’archetipo è il ligneo dardo di Giove 83 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Nelle illustrazioni dei libri di carpenteria lignea il cuneo è onnipresente, e così negli utensili del carpentiere. Ad esempio nella pialla, dalla lama, al fermo, al regolatore di taglio. La figura 9, tratta da “L’architettura pratica” di Giuseppe Valadier, fa vedere un doppio uso del cuneo, sia per stringere –precomprimere – le tavole, sia per mettere in perfetta bolla i listelli del pavimento. 9. Da Valadier. Nella tavola che illustra la posa di un pavimento si può vedere un doppio uso del cuneo: per mettere in bolla e per precomprimere lateralmente l’assito In modeste e semplici applicazioni il cuneo è presente. (10) In altre occasioni ho attirato l’attenzione sullo straordinario impiego di cunei per bloccare il monaco con la catena (11) o per legare muri contrapposti (12). 10. Impiego del cuneo per serrare una condotta idrica 11. Intelligente unione del monaco con la catena. Nella grande tradizione della carpenteria lignea la capriata era concepita “chiusa”, non cioè col monaco staccato dalla catena come teorizzato nell’ottocento, che ha schematizzato la capriata come arco a tre cerniere 84 12. Impiego di cunei lignei per legare muri contrapposti Infine mi piace riportare l’impiego di due macchine semplici, leva e cuneo. Come si deduce dai bassorilievi sia assiri, sia egiziani, il doppio cuneo che si viene a formare fra lo sguincio della slitta e la punta della leva ha non ha l’effetto di sollevare, bensì di smuovere e far avanzare la slitta con l’ingente peso (13). 13. L’arcano che permette di smuovere ingenti pesi. L’alleanza in questo caso è fra la leva ed il cuneo e per capire il meccanismo si immagini l’azione della leva la cui punta è sagomata a cuneo, che scivola sul cuneo contrapposto dato dallo sguincio della slitta 85 | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Pochissimi studiosi avevano capito che non di sola leva si trattasse, ma di una mirabile combinazione, spiegata dal compianto amico Raffaelle Santillo. La potenza del cuneo e della leva non si sommano, bensì si moltiplicano con il risultato di vincere l’attrito di primo impatto. Se non si capiscono i principi di base della meccanica classica, si rischia spesso di gridare al miracolo o di interrogarsi invano di fronte ad indecifrabili arcana. Uno dei maggiori impieghi del cuneo, tutti sanno, è nella realizzazione di archi, volte e cupole. Ogni concio è un cuneo che esplica la sua azione grazie alla gravità. Nelle figure 14, 15 e 16 ho riportato tre applicazioni proposte per stupire gli “sprovveduti”. Villard de Honnecourt propone un doppio arco senza il ritto centrale, mentre l’architrave del portale del Duomo di Prato ci stupisce con l’alternanza di cunei rovesci o paralleli. Ultimo l’inganno di Giulio Romano. Ogni volta sembrano negate le leggi di natura, come quella di gravità, ma il protagonista è il cuneo che mantiene il suo tecnema, anche se il morfema sembra negarlo! Non dimentichiamo che la parola macchina, dal greco machanà, significa appunto inganno, astuzia! Riappropriamoci dunque di questa macchina! 14. Vuoi – chiede Villard de Honnecourt – costruire un doppio arco appoggiato su due colonne, anziché su tre? La spiegazione del disegno non ha bisogno d’altro! 15. Conci contrapposti dei portali del Duomo di Prato. La spiegazione me l’ha fornitail compianto Salvatore Di Pasquale 86 per il duomo di Prato: photo©wikipedia.org/I, Sailko ANNO IV Ho iniziato questo articolo sul cuneo con la notazione dell’alfabeto cuneiforme. Voglio chiuderlo con una osservazione ad una favola di Esopo. Mi riferisco a “I boscaioli ed il pino”. Racconta Esopo che alcuni boscaioli stavano spaccando un pino, appena tagliato e lo facevano senza difficoltà grazie ai cunei ricavati dallo stesso albero. E il pino esclamò: “Non me la prendo tanto con la scure che mi ha abbattuto, quanto con questi cunei che sono della mia stessa sostanza!”. È ben vero che i maltrattamenti degli estranei non sono così dolorosi come quelli inferti dai famigliari, ma voglio assicurare il pino: “Non è la tua materia che ti fende, ma la forma, la macchina cuneo, ovvero l’inganno degli uomini!”. Esopo scrive nel VI secolo prima di Cristo: come sei attuale, caro CUNEO! 16. L’ultima figura non è solo un omaggio al genio inventivo di Giulio Romano. Nel visitare la Mostra “La forza del bello” allestita a Palazzo Te a Mantova (2008) l’occhio si è fermato sul concio del triglifo che sembra cadere! Siamo sulla stessa linea degli espedienti costruttivi proposti da Villard de Honnecourt o del Duomo di Pisa, che dimostra il totale controllo del cuneo nell’arco. Altre volte ho visitato Palazzo Te, ma non mi ero mai accorto di questo particolare. Allora, scrivere sul cuneo, è perlomeno servito a me! 87 IMPIANTI Esempio di scelta e dimensionamento componenti: cantiere edile La categoria dei Geometri è sovente chiamata a ricoprire il ruolo di Direttore dei Lavori, soprattutto nell’ambito degli interventi afferenti alla tematica dell’edilizia privata. Nella sua veste di Direttore dei Lavori il Geometra deve quindi sovrintendere, prima ancora dell’inizio del processo produttivo, alle operazioni di installazione del cantiere edile messe in atto da parte della Ditta appaltatrice dell’intervento. Stante il regime delle responsabilità in capo alla figura del Direttore dei Lavori, diventa estremamente importante per il Geometra conoscere le indicazioni contenute nella normativa e far applicare le disposizioni tecniche della buona “regola d’arte”, anche nel settore impiantistico. La corretta esecuzione dell’impianto elettrico è un prerequisito fondamentale per ridurre fortemente il rischio di incidenti “elettrici”, in un ambiente così severo (acqua, pioggia, polveri, ecc.) come quello del cantiere edile. Nella sfortunata ipotesi di un incidente elettrico in cantiere, dimostrare all’Autorità Giudiziaria di aver vigilato e correttamente fatto applicare le disposizioni recate dalle leggi e dalle normative tecniche, è fondamentale per evitare incriminazioni per “colpa grave” o “scarsa diligenza professionale”. In forza delle precedenti considerazioni illustro un esempio di impianto elettrico, installato a servizio di un cantiere edile di piccole dimensioni per la ristrutturazione di una villetta. La tipologia è quella di un cantiere installato in un’area di lato 30 metri per 30 metri sul cui suolo insiste una villa di due piani da ristrutturare completamente. 88 30 13 13 di Mauro Cappello Ingegnere e Ispettore Verificatore del Ministero dello Sviluppo Economico GEOCENTRO/magazine pubblica la lezione del ciclo dedicato al tema degli impianti elettrici per illustrarne la normativa, la componentistica, le metodologie di dimensionamento, le regole basilari d’installazione ed infine le verifiche da eseguire prima della messa in esercizio. 30 Quinta lezione Qg Ig FORNITURA DI CANTIERE Figura 1 - Cantiere edile La principale normativa tecnica di riferimento è costituita dalla serie delle seguenti norme CEI: • CEI 64‐8: impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 V in c.a. e 1500 V a c.c. • CEI 64‐17: guida all’esecuzione degli impianti elettrici nei cantieri • CEI EN 60529: gradi di protezione degli involucri • CEI 81‐1: protezione delle strutture dai fulmini • CEI 81.3: valori medi dei fulmini a terra in Italia • CEI 81‐4: valutazione del rischio dovuto al fulmine Il dimensionamento dell’impianto prevede: • analisi della potenza; • scelta e dimensionamento dell’interruttore generale; • scelta dei cavi e relativo dimensionamento; • dimensionamento quadri elettrici. Analisi della potenza elettrica Il cantiere che viene ipotizzato nell’esempio è da considerare di piccole dimensioni, infatti per le esigenze di una ristrutturazione edilizia le macchine elettriche che si decide di utilizzare sono: P = 1.800 [W] • 1 betoniera • 1 sega circolare P = 1.100 [W] P = 1.600 [W] • 1 montacarichi • riserva di potenza per apparecchi mobili P = 1.300 [W] Nella predisposizione dell’impianto elettrico del cantiere si deve sempre pensare ad una riserva di potenza elettrica necessaria per garantire l’alimentazione degli apparecchi portatili quali: trapani, seghetti alternativi, avvitatori, ecc. Nell’esempio in argomento si impone una riserva di potenza elettrica pari a 1,5 [kW]. La potenza installata ammonta a: Pinst = 1.800 + 1.100 + 1.600 + 1.300 = 5.800 [W] = 5,8 [kW]. Il valore della potenza installata è tale da richiedere certamente una fornitura di energia elettrica monofase, sufficiente per le necessità di potenza riscontrate, tuttavia il tecnico dovrà decidere quale taglia richiedere al Ente elettrico, scegliendo tra le possibilità offerte. Nella Tabella 1 sono richiamate le taglie di energia (monofase) fornite: Potenza elettrica (Pel) Potenza massima Corrente nominale (Pmax=Pel*1,1) (I=Pmax /Vcosφ) 1,5 1,65 8,0 3,0 3,30 16,0 4,5 5,00 24,0 6,0 6,60 32,00 10 11,00 53,00 Si rammenta che l’Ente rende sempre disponibile una “riserva” del 10% sul valore nominale quindi i valori di potenza effettivamente disponibili all’utente sono stati calcolati nella seconda colonna, mentre nella terza colonna è indicato il valore della corrente nominale che ne deriva. Si potrebbe procedere con l’applicazione dei coefficienti di contemporaneità alle apparecchiature ipotizzate, tuttavia stante l’esiguo valore di potenza installata, al fine di evitare periodici fuori servizio dell’impianto per scatti dell’interruttore limitatore o dover costringere le maestranze alla “turnazione” di certe lavorazioni, si decide di procedere alla richiesta di una fornitura monofase di potenza pari a 6,0 [kW]. Nella lettera di richiesta fornitura si esplicita anche la richiesta di informazioni in merito alla corrente di corto circuito da considerare ai fini della scelta dell’interruttore generale. Schema di impianto Lo schema di impianto prevede ovviamente a monte (immediatamente a valle del gruppo di misura installato dall’Ente) un interruttore generale a protezione della linea elettrica, scelto in modo da avere una corrente nominale maggiore della corrente nominale della linea. Un quadro generale (QG) situato all’esterno della palazzina e collegato all’interruttore tramite una linea (L1) lunga 12 metri (Figura 2). Dal quadro generale si diramano quattro linee di cui una (L2) che alimenta un quadro prese collocato al 1° piano, una che alimenta un quadro prese collocato nel locale seminterrato (L3), una che alimenta direttamente il montacarichi elettrico (L4) ed infine una linea (L5) dedicata all’alimentazione della betoniera di cantiere. La massima caduta di tensione percentuale ammessa è del 4%. Tabella 1 – Taglie di potenza elettrica monofase fornite dall’Ente elettrico Figura 2 - Schema a blocchi dell’impianto di cantiere 89 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Scelta componenti e relativo dimensionamento Scelta interruttore generale Data la corrente d’impiego pari a 32 Ampere per una potenza contrattuale di 6 [kW] e considerato che le taglie commerciali degli interruttori sono le seguenti: 6 [A] -10 [A] - 16 [A] - 20 [A] - 25 [A] - 32 [A]- 40 [A] ne consegue che nel caso sarà necessario selezionare un interruttore avente corrente nominale pari a 40 [A]. L’interruttore sarà del tipo a 2 poli protetti (2P) ed avrà un potere di interruzione pari a 6.000 [A] ovvero 6,0 [kA] Per garantire la selettività rispetto ad altri interruttori differenziali posti a valle, ovvero preservare l’impianto dal fuori servizio totale per effetto di un guasto di isolamento su un utilizzatore, che porti all’intervento del differenziale generale, si prevede un modulo differenziale di tipo S (selettivo) la cui corrente differenziale nominale IΔn sia almeno 3 volte quella dell’interruttore a valle. Quindi, se per il dispositivo a valle la corrente differenziale nominale è IΔn = 0,03 [A], per il modulo a monte (a servizio dell’interruttore generale) si dovrà pensare almeno ad: IΔn = 0,03 * 3 = 0,09 [A] la scelta deve quindi essere fatta nel campo degli interruttori differenziali denominati a bassa sensibilità, che sono quelli aventi IDn maggiore di 0,03A, anche essi hanno taglie standard che sono: 0,1A; 0,3A; 0,5A; 1A; 2A; 5A. Considerate le taglie standard, la decisione oscilla tra la taglia 0,1 [A] e 0,3 [A], ai fini di una maggior sicurezza nel coordinamento delle protezioni differenziali, si opta per un modulo differenziale avente IΔn = 0,3 [A]. Riassumendo, l’interruttore generale sarà un magnetotermico differenziale monofase avente le seguenti caratteristiche tecniche: • tensione nominale: 230 [V] 50 [Hz] • frequenza: • In:40 [A] • Icc:6,0 [kA] • Poli protetti: 2P • IΔn:0,3 [A] Scelta cavo linea L1 e dimensionamento della sezione Dimensionamento in funzione della portata del cavo (Iz) Per selezionare il cavo di alimentazione del quadro generale si fa riferimento alla sezione 5.2 della norma 64-17 e considerata una posa del cavo in modalità fissa, specificamente su fune, si decide di utilizzate il cavo bipolare N1VV-K. Considerato che la portata del cavo Iz > Ib deve essere maggiore della corrente di impiego della linea, che per la linea L1 è di 32 [A], nella Tabella 3 recante valori delle portate, si vede che con riferimento a cavi bipolari, tipo di posa B4, isolamento PVC, la sezione da scegliere è quella di 6 mm2 alla quale corrisponde, per le specifiche condizioni di posa, una portata Iz = 46 [A]. Tabella 3 – Valori della portata dei cavi multipolari relativamente alla sezione ed al tipo di posa in aria Rif. portata PORTATA (A) B1 B2 B3 B4 90 Posa Cavi in tubo incassato parete isolante Cavo in tubo in aria Cavi in aria libera distanziato da parete/ soffitto o su passerella Cavi in aria fissati a parete o a soffitto Isola- Condutmento tori attivi PVC EPR PVC EPR PVC EPR PVC EPR Sezione espressa in mm2 1,5 2,5 4 6 10 16 25 35 50 70 95 120 150 185 240 300 2 14 18,5 25 32 43 57 75 92 110 139 167 192 219 248 291 334 3 13 17,5 23 29 39 52 68 83 99 125 150 172 196 223 261 298 2 18,5 25 33 42 57 76 99 121 145 183 220 253 290 329 386 442 3 16,5 22 30 38 51 68 89 109 130 164 197 227 259 295 346 396 2 16,5 23 30 38 52 69 90 111 133 168 201 232 258 294 344 394 3 15 20 27 34 46 62 80 99 118 149 179 206 225 255 297 339 2 22 30 40 51 69 91 119 146 175 221 265 305 334 384 459 532 3 19,5 26 35 44 60 80 105 128 154 194 233 268 300 340 398 455 2 22 30 40 51 70 94 119 148 180 232 282 328 379 434 514 593 3 18,5 25 34 43 60 80 101 126 153 196 238 276 319 364 430 497 2 26 36 49 63 86 115 149 185 225 289 352 410 473 542 641 741 3 23 32 42 54 75 100 127 158 192 246 298 346 399 456 538 621 2 19,5 27 36 46 63 85 112 138 168 213 258 299 344 392 461 530 3 17,5 24 32 41 57 76 96 119 144 184 223 259 299 341 403 464 2 24 33 45 58 80 107 138 171 209 269 328 382 441 506 599 693 3 22 30 40 52 71 96 119 147 179 229 278 322 371 424 500 576 È quindi rispettata la condizione fondamentale che prevede un valore di corrente nominale dell’interruttore (In) maggiore della corrente di impiego (Ib) della linea e minore della portata del cavo scelto: I b < In < I z La condizione viene rappresentata graficamente nella Figura 3: Ib = 32 [A] In = 40 [A] Iz = [A] 46 Figura 3 - Dimensionamento dell’interruttore generale Verifica della caduta di tensione Per la verifica della caduta di tensione si adotterà la formula semplificata: ΔV = KLI/1000 dove: • K rappresenta un coefficiente che esprime la caduta di tensione in funzione della lunghezza della linea, espresso in [mV1/mA]; • • L è la lunghezza della linea espressa in [m]; I è la corrente di impiego della linea. Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione 6 mm2, le tabelle dei costruttori di cavi danno il valore di K= 7,21 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà: ΔV = KLI/1000 = 7,22*12*32/1000 = 2,77 [V] la caduta di tensione percentuale: ΔV% = (2,77/230)*100 = 1,2 % Ciò significa che dal quadro generale alle linee terminali dell’impianto di cantiere la caduta di tensione percentuale, massima ammessa sarà del 2,8%. Verifica dell’energia passante La linea è sempre protetta giacché la verifica grafica relativa alla curva dell’energia passante dell’interruttore e del cavo mette in luce che l’energia tollerata dal cavo è maggiore di quella che l’interruttore lascerebbe fluire durante l’apertura del circuito. Scelta cavo linea L2 e dimensionamento della sezione La linea L2 parte dal quadro generale (QG) e si dirama lungo un intero lato dell’edificio (l=13 m), raggiungendo la facciata opposta a quella del QG, quindi a metà prospetto (l=7 m) sale di circa 5 m per passare dalla finestra e raggiungere il quadro prese del 1° piano. La lunghezza della linea è L = 13 + 8 + 5 = 26 metri, essa è caratterizzata da una posa fissa a parete che consente di ridurre sensibilmente il rischio di danneggiamenti del cavo e di incidenti al personale impegnato. Si conferma la scelta del cavo N1VV-K idoneo per posa fissa. Dimensionamento in funzione della portata del cavo Iz Il quadro prese ospita 4 prese interbloccate di In = 16 [A] pertanto sarà necessario valutare un cavo con portata maggiore di tale valore. Tornando alla Tabella 3 si sceglie un cavo avente sezione 2,5 mm2 cui corrisponde una portata di 27 [A]2. Verifica della caduta di tensione Per la verifica della caduta di tensione si adotterà ancora una volta la formula semplificata: ΔV = KLI/1000 Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione 2,5 mm2, le tabelle dei costruttori di cavi danno il valore di K= 17,20 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà: ΔV = KLI/1000 = 17,20*26*16/1000 = 7,15 [V] la caduta di tensione percentuale: ΔV% = (2,77/230)*100 = 3,11 % La caduta di tensione percentuale è superiore al valore ammesso (2,8%) ne consegue che è necessario scegliere un cavo di sezione superiore e procedere nuovamente al calcolo con i nuovi valori. Si sceglie quindi un cavo di sezione 4 mm2 cui corrisponde un valore K = 10,70 [mV/mA]. La caduta di tensione sulla linea sarà: ΔV = KLI/1000 = 10,70*26*16/1000 = 4,45 [V] la caduta di tensione percentuale: ΔV% = (2,77/230)*100 = 1,93 %. Quindi la caduta di tensione totale, dal punto di consegna alle prese 1 piano, sarà: ΔV tot = ΔV L1 + ΔV L2 = 1,20 + 1,93 = 3,13 % inferiore al valore massimo previsto. 2 1 mV = millivolt - 1x10-3 Volt In corrispondenza della sezione 1,5 mm2 la portata era di 19,5 [A], essa sarebbe stata troppo vicina al valore della corrente di intervento 91 ANNO IV | n. 23 | SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Scelta cavo linea L3 e dimensionamento della sezione La linea L3 alimenta sempre un quadro corredato di 4 prese interbloccate con corrente nominale di 16 [A] (proprio come la linea L2) solamente che la sua lunghezza è di circa 11 metri. La posa è sempre del tipo a parete, lungo il prospetto della palazzina. Dimensionamento in funzione della portata del cavo Come per la linea L2 dalla tabella 3 si sceglie un cavo avente sezione 2,5 mm2 cui corrisponde una portata di 27 [A], ampiamente superiore al valore nominale delle protezioni del quadro. Verifica della caduta di tensione Applicando ancora una volta la formula semplificata: ΔV = KLI/1000 Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione 2,5 mm2, si ottiene il valore di K = 17,20 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà: ΔV = KLI/1000 = 17,20*11*16/1000 = 3,02 [V] la caduta di tensione percentuale: ΔV% = (3,02/230)*100 = 1,31 % Scelta cavo linea L4 e dimensionamento della sezione La linea L4 alimenta il montacarichi caratterizzato da una potenza elettrica di 1.600 [W], quindi la relativa corrente di impiego sarà: Ib = P/V cos(φ) = 1600/(220*0,9) = 1600/198 = 8,1 [A] Dimensionamento in funzione della portata del cavo Sfruttando ancora la facciata della palazzina si ipotizza una posa a parete pertanto si può ancora fare ricorso alla Tabella 3, da cui si ricava che è necessario utilizzare un cavo di sezione S = 2,5 mm2 cui compete un valore di portata pari a Iz = 27 [A] che ben si colloca rispetto al valore della corrente nominale della protezione da installare, ovvero 16 [A]. Verifica della caduta di tensione La linea che alimenta il montacarichi percorre tutto un lato dell’edificio quindi sale di un piano, per una lunghezza di circa 15 metri. Applicando ancora la nota formula semplificata: ΔV = KLI/1000 Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ) = 0,9, sezione 2,5 mm2, si ottiene il valore di K = 17,20 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà: ΔV = KLI/1000 = 17,20*15*16/1000 = 4,13 [V] la caduta di tensione percentuale: ΔV% = (3,02/230)*100 = 1,8 % 92 Impianto di terra Per fare le giuste considerazioni in merito all’impianto di terra è necessario conoscere la natura del terreno e le sue caratteristiche elettriche. La Tabella 2 elenca le principali tipologie di terreni con i rispettivi valori di resistenza elettrica. Nel caso dell’esempio, si è in presenza di un terreno di tipo “argilloso sabbioso” cui corrisponde un valore di resistenza elettrica che va da 25 a 105 [Ω*m]. Sapendo che la norma 64-8, per i cantieri prescrive un valore di tensione pari a 25 [V] in caso di guasto (per gli altri casi detto valore è pari a 50 [V]) e considerando che la corrente di dispersione del differenziale a monte dell'impianto è pari a IDn = 0,3 [A], ne consegue che il massimo valore ammesso per la resistenza di terra è pari a: RT = 25/IDn = 25/0,3 = 83,33 [Ω]. Per garantire la sicurezza dei lavoratori all'interno del cantiere è quindi necessario operare in modo tale da ridurre il valore della resistenza di terra RT. Per raggiungere l’obiettivo di una resistenza di terra inferiore al valore prescritto dalle norme è necessario pensare all’installazione di un picchetto di terra in metallo tramite infissione. La resistenza di un picchetto metallico è pari a: Rp = 4L r ln d 2pL Tabella 2 - Caratteristiche elettriche dei vari terreni Roccia/Materiale Resistività [Ω*m] Argille marne grasse 3 - 30 Argille marne magre 10 - 40 Argille sabbiose, silt 25 - 105 Sabbie con argille 50 - 300 Sabbia, ghiaia in falda 200 - 400 Sabbia, ghiaia asciutta 800 - 5000 Calcare, gesso 500 - 3500 Arenaria 300 - 3000 Granito 2000 - 10000 Gneiss 400 - 6000 Rifiuti domestici 12 - 30 Fanghi industriali 40 - 200 Plume contaminato 1 - 10 Olio esausto 150 - 700 che, se (d/L)>100, viene sommariamente approssimata con la relazione Rp = r L Per il cantiere in esame si prevede di operare l’infissione di un dispersore verticale (picchetto) avente diametro 3 cm e lunghezza 2 m pertanto applicando la formula semplificata si ottiene: RT = 105/2 = 52,5 [Ω] valore assolutamente adeguato alle esigenze di sicurezza del cantiere, salvo verifiche con misure strumentali. In caso negativo occorrerebbe pensare all'infissione di un secondo picchetto a distanza minima di 4 metri dal primo. Il picchetto deve infine essere collegato al nodo del quadro principale tramite conduttore di rame avente sezione pari a Sp = 16 mm2. Figura 4 - Schema unifilare dell’impianto di cantiere 93 NEWS EVENTI Made expo 2012, numeri in tenuta nonostante la crisi A MADE expo 2012 il mondo delle costruzioni ha dimostrato la sua capacità di reagire alla crisi e ha lanciato messaggi importanti alle istituzioni e al mercato. Le 231.729 presenze (-8,6%), di cui 31.235 estere rappresentano, secondo gli organizzatori, “un risultato concreto in uno scenario economico internazionale ancora in difficoltà” e con 1.532 espositori MADE expo si conferma l’evento privilegiato in cui convergono gli operatori italiani e internazionali di riferimento per il settore delle costruzioni e del progetto. Al centro della manifestazione, la riqualificazione edilizia e la messa in sicurezza del territorio, l’ecosostenibilità e la salvaguardia dell’ambiente, il risparmio energetico, le tecnologie innovative e i materiali performanti, tematiche queste ultime affrontate all’interno del progetto SMART VILLAGE con un panel di relatori di caratura mondiale. L’edizione 2012 dell’evento milanese (17-20 ottobre) è stata anche occasione per lanciare proposte concrete come la Carta di Identità degli Edifici – CIE che contenga tutte le informazioni utili per valutare la qualità e la sostenibilità dell’immobile di riferimento. CITTA’ INTELLIGENTI Bologna, Trento e Parma i centri urbani più smart d’Italia Ad affermarlo è uno studio realizzato da FORUM PA e presentato nell’ambito di “Smart City Exhibition”, manifestazione tenutasi in ottobre a Bologna che ha visto partecipare sindaci, ministri, amministratori e cittadini per definire un modello di smart city uguale per tutti destinato in primo luogo a migliorare la qualità della vita e a far ripartire l’economia. La studio, denominato “ICity rate”, ha coinvolto 103 capoluoghi di provincia, con l’obiettivo di individuare la città italiana più smart, più intelligente e più vicina 94 La prossima edizione di MADE expo, che si terrà dal 2 al 5 ottobre 2013, segnerà una svolta nella strategia espositiva che conferma la graduale trasformazione della manifestazione avviata già quest’anno. Tre saranno le linee di azione fondamentali: biennalità, specializzazione e internazionalità. Con questa riorganizzazione MADE expo, a partire dal 2013, avrà una cadenza biennale e si terrà negli anni dispari, con un’offerta merceologica suddivisa in sei saloni verticali e con lo sviluppo di progetti di relazione e incontri internazionali per favorire l’export e la penetrazione delle aziende del settore verso nuovi mercati. ai cittadini, stilando una classifica in base ad oltre cento indicatori, raggruppabili in sei macro aree destinate all’efficienza del sistema economico, all’ambiente, alla governance, alla mobilità, alla socialità ed ovviamente alla qualità della vita. Se ai primi posti della classifica si sono piazzate Bologna, Parma e Trento, seguite da Firenze, Milano, Ravenna, Genova, Reggio-Emilia, Venezia e Pisa, la prima città del Sud e Isole è Cagliari, posizionata solo al 43° posto, seguita da Lecce (54°) e Matera (58°). Fanalini di coda Caltanissetta, Crotone ed Enna. Un netto divario, fra Nord e Sud, quindi, che, come hanno rilevato gli autori dello studio, “in prospettiva si spera di ridurre anche grazie ai finanziamenti già assegnati con il primo bando del MIUR esclusivamente rivolto alle regioni dell’obiettivo convergenza”. AMBIENTE Pile: il 40% dell’energia finisce nel cestino Sprecati 900.000 kWh all’anno Secondo un rapporto della Duracell, nota azienda produttrice di pile, redatto con la collaborazione dell’European Recycling Platform (ERP), una volta su tre gli accumulatori alcalini vengano gettati con all’interno ancora il 40% dell’energia utilizzabile. Ogni anno, ha valutato la società, finiscono nei cestini circa 200 milioni di batterie per un totale di 900.000 kWh sprecati in 12 mesi, equivalenti alla quantità di energia necessaria per alimentare a pieno regime circa 300.000 abitazioni per un’ora. Dati che offrono una fotografia preoccupante di come gli italiani si rapportino all’energia, viene da pensare, per noncuranza e scarsa informazione. Sempre da Duracell (che si è attivata per offrire soluzioni che aiutano il consumatore a capire quando è realmente arrivato il momento di acquistare nuove pile) si rileva, infatti, che spesso quando i dispositivi smettono di funzionare, non sempre le pile al loro interno sono effettivamente esaurite. È comune, per esempio, che alcuni dispositivi ad alto consumo, tra cui la fotocamera digitale, a volte smetta di funzionare quando la pila ha ancora disponibile più del 60% della sua energia che potrebbe essere utilizzata per il funzionamento dei giocattoli per bambini o un telecomando. INNOVAZIONE “PLANTOID”, progetto europeo per la realizzazione di robot ispirati alle piante Progetto europeo coordinato dal Center for MicroBioRobotics (CMBR) dell’Istituto Italiano di Tecnologia, “PLANTOID” ha l’obiettivo di progettare e realizzare robot ispirati alle piante – detti appunto “Plantoid” – i quali, combinando una nuova generazione di tecnologie hardware e software, saranno capaci di imitare il comportamento delle radici. “La robotica ispirata alle piante è un campo del tutto innovativo” ha dichiarato Barbara Mazzolai, Responsabile scientifica del progetto e Coordinatrice del CMBR . “Il progetto si propone da una parte di condurre studi avanzati sul comportamento degli apici radicali, e di conseguenza delle loro caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche, e dall’altra di fornire modelli e primi prototipi di radici robotiche che li imitino, con un focus particolare sulla capacità penetrativa, esplorativa ed adattativa”. Ogni Plantoide sarà costituito da un apice radicale munito di sensori, attuatori e unità di controllo, e da un tronco robotico, collegati meccanicamente tra loro da una struttura allungata. L’obiettivo finale del progetto è di realizzare una rete di radici robotiche sensorizzate, che riproducano la capacità di esplorazione, di adattamento ambientale e di coordinazione tipica dei vegetali, e forniscano un modello di pianta artificiale equiparabile al mondo naturale anche in termini di efficienza energetica e di sostenibilità. 95 BOOKS “Conca d’oro” Nascita, vita e morte di un paesaggio Il libro di Giuseppe Barbera (edizioni Sellerio) è il racconto della vita della Conca d’oro di Palermo dalle sue origini. La storia di un paesaggio, completa da ogni punto di vista. Narra l’epopea del giardino di orti, frutta e alberi, coronato dai monti rosa-violetto e fermato dal mare, su cui sorse la città, coltivato dai millenni e cancellato in cinquant’anni dal cemento e dalla mafia. Ma va anche oltre il caso specifico, facendo della Piana un esempio memorabile, modello di comprensione sintetica delle leggi dell’interazione in cui consiste il paesaggio: dove questo è sì l’evoluzione della natura plasmata dall’uomo, ma cessa come evoluzione quando la natura è cancellata. La Conca d’oro – come si legge nella presentazione del libro – fu l’opera dei palermitani; “laboratorio perenne di diversità biologica”; archetipo, con le sue infinite combinazioni, di un modo di civilizzazione. Tanto da trasmettere la certezza che la sua agonia cementizia, sia l’agonia della civiltà cittadina. Come la biodiversità che racconta, Conca d’oro contiene tutta la sovrabbondanza possibile di naturalismo, geografia, mitologia, poesia e storia. È un’opera di scienza, ma anche delle memoria perché nella terra del Parco della Favorita vivono ancora i mandarini sradicati dal giardino “La storia del mondo in 100 oggetti” L’intuizione di MacGregor L’idea, stuzzicante, è quella di raccontare la storia della civiltà umana sulla Terra attraverso 100 oggetti. Una sfida raccolta brillantemente, con questo volume (edito in Italia da Adelphi), da Neil MacGregor, Direttore del British Museum, che ha “trasposto” su carta le cento puntate di una sua trasmissione radiofonica messa in onda dalla BBC. Il racconto si svolge in venti sezioni, composte da 5 capitoli ciascuna, che raccolgono testimonianze di epoche lontane 96 familiare, quando l’autore, appena adolescente, assistette al primo avanzare della distruzione. Giuseppe Barbera è professore di Colture Arboree nell’Università di Palermo. Oltre a numerose pubblicazioni scientifiche, è autore di diversi libri tra i quali, Ficodindia (con P. Inglese, 2002, Menzione speciale, Premio Grinzane Cavour, Giardini Hanbury) e Abbracciare gli alberi (2009). Per conto del FAI è stato responsabile scientifico del recupero della Kolymbetra (Parco della Valle dei Templi) e del giardino Donnafugata nell’isola di Pantelleria. e recenti. Dalla mummia di Hornedjtef alla lampada solare, passando per oggetti diversissimi, armi, strumenti, simboli, monete, opere d’arte che, attraverso un’attenta indagine storica attenta ai dettagli e alle modalità d’uso, consentono all’autore di risalire allo spirito del tempo in cui i vari manufatti hanno visto la luce. E di dare corpo ad una sorta di enciclopedia che si può leggere come un romanzo, o visitare come una un personalissimo museo portatile “da percorrere una stanza dopo l’altra, seguendo le connessioni che la nostra guida di volta in volta ci indica, oppure stabilendone di nostre, attraverso il tempo e lo spazio: finché le rifrazioni di questa stupefacente macchina ottica non ci costringeranno a vedere anche il presente con occhi diversi”. PER UNA NECESSARIA PIANIFICAZIONE DELLE SPESE POSTALI, IL NOSTRO BIMESTRALE, CHE IN PASSATO VENIVA INVIATO GRATUITAMENTE A TUTTI I GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI, POTRÀ ESSERE RITIRATO PRESSO GLI UFFICI DEI COLLEGI DI APPARTENENZA. TUTTI I NUMERI PUBBLICATI DI GEOCENTRO/magazine SONO CONSULTABILI ON-LINE SUI SITI: www.fondazionegeometri.it, www.cng.it, www.cassageometri.it ATTENZIONE! GRATUITAMENTE i Geometri che desiderano continuare a riceverlo presso il proprio indirizzo sono pregati di fotocopiare il modulo qui stampato, compilarlo in ogni sua parte e inviarlo via Fax al n° 06.42005441. MODULO RICHIESTA INVIO GRATUITO GEOCENTRO/magazine Nome Collegio di appartenenza N° Iscrizione Albo Città Via/Piazza Telefono Data Fax 06.42005441 Cognome Cap N° e-mail Firma 97 NEL PROSSIMO NUMERO PROGETTI Istituto Comprensivo “Raffaello” Quartiere Romanina Roma TERRITORIO Tre anni dopo il terremoto a L’Aquila IDEE Andrea Camilleri “Sullo stato di salute della lingua italiana” FOCUS Mercato immobiliare italiano: opportunità di investimento AMBIENTE Stati generali della “Green Economy” … e tanti altri interessanti articoli che illustrano lavori ed interventi dei Geometri liberi professionisti. 98