Forti e pazienti in tutto
Giornate di Formazione 2009
Penitenza, dominio di sé, silenzio, sono i temi che
considereremo, approfondendo la nostra spiritualità.
La pazienza sarà l’attitudine che vorremo sviluppare
considerando le dinamiche umane, coltivandone
l’efficacia per vivere relazioni adulte e responsabili, con
la perseveranza necessaria a chi deve misurarsi con
realtà complesse. La pazienza, infatti, ci aiuta a
rimanere presenti, nelle varie situazioni, con un
atteggiamento costruttivo, attivamente. Abbiamo la
speranza che il testo della Genesi possa aiutarci a
indagare le cause dei nostri comportamenti, per
educarci ad un bene maggiore, ricercato con maturità
autentica”.
Lettera annuale dei Responsabili di ramo
Giornate di Formazione 2009
Il Silenzioso Operaio della Croce, alla scuola di Maria,
impara a dire il suo sì con fede, con docilità,
in una fedeltà promessa, che attende di divenire
matura nel tempo, accogliendo la ricchezza dei doni
a lui riservati mediante la sua appartenenza
all’Associazione.
(Direttorio, Vita spirituale, Formazione della persona – n. 11)
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Non si nasce “capaci e meritevoli”;
non si nasce intelligenti, non si nasce motivati,
non si nasce pazienti
ma si diventa tali solo attraverso l’educazione.
Il suo compito è promuovere la formazione dell’uomo,
la piena formazione della personalità,
intesa come formazione integrale,
originale e massimale.
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Riflettere sulla pazienza
per noi significa desiderio di vivere la vita
con una disposizione di tenacia, perseveranza,
mansuetudine, tolleranza, plasmabilità, invece di
lasciarsi andare a comportamenti che denotano
impazienza, intransigenza, intolleranza, insofferenza.
Dal Progetto Formativo – Diventare benedizione
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Le virtù umane sono attitudini ferme,
disposizioni stabili, perfezioni abituali
dell'intelligenza e della volontà
che regolano i nostri atti,
ordinano le nostre passioni
e guidano la nostra condotta
secondo la ragione e la fede.
Esse procurano facilità, padronanza di sé
e gioia per condurre una vita moralmente buona.
L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene.
Dal Progetto Formativo – Diventare benedizione
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Tra la partenza e il traguardo
nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno
è silenziosamente costruire
e costruire è potere
e potere è sapere attendere la perfezione.
don Andrea Santoro
Giornate di Formazione 2009
Che cos’è la pazienza?
Bontà, calma, remissività, condiscendenza,
tolleranza, rassegnazione, sopportazione,
mansuetudine, benevolenza…
Una immagine per la pazienza?
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Che cos’è l’impazienza?
Insofferenza, intolleranza, nervosismo, irrequietezza,
agitazione, precipitazione, intransigenza…
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Che cosa non è:
Non è lassismo: né verso se stessi né verso gli altri.
In passato si puntava molto sulla disciplina, sul rispetto delle regole,
col rischio di scadere nel moralismo, nella convinzione che tutto dipende
dai nostri sforzi. Per reazione oggi, dando la giusta preminenza all’azione
della grazia, si tralascia a volte di sottolineare quanta disciplina richieda
l’accoglienza della grazia.
Così proprio noi, che pretendiamo di avere una fede disincantata,
scettica verso i fenomeni miracolosi, corriamo il rischio di credere che
la grazia di Dio agisca in modo magico in noi e negli altri.
La pazienza verso noi stessi e verso gli altri deve renderci capaci
di attendere i cambiamenti per tempi lunghissimi, e essere disposti
anche a non vederli mai, continuando però a definire con
determinazione e precisione ciò che ci compete ogni giorno.
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Che cosa è:
La virtù della pazienza educa a rispettare i tempi di
Dio. Ci educa a riconoscere Dio come il giusto, che
lavora nei tempi lunghi della storia.
Il regno di Dio non si realizza compiutamente sulla
terra: non dobbiamo quindi cadere
nella delusione e nell’irritazione.
È la virtù di chi non si lascia spaventare dalla fatica,
di chi non rinuncia a seminare anche quando le
situazioni sembrano complesse e improduttive. Ma
soprattutto è la virtù di chi semina ben sapendo che
i tempi lunghi della storia porteranno altri
a raccogliere i frutti della semina.
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“Siate pazienti fino alla venuta del Signore.
Guardate l’agricoltore: egli aspetta pazientemente
il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto
le piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate
pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché
la venuta del Signore è vicina” (Gc 5,7-8).
È la virtù di chi dispone
uno spazio accogliente per l’altro,
di chi si apre con generosità al perdono.
Pazienza significa avere perseveranza nell’offrire il
nostro contributo specifico al regno di Dio.
È proprio in questo che noi uomini siamo collaboratori,
interlocutori veri, dello Spirito Santo.
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Vi preghiamo, fratelli, vivete in pace tra voi.
Vi esortiamo, fratelli: correggete
gli indisciplinati, confortate i pusillanimi,
sostenete i deboli, siate pazienti con tutti.
Guardatevi dal rendere male per male
ad alcuno; ma cercate sempre il bene
tra voi e con tutti.
(1 Tess 5, 12-15)
Pazienza di Dio
Secondo l’espressione che l’Antico Testamento usa per
descrivere Dio, a partire dall’Esodo, egli è
paziente/magnanime = macróthymos,
mentre il genere umano oppone sempre resistenza:
Dio persevera affrontando continuamente
la resistenza dell’uomo.
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Paziente e misericordioso è il Signore,
lento all'ira e ricco di grazia
(Sal 144, 8)
Nel Nuovo Testamento,
attraverso l’Incarnazione di Cristo,
la perseveranza di Dio raggiunge
la resistenza dell’uomo
e la educa a opporre resistenza
non alla grazia ma alle avversità e al peccato.
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Così, la pazienza diventa il culmine della semina
della Parola di Dio nella storia dell’uomo e l’uomo
impara ad entrare nella magnanimità di Dio,
imparando da lui ad essere paziente
anche nelle situazioni apparentemente senza senso
e senza scopo:
l’attesa di Giobbe della rivelazione di Dio,
l’attesa dei servi e delle vergini nella notte.
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Noi ci vantiamo
anche nelle tribolazioni,
ben sapendo che la tribolazione
produce pazienza,
la pazienza una virtù provata
e la virtù provata la speranza
(Rm 5, 3-4)
Nella filosofia greca classica,
la pazienza non aveva grande valore.
Questo a causa del suo termine:
hupomonein = soprassedere, rimanere indietro,
in contrapposizione all’iniziativa aggressiva;
rimanere sotto alle cose e agli avvenimenti,
inteso come un continuo soggiacere,
in contrapposizione alla resistenza attiva.
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In questa linea si è mossa la tradizione cristiana.
Il mistero della pazienza sta
tra uno “scomparire” (hypó)
e un “permanere” (ménein):
il primo aspetto di questo scomparire e permanere
sta nell’atteggiamento del Padre del cielo
che sospende il giudizio tra “i buoni” e “i cattivi”;
il secondo aspetto ha il suo paradigma nel chicco di
grano che sembra scomparire e soccombere ma che poi
permane nel suo dare frutto in alta percentuale.
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Nello scomparire
e nel permanere in silenzioso giudizio
e in una silenziosa fecondità
c’è il luogo proprio della pazienza.
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Possiate comportarvi in maniera degna
del Signore, per piacergli in tutto,
portando frutto in ogni opera buona
e crescendo nella conoscenza di Dio;
rafforzandovi con ogni energia
secondo la potenza della sua gloria,
per poter essere forti e pazienti in tutto
(Col 1, 10-11)
Se la pazienza dei filosofi classici
(ad es. la kartería degli stoici = lo sviluppo del valore
come forza e capacità di resistere a prove durissime)
era una virtù ancora egocentrica e triste,
già nel primo pensiero cristiano era superato
l’appiattimento della pazienza sulla passività
e ne era presentata la paradossale unione
di passività ed attività.
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Tra i Padri della Chiesa è soprattutto
San Gregorio Magno ad occuparsi
della pazienza, parlandone come della
“virtù specifica dei tempi difficili”.
Consiste nel sopportare il male presente,
perché il Signore lo trasformi in bene per il futuro.
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Duplice è il movimento della volontà
che è all’opera nella pazienza.
In un primo movimento (volontà passiva)
il soggetto si ritrae,
per lasciare posto all’altro da sé;
in un secondo movimento (volontà attiva)
il soggetto permane nella acquisizione
che ha saputo raggiungere e la sviluppa
creativamente e fecondamente.
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L’attività e la pazienza
sono come i due poli estremi della nostra vitalità:
da una parte l’intraprendenza, la vivacità, la creatività;
dall’altra un’apparente passività esterna,
l’impossibilità di operare.
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La pratichiamo dunque in due forme
che comprendono infinite modalità.
Una è quella per cui perseveriamo nell’agire,
anche sottostando a difficoltà, in vista di un fine.
È caratterizzata dalla costanza ed è parte integrante
della fortezza, perché capace di ripensare finalità
e condizioni e quindi di riformulare l’azione
conforme a un discernimento.
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L’altra forma della pazienza è quella per cui
accogliamo una situazione che ci impedisce
di agire esternamente conforme a quello che vorremmo,
seguendo anche propositi nobili di generosità e di
servizio al Signore.
L’azione diventa allora tutta interiore:
di offerta e disponibilità, di preghiera e unione
col Padre che agisce,
di povertà e affidamento allo Spirito che ama
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Questo per costruire pazientemente
l’unità del dono di noi, raccogliendo e facendo
convergere tutte le potenzialità della vita:
cuore, sentimenti, capacità, tempo, rapporti.
intorno al progetto di salvezza in cui siamo impegnati.
Il primo compito è imparare la pazienza con se stessi:
la crescita spirituale si snoda lentamente
durante l’intera vita.
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Tu, uomo di Dio,
fuggi queste cose;
tendi alla giustizia,
alla pietà, alla fede,
alla carità, alla pazienza,
alla mitezza (1Tm 6, 9)
Il quotidiano
Il luogo e il tempo per esercitare questa pazienza
fiduciosa e sperimentarne gli effetti benefici
sono proprio le situazioni della nostra vita, in modo
particolare la quotidianità.
Pensiamo non solo a quando non vediamo realizzarsi
ciò che ci eravamo prefissi
ma anche a quando ci troviamo in mezzo
a situazioni non volute, per causa nostra o degli altri,
comunque sgradevoli che non riusciamo ad evitare.
Quelle di vivere standoci dentro, senza ribellarci
e senza lamentarci, perché comunque
in queste situazioni Dio c’è.
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Si richiede anche un alto grado di formazione
del senso sociale: saper convivere con gli altri
come essi riescono ad essere,
accettare quello che ci possono dare,
accoglierli malgrado gli urti di carattere,
frenando l’irascibilità,
riconciliarsi quotidianamente
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Parlare nella propria lingua è facile:
ognuno può aggiungere rumore, confusione, spreco.
Esercitare la virtù della pazienza è difficile:
occorre essere formati alle difficoltà della vita e
accettare che questa non è mai facile.
Per mezzo della pazienza,
ogni difficoltà affrontata con lealtà e umiltà
non lascia intorno a sé morte e distruzione ma
speranza e avvenire.
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Tutte le volte che l’ansia per qualcosa
che non si realizza
o l’amarezza per qualcosa
che non si è realizzato
prendono il posto
dell’attesa paziente e fiduciosa
nel nostro cuore,
è come se consegnassimo a Dio una dichiarazione
di sfiducia e in ultima analisi una rinuncia a vivere.
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Si trova invece nella pazienza il segreto della calma
nelle estreme contrarietà,
nelle continue trasformazioni della vita.
Si prende allora parte alla vita
come diákonoi di Dio, cioè come
servitori alla liturgia della pazienza di Dio
(in senso liturgico)
e come servitori che corrono nella polvere
e sono coperti di polvere
(in senso greco).
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Per questo la pazienza appare
come la maturità vera e propria dell’amore,
nella capacità serena di accogliere
i contrasti profondi della vita, delle situazioni,
delle persone, vivendole come le doglie del parto,
nell’attesa di una piena rivelazione
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La regola di san Benedetto considera la pazienza
come la maturità a cui perviene
il servizio di una persona consacrata:
quando si abbraccia la vita e si persevera
senza fiacchezza o cedimenti proprio nell’obbedienza
delle cose ardue e avverse.
È la pazienza intesa come un farsi silenziosi
nel servizio effettivo.
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Il frutto dello Spirito
è amore, gioia, pace,
pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza,
dominio di sé.
Contro queste cose
non c'è legge
(Gal 5, 20-23).
Fattori contrastanti
Oggi è cambiata la nostra percezione del tempo:
la fretta non si chiama più "fretta", ma "velocità", "tempo reale".
L'inganno della velocità è un tipico inganno telematico.
Da questo punto di vista un paradigma tipico del mondo
dell’economia (“il tempo è denaro”),
si è spostato a livello delle nostre abitudini.
Quando noi scriviamo una e-mail o un sms ci aspettiamo
che l'altro ci risponda un minuto dopo.
Non ammettiamo che non ci sia, che non abbia voglia
di rispondere, che non voglia leggere con più attenzione quello che
abbiamo scritto. Se non risponde magari gli telefoniamo dicendo:
"Ma hai avuto l'e-mail?"
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Fattori contrastanti
Lo scorrere del tempo ci appare sempre di più come qualcosa
che non riusciamo a dominare, gli impegni sembrano toglierci
il respiro.
Non a caso, la psichiatria fenomenologica descrive la depressione
come un’esperienza di vita in cui uno sembra di non avere più
tempo, di avere il tempo contato, fino a che, sentendosi braccati
si incorre in un autentico stallo esistenziale.
Questa descrizione si attaglia perfettamente alla vita quotidiana
di decine di milioni di persone che non si considerano affatto
depresse. Questo perché l’emergenza, lo stato d’assedio
è divenuto quotidianità.
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Fattori contrastanti
Al contrario, la dilazione temporale dell’esercizio
della volontà buona è il modo di essere della pazienza
quale longanimità.
La longanimità rientra fenomenologicamente nella pazienza
in quanto ha come proprio oggetto
la dilazione del bene sperato.
La dilazione, propria della pazienza, offre un supplemento
temporale che consente la riflessione.
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Perché cresca una spiga o sbocci un fiore
ci sono tempi che non si possono forzare;
per la nascita di una creatura umana
occorrono nove mesi;
per comporre un libro o una musica di valore
bisogna spesso impegnare anni in paziente ricerca.
Questa è anche la legge dello spirito.
“Tutto quello che è frenetico / presto sarà passato”.
(R. M. Rilke, I sonetti a Orfeo)
Per l’incontro col mistero occorrono pazienza,
purificazione interiore, silenzio, attesa.
Giovanni Paolo II - Mercoledì, 26 luglio 2000
In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio,
con purezza, sapienza, pazienza,
benevolenza, spirito di santità, amore sincero,
con parole di verità
(2Cor 6, 4-7)
Pazienza = patire
Nella sofferenza è come contenuta
una particolare chiamata alla virtù,
che l'uomo deve esercitare da parte sua.
Questa è la virtù della perseveranza
nel sopportare ciò che disturba e fa male.
L'uomo, così facendo, sprigiona la speranza,
che mantiene in lui la convinzione che la sofferenza
non prevarrà sopra di lui, non lo priverà della dignità propria
dell'uomo unita alla consapevolezza del senso della vita.
Salvifici Doloris n.23
Pazienza = patire
Se si guarda il termine latino, patientia da patire,
si evidenzia il significato di un silenzioso permanere
(moné) sotto (hipó) la sofferenza:
Dio si è assoggettato a questo silenzioso scomparire,
paragonandosi al chicco
di grano.
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Pazienza = patire
La sofferenza è una crescita
e anche una maturazione.
L’uomo che cresce oltre se stesso, matura,
diventa più ricco in umanità
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Pazienza = patire
Nel portare a compimento il senso del dolore,
attuiamo ciò che di più umano c’è in noi.
Proprio quando siamo soli, senza aiuto
e senza speranza, in situazioni
che non possiamo mutare,
siamo interpellati in maniera specifica:
ci è chiesto di cambiare noi stessi
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Pazienza = patire
La sofferenza, così,
non è una passione da subire
ma un’azione da compiere,
una realtà da vivere attivamente
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Accetta quanto ti capita,
sii paziente
nelle vicende dolorose,
perché con il fuoco
si prova l'oro,
e gli uomini ben accetti
nel crogiuolo del dolore.
Affidati a lui
ed egli ti aiuterà;
segui la via diritta
e spera in lui.
(Sir 2, 4-6)
Pazienza
=
patire
Secondo Pulcini, oggi nella nostra società si è passati da un
tipo di uomo prometeico, mosso dai propri interessi, dal
desiderio di potere e ricchezza che però aveva ancora una
visione del futuro e un progetto di vita, all’uomo narcisista,
cioè senza passioni, un individuo privo di progettualità,
orientato al consumo e preoccupato solo del presente, con
tendenze onnipotenti e parassitarie, occupato solo ad
assorbire dal mondo tutto ciò che promette di soddisfare le
sue pretese. Privo di legami emotivi con gli altri, l’uomo
senza passioni è sempre in corsa, mosso da un desiderio
insaziabile che tenta di colmare senza riuscirvi perché
l’essenza del desiderio, al contrario della passione, è il vuoto.
L’unica passione che prova è quella del benessere, del
consumo, che lo porta a coltivare l’invidia per quello che gli
altri hanno e che anche lui ritiene di poter avere”.
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Possibili prospettive
Se soffriamo di una certa incapacità di attendere, di mettere
un tempo fra l’insorgere del desiderio e il suo appagamento,
corriamo il rischio di cedere ai bisogni immediati, anche di
basso profilo, piuttosto che puntare su quelli più nobili, che
però andrebbero approfonditi e “soddisfatti” con sforzo; il
rischio di non sopportare le difficoltà e non assumere
l’ascesi necessaria per raggiungere le mete; di non
apprezzare i beni perché sono stati ottenuti troppo facilmente,
senza pagare di persona; di non maturare per la vita che,
prima o poi, o forse sempre, ci mostra i suoi aspetti duri,
cioè la fragilità.
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Possibili prospettive
Bisogna comprendere la gerarchia delle cose
e degli avvenimenti, farsi un’idea dei passi
che richiede il cammino verso gli obiettivi,
avvicinare esperienze altrui,
rendersi conto delle energie da sviluppare.
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Possibili prospettive
Evitare di prendersi cura solo di sé.
Uno degli slogan più di moda al giorno d’oggi sarebbe
autonomo da tutto e da tutti, dove l’idea di autonomia
dell’individuo è strettamente connessa al saper dominare
gli altri nella relazione, nell’essere sempre occupati per
affermare se stessi.
Qui sta la fragilità, perché essere liberi non vuol dire essere
da soli nel mondo ma riporre la propria fiducia
in molte cose e persone.
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Possibili prospettive
Essere capaci di donare
L’uomo prometeico e il narcisista, hanno per la filosofa un rapporto
con l’altro insoddisfacente, basato sul proprio interesse, sul
desiderio di affermare se stessi a ogni costo.
La nuova via proposta è “l’uomo reciproco”, che basa la sua
essenza sulla capacità di “donare”, data dal fatto, spiega Pulcini,
che “ogni essere umano sin dalla sua nascita è inserito in relazioni
di reciprocità, è un dono per l’altro, in quanto è fragile e dipendente
dall’altro”. Una capacità di donare da intendersi “non come
altruismo caritatevole o sacrificale, ma come capacità di mettersi in
gioco, lasciarsi contaminare per avere relazioni non solo con ‘il
nostro prossimo’, ma con il mondo, gli sconosciuti, tutto ciò che
rende possibile e arricchisce la nostra vita.
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Possibili prospettive
L'Altro è solo nemico, rivale o può essere anche amico? Oppure
dobbiamo rassegnarci ad essere individui solitari senza passioni
né legami, assenti e inautentici? Occorre tempo per costruire
un'amicizia; ed occorrono luoghi (fisici e mentali) per farla vivere.
Ma oggi tempo e spazio sono stati annullati. L'amicizia ha ceduto
il passo a rapporti sociali di scambio, dove il "fare" prevale sulla
capacità e possibilità di "essere". Viviamo sempre più in un mondo
di "relazioni" continue e pervasive, ma puramente funzionali
(è "comunicazione-informazione", non "comunicazionecomprensione"). Sono cioè relazioni senza passioni.
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Possibili prospettive
Sapere risvegliare le proprie passioni.
In un’epoca di anestesia delle passioni, l’ultimo atto possibile
di un risveglio dei sentimenti è la cura.
La cura allora presuppone una persona che non ha
atteggiamenti di onnipotenza, ma consapevole della propria
finitezza umana, della propria vulnerabilità, dei propri limiti e
per questo è pronta a un diverso rapporto con gli altri e con
se stessa per cercare nuove possibilità, nuove aperture
feconde all’esistenza.
Giornate di Formazione 2009
Fuggi le passioni giovanili;
cerca la giustizia, la fede,
la carità, la pace, insieme a quelli
che invocano il Signore con cuore puro.
Evita inoltre le discussioni sciocche
e non educative,
sapendo che generano contese.
Un servo del Signore non deve essere litigioso,
ma mite con tutti, atto a insegnare,
paziente nelle offese subite, dolce nel
riprendere gli oppositori.
(2Tm 2, 22-25)
Possibili prospettive
Nei giorni della sua elezione al papato, nell'aprile 2005
Benedetto XVI ha parlato della pazienza di Dio: Quante volte
noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli
colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo
migliore ... Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno
abbiamo tutti bisogno della sua pazienza ... il mondo viene
salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è
redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli
uomini. La sapienza del cuore contempla anche la pazienza.
Il tempo non scorre invano.
Giornate di Formazione 2009
È una grazia per chi
conosce Dio subire
afflizioni, soffrendo
ingiustamente.
Se facendo il bene
sopporterete con
pazienza la sofferenza,
ciò sarà gradito davanti
a Dio.
A questo infatti siete
stati chiamati, poiché
anche Cristo
patì per voi, lasciandovi
un esempio, perché
ne seguiate le orme
(1Pt 2, 19-21)
Possibili prospettive
Nell’atto di assunzione consapevole della sofferenza,
da sub-fero, che significa star sotto, portare un peso
sulle spalle, si trasforma in offerta:
portare l’essere dove manca.
Giornate di Formazione 2009
Chi ha dato al dolore dell’uomo il suo carattere sovrumano è Cristo
paziente, il grande fratello d’ogni povero, d’ogni sofferente.
Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore; Cristo lancia una
vocazione al dolore. Questa voce è fra le più misteriose e le più
benefiche che abbiano attraversato il quadro della vita umana. Gesù
chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se
unito al suo, fonte positiva di bene, fonte delle più sublimi virtù, che
vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza. Il potere salvifico
della Passione del Signore può diventare universale, e immanente in
ogni nostra sofferenza, se accettata e sopportata in comunione con la
sua sofferenza. La «compassione» da passiva si fa attiva. Nel cristiano
si inizia un’arte strana e stupenda: quella di «saper soffrire», quella di
far servire il proprio dolore alla propria ed alla altrui redenzione.
Via crucis al Colosseo parole del Santo Padre Paolo VI
Venerdì Santo, 27 marzo 1964
Fin dal mattino
è l’azzurro il colore della pazienza.
L’azzurro della poesia
e il bianco preliminare dell’alba,
la notte oscura dell’anima
e gli uomini grigi,
il verde della germinazione e della crescita
e il rosso della protesta e del grido.
E uno speciale colore senza nullo colore:
la luce paziente della coscienza.
(I sette colori della pazienza, Vittorio Vettori)
Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore.
Cerca di amare le domande,
che sono simili a stanze chiuse a chiave
e a libri scritti in una lingua straniera.
Rainer Maria Rilke
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Giornate Formative 2009 - Opera Beato Luigi Novarese