Mod.1 - Il sistema dell'Energia:
fonti rinnovabili, efficienza
1.1 - Problematiche
connesse al consumo
energetico
1.1.3 Cambiamenti climatici
A cura di Gennaro Molino
Il surriscaldamento climatico
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Secondo quanto riportato dall'Intergovernmental Panel on
Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), la temperatura
superficiale globale del pianeta sarebbe aumentata di 0,74 ±
0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, fino al 2005.
L'IPCC ha inoltre concluso che «la maggior parte
dell'incremento osservato delle temperature medie globali a
partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da
attribuire all'incremento osservato delle concentrazioni di gas
serra antropogenici» attraverso un aumento dell'effetto serra.
Viceversa i fenomeni naturali come le fluttuazioni solari e
l'attività vulcanica hanno contribuito marginalmente al
riscaldamento nell'arco di tempo che intercorre tra il periodo
pre-industriale e il 1950 e hanno addirittura causato un lieve
effetto di raffreddamento nel periodo dal 1950 all'ultima decade
del XX secolo
Il surriscaldamento climatico
Il surriscaldamento climatico
Per il futuro, le proiezioni del modello climatico riassunte dall'IPCC
indicano che la temperatura media superficiale del pianeta si
dovrebbe innalzare probabilmente di circa 1,1 °C - 6,4 °C
durante il XXI secolo.
Questo intervallo di valori risulta dall'impiego di vari scenari sulle
emissioni future di gas serra, assieme a diversi valori di
sensibilità climatica.
Il riscaldamento e l'innalzamento del livello dei mari potrebbero
continuare per più di un migliaio di anni, anche se i livelli di gas
serra verranno stabilizzati di questo secolo.
L’effetto serra naturale
I gas serra
Nell'attuale fase di riscaldamento del pianeta si sta assistendo ad
una variazione significativa di un importante fattore che
influenza la temperatura terrestre, ovvero la concentrazione
atmosferica di anidride carbonica o biossido di carbonio (CO2),
uno dei gas serra.
Tale incremento di circa 2 ppm all'anno (in due secoli il valore della
concentrazione è passato da 280 ppm a 380 ppm, il valore più
alto da 650.000 anni a questa parte) non ha eguali nella storia
recente del pianeta ed è ritenuto legato all'uso di combustibili
fossili che durante il periodo carbonifero (tra 345 e 280 milioni
di anni fa) sono stati "fissati" nel sottosuolo ad opera della
vegetazione e degli animali, passando dalla forma gassosa di
CO2 a quella solida o liquida di petrolio, carbone o gas naturale
I gas serra
Negli ultimi 150-200 anni, a partire dalla rivoluzione industriale, la
combustione dei giacimenti fossili ha invertito il processo
avvenuto durante il periodo carbonifero, re-immettendo
nell'atmosfera questo carbonio sepolto da milioni di anni sotto
forma di enormi quantità di anidride carbonica (circa 27 miliardi
di tonnellate all'anno).
Inoltre, secondo le stime, il pianeta riuscirebbe oggi a riassorbire,
mediante la fotosintesi clorofilliana e l'azione delle alghe degli
oceani, meno della metà delle emissioni, anche a causa della
deforestazione.
L'attività umana ha infatti ridotto la biomassa vegetale in grado di
assorbire la CO2 fin dalla rivoluzione agricola neolitica,
trasformando i boschi in campi o città.
I gas serra
Variazione della
temperatura globale
(in rosso) e
dell'anidride carbonica
presente
nell'atmosfera (in blu)
negli ultimi 1000 anni.
La causalità non è da
tutti ritenuta provata,
ma si notano delle
somiglianze fra le due
curve, soprattutto
nell'ultimo secolo.
I gas serra
I gas serra
I gas serra
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Va sottolineato che l'effetto serra è un fenomeno naturale e necessario
per permettere alla superficie terrestre di avere temperature adatte alla
vita, in particolare quella umana; ad esempio la decomposizione di
piante ed animali morti o la normale attività geotermica dei vulcani
emettono enormi quantità di gas serra, ma in questi casi si tratta di
emissioni costanti o in lentissima evoluzione (dell'ordine di migliaia o
milioni di anni) e per questo non ritenute problematiche.
Anche in concomitanza di grandi eruzioni catastrofiche si sono
determinate evidenti mutazioni del clima a livello globale (di solito però
abbassando le temperature a causa delle eccezionali quantità di
polveri emesse in atmosfera, come nel caso delle eruzioni dei vulcani
Pinatubo o Krakatoa).
Tuttavia questo genere di fenomeni, in epoche storiche, sono stati
riassorbiti e non hanno comportato mutamenti permanenti del clima. A
parte dunque tale effetto serra naturale, il problema è l'eccesso di
riscaldamento dovuto ad un più marcato effetto serra, e dunque il
conseguente surriscaldamento.
Il surriscaldamento degli oceani
L'incremento della CO2 dovuto alle fonti fossili è ulteriormente amplificato
dal surriscaldamento degli oceani.
Le acque marine contengono disciolta una grande quantità di CO2 ed il
riscaldamento dei mari ne causa l'emissione in atmosfera.
Inoltre, il riscaldamento dovuto all'aumento della temperatura produce una
maggior evaporazione dei mari liberando in atmosfera ulteriori quantità
di vapore acqueo, il principale gas serra, accrescendo ulteriormente la
temperatura globale ed aumentando quantità e violenza di piogge ed
uragani, tropicalizzando il clima.
Inoltre, la diminuzione del livello di salinità degli oceani, dovuta sia allo
scioglimento dei ghiacciai che all'aumento delle precipitazioni,
potrebbe interrompere, rallentare o comunque alterare le grandi
correnti transoceaniche, con disastrose conseguenze sul clima e
sull'agricoltura in Europa e con impatti su tutti i mari e sulle
temperature in tutto il mondo.
Lo scioglimento delle banchise polari
Nel 2005, il British Antartic Survey ha rilevato che l'87 per cento
dei ghiacciai della penisola antartica si sono ritirati negli ultimi
cinquant'anni e negli ultimi cinque anni i ghiacciai hanno perso
in media 50 metri all'anno. L'intera banchisa antartica contiene
acqua a sufficienza per innalzare il livello dei mari di 62 metri.
Anche se il terzo rapporto dell'IPCC considera assai
improbabile questo scenario, nuove ricerche indicano uno
sgretolamento massiccio della banchisa.
Anche i ghiacci del Polo Nord. che contengono più del 6 per cento
dell'acqua potabile del mondo, si stanno sciogliendo ad un
ritmo molto più elevato di quanto non si pensasse. Lo
scioglimento dell'intera Groenlandia determinerebbe un
innalzamento dei mari di 6 metri, ma anche un incremento di un
solo metro significherebbe l'inondazione di New York,
Amsterdam, Venezia e di tutto il Bangladesh.
Innalzamento del livello del mare
Nei prossimi cento anni si prevede un aumento del livello medio
del mare compreso tra i 9 e gli 88 centimetri, a causa delle
immissioni in atmosfera di gas serra.
Questo innalzamento dipenderà sia dal progressivo scioglimento
dei ghiacciai, sia dalla naturale espansione degli oceani, dovuta
al fatto che l'acqua aumenta di volume quando aumenta di
temperatura.
Per quanto possa sembrare modesto, anche un innalzamento di
pochi centimetri provocherebbe il caos: inondazioni nelle zone
costiere, contaminazione delle falde acquifere potabili, aumento
del grado di salinità degli estuari sono solo alcuni degli elementi
di questo scenario allarmante.
Molte delle città sulla costa avrebbero problemi. Risorse
strategiche per le popolazioni costiere, come le spiagge,
l'acqua potabile, la pesca, la barriera corallina e gli atolli
sarebbero a rischio.
Il protocollo di Kyoto
Il protocollo di Kyoto è un trattato
internazionale in materia
ambientale riguardante il
riscaldamento globale,
sottoscritto l’11 dicembre 1997
da più di 160 Paesi, in
occasione della Conferenza
della Convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici (UNFCCC).
Il trattato è entrato in vigore il 16
febbraio 2005, dopo la ratifica
anche da parte della Russia.
Il protocollo di Kyoto
Il trattato prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di
operare una riduzione delle emissioni dei seguenti elementi
inquinanti:
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–
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anidride carbonica (CO2),
metano (CH4)
protossido di azoto (N2O)
idrofluorocarburi (HFC)
perfluorocarburi (PFC)
esafluoruro di zolfo (SF6)
in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate
nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 20082012.
Il protocollo di Kyoto
La ratifica dell’accordo, in realtà, non è stato così
semplice. Perché il trattato potesse entrare in vigore
si richiedeva infatti che fosse ratificato da non meno
di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo
avessero ratificato producessero almeno il 55%
delle emissioni inquinanti; quest’ultima condizione
è stata raggiunta solo nel novembre del 2004,
quando anche la Russia ha perfezionato la sua
adesione.
Il protocollo di Kyoto
L’atmosfera contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2,
mentre il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai
paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo. Il
numero di megatonnellate dovrebbe scendere a 5.850 su un
totale di 3 milioni.
Ad oggi 174 Paesi e un’organizzazione di integrazione economica
regionale (EEC) hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le
procedure per la ratifica. Questi paesi contribuiscono per il
61,6% alle emissioni globali di gas serra.
I Paesi in via di sviluppo, al fine di non ostacolare la loro crescita
economica frapponendovi oneri per essi particolarmente
gravosi, non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni.
L’ Australia, che aveva firmato ma non ratificato il protocollo, lo ha
ratificato il 2 dicembre 2007.
Il protocollo di Kyoto
Perché questi numeri possano essere raggiunti, il
Protocollo sancisce che i Paesi aderenti possano
utilizzare alcuni “meccanismi flessibili” che
servono per acquisire crediti per le emissioni.
In sostanza se un Paese compie alcune azioni utili a
ridurre l’impatto ambientale e l’emissione di CO2,
acquisisce alcuni crediti che gli permette di
immettere in atmosfera più CO2 rispetto al parametro
di Kyoto.
Sono quindi meccanismi compensatori, per i quali
esiste anche un mercato stile borsa.
Il protocollo di Kyoto
1) Clean Development Mechanism (CDM): consente ai
Paesi industrializzati e ad economia in transizione di
realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo, che
producano benefici ambientali in termini di riduzione
delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico
e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo
generino crediti di emissione (CER) per i Paesi che
promuovono gli interventi.
Il protocollo di Kyoto
2) Joint Implementation (JI): consente ai Paesi
industrializzati e ad economia in transizione
di realizzare progetti per la riduzione delle
emissioni di gas-serra in un altro paese dello
stesso gruppo e di utilizzare i crediti
derivanti, congiuntamente con il Paese
ospite.
Il protocollo di Kyoto
3) Emissions Trading (ET): consente lo scambio di
crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad
economia in transizione; un Paese che abbia
conseguito una diminuzione delle proprie emissioni
di gas serra superiore al proprio obiettivo può così
cedere (ricorrendo all’ET) tali “crediti” a un paese
che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i
propri impegni di riduzione delle emissioni di gasserra.
Il protocollo di Kyoto
Gli Stati Uniti d’America non hanno ratificato il Protocollo anche se
sono i responsabili del 36,2% del totale delle emissioni. In
principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo
durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush,
poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l’
adesione inizialmente sottoscritta.
Altri due Paesi tenuti sotto controllo sono l’India e la Cina, che
hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le
emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente
accordo, nonostante la loro popolazione relativamente grande
ed i loro elevati ritmi di crescita industriale.
Il rapporto Stern
Il rapporto (fine 2006) dell'economista inglese Nicholas Stern, ex
capo economista della Banca Mondiale, su incarico del
governo britannico, valuta gli impatti economici dei mutamenti
climatici.
Stern mostra come i costi dei cambiamenti climatici possano
andare dal 5 al 20% del prodotto mondiale lordo.
Al rapporto Stern è anche allegata una tabella con le possibili
conseguenze pratiche che ogni grado di aumento medio della
temperatura potrà portare al Pianeta.
La forbice di incremento prevista dagli scienziati per il 2100 oscilla
tra i 2 e 4,5 gradi Celsius, con la possibilità più attendibile
fissata a quota 3 gradi.
Il rapporto Stern
+ 1 grado
 Con un solo grado di aumento (possibilità che ormai i
ricercatori ritengono molto remota a causa del ritardo con cui si
è corsi ai ripari) lo scioglimento dei ghiacciai porterà serie
minacce agli approvvigionamenti idrici di circa 50 milioni di
persone.
 Il ritorno massiccio della malaria e di altre malattie legate al
riscaldamento globale, associate alla malnutrizione,
provocheranno circa 300 mila decessi ogni anno.
 Una cifra solo in parte compensata da un calo della mortalità
dovuta al gelo nelle località più fredde.
 A soffrire molto sarà poi l'ecosistema marino, con circa l'80%
della barriera corallina uccisa dal riscaldamento.
 Unica nota positiva, il previsto aumento dei raccolti agricoli
nelle aree temperate.
Il rapporto Stern
+ 2 gradi
 La situazione in questo caso (che i pessimisti ritengono anch'essa
un'obiettivo di "stabilizzazione" ormai fuori portata) inizia a farsi più
pesante.
 I raccolti nell'Africa tropicale diminuiscono del 5-10 per cento.
 Un'ulteriore popolazione compresa tra i 40 e i 60 milioni di persone
sarà esposta in Africa al rischio di malaria.
 Fino a dieci milioni di persone saranno vittime dell'innalzamento del
livello del mare.
 Grave anche l'impatto sugli ecosistemi, con una stima che fissa tra il
15 e il 40 per cento la quantità di specie a rischio di estinzione.
 Tra gli animali più minacciati, quelli artici come l'orso polare.
 Inoltre, con una temperatura media di +2, il manto ghiacciato della
Groenlandia potrebbe iniziare a sciogliersi in maniera irreversibile,
avviando un aumento del livello del mare di ben 7 metri.
Il rapporto Stern
+ 3 gradi
 Questo è ritenuto lo scenario di incremento più attendibile,
sempre che la comunità internazionale inizi ad intraprendere le
necessarie misure di contrasto.
 La prospettiva è comunque drammatica: l'Europa meridionale
andrebbe incontro a pesanti siccità con un ciclicità di circa 10
anni; la scarsità d'acqua colpirebbe una cifra compresa tra 1 e
4 miliardi di persone ai quali andrebbero aggiunte 150-550
milioni di persone a rischio di fame e 1-3 milioni di vittime della
malnutrizione.
 Alcuni modelli predicono poi l'inizio del collasso della foresta
Amazzonica, il rischio di collasso della banchisa polare
occidentale, l'"impazzimento" delle correnti calde che
attraversano l'oceano Atlantico e bruschi cambiamenti nei cicli
monsonici.
Il rapporto Stern
+ 4 gradi
 La situazione si farebbe ancor più drammatica. I raccolti agricoli in
Africa crollerebbero di un 15-35 per cento.
 Alle cifre fornite nei casi precedenti andrebbero aggiunti altri 80 milioni
di persone esposte ai rischi di malaria, perdita di circa metà della
tundra artica.
+ 5 gradi
 E' un quadro catastrofico con la possibile scomparsa dei ghiacciai
himalayani e il conseguente scarsità di acqua per circa un quarto della
popolazione cinese e una buona fetta di indiani.
 L'ulteriore aumento nell'acidità degli oceani potrebbe stravolgere gli
ecosistemi marini, compresa la disponibiltà di pesce.
 L'innalzamento del mare raggiungerebbe un livello tale da minacciare
molte isole minori e vaste area costiere, comprese quelle della Florida
e grandi città come New york, Londra e Tokyo.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Dopo il rapporto Stern l’Unione Europea nel 2007 ha
commissionato uno studio analogo, limitato ai paesi europei. Il
risultato è che anche con un aumento della temperatura media
globale compreso fra 2,2 e 3°C, quindi nient’affatto catastrofico,
i costi dei cambiamenti climatici potrebbero giungere a livelli
insopportabili per l’economia europea.
Questi costi potrebbero, invece essere sopportabili e non bloccare
lo sviluppo solo qualora l’aumento della temperatura media
globale fosse inferiore a 2°C: i paesi membri della UE
potrebbero affrontarli e gestibili a costi accettabili con idonee
strategie di adattamento.
Oltre questo limite, a parte il rischio di conseguenze imprevedibili e
di possibili catastrofi, le economie nazionali non sarebbero più
in grado di correre ai ripari ed i danni sarebbero irreparabili.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Il rapporto UE prende in considerazione due scenari climatici
“medi” (contrassegnati con le sigle A2 e B2 del terzo rapporto
IPCC) che hanno la più alta probabilità che possano
effettivamente verificarsi in futuro. In particolare:
–
–
con lo scenario B2 la temperatura media globale crescerà al 2070
di 2,2 °C (e tendenzialmente 3°C al 2100),
mentre con lo scenario A2 l’aumento sarà di 3°C (e
tendenzialmente attorno ai 3,5°C al 2100).
Gli impatti considerati non sono tutti ma quelli principali
riguardanti: l’agricoltura, la salute umana, il turismo, le alluvioni
ed inondazioni e le aree marino costiere.
Le ipotesi prese in considerazione e che sono alla base di questi
due scenari sono: lo sviluppo demografico, lo sviluppo
economico, l’uso delle risorse energetiche, l’uso delle risorse
naturali, l’innovazione tecnologica e l’uso di nuove tecnologie.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Conseguenze sull’agricoltura.
Nonostante gli scenari presi in considerazione siano quelli medi, e
non quelli massimi più pessimistici e catastrofici, a causa del
riscaldamento climatico e della maggiore disponibilità di acqua
la produttività agricola potrebbe crescere fino al 70% in più nel
nord Europa, ma, viceversa, a causa dell’eccesso di caldo e
della minore disponibilità d’acqua potrebbe diminuire del 22%
in area mediterranea.
Siccome l’agricoltura pesa mediamente attorno al 15% del
prodotto nazionale lordo, i danni per i paesi dell’area
mediterranea sarebbero ingenti.
Viceversa altrettanto ingenti sarebbero i benefici per i paesi del
nord Europa.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Conseguenze sanitarie
Le ondate di caldo potrebbero aumentare i decessi
delle persone più a rischio (anziani e bambini) di 36
mila persone in più l’anno,con aumento di
temperatura media di 3 °C (scenario A2) di 18 mila
persone in più l’anno, con aumento di temperatura di
2,2 °C (scenario B2). Questo si ripercuote sui relativi
servizi sanitari nazionali ed in particolare su quelli
dei paesi del sud Europa dove le ondate di calore
sarebbero più rilevanti, come ha mostrato l’esempio
dell’estate 2003.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Conseguenze sulle economie marittime e fluviali
Complessivamente per le coste europee i danni per erosione e
inondazione costiera a causa dell’innalzamento del livello del
mare potrebbero andare da 9 a oltre 42 miliardi di euro per
anno che, però, si potrebbero ridurre a valori compresi fra 2 e
11 miliardi di euro per anno se si procedesse già da subito a
ridurne la vulnerabilità.
Per quanto riguarda le alluvioni, i danni maggiori li subirebbero i
paesi attraversati da grandi fiumi o da fiumi meno dotati di
difese adeguate contro le inondazioni. Per le piene dei fiumi i
costi potrebbero essere molto salati anche in termini di perdita
di vite umane, di beni e di abitazioni. I danni maggiori
potrebbero venire dal Danubio e dalla Mosa ed interessare
quindi più direttamente i paesi del centro Europa.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Conseguenze sul turismo
Per quanto riguarda il turismo le regioni mediterranee
diventerebbero del tutto inospitali sia per mancanza
d’acqua che per eccessivo calore, mentre
diventerebbero molto più appetibili le aree del nord
Europa.
In pratica, agli impatti negativi e le perdite economiche
dell’industria turistica dei paesi del sud Europa e del
Mediterraneo si tradurrebbero in impatti positivi e
crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi del
nord Europa.
Il rapporto UE sull’impatto dei
cambiamenti climatici in Europa
Raccomandazioni del rapporto UE:
 Per contenere il riscaldamento globale entro un limite massimo di 2°C
è necessario fissare come limite massimo delle concentrazioni
atmosferiche di anidride carbonica a 550 ppm (parti per milione in
volume), un valore questo che è circa doppio di quello che c’era due
secoli fa e che è circa il 45% superiore a quello attuale (380 ppm).
 Per stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a
550 ppm è necessario procedere ad una riduzione delle emissioni di
gas serra fino a circa il 60% rispetto al 1990, da attuarsi entro e non
oltre il 2050.
 Come tappa intermedia si potrebbe fissare tra il 2020 ed il 2030, data
per la quale la riduzione dovrebbe essere intermedia e cioè attorno al
30%.
Questa è la proposta della Unione Europea per la quale la Commissione
chiede non solo supporto, ma anche forte determinazione affinché sia
realizzata pienamente a cominciare dal prima possibile.
Il rapporto ambiente Italia 2008 di
Legambiente
Si allontana il rispetto degli impegni di Kyoto, peggiora l'efficienza
energetica, aumentano i consumi dei trasporti, diminuisce la
tassazione ambientale, le rinnovabili sono in crescita, ma
restano sotto la media europea.
Nelle politiche energetiche e nella lotta al cambiamento climatico,
insomma, l'Italia è indietro. Ma ce la può fare.
Il rapporto Ambiente Italia 2008 di Legambiente, Scenario 2020: le
politiche energetiche dell'Italia, dimostra che, cifre alla mano,
anche da noi è possibile realizzare gli obiettivi fissati dalla Ue al
2020 per il potenziamento dell'efficienza energetica, la
diffusione delle fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di
gas serra.
Il rapporto ambiente Italia 2008 di
Legambiente
Nello scorso decennio, in Italia, tutti gli indicatori
energetici e quelli relativi alle emissioni climalteranti
hanno mostrato un segno contrario alle speranze di
un'evoluzione verso una economia più efficiente e
rinnovabile.
 Crescono le emissioni di gas serra, giunte nel 2005
a oltre 580 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (+
0,3% sull'anno precedente), ma nei due anni
successivi si registra finalmente una lieve inversione
di tendenza;
 Siamo il terzo paese europeo per emissioni
(eravamo il quinto nel 1990 e il quarto nel 2000);
Il rapporto ambiente Italia 2008 di
Legambiente



Mentre l'Unione Europea ha ridotto del 7,9% le proprie
emissioni rispetto al 1990 (nell'Europa a 15 sono scese del
3%), l'Italia le ha viste crescere del 12,1%, soprattutto a causa
dell'aumento dei consumi per trasporti (+27%), della
produzione di energia elettrica (+16%) e della produzione di
riscaldamento per usi civili (+21%);
Le nostre emissioni procapite di gas climalteranti sono, sia pure
di poco, superiori alla media europea e circa il doppio della
media mondiale;
L'intensità di emissioni di CO2 rispetto alla ricchezza prodotta
(misurata come Pil) è aumentata in Italia del 2% tra il 2000 e il
2005; rispetto al 1990 per ogni milione di euro (a valori costanti)
le emissioni di CO2 sono diminuite in Italia del 7%, mentre in
Germania e negli Stati Uniti sono scese del 24%, in Gran
Bretagna del 33% e in Cina del 44%.
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I gas serra - Clean Energies