Mod.1 - Il sistema dell'Energia: fonti rinnovabili, efficienza 1.1 - Problematiche connesse al consumo energetico 1.1.3 Cambiamenti climatici A cura di Gennaro Molino Il surriscaldamento climatico Secondo quanto riportato dall'Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), la temperatura superficiale globale del pianeta sarebbe aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, fino al 2005. L'IPCC ha inoltre concluso che «la maggior parte dell'incremento osservato delle temperature medie globali a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da attribuire all'incremento osservato delle concentrazioni di gas serra antropogenici» attraverso un aumento dell'effetto serra. Viceversa i fenomeni naturali come le fluttuazioni solari e l'attività vulcanica hanno contribuito marginalmente al riscaldamento nell'arco di tempo che intercorre tra il periodo pre-industriale e il 1950 e hanno addirittura causato un lieve effetto di raffreddamento nel periodo dal 1950 all'ultima decade del XX secolo Il surriscaldamento climatico Il surriscaldamento climatico Per il futuro, le proiezioni del modello climatico riassunte dall'IPCC indicano che la temperatura media superficiale del pianeta si dovrebbe innalzare probabilmente di circa 1,1 °C - 6,4 °C durante il XXI secolo. Questo intervallo di valori risulta dall'impiego di vari scenari sulle emissioni future di gas serra, assieme a diversi valori di sensibilità climatica. Il riscaldamento e l'innalzamento del livello dei mari potrebbero continuare per più di un migliaio di anni, anche se i livelli di gas serra verranno stabilizzati di questo secolo. L’effetto serra naturale I gas serra Nell'attuale fase di riscaldamento del pianeta si sta assistendo ad una variazione significativa di un importante fattore che influenza la temperatura terrestre, ovvero la concentrazione atmosferica di anidride carbonica o biossido di carbonio (CO2), uno dei gas serra. Tale incremento di circa 2 ppm all'anno (in due secoli il valore della concentrazione è passato da 280 ppm a 380 ppm, il valore più alto da 650.000 anni a questa parte) non ha eguali nella storia recente del pianeta ed è ritenuto legato all'uso di combustibili fossili che durante il periodo carbonifero (tra 345 e 280 milioni di anni fa) sono stati "fissati" nel sottosuolo ad opera della vegetazione e degli animali, passando dalla forma gassosa di CO2 a quella solida o liquida di petrolio, carbone o gas naturale I gas serra Negli ultimi 150-200 anni, a partire dalla rivoluzione industriale, la combustione dei giacimenti fossili ha invertito il processo avvenuto durante il periodo carbonifero, re-immettendo nell'atmosfera questo carbonio sepolto da milioni di anni sotto forma di enormi quantità di anidride carbonica (circa 27 miliardi di tonnellate all'anno). Inoltre, secondo le stime, il pianeta riuscirebbe oggi a riassorbire, mediante la fotosintesi clorofilliana e l'azione delle alghe degli oceani, meno della metà delle emissioni, anche a causa della deforestazione. L'attività umana ha infatti ridotto la biomassa vegetale in grado di assorbire la CO2 fin dalla rivoluzione agricola neolitica, trasformando i boschi in campi o città. I gas serra Variazione della temperatura globale (in rosso) e dell'anidride carbonica presente nell'atmosfera (in blu) negli ultimi 1000 anni. La causalità non è da tutti ritenuta provata, ma si notano delle somiglianze fra le due curve, soprattutto nell'ultimo secolo. I gas serra I gas serra I gas serra Va sottolineato che l'effetto serra è un fenomeno naturale e necessario per permettere alla superficie terrestre di avere temperature adatte alla vita, in particolare quella umana; ad esempio la decomposizione di piante ed animali morti o la normale attività geotermica dei vulcani emettono enormi quantità di gas serra, ma in questi casi si tratta di emissioni costanti o in lentissima evoluzione (dell'ordine di migliaia o milioni di anni) e per questo non ritenute problematiche. Anche in concomitanza di grandi eruzioni catastrofiche si sono determinate evidenti mutazioni del clima a livello globale (di solito però abbassando le temperature a causa delle eccezionali quantità di polveri emesse in atmosfera, come nel caso delle eruzioni dei vulcani Pinatubo o Krakatoa). Tuttavia questo genere di fenomeni, in epoche storiche, sono stati riassorbiti e non hanno comportato mutamenti permanenti del clima. A parte dunque tale effetto serra naturale, il problema è l'eccesso di riscaldamento dovuto ad un più marcato effetto serra, e dunque il conseguente surriscaldamento. Il surriscaldamento degli oceani L'incremento della CO2 dovuto alle fonti fossili è ulteriormente amplificato dal surriscaldamento degli oceani. Le acque marine contengono disciolta una grande quantità di CO2 ed il riscaldamento dei mari ne causa l'emissione in atmosfera. Inoltre, il riscaldamento dovuto all'aumento della temperatura produce una maggior evaporazione dei mari liberando in atmosfera ulteriori quantità di vapore acqueo, il principale gas serra, accrescendo ulteriormente la temperatura globale ed aumentando quantità e violenza di piogge ed uragani, tropicalizzando il clima. Inoltre, la diminuzione del livello di salinità degli oceani, dovuta sia allo scioglimento dei ghiacciai che all'aumento delle precipitazioni, potrebbe interrompere, rallentare o comunque alterare le grandi correnti transoceaniche, con disastrose conseguenze sul clima e sull'agricoltura in Europa e con impatti su tutti i mari e sulle temperature in tutto il mondo. Lo scioglimento delle banchise polari Nel 2005, il British Antartic Survey ha rilevato che l'87 per cento dei ghiacciai della penisola antartica si sono ritirati negli ultimi cinquant'anni e negli ultimi cinque anni i ghiacciai hanno perso in media 50 metri all'anno. L'intera banchisa antartica contiene acqua a sufficienza per innalzare il livello dei mari di 62 metri. Anche se il terzo rapporto dell'IPCC considera assai improbabile questo scenario, nuove ricerche indicano uno sgretolamento massiccio della banchisa. Anche i ghiacci del Polo Nord. che contengono più del 6 per cento dell'acqua potabile del mondo, si stanno sciogliendo ad un ritmo molto più elevato di quanto non si pensasse. Lo scioglimento dell'intera Groenlandia determinerebbe un innalzamento dei mari di 6 metri, ma anche un incremento di un solo metro significherebbe l'inondazione di New York, Amsterdam, Venezia e di tutto il Bangladesh. Innalzamento del livello del mare Nei prossimi cento anni si prevede un aumento del livello medio del mare compreso tra i 9 e gli 88 centimetri, a causa delle immissioni in atmosfera di gas serra. Questo innalzamento dipenderà sia dal progressivo scioglimento dei ghiacciai, sia dalla naturale espansione degli oceani, dovuta al fatto che l'acqua aumenta di volume quando aumenta di temperatura. Per quanto possa sembrare modesto, anche un innalzamento di pochi centimetri provocherebbe il caos: inondazioni nelle zone costiere, contaminazione delle falde acquifere potabili, aumento del grado di salinità degli estuari sono solo alcuni degli elementi di questo scenario allarmante. Molte delle città sulla costa avrebbero problemi. Risorse strategiche per le popolazioni costiere, come le spiagge, l'acqua potabile, la pesca, la barriera corallina e gli atolli sarebbero a rischio. Il protocollo di Kyoto Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale, sottoscritto l’11 dicembre 1997 da più di 160 Paesi, in occasione della Conferenza della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. Il protocollo di Kyoto Il trattato prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni dei seguenti elementi inquinanti: – – – – – – anidride carbonica (CO2), metano (CH4) protossido di azoto (N2O) idrofluorocarburi (HFC) perfluorocarburi (PFC) esafluoruro di zolfo (SF6) in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 20082012. Il protocollo di Kyoto La ratifica dell’accordo, in realtà, non è stato così semplice. Perché il trattato potesse entrare in vigore si richiedeva infatti che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest’ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione. Il protocollo di Kyoto L’atmosfera contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, mentre il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo. Il numero di megatonnellate dovrebbe scendere a 5.850 su un totale di 3 milioni. Ad oggi 174 Paesi e un’organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica. Questi paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra. I Paesi in via di sviluppo, al fine di non ostacolare la loro crescita economica frapponendovi oneri per essi particolarmente gravosi, non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni. L’ Australia, che aveva firmato ma non ratificato il protocollo, lo ha ratificato il 2 dicembre 2007. Il protocollo di Kyoto Perché questi numeri possano essere raggiunti, il Protocollo sancisce che i Paesi aderenti possano utilizzare alcuni “meccanismi flessibili” che servono per acquisire crediti per le emissioni. In sostanza se un Paese compie alcune azioni utili a ridurre l’impatto ambientale e l’emissione di CO2, acquisisce alcuni crediti che gli permette di immettere in atmosfera più CO2 rispetto al parametro di Kyoto. Sono quindi meccanismi compensatori, per i quali esiste anche un mercato stile borsa. Il protocollo di Kyoto 1) Clean Development Mechanism (CDM): consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione (CER) per i Paesi che promuovono gli interventi. Il protocollo di Kyoto 2) Joint Implementation (JI): consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il Paese ospite. Il protocollo di Kyoto 3) Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione; un Paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ET) tali “crediti” a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gasserra. Il protocollo di Kyoto Gli Stati Uniti d’America non hanno ratificato il Protocollo anche se sono i responsabili del 36,2% del totale delle emissioni. In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l’ adesione inizialmente sottoscritta. Altri due Paesi tenuti sotto controllo sono l’India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo, nonostante la loro popolazione relativamente grande ed i loro elevati ritmi di crescita industriale. Il rapporto Stern Il rapporto (fine 2006) dell'economista inglese Nicholas Stern, ex capo economista della Banca Mondiale, su incarico del governo britannico, valuta gli impatti economici dei mutamenti climatici. Stern mostra come i costi dei cambiamenti climatici possano andare dal 5 al 20% del prodotto mondiale lordo. Al rapporto Stern è anche allegata una tabella con le possibili conseguenze pratiche che ogni grado di aumento medio della temperatura potrà portare al Pianeta. La forbice di incremento prevista dagli scienziati per il 2100 oscilla tra i 2 e 4,5 gradi Celsius, con la possibilità più attendibile fissata a quota 3 gradi. Il rapporto Stern + 1 grado Con un solo grado di aumento (possibilità che ormai i ricercatori ritengono molto remota a causa del ritardo con cui si è corsi ai ripari) lo scioglimento dei ghiacciai porterà serie minacce agli approvvigionamenti idrici di circa 50 milioni di persone. Il ritorno massiccio della malaria e di altre malattie legate al riscaldamento globale, associate alla malnutrizione, provocheranno circa 300 mila decessi ogni anno. Una cifra solo in parte compensata da un calo della mortalità dovuta al gelo nelle località più fredde. A soffrire molto sarà poi l'ecosistema marino, con circa l'80% della barriera corallina uccisa dal riscaldamento. Unica nota positiva, il previsto aumento dei raccolti agricoli nelle aree temperate. Il rapporto Stern + 2 gradi La situazione in questo caso (che i pessimisti ritengono anch'essa un'obiettivo di "stabilizzazione" ormai fuori portata) inizia a farsi più pesante. I raccolti nell'Africa tropicale diminuiscono del 5-10 per cento. Un'ulteriore popolazione compresa tra i 40 e i 60 milioni di persone sarà esposta in Africa al rischio di malaria. Fino a dieci milioni di persone saranno vittime dell'innalzamento del livello del mare. Grave anche l'impatto sugli ecosistemi, con una stima che fissa tra il 15 e il 40 per cento la quantità di specie a rischio di estinzione. Tra gli animali più minacciati, quelli artici come l'orso polare. Inoltre, con una temperatura media di +2, il manto ghiacciato della Groenlandia potrebbe iniziare a sciogliersi in maniera irreversibile, avviando un aumento del livello del mare di ben 7 metri. Il rapporto Stern + 3 gradi Questo è ritenuto lo scenario di incremento più attendibile, sempre che la comunità internazionale inizi ad intraprendere le necessarie misure di contrasto. La prospettiva è comunque drammatica: l'Europa meridionale andrebbe incontro a pesanti siccità con un ciclicità di circa 10 anni; la scarsità d'acqua colpirebbe una cifra compresa tra 1 e 4 miliardi di persone ai quali andrebbero aggiunte 150-550 milioni di persone a rischio di fame e 1-3 milioni di vittime della malnutrizione. Alcuni modelli predicono poi l'inizio del collasso della foresta Amazzonica, il rischio di collasso della banchisa polare occidentale, l'"impazzimento" delle correnti calde che attraversano l'oceano Atlantico e bruschi cambiamenti nei cicli monsonici. Il rapporto Stern + 4 gradi La situazione si farebbe ancor più drammatica. I raccolti agricoli in Africa crollerebbero di un 15-35 per cento. Alle cifre fornite nei casi precedenti andrebbero aggiunti altri 80 milioni di persone esposte ai rischi di malaria, perdita di circa metà della tundra artica. + 5 gradi E' un quadro catastrofico con la possibile scomparsa dei ghiacciai himalayani e il conseguente scarsità di acqua per circa un quarto della popolazione cinese e una buona fetta di indiani. L'ulteriore aumento nell'acidità degli oceani potrebbe stravolgere gli ecosistemi marini, compresa la disponibiltà di pesce. L'innalzamento del mare raggiungerebbe un livello tale da minacciare molte isole minori e vaste area costiere, comprese quelle della Florida e grandi città come New york, Londra e Tokyo. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Dopo il rapporto Stern l’Unione Europea nel 2007 ha commissionato uno studio analogo, limitato ai paesi europei. Il risultato è che anche con un aumento della temperatura media globale compreso fra 2,2 e 3°C, quindi nient’affatto catastrofico, i costi dei cambiamenti climatici potrebbero giungere a livelli insopportabili per l’economia europea. Questi costi potrebbero, invece essere sopportabili e non bloccare lo sviluppo solo qualora l’aumento della temperatura media globale fosse inferiore a 2°C: i paesi membri della UE potrebbero affrontarli e gestibili a costi accettabili con idonee strategie di adattamento. Oltre questo limite, a parte il rischio di conseguenze imprevedibili e di possibili catastrofi, le economie nazionali non sarebbero più in grado di correre ai ripari ed i danni sarebbero irreparabili. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Il rapporto UE prende in considerazione due scenari climatici “medi” (contrassegnati con le sigle A2 e B2 del terzo rapporto IPCC) che hanno la più alta probabilità che possano effettivamente verificarsi in futuro. In particolare: – – con lo scenario B2 la temperatura media globale crescerà al 2070 di 2,2 °C (e tendenzialmente 3°C al 2100), mentre con lo scenario A2 l’aumento sarà di 3°C (e tendenzialmente attorno ai 3,5°C al 2100). Gli impatti considerati non sono tutti ma quelli principali riguardanti: l’agricoltura, la salute umana, il turismo, le alluvioni ed inondazioni e le aree marino costiere. Le ipotesi prese in considerazione e che sono alla base di questi due scenari sono: lo sviluppo demografico, lo sviluppo economico, l’uso delle risorse energetiche, l’uso delle risorse naturali, l’innovazione tecnologica e l’uso di nuove tecnologie. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Conseguenze sull’agricoltura. Nonostante gli scenari presi in considerazione siano quelli medi, e non quelli massimi più pessimistici e catastrofici, a causa del riscaldamento climatico e della maggiore disponibilità di acqua la produttività agricola potrebbe crescere fino al 70% in più nel nord Europa, ma, viceversa, a causa dell’eccesso di caldo e della minore disponibilità d’acqua potrebbe diminuire del 22% in area mediterranea. Siccome l’agricoltura pesa mediamente attorno al 15% del prodotto nazionale lordo, i danni per i paesi dell’area mediterranea sarebbero ingenti. Viceversa altrettanto ingenti sarebbero i benefici per i paesi del nord Europa. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Conseguenze sanitarie Le ondate di caldo potrebbero aumentare i decessi delle persone più a rischio (anziani e bambini) di 36 mila persone in più l’anno,con aumento di temperatura media di 3 °C (scenario A2) di 18 mila persone in più l’anno, con aumento di temperatura di 2,2 °C (scenario B2). Questo si ripercuote sui relativi servizi sanitari nazionali ed in particolare su quelli dei paesi del sud Europa dove le ondate di calore sarebbero più rilevanti, come ha mostrato l’esempio dell’estate 2003. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Conseguenze sulle economie marittime e fluviali Complessivamente per le coste europee i danni per erosione e inondazione costiera a causa dell’innalzamento del livello del mare potrebbero andare da 9 a oltre 42 miliardi di euro per anno che, però, si potrebbero ridurre a valori compresi fra 2 e 11 miliardi di euro per anno se si procedesse già da subito a ridurne la vulnerabilità. Per quanto riguarda le alluvioni, i danni maggiori li subirebbero i paesi attraversati da grandi fiumi o da fiumi meno dotati di difese adeguate contro le inondazioni. Per le piene dei fiumi i costi potrebbero essere molto salati anche in termini di perdita di vite umane, di beni e di abitazioni. I danni maggiori potrebbero venire dal Danubio e dalla Mosa ed interessare quindi più direttamente i paesi del centro Europa. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Conseguenze sul turismo Per quanto riguarda il turismo le regioni mediterranee diventerebbero del tutto inospitali sia per mancanza d’acqua che per eccessivo calore, mentre diventerebbero molto più appetibili le aree del nord Europa. In pratica, agli impatti negativi e le perdite economiche dell’industria turistica dei paesi del sud Europa e del Mediterraneo si tradurrebbero in impatti positivi e crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi del nord Europa. Il rapporto UE sull’impatto dei cambiamenti climatici in Europa Raccomandazioni del rapporto UE: Per contenere il riscaldamento globale entro un limite massimo di 2°C è necessario fissare come limite massimo delle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a 550 ppm (parti per milione in volume), un valore questo che è circa doppio di quello che c’era due secoli fa e che è circa il 45% superiore a quello attuale (380 ppm). Per stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a 550 ppm è necessario procedere ad una riduzione delle emissioni di gas serra fino a circa il 60% rispetto al 1990, da attuarsi entro e non oltre il 2050. Come tappa intermedia si potrebbe fissare tra il 2020 ed il 2030, data per la quale la riduzione dovrebbe essere intermedia e cioè attorno al 30%. Questa è la proposta della Unione Europea per la quale la Commissione chiede non solo supporto, ma anche forte determinazione affinché sia realizzata pienamente a cominciare dal prima possibile. Il rapporto ambiente Italia 2008 di Legambiente Si allontana il rispetto degli impegni di Kyoto, peggiora l'efficienza energetica, aumentano i consumi dei trasporti, diminuisce la tassazione ambientale, le rinnovabili sono in crescita, ma restano sotto la media europea. Nelle politiche energetiche e nella lotta al cambiamento climatico, insomma, l'Italia è indietro. Ma ce la può fare. Il rapporto Ambiente Italia 2008 di Legambiente, Scenario 2020: le politiche energetiche dell'Italia, dimostra che, cifre alla mano, anche da noi è possibile realizzare gli obiettivi fissati dalla Ue al 2020 per il potenziamento dell'efficienza energetica, la diffusione delle fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas serra. Il rapporto ambiente Italia 2008 di Legambiente Nello scorso decennio, in Italia, tutti gli indicatori energetici e quelli relativi alle emissioni climalteranti hanno mostrato un segno contrario alle speranze di un'evoluzione verso una economia più efficiente e rinnovabile. Crescono le emissioni di gas serra, giunte nel 2005 a oltre 580 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (+ 0,3% sull'anno precedente), ma nei due anni successivi si registra finalmente una lieve inversione di tendenza; Siamo il terzo paese europeo per emissioni (eravamo il quinto nel 1990 e il quarto nel 2000); Il rapporto ambiente Italia 2008 di Legambiente Mentre l'Unione Europea ha ridotto del 7,9% le proprie emissioni rispetto al 1990 (nell'Europa a 15 sono scese del 3%), l'Italia le ha viste crescere del 12,1%, soprattutto a causa dell'aumento dei consumi per trasporti (+27%), della produzione di energia elettrica (+16%) e della produzione di riscaldamento per usi civili (+21%); Le nostre emissioni procapite di gas climalteranti sono, sia pure di poco, superiori alla media europea e circa il doppio della media mondiale; L'intensità di emissioni di CO2 rispetto alla ricchezza prodotta (misurata come Pil) è aumentata in Italia del 2% tra il 2000 e il 2005; rispetto al 1990 per ogni milione di euro (a valori costanti) le emissioni di CO2 sono diminuite in Italia del 7%, mentre in Germania e negli Stati Uniti sono scese del 24%, in Gran Bretagna del 33% e in Cina del 44%.