Introduzione
Presentazione
Prefazione
INDICE
di Vincenzo Borgomeo
di Marco Petrone
di Maurizio De Tilla
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PARTE PRIMA - Anni 50-60
Capitolo 1 - Tutto inizia dai sogni
Capitolo 2 - Venire dal nulla
Capitolo 3 - Scelte coraggiose e difficili
Capitolo 4 - L’infanzia, il periodo più buio
Capitolo 5 - L’uscita dal tunnel: Italia 61
Capitolo 6 - Non mollare mai
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PARTE SECONDA - Anni 70-80
Capitolo 7 - L’evoluzione del pensiero
Capitolo 8 - La scintilla
Capitolo 9 - Tutto cambia, giorno dopo giorno
Capitolo 10 - Elettronica: «Intra l’industri, aintrerà mai»
Capitolo 11 - Tutto cominciò dall’elettronica industriale
Capitolo 12 - Una scelta difficile per inseguire un sogno
Capitolo 13 - E tutto succede
Capitolo 14 - La rivincita, nell’elettronica professionale
Capitolo 15 - Barca, mare, navigare, metafora di vita
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PARTE TERZA - La visione globale - Anni 90-2000
Capitolo 16 - Anticipare il futuro
Capitolo 17 - I valori e il bello della vita
Capitolo 18 - Rimpianti, e ricerca delle origini
Capitolo 19 - Petrone, quanti nomi
Capitolo 20 - Superstizione o casualità?
Capitolo 21 - Il 2000
Capitolo 22 - La missione aziendale
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PARTE QUARTA - La nuova era
Capitolo 23 - Il Sogno diventa realtà
Capitolo 24 - Fissare i paletti: principi e progetti
Capitolo 25 - Gruppo ELEM: trentesimo anniversario
Capitolo 26 - Evolution IPO. Viasat Group
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Capitolo 27 - La profanazione del tempio dell’elettronica
Capitolo 28 - Di nuovo nella tempesta
Capitolo 29 - Uno sguardo dall’esterno
Capitolo 30 - Il nostro futuro
Capitolo 31 - Il nuovo inizio
Capitolo 32 - Riassumendo
Capitolo 33 - Sviluppi, acquisizioni, partecipazioni
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PARTE QUINTA - Le strategie evolutive
Capitolo 34 - Creatività, principi e valori: ecco il segreto
Capitolo 35 - La nostra bandiera
Capitolo 36 - Più protezione, sicurezza, assistenza
Capitolo 37 - Sicurezza, risparmio e antifrode
Capitolo 38 - La scatola nera
Capitolo 39 - Il decreto Monti «Sviluppo Italia»
Capitolo 40 - Scatola nera, la nostra visione
Capitolo 41 - Telematics Service Providers Association
Capitolo 42 - Scatola nera, il punto
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PARTE SESTA - La politica
Capitolo 43 - Riflessioni su Olivetti
Capitolo 44 - 2012, la grande crisi: cambiare o morire
Capitolo 45 - Monti, Montezemolo, Grillo e non solo
Capitolo 46 - E i giovani?
Capitolo 47 - Perché la società è in crisi e incattivita?
Capitolo 48 - Impegno sinergico di competenze eccellenti
Capitolo 49 - Vivere, vivere intensamente
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PARTE SETTIMA - La parola alla squadra
Capitolo 50 - Compagni di viaggio
Capitolo 51 - Il gioco di squadra
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168
PARTE OTTAVA - Epilogo
Capitolo 52 - Viaggio nel futuro, di Marco Petrone
173
PARTE NONA - Un bel film
Indice
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Supplemento del mensile Specchio Economico n.9/2013- Reg. Tribunale di Roma n. 255/1982
Ciuffa Editore Via Rasella 139 - 00187 Roma - Direttore responsabile Victor Ciuffa
Copyright © Domenico Petrone - 13 aprile 2013 - Vietata la riproduzione anche parziale
senza formale autorizzazione - [email protected]
COLLANA DI SAGGISTICA E NARRATIVA
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diretta da Romina Ciuffa
Dedico questo manoscritto
alla mia dolce e tenera Gianna,
amore, moglie e compagna
del viaggio della mia vita,
ai miei figli Barbara e Marco,
che sono il presente - fuggente -,
e ai nipoti e pronipoti che rappresentano
il futuro evolutivo del nostro passato.
Pedro
Un ringraziamento particolare
a Vincenzo Borgomeo per l'amichevole
aiuto e il supporto professionale datomi,
che ha reso possibile la buona riuscita
di questo libro
Domenico Petrone
Tutto inizia dai sogni
Navigare mari in tempesta, avere
il coraggio di osare, sognare, fare, seguendo
la passione, il cuore, l’istinto, le onde…
Lo straordinario percorso del Gruppo Viasat
Testo raccolto da Vincenzo Borgomeo
CIUFFA EDITORE
«Non possiamo pretendere che le cose
cambino, se continuiamo a fare le stesse
cose.
La crisi è la più grande benedizione per le
persone e le nazioni, perché la crisi porta
progressi.
La creatività nasce dall’angoscia, come il
giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che nasce l’inventiva, le
scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza
essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e
difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà
più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni
è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie
d’uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la
vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno,
perché senza crisi tutti i venti sono lievi
brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e
tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica
crisi pericolosa, che è la tragedia di non
voler lottare per superarla.»
Albert Einstein
INTRODUZIONE
Albert Einstein è un genio, sia. E le sue teorie affascinanti,
come i suoi scritti. Però la rilettura di questa storia e di
un’impresa tutta italiana rendono questi concetti più
credibili perché realizzabili. Non da qualcuno che abita
nella Silicon Valley, non da una specie di marziano che ha
inventato un algoritmo per un motore di ricerca o un social
network per milioni di persone, ma da un italiano che è
partito dal basso, che ha sofferto, stretto i denti. Uno di noi,
in cui è facile riconoscersi, se non personalmente almeno
attraverso un padre, un parente, un amico.
Una volta Domenico mi disse che «la cosa più
importante è reagire, reagire. Reagire alle calamità degli
eventi con grinta e convinzione. Bisogna sempre crederci,
valicando l’impossibile, seguendo il cuore, l’istinto, il
vento, le onde». Stavamo parlando di barche, di mare. Ma
era davvero così? O era un discorso riferito all’altra sua
passione, la sua azienda? Nessuna delle due: Domenico
parlava della vita, l’ho capito dopo. Di come si possono
superare le difficoltà di ogni giorno, spesso le più difficili,
con uno spirito particolare. Senza mai arrendersi, darsi
per vinti. Questo libro mi ha fatto scoprire una persona
che non molla mai, con una forza di carattere rara. Per
questo è stato divertente scriverlo in prima persona. È
stato stimolante immaginarsi irriducibili, sognare di
vedere realizzati i propri sogni e di mettere in campo tante
idee. Quello che facciamo tutti, ogni giorno.
Il libro è nato da una rilettura di «Pedro’s Trip, trucioli
di vita», un diario che Domenico aveva scritto per parenti
e amici. E che, come tutti i diari, parlava di cose personali,
a volte molto personali, ma che aveva già quel seme di
universalità e di insegnamenti che ho cercato di
raccontare. Il sottotitolo del diario («I sogni, le svolte, gli
eventi») spiegava che la vita è un viaggio che tutti
dobbiamo fare. Partiamo tutti dallo stesso punto. I sogni.
Ma poi sta a noi scegliere il modo di progettare e fare quel
viaggio. E dal «modo» in cui lo facciamo dipendono le
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svolte e gli eventi. Come dice Petrone, la cosa più
importante è uscire dal porto, affrontare le onde e iniziare
a navigare. Provarci. Osare. Facile a dirsi, ovvio, difficile
a farsi perché poi, nella maggior parte dei casi, rimaniamo
tutti in quel porto. Ecco, parlare, scambiarsi mail, SMS e
Twitter con uno che invece da quel porto è uscito più volte
è stato molto interessante. «Istruttivo», direte voi? Sì,
certo, anche: tutti noi abbiamo un porto in cui riparare ma
un mare d’affrontare: la «vita». Per questo penso che il
libro alla fine sia interessante e divertente da leggere (cosa
rara per i volumi autobiografici): se chi l’ha scritto si è
divertito, si divertirà anche chi lo leggerà.
Il punto è che questo libro non parla della storia di
Petrone o della sua Viasat. È la storia di tutti noi. O,
almeno, quella che poteva essere la nostra storia se
avessimo osato. Se avessimo fatto quello che ha fatto
Domenico. Il porto, però, è sempre lì. E la decisione di
uscire e affrontare il mare può essere ancora presa. Non è
mai troppo tardi per iniziare a navigare. A vivere davvero.
Questo libro non vuole essere un racconto autobiografico
fine a se stesso, ma una specie di manuale per far capire a
chiunque - e specialmente ai giovani - che i meccanismi
del successo sono perseguibili e replicabili. Ci sono
«molle» che spingono un individuo, a sapere e a saper fare,
a crescere, cambiare, creare una famiglia, lottare per la
propria affermazione, conquistare mete insperabili. Ma
anche generare stimoli, emozioni e motivazioni che hanno
consentito cambiamenti, progressi, formazione, esperienze. Poi c’è stata una conseguente crescita economica. Forte
e impressionante, certo. Ma è stato l’ultimo tassello di un
puzzle complicato. E se si parte solo da quest’ultimo
tassello come molti pretendono oggi, è impossibile avere
una visione d’insieme e capire come sia stata possibile la
realizzazione di questa impresa così complicata. Il segreto
è nella storia, nell’approccio ai problemi, nella quantità di
tempo e dell’impegno dedicato, nella forza di volontà, ai
valori e all’etica. Quelli che racconto in questo libro.
Vincenzo Borgomeo
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PRESENTAZIONE
Scrivere una biografia non è mai facile, e scriverne una
che non sia noiosa lo è ancora meno. Se poi il
protagonista è una persona che ancora si impegna ogni
giorno per percorrere strade che nessuno ha mai
percorso, l’intento diventa quasi proibitivo. Eppure
Borgomeo è riuscito nell’impresa, cogliendo l’animo del
pittore nel momento dell’atto creativo, a tela non ancora
ultimata. Un giorno qualcuno cercò di rappresentarmi la
sua esperienza personale e professionale parlando delle
tappe che aveva superato negli anni, citando tra l’altro
queste parole di Steve Jobs: «Non è possibile unire i
puntini guardando avanti, potete unirli solo girandovi e
guardando indietro. Quindi dovete avere fiducia nel fatto
che in futuro i puntini in qualche modo si uniranno.
Dovete credere in qualcosa, nel vostro intuito, nel
destino, nella vita, nel karma, in qualunque cosa. Questo
tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e ha
sempre fatto la differenza nella mia vita».
Mi piacque molto, anche perché personalmente cito
spesso parole di Don Bosco, simili ma pronunciate molto
prima, che grosso modo suonavano così: «Vivere la vita è
come fare il gioco dei puntini; mentre lo fai sei concentrato
sul punto dal quale sei partito a tracciare la linea e su
quello successivo. Quando arrivi all’ultimo, ti volti e vedi
il disegno, e tutto ti è chiaro». Se l’ha detto un visionario
come Steve Jobs, sulla falsariga di un visionario ancora
più grande come Don Bosco, allora vale proprio la pena
fermarsi un attimo, interrompere la stesura della linea che
ognuno di noi sta tracciando, e riflettere.
In questo senso consiglio a tutti di leggere le pagine che
seguono, perché le parole contenute in ogni capitolo sono
come la descrizione di un puntino, fatti che magari sono
sembrati slegati, e che invece a posteriori connaturano un
disegno, stimolando nel lettore una revisione e
reinterpretazione della propria vita. Un vero e proprio
stimolo alla riflessione. Ci sono poi i puntini del presente
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e del futuro, quelli che l’imprenditore cerca ogni giorno
di comprendere e collegare, per poi lasciarseli alle spalle
e proseguire nel disegno.
Alla fine dei capitoli sulle strategie evolutive e sulla
politica non si ha una visione chiara di cosa stia
succedendo in Italia, in particolare nel settore in cui opera
Viasat Group, ma si colgono diversi stimoli per prepararsi
a vivere il futuro e, possibilmente, a scriverlo. Questa
mancanza di chiarezza è una carenza dell’opera? No di
certo, è un fatto connaturato all’esistenza umana. Del
resto, se fosse tutto chiaro, vorrebbe dire che i puntini
sono uniti, che il disegno è completo, che la vita è
compiuta. E invece ci sono ancora tante cose da fare.
Buona lettura e buon lavoro.
Marco Petrone
PREFAZIONE
Nel leggere ed apprezzare il libro «Tutto inizia dai
sogni», che narra l’impresa impossibile di Domenico
Petrone, ho avuto la piacevole sensazione di percorrere
un sentiero che dimostra quanto sia meraviglioso ed
arduo il compito di chi, partendo dal nulla, e quindi
sfavorito, finisce per raggiungere forti ed ambiziosi
traguardi. A volte, il sogno di ognuno di noi può diventare
realtà. Ma ciò non è, né può essere il frutto della
contemplazione di un esito, casualmente e fortunosamente, felice e positivo. Alla volontà e determinazione
si accompagna un «plus» che appartiene al Dna ed al
carattere personale, che ti spinge a cambiare, ad innovarti
in continuazione, nel segno di una metamorfosi che
appena si percepisce nel cammino quotidiano.
Non è, infatti, casuale che un autodidatta - che già da
bambino «inventava» con il meccano oggetti e prodotti da
stupire - sia poi diventato un esperto di fine intelligenza
ed acuta preparazione, con un sano spirito di
imprenditore. Non è casuale l’uscita dal porto per
navigare nel mare poco conosciuto, con tuffi ed emersioni,
se non ci si affida all’intuizione propria di chi percepisce
quali sono i giusti mezzi e strumenti che segnano la
propria attività. Domenico Petrone si mette sempre in
discussione per nuove sfide, spesso impossibili, senza mai
arrendersi, né darsi per vinto. Facendo cose nuove e non
ripetitive, per consolidare l’apparente «vecchio» nella
«liquidità» di una società moderna che nulla lascia
inalterato.
A Domenico si adatta bene il linguaggio di Albert
Einsten che si esprime affermando che «non possiamo
pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le
stesse cose». Invece che abbattersi con il pessimismo per
cicliche crisi, che sono per tutti inevitabili, Domenico si
rialza sempre. E da ciascuna crisi alimenta il proprio
coraggio ad osare di più. Nulla gli è pesante, perché ha
tratto dalle difficoltà le migliori motivazioni. Consapevole
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che il sogno utopico non può non realizzarsi, almeno in
parte, in percezioni reali. Con la pazienza di chi sa bene
che «la cosa migliore del futuro è che arriva un giorno alla
volta».
La gradualità è l’arte della saggezza e non fa commettere
errori, più del dovuto e del necessario. Una gradualità
unita alla perseveranza, in un miscuglio di ingredienti che
comunemente si chiamano dedizione, impegno,
approccio accurato, forza di volontà, perseguimento di
un’etica particolare che non viene spesso considerata,
quella del lavoro. Una gradualità che nasce dai momenti
di angoscia, di solitudine e da notti prolungate ed oscure.
Per percepire al risveglio, nell’illuminazione del giorno,
il senso di una vita umile, operosa e legata alle proprie
radici e agli affetti familiari.
Bravo Domenico, leggendoti ho imparato qualcos’altro
anche per la mia gioia di lettore cauto ma non indifferente
alle emozioni di un amico sincero. Nel segno della
condivisione della entità dell’«essere» di un imprenditore
di successo che viene prima dell’«avere» non ricercato.
Maurizio De Tilla
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PARTE PRIMA
ANNI 1950-1960
CAPITOLO 1
Tutto inizia dai sogni
Credo che tutto inizi dai sogni. Dai sogni nascono i
primi stimoli e la voglia del fare; ma è fondamentale
ripromettersi di compiere opportune azioni concrete.
La convinzione, la perseveranza, l’ostinazione e tanto,
tanto lavoro, potranno consentire il raggiungimento degli
obiettivi. Se non si perseguono comportamenti tenaci,
difficilmente si otterrà quel che si desidera e con scarsa
probabilità i sogni si potranno realizzare. Solo l’azione e
tanto lavoro potranno dare origine ad eventi e
cambiamenti. Ricordate le parole di Einstein?
Non bisogna mai dimenticare che circostanze e macroeventi straordinari hanno sempre la forza di originare
opportunità o minacce che potranno condizionarci, a
prescindere dal nostro volere. In tal caso è indispensabile
reagire. È importante capire i cambiamenti e la situazione
ambientale in cui ci si trova e le sue circostanze per
lanciarsi al volo in scelte opportune, aggiornando il
proprio progetto in sintonia con la realtà del momento:
insomma razionalità, passione e intuizione.
La mia storia, come quella di tanti d’altra parte, è
intrecciata a doppio filo con le difficoltà e con le crisi. A
partire dalla vita del mio nonno paterno, Domenico
Petrone che emigrò, visse e lavorò a New York negli anni
successivi alla guerra del 15-18 e della grande depressione
economica del 1929 per finire con la mia esperienza
personale che, partendo dal classico «poco o niente», è
riuscita a dar corso ad una sequenza di eventi clamorosi.
Un percorso che, disegnando e plasmando giorno dopo
giorno la mia vita e quella di chi mi ha creduto e seguito,
ma anche supportato e sopportato, ha visto concretizzarsi
un progetto che, credo, condizionerà a lungo il futuro di
molte persone.
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CAPITOLO 2
Venire dal nulla
«Fatto da solo», «venuto dal nulla». Lo si sente dire
spesso, talmente spesso che ormai questi due concetti
sono talmente abusati da suonare stonati, triti e ritriti al
punto da perdere qualsiasi significato. È il mito
americano che si realizza, il percorso dell’uomo
qualunque che può diventare presidente degli Stati
Uniti o fondare una società più grande e potente della
General Motors. Però è sempre bene non generalizzare
troppo: «Mimm», Mimmo, da bambino mi chiamavano
così. Sono nato il 13 aprile del 1950, in Puglia, a Corato,
provincia di Bari. Un paese fatto di sole, tanto sole, case
di colore bianco giallastro e asini. Sì, asini perché allora
le case erano formate da un cucinotto, un caminetto e
da stanzoni intercomunicanti, con accanto la stalla per
il cavallo o per l’asino, anzi «u’ ciucc».
Il bianco giallastro? Derivava dai blocchi di tufo con
cui erano fatte le case, un materiale biancastro, isolante,
leggero, friabile e molto malleabile. In casa non c’era
riscaldamento, non c’era l’acqua corrente e neppure il
bagno. I bisogni si facevano in un grosso vaso di coccio,
«u’ pris», nascosto in uno sgabuzzino. Un po’ prima che
traboccasse, veniva versato in un vascone, trasportato
su un carretto ambulante trainato da un mulo, e
guidato da un addetto comunale che si adoperava
anche nell’operazione di versamento.
L’acqua? Si attingeva alle fontane rionali, che
normalmente erano nel centro di un piazzale. Ed erano
talmente tante le case in queste condizioni a Corato che
in quelle piazze c’era sempre un caos tremendo e
occorreva aspettare con pazienza il proprio turno per
riempire le grandi e pesanti brocche metalliche, «la
quartar», e assicurarsi la scorta quotidiana. Questo
compito normalmente era assegnato ai ragazzini e
indovinate chi di noi andava alla fontana..? «A Mimm».
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Ho trascorso a Corato i miei primi sette anni
d’infanzia, mio papà aveva una piccola falegnameria,
era un bravo mastro-ebanista, un creativo. Però di
questo paese ho pochi ricordi, dissolti dal tempo. Sono
scene che sembrano quelle di un film in bianco e nero:
strade strette, donne vestite di nero sedute davanti
all’uscio che ricamano merletti o passano al setaccio
fave e lenticchie secche. Gli anziani tagliavano il
raccolto di «pomodori butalini» per fare la salsa da
conservare in «boccacci di vetro», o li essiccavano al
sole, per poi metterli sott’olio con i peperoncini
tremendamente piccanti, «la cumpost». Un’operosità
instancabile: in ogni momento facevano sempre
qualche cosa d’utile alla famiglia. L’equazione «vecchi
= persone inutili» ai tempi era impensabile: quante cose
si dovrebbero recuperare di quella cultura.
Ricordo, un po’ come in un sogno, il mio primo giorno
di scuola. Vestivo di tutto punto con grembiulino
bianco e un enorme fiocco blu. L’aula era grandissima
e rimbombante, i banchi enormi, rispetto agli alunni di
prima classe e il maestro era «cattivo», urlava sempre
con voce minacciosa e non capivo mai il perché
«malmenava» tutti con severità. Chi disubbidiva
veniva bacchettato sulle mani con una verga di canna,
«la fedr», e poi in castigo, in piedi nell’angolo della
classe, con la faccia rivolta verso il muro. A me capitava
spesso. L’ho subito odiato questo modo di fare e, forse,
per questo, non ho mai frequentato volentieri la scuola.
Un peccato perché ben presto avrei scoperto sulla mia
pelle che Heirich Heine, quando scriveva che
«l’esperienza è una buona scuola, ma le sue rette sono
più alte», aveva davvero ragione.
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CAPITOLO 3
Scelte coraggiose e difficili
«L’ominicchio», «uomo piccolino». Da bambino mi
chiamavano così, perché mi atteggiavo nel comportamento, come se fossi già adulto. Dicono che il carattere
delle persone si formi già nei primi anni della vita. E
hanno ragione: le vicende trascorse dei primi anni nel
piccolo paese furono difficili, una lezione di vita e
innescarono in me la voglia di reagire e di sopravvivere.
Caricarono una «molla biologica», la compressero fino ai
limiti del sopportabile. Poi quando quella molla poté
scattare... Ma andiamo per gradi: un cambiamento
stravolgente per me fu la scelta che fece mio padre di
chiudere la bottega di falegnameria e di cambiare
completamente vita emigrando nel nord: una scelta che
ovviamente non riguardava solo lui ma tutti noi.
Mio padre mise in vendita tutto. L’amata Lambretta,
l’unico mezzo di locomozione della famiglia, la casa della
nonna dove si viveva, la nuova casa in costruzione
sovrastante la bottega, molto desiderata da mia madre,
ma mai abitata e goduta: mollò tutto ed emigrò a Torino.
All’inizio papà partì solo, ospitato da mia cugina
Nicoletta che si era trasferita lì già da qualche anno. La
speranza era di trovare presto un lavoro e un
appartamento e di organizzare, in seguito, il viaggio di
trasferimento di tutta la famiglia.
Una scelta difficile e dolorosa perché già mia nonna
paterna aveva sofferto la partenza nel 1920 di suo marito,
Domenico, che emigrò in America, a New York, con la
promessa che sarebbe ritornato. Ed invece non tornò mai
più. E a mia nonna rimase solo una vaga speranza e il
rammarico di tutta una vita sofferta in attesa del nulla.
Mio padre stesso non si era mai dato pace per quella scelta
del suo genitore e sperava che un giorno sarebbe andato
in America a cercarlo, per farsi spiegare il perché di
quell’abbandono.
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Ironia della sorte, un giorno lui stesso si ritrovò a sua
volta a decidere e a ripetere le stesse scelte. Il destino,
profetico, intanto però lo spingeva in un altro luogo: a
Torino. Nonostante i ricordi negativi, gli eventi andarono
diversamente e nella calda estate del 1957, tutta la
famiglia Petrone, con nonna, mamma e figli, partirono in
un interminabile viaggio, su un treno a vapore, stracolmo
di persone, emigrando nello sperato Settentrione, a
Torino, raggiungendo il papà Francesco che, nel
frattempo, aveva trovato un lavoro in una fabbrica di
falegnameria e affittato un piccolo appartamento. Un
nuovo inizio.
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CAPITOLO 4
L’infanzia, il periodo più buio
Papà aveva ottenuto un’occupazione precaria, presso una
falegnameria artigianale che lavorava all’interno di una
fabbrica di macchine da stampa, la Nebiolo. All’inizio la
situazione pareva accettabile, sembrava migliore rispetto
alle condizioni del paese appena abbandonato, ma il peggio
venne dopo qualche mese. Iniziò il periodo più brutto della
mia vita. Ancora oggi ricordo quei momenti come sogni
spaventosi, mai cancellati dal tempo, terribili incubi.
Era quello il periodo del boom industriale, delle fabbriche
d’auto che a Torino richiamavano fiumi di operai, in
particolare napoletani, siciliani, calabresi, abruzzesi,
pugliesi. E nacque quasi immediatamente un tremendo
senso d’intolleranza verso i meridionali. Ma «intolleranza»
non rende bene il concetto: si trattava di razzismo bello e
buono: agli ingressi di alcuni condomini c’erano cartelli tipo
«Affittasi appartamento. No meridionali», e in qualche bar
comparivano targhe «Vietato l’ingresso ai cani e ai terroni».
Insomma per usare un sottile eufemismo non era un bel
vivere, noi del sud non riuscivamo a fare amicizie; io non
legavo molto con i miei coetanei, ero timido, intimorito, non
parlavo bene l’italiano e le combriccole già affiatate non mi
facevano giocare con loro, anzi mi prendevano in giro,
insultandomi: «terrun, terrun…» e giù botte.
Spesso, la notte, sognavo che ritornavamo tutti a Corato.
Io tornavo felice, volavo. Sì, volavo leggero, sui campi fioriti,
di bellissimi papaveri rossi; oppure giocavo, gioioso, con i
miei amici d’infanzia, facendo volare un variopinto
aquilone, costruito dal mio papà. È curioso ricordare che per
anni i sogni ricorrenti avevano come caratteristica un
particolare: in caso di pericolo, riuscivo a volare. Volavo
sollevandomi in verticale, semplicemente vibrando i piedi,
come si fa sott’acqua con le pinne e sorvolando e saltando
al di là dell’ostacolo.
La situazione familiare si aggravò quando mio padre
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perse il lavoro. Non voleva però rinchiudersi alla Fiat. Non
avendo una specializzazione in meccanica, non voleva
andare in linee di montaggio e fare il semplice operaio o
ancor peggio il manovale. Era un ebanista, un’artista del
legno a suo modo, un artigiano capace di progettare,
disegnare favolosi armadi costruiti a mano e quant’altro,
partendo dal tronco di un albero. Ma il mestiere di ebanista
di fatto non esisteva più, così si adattò nella ricerca di un
qualcosa che consentisse di mantenere la famiglia. Provò,
in un disperato tentativo, la vendita di garofani, all’uscita
della chiesa di Madonna di Campagna: mi chiese di
accompagnarlo, perché da solo si vergognava.
Così, su una vecchia bicicletta, assicurò la cesta dei
garofani sul portapacchi mentre io mi mettevo davanti,
seduto per traverso sul tubolare. Davanti alla chiesa, però,
non trovammo clienti e in tutta la mattinata non vendemmo
neanche un fiore. Tornammo a casa in silenzio e lì mio padre
disperato afferrò i mazzi di fiori e li ridusse a pezzettini,
imprecando e gettandoli qua e là per tutta la casa. Tragico,
devastante. Tanto per peggiorare la situazione, la padrona di
casa ci sfrattò, probabilmente intuendo che non avremmo
più potuto pagare l’affitto. Bisognava anche trovare un altro
appartamento.
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CAPITOLO 5
L’uscita dal tunnel: Italia 61
I miei genitori decisero di cambiare quartiere, sperando
di trovare un ambiente più favorevole. Cercarono e
trovarono un discreto appartamento nella borgata di
Lucento, in Via Bernardini Luini 157, una zona popolata
prevalentemente da meridionali. Fu una svolta: erano gli
anni Sessanta, Torino si stava preparando ad un macroevento d’eccezionale portata, il Centenario dell’Unità
d’Italia, circostanza straordinaria che avviò finalmente
una serie di fatti che generarono una situazione
prosperosa.
Nascevano ovunque nuovi quartieri, condomini, ma
soprattutto Palazzo Vela e il polo fieristico: finalmente
c’era di nuovo un gran bisogno di manufatti di legno. Mio
padre trovò infatti un’occupazione presso un’azienda
appaltatrice e iniziò a guadagnare bene. La nostra
condizione economica divenne accettabile e migliorava di
mese in mese, al punto che papà frequentò una scuola
guida, ottenne la patente e comprò la prima automobile:
la storica Topolino. L’Italia stava cambiando.
Noi stavamo cambiando. Finalmente anch’io cominciavo a vivere momenti felici. Cambiai scuola e m’inserii
subito con i miei coetanei, anche perché erano quasi tutti
figli d’emigrati, ci capivamo. Nicola era il mio amico di
giochi - giochi impegnativi -, aveva qualche anno più di
me, e da lui imparavo tutto, condividevo l’impegno in
passatempi complicati: montaggio e smontaggio di
meccanismi realizzati col Meccano.
Per chi non lo ricorda (e il discorso vale solo se è molto
giovane) il Meccano era un insieme di piastre e piastrine
forellate e numerosi particolari di piccole carrucole, ruote
e accessori vari, con cui avvitare e imbullonare miniature
di macchinine, biciclette, elicotteri e quant’altro
immaginabile, una sorta di lego meccanico. Era il mio
gioco preferito. Stavo per ore e ore a trafficare, montare e
22
smontare. È proprio vero che l’infanzia è formativa, e che
le prime influenze sono la chiave e le tendenze per il
futuro: nel mio caso è proprio andata così. Questa
tendenza a eseguire attività manuali e complicate mi ha
sempre appassionato ed è sempre stata la spinta
propulsiva e la chiave di tutto ciò che avvenne negli anni
successivi.
Avevo sempre voglia di costruire qualcosa, oltre al
Meccano mi piaceva il Traforo del legno, che con seghetti
e limette consentiva di costruire casette, torri, aeroplanini
e barchette. In quest’ultimo gioco il mio compagno e
maestro fu mio padre, che però, per esperienza vissuta,
non m’incoraggiava a far da grande il falegname. Il gioco,
che divenne un hobby ed una passione trasportante, per
gli anni successivi fu il cablaggio d’interruttori collegati a
pile, lampadine, zoccoli «octal» e valvole elettroniche. A
soli dodici anni chiesi ed ottenni da mio padre di
iscrivermi al corso per corrispondenza della Scuola Radio
Elettra Torino.
Mi piaceva un sacco e facevo con entusiasmo gli
esperimenti pratici, mentre invece trascuravo gli studi
d’obbligo, che ad onor del vero non mi entusiasmavano
per niente. Anziché giocare a pallone, come facevano
quasi tutti i miei coetanei, mi rinchiudevo nella mia lunga
cameretta, dove in fondo, allestii un banco di lavoro ed
attrezzai un piccolo laboratorio, con tanto d’impianto
elettrico, saldatore a stagno, e attrezzi vari; assemblai e
costruii, su indicazioni dei manuali del corso, un
amperometro, un voltmetro, un frequenzimetro,
inserendoli successivamente su una consolle di
compensato e formica, sempre da me ideata e costruita.
A quindici anni, realizzai una magnifica, grossa radio a
valvole, con mobile in noce e frontalino in plexiglas,
perfettamente funzionante sulle diverse frequenze;
completai tutto il corso con il massimo dei voti, ricevendo
il riconoscimento con tanto di diploma rilasciato dalla
scuola. La mia operosità e la voglia di aiutare i miei
genitori crescevano col passare degli anni. Nel dopo
23
scuola, mio padre, per non vedermi gironzolare per le
strade, mi trovò un’occupazione come garzone, presso il
barbiere Ignazio di Via Luini, attività che io facevo
volentieri, perché guadagnavo qualcosina e incassavo
delle mancette che conservavo e accumulavo gelosamente, fino a raccogliere una sommetta, che mi consentì
l’acquisto di un orologio da donna, che regalai alla mia
mamma, per la sua festa.
La grande opportunità avvenne casualmente. Un
giorno, in occasione dell’avviamento di un nuovo
distributore di benzina dell’AGIP, vicino a casa, in Corso
Potenza angolo Via Luini, venne proposta a mio padre
l’opportunità di rilevare la licenza e gestire il punto
vendita. I miei genitori dopo una breve considerazione,
decisero, istintivamente, di accettare la proposta. In un
primo momento l’impegno fu di mia madre, col mio
aiuto. In seguito, se l’attività fosse stata appetibile
economicamente, sarebbe sopraggiunto mio padre,
sempre col mio aiuto, nel dopo scuola.
Fu per la famiglia una svolta importante. Molto
impegnativa, per i lunghi orari, e per i giorni festivi e
prefestivi lavorativi, e specialmente per mia mamma. Però
si guadagnava molto. Dopo un po’, verificata la
convenienza, papà si licenziò, smise di fare il falegname
dipendente, attività che ormai non l’entusiasmava più
tanto, e decise così di gestire, in proprio, il distributore di
benzina, assieme alla mamma.
È stato un periodo nel quale la situazione economica
andava alla grande, lo ricordo bene, perché aiutavo la sera
mio padre, anche nella conta dei soldi che incassava.
Mazzette e pacchetti di cento, mille, e cinquemila lire, in
filigrana, e il confezionamento di pacchetti tubolari di
monete e monetine, il tutto ordinato per taglie.
Riempivamo tutte le sere un borsello di pelle a tracolla,
che poi l’indomani mattina mio padre versava tutto sul
conto in banca. Il benessere che cresceva era tangibile. Mio
padre e noi tutti eravamo felici ed entusiasti.
24
CAPITOLO 6
Non mollare mai
Si lavorava tanto (14 ore al giorno, sabato e domenica
compresi), però si guadagnava discretamente. I miei
genitori decisero presto l’acquisto del frigorifero, del
televisore e la sostituzione della Topolino con una nuova
automobile, la Simca 1000. Con grande orgoglio e
soddisfazione andammo in ferie ad agosto, in un
campeggio di Marina di Misano e qualche giorno anche a
Corato. Alla mia promozione arrivò una bicicletta tutta
cromata, e l’anno dopo una Vespa 50, nuova fiammante.
Tutto sembrava volgere per il meglio ma, anche stavolta,
il destino aveva in serbo l’ennesimo colpo.
Un colpo durissimo, la scomparsa improvvisa del
motore della nostra famiglia: mia madre. Si era sposata
con mio padre che aveva vent’anni. Era il punto di
riferimento e di saggezza della famiglia, il pilastro
portante. Non comprava mai niente se non otteneva lo
sconto desiderato. E fu, per me, una buona scuola.
Curava, consolava e coccolava mio padre, anche quando,
non trovando lavoro, egli beveva qualche bicchiere di
vino in più, o quando soffriva di crisi asmatiche, causate
dall’eccessivo vizio del fumo. Fin da ragazzo aveva
fumato infatti oltre due pacchetti di sigarette al giorno.
Mia madre non si tirò indietro quando giunse
l’opportunità di lavorare in proprio al distributore di
benzina, seppur col mio marginale aiuto.
Ma nel giugno del 1967 per un banale intervento di
ernia, a causa di una doppia anestesia mal riuscita e di
una cattiva assistenza post-intervento, mia madre, a 39
anni, morì. Un caso classico di malasanità in quello
squallido ospedale, il Maria Vittoria di Torino, che avrei
voluto demolire. Il dolore fu straziante, lo ricordo ancora,
e tutti fummo assaliti dalla disperazione. Il mondo ci
precipitò addosso, eravamo allo sfascio, bisognava
ricominciare tutto da capo. Senza una guida, senza più il
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faro della nostra vita. Fu dura, durissima e ci rialzammo
anche quella volta. Mio padre, non potendo accudire
personalmente in particolare il terzo figlio, il piccolo Tony,
accolse in casa una compagna (per noi un’intrusa) e da
quel momento cominciammo a non vedere l’ora di andar
via di casa, che, in fondo, era quello che sperava la
terribile matrigna.
Presto mi sposai con la dolcissima Gianna. Qualche
anno dopo mia sorella Liliana andò a vivere assieme al
piccolo Tony, finché entrambi si sposarono felicemente:
Tony con Patrizia, e successivamente Liliana con Matteo.
Fu l’inizio di un nuovo ciclo di un’altra vita. Non vorrei
sembrare bigotto, ma io «credo e sento», specialmente nei
momenti di difficoltà, che lo spirito della mia mamma era
ed è sempre presente, che ci ha seguiti e protetti nel
percorso della vita. Spesso ho avuto e sentivo il bisogno di
lei, ed io credo che quando la pensavo intensamente, lei
c’era, sempre.
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PARTE SECONDA
ANNI 1970-1980
CAPITOLO 7
L’evoluzione del pensiero
L’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta è un Paese dai
due volti. Da un lato c’è l’Italia della lotta politica, della
violenza e degli scontri, rappresentata in particolare
dall’occupazione del 1950 da parte dei contadini delle terre
dei latifondisti culminate con l’intervento delle forze
dell’ordine; dagli scontri tra polizia e comunisti iniziati nel
1951 in occasione della visita di Eisenhower, comandante
delle truppe americane schierate in Europa, da quelli del
1960, relativi al momento in cui il Movimento Sociale
ratificò a Genova il proprio appoggio esterno al Governo
democristiano e infine, naturalmente, dagli sconti derivanti
dall’occupazione delle Università da parte della cosiddetta
sinistra extraparlamentare del 1968 e dall’autunno caldo
delle manifestazioni e degli scioperi del 1969.
Dall’altro lato c’è però l’Italia del primo Festival di
Sanremo, con la sua prima edizione del 1951 vinta da
Nilla Pizzi, delle epiche ed appassionanti battaglie tra
Coppi e Bartali al Tour de France del 1952, dell’inizio del
miracolo economico, della nascita della Tv, del lancio della
600, la prima utilitaria per tutti, delle olimpiadi invernali
del 1956 a Cortina d’Ampezzo e di quelle del 1960 a
Roma, della Dolce Vita di Federico Fellini, e naturalmente
dei nuovi fenomeni musicali che fanno impazzire i
giovani di mezzo mondo, dai Beatles ai Rolling Stones,
fino al concerto di Woodstock del 1969 con i suoi molti
artisti, fra i quali impossibile non citare Jimi Hendrix.
Un periodo difficile per compiere 18 anni. Eppure il 13
aprile del 1968 compii 18 anni. Con molto entusiasmo,
iniziai a pensare da maggiorenne, sentivo il bisogno di
comportarmi da emancipato, da indipendente. Sentivo la
necessità di cambiare, di rompere gli schemi, volevo
essere diverso: erano gli anni gloriosi, entrati poi nella
storia moderna, gli anni della contestazione giovanile,
benché diversa da come la si descrisse generalizzando e
29
assegnandole una connotazione politica, dando al ‘68 un
senso di rivoluzione, di movimenti di destra o di sinistra,
a seconda di chi la raccontava.
Per me, più che un movimento rivoluzionario, è stato
un’evoluzione del pensiero. C’era la voglia sfrenata di
cambiare il modo di essere, di crescere, e tuttavia, anche di
divertirsi. Della politica poco importava. Volevamo solo
essere diversi dai nostri genitori, volevamo cambiare;
vestiti originali, fai da te, pantaloni a zampa d’elefante,
magliette sgargianti, tuniche alla figli dei fiori, capelli
lunghi, tagliati alla Beatles o alla Jimi Hendrix, musica e
musica, pop e «rhythm&blues» di Otis Redding, Joe
Cocker, James Brown.
Questi modi di agire, questi cambiamenti, diventavano
nuove mode che, in generale, non erano né capite, né
accettate dalla vecchia generazione e ancor meno da mio
padre. Anzi le vietava e le disprezzava, le considerava
negative per il corpo e per lo spirito. Fu motivo d’evidente
malumore e contestazione in casa, e l’inizio di un
progressivo distacco dalla figura paterna. Tramontava
così ai miei occhi il mito, l’eroe, non accettai più il suo
atteggiamento dominante e patriarcale. Era un’ulteriore
svolta nel percorso del mio destino.
Ad onor del vero, non avevo una gran voglia di studiare
e tanto meno di lavorare. Facevo il minimo
indispensabile, preferivo suonare il sax nel complesso
rock «Gli Innominati» o andare a ballare nelle discoteche
torinesi. Avevo anche fondato una sorta di Club,
organizzando viaggi e gite domenicali: «Teen Agers of
Turin Pedro’s Trips» con tanto di tessera personale, la
«Personal Card» che dava la possibilità al socio di poter
invitare amici. Il successo fu clamoroso. Le adesioni erano
tali che alcune volte ho dovuto noleggiare due autobus,
guadagnando i primi soldini. Emerse, proprio in quel
periodo, un primo e spiccato senso del business. Avevo
imparato per auto-apprendimento la formula
commerciale: «Ricavi – Costi = Guadagno».
30
CAPITOLO 8
La scintilla
In questo periodo della vita però prendeva anche corpo
una piccola persecuzione: il furto delle mie cose. Mi
«fregavano» sempre qualcosa. Il triciclo, le biciclette, poi
la Vespa 50 nuova di zecca. Cominciavo a credere a mio
padre che mi ripeteva sempre che ero un fesso a lasciare
le cose incustodite. Forse lo ero davvero un po’ fesso? Non
sapevo proprio come e cosa dovevo fare per diventare un
po’ più furbo, però ci pensavo spesso.
Ancor prima di compiere i diciotto anni, mi preparai da
privatista, studiando da solo il Codice della strada e tutto
quello che bisognava sapere per conseguire la patente. La
pratica della guida me la fece fare mio padre con la sua
Simca 1000. Fui promosso al primo colpo e appena
maggiorenne mio padre mi regalò una splendida
Innocenti spider rossa con capote bianca. Era usata, ovvio,
ma era un vero spettacolo. Roba da vero «figlio di papà»
e onestamente un po’ lo ero perché il distributore di
benzina andava bene. Nel doposcuola, saltuariamente
aiutavo, appunto, mio padre nel lavoro ma ovviamente
preferivo sfrecciare col mio spider rosso, andare in
discoteca e ritornare a casa sempre più tardi.
Una notte, al rientro, c’era papà ad attendermi sul
balcone di casa, mi seguì con lo sguardo salutandomi con
un gesto. Parcheggiai la macchina nella strada,
apprestandomi a salire in casa. Pochi minuti dopo ero già
coricato nel letto quando, inspiegabilmente, sentii papà,
che sul balcone, gridava, chiamandomi: «Mimmo,
Mimmo... dove stai ancora andando, a quest’ora?».
«Mimmo, Mimmo…», mentre lo spider partì sgommando
come un missile. La mia bella spider rossa fu inghiottita
dalla notte e non la ritrovai mai più.
Cercai un lavoro e grazie al mio migliore amico, Stefano,
«Ste», conobbi e fui assunto come «cablatore» da
un’azienda di automazione industriale: la Fase del
31
Gruppo Comau. Con i risparmi dei primi stipendi, mi
comprai una Cinquecento usata, che pagai cinquantamila
lire, la trasformai in Abarth elaborando il motore e la
carrozzeria e inventandomi il vero, il primo, originale
antifurto a spinotto: se non s’inseriva lo spinotto, il Jack
estraibile occultato sotto il cruscotto, non partiva il
motorino di avviamento, poiché si interrompeva il polo
elettrico positivo.
Con quella semplice soluzione non ho più subito il furto
d’auto, né io né i miei amici che l’adottarono. Non solo: il
dispositivo mi fece anche capire che nella vita, piuttosto
che subire, è meglio inventarsi qualcosa per prevenire.
Credere, costruire e perseguire le proprie soluzioni.
Preveggenza? Ironia della sorte? Decenni dopo, con Viasat
mi ritrovai nuovamente a risolvere problemi di furti
d’auto, utilizzando «sistemi satellitari» che tramite un
semplice relé, interrompono il circuito elettrico,
impedendo l’avviamento del motore ed inviando
l’allarme alla centrale operativa.
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CAPITOLO 9
Tutto cambia, giorno dopo giorno
È incredibile come tutto possa cambiare nella vita, da un
momento all’altro; ed è curioso e formativo analizzare le
motivazioni e la forza propulsiva che spinge a fare
determinate cose piuttosto che altre. Nella pratica e nella
vita ne consegue l’andare in una direzione piuttosto che in
un’altra e trovarsi, in un secondo tempo, in una realtà
all’infuori d’ogni preventiva immaginazione, addossando
il merito o la colpa al destino.
Il destino in ogni caso, secondo me, è un qualcosa che
ognuno, man mano, modella con le proprie mani, con la
propria opera, con le proprie scelte. Giorno dopo giorno.
Credo fermamente che tutto nasca dalle motivazioni. Fin
dall’infanzia, da bambini si auto-apprende a mangiare, a
camminare, a parlare, a scrivere, per la voglia naturale di
crescere. Da ragazzi poi s’inizia a sognare. Io sognavo
anche da sveglio, sognavo di fare sempre qualcosa di
nuovo, di originale, pensando però sempre alle belle
fanciulle. Ma poi, nell’arco di dodici mesi tra il 1973 e il
1974, accadde di tutto. Credo che quel periodo sia stato il
più sconvolgente della mia vita.
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CAPITOLO 10
«L’elettronica intra l’industri, aintrerà mai»
L’elettronica dentro l’industria, non entrerà mai
Era fondamentale completare gli studi. Diedi così
l’esame di maturità che terminai con successo. Iniziai da
subito altri esami, quelli della vita, quelli pratici, quelli del
giorno dopo giorno. Con in mano il diploma d’elettronica,
mi impegnai a fare qualcosa di coerente. Bisogna tuttavia
ricordare che in quei tempi l’elettronica era un’attività da
«marziani». Le industrie nel settore elettronico in Italia
erano in pratica inesistenti, e pochi credevano in uno
sviluppo imminente.
Il mio primo (ed unico) datore di lavoro, Alfredo Pivi,
amministratore della Fase del Gruppo Comau, società
specializzata nella fornitura d’impianti d’automazione
industriale per il Gruppo Fiat, mi ammoniva col dito
puntato all’insù, dicendomi: «L’elettronica intra l’industri,
aintrerà mai», («L’elettronica dentro l’industria, non
entrerà mai»). «Con dui relè, a sfà tut» («Con due relè, si
può fare di tutto»). Ovvero, secondo lui, l’elettronica non
si sarebbe mai sviluppata. Bell’incoraggiamento per chi
aveva frequentato sei anni sofferti di scuola serale e per
chi si era appena diplomato in elettronica.
Tuttavia, e forse fortunatamente, aggiunse: «Ca’ vol fè
l’elettronic? Ca’ la fasa a ca’ sua!». «Vuol fare l’elettronica?
Se la faccia a casa sua!». Lo presi in parola. Detto, fatto,
trovai un locale predisposto allo scopo. Un appartamento
al pianterreno del condominio di Via Pacchiotti 18, con un
ampio locale dove attrezzai il primo laboratorio
elettronico. Costituii così la Minuzzo Sas, ed iniziai a
progettare e realizzare i primi prototipi e piccole serie di
dispositivi e schede elettroniche per le apparecchiature
elettriche che fornivamo alla Comau.
Da quel momento avevo due attività; una come
dipendente e l’altra come neo-imprenditore. Coinvolsi
subito parenti ed amici: Gianni Schiavon compagno di
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classe, mia sorella Liliana, la sorella di Gianna,
Mariangela, mio suocero Lindo nel tempo libero, le tre
sorelle Sia, e poi ancora altri amici e conoscenti. Iniziai ad
insegnare loro tutti i concetti fondamentali di come si
maneggiavano i micro-circuiti elettronici e a mostrargli
come montare e saldare a mano i componenti sui circuiti
stampati, assemblare gruppi e sottogruppi di dispositivi
elettronici, nonché ad offrire e vendere le prime
prestazioni di montaggio e assemblaggio di schede
elettroniche, in sub-fornitura, con materiale fornito in
conto lavorazione.
Ero orgoglioso di cosa stavo realizzando. E la vita corse
più veloce del pensiero: a meno di 24 anni contrassi un
mutuo immobiliare e comprai un piccolo appartamento,
mi sposai e presto diventai papà. In quel periodo l’intuito
diceva certamente tante cose. Ho meditato subito sugli
eventi stravolgenti. Ho pensato alla mia infanzia. Ho
immaginato d’istinto che non dovevo assolutamente far
mancare quello che era mancato a me da bambino. La
mamma, le cose primarie, una bella casa. Insomma, far
vivere bene la mia neo-famiglia.
Dovevo ad ogni costo «realizzare qualcosa di speciale»
per la mia dolce Gianna, per mia figlia Barbara e già
pensavo ad un altro figlio per consolidare e rafforzare il
nucleo familiare e presto arrivò Marco. Erano anni difficili,
però, ancora una volta: l’Italia degli anni Settanta era
ancora un Paese alla ricerca di un equilibrio tra le spinte
politiche e sociali di destra e quelle di sinistra.
Io credo comunque che fin da bambini si sia, in qualche
modo, condizionati e «formattati» dai propri genitori e
dalla realtà in cui si vive e si cresce, reagendo ed
adeguandosi di conseguenza all’ambiente circostante. È
così normalmente e naturalmente per ogni essere vivente,
persino nel mondo animale e vegetale. C’è infatti una bella
differenza tra vivere in un paesino del sud o in una
periferia di una grande città, o in una casa lussuosa di
Manhattan, piuttosto che in una giungla.
A differenza di tutti gli altri esseri viventi, l’uomo può
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reagire con intelligenza, cambiando habitat, abitudini e
condizione di vita. Basta volerlo. Bisogna però lottare e
perseverare per ottenere ciò che fortemente si desidera.
Questo è quanto sosteneva mio padre. E questo principio,
fin da ragazzo, ha caratterizzato il mio carattere.
Da Corato alla periferia di Torino, grazie al coraggio e
alle scelte di mio padre. Era già un bel successo, e tuttavia
non ero soddisfatto. Desideravo e ambivo fare qualcosa di
più importante: terminato definitivamente il periodo
spensierato, dedicai anima e corpo a realizzare e
migliorare lo status-quo, lavoravo come non mai, dalle
dodici alle sedici ore per giorno. Con un doppio impegno:
in Fase, come dipendente, lavorando dal mattino fino al
tardo pomeriggio, e poi alla Minuzzo fino a tarda sera, a
volte anche di notte, sabato e domenica, e ciononostante
non mi pesava perché ero fortemente motivato. Stavo
costruendo qualcosa di mio, lavorando, per consentire di
operare e progettare per conto proprio.
La quantità di lavoro aumentava ed in poco tempo il
laboratorio di Via Pacchiotti diventò piccolo ed
inadeguato. Decisi quindi di acquistare addirittura un
nuovo locale. Cercai e ricercai, finché capitò
un’opportunità di un ampio, basso fabbricato in Via G.
Borsi. Ironia del destino, era il luogo dove una volta c’era
un prato e da bambino andavo a giocare. Al momento
della decisione, ricordai e mi rapportai alla storia della
canzone, «Il ragazzo della Via Gluck».
Ebbi fiducia nel destino, mi piaceva l’idea di realizzare
qualcosa lì, proprio in quel luogo, dove avevo vissuto la
mia infanzia. Così decisi di costituire la nuova sede,
nacque la Elem (Elettrotecnica-Elettronica-Montaggi)
trasferendo il laboratorio di Via Picchiotti e l’officina
elettronica di Strada delle Vallette che nel frattempo avevo
rilevato dalla Fase. Iniziai ad assumere, oltre ai dipendenti
della Minuzzo, una decina di giovani promettenti
ragazze. Dovevano essere belle, intelligenti ma
soprattutto veloci. Le dattilografe erano ideali per i
montaggi manuali, dovevano solo aver voglia di cambiare
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specializzazione, imparare come manipolare i componenti
elettronici ed avere tanta voglia di lavorare. Io facevo da
formatore, allenatore e davo l’esempio. Bisognava «fare
ed insegnare» un nuovo mestiere alle nuove leve.
Ero entusiasta e caricato alla massima potenza; le cose
giravano bene, nonostante la «crisi del petrolio» e la
«guerra del Golfo». Mi convinsi che ognuno può costruirsi
la propria nicchia esistenziale, a dispetto delle crisi sociali,
anche nelle difficoltà circostanti, individuando
opportunità e minacce del momento, e agire di
conseguenza, sfruttando le possibili opportunità. Iniziai
conseguentemente a consolidare anche la posizione
economica.
Acquistai
per
le
vacanze
un
bell’appartamento a Torre del Mare, e poco dopo in
montagna, alla Magdaleine.
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CAPITOLO 11
Tutto cominciò dall’elettronica industriale
A trentatré anni, ottenni la dirigenza e la direzione
generale della Fase. In quegli anni ero fortemente
determinato a convincere ad introdurre progressivamente
l’elettronica nel settore industriale, ambiente conservatore
e molto ostile alle innovazioni elettroniche. Malgrado ciò,
realizzammo il primo controllo di saldatura con
tecnologia TTL, poi in Cmos; e successivamente a microprocessore, la prima centralina a logica programmabile,
la Celp, il primo controllo numerico per i robot Polar e
Smart, il controllore Flex Control per la Comau e poi
ancora altro.
E tutto ciò con un impegno e una fatica indescrivibile
nel far funzionare sistemi innovativi così complessi e
sensibili, in ambienti produttivi non perfettamente
adeguati, con problemi elettrostatici e interferenze
elettromagnetiche ed elettromeccaniche. Ciononostante,
misi in pratica in pochi anni una quantità notevole di
progetti. Parimenti, perseguii anche un gran numero di
iniziative anche in ambito familiare, sempre con
entusiasmo ed esaltazione. Ero molto soddisfatto,
ciononostante non ero tranquillo, ero preoccupato.
La situazione del lavoro, purtroppo, a mio avviso e
sensazione, non era stabile; il tutto era troppo
condizionato, nel bene e nel male, da fatti non dominabili.
La Fase era limitata dalla Comau, che a sua volta
dipendeva da Fiat, dove la situazione di «controllo» era
molto instabile. Avevo «l’oppressione ed il timore» che da
un giorno all’altro tutto poteva crollare, col rischio di
ritrovarmi nuovamente a vivere in un borgo di periferia e
ritornare al «punto d’origine».
D’altronde, la situazione in Fase stava cambiando
velocemente. Alfredo Pivi, amministratore ed azionista,
aveva venduto le proprie quote azionarie, uscendo di
scena, ed era stato sostituito da nuovi azionisti, i quali
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dichiararono che non intendevano più investire in attività
di progettazione e produzione. Preferivano, piuttosto che
produrre, commercializzare l’elettronica, comprando e
rivendendo i controllori americani della Texas Instrument
e i robot giapponesi della Fanuc, con cui avevano un
accordo di esclusiva. Pur non avendo certezze, intuii che la
sopravvivenza della Fase era a rischio e conseguentemente
anche quella della Elem.
In un colloquio infuocato col nuovo amministratore,
contestai e sconsigliai le nuove strategie non più industriali
ma puramente finanziarie. In quell’occasione, capii che
stavano raggruppando aziende con l’obiettivo di
consolidarle e apportarle come dote per un concambio in
un’importante operazione prettamente d’ingegneria
finanziaria, da perseguire con una nota azienda industriale
di cui preferisco non citare il nome.
Mi chiesero, senza mezzi termini, di cedere a condizioni
ridicole la maggioranza della Elem, per poi integrarla col
nascente Gruppo, ma con l’intimidazione e la minaccia che,
se non avessi accettato, non avrei più lavorato per loro,
asserendo che senza la Fase sarei andato a chiedere
l’elemosina davanti alla Gran Madre.
Conclusioni: chiusi la conversazione, rispondendo con
orgoglio e a tono, dicendo «che avevano bisogno della Elem
e di me, più di quanto io avessi bisogno di loro». Subito
dopo consegnai la lettera di dimissioni, ma per intere notti
fui assalito dall’angoscia.
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CAPITOLO 12
Per inseguire un sogno
Lasciare la Fase fu una scelta difficile, ma va detto che
ancora oggi la benedico. E ripenso a quei giorni nei
colloqui di lavoro, quando mi trovo davanti dei giovani
che vogliono lavorare con me. Se qualcuno mi dice
«gestire», è finita, non c’è niente da gestire. Bisogna
sviluppare, non cerco mai manager, ma «Intraprenditori».
Quando mi trovo davanti un giovane che vuole entrare
nel mondo del lavoro la prima cosa che guardo sempre è
se è un tipo che sogna, che ha già in mente più o meno
quello che vuole fare da grande. Spesso non è una cosa
facile, non voglio mai offendere il mio interlocutore, ma
capire se un giovane ha in testa della creatività, se ha dei
sogni da realizzare è importantissimo.
D’altra parte se dietro un sogno c’è un progetto
perseguito con passione, quest’ultimo di sicuro inizia a
prendere forma. La chiave del successo infatti è proprio il
fatto che prima o poi bisogna sempre attivarsi per
realizzarlo. Difficilmente un sogno si realizza da solo.
Se infatti non fai mai nulla per inseguire i tuoi sogni non
vai da nessuna parte. Se hai paura di uscire dal porto
rimani sempre lì. Ma se invece hai il coraggio di mollare
gli ormeggi e uscire dal porto, cominci a navigare.
Cominci a vivere. Questa è la vita. La vita è fatta di
imprevisti e ostacoli, di barriere da superare. Ecco, io un
ragazzo lo misuro proprio da questa sua capacità di avere
progetti, sogni, anche dal punto di vista della formazione:
è importantissimo capire se sta seguendo un percorso
legato al suo progetto o se invece si fa guidare dalla
società, dal suo capo, dalla mamma o dal papà. Torniamo
un po’ al concetto di dominare o di esser dominati, è vero,
ma è sempre l’uomo che decide se subire o essere
protagonista.
Nei colloqui di lavoro poi è fondamentale anche vedere
cosa sa il mio aspirante collaboratore del nostro Gruppo,
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cosa sa di noi. Se si è informato. Sembra impossibile ma
un gran numero di persone «bussa alla porta» con idee e
progetti confusi e senza nemmeno sapere con chi sta
parlando. Ed è chiaro che non c’è storia. Ai colloqui si
viene a dire cose, non ad ascoltare. Non solo. Non solo
bisogna aver studiato noi, ma anche i nostri competitor,
un aspetto importantissimo specialmente per l’area
commerciale. Chi è il più bello del reame?
Ma torniamo ai sogni. È vero che se il sogno non si
realizza mai si può trasformare in un incubo. Sono
d’accordo. Ma non si può ignorare il fatto che quando una
persona ha un progetto, può anche darsi che non lo
realizzi, ma se insiste ci va vicino, ed è già qualcosa.
Qualcosa di importante perché se poi non ti attivi rimani
sempre lì. Sognare, progettare, attivarsi con
determinazione e passione, perseguire i propri sogni, i
propri progetti motiva la propria esistenza.
Non accetto mai quando uno dice «hai avuto fortuna».
Io sono arrivato a Torino che ero bambino. E mio papà ha
avuto l’idea di osare, di fare un percorso. Di cambiare la
vita. Lui era un ebanista, un artista che dal tronco faceva
tutto. Il fatto di fare e realizzare le cose forse è nel sangue,
nel Dna. La fortuna sei tu che la costruisci. Certo, ci rientra
la salute. Ma è la quantità di tempo che dedichi al progetto
che fa la differenza.
Mettiamo di avere lo stesso sogno. Andiamo a scuola
insieme. Due amici. Il mio amico è bravissimo, io un po’
meno. Ci diplomiamo insieme, poi andiamo a lavorare,
ma la quantità di ore – fisiche – che io dedico alla mia
attività è tripla a quella del mio amico. Io inseguo un
sogno, lui no. Io ho fatto il mio percorso, lui faceva solo 5
ore di lavoro e io 15: non c’è stata partita. La morale? Se
dedichi il doppio del tempo al lavoro, vale doppio. È
come un atleta. C’è una differenza fra uno che si allena
una sola volta alla settimana e uno che lo fa ogni giorno?
Non è questione di essere stacanovisti, ma di mettere il
cuore nelle cose: la differenza, in ogni caso, sta sempre
nell’impegno che dedichiamo ad una certa cosa.
41
E poi c’è l’importanza di essere attivi, positivi.
Personalmente ho l’esempio di un mio caro amico: era
attivissimo, aveva un bel lavoro, era molto appassionato.
Oggi è in pensione, afflitto. La positività e la voglia di
guardare avanti sono invece fondamentali, non bisogna
mai abbattersi, bisogna essere attivi, non mollare mai.
Avere sempre stimoli. Tutto deve e può ancora succedere.
42
CAPITOLO 13
E tutto succede
Ed è proprio con lo spirito del «tutto può succedere» che
lasciai la Fase. Certo, c’era tanto rammarico e, anche, un
po’ di delusione dopo dodici anni di duro ed intenso
lavoro. Lasciavo un centinaio di «compagni di viaggio»,
di amici, che negli anni avevo selezionato: apprezzavo il
loro valore, ciò nondimeno avevo anche appreso e
imparato molto anch’io da loro. Volevo bene a tutti, e
altrettanto loro mi volevano bene.
Raccomandai loro, emozionato, di continuare a lavorare
con impegno e professionalità, così come avevano sempre
dimostrato. Fu un addio commovente. Mi regalarono una
cartella in pelle (che ancora conservo). Lasciavo per
sempre un pezzo del mio cuore, un pezzo del mio passato,
della mia vita. Quello fu un altro momento fondamentale
e decisivo del mio percorso: da questo momento planavo,
solo, a volo libero e senza paracadute.
Erano quelli gli anni del superamento del comunismo e
la sua fine viaggiò a braccetto con la fine
dell’imperialismo sovietico, grazie soprattutto alla politica
illuminata di Mikael Gorbaciov e di Boris Eltsin. Agli inizi
degli anni Ottanta il passo del cambiamento è segnato dal
boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca da parte di
quindici Paesi come segno di protesta contro l’invasione
sovietica dell’Afghanistan, che si tramuterà in decennale
occupazione militare fino al 1988. Sono gli anni della fine
del leader rumeno Ceausescu, del crollo del muro di
Berlino e del giovane cinese che in Piazza Tienanmen
tenne in scacco un carro armato piazzandoglisi davanti.
Seppur l’Europa, almeno quella occidentale, ha
sperimentato i benefici della pace duratura, la guerra
continua ad essere un male dal quale gli uomini fanno
fatica ad affrancarsi. Nel 1982 Israele invade il Libano,
l’Argentina occupa le isole britanniche Falkland, tra Iraq
e Iran scoppia una guerra decennale le cui conseguenze
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dureranno ben oltre l’inizio del terzo millennio. Solo
pochi anni dopo avranno luogo anche le due guerre del
Golfo e le guerre dei Balcani, con tutti i loro orrori.
Si diffondono i computer negli uffici e nelle abitazioni.
Nel 1977 escono un nuovo Apple e il PC IBM che
rivoluzionano il modo di lavorare. In quegli stessi anni
escono i primi home computer Commodore 64, Amiga,
Spectrum, Atari. Si diffondono inoltre i supporti
magnetici a nastro VHS e musicassetta. I ragazzini con le
cuffie del Walkman diventano un’icona del tempo.
La mia situazione era difficile. Ero molto preoccupato,
ma più che sperare ho iniziato a lottare disperatamente.
Per orgoglio, per bisogno e per la sopravvivenza, volevo
e dovevo dimostrare che potevo farcela anche senza la
Fase. Sapevo benissimo che dovevo combattere
duramente per ottenere ciò che volevo. Avevo in mente
sogni, progetti, piani e competenze. Bisognava solamente
lavorare, lavorare, lavorare. Voglia ed entusiasmo non mi
mancavano. Ecco uno di quei momenti in cui bisogna
«uscire dal porto», uno di quei momenti fondamentali
della vita.
In ogni caso nella Fase fui prontamente sostituito.
Nell’arco di pochi mesi annullarono ordini e commesse di
lavoro verso Elem. L’intenzione era chiara e dichiarata.
Ognuno per la propria strada. L’ironia della sorte fu che la
strada della Fase si restrinse, non si evolse più di tanto,
anzi, come avevo anticipatamente intuito, terminò in un
vicolo cieco. Dopo qualche anno alcuni rami aziendali
furono smembrati e svenduti. In più occasioni mi
chiesero, nientemeno, di acquisirla, ma non essendoci più
le condizioni rinunciai. In seguito venne «spezzettata» e
messa miseramente in liquidazione.
44
CAPITOLO 14
La rivincita, col focus nell’elettronica professionale
1984. Forte di un discreto bagaglio di conoscenze
«tecnologiche-industriali» e di un’innata propensione a
raccogliere le sfide nei cambiamenti e nell’innovazione,
m’impegnai ancor di più, anima e corpo, nell’agire in
prima persona, focalizzandomi in tutte le opportunità
compatibili con le mie competenze e strutture produttive.
E coerente con il core business della mia piccola e giovane
azienda. Il primo obiettivo era il miglioramento di quanto
avevo già realizzato, e in seconda battuta, lo sviluppo
strutturale e organizzativo della Elem.
Ma non era facile: i rischi e le incertezze erano enormi,
senza avere ordini da parte di Fase, e in generale dal
Gruppo Fiat, l’azienda aveva una strada tutta in salita.
Nei primi mesi dormivo pochissimo, ma proprio in quel
periodo da temerario ed esperto navigatore solitario di
«mari agitati», maturai una metafora tra «navigazione e
vita corrente», destreggiandomi nella realtà del momento
e nella possibilità di assemblare schede elettroniche per la
nascente industria informatica, individuando nuove rotte
e nuovi obiettivi alternativi e sfruttando l’onda lunga del
momento, cavalcandola con coraggio e determinazione.
Così l’anno successivo trasferii le attività della Elem
Elettronica dal basso fabbricato di Via Borsi a Via Massari,
in un complesso con un’officina che inizialmente
sembrava eccessivamente grande (circa ottocento metri
quadrati). Realizzai così il primo sogno: il compimento
del primo nucleo industriale, completo di struttura
produttiva con esperti di ingegneria di produzione, di
automazione, uffici direzionali ed amministrativi, il tutto
arredato rigorosamente in stile moderno, con una visione
futuristica, avvalendomi delle idee originali dell’architetto
Gozzellino.
Gran risalto era dato dall’arredamento e dall’impatto
della bellissima reception, che mi affrettai poi ad
45
impreziosire con l’altrettanto bella centralinista Carmen
più tardi sostituita dalla giovanissima e fedelissima Anna
Mugavero la quale divenne la bella e attraente «icona
della Elem», e in seguito, la mia efficiente assistente,
sostituita nella reception e come immagin-design
dall’altrettanto bella e creativa Susan, «l’olandesona».
Sembra un vezzo o una cosa futile, ma già ritenevo
l’immagine molto importante: il biglietto da visita per il
futuro. Ho sempre creduto che Alexis Carrel avesse colto
nel giusto quando sosteneva che «nella scienza abbiamo
soprattutto bisogno di immaginazione. Non tutto è
matematica, non tutto è logica, ma è piuttosto poesia e
bellezza».
Iniziai così a creare un’opportuna e adeguata immagine
d’azienda, completa e autonoma, aumentando capability
tecniche, produttive e gestionali, tali da poter operare con
realtà multinazionali quali Tecnost, Bull e Olivetti, e creare
i presupposti per lavorare per la mitica IBM. Furono anni
fibrillanti. L’Olivetti produceva come non mai i primi
computer «M20» col proprio marchio e per conto terzi, tra
i quali l’americana AT&T. Per aumentare capacità
produttive, flessibilità e nello stesso tempo ridurre i costi,
utilizzava una miriade di fornitori esterni, tra cui la Elem
che in breve tempo divenne il primo fornitore di schede
elettroniche a livello nazionale, arrivando a produrre oltre
cinquecentomila schede all’anno, tra Mother-Board per
personal computer, schede per stampanti e fotocopiatrici
Canon.
Nel frattempo acquisimmo le prime nuove macchine
automatiche per montare componenti Smd a tecnologia
superficiale, una linea per saldatura rifusione, macchine
per collaudo automatico «In-circuit Ict», e progettammo
e realizzammo la prima linea completamente automatica
per saldatura ed assemblaggio, velocizzando i tempi ciclo
e riducendo conseguentemente i costi di produzione.
Ma c’era la possibilità di fare molto di più, era chiaro.
Solo che avevamo davvero poco tempo, stritolati come
eravamo dal poco spazio e dalle limitate macchine
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produttive disponibili. Per fare di più, occorreva un altro
stabilimento e bisognava aumentare le risorse operative.
Bisognava però fare presto per non perdere le opportunità
del momento.
Iniziai così una ricerca affannosa di nuovi spazi. Nelle
vicinanze dell’uscita della tangenziale di Venaria,
individuai uno stabilimento di oltre tremila metri
quadrati, su un’area di oltre diecimila, in un recente
comprensorio industriale, nei pressi del quale stavano
iniziando la costruzione del nuovo Stadio delle Alpi.
L’intuizione e la decisione furono immediate.
Acquistai con un investimento rilevante il primo
stabilimento di Via Aosta 20 a Venaria Reale, con
l’obiettivo e il progetto di re-ingegnerizzare due aree
produttive su due piani: l’impresa sembrava faraonica.
C’era anche la possibilità, che sfruttai subito, di
raddoppiare l’area utile con l’edificazione di un secondo
piano, sfruttando la licenza di concessione e realizzare
così un complesso di oltre seimila metri quadrati, con
l’opportunità di aumentare contestualmente anche il
valore commerciale dell’immobile.
Così, a tempo di record, in appena 12 mesi
completammo le strutture murali e, con sincronismo
perfetto, arrivarono i moduli per le nuove isole
automatiche d’assemblaggio, le nuove «Pick end place»
Panasonic, le più veloci e le migliori al mondo, la nuova
linea automatica di saldatura e lavaggio con controllo
della contaminazione ionica, che garantiva un livello
inferiore a «un microgrammo al centimetro quadrato».
Lavorammo ininterrottamente, a turni, anche nei giorni
festivi, trasferimmo al momento opportuno i reparti e
tutte le attività produttive nell’arco di sette giorni, senza
mai penalizzare le consegne delle forniture delle schede
elettroniche, che intanto producevano a ritmo frenetico in
tre turni. Ricordate il concetto di lavorare sodo, più degli
altri? Non si riferisce solo alle persone, ma anche alle
fabbriche. E con questo spirito realizzammo un layout
produttivo futuristico, in un’enorme camera bianca, unica
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nel suo genere, con ambiente controllato a temperatura e
umidità costante, immancabilmente con pavimento
antistatico e personale addetto rigorosamente in camice
bianco e zoccoli antistatici. Particolare attenzione fu la
scelta dei sistemi informatici, in grado di gestire e
controllare la contabilità integrata con i flussi di materiale
e cicli di produzione in logica giapponese just in time.
Realizzammo così un’organizzazione avveniristica di
massima efficienza, ottenendo - fra i primi in Italia - la
famosa certificazione «Iso 2001» e questa qualificazione ci
valse in seguito anche la qualifica «Babt» da parte
dell’IBM e l’avvio di importanti e complesse forniture
«top technology». Acquisimmo quindi nuove e complesse
lavorazioni high tech da Olivetti, Canon, IBM, Ericsson,
Telsy, partecipando all’evoluzione, all’integrazione e alla
convergenza tecnologica tra microcomputer, automotive,
telecomunicazione e satellitare Gps.
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CAPITOLO 15
Barca, mare, navigare, una metafora di vita
Ho sempre avuto voglia di stupire e di stupirmi, tutto
ciò che desideravo e decidevo di fare l’ho sempre fatto
con il massimo impegno ed entusiasmo; il fare, il
realizzare mi gratificava e mi esalta ancora emotivamente
e fisicamente, e questo vale sia nel lavoro che nel tempo
libero che, purtroppo, è sempre stato esiguo. Quello che
dicevo prima sul «lavorare tanto, sull’impegno»,
ovviamente ha qualche controindicazione. L’importante
è non farsi prendere dall’egoismo e dedicare il poco
tempo libero che si ha alla famiglia. Totalmente alla
famiglia. Così ho fatto io. E quel tempo fuggente alla fine
si scopre che è intenso, bellissimo.
Nei primi anni di matrimonio abbiamo iniziato a
frequentare la montagna, in particolare la Magdaleine,
dove con un gruppo di conoscenti avevamo acquistato
un terreno e costruito una casa. Unimmo e arredammo
con gusto due appartamenti, creando un nostro nido
rustico-montano, un luogo fantastico, dove ancora oggi
d’estate pascolano le mucche, e d’inverno con la neve
sembra di abitare in un presepio vivente. Gianna, io e i
bambini facevamo lunghissime passeggiate per i sentieri
che univano la valle della Magdaleine con Chamonix.
Gianna preparava le provviste nello zaino da picnic, e poi
su per il sentiero, che d’inverno si trasformava in pista
da fondo, fino al lago Lood, a circa milleottocento metri.
Era straordinario. Intorno al laghetto, azzurro come il
cielo, c’erano pinete attrezzate con panche e tavoli rustici,
fatti con tronchi d’abete, e barbecue di pietra.
Bello, ma non nascondo però che la mia vera passione
è il mare, la navigazione, la barca. Così acquistammo un
appartamento a Torre del Mare. È proprio lì che
stringemmo una cara amicizia con Enrico Beretta.
Decidemmo assieme di comprare due barchette in resina
e motore fuoribordo, per andare a pescare e fare gite in
mare, tra l’isola di Bergeggi e l’isola Gallinara.
49
Con i Beretta, che avevano anch’essi due bambini,
andavamo con le rispettive barchette ad ancorarci nelle
baie più belle della zona. La più gettonata era la Baia dei
Saraceni, dietro il capo di Varigotti. Venne naturale il fatto
di andare con Marco in barca e di lasciare che Barbara
andasse in montagna con i nonni. Era abbastanza
frequente, tanto quanto è bastato per accentuare
preferenze e tendenze, che credo perdurarono anche
quando divennero ragazzi e poi adulti, a conferma che
«sogni, tendenze e carattere si formano non a caso, fin da
bambini».
Oggi Barbara non ama il mare, preferisce la montagna.
Mi chiedo se per caso sia stata mia la colpa. In effetti,
qualche esagerazione sulle mie preferenze c’è stata. Il
dubbio mi sorge pensando a quando era ancora bambina,
e in particolare a quella volta, forse quell’unica volta che
decidemmo di portare entrambi i bambini in crociera. In
quel tempo avevo un motoscafo da otto metri con il
quale, abitualmente anche se un po’ da incoscienti,
riuscivo a sostenere l’attraversata del mar Ligure e
navigare con rotta su Calvi, in Corsica (circa novanta
miglia), per poi costeggiare verso Bonifacio, e attraverso
le Bocche arrivare fino a Palau, in Sardegna.
In una calda estate, di agosto, decidemmo, appunto, di
raggiungere la Corsica partendo da Alassio, navigando
in compagnia di amici che avevano una propria
imbarcazione, ma con poca esperienza nautica. Fin dai
primi giorni manifestarono problemi di navigazione e di
ormeggio, fortunatamente superati, anche se con qualche
difficoltà. Un giorno, poiché temevano l’attraversata delle
bocche di Bonifacio, stabilimmo di dividerci per qualche
giorno. Noi, veterani e «lupi di mare» proseguimmo per
la Sardegna, con l’intesa di ricongiungerci qualche giorno
dopo a Porto Vecchio, per poi ritornare assieme in
Liguria, navigando dalla parte orientale della Corsica,
meno esposta al vento Maestrale.
Solcammo tranquillamente le imprevedibili Bocche di
Bonifacio; il mare era bello, la navigazione piacevole. Le
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Bocche erano e sono tristemente note ai naviganti perché
spesso stravolte dal vento che soffia da Ovest, il
Maestrale, e che può rinforzare fino a burrasca e durare
da due a sei o anche a nove giorni. Quando succede,
anche i traghetti entrano in difficoltà ed è preferibile non
navigare e rifugiarsi velocemente in un porto sicuro.
Eravamo ormeggiati nel porto di Palau, quando il
Maestrale iniziò a rinforzare. Decisi istintivamente di
partire subito, per evitare di restare eventualmente
bloccati per giorni nel porto di Palau. La rotta era su
Porto Vecchio, dove c’era l’amico Valesano che ci
aspettava. Il tempo previsto per la traversata non
superava i trenta minuti di navigazione. Decisione
scellerata. Partimmo e dopo solo quindici minuti, quando
ormai eravamo nel bel mezzo delle Bocche, vento e mare
rinforzarono ad una velocità imprevedibile, si formarono
improvvisamente onde da due a tre metri, troppo per
quella barca. Quasi subito, un’onda di traverso ci
sovrastò, spruzzando violentemente acqua nel pozzetto e
nei bocchettoni di sfiato dei motori.
Tragedia: i due motori improvvisamente si fermarono e
non ci fu più verso di farli ripartire. La barca iniziò a
oscillare e beccheggiare paurosamente. Che fare? Gianna,
terrorizzata, strepitava e chiedeva aiuto. Aiuto a chi? In
quel momento ed in quella zona non si vedevano altre
imbarcazioni. I bambini rimasero senza parola, mente io
cercavo di mantenere il controllo della situazione. Gianna
non mi ascoltava, non mi sentiva, era sotto shock. Forse
per il sibilo del vento, forse per le onde del mare che
entravano violentemente nel pozzetto infradiciandoci e
rintronandoci, Gianna tremava tutta ed era in stato di
panico profondo. Per calmarla le dovetti dare un’energica
sberla e sistemarla di peso sul sedile accanto a Barbara.
Poi mi precipitai in cabina, afferrai i giubbotti di
salvataggio e li infilai addosso a lei ed ai bambini.
Rapidamente e con lucidità, mi misi alla radio WHS e
lanciai l’SOS, sperando che qualcuno fosse in ascolto e si
mettesse in contatto con noi. Purtroppo nessuno rispose.
51
Ritentai. Niente da fare.
Oltre a ciò, della serie che i guai non vengono mai da
soli, l’antenna radio, per la furia e i sobbalzi delle onde si
spezzò finendo in mare. Fine della trasmissione. Cosa
fare? Reagire, evitare il panico, non arrendersi, sono le tre
grandi livelle. Nella vita come nella navigazione.
M’infilai nel vano motore, cercando con ragionevolezza
di asciugare possibilmente le calotte, ma nel frattempo
entravano altre onde ed era impossibile operare in quelle
condizioni. Coprii spinterogeno e calotta con un
asciugamano, sperando nella buona sorte e richiusi il
gavone. Nel frattempo vidi in lontananza uno yacht che
s’avvicinava. Cominciammo a gesticolare con le braccia e
a sventolare asciugamani, come fanno i naufraghi nei
film. Nel frattempo Gianna si era ripresa, Marco, il più
tranquillo, m’incoraggiava col pensiero. Barbara sempre
silenziosa, corrugata, impassibile, ma consapevole della
gravità della situazione.
L’imbarcazione poco dopo si accostò. A bordo c’erano
un uomo un po’ inesperto e due donne. Appena ebbero
capito il pericolo e la gravità della situazione, entrarono
in panico, strillando terrorizzate mentre il capitano,
sbagliando manovra, stava per speronarci. Era impossibile avvicinarsi con quel mare e con quell’equipaggio di
imbranati, e tentare una manovra di salvataggio. Gli
gridai di lanciare l’SOS, di chiedere aiuto via radio e di
fornire le nostre coordinate. Mi ascoltò, diede l’allarme e
fortunatamente un altro yacht, presente nelle vicinanze,
venne in soccorso. Grazie a Dio era governato da «gente
di mare». Si dispose sopravento, evitando la collisione
per effetto del vento e della risacca generata dalle onde.
Mi affrettai in prua, lanciai una cima e l’assicurai al
verricello. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Nella fretta e
incoscientemente non avevo neppure indossato il
giubbotto di salvataggio. Se fossi finito in mare per me
sarebbe stata la fine. In ogni caso l’operazione di
aggancio riuscì bene, ma l’avventura non era finita,
rimorchiare una barca in un mare in tempesta non è
52
semplice. La sorte oltretutto continuava a non essere
favorevole. All’improvviso la cima, in trazione, subì uno
strattone rabbioso che sradicò il verricello, aprendo uno
squarcio sopra la prua. A quel punto non c’era più alcuna
possibilità di rimorchiare l’imbarcazione con il rischio
d’imbarcare acqua e affondare. Iniziai a pensare di
trasbordare e metterci in salvo sullo yacht e abbandonare
al proprio destino la nostra barca. In un barlume
disperato, attivai un ultimo tentativo di messa in moto.
Il motorino di avviamento gracchiò una volta, gracchiò
una seconda volta, e… e incredibilmente avvenne il
miracolo: il motore destro ripartì! Ci abbracciammo, ci
baciammo. Gianna, stavolta, piangeva per la gioia.
Eravamo tutti commossi. Ripresi il controllo
dell’imbarcazione, anche se con un solo motore e con
tutte le difficoltà del caso di riprendere la rotta in quelle
precarie condizioni verso la baia protetta di Porto
Vecchio. Dopo molte ore di sofferta e lenta navigazione,
finalmente giungemmo in porto. Fu una grande
drammatica esperienza e una maturazione del carattere.
Ciononostante navigare è stata e resterà la mia passione.
Avere una propria barca, decidere quando e dove
andare, senza preavviso, liberi, senza vincoli, alla ricerca
di baie accessibili solo dal mare e possibilmente deserte,
navigare affrontando l’imprevedibilità dei venti e dei
cambiamenti improvvisi del tempo e conseguentemente
del mare è stato per me scuola di vita e ricarica naturale
di adrenalina allo stato puro. Considero ancora
impareggiabile l’emozione che si genera nelle fantastiche
attraversate, specialmente quando non vedi più terra e
intravedi lontano l’orizzonte che si confonde col cielo
infinito, mentre il sole rossastro pian piano sorge dal
mare e sale verso il cielo, scompare, ricompare veloce e
raggiante, rassicurandoti per la sua presenza.
L’inquietudine che cresce, sino al momento di scorgere
finalmente l’attesa meta. Ogni navigazione è
un’emozione, l’imprevisto è sempre in agguato e
l’attenzione è d’obbligo, così come il viaggio della mia
53
vita. Il modo di agire in mare, secondo il mio
immaginario, è equivalente al modo ideale di affrontare
la quotidianità nella vita, nei viaggi, nei progetti:
consapevolezza della condizione di partenza, mentre
spesso non è certo il punto d’arrivo, nonostante piani di
navigazione, analisi delle criticità e previsioni degli
eventi. Fondamentale è la capacità di evitare le avversità
o per lo meno la convinzione di controllarle e superarle.
In ogni caso occorre reagire alle calamità degli eventi
con grinta e convinzione. Bisogna sempre crederci,
valicando e tentando l’impossibile, seguendo il cuore,
l’istinto, il vento, le onde. La barca è una metafora di vita.
Volevo vivere nuove esperienze, scoprire nuovi
«orizzonti» nel vero senso della parola, e così negli anni
pianificai navigazioni sempre più audaci: la
circumnavigazione della Sardegna, Isole Porcherol, Golfo
del Leone, Spagna, isola di Ventotene, isole Pontine,
Capri, Ischia e non solo. Dopo oltre trentacinque anni di
passione nautica e di belle avventure (a volte faticose, a
volte traumatiche), Gianna non ne poteva più della barca
e iniziò a ripetermi di cambiare hobby, di organizzare
viaggi diversi e scoprire nuove mete. Accettai l’idea di
trascorrere vacanze più tranquille ma fu una scelta
sofferta, che non mi convinse mai del tutto perché
ovviamente non sapevo se avrei potuto rinunciare del
tutto alle mie traversate, ai miei viaggi. E se sarei riuscito
a trovare un’altra «passione» che potesse soddisfarmi in
termini d’emozioni, ambizioni, adrenalina, nonché di
«esperienze e scuola di vita».
Oggi spero solo che i miei viaggi non diverranno nel
tempo solo tristi rimpianti che riaffiorano col trascorrere
degli anni, nel solo ricordo della primavera della vita,
quella della giovane età inebriante e frenetica. L’età del
volere e del fare. sogni fantastici. Sogni straordinari.
Credo che per ogni individuo, anche negli anni maturi,
sia importante continuare a sognare, sempre. Se non
sogni più, inizi un po’ a morire.
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PARTE TERZA
LA VISIONE GLOBALE
ANNI 1990-2000
CAPITOLO 16
Anticipare il futuro
«La cosa migliore del futuro è che arriva un giorno per
volta», diceva Abraham Lincoln. E nella mia storia ho
potuto toccare più volte questo fondamentale concetto.
Producemmo il primo navigatore satellitare per la Sepa e
poi per Magneti Marelli, e iniziammo a produrre le prime
centraline elettroniche e di telemetria per la divisione
«Competition», per le vetture partecipanti ai campionati
mondiali di «Formula Uno», delle scuderie Ferrari,
Renault, ed altre ancora, contribuendo con la nostra opera
e con tanto orgoglio ai successi di questi team. Un passo
per volta, come dicevamo, un giorno per volta, e ci
trovammo dritti sul tetto del mondo.
Una posizione invidiabile, ovvio, ma non certo
raggiunta per caso in quanto la strategia era precisa.
Talmente precisa che aveva anche un nome: «Vision e
Progetti». Tutto si basava sulla necessità di puntare decisi
sulla centralizzazione delle attività organizzative e
gestionali per operare in ambito europeo e sviluppare
nuovi mercati. Ma sempre mantenendo il rapporto
«Qualità e Costo» ai vertici assoluti. Con questo spirito la
crescita del Gruppo procedeva senza sosta, sia in termini
d’attività che di fatturato e redditività, con incrementi
superiori al trenta per cento, di anno in anno: così
riuscivamo ad auto-finanziare le nuove iniziative, che ci
permisero di affermarci in pochi anni a livello nazionale e
che crearono le premesse per cogliere nuove sfide e nuove
opportunità, con il potenziamento delle capacità
tecnologiche e industriali interne e sviluppi esterni
mediante progetti mirati a possibili acquisizioni ed
integrazione di target di operatori del nostro core
business.
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CAPITOLO 17
I valori e il bello della vita
Devo confessare una cosa: da studente non amavo
leggere e, terminata la scuola ancor meno. Ma, per mia
fortuna, in un giorno di relax, mi capitò di sfogliare un
libro di filosofia di Dario Bernazza che si prefiggeva di
rendere la filosofia chiara, pratica ed utile. Insomma un
libro che puntava dritto a mettere nelle mani del lettore
le chiavi per affrontare e risolvere, realisticamente, i tanti
difficili problemi del vivere.
Il titolo era «O si domina o si è dominati» e la premessa
recitava: «Dedico questo libro alla grandezza morale di
tutti coloro che per trovare e diffondere la Verità hanno
lottato, hanno sofferto, o hanno immolato la loro vita. È
esclusivo merito loro se l’uomo ha progredito e
progredisce verso la logica, verso la vera civiltà e quindi
verso una vita sempre migliore». La premessa era
accattivante e, incuriosito, lessi con interesse ed
entusiasmo. Quel libro mi ha trasportato e ha stimolato
l’invito alla riflessione sui tabù della vita ad affrontare
argomenti esistenziali, nonché a rispondere ad alcune
domande:
Che cos’è che io voglio veramente dalla vita? Qual è il
senso reale e concreto dell’esistenza? Ci sono limiti ai
miei desideri e alle mie ambizioni? È vero che, in
sostanza, ognuno vive come merita di vivere? Che cosa
fare per emergere, per affermarmi, per aver successo?
Quali sono i valori, le persone, e le cose per le quali valga
la pena d’esistere? Cosa devo fare per evitare una vita
scialba, mediocre, noiosa, insoddisfacente: una vita in
sostanza da perdente? In definitiva: Qual è il modo più
intelligente e più interessante di vivere?
Consiglio a tutti di rispondere a questi quesiti, presi in
prestito dalla lettura del libro «O si domina o si è
dominati». Certo, non è facile, ma il solo tentativo di
farlo - specialmente per i giovani - è un invito a tener ben
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presente che la vita è unica e irripetibile. E che viverla
distrattamente e rassegnatamente, è un lento e blando
sopravvivere. La vita invece va vissuta con la massima
aspirazione, motivazione e convinzione.
Spesso mi sono ispirato a queste domande per riflettere
a lungo sui veri valori della vita. Qui, ognuno trova i
propri. I miei? Sono stati e sono tuttora i «compagni di
viaggio». Ho avuto una folta schiera di compagni.
Intendo persone, animali, cose e luoghi, che ho
veramente amato e amerò per tutta la vita. I compagni
«veri», sono i compagni nati o conosciuti nel percorso
della mia vita: amici fedeli, sempre interessanti, pronti
ad ascoltarmi, a dare il meglio spontaneamente, a
rendermi sereno, a far sorridere il mio cuore, ad
infondermi la piacevolezza di vivere. Questi compagni
non mi hanno mai deluso e, sono convinto, non mi
deluderanno mai, non mi tradiranno mai e non mi
abbandoneranno mai. La loro esistenza mi ha rallegrato
e mi ha consolato sempre, e la loro vicinanza farà
riscaldare e palpitare il mio cuore.
Alcuni dei veri valori, che ritengo fondamentali, oltre
che nella vita privata, mi hanno ispirato anche nel
percorso professionale, determinando sani principi da
far capire e seguire, anche nell’ambiente lavorativo. Non
è un caso che proprio io e Marco concepimmo un breve
«documento etico» che tutti i dipendenti hanno
approvato e sottoscritto nel momento dell’ingresso in
azienda, una specie di biglietto da visita delle idee e dei
comportamenti che hanno valso all’azienda non solo
meriti imprenditoriali, ma anche la stima degli operatori
del settore.
Il documento non voleva essere un impegno legale,
bensì una linea guida di «Etica comportamentale», in cui
azienda, dirigenti, funzionari, quadri, responsabili,
impiegati, tecnici e operai ponevano fiducia,
determinando progressivamente lo stile e la cultura del
Gruppo Elem, pur sapendo che l’etica non la si può
imporre, bensì la si deve maturare nel proprio spirito.
59
Cito alcuni passaggi importanti dell’attestato: «La
direzione farà ogni sforzo per perseguire il Vero, il
Giusto, il Bello, rendendo partecipe il proprio personale
e agevolando lo sviluppo individuale, nel contesto
aziendale. In tale ottica, c’è l’impegno di tutti
nell’operare con onestà, correttezza ed etica
professionale».
«Nell’enunciato, non vi sono garanzie assolute, ma una
grande volontà costruttiva e un approccio positivo, nel
coinvolgere tutti, nell’apprendere, nel fare e
nell’insegnare a fare, con lo spirito di facilitare e
condividere le aspettative espresse, in cui la Direzione
crede fortemente e di cui terrà sempre ben conto nelle
proprie valutazioni…». Il documento fu sottoscritto
dalla Presidenza, dalla Direzione Strategica, dal
Management e da tutte le Maestranze, e credo che abbia
rappresentato e che rappresenterà ancora una guida
ispiratrice, anche in futuro, poiché i sani principi hanno
consentito e consentiranno di raggiungere con serenità
il successo, dando a maggior ragione un senso alla
«propria esistenza».
È vero, a volte si rischia di scadere nell’ovvio o nel
banale, ma il valore del «bello» deve essere un concetto
quasi assoluto. Ritengo che questo principio,
praticamente e concretamente, mi abbia spinto e portato
a sognare, volere, toccare, possedere, apprezzare le cose
belle, le più belle, possibilmente bellissime, al limite del
possibile, ma anche, inevitabilmente, le più costose. E ho
lottato e lavorato molto per conquistarle. Una forte
motivazione e una potente spinta propulsiva dei miei
sogni, dei miei progetti, dei miei viaggi.
60
CAPITOLO 18
Rimpianti, e ricerca delle origini
L’impegno ossessionante nel lavoro, per sviluppare i
progetti che man mano aumentavano, ha consentito di
raggiungere risultati impensati e insperati ma, nello stesso
tempo, mi ha fatto bruciare e sacrificare del tempo,
momenti preziosi e attenzioni particolari, che avrei
dovuto dedicare maggiormente ai miei bambini,
facendomi coinvolgere nei loro giochi, accudendoli nella
loro crescita e nei loro progressi. Purtroppo ascoltavo e
osservavo poco i miei bambini. Intanto, mentre io
lavoravo, lavoravo affannosamente, i bambini
diventavano dei bravi ragazzi, intelligenti, educati,
profittevoli negli studi, grazie anche all’attenzione e alle
cure di Gianna. Sono diventati adulti in un tempo
incredibilmente veloce.
È questo il prezzo che ho dovuto pagare. Questo è il mio
rimpianto. Rimpianto di aver dedicato troppo poco tempo
a Barbara e Marco, quando erano ancora bambini.
Altrettanto poco tempo ho dedicato a capire le mie origini
e forse è questo il motivo che un giorno mi ha spinto di
nuovo a New York. Per andare a ricercare la casa del
nonno Domenico, una caccia serrata ai luoghi dove aveva
vissuto. Trovai on line l’elenco di persone di nome
Petrone, con relativi indirizzi e residenze.
Sfogliando documenti, nell’archivio storico di Ellis
Island, scoprimmo esattamente il nome della città,
distretto e luogo, dove mio nonno visse dagli anni venti
agli anni sessanta: arrivò con la nave Aquitania della Built
by John Brown & Company con 3.232 emigranti a bordo,
partendo dal porto di Napoli, e viaggiando per un mese
alla velocità media di ventitré nodi. Mio nonno, Dominick
Petrone, giunse a New York il 20 settembre del 1920,
all’età di trentatré anni, solo col suo sogno americano.
L’emozione era altissima. Si trattava di continuare la
ricerca andando fisicamente presso l’ufficio comunale
61
anagrafico, ricercare i luoghi e gli eventuali cambiamenti
di residenza e seguire tangibilmente il percorso nei luoghi
in cui era vissuto. Assoldai anche un detective che mi fece
da guida e da interprete. Andai all’anagrafe di Newark
City, sua presunta residenza, e da un vecchio archivio una
gentilissima funzionaria, estrapolò efficacemente il
certificato di morte e l’indirizzo dell’abitazione dove il
nonno Domenico aveva trascorso gran parte della sua
vita. E man mano che mi avvicinavo al luogo e percorrevo
presumibilmente le strade frequentate da mio nonno,
l’emozione mi assaliva. Sentivo qualcosa d’indescrivibile
e di emozionante. Arrivai in una zona di contrasto
inverosimile, tra nuovo e antico. La zona era popolata da
moderni grattacieli, e tuttavia, in un’area limitrofa, c’era
ancora un residuato, vecchio e piccolo rione, con vecchie
casette indipendenti, dall’aspetto trascurato e vacillante.
Nella strada, si spostavano a piedi persone di colore.
La tristezza fu grande e non riuscii a trattenere
l’emozione. Mi chiesi com’era possibile. Perché mio
nonno, considerato un mito da mio padre, aveva
abbandonato la famiglia e gli amici per andare a vivere e
a morire lì? Ma perché? Non potevo crederci. Non
soddisfatto, percorsi a piedi un tratto di strada ed entrai in
un vecchissimo bar drogheria e chiesi all’anziano
negoziante se aveva conosciuto un certo Dominick
Petrone, che aveva abitato in quella strada.
Ci disse che lui era italo-americano e che in passato
aveva conosciuto Dominick Petrone. A suo dire era stato
un grande uomo, un amico di suo padre, italiano anche
lui. Mi indicò esattamente la casa in cui aveva abitato.
L’emozione mi assalì fino alla commozione. Non ebbi più
la forza di proseguire la ricerca e decisi di ritornare in
hotel dalla mia famiglia. Ancor oggi, quando penso a quei
momenti, mi viene la pelle d’oca. Mi piacerebbe un giorno
ritornare a New York e completare la ricerca. Scoprire
come ha vissuto in tutti quegli anni, se ha avuto una
compagna, altri figli o nipoti, come si è risolto il sogno
americano e se ne è valsa veramente la pena. Qual è stato
62
il suo sogno americano? Lo realizzò? Cosa accadde
quando l’America dichiarò guerra all’Italia? Cosa sarebbe
cambiato se non fosse mai partito? Quali sono le
motivazioni per le quali non volle o non poté più tornare
in Italia?
Curiosità non solo personali perché poi mi chiedo anche:
Cos’è successo durante la depressione economica del
1929? Chissà se c’è un’analogia, ed un ripetersi degli
eventi e della storia, per quello che è capitato e si sta
verificando drammaticamente in questi anni che
sanciscono la fine del primo decennio degli anni 2000, in
America per prima e a seguire nel resto del mondo? Crisi
finanziaria, profonda recessione o bolla salutare e
passeggera?
Se si vuole superare la crisi bisogna fare molta
attenzione ai macro-eventi, capirli per coglierne le
opportunità e per evitarne le minacce. I macro-eventi non
possono essere modificati dalle nostre scelte individuali,
ma le nostre scelte individuali devono tenerne conto, per
poter fare scelte che portano al successo piuttosto che al
fallimento della propria vita.
63
CAPITOLO 19
Petrone, quanti nomi
In relazione al mio nome è curioso constatare come in
modo naturale si è creato un clima di confidenzialità e, a
volte, di rispetto e riverenza: i miei genitori, fratelli e
parenti mi chiamano Mimmo, «Mimm». Mia moglie e
amici mi chiamano Pedro, nome d’arte di quando
suonavo il sax da ragazzo nella band «Gli Innominati» e
realizzato la card «Pedro’s Trip». Gli amici in ambito
lavorativo Domenico. A Torino i miei più stretti
collaboratori e conoscenti Petrone. A Roma mi chiamano
dottore ed in ambienti politici ed istituzionali, con più
rispetto, Presidente. Per me va bene così, come
naturalmente avviene. Sarebbe imbarazzante d’altra parte
se persone che non conosco mi chiamassero Mimm o
Pedro oppure amici e parenti col titolo di dottore o
presidente. Mi piace Pedro, «per gli amici».
64
CAPITOLO 20
Superstizione o casualità?
Il 2000 coincide con i «miei primi 50 anni», una bella
concomitanza. Io credo nelle coincidenze numeriche e
mnemoniche, sono anch’esse circostanze, motivanti, quasi
come un richiamo. Un segno del destino? Chi lo sa? Per
me un nuovo punto di partenza. Tante operazioni, per
esempio, le ho concluse nel giorno tredici del mese e
tendenzialmente cerco sempre quel giorno per fare cose
importanti. Sarò sciocco, banale o forse superstizioso?
Poco importa, pensarlo non cambia la vita di nessuno. Per
me è così, io sono nato il giorno tredici e ritengo che sia un
numero fortunato pur non credendo nella fortuna.
Il 13 aprile del 2000 fra i tanti regali ne ricevetti anche
uno fantastico, perché fu una sorta di «concessione» di
mia moglie, una Porsche 969, grigio metallizzato, un’auto
laboratorio sulla quale la casa di Stoccarda decise di
investire tutto il proprio know how in fatto di elettronica,
meccanica e design. All’epoca era l’auto più avanzata e
veloce del mondo, un pezzo rarissimo che curai e coccolai
gelosamente per anni e che su di me aveva un effetto
strano: quando la guidavo mi sentivo più giovane, anzi
giovanissimo; provavo la stessa sensazione di quando
avevo 18 anni e viaggiavo con il mio Innocenti spider
rosso fiammante, la mia prima passione.
Chissà se a Stoccarda sarebbero fieri di questo paragone:
il loro missile con motore boxer biturbo da 400 Cv, la loro
sofisticatissima trazione integrale gestita da computer, i
mille controlli elettronici per tenere in strada questo
laboratorio viaggiante paragonati a una spiderina con
motore anteriore 4 cilindri in linea di 948 cc da 43 Cv. Ma,
nelle auto, come nella vita, quello che conta sono le
emozioni nel possedere «cose belle». E qui non si discute.
65
CAPITOLO 21
Il 2000
L’anno 2000 fu per me impetuoso. Presi coscienza del
cinquantesimo anno di età e mi resi terribilmente conto di
come era passato velocemente il tempo. Non potevo
crederci. Pensavo che inevitabilmente stavo invecchiando,
e mi venne una gran voglia di dimostrare che ero solo
all’inizio del mio percorso. Da quel momento diventai
ancor più irrequieto, esigevo di più da tutti e da me stesso,
il mio motto divenne «know more, do more, be more», e
volevo fare tutto più in fretta.
L’inizio del nuovo millennio coincise con l’inizio di
un’importante nuova svolta: l’evoluzione della Elem, da
semplice produttore di piastre elettroniche ad una realtà
capace di progettare prodotti e sistemi complessi,
avviando un processo di sviluppo, procurando nuove
capacità, con operazioni di acquisizioni. Iniziarono così i
primi progetti per la costruzione del Gruppo Elem, con
l’obiettivo di aggregare aziende specializzate e focalizzate
sul core business, dando vita alla prima Business Unit: la
Elem Sistemi, società indirizzata alla «Ricerca & Sviluppo,
alla Progettazione, all’Ingegnerizzazione e alla
Produzione di Sistemi Elettronici».
Una prima partecipazione in altre aziende venne
realizzata nella società Axis, spin-off di ingegneri,
progettisti, inventori della SEPA, veri e propri guru
d’elettronica, esperti in tecnologie militari e satellitari, che
avevano già progettato ed ingegnerizzato il primo
navigatore satellitare, il Route Planner, prodotto dalla
Elem e commercializzato dalla Magneti Marelli.
Decidemmo con gli ingegneri-progettisti-azionisti
dell’Axis di dar il via ad un progetto innovativo, con
l’integrazione e la convergenza di quattro tecnologie:
Microcomputer, Gps, Gsm, CanBus, realizzando il primo
sistema satellitare per la gestione delle flotte di mezzi
pesanti E-Where, in concorrenza con i sistemi satellitari
66
della blasonata Viasat allora di proprietà di Seat (Telecom)
e Magneti Marelli (Fiat). In ottica di aumentare le nostre
capability progettative e produttive, di incrementare le
risorse operative e di creare i presupposti per poter
realizzare e produrre nuovi prodotti e sistemi,
acquistammo un altro stabilimento, in Via Aosta 22,
proprio innanzi al primo complesso, con l’idea
predominante di suddividere e ampliare le competenze.
Sviluppammo il progetto in meno di sei mesi!
Delegai al Signor Carlo Suozzi la direzione dei lavori.
Lui pianificò la road map di tutte le attività previste con la
massima diligenza ed efficienza: progetto, licenze e
permessi, opere murarie, infrastrutture tecnologiche,
insegne, arredamenti, layout, logistica dei trasferimenti,
e quanto altro. Furono rispettati i tempi grazie al
pragmatismo ed alla concretezza del caro e compianto
Suozzi, che purtroppo scomparve nel 2007. Lo ricordiamo
ancora con affetto. In tempi record iniziammo a produrre
ed assemblare, sulle nuove linee, i navigatori satellitari
Route Planner, i localizzatori per Logosystems e
successivamente i moduli Connect e i moduli
Infotelematici per la Magneti Marelli.
Fu la pietra miliare di un nuovo cambiamento, la svolta
verso l’imponderabile, un mutamento del progetto
originario, un’evoluzione che portò cambiamenti
sostanziali alle prospettive di crescita, creando nuove
ambizioni e aspettative. L’origine del progetto New
Evolution. In occasione della cena di Natale con le
maestranze, ci fu anche l’inaugurazione ufficiale del
nuovo stabilimento con molti ospiti: clienti, fornitori ed
amici. Un’occasione per confermare strategie future,
ringraziare e congratularmi con tutti coloro che avevano
collaborato e consentito, con successo, al raggiungimento
dei primi importanti obiettivi.
Ecco il discorso della serata, Lo voglio riproporre perché
secondo me condensa alla perfezione in concetto di
azienda diversa, familiare per certi aspetti. «Desidero
congratularmi con lo staff che ha organizzato la festa del
67
22 dicembre e ringraziare tutti coloro che hanno aderito:
maestranze, amici, clienti, fornitori. Vorrei ancora
evidenziare che con l’avviamento del nuovo
insediamento produttivo della Elem Sistemi, inizia per il
Gruppo un Grande Progetto, un progetto di cambiamento
strategico. Un progetto che trasforma le nostre attività da
produttori di schede elettroniche, a produttori di Sistemi.
Il mercato e i nostri Clienti ci chiedono forniture non
solo di sottogruppi, ma anche di prodotti e sistemi
complessi nel settore automobilistico e della telematica.
Per intenderci, terminali Internet per auto e terminali
Internet per la casa. Questo comporterà un maggiore
impegno nella progettazione, nell’ingegnerizzazione e
nella produzione; il che vuol dire incremento e
potenziamento delle risorse umane, strutturali ed
economiche. Una grande opportunità operativa che
coinvolge clienti, fornitori e maestranze. Un impegno
nello sviluppare nuovi prodotti ad alta tecnologia da
produrre a Venaria in Elem Sistemi. Da sempre, sono
convinto che prodotti ad alta tecnologia si possano
produrre in Italia in competizione con altri Paesi e altre
realtà, non è un’impresa facile, ma ci sono tutti i
presupposti, e sarà un successo!
Ringrazio in anticipo tutti quelli che ci aiuteranno a
perseguire questo progetto che innalzerà la bandiera del
Made in Italy. Esprimo affetto e riconoscenza a tutti i
collaboratori che hanno già contribuito a realizzare una
storia di successo industriale di oltre 27 anni. Con orgoglio
offro in dono il marchio distintivo della Elem a chi ha
compiuto nel corso dell’anno 2000 i primi 25 anni di
attività, Minuzzo Mariangela; 15 anni Milesi Luisa e i 10
anni, Astori, D’Errico, Spina, Franzoso, D’Anna.
Complimenti al Signor Barengo e al Signor Suozzi, e a
tutti i collaboratori, per la professionalità ed il gran lavoro
svolto rispettivamente per l’organizzazione dell’efficiente
staff operativo e per la realizzazione del nuovo
insediamento produttivo. Sono commosso e lusingato per
la magnifica targa commemorativa ricevuta in dono dalle
68
maestranze cui esprimo la mia massima gratitudine.
Grazie. Un caloroso abbraccio».
La targa: 22-11-2000. «In occasione dell’inaugurazione
del nuovo stabilimento produttivo le maestranze tutte
ringraziano il presidente del Gruppo, Sig. Domenico
Petrone per l’entusiasmo l’impegno ed il coraggio
nell’aver affrontato e vinto le difficili sfide che hanno
portato nel corso degli anni la Elem ad un incessante
sviluppo. Oggi con orgoglio e professionalità sono tutti
pronti ad iniziare il ‘grande progetto’ con la volontà di
essere ancora una volta protagonisti di un nuovo
successo. Grazie al nostro presidente ed insieme sempre
più avanti. Le Sue Maestranze».
69
CAPITOLO 22
La missione aziendale
Non dobbiamo mai dimenticare che un’azienda è
un’organizzazione industriale strutturata con unità
operative specializzate ed orientate al Cliente. E la
missione di chi la dirige deve sempre consistere
nell’adeguarsi rapidamente alle esigenze della clientela e
alla loro evoluzione. È questo il segreto. Non è un caso
che il nostro successo dipende e dipenderà dalle
conoscenze tecnologiche del nostro staff e di tutti i nostri
uomini, dalla qualità e rapidità di risposta e dalla volontà
di migliorare e sviluppare le nostre capacità. Questi
concetti a volte sono anche usciti dalla mia azienda:
qualche giornalista più scaltro degli altri ha afferrato il
concetto. E ne ha fatto un servizio per il suo giornale. Ne
cito uno per tutti: il titolo era «Quando i progetti
diventano realtà». E l’articolo era questo:
«È un 2001 pieno di promesse e rinnovati orizzonti
quello che si è aperto per il Gruppo Elem che ha
festeggiato i ventisette anni d’attività, caratterizzati da un
trend estremamente positivo, confermando la tendenza
della New Evolution, nel senso che rafforza le attività e la
specializzazione del Gruppo con le società Axis ed Elem
Engineering, che si occupano rispettivamente della R&S,
della progettazione e dell’industrializzazione di prodotti
e sistemi elettronici, inserendosi in una dimensione
proiettata verso un futuro ricchissimo di possibilità e di
prospettive. Nel settore dell’aftermarket, ad esempio, con
progetti avanzati, come quello delle black-box per la
localizzazione, controllo e la gestione delle flotte. Il ciclo
viene così completato e l’anello si chiude: dalla fase della
progettazione dell’hardware elettronico, alla produzione
di prodotti finiti. E qui sta la novità, il salto ad una nuova
era per il Gruppo Elem che si evolve e si rinnova nel
proprio interno, trasferendo alla Elem Sistemi, società del
Gruppo che si è sempre occupata di ricerca e sviluppo e
70
industrializzazione del prodotto, una nuova identità ed
un nuovo ruolo. Ma anche una nuova sede: quella
progettata nell’area prospiciente l’attuale struttura e di cui
si sono conclusi i lavori di realizzazione. Si tratta di un
nuovo complesso industriale di ulteriori quattromila
metri quadrati che, affiancandosi alla struttura attuale,
costituirà l’insediamento di una vera e propria cittadella
tecnologica alle porte di Torino (un comprensorio di oltre
ventimila metri), autonoma ed autosufficiente nei settori
Automotive, Domotica e Technology Information.
Obiettivi importanti che il presidente Domenico Petrone
si era prefisso di raggiungere e che ora diventano una
realtà operativa e che premiano l’impegno e la costanza
di un’azienda che ha saputo focalizzare il proprio core
business con una politica attenta alle giuste scelte ed al
cammino da percorrere: scelte di partner di prestigio,
diversificazione dei settori operativi ed estrema flessibilità
dell’azienda per adeguarsi con sempre maggiore efficacia
ai mutamenti e all’evoluzione del settore della subfornitura elettronica. Fino al ruolo di global supplier che
concretizza un impegno nelle aree di attività che si sono
progressivamente estese dal settore dell’elettronica
industriale a quello dell’informatica, dalle telecomunicazioni all’automotive ad alto contenuto tecnologico.
Da sottolineare anche il recentissimo annuncio di un
accordo con un’importante azienda per la realizzazione
di prodotti nel settore della domotica. Il futuro della webTV (Home Station), degli sviluppi e della diffusione
inarrestabile di Internet, passa anche nel complesso
industriale di Venaria. Proprio ad Internet il Gruppo si sta
rivolgendo per un’azione di comunicazione esterna nei
confronti della richiesta di sistemi OEM, ma anche per la
ricerca e la selezione del personale che, come anticipato
alla stampa dal presidente Petrone, verrà a contribuire
allo sviluppo del nuovo polo aziendale.
Potevano sembrare sogni nel cassetto di un’azienda
silenziosamente consolidata nel sofferto settore elettronico, e invece l’annunciato balzo del fatturato (da dieci a
71
quaranta milioni di euro entro il 2004) diventa oggi una
scommessa sempre più vicina alla realtà. Una realtà che
sviluppa il processo di trasformazione dell’azienda di Via
Aosta. Dalla fase di subfornitura nella produzione di
schede elettroniche a quella di fornitura di prodotti e
sistemi OEM (Original Equipments Manufacturing). Una
verticalizzazione totale fortemente voluta e tenacemente
perseguita con il potenziamento delle aree produttive
frutto degli importanti accordi conclusi con aziende
leader di tutto il mondo. Il futuro dell’industria
piemontese degli anni Duemila passa anche da qui. Il
resto è storia: una storia iniziata ventisette anni fa con
rilevanti investimenti in risorse umane e strutturali in un
settore sempre più consistente in rapporto agli assetti
dell’economia italiana e mondiale, dal quale la Elem non
vuole essere esclusa».
72
PARTE QUARTA
LA NUOVA ERA
CAPITOLO 23
Il sogno diventa realtà
La grande novità di quel periodo fu la bella sorpresa che
mia figlia Barbara, dopo otto anni d’esperienza in qualità
di stilista nel settore della moda, dopo aver verificato che
quel mondo non era poi così bello e luccicante come
appariva, decise di prendere casa a Torino con Umberto,
suo imminente sposo, e di lavorare in Elem Group, dando
man forte nell’area amministrativa e nelle aree di
organizzazione delle attività produttive. Incredibile ma
vero: il mio desiderio originale, su cui ormai non contavo
più di tanto, all’improvviso si realizzò, creando anche le
premesse alla decisione di Marco che mi diede notizia che,
completata la laurea in Giurisprudenza, avrebbe
conseguito alla Bocconi di Milano un master in strategia
aziendale, e che in seguito sarebbe anche lui sopraggiunto
in Elem Group, con l’intento di rafforzare la «squadra»,
in considerazione dei presupposti sempre più motivanti
che maturavano, tali da richiedere nuove professionalità
anche nel comparto giuridico ed organizzativo.
Queste circostanze hanno ulteriormente aumentato in
me le motivazioni, la voglia e la necessità di far crescere il
Gruppo, sia a livello nazionale che internazionale.
Lavorare con le persone che ami è la cosa più importante
e ti regala una motivazione fortissima, la classica marcia
in più. Non è un caso che proprio in quel periodo scattò in
me la molla della necessità di inventarsi qualcosa di
nuovo e scatenante. Non era più accettabile una crescita
solo nel comparto produttivo, anche se pur importante e
qualificante. Era opportuno allungare la filiera e la catena
dei valori, occorreva per accelerare la crescita acquisire
nuovi mercati e aggregare nuove competenze. Iniziai così
un’attenta ed ambiziosa analisi e considerazioni
industriali ed economiche, valutando aziende in difficoltà
in via di dismissioni, prime tra tutte la Olivetti Computer
di Scarmagno, successivamente i due stabilimenti
75
Ericsson di Marcianise e Pagani, la Bull di Caluso e
persino la grande Magneti Marelli Divisione Elettronica.
Tutte registrarono situazioni organizzative e finanziarie
drammaticamente critiche.
Dedicai molto tempo e massima attenzione, studiando
piani industriali di integrazione e possibili recuperi di
impianti e competenze tecnologiche, in sinergia con
l’esperienza, le conoscenze e l’eccellenza che avevamo
raggiunto con l’Elem Group. La volontà era quella di
concludere almeno un’operazione, ma la situazione ed il
contesto non erano a me favorevoli. In quel periodo c’era
sul mercato un «faccendiere» che «rastrellava di tutto e
indipendentemente da tutto». Rapace e veloce, stipulava
accordi non ortodossi e poco etici, agglomerando aziende
disastrate ed obsolete in un chiacchierato Gruppo Finmek.
Politici e capi d’azienda diedero molta fiducia e tanti
«soldoni» pur di liberarsi di aziende passive e di
assecondare alcuni sindacati sprovveduti, nonostante
fossero più che evidenti diversi segnali negativi.
Tardivamente capirono la drammaticità di scelte
scellerate, purtroppo solo molti anni dopo, quando le
notizie scandalose riguardanti quella faccenda
comparvero in modo dirompente su tutti i giornali.
Scorrettezze ed incapacità devastanti provocarono il
collasso finanziario, mettendo sul lastrico migliaia di
persone e dissolvendo nel nulla oltre mille milioni di euro.
Il risultato fu che le più grandi aziende italiane nel
settore elettronico, che avrebbero potuto riprendersi
perseguendo con altre strategie e operando in nuovi
contesti, si sgretolarono generando nel contempo
opportunità per la Elem, che rimase una delle poche
aziende italiane a produrre tecnologie sofisticate in
termini profittevoli.
La grande opportunità emerse nel 2002 con Viasat,
proprio per le difficoltà della Finmek che non riusciva a
fornire prodotti affidabili nei costi e nei tempi richiesti.
Così mi venne proposto di rilevare la società romana.
Viasat, grazie alle tecnologie di Telespazio, aveva
76
inventato e stava commercializzando in grandi volumi il
primo antifurto satellitare orientato al mercato consumer,
strategia realizzata tramite la joint-venture tra Telecom e
Magneti Marelli, con l’obiettivo di conquistare il mercato
europeo.
In poco tempo Viasat era diventata leader di mercato, e
tuttavia la sua situazione economica, organizzativa e
commerciale era un vero disastro. Dalle mie analisi e
considerazioni intuitive, mi resi subito conto che la
situazione, se pur drammatica, era recuperabile
nonostante le opinioni negative dei consulenti e dei
massimi esperti che coinvolsi nella possibile operazione,
sconsigliata da molti di loro. Mi impegnai giorno e notte
e così ebbi modo di portarla a termine ugualmente,
realizzando l’acquisizione della mitica Viasat. Ero
convinto di poter ridurre ed ottimizzare gli ingenti costi
fissi e variabili, creando una notevole sinergia con la Elem,
e realizzando un progetto industriale all’insegna
dell’ottimizzazione dei comparti produttivi e progettativi
presso gli stabilimenti di Torino.
Volevo inoltre realizzare una seconda centrale operativa,
organizzare e potenziare la sede di Roma trasferendola in
una nuova location, e poi ancora riorganizzare il servizio
clienti, l’area commerciale e quella amministrativa.
Un semplice giochino elementare. Oppure no? Il
progetto prevedeva fin da subito una decisa svolta e
significativi cambiamenti organizzativi, tali da consentire
un formidabile sviluppo delle due importanti realtà
industriali, con sostanziali efficienze operative e
economiche, col fine di offrire al mercato infomobility,
maggiore competitività e velocità di realizzazione di
prodotti e servizi. Le attività del nuovo Gruppo aziendale
da me costituito si estendevano trasversalmente dalla
ricerca
e
sviluppo
alla
progettazione,
alla
ingegnerizzazione, all’industrializzazione e alla
produzione di nuovi prodotti e di nuovi servizi, sia
nell’aftermarket, sia nell’OEM, nonché ovviamente allo
sviluppo nell’area commerciale con una rete di oltre
77
milleottocento dealer, autoconcessionari e installatori.
Sui giornali comparvero molti articoli sull’operazione.
Ecco alcuni titoli: La Stampa: «Viasat punta a raddoppiare
i propri clienti da centomila a duecentomila»; Il Sole 24
Ore: «Storia di successo. Elem, da un garage all’Europa»;
Italia Oggi: «Exefin compra Viasat»; La Repubblica:
«Viasat apre a Venaria la seconda centrale operativa»;
Torino Cronaca: «Da un garage alla conquista
dell’Europa»; Quattroruote: «Viasat, il grande fratello
della Tiburtina»; Il Giornale: «La Venaria Valley partorisce
un piano per la sicurezza globale». Tra gli articoli che
meglio individuano la mia euforia e il mio orgoglio di
quel periodo, cito sopra tutti l’articolo dal titolo «Il
progetto evolutivo del Gruppo Elem-Viasat» scritto
personalmente dal Direttore di Torino Cronaca Beppe
Fossati. Eccolo:
«Quando Domenico Petrone mi confidò che stava
acquisendo Viasat, ripensai ad un pomeriggio di qualche
anno prima, ad una passeggiata nel centro di Torino con
tutte le vetrine illuminate e cariche di tentazioni natalizie.
Lui parlava e parlava dei suoi progetti, disegnava uno
scenario di aziende in grado di progettare un sistema
satellitare di protezione delle auto e delle case, di un
intreccio di segnali e di input elettronici che mi confuse.
Onestamente pensai che il mio amico era un gran
sognatore. Ricordo che gli dissi: «Perché non scrivi un
libro?». Lui il libro non lo scrisse ma, giuro, me lo raccontò
per filo e per segno. E non era un libro di fantascienza.
Oggi il progetto che aveva nella testa in quella passeggiata
è diventato una realtà. Una realtà che si chiama Viasat ma
non solo; che si chiama Gruppo Elem che vuol dire
progettazione e produzione di elettronica high tech, ma
non solo; che si chiama Venaria Valley, intesa come polo di
eccellenza dell’industria elettronica alle porte di Torino. E
potrei ancora aggiungere: ma non solo.
Diceva Henry Ford che per crescere, per non doversi
sostenere i pantaloni con una cordicella, occorre pensare
in grande. Ebbene, il mio amico Petrone ha pensato in
78
grande. Con l’acquisizione del colosso Viasat, che ha
curato come un medico paziente dai suoi acciacchi che gli
venivano da un’infanzia industriale difficile seppur
vissuta all’ombra di grandi gruppi industriali, vicino al
vero traguardo europeo. Il passo che si sta compiendo in
questi giorni con l’apertura della seconda centrale
operativa Viasat a Venaria, ad un passo appena dagli
stabilimenti dove si progettano e si realizzano i terminali,
è molto significativo. Perché raddoppia le potenzialità
invece di restringerle, perché allarga gli scenari territoriali
invece di contrarli, perché è destinato – e lo sta facendo –
a creare occupazione.
In questo nostro Paese siamo abituati da tempo agli
industriali che acquistano le aziende con il fine di
ristrutturarle. E tutti sappiamo come: si tagliano i posti di
lavoro, si valorizzano le aree e, dove prima sorgeva una
fonte di produzione e dunque di benessere, nell’arco di
qualche anno spunta una delle tante operazioni
speculative. Domenico Petrone ha il vizio dell’impresa e il
gusto della sfida. Non taglia, razionalizza certo, ma per
crescere. Lo prova la seconda centrale operativa che nulla
toglie alla sede storica di Roma, semmai la rafforza, lo
proveranno la nuova realtà che dovrà sorgere nel
Mezzogiorno d’Italia ed altri accordi che, via via,
verranno realizzati in Europa.
Viasat non è più un bambino intelligente ma gracile, è
diventato un adulto forte e capace di assolvere ai propri
compiti. E sta andando a scuola di tecnologia per
diventare ancora più forte con il suo zaino di tecnologia
pieno di informazioni satellitari che lo hanno trasformato
in un vero sistema telematico e di tante altre cose ancora,
come quella, fondamentale per garantire più sicurezza e
più protezione, o di postino elettronico visto che può farci
arrivare in auto anche messaggi, posta elettronica,
informazioni sul traffico.
Davvero un bel libro, caro Petrone. Adesso non mi resta che
aspettare un’altra passeggiata natalizia. Per sognare
ancora insieme a te. Beppe Fossati».
79
CAPITOLO 24
Fissare i paletti: principi e progetti
Il clima era elettrizzante sia per i riscontri esterni, che
all’interno delle aziende, reso ancor più motivante dalle
iniziative di Marco che nel frattempo si destreggiava
trasversalmente in tutti i comparti e reparti per raccogliere
impressioni, suggerimenti e progetti di miglioramento sia
nel contesto Elem che Viasat, affrontando argomenti che
poi riportava a conoscenza di tutti scrivendo articoli sul
nuovo Magazine Viasat-Elem Group. Marco, nel
frattempo, come detto, si era laureato a Torino con una
tesi dal titolo «Servizi Internet. Struttura di mercato e
concorrenza», quasi lo stesso giorno in cui avevo siglato,
sul finire del 2002, l’acquisizione di Viasat, e l’anno dopo
aveva concluso con successo a Milano il master alla
Bocconi, specializzandosi con un’approfondita ricerca dal
titolo «Analisi del settore antifurto, assistenza e
navigazione satellitare».
Con il mio massimo orgoglio e felicità, entrò in azienda,
iniziando ad occuparsi con Barbara dell’organizzazione
delle Business Unit industriali, e più in particolare della
Elem. Si distinse subito per il suo modo affabile di
relazionarsi con le maestranze, in modo intelligente,
discreto ed umile, nonché con una grande voglia
dichiarata di lavorare per imparare da chi l’azienda
l’aveva vista nascere, contribuendo alla sviluppo della
stessa. Tra i primi progetti che si propose, ci fu quello
volto al miglioramento della comunicazione trasversale
tra le Unità operative di Torino e Roma, ed in particolare
alla divulgazione a tutte le aziende del Gruppo dei sani
principi etici che avevano contribuito a fare grande la
Elem, usando sue parole e un nuovo modo di comunicare
ed esprimere meglio i consolidati concetti e valori:
- Principio dell’apprendere: «Impegno a sviluppare
nuove idee e nuovi prodotti; a ricercare nuovi mercati e
nuovi clienti; a migliorare continuamente la qualità del
80
processo operativo e gestionale; a partecipare con volontà
e convinzione, ad una rapida crescita professionale e
tecnologica nel contesto del proprio core business».
- Principio del fare: «Impegno a realizzare attività di
sviluppo con piani operativi innovativi e per
concretizzare sul piano materiale tutti i miglioramenti
acquisibili attraverso il principio dell’apprendere».
- Principio dell’insegnare a fare: «Impegno nel trasferire
agli altri membri della squadra le proprie conoscenze ed
esperienze per farne un bene collettivo».
- Principio del vero: «Impegno a perseguire sempre il
vero, evitando di dedicare tempo e risorse perseguendo
realtà illusorie manipolate e manomesse da millantatori e
avventurieri».
- Principio del giusto: «Impegno a perseguire ciò che è
giusto, rifiutando la menzogna, la calunnia e l’invidia; a
riconoscere le capacità e il valore degli altri,
promuovendone il riconoscimento e la valorizzazione».
- Principio del bello: «Impegno a sviluppare prodotti e
servizi, non solo qualitativamente utili ma anche piacevoli
e appaganti alla vista in termini di originalità e bellezza».
Ciò detto, quando ci si lascia andare alla stesura di
questi concetti chiave non bisogna mai ignorare il fatto di
quanto poi possa essere difficile trasmettere questi stessi
concetti a chi lavora con noi. «I principi enunciati – spiegò
Marco in quell’occasione - però vanno difesi con le unghie
e con i denti e sono spesso sulla bocca di chi ha
partecipato alla formazione con una dura elaborazione
quotidiana, sono il risultato di un processo che attraverso
una serie di prove ed errori è giunta alla definizione di un
giusto modo di pensare utile per membri della squadra,
clienti, dealer, agenti, collaboratori, fornitori e stakeholder
in genere. Di volta in volta spenderemo dunque qualche
parola in più per ricordare il significato di quei valori che
da oggi non dovranno più caratterizzare la sola Elem ma
l’intero contesto che interagisce con il Gruppo ViasatElem». Finalmente non ero più solo. I miei figli
lavoravano con me. Un altro sogno era diventato realtà.
81
CAPITOLO 25
Gruppo ELEM: Trentesimo anniversario
«Vivete per il presente, sognate per l’avvenire, imparate
dal passato». Ma esiste il presente? Io credo di no. È
evidente che subito dopo un evento, il presente diventa
subito passato, tutto scorre velocemente. Perché queste
considerazioni? Penso che un pò di filosofia possa far
capire meglio le idee che incoscientemente affiorano nella
mente e che generano nuovi stimoli per l'esistenza. La mia
vita d’altra parte parla un pò da sola: per la Elem la storia
inizia nel 1973 in un laboratorio elettronico di via
Pacchiotti a Torino. È l'inizio di un percorso in salita, di
duro lavoro ma anche di successi e soddisfazioni; un
viaggio che ha consentito di dar vita a un grande Gruppo
industriale.
La mia primogenita Barbara non era ancora nata, ma già
si agitava nel pancino di Gianna, mia moglie, mentre
lavoravamo in quel piccolo laboratorio dove si montavano
le prime «schedine elettroniche» per la Comau-Fase e per
la Fiat, proprio nel periodo in cui si diceva che l’elettronica
non avrebbe avuto un futuro: «a intrerà mai… con dui relè
a sfa tutt…». Nelle ore serali e notturne studiavo
l’elettronica e sognavo un grande laboratorio di Ricerca e
Sviluppo, la Elem Progetti, dove «concepire» la
realizzazione di tanti piccoli sogni. Questi pensieri
correvano nella mia mente nella serata primaverile
dell’aprile 2004, in occasione del festeggiamento del
trentesimo anniversario del Gruppo Elem.
Si tenne nell’incantevole salone delle feste del Castello
di Stupinigi (residenza della Famiglia Reale dei Savoia)
con la partecipazione entusiasta di mia moglie Gianna, i
miei figli Barbara e Marco e tanti amici, collaboratori e
partner. Un evento di altissimo livello per la scenografia
spettacolare, l'organizzazione e l'entusiasmo. Tutto
perfetto: dallo svolgimento della cena agli intermezzi,
dalle premiazioni dei collaboratori allo spettacolo
82
organizzato per il dopocena. Emozionatissimo, rivolsi dal
palco un breve discorso, ma più che con le parole
esprimevo felicità ed emozione con lo sguardo per
l’importante significato della serata. I miei occhi dicevano:
«Sono felice di festeggiare un importante traguardo del
mio Gruppo, grazie anche al contributo di tutti i
collaboratori che hanno creduto in me e nell'Azienda. Sono
felice ripensando al viaggio intrapreso, dai primi inizi, in
una garage di pochi metri quadrati, fino agli ultimi
importanti traguardi raggiunti». Un’emozione travolgente
che contagiò tutti i partecipanti. È bello festeggiare per il
successo ottenuto, ma la vera soddisfazione nasce dalla
consapevolezza di averlo cercato, inseguito, di avere
faticato e lavorato molto per ottenerlo. Un bel sogno
diventato una grande realtà.
Per un momento fissai ipnotizzato gli occhi di Lindo e
Maria, i genitori di Gianna, e ripensai a mio padre e mia
madre che purtroppo non c’erano più. Eppure «sentivo»
la loro presenza, come se fossero seduti in prima fila. Mia
mamma che dice a papà: «Titill, si vist Mimm...!» (Franco,
hai visto Mimmo…!). Da quella sera la storia del Gruppo
Elem è diventato magicamente la storia di tutti noi, pronti
a partecipare al «nuovo viaggio», consapevoli che «il bello
deve ancora arrivare». In occasione di quell’evento, avevo
divulgato pubblicamente il sogno, il progetto, il percorso
da seguire. Da quel momento «il sogno» si è avviato verso
un nuovo ciclo e un nuovo viaggio.
Un progetto evolutivo apprezzato e metabolizzato da
tutti. Quella festa è stata anche l'occasione per consegnare
un Premio alla Carriera ai miei più stretti collaboratori per
celebrare la fiducia reciproca, nata nei lontani tempi della
fondazione del Gruppo. Ricevetti a mia volta una targa
molto divertente: «Al nostro Presidente IN: perennemente
in-soddisfatto, in-stancabile, in-contentabile, in-saziabile,
ma per noi, in-sostituibile, in-traprendente, in-vincibile, incontentabile. Con affetto e profonda stima da tutti i suoi
collaboratori della Elem Group e Viasat che le augurano
nuovi successi in-sieme».
83
CAPITOLO 26
Evolution IPO. Viasat Group
Nei primi mesi del 2006, Gianfilippo Cuneo, cofondatore della Bain & C. mi chiese spontaneamente un
incontro, per prospettarmi un interessante scenario di
sviluppo di Elem Group, avvalendosi della collaborazione
del fondo Synergo. Questo fondo, attraverso operazioni
di leveraggio, finanziava società esemplari nate da realtà
imprenditoriali e predisposte al cambio generazionale coi
propri figli, o a strutturare l’azienda affidando allo staff
manageriale compiti gestionali, e ancor meglio definire
strategie di sviluppo con piani triennali in un contesto
internazionale.
Gli obiettivi, oltre allo sviluppo delle capacità interne,
prevedevano anche sinergie con altri gruppi industriali,
aprendo nuovi canali, potenziando la rete commerciale,
creando nuovi prodotti, utilizzando il network e le
storiche relazioni industriali e finanziarie di Synergo. Le
prospettive furono attraenti ed interessanti. Musica per le
mie orecchie. Sarebbe stato da sprovveduto non
approfondire proposte ed ipotesi da farsi con esperti
consulenti. In ogni caso lo studio avrebbe costituito un
interessante esercizio utile per riflettere su possibili
scenari futuri. Dichiarai la mia disponibilità ed insieme a
Marco avviammo le consultazioni, con analisi dei bilanci
dei tre anni precedenti, pre-chiusura dell’anno in corso,
business plan dei futuri anni e quant’altro. Trascorsero
così alcuni mesi, ricevendo idee, proposte ed offerte
economiche molto allettanti.
Altri eventi mi convinsero ancor di più sull’opportunità
di finalizzare intese strategiche con altre realtà industriali
e finanziarie, al fine di rafforzare il Gruppo Elem e
realizzare una realtà dalle dimensioni mondiali. Ituran,
società israeliana, quotata al Nasdaq di New York, leader
nel settore dei servizi a tecnologie satellitari, operante in
Usa, America latina, Asia e propensa allo sviluppo del
84
mercato europeo, mi presentò un progetto d’integrazione
e manifestò l’interesse ad acquisire il cinquantuno per
cento di Viasat con una proposta economica allettante. Nel
frattempo, conobbi l’amministratore di ABM Finance,
società di consulenza e di M&A, il quale mi sconsigliò
fermamente di accettare proposte «capestro» di quel
genere, poiché, a parer suo, mi avrebbero fatto perdere,
immancabilmente, la padronanza ed il controllo del
Gruppo.
Questo parere era fondato sulla ragione che chiunque
avesse terminato l’operazione, certamente, l’avrebbe fatto
per convenienza e a proprie condizioni favorevoli, e
quindi a valori sensibilmente inferiori a quelli di mercato.
Alternativamente, suggerì interessanti prospettive e
l’opportunità del momento per un rapido percorso di
quotazione in borsa con un progetto di IPO. La
circostanza consentiva di monetizzare in modo allettante
una quota da destinare all’imprenditore e ottenere dal
mercato una valorizzazione di tutte le società del Gruppo,
con meccanismi di multipli dell’Ebitda superiore a
proposte proveniente da fondi o società già quotate.
Di ciò, ebbi la piena conferma a seguito dello studio e
delle valutazioni da parte di esperti analisti delle più
importanti banche italiane. Tutte concordavano.
Ricevemmo pareri favorevoli e prospettive di valori
economici decisamente superiori alle prime proposte,
anche in considerazione del particolare momento
favorevole e d’euforia di tutte le Borse mondiali. Pertanto
presi la decisione di procedere e correre in tal senso.
Nel mese d’ottobre affidai l’incarico d’advisor all’ABM,
avviando l’ambizioso progetto «Evolution IPO», con
l’obiettivo di terminare l’operazione già nell’aprile del
2007. Credo che questa decisione entrerà nella mia storia,
nel bene e nel male, come un fatto d’eccezionale portata,
tale da dar seguito ad una serie di eventi evolutivi che in
futuro trasformeranno completamente strategie,
dimensione, perimetro, visibilità e approcci operativi di
tutto il Gruppo.
85
CAPITOLO 27
La profanazione del tempio dell’elettronica
La prima fase dell’operazione mi obbligò a ridisegnare
la struttura organizzativa e industriale, instaurando una
collaborazione con le banche Sanpaolo-Imi, Unicredit e
Intermonte, alle quali accordai il compito di Sponsor e
Global Coordinator nell’ambito della quotazione della
società presso il Mercato Telematico Azionario di Borsa
Italiana nel settore Star.
Pur esprimendo considerazioni lusinghiere per l’attività
ed i risultati conseguiti in oltre trentatré anni di successo,
chiesero di revisionare totalmente l’organizzazione
manageriale, strutturandola con nuove competenze
amministrative e commerciali, nominando un nuovo
CDA strategico ed un team capace di esprimere ed
incrementare ulteriori capacità, garantire il progetto IPO
nei termini prefissati e dar manforte all’imprenditore.
Affidai alla società Replay la stesura dei piani, la
riprogettazione dell’organizzazione strategica ed
operativa, e la costituzione dell’holding capogruppo,
trasformando l’Exefin in Viasat Group Spa, a cui furono
assegnate e centralizzate tutte le funzioni comuni delle
società del Gruppo, assumendo ed inserendo nel
contempo nuove figure professionali e nuove competenze, indispensabili per il conseguimento del progetto.
Avviammo così il processo di quotazione, con una road
map che comprendeva una lunga serie d’attività
estenuanti e massacranti da concludersi nell’arco di sei
mesi: incontri con le banche, nomine legali, chiusura
bilancio civilistico, nomina revisore e certificazione
bilancio 2006 e dei tre anni pregressi, assemblee
straordinarie, incarico a società di comunicazione,
incontro con Consob e Borsa Italiana, aggiornamento del
Prospetto Informativo e del Piano Industriale, richiesta
formale per la quotazione, domande e risposte ai quesiti
della Borsa e della Consob. Fu un momento molto duro.
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A titolo d’esempio, la sola stesura del Prospetto
Informativo, curato in prima persona da Marco in
collaborazione con gli studi legali Chiomenti, Allen &
Overy e da ABM, richiese oltre cinque mesi d’estenuante
impegno con oltre tremila ore di lavoro, sacrificando molti
giorni prefestivi e festivi. L’inconveniente di quel clima
fibrillante lo subì in generale tutta l’organizzazione. Le
riunioni, i piani operativi, i cambiamenti, le attese, i ritardi
e i tentativi di recupero furono tormentanti. Per fare tutto
nei termini, ci avvalemmo di risorse esterne, sostenendo
costi per oltre due milioni di euro. Impressionante,
assurdo, ma vero. Pareva che ne valesse la pena.
Struttura ed organizzazione ne risentirono. Reception,
sale riunioni, uffici, officina e magazzini della «Inviolata
Elem», furono violati ed usurpati, giorno dopo giorno da
oltre «quaranta consulenti», che «volevano conoscere di
tutto senza capirne molto del nostro processo».
L’impressione era quella che stessimo patendo
un’invasione di campo. Pareva che stessimo subendo «la
profanazione del tempio dell’elettronica da parte dei
Filistei». L’obiettivo principale fu quello di fare tutto
velocemente. Eppure, più ci agitavamo per far prima, più
aumentava il ritardo. Probabilmente sbagliammo
nell’approccio, non eravamo capaci a fare bene e veloci,
tanto è vero che mancammo davvero tutte le tempistiche,
inconsciamente cumulando ritardi che non riuscimmo più
a recuperare.
Nonostante tutto, anche se in affanno, portammo a
compimento tutto il lavoro, rispondemmo ad oltre cento
quesiti richiesti dai funzionari di Borsa. Ricevemmo nel
mese di giugno apprezzamenti positivi dagli Analisti
Istituzionali e dal direttore generale della Consob.
Sembrava ormai fatta. Festeggiammo persino con grande
euforia con tutto lo staff al prestigioso ristorante Aleph di
Roma per la quasi conclusione del progetto. Non
bisognerebbe mai cantar vittoria prima del tempo. E
infatti successe l’imprevedibile. Un machiavellico
chiarimento richiesto da una funzionaria della Consob
87
proprio negli ultimi giorni di luglio, nell’imminente
periodo feriale, ci mise in difficoltà e ci fece perdere
l’attimo fuggente.
La lunga stesura di prospetti e dettagli della lunga lista
dei «crediti incagliati», causò il rinvio del Prospetto
Informativo nel mese di settembre. Rinvio che si rivelò
fatale. Nel mese di agosto avvenne la prima avvisaglia di
una catastrofe finanziaria di portata mondiale. Negli USA
scoppiò la crisi dei fondi subprime, con il conseguente
primo crollo di tutte le Borse mondiali. La conseguenza
fu progressivamente disastrosa per quasi tutte le società
già presenti a listino. Crollo delle quotazioni e
praticamente il blocco di ogni iniziativa IPO in corso.
Avvenne una coincidenza di microeventi, eventi e
macroeventi di portata eccezionale. Difficoltà e tematiche,
emerse in alcuni reparti, problematiche di normale
amministrazione, affrontabile in tempi e termini
accettabili, che potevano rientrare nelle classiche routine,
recuperabili con opportune azioni correttive e progetti di
miglioramento. Ma nel bel mezzo della navigazione,
c’imbattemmo in una tempesta d’inaudita potenza.
Accadde proprio ciò che spesso raccontavo nelle mie
metafore. Un macro evento fenomenale al quale non si
poteva opporre resistenza. Era impossibile conoscere in
anticipo dimensione e durata di quella tempesta che si
stava per scatenare su tutte le Borse mondiali.
88
CAPITOLO 28
Di nuovo nella tempesta
Si capiva la provenienza e la direzione del vento ed il
verso delle onde, e si poteva solo confusamente intuire
cosa fare. Si poteva decidere di tornare indietro al punto
di partenza, buttando in mare tutto il superfluo,
vanificando il lavoro fatto sino a quel momento, oppure
rallentare la velocità e dirigere la prua in direzione e a
favore del vento, cercando di prendere le onde di
«mascone» e non frontalmente, cercando di assecondare e
cavalcare le risacche.
L’intuito, il buon senso, e l’esperienza nella navigazione
erano le speranze del momento. Naturalmente decisi di
proseguire, adagio, con tutte le cautele e il buon senso,
non avevo nessuna intenzione di rinunciare alla meta
programmata. La decisione era di procedere, magari a
«zig-zag», cambiando velocità, punto di arrivo e
tempistiche, però non la destinazione. Mai decisione fu
così sofferta.
È stata una gran delusione ed un vero peccato non
essere riuscito a raggiungere l’obiettivo nei termini e
tempi pianificati nella road map iniziale. È stata persa una
grande e irripetibile opportunità. Da quel momento tutto
divenne più difficile, e le tempistiche purtroppo non
dipendevano e non sarebbero più dipese da noi tutti
coinvolti. Le analisi e le riflessioni nel bene e nel male di
quel ritardo non mancheranno, così come gli
apprezzamenti ai cambiamenti positivi conseguiti e le
critiche negative all’operato di alcuni collaboratori e
consulenti che si rilevarono inadeguati e di conseguenza
rimossi.
Tutto rimarrà in ogni caso più che utile e servirà per
consolidare le esperienze necessarie per il conseguimento
del Grande Progetto, forse ancor più grande, d’ogni mia
immaginazione. Stavolta non più per le mie intuizioni,
bensì per le professionalità, le capacità e la
89
consapevolezza di tutta la squadra e dell’equipaggio che
saremmo riusciti a coinvolgere e a motivare. Fatalmente
tanti, anzi troppi eventi accaddero. I miei pensieri
galoppavano, i sogni, tutti, sembravano svanire, e poi di
colpo risorgevano all’improvviso. Occorreva rivedere e
attualizzare la strategia, valutando minacce e opportunità.
90
CAPITOLO 29
Uno sguardo dall’esterno
Fin qui è stata questa la mia lettura dei fatti. Ma come è
stata vista da un «occhio» diverso tutta la vicenda? Ho
chiesto così a mio figlio Marco di scrivere questo capitolo.
Eccolo.
«Il 2007 e il 2008 furono gli anni dei grandi cambiamenti.
La collaborazione con Mediobanca aprì degli scenari
molto importanti sia a livello finanziario che di
partnership industriale. Ricordo ancora che mio padre mi
aveva spesso detto: per trentacinque anni siamo cresciuti
in un silenzio religioso, nel nostro piccolo acquario. Il
mondo è però cambiato e ora, che piaccia o meno, il vetro
si è rotto e siamo finiti nell’oceano. O ci adattiamo, o
verremo mangiati dai pesci più grossi.
I problemi da risolvere furono tanti, anche perché non
avevamo l’esperienza necessaria per quei cambiamenti.
Da quel punto di vista posso dire che la mancata
quotazione del 2007 ci aveva comunque arricchiti di
professionalità, e che le nottate passate a Milano tra
avvocati, banche, advisor, revisori e compagnia bella, non
erano passate invano. A pensarci ora mi fa una certa
impressione. Avevo appena 30 anni, tra persone di un
grande spessore, ed ero il solo a rappresentare l’azienda,
eppure le parole uscivano da sole, e come una spugna che
si contrae, rilasciavo tutto ciò che avevo
inconsapevolmente assorbito negli anni da mio padre
senza neanche essermene reso conto.
I cambiamenti del 2008 furono stravolgenti anche perché
non eravamo riusciti a dare la giusta organizzazione
all’azienda. Molte delle persone che avevamo scelto per
fare squadra si erano dimostrate non adeguate al
progetto, e forse fu anche colpa nostra quella di aver
voluto forzare la mano sui ritmi di sviluppo. Le aziende
sono come le persone, e si evolvono in modo naturale.
Alcune decisioni possono accelerare questo processo, ma
91
ci sono tappe in successione che non possono essere
raggirate. Un grosso ostacolo fu quello della resistenza al
cambiamento, in particolare tra il personale di Roma. A
distanza di sei anni dall’acquisizione c’era ancora chi
diceva che Viasat era Viasat, Elem era Elem e Movitrack
era Movitrack, quando invece c’era una sola azienda che
lottava sul mercato per crescere più della concorrenza.
Alla fine fummo costretti ad accelerare il processo di
trasferimento del baricentro a Torino: prima la parte di
progettazione, poi quella amministrativa e infine quella
commerciale, anche perché a Roma non si rendevano
conto che il mondo era cambiato e che ormai i satellitari
erano diventati un prodotto assicurativo, e come tale
andava distribuito in comodato d’uso nelle sue versioni
più semplici attraverso le agenzie come fornitori delle
compagnie, nei nostri punti vendita nella versione Top a
marchio Viasat, e negli autoconcessionari in partnership.
Possibile che nessun altro si rendesse conto che i
concessionari vendevano sempre più accessori e polizze?
L’auto stava diventando un prodotto a marginalità
ridottissime, però aveva il grande vantaggio di servire
come «cavallo di Troia» per vendere accessori e polizze
Furto e Incendio a buona marginalità. In più i
concessionari cercavano un modo per fidelizzare i clienti.
E qualcuno a Roma continuava a dire che il prodotto
costava troppo, che i concorrenti facevano pubblicità alle
fiere, che le soluzioni tecniche non funzionavano;
insomma, il problema era sempre di un altro ente.
Sulla Elem invece avevamo le idee molto meno chiare.
Da un lato era l’azienda che aveva dato da mangiare a
tutti noi, e senza la quale non avremmo potuto fare le
acquisizioni di Viasat e Movitrack; dall’altro si era
orientata sull’automotive, ossia in un settore dove di
marginalità se ne vedeva ormai proprio poca.
Personalmente non avevo particolari ambizioni a farmi
protagonista nello sviluppo della parte di produzione
industriale.
Tanto per dire, avevo studiato legge e maturato
92
esperienze in attività di mergers and acquisitions in
Pegaso, società di cui ero membro del consiglio di
amministrazione, partecipata dalla Fondazione CRT e
dalla Banca Unicredit. Al contrario, Barbara e Umberto
erano decisamente operativi in Elem, e con l’ausilio di un
buon commerciale avrebbero tranquillamente potuto
sviluppare la parte industriale in modo autonomo. A
quanto detto si aggiunga che da tempo ero convinto che
il futuro dell’azienda si sarebbe giocato sullo sviluppo
della parte relativa ai servizi consumer, alla
valorizzazione delle Centrali operative, allo sviluppo
della Customer Base e al continuo rafforzamento del
marchio.
Ero convinto che muovendomi su quelle direttive,
apparentemente divergenti dal mondo della produzione
elettronica, avrei potuto apportare un grande valore
aggiunto proprio alla Elem. A distanza di un anno ebbi
conferma di aver correttamente interpretato la strategia:
gli accordi siglati con le più importanti compagnie
assicurative italiane ci diedero modo di produrre nel 2008
oltre quarantamila sistemi satellitari. La Business Unit che
mi era stata affidata era diventata il primo cliente della
Elem, e ne aveva rilanciato il bilancio da qualche anno in
contrazione a causa della concorrenza cinese,
impareggiabile per le produzioni di grandi volumi.
La customer base crebbe di quasi il 50 per cento in un
anno, il miglior risultato di sempre, e il fatto ci confermò
che lavorando sul progetto industriale, mettendo in
naftalina quello finanziario di quotazione, ci saremmo
potuti ripresentare ancora più forti ai nastri di partenza
una volta passata la grave crisi finanziaria ed economica
italiana e mondiale di quegli anni. Al via, noi saremmo
scattati in avanti.
Certo, avevamo perso una grande opportunità. Che dire
però di tutte quelle aziende che ci avevano anticipato di
un mese, quotandosi quindi prima del grande crash dei
mercati, e che dopo uno o due anni avevano già perso tra
il sessanta o l’ottanta per cento del loro valore? Qualche
93
«squalo» della finanza ci fece notare che il problema non
sarebbe stato nostro, ma dei piccoli azionisti. E con
questo? L’operazione avrebbe certo comportato un
importante beneficio economico, ma i sogni e non i soldi
avevano motivato i nostri spiriti, sostenuti i nostri
pensieri, dato forza ai nostri corpi per sopportare i sacrifici
del lavoro.
Noi volevamo realizzare un progetto. Quotare una delle
più belle aziende italiane, creare valore per gli azionisti,
creare occupazione, esportare in tutta Europa un modello
italiano fatto di eticità, di concretezza, di risultati. Quanti
anni avrebbe ancora lavorato mio padre? Lui diceva
pochi, io dicevo tanti. Per quanti che fossero, avrebbero
dovuto rappresentare la ciliegina sulla torta della sua vita
di sacrifici lavorativi. L’ultimo splendido atto, coerente
con i suoi valori del vero, del bello e del giusto.
A causa di quel ritardo fummo costretti a lavorare
duramente altri anni per farci trovare pronti al momento
giusto, anni di sudore e sangue, fatti di giornate che la
sera sembravano troppo faticose e che in vacanza
sembravano quasi mancarci. Quella era la nostra vita.
Quello era il nostro progetto. Quello era l’unico mondo
dove potevo sentire, toccare, vivere un padre che quello
stesso mondo mi aveva rubato per anni. E quel mondo,
noi l’avremmo conquistato. Insieme.
La crisi durò più a lungo del previsto e le azioni
necessarie per continuare a crescere divennero più
complesse e articolate. Quando il mare è calmo e la rotta
tracciata, per navigare basta tenere il timone e far girare i
motori, ma quando infuria la bufera, il vento e i tuoni ti
assordano, la pioggia ti frusta il viso, le onde cercano di
buttarti a terra, devi capire immediatamente cosa fare e
farlo. Questo avevo imparato nell’estate delle Bocche di
Bonifacio e questo oggi siamo chiamati a fare.
Dopo la collaborazione con Mediobanca mi sentivo
arricchito di tante nuove esperienze e conoscenze, e da
imprenditore avevo colto gli aspetti di debolezza del
lavoro svolto. Come Viasat decidemmo di interrompere il
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mandato e di iniziare a lavorare con una società di
advisory di Torino, con un team di giovani pieni di voglia
di fare, di vedere i propri clienti sempre più forti e
importanti nel contesto internazionale, che non si
facevano spaventare dalle sfide dell’incognito, che
avevano il coraggio di sognare terre lontane nonostante
le tempeste incombenti.
Con quello staff mi trovai talmente bene, che nel 2011
decidemmo di costituire una nostra società di consulenza
aziendale specializzata in operazioni di mergers and
acquisitions e di corporate finance, la New Advisory
Services Horizon Srl, più comunemente nota come NASH
Advisory. Credo che ci sia una sottile analogia tra la mia
scelta del 2011 e quella di mio padre relativa a quando
rinunciò alla stazione di benzina di mio nonno Francesco.
Entrambe le scelte sono spinte dallo spirito
imprenditoriale, quello che ti porta a voler costruire
qualcosa che ti viene da dentro e che ti spinge a voler
trasformare un’idea nella tua testa in una realtà tangibile.
La differenza concettuale più grossa sta nel fatto che la
stazione sarebbe stata venduta ad altri, mentre per Viasat
Group abbiamo l’ambizione di poterne fare una pubcompany, per la crescita della quale la famiglia continui a
impegnarsi, certo, ma strutturata su un team manageriale
con competenze specifiche sulle diverse aree di business;
della quale tante persone e società possano avere
comprato azioni, certo, ma in cui la famiglia Petrone possa
continuare ad essere azionista di riferimento».
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CAPITOLO 30
Il nostro futuro
Chi guiderà il Gruppo Viasat in futuro? Andiamo per
gradi. Mio figlio Marco, dopo sette anni di lavoro insieme
e dopo il difficile percorso per quotare in Borsa la nostra
azienda, ha capito che questo non è il suo percorso, si è
lanciato quindi anima e corpo nel suo mondo, quello delle
mergers and acquisitions e finance, costituendo assieme
ad altri soci la NASH Advisor. Ma siamo sempre rimasti
legati in quanto gestisce la Ba.Ma, ossia la Holding
Finanziaria di famiglia - fondata nel lontano 1979, avevo
visto lungo - con lo scopo di acquisire e gestire patrimoni
immobiliari, mobiliari e partecipazioni in settori
industriali diversi dal core business di Viasat Group.
In qualche modo quindi ci siamo divisi i compiti: io sto
portando avanti lo sviluppo del Gruppo per capability
interna, mentre Marco porta avanti una strategia di
acquisizioni per consentire uno sviluppo per capacità
esterna, e per integrazione con ulteriori competenze e
potenzialità, e non solo a livello nazionale, quanto
piuttosto a livello internazionale. Quindi una cosa è certa:
il passaggio di leadership nel Gruppo non sarà un
passaggio «familiare», dobbiamo insomma passare da
una conduzione per così dire «imprenditoriale» a una
conduzione
manageriale,
possibilmente
«intraimprenditoriale».
Questo passaggio del progetto è quindi cruciale perché
dobbiamo fare del Gruppo Viasat una company con una
partecipazione nel capitale dei più meritevoli del
management stesso, anche questo un modo per realizzare
in completezza parte dei miei sogni: valorizzare chi ha
creduto e ha lavorato a lungo in questa azienda. Devo dire
che questa scelta, che in molte aziende si fa per evidente
incapacità della famiglia di gestire le cose, nel nostro caso
al contrario è stata condivisa proprio per creare una task
force manageriale per costituire, in futuro, una maggiore
96
forza e competenza settoriale. Proprio come è successo nel
caso della Apple e di altri colossi di riferimento mondiale.
Questo passaggio storico motiva i manager a tutti i
livelli, sia i giovani che le new entry e sia coloro che
entreranno nel Gruppo in futuro: nella nostra azienda
nessuna carriera sarà bloccata «dalla famiglia», da un
manager che mette il figlio al posto del capo solo perché
è suo figlio. Marco stesso ritiene e ha deciso che sia
giusto così. Che questa strategia dia molte più possibilità
di crescita al Gruppo perché solo così si riescono a
miscelare al meglio le capacità individuali con quelle
generali.
Certo, a essere proprio sinceri, la cosa non mi lascia
proprio indifferente, anzi. Mi fa soffrire, sia sul piano
emotivo che professionale perché – ovvio – la «squadra»
che prenderà la guida del Gruppo non è ancora
compiutamente configurata, anche se molte partite
nazionali le vinciamo, ma puntiamo al «campionato
mondiale». E questo significa che dovrà ancora lavorare,
come giocatore e allenatore, ma è il bello della vita, si sa.
Marco in ogni caso ha dimostrato di avere una visione
più aperta della mia: fare meglio del padre è sempre
difficile, ma quello di separare le nostre strade
professionali non è stato semplice. Quando mio figlio ha
preso questa decisione mi ha scritto una lettera molto
commovente, non ha avuto il coraggio di dirmelo di
persona. Temeva che io non sarei più stato orgoglioso di
lui. E invece no. Non è così. Io penso che sia giusto che i
figli facciano il proprio percorso così come ho fatto io.
Certo, il mio rimpianto è che li ho visti crescere troppo
velocemente e che non ho gustato come avrei voluto la
loro infanzia. Ma sono orgoglioso di come è cresciuto: io
stesso ho sempre cercato di dare una forte impostazione,
come dire, «etica» al lavoro. E Marco mi ha subito
superato, dando una svolta all’azienda in questo senso e
portando sempre la sua esperienza personale. Quale?
Basti dire che il viaggio di nozze lo ha passato a fare
volontariato con i bambini orfani in Brasile. Così alla fine
97
mi ha superato anche nel rapporto con i figli perché lui
oggi è quello che si dice «un padre presente», quello, per
concludere, che avrei voluto essere anche io.
98
CAPITOLO 31
Il nuovo inizio
Ottobre 2008. Vorrei fare un’ultima considerazione sul
«presente - fuggente» che giorno dopo giorno, come non
mai, sta sconvolgendo ogni sogno, ogni progetto. Il primo
scossone della borsa dell’agosto 2007 sono state inezie e
avvisaglie in confronto a quanto è accaduto nel corso del
2008. Le copertine dei giornali economici di tutto il mondo
proclamano la fine del capitalismo.
La conseguenza dell’uragano scatenato dalla crisi dei
muti subprime ha rinvigorito la necessità dell’intervento
dello Stato a favore delle banche in difficoltà anche a
scapito del liberalismo puro, con l’obiettivo di sottrarsi il
tracollo dei mercati ed infondere un po’ di fiducia tra i
risparmiatori, evitando la corsa al ritiro dei depositi e
scongiurare gli eventi del 1929.
È evidente che il «Big Crash» cambierà sostanzialmente
i connotati del capitalismo mondiale, con interventi di
emergenza e la volontà di riscrivere nuove regole, nel
mondo bancario, creando la voglia di interventi di
salvataggio, entrando nel capitale delle aziende in crisi.
Situazione come quella che ha visto il Governo Italiano
sponsorizzare cordate come quella dell’Alitalia con la
tentazione di entrare nelle gestioni col rischio di replicare
il disastroso assistenzialismo statalista della vecchia Iri.
È quanto sta succedendo negli Stati Uniti a favore di
General Motors, Chrysler e Ford, per impedire che
scompaia l’industria automobilistica americana. Per le
stesse ragioni e per riequilibrare i rapporti della forza
competitiva, potrebbe avvenire anche in Europa. Il rischio
è che le privatizzazioni, faticosamente realizzate negli
anni passati, potranno essere spazzate via in un baleno,
ritornando al passato e conseguentemente alla lotta
politica nell’occupare le poltrone al vertice delle grandi
imprese. Questo non è sicuramente un bello scenario.
Il pericolo plausibile è che il virus del terremoto
99
subprime, e successive crisi, dopo aver sconvolto il
mondo finanziario, coinvolgano anche quello industriale
e commerciale. È certo pertanto, che quanto accaduto
toccherà anche l’economia reale, quella fatta da imprese
vere e serie che basano il proprio sviluppo su fatti
concreti, sulle proprie capacità tecnologiche, sul saper
fare, sviluppare e creare concretamente ricchezza e valore.
È mia convinzione che questo terremoto dopo il disastro,
oltre alle minacce creerà comunque nuovi equilibri e
nuove opportunità, ancora difficili da recepire e codificare
ma che potrebbe portare vantaggi, alle citate imprese
virtuose.
Altro segnale chiaro e forte della volontà di cambiare è
la scelta epocale degli Americani. Il cinque novembre del
2008, Barack Obama ha vinto le presidenziali e diventa il
primo presidente democratico di colore degli Stati Uniti
d’America. Non ci sono più dubbi, termina il vecchio ciclo
del 68 ed inizia quaranta anni dopo il nuovo, il vero
cambiamento, annunciato e proclamato da Kennedy e da
Martin Luther King. Rinasce il sogno americano e la
voglia di cambiare il mondo. I giovani americani
finalmente si sono svegliati e sono andati a votare per
cambiare il loro futuro, e quello degli Stati Uniti, e hanno
preso coscienza che «cambiare si può». Hanno festeggiato
commossi, piangendo, ballando e cantando e certamente
l’euforia e la voglia crescerà e diventerà planetaria.
Cosa fare? Sicuramente bisogna stare all’erta, capire
come saranno i nuovi scenari che cambieranno e
rimodelleranno la nuova era. Sì, perché si tratterrà proprio
del «nuovo inizio» di un nuovo ciclo storico, di un nuovo
mondo che si evolverà nuovamente e di conseguenza. Chi
ha intuito e si è mosso in anticipo o fortuitamente è già
predisposto per cogliere le nuove opportunità, avrà il
vantaggio di essere pronto ai «nuovi macroeventi». Tutti
gli altri, se non vorranno essere travolti, dovranno fare
attenzione alle minacce e dovranno traumaticamente
reagire.
I giochi saranno tutti da reimpostare, le partite tutte da
100
giocare e solo i migliori che hanno la volontà e la passione
di fare potranno vincere. D’altronde questa non è una
novità, «è sempre stato così». Riflettendo su quanto sta
succedendo, mi si riaccende l’entusiasmo, anche se
divento malinconico, penso e ripenso.
«C’era un ragazzo che come me, amava i Beatles e i
Rolling Stones…». Così recitava la vecchia canzone di
Gianni Morandi: «Stop a Beatles, stop a Rolling Stones.
Stop?». Stop alla mia passione per i viaggi marittimi? Stop
alla barca? Stop ai vecchi sogni? Assolutamente no!
Neanche per «sogno: «Anzi, è giunto il momento per
inventarne di nuovi». Il mondo sta nuovamente
cambiando, bisogna reagire, bisogna risognare: «Il
presente-fuggente è il nuovo inizio». E chi sogna è vivo.
Ed io già fantastico, creando nella mente nuove puntate ai
miei progetti.
101
CAPITOLO 32
Riassumendo
Quella raccontata fin qui è una storia appassionante,
talmente veloce e coinvolgente che spesso io stesso ho
bisogno di fermarmi un secondo per guardarmi alle
spalle, studiare il percorso. Un esercizio utile anche per il
lettore per capire nel profondo il percorso. Ed è per
questo, che in estrema sintesi, lo ripropongo. Dal 1973 al
2004 il piccolo laboratorio è progressivamente cresciuto
attraverso una costante politica della Qualità che ha
conquistato clienti di assoluto prestigio e ha permesso il
consolidamento di rapporti fondati sulla reciproca stima.
Nel 1974 abbiamo posto la prima pietra per poter dar
corso a piccole e medie produzioni e per una quindicina
di anni abbiamo vissuto una crescita che ci ha spinti alla
costituzione di un’organizzazione più complessa
(nascono Elem Sistemi per attività di ricerca e sviluppo e
Exefin per attività strategiche e d’investimento) e a
traslocare cinque volte alla ricerca di spazi più ampi per le
nostre linee produttive. Negli anni 90 sono arrivati il salto
dimensionale con il trasloco nell’insediamento di seimila
metri quadrati di Venaria Reale alle porte di Torino, la
certificazione Uni Iso 29002 rilasciata da Imq-Csq e EqNet
(già nel 1992), quella Babt by IBM (1997) e l’Avsq ‘94
automotive (1999).
Con il nuovo millennio è poi nato il progetto NewEvolution che ci ha visti protagonisti di una serie di
iniziative dal peso prima regionale, poi nazionale e infine
internazionale, e che ci hanno fatti evolvere da
subfornitori elettronici a produttori di prodotti finiti hitech e di sistemi telematici, per aziende di assoluto
prestigio e per nostri stessi brand che ci stanno
permettendo di arrivare direttamente al cliente finale con
una capillare rete commerciale.
Si pensi ad esempio all’acquisizione del secondo
insediamento produttivo di quattromila metri quadrati;
102
all’entrata nel capitale di AXIS, società di progettazione e
R&D costituita da ingegneri di altissimo livello; alla
costituzione della Elem Engineering (2001); alla
certificazione Uni Iso 9001: 2000 Vision 2000 Avsq ‘94 a
livello di Corporate (2001); all’entrata nell’EMS-Alliance
che ci ha permesso di instaurare nuove collaborazioni in
Polonia, Svezia, Stati Uniti, Brasile, Cina, India (2002); alla
costituzione di Elem Polska a Varsavia; all’acquisizione di
Viasat dopo un testa a testa con una compagine straniera
che avrebbe messo in discussione diversi posti di lavoro in
Italia e che avrebbe fatto rischiare al nostro Paese
l’emigrazione di una tecnologia di assoluto prestigio a
livello mondiale (2003); all’acquisizione della
maggioranza della Movitrack e all’inizio dell’offerta di
servizi satellitari, in ambito assistenza stradale, in
collaborazione con Aci Global, società dell’Automobil
Club Italia (2004).
Da quel momento, a maggior ragione, bisognava
impegnarsi al massimo tutti insieme per sviluppare nuove
competenze, per accelerare possibili ulteriori acquisizioni,
per aggregare nuove forze per completare e allungare la
filiera al fine di «sviluppare nuove opportunità e nuovi
business».
103
CAPITOLO 33
Sviluppi, acquisizioni, partecipazioni
Fondata nel 1974, la Elem rappresenta la pietra miliare;
oggi conta due stabilimenti produttivi a Venaria Reale
(Torino) in un comprensorio di oltre 20.000 metri quadrati.
Progetta, ingegnerizza e produce schede, prodotti,
moduli, sistemi elettronici e device satellitari per esigenze
di tutte le società del Gruppo e per terzi produttori di
elettronica nei settori auto, sicurezza, difesa, navale,
aeronautico, spaziale.
Exefin fondata nel 1988, per la gestione consolidata delle
attività e del patrimonio aziendale del Gruppo Elem.
Rinominata nel 2007 in Viasat Group, è la capogruppo
della filiera. Detiene quote societarie, disegna i piani di
espansione, sviluppa strategie di marketing, decide la
politica amministrativa e coordina le attività delle aziende
collegate mediante l’acquisizione di quote di
partecipazione.
Viasat Group è un’organizzazione industriale
strutturata con unità operative specializzate ed orientate
al mercato. «La nostra missione consiste nell’adeguarci
prioritariamente alle esigenze dei clienti. Il nostro
successo dipende e dipenderà dalle conoscenze
tecnologiche del nostro staff e di tutti i nostri uomini, dalla
qualità e rapidità di risposta e dalla volontà di migliorare
e sviluppare le nostre capacità».
Viasat nasce nel 1987 come Com.Net, società del Gruppo
Telespazio; nel 1998 assume il brand Viasat in seguito alla
joint venture tra Magneti Marelli e Seat-Telecom. Forte del
proprio know how, s’impone nel mercato, divenendo
sinonimo di «Sistema di sicurezza e protezione satellitare»
sia per l’auto sia per chi viaggia. Alla fine del 2002 Viasat
viene acquisita da Exefin (Gruppo Elem).
Movitrack nasce nel 1988 come iniziativa del Gruppo
Olivetti per sviluppare prodotti e servizi basati sulla
localizzazione dei veicoli con l’uso delle tecnologie GPS e
104
della telefonia mobile GSM. Nel 1996, con l’ingresso di
ACI, inizia la propria operatività nel mercato dei servizi.
Nel 2004 entra a far parte del Gruppo Elem. Nel 2009
viene incorporata in Viasat e diventa divisione B2B e B2A,
con focus sui servizi assicurativi e sui servizi di sicurezza
per la gestione delle flotte di autonoleggio.
Vem Solutions, azienda che riunisce know-how ed
Expertise storiche di Viasat, Elem, Movitrack e Redco,
nasce con la missione di sviluppare progetti di sistemi e
servizi innovativi nell’ambito della protezione e sicurezza
satellitare (SPLS), sia per esigenze del Gruppo che per
terzi. Negli anni progetta una moltitudine di terminali di
bordo ed integra le diverse soluzioni telematiche del
Gruppo, realizzando la piattaforma MultiDevice,
MultiService, «Vespucci».
Redco Infomobility nasce nel 2001, offrendo servizi di
sicurezza e fleet management basati sulla tecnologia di
localizzazione satellitare e comunicazione «wireless».
Progetta e produce terminali di bordo, modem e accessori
(transponder, chiavi elettroniche ecc.), soluzioni e sistemi
di sicurezza (auto, moto, imbarcazioni), piattaforme,
portali, protocolli di comunicazione, sistemi e tools
applicativi dedicati alla gestione di flotte di veicoli. Nel
2009 viene acquisita da Viasat Group e nel 2010
incorporata in Viasat.
Nel 2007 nasce dall’esperienza di Viasat nei servizi
satellitari e dalla forte presenza di Redco nei servizi per
l’autotrasporto la Business Unit FMS. La mission è quella
di fornire servizi a valore aggiunto e servizi di sicurezza
specifici per il fleet management, offrendo soluzioni, dati
ed informazioni per monitorare e gestire in sicurezza il
trasporto e la tracciabilità delle merci, pericolose e non, in
conformità alle normative vigenti.
Pointer Telelocation, quotata a Tel-Aviv e al Nasdaq, è
un provider leader di tecnologie e servizi per l’industria
automobilistica e assicurativa. Offre servizi di assistenza
stradale, stolen vehicle recovery e fleet management. Ha
una crescente customer base di prodotti installati in tutto
105
il mondo: Regno Unito, Grecia, Messico, Argentina,
Brasile, Russia, Croazia, Germania, Repubblica Ceca,
Lettonia, Turchia, Hong Kong, Singapore, India, Costa
Rica, Norvegia, Venezuela, Ungheria, Israele e altri Paesi.
Cellocator, Products Division di Pointer, rappresenta, in
partnership con Viasat, uno dei principali operatori AVL
(Automatic Vehicle Location) del mondo. Nel 2010 Viasat
Group entra nel capitale sociale diventando il terzo
azionista di riferimento.
Ba.Ma è la holding finanziaria fondata nel 1979 con lo
scopo di acquisire e gestire patrimoni immobiliari,
mobiliari e partecipazioni in settori industriali diversi dal
core business di Viasat Group. Dopo il consolidamento
della leadership in Italia, nel mese di ottobre del 2011
viene inaugurata in Spagna, a Madrid, la costituzione
della Viasat Servicios Telemàticos in joint venture con
Zenithal, società specializzata in soluzioni business to
business.
106
PARTE QUINTA
LE STRATEGIE EVOLUTIVE
CAPITOLO 34
Creatività, principi e valori: ecco il segreto
«La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce
dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le
scoperte e le grandi strategie». I concetti di Einstein sono
quanto mai attuali e quanto mai realizzabili. Viasat Group
ha sempre avuto un approccio filosofico al mondo del
lavoro. Dal punto di vista pratico la nostra missione è
ideare, realizzare e diffondere sistemi e servizi di sicurezza
e protezione con applicazione di tecnologie satellitari;
Essere riconosciuti dal mercato come leader affidabili e
innovativi, grazie a una storia di successo che compie 40
anni. E, ovviamente, attraverso l’evoluzione e il
miglioramento continuo delle nostre tecnologie assicurare
ai mezzi e alle persone la massima protezione, sicurezza e
assistenza. Tuttavia un’azienda, secondo me, non deve
essere solo questo. Mi spiego meglio, tornando ancora una
volta all’esempio concreto della Viasat. Il Gruppo fonda la
propria storia su solide basi costruite sull’esperienza nella
ricerca e nella produzione all’interno dei segmenti di
mercato nei quali riveste un ruolo di riferimento. Va bene,
ma non è tutto: elemento fondante di questo percorso è
stata anche l’attenzione riservata ai principi e valori di
natura etica.
In sostanza posso dire che l’attività di ricerca di tutto il
Viasat Group non è tesa esclusivamente all’efficienza
tecnologica, ma l’intento è stato quello di sviluppare
prodotti e servizi interessanti e importanti anche in termini
di originalità, utilità e innovazione. Insomma le basi del
Gruppo si fondano su di uno stile lavorativo che valorizza
creatività e capacità dell’individuo e lo pone al centro della
sua strategia. Una direzione che ho sempre seguito e ho
avuto sempre molto chiara. Al punto che ho schematizzato
il tutto in una specie di linea guida, messa poi nel nostro
sito ufficiale, in modo tale da «spiegare» anche all’esterno
la nostra filosofia, il nostro modo di lavorare, divulgando lo
109
schema consolidato basato su alcuni Valori per noi
fondamentali:
- Principio dell’atteggiamento positivo: impegno a
superare ogni ostacolo con spirito positivo.
- Principio dell’apprendere: impegno a sviluppare nuove
idee e nuovi prodotti.
- Principio del fare: impegno a realizzare attività di
sviluppo con piani operativi innovativi.
- Principio dell’insegnare a fare: impegno a trasferire agli
altri colleghi le proprie conoscenze.
- Principio del vero e del giusto: impegno a perseguire e
a promuovere comportamenti che valorizzino il vero e il
giusto.
- Principio del bello: impegno a sviluppare prodotti e
servizi non solo qualitativamente utili, ma anche originali,
appaganti, belli.
Potrà sembrare una ripetizione e potrebbe suonare strano
che un’azienda insista su principi e valori, perseguendo
questa strada. Ma la mia non è un’azienda normale, è
un’azienda che nasce da esperienze, spesso autodidattiche,
da una vita di sacrifici, da eventi che hanno portato alla
trasformazione e crescita di un bambino, alla formazione
di un ragazzo, alla maturazione dell’adulto. «Dalle infelici
privazioni di un tempo, all’orgogliosa realtà dei successi
raggiunti» con il coinvolgimento e contributo di tutte le
persone che hanno fatto parte del processo di crescita, in
perfetta simbiosi con l’evoluzione tecnologica e strutturale.
110
CAPITOLO 35
La nostra bandiera
Il bilancio sociale, annual report che Viasat Group, come
tante altre società, redige annualmente, è la nostra
bandiera. Per noi questo documento economico è molto
di più che un elemento contabile, è una specie di
strumento per dare visibilità alle domande e alla necessità
di informazione e trasparenza interna e verso tutti i nostri
interlocutori. Una sorta di certificazione del profilo etico,
l’elemento che legittima il ruolo aziendale, non solo in
termini strutturali, organizzativi, tecnologici, ma
soprattutto morali, agli occhi della comunità di
riferimento, un momento per enfatizzare il proprio
legame con il territorio e il Paese, un’occasione per
affermare il concetto di impresa con «sani principi».
Strategia perseguita concretamente negli anni, che ha
consentito di ottenere nel 2010 il prestigioso «Oscar del
Bilancio» e nel 2011 il riconoscimento di «Imprenditore
dell’anno 2011», premio Ernst & Young categoria
Technology & Innovation.
Impostazione e attenzione valgono poi anche per le
scelte sia sociali che ambientali. Vivere e lavorare «green»,
come va di moda dire oggi, per Viasat Group è un
impegno che va al di là del semplice rispetto della
normativa, perché promuovere il miglioramento continuo
delle nostre «prestazioni ambientali» deve essere una vera
e propria missione. Non sono un caso i continui impegni
nella riduzione dei costi e in progetti per abbattere i
consumi idrici ed elettrici attraverso un’attenzione
maniacale dei consumi e degli sprechi durante tutte le
lavorazioni industriali. Abbiamo rivolto una grande
attenzione proprio alle emissioni, i cui punti confluiscono
in un impianto centralizzato dal quale, attraverso filtri che
abbattono le sostanze organiche, viene immessa
nell’atmosfera esclusivamente CO2.
Stesso discorso per la gestione dei rifiuti che in Viasat
111
Group avviene in modo controllato attraverso tutte le fasi
di produzione, trasporto e smaltimento. I nostri piani
logistico-produttivi operano, infatti, realizzando una
perfetta tracciabilità di tutti i rifiuti prodotti. Rientrano in
tale contesto sia le materie prime, sia gli altri materiali
necessari al corretto svolgimento dei processi industriali,
per realizzare così programmi di sviluppo delle politiche
ambientali (raccolta differenziata, utilizzazione, consorzi
di smaltimento) delle Pubbliche Amministrazioni.
E, poi, come dicevamo, c’è l’impegno per il settore
sociale con un numero considerevole di iniziative. Fra le
più importanti voglio ricordare la Campagna Fondazione
Ania-Scatola Rosa, un dispositivo telematico per il pronto
soccorso immediato in caso di incidente e per la
prevenzione delle aggressioni alle donne.
O la collaborazione tecnologica con associazioni ed enti
istituzionali per l’erogazione di servizi innovativi
nell’ambito della sicurezza stradale e del soccorso in caso
di incidente, anticipando di un decennio l’emanazione
della normativa europea (il famoso dispositivo eCall).
Senza dimenticare il sostegno a varie attività di impegno
sportivo ed educativo, e il «Viasat for Children» che
supporta progetti umanitari in situazioni di indigenza
seguiti dai centri delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
112
CAPITOLO 36
L’idea di più protezione, più sicurezza, più assistenza
Le tante sfide da affrontare quotidianamente ci hanno
portato alla realizzazione di un nuovo progetto. Vivere in
un contesto più sicuro, viaggiare per le strade riducendo
i rischi da eventi traumatici generati da chi non rispetta
le leggi o da fattori malavitosi, tutelare i cittadini onesti
difendendo i loro beni, ridurre contemporaneamente i
costi da sostenere, riorganizzare la filiera logistica in
maniera più competitiva: sono questi alcuni obiettivi che
ci prefiggiamo fin dalle origini di Viasat, dal 1987.
La sensibilizzazione di tutti - istituzioni, operatori,
consumatori - è una scommessa che intendiamo vincere
anche grazie al contributo di questa iniziativa. Per
agevolare l’automobilista nelle pratiche in seguito a un
sinistro, Viasat Group ha messo così a disposizione un
servizio innovativo: si chiama «Rimborso Facile». In caso
di incidente, attraverso un numero verde (800 691 691) è
possibile ottenere assistenza immediata. Il Servizio operativo 24 ore su 24, 365 giorni l’anno - supporta il
cliente già al momento dell’incidente, guidandolo nella
compilazione del CAI.
In seguito verifica tutti gli elementi forniti, valuta le
condizioni di ragione e attiva la pratica di rimborso,
limitando il contenzioso per minimizzare i tempi di attesa.
Gli esperti poi forniscono assistenza legale gratuita,
prendendo in gestione l’intera pratica e mettendo
eventualmente a disposizione medici legali
convenzionati. Il numero verde è a disposizione anche per
chi non ha installato un dispositivo Viasat sulla propria
autovettura. Questa è la nuova visione di mercato: fornire
più protezione e più servizi a beneficio dell’automobilista.
113
CAPITOLO 37
Sicurezza, risparmio e antifrode
Da una parte gli automobilisti denunciano il caro
RcAuto, a maggior ragione se confrontato con gli altri
Paesi europei, e invocano giustamente una riduzione dei
premi di polizza; dall’altra le imprese di assicurazione
segnalano correttamente la frequenza dei fenomeni
fraudolenti, primato tutto italiano, a giustificazione dei
rincari. Tale contrapposizione si ripresenta ormai regolare
e immutata da molti anni in occasione di ogni
aggiornamento di tariffa, nonostante i dibattiti, i tavoli di
lavoro, le consultazioni che puntualmente ne seguono a
livello istituzionale e politico in risposta al clamore
mediatico ed alle richieste delle associazioni dei
consumatori. Le iniziative che scaturiscono, infatti,
raramente segnano un cambiamento radicale del sistema,
unica vera soluzione, ma più frequentemente
promuovono semplici interventi correttivi dell’attuale
modello, che si rivelano non risolutivi e, in alcuni casi,
addirittura controproducenti.
È la conferma della necessità di abbandonare la politica
dei ritocchi e aggiustamenti a favore di un mutamento
radicale e, in questa direzione, finalmente è parso
muoversi il Governo Monti. Se infatti, in passato, un
atteggiamento conservativo era inevitabile per l’assenza
di strumenti di rinnovamento, adesso l’evoluzione della
telematica di bordo permette di ripensare tutto il sistema
dell’assicurazione auto: alle tradizionali funzioni antifurto
si sono affiancate quelle per la sicurezza del conducente,
dei passeggeri, delle merci trasportate e, soprattutto per la
«gestione tecnologica» della garanzia RcAuto e dei relativi
sinistri. Funzioni, queste ultime, che volutamente non si
vogliono ricondurre semplicemente al concetto, spesso
utilizzato in senso negativo, di scatola nera.
114
CAPITOLO 38
La scatola nera
Il progetto di una scatola nera applicabile alle auto (che
riprende concettualmente il principio del data recorder
presente negli aerei e in molti altri mezzi di trasporto)
come abbiamo visto non è proprio una novità, anche
perché si ricollega al diffuso servizio degli antifurti
satellitari, già sviluppato da Viasat negli anni 90. Un
mondo e un mercato in piena evoluzione e crescita con
previsioni di incrementi annuali a doppia cifra ed un
valore mondiale previsto entro il 2016 di oltre 70 miliardi
di euro, in cui le aziende italiane giocano un ruolo di
assoluto rilievo.
La scatola nera rappresenta fra l’altro anche una tappa in
direzione del sistema eCall per la chiamata automatica di
emergenza al 112, previsto dall’Unione Europea con la
raccomandazione dell’8 settembre 2011 per l’adozione su
tutte le auto dal 2015. La funzionalità di eCall, che mira a
fornire assistenza immediata in caso d’incidente tramite la
localizzazione satellitare, potrebbe facilmente essere
integrata in un apparato più complesso, comprendente la
scatola nera e altre funzioni di interfaccia tra veicolo e
infrastrutture.
I dispositivi non solo registrano le informazioni che
consentono di ricostruire la dinamica di un incidente, ma
ne rilevano in tempo reale il suo verificarsi (inviando
contestualmente un allarme alla centrale operativa per
l’attivazione, immediata e georeferenziata degli eventuali
soccorsi) e memorizzano i dati statistici relativi all’uso del
veicolo (dove, quando e come si guida). Tutto questo si
traduce nella possibilità di concepire nuove formule
tariffarie, finalmente capaci di creare la polizza su misura
del cliente, ritornando a ponderare il premio in base
all’effettivo e specifico rischio, e di riorganizzare
completamente il processo di liquidazione dei sinistri in
termini di efficienza e di efficacia. Inoltre è dimostrato che
115
l’installazione di tale tecnologia sui veicoli ha effetti
positivi sulla sinistrosità e sull’annoso problema delle
frodi. In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto
numerose sperimentazioni hanno permesso di riscontrare
una riduzione della frequenza degli incidenti e della loro
gravità grazie ad un miglioramento dello stile di guida
indotto dalla presenza del dispositivo sulla vettura. In
relazione invece al fenomeno delle frodi, la tecnologia ha
una funzione preventiva come deterrente, e repressiva
come validissimo strumento per l’accertamento e la
contestazione del reato.
La stessa Viasat, uno dei maggiori player del settore,
quasi subito oltre all’originaria funzione di antifurto ha
introdotto il sistema per contenere i costi per le compagnie
assicurative grazie alla riduzione delle frodi sui sinistri,
ma anche grazie al miglioramento dei processi di gestione
ed alla possibilità di creare nuovi prodotti personalizzati
e più convenienti per i clienti.
È il caso delle polizze pay per use (premio in base ai
chilometri percorsi), o delle più evolute polizze pay as
you drive con il premio costruito in base al profilo
specifico del cliente e determinato non solo dai chilometri
percorsi, ma anche dalle tipologie di strade percorse
(urbane, extraurbane, autostrade), dagli orari di
percorrenza (notte, giorno, feriali o festivi), dalle ore
consecutive di guida, dalla pericolosità delle strade, dallo
stile di guida (più o meno rischioso).
Tutti questi parametri, attraverso l’elaborazione da parte
di un algoritmo specifico e brevettato, contribuiscono alla
costruzione dell’indice di rischiosità Viasat. L’IRV
attribuisce a ciascun assicurato un punteggio da 1 a 18
punti che, analogamente alle classe di merito
bonus/malus, ma in maniera più specifica e predittiva,
rappresenta l’effettiva propensione alla sinistrosità.
116
CAPITOLO 39
Il decreto Monti «Sviluppo Italia»
Il decreto legge 24 gennaio 2012, poi convertito in legge
nel marzo successivo, ha portato grandi cambiamenti nel
settore assicurativo; ha finalmente individuato nella
scatola nera la soluzione per il contrasto alle frodi e ne ha
promosso il suo uso imponendo alle compagnie di
applicare uno sconto significativo sulla tariffa RcAuto e
attribuendo a quest’ultime, e non ai consumatori, tutti i
costi annessi e connessi: di installazione, disinstallazione,
funzionamento ecc.
La novità ed il merito non stanno quindi nella scoperta
del rimedio, che già era adottato da molte imprese di
assicurazione e con ottimi risultati (tecnici e commerciali),
ma nella istituzionalizzazione e promozione dello stesso
consentendo di superare i timori che permanevano,
soprattutto a livello istituzionale e politico, nell’avviare
un rinnovamento radicale. Ho quindi accolto con estremo
favore ed entusiasmo i principi e lo spirito contenuto nelle
nuove disposizioni di legge che perseguono con forza
proprio l’obiettivo di accelerare il percorso di
risanamento.
Purtroppo però con il passare del tempo ho
incominciato ad avvertire un certo «raffreddamento»
dell’euforia e della positività iniziale, in quanto in sede di
attuazione della normativa gli addetti ai lavori si stavano
concentrando su come doveva essere la scatola nera
(nonostante tale tecnologia sia in uso da anni), e non,
invece, su come garantire e quantificare un risparmio
«significativo» all’assicurato; e si assisteva ad uno scontro
interpretativo tra l’Isvap (l’Istituto di vigilanza del settore
delle assicurazioni), che ribadiva con forza l’idea secondo
cui la scatola nera doveva essere obbligatoria, e l’Ania che,
al contrario, sosteneva che «la legge offre una facoltà
all’assicurato, ma non impone alcun obbligo alle imprese,
che restano libere di offrire questa tipologia di polizze».
117
CAPITOLO 40
Scatola nera, la nostra visione
In questa bagarre, noi di Viasat abbiamo ritenuto
opportuno uscire allo scoperto, per non vanificare la
portata innovatrice del provvedimento, mettendo nero su
bianco le nostre idee nell’interesse non solo della filiera di
tutte le imprese coinvolte, ma soprattutto della collettività,
per mettere a servizio delle Istituzioni la nostra esperienza
e fornire un contributo affinché si porti a termine con
coraggio ed energia questa opportuna e preziosa iniziativa
del Legislatore. Così, con questo spirito, abbiamo proposto
al Legislatore, alle Autorità competenti e all’opinione
pubblica un decalogo per definire nel dettaglio il
regolamento attuativo della legge. Eccolo in versione
integrale.
Decalogo del regolamento attuativo della legge 27/2012,
articolo 32 comma 1:
1) Novità: le compagnie assicurative dovrebbero
necessariamente disporre di almeno una formula
assicurativa telematica che debba prevedere l’installazione
della scatola nera che dovrà essere offerta in seguito ad ogni
richiesta di preventivo RCA.
2) Costi: come da normativa i costi (scatola nera,
installazione,
servizi
telematici
ed
eventuale
disinstallazione) dovrebbero essere sostenuti dalle
compagnie.
3) Riduzione delle tariffe: le compagnie dovrebbero
praticare uno sconto base alle tariffe assicurative pari
almeno al 20 per cento rispetto alla soluzione che non
prevede l’installazione della scatola nera, al netto del costo
del dispositivo (verificato dall’Isvap).
4) Ottimizzazione dei processi di gestione: le compagnie
dovrebbero utilizzare la tecnologia telematica per la
certificazione dei sinistri e l’ottimizzazione delle procedure
al fine di accelerare le tempistiche dei risarcimenti relativi
ai sinistri.
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5) Privacy e relative normative: nel pieno rispetto della
privacy del consumatore, i dati trasmessi dalla scatola nera
dovrebbero essere criptati e secretati, pertanto sicuri. La
scatola nera dovrà quindi essere conforme alle specifiche
CEI 79/56 e ISOTS 16949:2009, e dovrà essere garantita la
compatibilità elettromagnetica 99/05/CE.
6) Funzioni della scatola nera: come requisito minimo, il
dispositivo dovrebbe rilevare il sinistro e la relativa
dinamica, fornendo i dati necessari alla predisposizione di
una Perizia telematica e di una Certificazione del sinistro,
consentendo un miglioramento dei processi per la
liquidazione dei sinistri.
7) Funzioni accessorie: oltre alle funzioni di base sopra
descritte dovrebbe essere consentita la possibilità di offrire
altri importanti servizi accessori tramite moduli o tools
aggiuntivi, utili sia all’utente sia alla compagnia, al fine di
garantire una maggiore protezione e sicurezza.
8) Portabilità ed interoperabilità: nell’ottica di una «vera
liberalizzazione», la portabilità dovrebbe essere intesa
come possibilità per il cliente di cambiare liberamente la
compagnia assicurativa, mantenendo la scatola nera già
installata sul veicolo con la garanzia di poter effettuare il
trasferimento telematico dei dati storici e del profilo
personale dalla vecchia alla nuova compagnia.
9) Liberalizzazione del mercato: per garantire la completa
liberalizzazione del mercato, il cliente dovrebbe essere
libero di scegliere sia la compagnia assicurativa sia il
fornitore del servizio telematico. Potrebbe inoltre dotarsi
autonomamente della scatola nera. In tale eventualità la
compagnia avrebbe il dovere di praticare uno sconto
maggiore sulla tariffa assicurativa.
10) Authority Isvap: sarebbe opportuno che vigilasse e
richiedesse periodicamente il dettaglio delle azioni
intraprese, l’adeguamento dei processi alla normativa,
nonché il riconoscimento legale della perizia telematica.
Questo decalogo ha avuto una risonanza mediatica
inimmaginabile, ed ha suscitato molto clamore per la
chiarezza e forza del messaggio, del tutto inusuale per certi
119
ambienti, rispetto ai quali anch’io ero del tutto estraneo fino
a quel momento. Nel giro di poche ore il mio telefono
cellulare ha incominciato a squillare ininterrottamente e ho
ricevuto numerosi messaggi di apprezzamento e stima che
mi hanno ulteriormente spronato a proseguire per questa
strada. Anche il mondo politico e istituzionale ha accolto
positivamente il mio intervento e ha incominciato ad
individuare nella mia persona un punto di riferimento e un
portavoce del settore con il quale dialogare e collaborare
per una corretta traduzione in pratica della normativa.
Proprio per queste ragioni Viasat è stata poco dopo
chiamata in audizione presso la Commissione X del Senato
per esporre le proprie considerazioni e proposte
sull’argomento. In quell’occasione mi sono presentato in
rappresentanza dell’azienda, non senza una certa
emozione, ma anche con orgoglio e soddisfazione per il
significato personale, e soprattutto collettivo, del mio
intervento, e ho avuto modo di segnalare con forza che
l’incertezza dettata dall’assenza dei provvedimenti
attuativi, dalla mancanza di garanzie sull’emanazione degli
stessi e dall’atteggiamento «attendista» delle Istituzioni,
stava generando un rallentamento del nostro settore.
120
CAPITOLO 41
La Telematics Service Providers Association
Come rappresentare la riforma del quadro legislativo
italiano del Governo Monti, in particolare nella parte in
cui si disciplina la proposizione commerciale da parte di
Telematics Service Providers e di compagnie assicurative
di Telematics Boxes? La risposta è: con la neonata
Telematics Service Providers Association che, promossa e
sostenuta inizialmente dalle società Viasat Group e da
Cobra Telematics, è presieduta da Marco Petrone
affiancato da Carmine Carella nelle vesti di
vicepresidente; con un’Assemblea costituita dai soci
fondatori Cobra Telematics e Viasat Group e dai successivi
associati ordinari; e da un Comitato tecnologico esecutivo
composto dal presidente e da quattro associati eletti
dall’Assemblea stessa.
Pertanto, le modalità di raccolta, gestione e uso dei dati
non saranno più una discrezione dei Telematics Service
Providers così come sempre è stato, ma dovranno essere
conformi al regolamento in corso di definizione da parte
delle suddette Istituzioni. La legge crea dunque grandi
opportunità per il settore, ma nello stesso tempo può
penalizzare gli operatori che non sapranno adeguarsi ai
cambiamenti pianificati dal legislatore per il bene della
collettività.
Un’associazione di categoria è dunque necessaria per
interloquire in modo oggettivo con dette Istituzioni. Il
regolamento dovrà inoltre disciplinare l’interoperabilità
dei meccanismi elettronici, nel senso che se nel 2012 Tizio
si assicura con ALFA Assicurazioni, che gli installa una
scatola nera riducendogli il premio, quando nel 2013 lo
stesso Tizio decide di passare alla compagnia BETA
Assicurazioni, questa deve poter operare con scatola nera
anche se fino ad allora ha lavorato solo con scatola nera di
un’altra società telematica!
Il comma 1-ter disciplina che «con decreto del ministro
121
dello Sviluppo economico, da emanare entro 90 giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, sentito il Garante per la protezione
dei dati personali, è definito uno standard tecnologico
comune hardware e software, per la raccolta, la gestione
e l’uso dei dati raccolti dai meccanismi elettronici di cui al
comma 1, al quale le imprese di assicurazione dovranno
adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione».
Il terzo comma è quello più programmatico a medio
termine, ma anche più incisivo sulle dinamiche del
settore. Gli hardware e i software dovranno infatti
diventare uno standard uguale per tutti i Telematics
Service Providers entro due anni. L’Associazione ha
formalmente interloquito con le Istituzioni e si propone
come soggetto super partes rispetto ai singoli associati per
favorire una piena maturazione del settore.
Ecco quindi il progetto della Telematics Service
Providers Association che punta a tutelare gli interessi
della categoria coniugandoli con gli interessi generali
della collettività nella costruzione di un modello di
sviluppo sostenibile riconosciuto dalle Istituzioni,
dall’opinione pubblica e dal mercato: valorizzare la
telematica e l’innovazione tecnologica come fattori
essenziali della qualità della vita degli automobilisti,
dell’economia dei trasporti e dei servizi, nel rispetto delle
regole di mercato e di competizione fra le imprese.
Come? Qual è il programma di questa Associazione?
L’idea è quella di svolgere ogni opportuna azione per
diffondere una più ampia e approfondita conoscenza dei
benefici dei servizi telematici sia per il consumatore, sia
per l’industria automobilistica, assicurativa, della logistica
e dei trasporti. Insomma un programma preciso,
sintetizzato in alcuni punti. Eccoli:
- promuovere la definizione di standard minimali di
processi e di infrastrutture tecnologiche a garanzia della
qualità di erogazione dei servizi telematici, della privacy
e del trattamento dei dati;
- rappresentare gli associati nei modi previsti dalla legge
122
o dai relativi statuti o regolamenti, in organismi pubblici,
enti od associazioni nazionali, internazionali o
sopranazionali, nei quali la categoria abbia o possa avere
interessi diretti od indiretti;
- promuovere iniziative nell’interesse comune degli
associati;
- promuovere attività di ricerca e studio, anche in
collaborazione con altri enti o associazioni, dirette alla
soluzione di problemi di ordine tecnico, economico,
finanziario, amministrativo, fiscale, sociale, giuridico e
legislativo, riguardanti l’industria telematica;
- raccogliere ed elaborare tutti gli elementi, notizie e dati
che possano comunque avere interesse per la categoria;
- svolgere ogni altra attività comunque utile per il
raggiungimento dello scopo sociale, non in contrasto con
la normativa vigente e con il presente statuto;
- aderire, con delibera da adottarsi dall’assemblea, ad
altre associazioni od enti quando ciò torni utile al
conseguimento dei fini associativi.
123
CAPITOLO 42
Scatola nera, il punto
Continua la querelle intorno alla famigerata scatola nera.
È tutto fermo dopo la prima fase in cui i principi e le
indicazioni contenute nelle nuove disposizioni di legge
(27-2012 art.32) sono state complessivamente accolte con
favore ed entusiasmo, nella speranza di consentire
un’accelerazione del processo di risanamento e di
liberalizzazione con una maggiore protezione e sicurezza
degli automobilisti. Il problema è l’eccessiva lentezza
nella diffusione della scatola nera nonostante la
consapevolezza che, se utilizzata correttamente ed
integrata all’interno dei processi di gestione e
«liquidazione del sinistro», consenta una riduzione
sensibile dei costi assicurativi.
Secondo me, ed insisto, la vera questione non è come
deve essere la scatola nera, ma piuttosto come garantire e
quantificare un risparmio «significativo» all’assicurato e a
tal proposito operatori di settore, imprese di assicurazioni
ed associazioni dei consumatori attendono dalle
istituzioni «il regolamento» e indicazioni perentorie.
L’Associazione TSP ha individuato tre punti cardine da
seguire poiché, dopo molti mesi dall’emanazione della
norma, regna ancora un clima di grande incertezza
proprio perché l’assenza dei provvedimenti attuativi, la
mancanza di garanzie sull’emanazione degli stessi e
l’atteggiamento «attendista» delle istituzioni, hanno
generato un rallentamento del nostro settore. Lo slancio
iniziale del decreto si è tradotto in un freno bloccante.
Alcune compagnie, che già adottavano la scatola nera, ne
hanno rallentato o sospeso la diffusione ed altre imprese,
che stavano avviando nuove iniziative, sono in attesa di
conoscere le disposizioni attuative e perentorie per
procedere. Questa fase di stallo sta generando un danno
ai consumatori e all’intera filiera del settore telematico.
Considerando anche la drammaticità congiunturale, e al
124
fine di evitare ulteriori penalizzazioni e perdite
occupazionali, è urgente emanare il relativo
provvedimento attuativo e rendere finalmente operativa
la legge.
C’è sempre in discussione il problema della sostenibilità
del modello economico: nonostante la positiva e
spontanea diffusione e l’uso di oltre un milione di scatole
nere (da parte di circa il 3 per cento delle vetture
circolanti), e pur dimostrando negli anni significativi
risparmi che giustificano la sostenibilità e il recupero
abbondante dell’investimento effettuato, temiamo che
alcune compagnie, in attesa di misurare direttamente e
concretamente i benefici di questa tecnologia, possano
trasferire i costi indotti della scatola nera sul prezzo della
polizza, con l’annullamento del risparmio ipotizzato per
l’assicurato «virtuoso» e la conseguente inefficacia del
provvedimento.
Per evitare il più possibile questa ipotesi e per favorire
nello stesso tempo la libera scelta del consumatore,
sarebbe fondamentale offrire all’assicurato anche
l’opportunità, nel caso desideri ulteriori servizi, di dotarsi
autonomamente del dispositivo telematico o di
contribuire ai suoi costi sgravando in questo modo la
compagnia di una parte del peso economico, beneficiando
però contestualmente di una «maggiore e significativa»
riduzione del premio che consenta quantomeno di
compensare gli oneri sostenuti direttamente. Per facilitare
la sostenibilità del modello economico sarebbe inoltre
interessante valutare, oltre alla riduzione «significativa»
del premio, anche la possibilità di attuare una politica
economica disincentivante per i «non virtuosi», al buon
fine di contribuire alla copertura finanziaria del
provvedimento. In altre parole, far pagare di più i «non
virtuosi» e meno i «virtuosi» che adottano la scatola nera.
Con l’interoperabilità si dovrebbe consentire il
trasferimento dei dati e dei servizi telematici tra i vari
Telematics Service Providers (TSP) attraverso la
standardizzazione delle funzioni e dei protocolli di
125
comunicazione della scatola nera che la legge prevede
venga attuata nell’arco di due anni.
Nella fase transitoria, in assenza di standard, la
possibilità per l’assicurato di cambiare compagnia senza
sostituire il dispositivo (portabilità) potrà essere
consentita, non attraverso il complesso meccanismo su
indicato dell’interoperabilità, ma tramite una semplice
«connettività» della compagnia con più providers. In
questo modo, attraverso la semplice definizione del set
minimo di dati telematici d’interesse assicurativo e
l’unificazione dei flussi basilari di comunicazione tra le
compagnie e i TSP, sarà possibile garantire sin da subito,
al consumatore, la possibilità di transitare da una
compagnia a un’altra senza sostituire la scatola nera e
senza ulteriori costi.
In merito alla definizione dei «requisiti minimi» della
scatola nera e del «format e set dati basilari», si ritiene
«incompatibile» con i fini del legislatore l’uso di «oggetti»
troppo elementari non in grado di individuare e
comunicare l’esatta posizione del mezzo nel momento del
sinistro, impedendo di tracciare la puntuale dinamica
dell’incidente e di effettuare la «perizia telematica». Tale
limitazione tecnologica non consentirebbe inoltre di
fornire prestazioni di valore sociale molto rilevante, quali
la sicurezza, la protezione e l’assistenza dell’assicurato.
Insomma, ancora una volta la mancanza del
provvedimento attuativo da parte delle istituzioni è causa
di uno stallo che non porta i benefici auspicati per i
tartassatissimi automobilisti assicurati virtuosi.
Poi c’è il tema della privacy. L’intervento del Garante
della privacy per regolamentare il settore è da intendersi
come una responsabilità prevista dal legislatore
nell’ambito della definizione delle norme attuative della
legge 27/2012. Un fatto accolto con grande positività da
parte della TSP Association, perché contribuirà a rendere
più trasparenti i rapporti tra i soggetti interessati,
tutelando in particolare i consumatori da quei «providers
improvvisati» che non possono contare su una base clienti
126
consolidata nei decenni, non sono in grado di garantire la
sicurezza con proprie strutture tecnologiche e spesso
adottano politiche poco chiare pur di conquistare quote
di mercato.
Il contratto di Viasat, ad esempio, stabilisce che «i dati
relativi all’uso del veicolo verranno rilevati, elaborati e
raccolti dalla società nonché trasmessi alla compagnia in
formato analitico solo in occasione di eventuali sinistri. In
tutti gli altri casi i dati di impiego saranno registrati dalla
società e trasferiti alla compagnia esclusivamente in
formato aggregato per analisi statistiche (ad esempio per
il numero di viaggi, i chilometri e tempi di viaggio
complessivi del periodo, la percentuale di chilometri e
tempo in determinate fasce orarie e diverse tipologie di
strade).
I dati di uso del veicolo forniti alla compagnia saranno
disponibili in forma sintetica per il cliente stesso via web
tramite accesso riservato con apposita password
personale rilasciata dalla società. Il cliente, ai sensi
dell’articolo 7 del decreto legislativo 196/2003, ha diritto
di chiedere ed ottenere da Viasat la conferma
dell’esistenza dei dati che lo riguardano, che saranno
messi a sua disposizione in forma intellegibile, nonché la
fonte, le finalità e la logica del loro trattamento. Egli può
chiedere la cancellazione, l’anonimizzazione o il blocco
degli stessi, se trattati in violazione di legge».
Affrontare il tema della telematica parlando solo di
privacy in modo superficiale è come parlare della
telefonia mobile dicendo che le chiamate sono facilmente
intercettabili e che gli operatori telefonici conoscono tutto
quello che diciamo a chiunque, sapendo per giunta dove
ci troviamo, conoscendo la cella che in quel momento il
nostro cellulare sta utilizzando; oppure come parlare delle
carte di credito dicendo che le banche sanno esattamente
cosa compriamo e dove, oppure che il Telepass consente
di calcolare se l’ora di entrata e di uscita in autostrada
siano compatibili con i limiti di velocità.
L’argomento merita sicuramente maggiore spazio sui
127
mezzi di comunicazione affinché si sviluppino un
maggior dibattito e una maggiore conoscenza delle
tecnologie e del settore, onde evitare il pericolo di
diffondere miti negativi anziché conoscenze, problemi
anziché soluzioni, obsolescenze anziché innovazioni. A
pensare male si fa peccato, ma non è da escludere che, chi
non vuole la scatola nera, ha interesse a non volerla.
Quel che preme sottolineare è il fatto che in Italia si
paghino le polizze più care d’Europa e forse del mondo,
perché è ampiamente diffusa la pratica di denunciare i
sinistri in modo falso o tendenzioso, così come il mancato
ritrovamento di auto rubate. La telematica offre una
soluzione ad entrambi i problemi: i consumatori che
utilizzano una scatola nera possono dimostrare le
modalità di un sinistro per provare che la richiesta di
risarcimento avanzato dalle controparti non è coerente,
così come possono ritrovare la propria auto rubata.
I sistemi più avanzati, inoltre, possono consentire di
ricevere soccorsi medici e meccanici in caso di incidente
grazie ai dati trasmessi, quelli sì in tempo reale, ai call
center dei Telematics Service Providers. È per queste
ragioni che il legislatore prevede l’obbligo di ridurre le
tariffe. Il beneficio economico conseguente a questa
innovazione tecnologica deve andare a favore dei
«consumatori virtuosi».
128
PARTE SESTA
LA POLITICA
CAPITOLO 43
Riflessioni su Olivetti
Riflessioni che innanzitutto dovrebbero fare tutti gli
esponenti politici nazionali e le associazioni sindacali!
Personalmente e da imprenditore considero, senza sorta
di dubbio, che Adriano Olivetti ha segnato positivamente
la storia dell’Industria (con la I maiuscola) del Piemonte e
dell’Italia rappresentando a tutt’oggi un punto di
riferimento straordinario nel mondo: quello di un Uomo
che ha saputo creare un’impresa eccellente, prodotti,
cultura e ricchezza per tutti i suoi operai, impiegati e
fornitori.
Adriano è un esempio che ha fatto scuola nel mondo
industriale e pochi come lui hanno creato cultura e valori
etici, oltre che prodotti innovativi e ricchezza diffusa,
realizzando una grande «famiglia integrata» (community)
tra Impresa, Operai, Impiegati, Fornitori, Clienti. I
prodotti Olivetti hanno segnato la storia della meccanica
di precisione progettata, sviluppata e prodotta nel
Canavesano, trasformando un’area rurale in area
altamente tecnologica, tale per cui il passaggio
all’elettronica avvenne ad una velocità strepitosa,
generando lavoro, occupazione, ricchezza. Nell’era di
Adriano nacquero le prime «macchine scriventi» a
caratteri mobili, i primi calcolatori meccanici, i primi
telefax, ponendo i presupposti evolutivi e la
trasformazione tecnologica dalla meccanica all’elettronica.
In Olivetti nacquero i primi computer (M20, M24),
generando un indotto di straordinari fornitori, dalla
voglia di fare e innovare, tra i quali, a Venaria Reale, la
ELEM.
La velocità evolutiva dell’Olivetti fu sorprendente. Se le
automobili con motore a scoppio si fossero evolute con la
stessa velocità, oggi viaggeremmo su dischi volanti con
propulsori ad energia da «fusione a freddo». Purtroppo
queste straordinarie capacità evolutive tecnologiche
131
infastidivano e minavano altri settori e poteri industriali,
basati sulla meccanica piuttosto che sull’elettronica,
mentre la politica (ieri come oggi), disattenta alle
opportunità industriali, si genufletteva agli interessi delle
lobby influenti, incapace di capire i cambiamenti e le
esigenze del sistema Paese, di coglierne le opportunità e
di consentire il potenziamento delle capacità delle
imprese del nostro Paese e l’espansione nel mondo (così
come avveniva ed avviene in Germania).
Arrivarono ad Ivrea «finanzieri d’assalto» (sponsorizzati
dalla politica), piuttosto che sognatori di un futuro
nazionale migliore. Furono finanziati progetti di
delocalizzazione piuttosto che politiche di sviluppo e di
internazionalizzazione; politica devastante che annientò
l’Olivetti, distruggendo posti di lavoro e gran parte
dell’indotto produttivo elettronico piemontese e
nazionale.
Pochissime aziende si salvarono tra cui la Elem, che
dimostrò, con la prova evidente e vivente, che l’elettronica
può essere prodotta in Italia a condizione di investire in
risorse specializzate e in Ricerca & Innovazione
tecnologica, per superare le sfide della competizione
internazionale, producendo sistemi ad alta tecnologia, tra
cui i sistemi satellitari per Viasat, le cosiddette scatole
nere. Elem con Viasat formano un Gruppo di aziende
fortemente focalizzate nel core business dei sistemi
satellitari e rappresentano un’eccellenza nazionale,
fondamentale per migliorare sicurezza e protezione delle
vetture, evitare furti e frodi, ridurre i costi sociali e fornire
servizi utili anche per la competitività delle imprese di
autotrasporto.
Ho l’impressione che, oggi come ieri, continua la
disattenzione verso le esigenze industriali fondamentali
per lo sviluppo sul territorio, non c’è priorità per le
possibilità di sviluppo a beneficio di un’occupazione
made in Italy, con il rischio di favorire i nuovi
«conquistatori d’assalto» senza scrupoli dando ascolto ai
«niet», alle associazioni sindacalizzate e a personaggi
132
incapaci e privi di visioni futuristiche.
Sono in atto cambiamenti epocali e spero vivamente che
interessi personali e vecchie e nuove lobby non blocchino
la «voglia di fare», nel nostro territorio, di quelle poche
aziende produttive. Spero che si eviti il pensiero
strisciante di delocalizzare attività ed eccellenze in altri
Paesi, nei quali la politica capisce ed apprezza
maggiormente l’esigenza delle imprese sognatrici e
creatrici di valori, prodotti, lavoro, ricchezza.
133
CAPITOLO 44
2012 e 2013, la grande crisi: cambiare o morire
È stato un periodo difficile, per certi versi drammatico,
probabilmente il più duro dal dopoguerra. Abbiamo
pagato infatti con «interessi» la follia di decenni in cui il
Paese si è indebitato a piene mani, rischiando la
bancarotta assieme alla Grecia e alla Spagna; l’anno in cui
la crisi economica ha bruciato certezze occupazionali,
obbligando tutti a ripensare il futuro con nuovi scenari.
Scenari che obbligano al cambiamento per avviare un
nuovo ciclo economico-sociale.
Questo, è ovvio, come abbiamo scritto nel distico di
Einstein all’inizio del libro, sarebbe un bene, ma gli italiani
sono stanchi delle menzogne che accompagnano
un’austerità insopportabile, specie se rapportata al mondo
politico, ancora spavaldo e restio a cambiare e a capire gli
umori reali della gente. È difficile in questo clima,
insomma, accettare l’arroganza politica e la pervicacia con
cui chi ci governa rimane attaccato ai propri privilegi.
È deprecabile quanto accaduto nel corso del 2012? Certo,
in particolare perché abbiamo assistito a forme sempre
più spregiudicate di sprechi e finanziamenti illeciti da
parte di partiti e di soggetti pubblici che «dovrebbero
rappresentarci». Fatti e misfatti (e ce n’è per tutti, nessuno
escluso) hanno così alimentato la bufera dell’antipolitica
che ha consentito il successo di movimenti civici, tra cui
quello delle 5 Stelle di Beppe Grillo, con il serio rischio di
creare un caos da rendere ingovernabile il Paese.
Si è assistito alla fine traumatica del Governo Berlusconi
e, in estrema emergenza, grazie all’impegno del
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è nato il
Governo Monti che, con interventi urgenti, restrittivi e
pseudo-strutturali (piuttosto drammatici, va detto), ha
evitato il peggio, riducendo significativamente lo spread,
ma poco si è fatto in termini di liberalizzazione e di
sviluppo occupazionale. Anzi, per la lentezza decisionale
134
(e le pressioni di lobby), nonostante l’approvazione della
pregevole legge 27/2012 art. 32 comma 1, si è di fatto
bloccato un settore in forte crescita, penalizzando i
consumatori e tutta la filiera industriale, tecnologica e
commerciale, per la mancata definizione (oltre un anno)
del relativo decreto attuativo. Sconvolgente da molti punti
di vista. Purtroppo la recessione è diventata visibile ma,
anziché collaborare tutti uniti, alla vigilia dello scorso
Natale il Governo Monti è stato costretto alle dimissioni,
riavviando i soliti giochi di parte che puntano alla
riconquista del potere politico.
Il caos è diventato quindi totale e forse siamo solo
all’inizio. I giochi sono tutti in corso. Le polemiche
innescate dalla sfida tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani
hanno spinto alla rottamazione e alla rinuncia alla
candidatura Massimo D’Alema e Walter Veltroni.
L’alleanza di Bersani con Nichi Vendola probabilmente ha
allontanato possibili schieramenti di centro-sinistra con
l’Udc mentre, dove movimenti cattolici quali quello di
Andrea Riccardi hanno faticato ad accordarsi con quelli
pseudo-liberali di Luca Cordero di Montezemolo, ne sono
sorti altri tra i quali Le Professioni per l’Italia, promosso
da Maurizio De Tilla.
Clamorosi micro e macro-eventi politici sono stati
fondamentali nelle scelte di voto degli elettori che,
chiamati alle urne il 24 e 25 febbraio 2013, hanno riservato
la sorpresa di inviare in Parlamento una nutrita e
battagliera schiera di rappresentanti del movimento
capeggiato da Beppe Grillo. Dopo un naufragato tentativo
di un Governo capeggiato da Pier Luigi Bersani, che ha
ottenuto la fiducia alla Camera dei Deputati ma non al
Senato, promosso dal Capo dello Stato Giorgio
Napolitano dopo la sua seconda elezione alla Presidenza
della Repubblica il nuovo Governo presieduto da Enrico
Letta, con l’appoggio del PD, del PDL e di Scelta Civica,
nuova formazione politica capeggiata da Mario Monti, ha
cominciato la navigazione in acque non meno tempestose,
a causa del secondo processo a carico dell’ex presidente
135
del Consiglio Silvio Berlusconi, celebrato dinanzi al
Tribunale di Milano a poca distanza dalla prima pesante
condanna inflittagli da questo stesso Tribunale.
In tal modo gli avvenimenti del passato continuano a
condizionare il futuro nostro e quello dei nostri figli. Ecco
perché nel 2012 la crisi ha regnato sovrana.
Ciononostante, il 2013 presenta prospettive positive
confermando in pieno gli assunti di Albert Einstein, filo
conduttore di questo libro: «È nella crisi che nascono
l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie», «Chi supera
la crisi supera se stesso senza essere superato», «La vera
crisi è la crisi dell’incompetenza».
Ricordando che «non possiamo pretendere che le cose
cambino, se continuiamo a fare sempre le stesse cose»,
occorre cambiare musica, spartito, vecchi musicisti e
direttori d’orchestra. Cambiare adesso si può e si deve.
Non possiamo consegnare ai nostri figli una situazione
così depressa.
136
CAPITOLO 45
Monti, Montezemolo, Grillo e non solo
La confusione regna sovrana. Da imprenditore vorrei
cercare di spiegare alcuni semplici concetti, poiché anche
io sono stato chiamato e coinvolto a fare la mia parte.
Credo che un imprenditore con esperienza e competenze
possa fare molto, magari con una sorta di appoggio
esterno. Ma andiamo per gradi. E cerchiamo, come al
solito, di capire. Il concetto dell’imprenditore che può
aiutare l’ha spiegato bene Luca Cordero di Montezemolo
quando ha detto: «La gente oggi deve dare un contributo
al futuro del Paese. Lo spirito della società civile è quello
di non rimanere soli in tribuna ma di contribuire, di non
pretendere da altri il cambiamento; la politica si può
rigenerare solo dall’esterno, dall’interno abbiamo
quotidiane dimostrazioni che non solo non si rigenera, ma
che si fa anche peggio. Chi sta a poppa e non aiuta non
sono solo gli evasori, ma quelli che in questo Paese
rappresentano la non concorrenza e le attività totalmente
inutili e che, soprattutto, approfittano di chi rema e chi
lavora». Questa la sua «Agenda Italia 2013»:
1) Liberare le energie
2) Anche lo Stato deve fare la propria parte
3) Togliere il tappo alla crescita
4) I motori della crescita sono: cultura, impresa, lavoro,
istruzione e salute
5) Giovani e donne per ripartire
6) Dove vanno a finire i nostri soldi?
7) Cittadini, non sudditi
8) Una nuova offerta politica
Fantastico. Tutto giusto, belle intenzioni, interessanti
idee. Peccato che poi, di fatto, anziché entrare
direttamente nell’arena dell’operatività politica, si è
sperato nella «salita di Monti», nella sua Agenda, in
possibili aggregazioni centriste e quant’altro. In Italia,
purtroppo, ci sono troppe persone che parlano bene ma
137
non fanno ciò che dicono e fanno ciò che non devono fare.
Non bastano enunciazioni plateali, elenchi di cose da fare,
e tante, tante e troppe parole. Questo Paese può ancora
rialzarsi e correre da protagonista. Ma occorrono fatti e
non parole. Fa bene sognare, ma nello stesso tempo è
fondamentale rimboccarsi le maniche e fare, elaborare
progetti concreti, metterli in campo, mettersi in gioco e,
soprattutto, realizzarli. A parole sono tutti bravi, nei fatti
un po’ meno. Insomma, rispolverando un vecchio adagio,
«fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare».
In realtà gli italiani sono stufi delle parole e spaventati
dalle urla di Beppe Grillo: non è con queste che si cambia
il Paese. Abbiamo bisogno di una coraggiosa stagione di
riforme, ma non a protezione di lobby e dei soliti noti; non
è opportuno neppure un ennesimo partito personale, più
o meno simile allo stile di quelli che hanno contribuito al
degrado del Paese. Credo che occorra un’aggregazione di
competenze e di professionisti capaci di scrivere progetti
industriali e settoriali, specifici per il risanamento e il
rilancio delle imprese italiane.
Serve insomma l’aiuto di figure che s’impegnino in
prima persona nella realizzazione di progetti concreti, con
l’obiettivo primario di creare nuova occupazione nel
Paese. Senza lavoro non si va da nessuna parte, se la gente
non guadagna non spende, progressivamente tutta
l’economia si ferma e il Paese arretra. Ma occorrono anche
e anzitutto più etica e più impegno di competenze
eccellenti: «la vera crisi è la crisi dell’incompetenza».
Una speranza nel 2012 l’aveva fornita il professor Mario
Monti con la sua squadra di Governo, con interventi che
hanno salvato il Paese, con l’incredibile appoggio e
consenso di partiti sempre in contrapposizione. Ma poi,
anziché collaborare almeno fino al termine di questa
tremenda crisi, la competizione si è riaccesa con velleità,
critiche e polemiche. Si torna ai vecchi giochi politici?
138
CAPITOLO 46
E i giovani?
Spiegato il movimento degli imprenditori e dei
professionisti, rimane da capire un punto chiave: qual è il
movimento dei giovani? Non si capisce. Sono impegnati?
Ma dove? Sono schierati? Sì, più o meno, ma non vedo
schieramenti che propongono progetti concreti e
pragmatici. Bisogna reagire. Ho l’impressione che saranno
ancora quelli del ‘68, quelli che hanno fatto impresa
tirandosi su le maniche, quelli che hanno sognato e
sviluppato progetti concreti, creato lavoro e ricchezza, che
nonostante tutto credono ancora nel nostro Paese e che,
penso, sarebbero disponibili a fare squadra e a
coinvolgere i giovani in un positivo nuovo processo di
cambiamento.
Forse uno spiraglio, un piccolo spiraglio è arrivato dal
fatto che i Giovani di Confindustria si sono schierati
contro gli sprechi della politica e le tasse troppo alte che
zavorrano la ripresa economica. È questo il monito che è
arrivato a fine ottobre del 2012 dai due giorni di Capri,
dove si è svolto il convegno dal titolo «Europe under
pressure». Proseguendo sulla linea dell’anno precedente,
anche in quest’ultima occasione sull’Isola azzurra niente
politici, solo tecnici. Bello no? Ospite d’eccezione l’allora
ministro del Lavoro, Elsa Fornero, la quale ha detto agli
under di Confindustria che «sebbene la crisi fosse
durissima, bisognava collaborare». A sua volta, in un
messaggio inviato, il premier Mario Monti ha rivendicato
le riforme avviate «per voltare pagina rispetto a un
passato di bassa crescita e di elevato debito e per
contribuire a una soluzione della crisi della zona euro». E
allora la strada da proseguire era, ed è tuttora, quella delle
«riforme, riforme e ancora riforme»: cambiare si può.
D’accordo, ma in ogni caso non si può mai ignorare
l’«allarme disoccupazione» perché i numeri parlano
chiaro: perdiamo duemila occupati al giorno e per questo
139
è necessario che il Governo Letta, succeduto al Governo
Monti al quale le imprese riconoscono di aver salvato il
Paese dal baratro, faccia scendere subito la pressione
fiscale su chi lavora e sulle imprese che reinvestono. Noi
imprenditori, insomma, non siamo più disposti a pagare
da soli, e tanto meno ad accettare passivamente che
cricche lobbistiche continuino a sperperare risorse
pubbliche. Ci vorrebbe un grande coinvolgimento di
«persone illuminate» assieme ad elementi competenti,
esperti e pragmatici, che diano il meglio per il Paese.
Ognuno di noi ci metta del proprio; forse la scommessa
si può ancora vincere, ma occorrono cambiamenti
strutturali, non si può pensare di cambiare musica con lo
stesso direttore d’orchestra, gli stessi strumenti, gli stessi
suonatori e i soliti vecchi spartiti. «Non possiamo
pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le
stesse cose» (Albert Einstein).
Questa crisi è devastante e nello stesso tempo una
grande opportunità di cambiare. Ma occorre crederci,
agire e non subire, e occorre lottare con energia e passione
per realizzare sogni e progetti. Steve Jobs ha detto: «Siate
folli, abbiate coraggio».
140
CAPITOLO 47
Perché questa nostra società è in crisi e incattivita?
L’uomo, che si voglia o no, appartiene al genere animale
e, come gran parte della razza animale, ha nel proprio
Dna un gene che spinge il proprio essere ad accoppiarsi e
socializzare con i propri simili per naturale procreazione
e conservazione, ma anche per difendersi da altre razze
aggressive, accettando la protezione del più forte, del
«capobranco dominante». Pesci, uccelli, mammiferi e in
genere tutto il mondo animale tende ad aggregarsi a
gruppi dello stesso genere. Non fa eccezione l’uomo,
nonostante un’evidente caratteristica che lo distingue
dagli altri animali: l’intelligenza.
Grazie all’intelligenza l‘uomo si è evoluto, organizzandosi in un ambiente artificiale «sovrannaturale»,
creando strumenti, mezzi e tecnologie che gli consentono
di vivere diversamente da tutto il resto del genere
animale; ciò non toglie che nel proprio patrimonio
genetico conservi la tendenza a socializzare più facilmente
con gruppi omogenei e strati sociali affini, ricercando un
riferimento, una guida in un leader carismatico che
rappresenti la sua classe sociale.
L’uomo fin dalle prime origini e, per tutto l’arco della
propria esistenza, ricerca nell’inconscio e nella vita
corrente un garante accettando compromessi e
riconoscendo la leadership a chi promette e s’impegna nel
garantire e proteggere la sua comunità. Su queste
tendenze e bisogni si formano, nascono e crescono
movimenti, associazioni, gruppi sindacali e politici con
principi inizialmente nobili ma che purtroppo, nel tempo,
spesso deviano, non si rinnovano, trincerandosi in un
proprio recinto sociale.
Questi atteggiamenti hanno creato una piramide sociale
inscalabile, scivolosa e stratificata, formata da un vertice
lobbistico di «poteri forti» e da un strato intermedio della
società civile formata da imprese, professionisti, artigiani,
141
con competenze eccellenti e straordinarie, ma spesso
inespresse e in fibrillazione per le evidenti ingiustizie e
incapacità dei politici di motivare la massa sociale operosa
del mondo produttivo e lavorativo. La nostra società
civile è incattivita e pentita per la fiducia concessa ai
propri rappresentanti che non hanno saputo attivare
strategie e progetti utili per consentire sviluppo
industriale, occupazione, lavoro e benessere.
Negli ultimi decenni, grazie alle nuove tecnologie, ci
sono stati cambiamenti che hanno consentito una
globalizzazione mondiale con una velocità e un impatto
straordinario sul nostro stile di vita. Gran parte delle
organizzazioni rappresentative, purtroppo e soprattutto,
non hanno saputo cogliere e affrontare questi
cambiamenti, ma hanno principalmente protetto i propri
privilegi, il proprio status quo, spesso senza limiti e senza
etica alcuna, curando i propri interessi a scapito di quelli
che avrebbero dovuto rappresentare, manifestando
l’evidente incapacità di cogliere positivamente i processi
di cambiamento in atto, pregiudicando la propria
evoluzione e non pensando assolutamente alle giovani e
future generazioni.
Questo è il motivo del lungo e stagnante periodo di crisi,
dello stallo confusionale dei partiti e della politica che ha
sottovalutato questi aspetti e non intende auto-rigenerarsi. Se si vuole uscire dalla crisi che attanaglia il
sistema Paese occorre reagire e azzerare tutto il sistema
che ha generato questo disastro; cambiare si può e si deve,
occorre avviare un processo di rinnovamento su nuove
basi al fine di ridisegnare il futuro dei nostri figli, ma con
rinnovati valori e principi morali ed etici, essenziali per
distinguere il genere «umano sapiente» da quello degli
animali selvaggi. Progetti e piani concreti che rilancino
lavoro e occupazione, riconoscendo le capacità
individuali, imprenditoriali e professionali, fondamentali
per una maggiore diffusione e una condivisione del
benessere e del vivere civile.
Per l’evoluzione e lo sviluppo del Paese è necessario che
142
la società civile riprenda il ruolo di scelta e monitoraggio
dei propri rappresentanti. Per crescere l’Italia deve
rimettere al centro lavoro, professionalità, libera iniziativa
e merito individuale. Protestare e urlare non basta.
Occorre progettare, proporre e persuadere, stimolando e
interagendo criticamente con l’Esecutivo. Occorre
sviluppare i settori strategici - innovazione, istruzione,
giustizia e sanità -, utilizzando le nuove tecnologie,
semplificando burocrazia, processi e metodologie,
mettendo al centro il cittadino, la collettività e il bene
comune, nel rispetto dei diritti fondamentali della Carta
dei diritti universali.
143
CAPITOLO 48
L’impegno sinergico di competenze eccellenti
La mancanza della quotazione in borsa di Viasat e la crisi
nazionale e internazionale hanno di certo condizionato il
nostro Gruppo anche se, per fortuna, non hanno fermato
lo sviluppo. Siamo andati avanti con forza, caparbietà e
tenacia, investendo ed innovando. E di queste zone buie
non si può non parlare. Siamo riusciti a reagire e a
contrastare una piccola fine del mondo: ne siamo usciti
bene, certo, rispetto a tante altre imprese. Ma più in
generale, paradossalmente possiamo dire che l’economia è
uscita meglio dall’attentato del 2001 alle Torri gemelle di
New York che non dall’attuale crisi. Adesso, infatti, ci
troviamo davanti ad una difficoltà più devastante della
somma delle due passate guerre mondiali.
Che cosa sta inchiodando lo sviluppo? Tante cose, ma
anche il sistema lobbistico che tanti Governi vogliono
proteggere a tutti i costi. Così, proprio per questo, il ciclo
economico difficile che non è ancora finito, siamo in pieno
guado. Bisogna fare qualcosa, reagire. Ma cosa? Per la mia
storia ci sono molti movimenti politici che mi vorrebbero
dalla loro parte, ma ci sono anche forze non convenzionali
che possono cercare strade nuove. Sarebbe opportuno
«aggregare sinergicamente» professionisti e competenze
eccellenti per affrontare e uscir dai problemi, unire le forze
di persone, al di fuori dei condizionamenti politici, che
possono dare un contributo al Paese.
Come? Fornendo il contributo con progetti specifici
settoriali, proposte di legge, abrogazioni di regolamenti e
burocrazie assurde, innovazioni tecnologiche e strutturali.
Ecco, in questo senso metterei la mia esperienza a
disposizione del Paese molto volentieri. Insomma la crisi
dura ormai da troppo tempo ed è ora di mettere in campo
soluzioni innovative per fare ripartire l’Italia. Sono concetti
cari anche al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, messi sul tavolo con forza proprio davanti ai
144
Giovani Imprenditori della Confcommercio, riuniti a
Venezia per il loro recente Forum annuale.
Il Capo dello Stato infatti è partito proprio dal tema scelto
per il Forum, «Il futuro oltre la crisi», per sottolineare
«l’assoluta necessità di superare una crisi che da troppo
condiziona la vita economica e sociale del Paese». E ha
spiegato che «è essenziale, in questa delicata fase, far
convergere tutte le energie imprenditoriali e professionali
di cui è ricco il Paese» verso l’obiettivo del superamento
della crisi «sviluppando una progettualità coraggiosa e
innovativa». Napolitano parla dunque della necessità di
una svolta, con idee ed energie nuove.
Anche per evitare che la crisi spazzi via le prospettive
per un’intera generazione, quella dei più giovani, e
penalizzi anche le prossime. Una cosa è certa: la classe
politica poteva fare di più. Basta con le caste, le lobby e le
associazioni poco virtuose, che spesso curano interessi
illeciti a discapito dell’intero Paese: i giovani non meritano
questo disastro in cui si trovano oggi. Credo che una
maggiore collaborazione della classe dirigente composta
da politici etici, professori illuminati e illuminanti e da
competenze eccellenti dei vari settori del mondo
scientifico, tecnologico e industriale, possano contribuire a
cambiare questo nostro straordinario Paese, con la priorità
assoluta di creare nuova occupazione. Esiste quindi un
percorso possibile, in cui credo.
Per questo ho aderito a un progetto molto particolare,
quello dell’Associazione L.P.I. «Le professioni per l’Italia»,
che punta a mettere insieme mille persone, una selezione
di competenze e professioni eccellenti che, indipendentemente dal credo politico, possano mettere sul tavolo
progetti concreti. Il mio riguarda la sicurezza stradale, la
scatola nera perché qui c’è ancora tutto da fare. Non va
dimenticato, infatti, che il problema di base su questo tema
è mal posto, perché si spinge a diffondere la scatola nera
solo fra i virtuosi, dove cioè non serve a nulla. Il
dispositivo invece dovrebbe rendere la vita più difficile ai
truffatori e per questo dovrebbe essere quindi obbligatorio,
145
come le cinture di sicurezza, l’airbag o l’Abs. D’altra parte
una macchina che costa 10 mila euro potrà pur permettersi
di avere una scatola nera da poche decine di euro, o no?
Ecco, questo è solo un piccolo esempio di come il
contributo dei singoli possa essere molto importante, di
come le competenze specifiche possano essere utili al
Paese. Nasce quindi un progetto importante, perché queste
mille persone possono fare insieme molto. E possono per
la prima volta proporre progetti concreti, non solo parole.
Su queste premesse è nato il movimento di Maurizio De
Tilla e di Anna Maria Ciuffa, il cui statuto dell’associazione
prevede i seguenti pregevoli scopi:
1. agire e cooperare per il perseguimento del bene
comune e della giustizia sociale nel Paese;
2. salvaguardare l’identità del lavoro e dell’impresa nel
rispetto dei principi della Costituzione repubblicana e
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
3. difendere e tutelare con proposte legislative ed
operative le professioni, gli imprenditori, i lavoratori
autonomi e il ceto medio, contrastando i poteri forti e le
iniziative di liberalizzazione selvaggia e di legislazione e
normazione invasiva che attentano alla libertà,
all’indipendenza e alla dignità del lavoro e delle imprese
e, segnatamente, dei lavoratori e degli imprenditori;
4. elaborare piani di azione e di sviluppo per la rinascita
del Paese in relazione ai seguenti punti fondamentali:
rinnovamento della struttura dello Stato e della Pubblica
Amministrazione; lotta alle mafie e alla corruzione,
affermazione dei diritti civili, dei diritti umani e dei diritti
di cittadinanza, politiche sociali, tutela della famiglia e
delle persone; contrasto alla malasanità e alla cattiva
giustizia, tutela del territorio e dell’ambiente, lotta al
capitalismo parassitario, sviluppo delle imprese, delle
nuove tecnologie, innovazioni nella ricerca, nella
formazione e nell’istruzione, scelte meritocratiche,
valorizzazione del turismo e del terziario;
5. promuovere una rete nazionale di adesioni di altri
movimenti, associazioni, comitati o gruppi in qualsiasi
146
forma costituiti, che, attraverso i loro organi, manifestino
piena adesione ai principi enunciati;
6. partecipare, anche proponendo candidati, alle
consultazioni elettorali italiane e europee, affinché
vengano adeguatamente rappresentate le idee e gli
interessi generali della società civile nelle funzioni
istituzionali pubbliche.
L’Associazione L.P.I. «Le professioni per l’Italia»
persegue le proprie finalità anche attraverso attività di
promozione e di servizio tra cui:
a) coordinamento operativo e funzionale sul territorio,
investendo rappresentanze professionali, imprenditoriali e
del lavoro autonomo e subordinato;
b) promozione di iniziative anche giudiziarie per la
tutela della identità del lavoro professionale, dell’attività di
impresa, del lavoro autonomo, del lavoro subordinato e,
in genere, del ceto medio;
c) redazione di relazioni periodiche sui temi
fondamentali indicati al numero 4 degli «Scopi
dell’Associazione»;
d) promozione di sinergie, scambi e rapporti con le
rappresentanze del ceto medio e della società civile;
e) attivazione di reti informatiche esterne ed interattive
anche con i soci;
f) promozione di iniziative e interventi per favorire
l’attività lavorativa dei giovani e delle donne;
g) organizzazione di iniziative culturali, istituzionali e
politiche;
h) pubblicazione di libri, opuscoli e materiale di analisi e
di divulgazione;
i) organizzazione di corsi e di seminari per la formazione
politica dei cittadini al fine dell’apprendimento delle
regole etiche e morali per il perseguimento del bene
comune, dell’uguaglianza e della giustizia sociale.
Progetti che, perseguiti concretamente con tenacia,
possono fornire un contributo ed essere la coscienza critica
della nuova politica del Paese.
147
CAPITOLO 49
Vivere, vivere intensamente
Da bambino, con l’elettronica giocavo, divertendomi.
Costruii una radio a valvole, seguendo un corso per
corrispondenza. In seguito divenne un hobby. Frequentai
l’Istituto Tecnico Industriale, specializzandomi in
Elettronica, e il gioco divenne una piacevole attività.
Iniziai a svolgere un lavoro nel quale le nozioni di base in
Elettronica e l’esperienza pratica mi consentirono di
sviluppare competenze professionali sempre più
qualificate. L’impegno e il connubio hobby e lavoro
divennero la mia vita.
Le statistiche dicono che normalmente un individuo
dovrebbe dormire e riposare almeno per il trenta per
cento delle proprie ventiquattro ore, il che può voler dire
otto ore da dedicare al riposo, otto al lavoro e otto alla
famiglia. Io credo, purtroppo, di aver dedicato il venti per
cento al riposo, altrettanto alla famiglia ed il restante
sessanta per cento al lavoro: troppo?
Niccolò Macchiavelli sosteneva che «il fine giustifica i
mezzi». Ritagliando questo concetto sulla mia vita, direi
che l’impegno nel lavoro, e quindi nella realizzazione di
qualcosa, sia stato il mezzo per raggiungere un certo fine.
Il fine, per me, era quello di dare agio e di far stare bene
la mia famiglia, perlomeno, di fargli evitare gli stenti che
hanno vissuto i miei genitori. Realizzare qualcosa di
tangibile, di solido e di durevole è sempre stato
prioritario, nei miei sogni, nei miei progetti.
Vorrei ancora esprimere un concetto fondamentale per
la continuazione del progetto, al di là di chi sarà o di chi
saranno gli attori principali. Ho sempre creduto che ci
fosse un’analogia biologica tra «il ciclo di vita» dell’essere
umano e delle cose concrete e materiali che lo stesso ha
realizzato nel corso della propria esistenza. Per entrambi,
il ciclo di vita è rappresentabile dalla classica curva
«gaussiana» schematizzata in quattro fasi sull’asse del
148
tempo: nascita, crescita, maturità, declino. Il primo tratto
della curva è il periodo più critico del «ciclo di vita», tanto
che nei testi di marketing è rappresentato graficamente
con una gobba concava, indicata come la «valle della
morte»,
nella
quale,
purtroppo,
soccombono
inesorabilmente gran parte dei progetti, prodotti e relative
imprese. Sono rari gli esempi di eccellenza di chi riesce a
superare tutte le difficoltà del percorso e a completare con
successo il ciclo per intero. Per questi «onore al merito».
Ciononostante, sussiste una differenza sostanziale tra
l’essere umano e le cose realizzate: «l’essere» alla fine del
proprio ciclo di vita scompare per sempre e diventa
polvere. Mentre le «cose realizzate», se concrete e solide,
dureranno nel tempo, e a maggior ragione se c’è la
volontà di rigenerarle, innescando un «nuovo ciclo di
vita», dando seguito all’evoluzione con nuovi progetti,
nuove tecnologie, nuovi servizi, nuove imprese, e poi di
più, e poi ancora, rafforzando e costruendo sulla base
dell’esperienza. Da cui la crescita dell’individuo,
dell’essenza, e il desiderio continuo dell’evoluzione
dell’uomo.
Io credo che i risultati conseguiti siano sempre una
conseguenza di quanto fatto e un buon punto di partenza
per i propri collaboratori, figli e nipoti. Le fatiche, le
sofferenze sostenute e le soddisfazioni per i successi
realizzati forse saranno compiutamente comprese negli
anni a venire, quando forse io non ci sarò più.
Però, se il sogno si rinnoverà, se il progetto si evolverà,
se avrà una continuazione e sarà seguito anche solo in
parte, da chi continuerà a credere nella possibilità di
realizzare e realizzarsi, allora inizierà un nuovo ciclo su
una base ovviamente più solida. Se i protagonisti
potranno beneficiarne e trarne vantaggi sociali ed
economici, potrò con orgoglio ed onore entrare nella
leggenda familiare. Nel caso sarò ricordato come il
«capostipite» che si è inventato il proprio futuro partendo
da zero, realizzando le condizioni per garantire un
avvenire migliore, anche alle prossime generazioni
149
coinvolte. Certamente ci sono ancora troppi «forse» e
troppi «se». Tuttavia questo è il fascino dell’incertezza
della vita.
Ritengo che, in ogni caso, sia indispensabile crederci,
crederci ancora. Questo è in definitiva il mio desiderio,
che non è più solo il mio sogno. Il successo per il futuro
non dipenderà più solo dalla mia opera, bensì dai nuovi
eventi e circostanze, dai sogni e progetti evolutivi di nuovi
protagonisti, dei miei figli, dei nipoti, della squadra di
azionisti e dei manager illuminati. Con la speranza che
gareggino, che osino, che diano prova di sé, che tendano
a qualcosa di speciale, per arrivare all’affermazione e alle
più appaganti soddisfazioni. Perseguendo ancora e
maggiormente «know more, do more, be more». Il che
vuol dire sognare, vivere fervidamente, ambiziosamente.
Vivere! Vivere, intensamente, fino alla fine ed oltre.
150
PARTE SETTIMA
LA PAROLA ALLA SQUADRA
CAPITOLO 50
Compagni di viaggio
Una storia così lunga come abbiamo visto è stata
costellata da un intreccio meraviglioso di rapporti umani,
di contributi forti e appassionati di tante persone che
hanno creduto nella nostra sfida, di collaboratori e amici
che più volte sono usciti con me nei mari tempestosi, da
quel famoso «porto». Per questo ho voluto raccogliere i
loro pensieri in queste brevi testimonianze. Un modo
diverso per far capire, forse meglio di qualsiasi analisi,
dove siamo arrivati e da dove veniamo. A loro la parola.
Mariangela Minuzzo
«Sono stata la prima dipendente della Elem, nel 1974.
Posso dire insomma il classico ‘Io c’ero’! Con me c’era
anche mia sorella - la moglie di Domenico Petrone - e
questo ha contribuito a creare quel fantastico clima
familiare che c’è qui. È stato emozionante partire
dall’inizio, perché poi si è intrecciata la vita privata con
quella del Gruppo: visto che siamo parenti con Petrone ci
si vede anche fuori dell’azienda. Che tipo è? È una
persona molto in gamba. A suo modo ‘egoista’ nel senso
che ha accentrato molto su di sé, le decisioni le prende lui,
ha sulle spalle tutto. Un peso enorme che però porta con
leggerezza. E che non gli impedisce di essere anche molto
generoso.
La crescita dell’azienda è stata comunque enorme. Ed è
chiaro che quando ci si ingrandisce tanto è difficile
conservare rapporti stretti. Ma questo spirito di gruppo si
sente. E non è solo legato a noi della famiglia ma, in
generale, ci sono tanto legami. L’aria familiare è
importante perché dà sicurezza. E poi questa è una ditta
che non ha mai dato dispiaceri a nessuno.
Aneddoti? Infiniti, al punto che è difficile tirarli fuori.
Potrei dire milioni di cose, ma sono 40 anni di vita intensa
vissuta intensamente. Potrei scrivere un intero libro su lui
153
e sull’azienda. Se dovessi definirlo in una parola? Direi
‘amabile’. Perché è una persona che si fa amare. Certo, a
volte è anche forte dal punto di vista dell’autorità. Si fa
rispettare, è molto sincero e diretto. Forse a volte fin
troppo, però in fondo è una persona che ci tiene ad avere
legami».
Maria Antonietta Sia
«Sono qui dal 1978 e ho potuto toccare con mano come
in questi anni l’azienda si sia evoluta in modo
esponenziale: siamo partiti da un appartamento e oggi
siamo... Be’, giudicate voi. Guardate come siamo
strutturati. Abbiamo fatto, tutti insieme, veri passi da
gigante. Non ho avuto altri tipi di esperienza lavorativa,
quando ho cominciato avevo 17 anni, inizialmente era
un’altra cosa più familiare, ma è normale, ci sono tante
novità, si cambia ed è necessario cambiare.
Oggi le cose sono molto diverse rispetto all’inizio,
perché tutti noi siamo stati parte di questa crescita.
Attualmente mi occupo del prodotto finito, della qualità.
E, nonostante gli anni passati, è un lavoro che mi
appassiona ancora: io qui dentro ho fatto di tutto,
l’azienda mi sembra un po’ mia, certo, ed è una bella
sensazione».
Roberto Sacchi
«Sono il responsabile del collaudo del progetto, mi
occupo di hardware, di elettronica ma anche di meccanica
e di progettazione in 3D. Sono ‘un elettronico’ come si dice
nel gergo. In un certo senso sono nel core business
dell’azienda. Sono qui da 30 anni, ho iniziato a fare i primi
progetti sulle schede, poi ho lavorato ovviamente per tutte
le ditte che hanno stretto accordi con noi. Ho quindi
toccato con mano l’evoluzione dell’elettronica,
inarrestabile non solo dell’azienda, ma anche di tutto il
settore in cui lavoriamo. Senza entrare troppo nel tecnico,
ho assistito ad una rivoluzione enorme.
Petrone che tipo è? Come persona è eccezionale, ogni
154
volta che gli dovevo parlare era sempre disponibile.
Abbiamo sempre avuto un bel rapporto, non dico
amichevole, perché abbiamo sempre tenuto le distanze,
lui è il grande capo, ovvio.
Ma è sempre stato un piacere avere a che fare con lui: è
sempre molto avanti con i tempi e bisogna seguirlo. Più in
generale, devo dire che nel settore elettronico è difficile
essere un passo avanti agli altri, ma noi ci riusciamo ed è
questa la nostra forza. Non solo: il nostro Gruppo è
un’azienda che cresce ancora, e questo ti dà una forza
speciale. Anche perché qui abbiamo ancora, sotto lo stesso
tetto, ricerca, progettazione e sviluppo, una cosa rara. Ma
che ci rende molto competitivi. Il 30 novembre 2012
Roberto Sacchi va in pensione, è il primo pensionato
Elem, per anzianità lavorativa. Gli viene donato un
premio di fedeltà e una targa di onorificenza firmata
Domenico Petrone: ‘Grazie Roberto dell’impegno, della
costanza, della determinazione e della riservatezza che ha
sempre dimostrato in questi 30 anni nella grande famiglia
Elem. La pensione non è un traguardo, ma la linea magica
di un orizzonte dove poter raccogliere e continuare i sogni
della vita’».
Annamaria Barone
«Era il 1984, allora ero una ragazzina di 17 anni appena,
abitavo a Caselette, un paesino ai piedi del monte Musinè.
Lavoravo in un piccolo laboratorio di elettronica, a
conduzione familiare, gente toscana molto per bene.
Sempre in Caselette c’era un’azienda decisamente più
grande, mia mamma faceva le ore lì, mi convinse a fare
domanda di impiego, disse che si stava molto meglio e che
sicuramente avrei imparato di più.
Un dì venni contattata per un colloquio di lavoro, la
prova la feci a Torino, ricordo ancora che, per cercare
l’azienda, mi persi. Già, io a Torino ci andavo molto di rado
e confesso che mi spaventava molto la grande città.
Mariangela, che rispose al telefono, mi fu di grande aiuto.
Feci il colloquio e la prova con la Elem, allora situata in Via
155
Luini; in realtà la domanda di lavoro era indirizzata alla
Fase di Caselette. Non mi convinse: per l’azienda avevo i
requisiti necessari, ma io non mi sentivo pronta. Ero
terrorizzata. Andare a Torino, perché mai io che, per andare
al lavoro usavo la bicicletta, e non avevo nemmeno la
patente? Un pomeriggio all’uscita del lavoro trovai mia
madre, mi disse che nel tardo pomeriggio il titolare in
persona della Elem sarebbe venuto a prenderci a casa per
farci visitare l’azienda. Lui misurò la distanza da casa dei
miei in termini di tempo, ci aveva messo appena 15 minuti.
Nonostante tutto non ero convinta. Mi disse che potevo
portare con me un’amica e compiere una prova più lunga,
e così feci. Il 30 marzo del 1984 iniziai il mio percorso, ero
piena di idee e di iniziative, il mio capo, Petrone, mi
assecondava e mi fece crescere, forse in me aveva visto
qualcosa di buono.
Traslocammo per ben 2 volte, in quasi 30 anni trascorsi
insieme tante cose sono accadute e tanti volti sono
cambiati. Ricordo che una volta eravamo un po’ in crisi,
vicini alle vacanze estive. Arrivò una telefonata, era da
Roma. Luisa gran brava persona, le voglio bene, mi chiamò
e disse: ‘c’è Petrone al telefono in viva voce, vuole parlarci’.
Ci disse che c’era un’opportunità di un grosso lavoro, ma
alcuni di noi avrebbero dovuto rinunciare alle vacanze.
Ma quali vacanze, se non si lavora non si guadagna, se
non si guadagna non si può andare in vacanza.
Accettammo naturalmente e, per alcuni anni, risolvendo
il problema a quel cliente, lavorammo davvero molto
bene. Alcune volte abbiamo lavorato la domenica o il
primo maggio, ma lui era con noi, infilava i suoi jeans e un
maglione, ci portava i pasticcini e il sacrificio diveniva una
festa. In tutto questo tempo non sempre è andato tutto
bene. Qualche ‘lavata di testa’ è toccata anche a me, ma
come quella che ti arriva da un buon padre. Servono
anche quelle per poter crescere. Grazie a lui oggi sono la
persona che sono, e non solo in azienda ma anche al di
fuori nella quotidianità della vita, e di questo gli sarò per
sempre grata. Ma questo era ieri; oggi, a volte, le persone
156
che lo rappresentano non gli rendono onore, ma per
quanto mi riguarda non volterò mai le spalle alla Elem,
perché farlo sarebbe voltare le spalle a colui che ha sempre
creduto in me».
Luisa Milesi
«Alla giovane età di 25 anni, e precisamente il 17 aprile
del 1985, ho iniziato il mio cammino professionale con la
Elem quando era in Via Borsi a Torino. Ho iniziato a
lavorare come segretaria a stretto contatto con il signor
Petrone, condividendo con lui sia i momenti belli di
entusiasmo sia quelli di preoccupazione. Ma devo dire
che le ore che trascorrevo in ufficio non mi pesavano
perché ho trovato da subito un ambiente familiare. Con il
passare del tempo e la fiducia che il signor Petrone ha
riposto in me sono cresciuta sia dal punto di vista umano
che professionale.
Sono stata parte attiva nella crescita della società che, da
piccola ditta familiare, è diventata un Gruppo che copre
vari campi come la tecnologia satellitare avendo acquisito
la Viasat nel 2002. Questo ha significato per me stessa una
costante e continua integrazione con i vari enti aziendali
per poter raggiungere gli obiettivi prefissati. Il signor
Petrone ha sempre investito in nuove tecnologie, per
quanto riguarda sia i processi produttivi sia i prodotti, che
sono sempre il nostro punto di riferimento del settore.
Questo significa credere nella propria azienda e nelle
capacità dei propri collaboratori.
Sono rimasta molto lusingata dall’invito del signor
Petrone alla cerimonia della sua premiazione di
‘Imprenditore dell’anno 2011’ per la categoria Technology
and Innovation nel gennaio 2012. In quell’occasione ho
avuto un’ulteriore riconferma delle sue grandi capacità
imprenditoriali e umane, quando ha fatto riferimento alla
sua ferma convinzione d’investire in Italia, segno che
crede, ancora oggi, nel futuro della propria azienda».
157
Maria Gamo
«Mi presento: mi chiamo Maria Gamo e la mia
‘avventura’ in Elem e poi nel Gruppo Viasat è iniziata nel
lontano 1986, un po’ in sordina. All’epoca la Elem aveva
la sede in Via Luini e un piccolo ufficio a qualche metro di
distanza, esattamente in Via Borsi; mi occupavo di inserire
dati su un personal computer. Negli anni successivi ho
ricoperto diverse mansioni: addetta all’Ufficio Acquisti,
responsabile del Magazzino e poi al Controllo di gestione,
fino a quando, nel 2000, Petrone ha ritenuto necessario
creare l’Ufficio del Personale e mi ha affidato l’incarico di
Responsabile.
Le varie esperienze maturate in questa azienda mi
hanno fatto crescere professionalmente e, se io ero un po’
titubante nell’accettare ogni nuovo incarico, Petrone era
sempre in grado di farmi vedere i lati positivi e mi
trascinava positivamente in ogni nuova sfida.
La Elem ha subito una grande evoluzione da quando,
nel 2002, è stata acquisita la Viasat Spa; noi, dipendenti di
una società manifatturiera con unica sede a Venaria, ormai
una squadra compatta che affrontava ogni sfida con
grinta, siamo stati catapultati in una dimensione
completamente diversa: in una società di servizi, con
dinamiche completamente diverse dalle nostre. I problemi
da affrontare erano tanti, e non da poco era la distanza
con i colleghi di Roma, ma devo dire che è una distanza
che oggi si è quasi annullata. Nel mio caso specifico, io
con la collega Paola Sollazzo dell’Ufficio del Personale è
come se fossimo sedute nello stesso ufficio: ogni cosa
viene pensata, condivisa e organizzata insieme.
Petrone è una forza della natura, ha sempre nuovi
progetti e nuove sfide nelle quali riesce a coinvolgere tutti,
trasmettendo una carica e un’energia incredibili. È un
vero leader».
Giuseppe Tringale
«Si corre! Con questa esclamazione conobbi Domenico
Petrone, ormai parecchi anni fa. Ero appena arrivato in
158
Elem e mi occupavo di industrializzazione, considerando
la mia esperienza lavorativa nel campo della produzione
elettronica. In quel periodo in Elem il sistema qualità era
stato organizzato e supportato da un consulente esterno il
quale, periodicamente, veniva in sede per verificare lo
stato dell’arte. Il consulente era un tipo un po’ burbero,
aveva già una certa età e manifestava una grande
padronanza del settore e dei processi industriali.
Ricordo che ci riuniva spesso dentro una delle sale di
riunione e cominciava a chiedere se c’erano problemi,
come andava quello, come andava quell’altro ecc.
Tuttavia, man mano che aumentava la mia presenza a
questi incontri, mi rendevo conto che il consulente
ripeteva sempre lo stesso copione, e che le cose non
venivano mai affrontate nel modo corretto.
Un giorno avvenne un episodio che diede una svolta a
tutto. Il consulente decise di andare a parlare con
Petrone, perché le cose non andavano bene ed occorreva
prendere delle posizioni. Petrone lo fece entrare nel suo
ufficio e cominciò ad ascoltarlo.
Sicuramente una delle principali caratteristiche di un
grande imprenditore è quella di trasformare i problemi
in opportunità, quindi fu normale per Petrone, dopo
aver ascoltato con profondo interesse, chiedere al
consulente di adoperarsi per risolvere quella situazione
piuttosto che continuare a fare solo l’elenco delle cose
che non andavano.
Il consulente rimase molto sorpreso dalla richiesta di
Petrone e al tempo stesso anche un po’ infastidito: si
grattò un po’ la testa e poi, scuotendola lentamente,
disse: ‘Io faccio il consulente, non sono qui per capire e
risolvere problemi, ma per evidenziarli’. In quel
momento non sapevo ancora che, da lì a breve, mi sarei
occupato di Qualità e cosa avrei dovuto fare, ma
sicuramente mi resi subito conto di cosa ‘non avrei mai
dovuto fare’.
Qualche giorno dopo Petrone mi chiese di occuparmi
della Qualità Elem, e di fare in modo che diventasse
159
realmente un potente motore interno di risoluzione dei
problemi e di miglioramento. Era nata la nostra Qualità,
e sarebbe stata per me una delle esperienze più
importanti ed entusiasmanti della mia vita.
Sono passati ormai sedici anni da quel giorno ma,
quando hai la fortuna di incontrare e collaborare con un
grande imprenditore e un grande leader, non ti resta che
fare l’unica cosa che è giusto fare: «correre e non fermarsi
mai».
Susan Van Aken
«Sono in Viasat dal 1996, e in questo momento mi
occupo di marketing, grafica e comunicazione, lavoro
con Roberto Cortesi. Quindi sono un po’ al fronte? Sì, ma
è un lavoro divertente. Petrone? È una persona tenace,
che ha una grande voglia di fare, di innovare, ha
un’energia pazzesca, stargli dietro è quasi impossibile.
Però, come dire?, distribuisce l’energia all’interno del
suo Gruppo. Ha sempre voglia di innovare, è una
persona molto positiva.
È molto veloce, un manager che, quando ha in testa
un’idea nuova, la vuole realizzare subito, non vuole
perdere tempo e cerca di vederla finita proprio come l’ha
pensata lui. Quindi i cambiamenti sono velocissimi, al
punto che non si ha il tempo di riflettere troppo su quello
che si sta facendo. Il clima è quello di una grande
famiglia, questo lo sento molto forte, è un bel gruppo. E
io qui mi sento come se fossi a casa, e questo anche
grazie a lui. La cosa più bella del lavoro? Di sicuro per
me il lavoro stesso, faccio qualcosa che mi piace fare e
quindi tutti i momenti sono divertenti.
Domenico Petrone in ogni caso è un grande
imprenditore, una persona molto esigente sul lavoro ma
altrettanto divertente fuori dall’ufficio. Nel corso degli
anni ho partecipato a tante cene aziendali o serate legate
al lavoro, ed è in quei momenti che esce fuori il suo
spirito festaiolo e che diventa ‘uno di noi’. Balla molto
bene il Latino-Americano e con la sua energia riesce a far
160
ballare bene anche la persona più negata per il ballo.
Vorrei chiudere con una cosa: Domenico è una persona
molto sensibile ai problemi altrui e sempre disponibile
ad aiutare dove può».
Umberto Passeri
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aets in Elem dal 2001, dopo aver ricoperto diversi ruoli
ora sono responsabile del reparto Produzione. In questi
11 anni di lavoro ho avuto modo di conoscere un
imprenditore veramente abile nel ‘saper fare’. Ho sempre
trovato affascinante la sua capacità di pensare al futuro e
la sua velocità di pensiero che lo porta a ritenere superato
anche il detto ‘Non fare domani quello che puoi fare oggi’,
perché per lui ‘oggi’ è già passato e si deve sostituire con
‘ieri’. Posso definirlo una persona di vecchio stampo, in
Italia purtroppo ne sono rimasti pochi esemplari.
Non si è mai lasciato catturare dall’idea di uscire dai
confini per produrre all’estero, rinunciando forse a
margini superiori, ma ha sempre creduto nella
manifattura italiana. Ha impegnato la propria creatività
per migliorare i processi produttivi prendendo spunto da
Paesi tecnologicamente evoluti come il Giappone.
Posso definire Petrone come un vulcano in continua
eruzione, non sempre facile da seguire nei suoi continui
movimenti, ma questa è la caratteristica principale della
sua storia».
Emanuela Currà
«Sono qui dal 2004, avevo 24 anni, ero molto giovane,
facevo la receptionist, e l’impatto con questa azienda è
stato bellissimo. Poi sono stata la segretaria di Petrone,
una persona che stimo tanto, molto umile, un pozzo di
idee. Un vero imprenditore. È il primo ad arrivare e
l’ultimo ad uscire dall’azienda. Per me è come un padre,
lo stimo moltissimo. Io sono cresciuta con loro e anche
questo è una cosa molto positiva perché ti senti parte
della sfida, ti senti sempre parte della squadra. Per
questo ci si trova bene.
161
Anna Mugavero, prima di me, già nel 1988, ha iniziato
la sua storia in Elem come centralinista a soli 20 anni,
diventando in seguito la segretaria del Presidente. È
stata la mia maestra, le ho voluto veramente bene, mi ha
insegnato tutto e non solo sul lavoro. Una vera amica e
collega. Oggi, purtroppo, non è più fra noi, ma da una
nuvoletta, come sempre, ci incoraggia col suo splendido
sorriso. Anna è stata una figura storica della Elem e poi
di Viasat Group. Era una donna bellissima, la
chiamavamo ‘occhi da cerbiatta’ ed è stata una colonna
per il Gruppo. Una figura che manca ancora a tutti noi,
basti dire che molti, qui, hanno ancora una sua foto sulla
scrivania. Se non è una famiglia, questa».
Paola Sollazzo
«Lavoro qui da quindici anni. E questo la dice lunga su
cosa penso dell’azienda. A me piace, è bella, la tratto
come se fosse mia. La coccolo. Sono qui da prima che
arrivasse Petrone e devo dire che la società in precedenza
aveva molte difficoltà ma poi - da quando è arrivato
Petrone - sono state apportate diverse novità e le cose
sono davvero cambiate. Grazie a lui ci siamo stabilizzati,
sono finite le perdite, sono arrivati risultati positivi.
Ci sarebbe tanto da dire. Il capo? Sul lavoro è un vero
vulcano di idee, non si ferma mai, si mette in gioco in
prima persona, è un punto di riferimento. Se abbiamo
dei dubbi, se ci serve un aiuto, è sempre disponibile a
parlare con tutti.
È una persona che ascolta e questo è raro. Non si ferma
un attimo e dà l’impressione a noi tutti di essere protetti,
è il vero presidente operaio, e questo al dipendente dà
la sensazione di essere in buone mani: quando vedi che
il capo non si ferma, che non si risparmia mai, tu sei
invogliato a seguirlo e contemporaneamente capisci che
l’azienda va avanti. Una cosa rara in questo momento.
In ogni caso questa azienda l’ho vista nascere ma
Petrone l’ha fatta crescere. La fase di start-up è stata
veloce e bellissima.
162
Insomma la Viasat è come una famiglia, un vero
Gruppo, siamo qui da tanti anni e questo spirito si sente,
siamo cresciuti insieme. Il clima è molto bello».
Nicodemo Magliocca
«Sono arrivato in questa azienda dopo l’acquisizione
di Viasat, e ho vissuto quindi l’evoluzione del Gruppo.
In una parola la definirei un’azienda ‘innovativa’. Ma
questo vale sia per la società che per Petrone: qui il
‘nuovo’ è lui. Nonostante il fatto che noi manager siamo
molto più giovani di lui, è proprio Petrone il ragazzino
qui. Una persona vulcanica, sempre iper attiva e sempre
con nuove idee e nuovi stimoli. Da giovane la cosa ti
pesa (pensi spesso ‘Cavolo, dovrei essere così io! Sono io
quello giovane!’), ma poi il personaggio ti affascina
perché ogni giorno di lavoro qui è diverso, non è mai
noioso. E lavorare con lui è uno stimolo fortissimo.
Questo è per me Petrone. Io ho lavorato in aziende dallo
stesso numero di dipendenti. E questa rispetto alle altre
è organizzata meglio. È vero, dobbiamo crescere ancora
dal punto di vista manageriale. Ma sull’operativo, che
costituisce il nostro pane quotidiano, siamo ad un livello
altissimo».
Massimo Getto
«Sono qui dal 2006, quando il Gruppo voleva quotarsi in
borsa e aveva necessità di rafforzare la parte finanziaria
per adeguarsi alle necessità strategiche, quindi era già
notevole dal punto di vista dimensionale, era già
confrontabile con l’azienda di oggi. Tuttavia l’evoluzione
è costante e si migliora sempre.
Dal punto di vista umano e delle relazioni si sente
questo carattere familiare dell’azienda, un carattere forte.
Io sono vicepresidente e direttore finanziario, ma Petrone
non è una persona facile da definire. Se lo dovessi fare in
una parola? Direi ‘appassionato’, nel senso letterale del
termine, perché ci mette sempre passione in quello che fa,
prova trasporto, emozione nel fare le cose. Con tutti i
163
pregi di questa cosa. In generale è una caratteristica molto
positiva, che credo debba contraddistinguere le persone
che lavorano bene. Lavorare bene proprio per il gusto di
fare una cosa bene. Vederla poi crescere e avere risultati
positivi non è da tutti, d’altra parte».
Roberto Cortesi
«Lo spirito di squadra? Sì, c’è, si sente, ed è molto
stimolante che ci sia, ti tiene sempre sulla corda, una bella
sfida. Io sono a contatto diretto con Petrone, ho una
percezione molto forte di questo suo modo grintoso e
irruento di fare le cose: non è sempre semplice lavorare
con lui, ma è sempre molto stimolante. Inutile negare che
ci siano difficoltà: sono dettate dal momento contingente,
dai problemi del lavoro. Ma è bello lavorare in questa
azienda perché qui si creano vincoli di fiducia, in alcuni
casi anche molto forti.
Va detto che siamo anche in una fase delicata, iniziata
da qualche anno ma che è ancora in progress, di un
cambio generazionale, anche a livello organizzativo: ci
sono persone che crescono all’interno e che man mano
acquisiscono la fiducia del gruppo dirigente e che quindi
finiscono in ruoli chiave. Ma torniamo a Petrone: lui ti
mette sempre e costantemente alla prova. Devi saper
decodificare i messaggi che ti trasmette e rendere sempre
nel modo migliore.
Io sono qui da quattro anni, da poco rispetto ad altri,
sono il responsabile Marketing e Comunicazione, ma mi
sto orientando molto di più sul campo dei rapporti
istituzionali, affiancando Petrone in quelli che sono i
rapporti internazionali. Insomma sono in una delle
posizioni più trasversali che ci siano in azienda. Un ruolo
delicato e in continua evoluzione.
La cosa che mi piace di più della Viasat? La mancanza di
filtri. Qui vali per quello che fai e si è sempre in
movimento: non c’è la percezione di un’azienda ferma».
164
Marzia Zangarini
«Io l’azienda l’ho vista già grande, già in queste
dimensioni. La sua crescita record di conseguenza non
l’ho ovviamente vissuta in prima persona. E un po’ mi è
dispiaciuto, devo essere sincera: probabilmente sono
stati anni molto belli. In ogni caso quello che mi ha
colpito di questa azienda è il ‘clima’ che c’è: si sta molto
meglio qui rispetto ad altri posti di lavoro.
Parlo del rispetto delle persone che si respira fra le
mura, ma anche del lato umano sempre tenuto in grande
considerazione. Soprattutto in alcuni reparti sembra di
essere in una grande famiglia.
Petrone? È un numero uno sempre attivo, ha
un’energia pazzesca, è vulcanico ma anche divertente.
Forse è questo il segreto dell’essere innovativi, anche se
a volte è complicato stargli dietro, tenere il suo ritmo.
D’altra parte secondo me non bisogna mai dimenticare
che questa è un’azienda travolgente, venuta dal nulla. E
questo si sente. Si sente in modo forte. Come è sempre
molto presente la figura di Petrone, uno che si trascina
dietro tutti, che ha mille idee e che poi ne realizza anche
parecchie. La sua figura, concludendo, qui è molto
importante: si fa carico dei problemi ed è chiaro che ha
la capacità di controllare mille cose. Da qui, secondo me,
deriva il suo grande carisma».
Paolo Ravicchio
«Sono già trascorsi quattro anni dall’inizio della mia
esperienza in Viasat e proprio in questi giorni, per una
riorganizzazione dei locali aziendali, sono tornato ad
occupare l’ufficio che mi aveva ospitato nei primi giorni di
lavoro. Non appena ho varcato la soglia della stanza e
ripreso possesso della scrivania, è stato automatico
ritornare con la memoria agli esordi e fare un confronto con
l’oggi. Mi sono rivisto certamente emozionato e spaesato,
ma nello stesso tempo ho rivissuto la convinzione e la forza
dell’epoca, tipici di chi ha un’idea vincente che frulla nella
testa e ha trovato la fiducia di un imprenditore che, pur
165
senza garanzie, ha creduto nell’uomo, prima ancora che nel
progetto.
Ricordo i mesi trascorsi in ‘silenzio religioso’ per tradurre
l’idea in un business plan, in un’organizzazione, in una
start-up. E oggi? Oggi l’ufficio è lo stesso, ma è l’unica cosa
che è rimasta tale e quale (e in effetti ci sarebbe bisogno di
un po’ di colore alle pareti…). Adesso l’idea è diventata
realtà. Con me ci sono dieci splendidi collaboratori che
quotidianamente mi aiutano a gestire e sviluppare i
progetti ‘Rimborso Facile’ e ‘Perizia Telematica’, e
soprattutto ci sono già migliaia di automobilisti raggiunti e
aiutati da questi nuovi servizi. A dire il vero, anche un’altra
cosa è rimasta tale e quale: l’entusiasmo e la passione. Ma
per chi lavora in Viasat questa è la normalità e la si può
riscontrare in tutti i suoi dipendenti, tranne uno: il
Presidente.
Per Domenico Petrone le parole entusiasmo e passione
non sono sufficienti e adatte per rappresentare
quell’energia, quel dinamismo, quell’amore per la propria
attività che lo contraddistinguono in ogni istante del giorno
e, ne sono certo, anche della notte, alla luce delle sue e-mail
e telefonate di prima mattina. È stata sicuramente anche
questa forza l’ingrediente che ha permesso alla mia ricetta
di diventare un piatto di successo e che ha contraddistinto
in positivo la mia storia rispetto a tante altre con una genesi
simile. E domani? Avanti con una nuova idea!».
Domenico Palladino
«Il mio primo incontro con Domenico Petrone avvenne
molti anni fa, all’inizio degli anni 80, ero in Olivetti,
azienda leader a livello mondiale con oltre 50 mila
dipendenti, leader tecnologica nell’elettronica. Ma
nonostante ciò avevamo problemi a montare un
componente SMD (PLCC 84). Sembrava impossibile, ed
eravamo con le produzioni totalmente bloccate.
Si presentò un giovane imprenditore, aggressivo, molto
diretto, che aveva una piccola azienda di montaggi, la
Elem, che dichiarò di potere montare il componente senza
166
particolari problemi; non ci credevamo molto ma, non
avendo niente da perdere, decidemmo di provare e,
constatammo, con sorpresa dei nostri ingegneri e del
direttore di produzione, che realmente ci riusciva. Così
risolvemmo i nostri problemi, ed Elem diventò il nostro
fornitore di riferimento e contribuimmo alla crescita di
quella piccola azienda.
Ho saputo solo recentemente che il macchinario
utilizzato per tale lavorazione, addirittura all’epoca, era
solo in fase dimostrativa. Dopo 30 anni l’Olivetti è l’ombra
di quella di 30 anni fa, mentre la Elem, evolvendosi giorno
dopo giorno, è cresciuta in un mercato estremamente
competitivo, sopravvivendo alla moria di aziende di
produzione del mondo industriale italiano e più generale
d’Europa.
Fattori di successo della Elem sono stati vari: la forte
motivazione dell’imprenditore, la perseveranza che a
volte rasenta l’ostinazione, la strategia di puntare sempre
sulla tecnologia, l’elevata flessibilità diretta a supportare
le necessità dei clienti, la scelta dei mercati che potessero
garantire un adeguato margine anche a scapito della
crescita del fatturato. Ed ancora: gli investimenti adeguati
per essere sempre in linea con lo stato dell’arte
tecnologico, cogliendo e selezionando le varie opportunità
di business presentatesi negli anni, passando dalle
produzioni elettromeccaniche a quelle elettroniche, dai
prodotti dell’IT alla telematica, dalla produzione in conto
terzi alla realizzazione anche di prodotti e sistemi propri.
Il fiuto imprenditoriale che, secondo me, è parte del
Dna, ha contribuito al successo del Gruppo, garantendo
un’elevata solidità che consentirà di superare e crescere
anche in momenti di crisi generale, nonché di cogliere le
prossime opportunità. Ironia della sorte, oggi faccio parte
della squadra di Domenico, occupandomi di strategia di
acquisto e di tutta la supply chain».
167
CAPITOLO 51
Il gioco di squadra
La squadra è da sempre il cuore di ogni organizzazione,
la perfetta sintonia di ruoli e responsabilità che fonde e
aggrega l’insieme di singole abilità ed eccellenze. È il
concetto della Jazz Band, dove tutti i musicisti conoscono
a memoria il ritmo e la musica da suonare, al punto di
accompagnare spontaneamente le improvvisazioni dei
fantasiosi solisti, per poi rientrare al momento giusto
nell’insieme del frenetico ritmo. Anche il calcio esprime
chiaramente il concetto del vero gioco di squadra, dove
tutti hanno un ruolo a protezione della propria area, dalla
difesa all’attacco, e sono tendenzialmente espressione e
ricerca dell’eccellenza nei rispettivi ruoli (competenze),
ma si muovono in modo organico (squadra) sotto la guida
attenta del coach, costruendo l’azione (processo) con una
finalità ben precisa (target): fare goal e vincere la partita.
Non a caso il termine goal si associa alla definizione
«obiettivo», in quanto sintetizza in un sola espressione
quello che, in fondo, sono i principi della Qualità intesa
come eccellenza organizzativa: l’approccio per processi,
l’efficienza organizzativa, gli obiettivi, l’impegno, la
passione e i «goal» sono i fattori fondamentali per vincere
partite e campionati.
Queste metafore Petrone le cita spesso a noi tutti,
ricordandoci che il prossimo obiettivo è vincere il
«Mondiale». Negli ultimi anni i criteri di selezione delle
new entry, al fine di potenziare la squadra, sono stati
pressoché identici per tutti. Il primo impatto è stato
senz’altro la conoscenza con una massa di energia: il
«presidente operaio» fondatore del Gruppo. Caratteristico
il suo sguardo diretto quasi a volerti leggere l’anima,
motivanti il suo entusiasmo e la sua adrenalina allo stato
puro, preoccupanti le sue infuriate quando i progetti non
scorrono veloci così come vorrebbe, ma soprattutto
presente in lui l’idea, solida come un macigno, di come
168
deve essere la propria «squadra vincente»; idea che,
tramite la sua visione e i suoi progetti, viene perseguita
giorno dopo giorno. Per come siamo stati accolti nel
Gruppo viene in mente la frase di William James: «Inizia
ad essere ora quello che da oggi in poi vorresti essere».
Il lavoro (ma forse è più corretto chiamarlo l’evoluzione
del pensiero) è stato duro e faticoso e probabilmente non
è ancora completamente compiuto. Anche se probabilmente Petrone non l’ammetterà mai, oggi possiamo
affermare che sta prendendo forma il suo ennesimo
sogno: quello di costituire una squadra di
«intraprenditori» in cui riconoscersi e in cui poter
immaginare e costruire il futuro. Persone che stanno
imparando il «Pedro’s way» e che hanno portato nel
Gruppo nuove competenze ed entusiasmo.
Un giusto mix di spregiudicatezza, di freschezza e di
entusiasmo giovanile accompagnato da qualche «talento»
già formato. Ma per arrivare a vincere i campionati
importanti è necessaria un’esperienza pratica e una
motivazione condivisa che solo il tempo può dare. Il
tempo di sbagliare, capire, correggere e di «ricominciare
da tre», il tempo per acquisire esperienze e per mettere
alla prova le proprie capacità e creatività.
La squadra è in continua crescita e sta acquisendo
giorno dopo giorno il pensiero «petroniano». Un pensiero
che basa i propri fondamenti sulla capacità di guardare
oltre le proprie funzioni, alla necessità di essere trasversali
e ugualmente responsabili del «tutto» e non del singolo
«pezzo».
Dopo anni di trasformazioni ed evoluzioni, di ostacoli
ma anche di successi, la squadra, a partire dalle sue prime
linee, è oggi composta di capacità e di conoscenze
specifiche, ma in un’ottica di crescita dinamica: ognuno
di noi ha limpidamente impresso nella mente
l’importanza di imparare, di fare e di trasferire questa
conoscenza a tutti gli altri del Gruppo.
Dal marketing alla logistica, dalla progettazione alla
produzione, dalla comunicazione alle vendite, dalla
169
gestione del personale all’area di sviluppo dei servizi,
ognuno conosce le aspettative e la fiducia di Petrone ed
ha imparato a mettersi in discussione per migliorarsi
continuamente, senza fermarsi a lucidare i trofei ma
cercandone di nuovi da vincere.
Una squadra capace di guardare sempre avanti e di
prendersi sulle spalle le responsabilità e le opportunità
all’orizzonte con l’ambizione di creare risposte e soluzioni
prima ancora che vengano poste le domande.
170
PARTE OTTAVA
EPILOGO
CAPITOLO 52
Viaggio nel futuro
di Marco Petrone
Alla giovane età di 73 anni il professor Marco Petrone
ha comunicato, in una conferenza stampa, che il giorno
13 aprile deporrà la carica di Presidente del Consiglio di
amministrazione di Viasat Group, multinazionale
quotata a Milano, New York e Shanghai, ritirandosi a
vita privata. Le responsabilità delle tre holding del
Gruppo, con sede nelle principali piazze finanziare del
pianeta, saranno ora ricoperte da altri discendenti di
Domenico Petrone, garantendo continuità al legame che
dal 1974 lega la multinazionale al cognome della
famiglia Petrone. «Ad un certo punto della propria
vita–ha commentato davanti ai giornalisti il professor
Marco Petrone–bisogna fare largo ai giovani, come
diceva spesso mio padre. Sono stati anni intensi,
emozionanti, faticosi ma ricchi di soddisfazioni. Ci sono
eventi ed anni che non dimenticherò mai, come la
quotazione sui mercati finanziari, un’operazione che
modificò sensibilmente il nostro modo di essere
imprenditori.
Prima di allora mio padre era stato abituato ad essere
in azienda per primo, per secondo e per ultimo, sempre
pronto ad indossare il camice da lavoro per entrare in
officina, per risolvere i problemi, per parlare con le
persone, spingerle a fare meglio. Il classico uomo da
trincea che si era fatto da solo e che amava sporcarsi le
mani. Dopo la quotazione non fummo più padroni a casa
nostra. In ottobre bisognava incontrare gli azionisti, le
banche, gli analisti, gli enti di controllo, per anticipare il
budget dell’anno successivo e il piano industriale per i
tre anni successivi. Poi ogni tre mesi bisognava
incontrarli di nuovo per presentare il consuntivo, le
ragioni dello scostamento dalle previsioni, le azioni
correttive che si intendevano seguire. Inutile dire che tali
173
incontri avvennero prima solo in Italia, e poi
progressivamente in tutto il mondo. Inutile anche dire
che mio padre si stancò presto di queste attività e che,
senza fare troppi complimenti, le delegò al sottoscritto.
Naturalmente gli aspetti positivi della quotazione
furono sensibili e numerosi, ma quel che più modificò il
nostro modo d’agire fu la rilevante liquidità che affluì
nelle casse della società. Anche qui una rottura con il
passato: l’imprenditore abituato a fare tutto con il
proprio denaro e ad autofinanziarsi, improvvisamente si
ritrovava con capitali di grandi e piccoli investitori che
affidavano i loro risparmi alla Viasat Group per
incrementarne il valore.
E così, fino a che ebbe la forza di arrabbiarsi con tutti,
si creò la strana situazione in cui lui faceva il Presidente
tra i dipendenti, assorbito dai problemi quotidiani
dell’azienda, ed io facevo il dipendente tra i Presidenti,
con un ruolo istituzionale che mi allontanava
continuamente dall’operatività delle cose. Quello fu
l’inizio di un lungo periodo di crescita per acquisizioni,
che aggiunse uno zero al fatturato, come diceva lui.
Poi arrivò la crisi energetica mondiale del 2029, con il
suo prezzo esorbitante del petrolio, il ritardo strutturale
del nostro Paese sulle fonti alternative, ma anche con il
suo inizio di una nuova era: messi alle strette dalla
necessità, tutti sul pianeta capimmo proprio in quel
periodo che spostare idee, immagini e parole tramite
internet, cellulari e satellitari costava molto meno che
trasportare persone. Le crisi creano opportunità, si usava
dire quando ero giovane, ed infatti la nuova era diede
un impulso enorme al nostro Gruppo industriale per il
bisogno di strumentazioni elettroniche da produrre, e
per la necessità di nuovi servizi da erogare tramite le
tecnologie satellitari. L’anno dopo, alla fine della crisi,
mio padre compì 80 anni e lasciò a me la Presidenza e la
responsabilità di far crescere la struttura manageriale del
Gruppo nell’interesse di tutta la famiglia.
Capimmo subito che c’era solo un modo per
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sopportare il peso della struttura senza togliere spazio
alla mia famiglia che, come sempre, rappresentava la
mia prima priorità: dare maggiore spazio ai
collaboratori, lavorando tutti i giorni come un allenatore
di calcio che determina il ruolo d’ogni giocatore e la
strategia di attacco o di difesa, facendo crescere i giovani
vicino ai più esperti, rinnovando ogni anno la rosa,
aggiungendo o togliendo qualche giocatore e,
possibilmente, facendo a meno dei fenomeni che
fenomeni non si erano mai rivelati.
Oggi, nell’anno 2050, a vent’anni di distanza, è l’ora di
un nuovo passaggio generazionale. I nuovi protagonisti
sono quelli della generazione che non crede alle proprie
orecchie quando dico che un tempo si parlavano oltre
200 lingue, che quasi ogni Stato aveva la propria moneta,
che per telefonare dalla strada bisognava usare un
telefono pubblico grande come una doccia e dal quale
non si potevano vedere le immagini, che internet non
esisteva, che gli animali si allevavano all’aria aperta, che
la Cina e l’India non erano le maggiori potenze militari
ed economiche del mondo, che l’Europa e gli Stati Uniti
erano ogni anno meta di centinaia di migliaia di
immigrati alla ricerca di una vita migliore, che i viaggi
nello spazio erano solo all’inizio.
Ora posso tornare ai miei studi di storia. Sono
consapevole dello scalpore che le mie scoperte sulle
antiche civiltà hanno già destato in tutti questi anni in
cui ho coltivato una passione che mi ha riempito di gioia,
di soddisfazione e di entusiasmo. Sono però convinto
che ci siano ancora molti misteri da svelare sul nostro
passato, che potrebbero cambiare la percezione del
futuro. In più, ad aprile diventerò nonno per la settima
volta. Questa volta di un nipotino che, combinazione
della sorte, mio figlio più giovane ha deciso di chiamare
Domenico Petrone. Sarà un imprenditore come il suo
bisnonno? Non lo so. Questa è un’altra storia.
FINE di un percorso e inizio di un altro
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Domenico Petrone Tutto inizia dai sogni