XXXVII M O S T R A
INTERNAZIONALE
DEL NUOVO
CINEMA
PESARO FILM FESTIVAL
XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA
XXXVII MOSTRA
INTERNAZIONALE
DEL NUOVO CINEMA
CATALOGO DELLA XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE
DEL NUOVO CINEMA
A cura di Alessandro Borri
Traduzioni in inglese di Natasha Senjanovic
AVVERTENZA
Gli artisti giapponesi citati compaiono con il cognome anteposto al nome, secondo l’uso della lingua giapponese. Le abbreviazioni usate significano: doc. (documentario); cm (cortometraggio); mm (mediometraggio); col. (colore); b/n (bianco&nero).
Redazione a cura di Pier Maria Allolio, Piero Perucca e Barbara Zileri
© 2001 Lindau s.r.l.
Via Bernardino Galliari 15 bis - 10125 Torino
tel. 011/669.39.10 fax 011/669.39.29
http//www.lindau.it
e-mail: [email protected]
Prima edizione
ISBN 88-7180-371-X
Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus
XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE
DEL NUOVO CINEMA
Pesaro, 22 - 30 giugno 2001
MINISTERO PER I BENI
E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO
REGIONE MARCHE
PROVINCIA DI PESARO E URBINO
COMUNE DI PESARO
COMMISSIONE EUROPEA
XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE
DEL NUOVO CINEMA
Comitato Scientifico
Bruno Torri, Presidente
Adriano Aprà
Pierpaolo Loffreda
Lino Miccichè
Angela Prudenzi
Giovanni Spagnoletti
Vito Zagarrio
Direzione
Giovanni Spagnoletti
FONDAZIONE
PESARO NUOVO CINEMA Onlus
Organizzazione generale
Pedro Armocida
Soci fondatori
Comune di Pesaro
Oriano Giovanelli, Sindaco
Assistente alla programmazione
Francesca Leonardi
Provincia di Pesaro e Urbino
Palmiro Ucchielli, Presidente Amministrazione Provinciale
Ufficio Documentazione e Catalogo
Alessandro Borri
Consiglio di Amministrazione
Oriano Giovanelli, Presidente
Luca Bartolucci, Gianaldo Collina, Alessandro Fattori,
Simonetta Marfoglia, Franco Marini, Ornella Pucci,
Paolo Sorcinelli, Aldo Tenedini
Segreteria
Maria Grazia Chimenz
Segretario generale
Massimo Barilari
Accrediti e ospitalità
Alessandra Scotti
Amministrazione
Lorella Megani
Responsabile Ufficio stampa
Mimmo Morabito
Coordinamento
Viviana Zampa
Collaborazione alla sezione “Il cinema giapponese oggi”
Okubo Ken, Roberta Novielli, Olaf Möller
Rapporti con le scuole
Beatrice Terenzi
Selezione “Nuove Proposte Video”
Andrea Di Mario
Movimento copie
Fabiola Pagnanelli
Coordinamento conferenze stampa e concorso video
Pierpaolo Loffreda
Giuria concorso video“L’attimo fuggente”
Giuliana Gamba, Presidente
Fiorangelo Pucci, Alberto Pancrazi, Enzo Polverigiani,
Franco Bertini
Traduzioni
dall’inglese: Efenesia Baffa, Luca Briasco
dal tedesco: Matteo Masini
per lo Studio di Traduzione, Roma
Altre traduzioni
dall’inglese: Sandra Grieco
dal tedesco: Massimo Leardini, Daniele Battaglia
dal francese: Massimo Thomas, Laura Palandrani
Sito Internet
Claudio Gnessi
Realizzazione immagini su Internet
Stefano De Felici, Silvia Lazzarini
Stagisti
Corinna Larcher, Elisabetta Marino, Ribes Sappa
Progetto grafico
Studio Ring, Pesaro
Coordinamento proiezioni
Gilberto Moretti
Traduzioni simultanee
Anna Ribotta, Simonetta Santoro, Marina Spagnuolo,
Gigliola Viglietti
Consulenza assicurativa
I.I.M. di Fabrizio Volpe, Roma
Trasporti
Stelci e Tavani, Roma
Ospitalità
A.P.A., Pesaro
Sottotitoli elettronici
Diva s.a.s., Roma
Allestimento “Cinema in piazza”
L’image s.r.l., Padova
Impianti tecnici
Olivud, Roma
Pubblicità
Dario Mezzolani
Viaggi
Viaggi Ratti by Holiday s.r.l., Roma
Si ringraziano:
Andrea Cassini
Maria Coletti
Lia Colucci
Laura Palandrani
Roberto Pisoni
Elena Vecchia
Si ringraziano particolarmente:
The Japan Foundation
Istituto Giapponese di Cultura (Yoshie Mitamura,
Isabella Lapalorcia)
Aihara Hiromi
Ambasciata italiana in Giappone (Gustavo Cutolo)
Cahiers du cinéma (Franck Nouchi, Charles Tesson)
Antoine De Baecque
Roland Domenig
Simona Fina
Jennifer Franchina
Freunde der Deutschen Kinemathek (Ulrich e Erika
Gregor)
Malgorzata Furdal
Aaron Gerow
Hayashi Kanako
Alexander Horwath
Image Forum (Tomiyama Katsue, Hiroyuki Ikeda)
Kawakita Memorial Film Institute (Okada Masayo,
Sakano Yuka)
Gabriella Lucantonio
Francesco Martinotti (“Semaine de la critique” a Roma)
Jonas Mekas
PIA Film Festival (Keiko Araki, Koike Akira)
Georgette Ranucci (Cannes a Roma)
Rainer Rothe
Mark Schilling
Sogetsu Art Museum
Teshigahara Public Relation Office
Prof. Yokokawa Shinken
Produzioni e distribuzioni
Bonner Kinemathek
Celluloid Dreams (Pascale Ramonda)
Cinema Shimokitazawa
Cinémathèque de Toulose
Cineteca di Bologna (Gianluca Farinelli)
Contemporary Films (Eric Liknaitzky)
Danske Filminstitut (Pernille Munk)
Eagle Pictures (Alessandra Izzo)
Edgar Reitz Filmproduktion (Robert Busch)
Fabrica (Marco Müller)
Film Polsky
Les Films d’Ici
Les Films du Losange (Lise Zipci)
Fortissimo Film Sales (Marnix van Wijk)
Groove Corporation
Istituto Luce (Giovanni Tamberi, Patrizia De Cesari)
Lantia Cinema & Audiovisivi
Léo et Compagnie
Lucky Red (Andrea Occhipinti, Georgette Ranucci)
Media Luna (Ida Martins)
Mirovision (Erica Nam)
Nippon Moso Kyokai
Office Kitano
Oshima Production
Paulo Films
Pierre Grise Productions
Sharada Film (Sandro Cecca, Andrea De Liberato)
Shochiku Co. (Ikeshima Akira)
Slow Learner
Stance Company
Surf Film (Elena Francot, Massimo Vigliar)
Svenska Film Institutet (Gunnar Almer)
Tele + (Fabrizio Grosoli, Barbara Ferrieri)
Tvor
Zero-Film
Per la “Personale Romuald Karmakar” in collaborazione con
il “Deutsches Filmmuseum” di Frankfurt am Main
Hans Peter Reichmann, Thomas Worschech (Deutsches
Filmmuseum)
Bavaria Film (Stefanie Zeitler)
Pantera Film
Telepool (Wolfram Skowronnek)
ZDF (Doris Hepp)
Per “I video di Chris Petit”
Illumination Films (Pinky Ghundale, Keith Griffiths)
BBC
IFFR
MOSTRA INTERNAZIONALE
DEL NUOVO CINEMA
Via Villafranca, 20 - 00185 Roma
tel. (+39) 06 491156 / (+39) 06 4456643
fax (+39) 06 491163
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[email protected]
IL PROGRAMMA MEDIA II DELLA COMMISSIONE EUROPEA
A SOSTEGNO DEI FESTIVAL CINEMATOGRAFICI
THE MEDIA II PROGRAMME OF THE EUROPEAN COMMISSION SUPPORTED AUDIOVISUAL FESTIVALS
I festival cinematografici hanno in Europa un ruolo culturale,
Film festivals have a very important cultural, social and educative
sociale ed educativo particolarmente importante. Contribuiscono
role to play in Europe. They contribute to the creation of a large
direttamente o indirettamente alla creazione di un gran numero
number of direct and indirect jobs and provide a much needed pro-
di posti di lavoro nonché di un’utilissima rete di promozione e
motion and distribution network which enhances the production of
distribuzione che rafforza la produzione dell’industria audiovisi-
the European audiovisual industry. New talented creators are thus
va europea. Nuovi artisti di talento hanno così la possibilità di far
given the opportunity to show their works and young audiences
conoscere le loro opere e il pubblico più giovane può venire a
may get better acquainted with European cinematography.
contatto con la cinematografia europea.
The MEDIA II Programme of the European Commission gives its
Il programma Media II della Commissione Europea finanzia i
support to festivals with a view to improve the conditions of pro-
festival con l’intento di migliorare le condizioni di promozione e
motion and distribution of European audiovisual works and the
distribuzione dei prodotti cinematografici europei e di favorire
access of independent producers and distributors to the European
l’accessibilità di produttori e distributori indipendenti al mercato
and international market.
europeo e internazionale.
This action aims to reinforce the link between European public at
Questo progetto mira a rafforzare il legame fra il vasto pubblico
large and films produced in Europe. About sixty festivals across
europeo e i film prodotti in Europa. Attualmente vengono finan-
Europe, in the Member States as well as in the third countries
ziati circa cinquanta festival cinematografici in tutta Europa,
participating in the MEDIA II Programme, are granted financial
negli Stati Membri così come nei paesi terzi che partecipano al
support. Every year, thanks to the activities of these festivals and
programma MEDIA II. Ogni anno, grazie alle attività di questi
to the support of the European Commission, about 10,000 audio-
festival e al finanziamento della Commissione Europea, vengono
visual works displaying the rich diversity of European cine-
presentate circa 10.000 produzioni cinematografiche a una platea
matographies, are presented to a public of about two million spec-
di circa due milioni di spettatori, testimoniando la varietà e la ric-
tators.
chezza del cinema europeo.
Moreover, the Commission actively supports the networking of
La Commissione Europea sostiene inoltre la costruzione di reti o
film festivals on an European scale. Within this framework, the
strutture dei festival cinematografici su scala europea. In questo
activities of the European Coordination of Film Festivals will help
contesto, le attività del Coordinamento Europeo dei Festival
strengthen the cooperation between festivals and the development
Cinematografici contribuiranno alla cooperazione fra i festival e
of joint projects which will reinforce the positive impact of these
allo sviluppo di progetti comuni sul cinema europeo.
events on European cinema.
Programma MEDIA II, partner della Mostra Internazionale
del Nuovo Cinema, 37ª edizione, 2001
The MEDIA II Programme, partner
of the 37th Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, 2001
Commissione Europea
Programma MEDIA II - festival audiovisivi
European Commission
MEDIA II Programme – audiovisual festivals
EAC – T120 1/74
B-1049 Brussels
Tel. +32 2 295 95 30
Fax. + 32 2 299 92 14
EAC – T120 1/74
B-1049 Brussels
Tel. +32 2 295 95 30
Fax. + 32 2 299 92 14
INDICE
9
Pesaro 2001
Introduzione al programma
Pesaro 2001
An introduction to the programme
di Giovanni Spagnoletti
11
Nuove proposte
27
Eventi speciali
39
60 + o –
51
Proposte video
81
Il cinema giapponese oggi
123
Il nuovo cinema degli anni ’60
(cinquantenario dei «Cahiers du Cinéma»)
143
Personale Romuald Karmakar
181
I video di Chris Petit
207
Indici
PESARO 2001
PESARO 2001
Introduzione al programma
An introduction to the programme
di Giovanni Spagnoletti
by Giovanni Spagnoletti
N
I
ella continua ricerca pionieristica del “nuovo” che
caratterizza il DNA del Festival di Pesaro, quest’anno abbiamo pensato di dedicare il “piatto forte” del
programma non tanto a un problema, come abbiamo
fatto l’anno scorso con il cinema europeo del métissage,
quanto invece di tornare a esplorare in profondità una
cinematografia nazionale. Nessuno potrebbe ragionevolmente disconoscere la grandissima importanza storica del cinema giapponese nel contesto internazionale,
ma è altresì vero che negli anni ’90 – per altro dominati
dall’emergere del cinema dell’Estremo Oriente – la
variegata produzione del Sol Levante è stata a lungo
dimenticata, come mai in passato. Censurato inesorabilmente dal mercato europeo (e da quello italiano in particolare), il Nuovo Cinema Giapponese (NCG) – malgrado gli isolati sforzi di alcuni studiosi e istituzioni – è
stata conosciuto solo quasi unicamente attraverso alcuni Festival stranieri “di tendenza” (Rotterdam, il
“Forum” di Berlino, Locarno o la Viennale) che gli dedicavano ampio spazio come a un ospite importante e gradito. Contemporaneamente sorgeva l’astro internazionale di KITANO Takeshi e in parte quello di TSUKAMOTO Shinya – gli unici cineasti o quasi a cui in Italia
era consentita una visione pubblica fuori dai chiusi circuiti degli “addetti ai lavori”. Sembra però che questa
situazione, per fortuna, stia rapidamente cambiando,
grazie all’attenzione internazionale (e i riconoscimenti)
che il cinema giapponese ha di recente conosciuto a
livello europeo (cfr. le ultime due edizioni del Festival di
Cannes o lo status di “regista di culto” che KUROSAWA
Kiyoshi, ad esempio, ha acquisito in Francia). Ripetendo
così un lontano esperimento già compiuto a Pesaro nel
1984, quella che proponiamo, dunque, è la prima retrospettiva in Italia che intenda mostrare, in tutta la sua
dinamicità e poliedrica ricchezza, la più recente e innovativa produzione di qualità del NCG a partire dalla
seconda metà degli anni ’90. È una produzione che
vuole mettere a fuoco nuovi problemi come ad esempio
quello della propria identità e del rapporto dei giapponesi con il mondo (o con la propria cultura interna, quella dell’isola di Ryukyu/Okinawa) e che sembra caratterizzarsi (ancora una volta?) per uno stretto intreccio tra
tradizione e innovazione, tra generi (yakuza, gendaigeki, porno ecc.) e autorialità. Su tutto si è costruita, in
parte, la renaissance cinematografica giapponese della
quale si discuterà in una apposita tavola rotonda con
autori e critici.
Il compleanno dei “Cahiers du Cinéma”, che quest’anno festeggiano il loro mezzo secolo di vita, ci ha invece
fornito lo spunto per riandare alle ragioni e ai temi che
n the continuous pioneering search for the “new” that
characterises the DNA of the Pesaro Festival, this year
we considered dedicating the “main course” of the programme not so much to a problem, as we did last year with
European métissage cinema, but to going back to exploring a national cinema in depth. Although no one can honestly dispute Japanese cinema’s great historical importance in the international context, it is also true that in
the 1990s – a decade, moreover, dominated by the emergence of Far East films – numerous diverse films from the
“Rising Sun” were overlooked like never before.
Inexorably shut out of the European market (and the
Italian market in particular), New Japanese Cinema
(NJC) – despite the isolated efforts of a few scholars and
academics – was given recognition almost entirely only at
festivals with foreign “tendencies” (Rotterdam, the Berlin
Forum, Locarno or the Viennale) which gave it the space
worthy of an important and appreciated guest. At the
same time, international rising stars KITANO Takeshi
and, to a lesser degree, TSUKAMOTO Shinya were
essentially the only filmmakers to be granted a public
release outside the closed circuits of the “industry insiders”. Fortunately, however, it would seem that this situation is changing rapidly, thanks to the international
attention (and acclaim) that Japanese cinema has recently
received on the European level (one has only to think of
the last two editions of the Cannes Festival, or the “cult
director” status that KUROSAWA Kiyoshi has achieved
in France). Thus, repeating an old experiment conducted
at Pesaro in 1984, what we propose is the first retrospective in Italy that presents the most recent and innovative
quality films of the NJC, from the second half of the 1990s,
in all their dynamism and multifarious depth. They are
films that want to focus on new problems, such as selfidentity and the relationship between the Japanese and the
world (or their own internal culture, that of
Ryukyu/Okinawa island) and that seem to be characterised (once again?) by a tightly woven blend of tradition
and innovation, of genres (yakuza, gendai-geki, porn etc.)
and auteur-ship. The renaissance of Japanese cinema that
has been built on these elements will be discussed in a relevant round table with filmmakers and critics.
On the other hand, the birthday of “Cahiers du Cinéma”,
which is celebrating a half-century of life, inspired us to
return to the reasons and themes that mark the origins of
the Pesaro Festival. Thus, as a non-academic homage to
the French magazine, we wanted to commemorate that
great season of “New Cinema” during its moment of glory
in the 1960s with a “free” selection of films that by no
means claims to be exhaustive. This occasion to re-visit the
hanno ispirato la nascita del Festival di Pesaro. Così,
come un non accademico omaggio alla rivista francese,
abbiamo pensato di ricordare con una serie di film – una
selezione “libera” e senza la minima pretesa di esaustività – la grande stagione del “Nuovo Cinema” nel suo
momento clou degli anni ’60. Quest’occasione e la rivisitazione di alcuni film (purtroppo troppo pochi!) e/o
autori fondamentali di quella straordinaria stagione
cinematografica, potrà servire da base per riflettere cosa
significa oggi “Nuovo Cinema” – un tema a cui dedicheremo un apposito incontro con alcuni cineasti e con i
critici dei CdC. A essa idealmente si legano alcune
“proiezioni speciali” dedicate a registi che di quella stagione sono stati protagonisti come Jean-Luc Godard,
Jonas Mekas, Jean-Marie Straub/Danièle Huillet, a
dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della perdurante vitalità delle esperienze “vague”.
Con la retrospettiva completa di una delle più brillanti
leve dell’ultimo cinema tedesco, Romuald Karmakar,
quello che Alexander Kluge considera probabilmente il
suo migliore discepolo e continuatore, nonché un’ampia
selezione della produzione in video dell’inglese Chris
Petit (che da tempo ha privilegiato questa forma espressiva), Pesaro continua la sua proposta di autori fuori
dagli schemi dell’industria mainstream. Il primo è un
filosofo-analista della violenza moderna in tutte le sue
figurazioni e protagonisti (o vittime) – padroni di pit
bull, soldati di ventura, un serial killer alla sbarra o i passeggeri di un aereo bloccato a terra così sono analizzati
dal regista franco-tedesco con un occhio attento quanto
impietoso tra fiction e documento, tra esperimento e esibizione di stile. Il secondo, invece – complice lo scrittore
di fantascienza Iain Sinclair, spesso suo collaboratore –
ha esaltato il suo precedente talento visionario mettendo
a punto nel video, come è stato scritto, “un registro
espressivo ibrido, di mistificazione/esplorazione del
reale, una specie di mockumentary drammatico che ha
poche pietre di paragone nel panorama del film-making
attuale”.
Due parole, infine, sulle due sezioni riguardanti le proposte non retrospettive dove abbiamo concentrato – a
parte la selezione giapponese – la nostra ricerca rabdomantica del Nuovo: in “60 + o –” abbiamo accorpato,
come l’anno scorso, una serie di piccole ma significative
opere di fiction, di non-fiction e di docu-fiction della corrente produzione internazionale mentre – confortati dall’eccezionale risposta di pubblico dell’anno scorso –
abbiamo proseguito in piazza l’uscita all’aperto del
Festival. Le proiezioni Open Air di quest’anno oltre a
rimandare con opere più spettacolari ad alcune sezioni
del Festival – in onore dell’e vento speciale consacrato
all’opera completa di Mario Monicelli – presentano in
maggioranza delle commedie da alcuni angoli del
mondo dove tradizionalmente non sembrerebbero
avere una grande tradizione. Ma noi vogliamo dimostrare il contrario. Vedere per credere…
various films (unfortunately, too few!) and/or filmmakers
that were fundamental to that extraordinary period in cinema will serve as the foundation for reflecting on what
“New Cinema” means today. This is a theme to which we
will dedicate an opportune meeting with various filmmakers and with the “Cahiers” critics. Combined with this
meeting are special screenings dedicated to the directors
who were the leading figures of that period – such as JeanLuc Godard, Jonas Mekas, Jean-Marie Straub/Danièle
Huillet – which will demonstrate, as if there were still need
to do so, the enduring vitality of the “Nouvelle Vague”
experience.
Pesaro continues to present filmmakers outside the commercial mainstream with a complete retrospective of one of
the brightest figures of contemporary German cinema,
Romuald Karmakar, considered by Alexander Kluge as possibly his best disciple and “descendant”, as well as a wide
selection of video productions by English artist Chris Petit
(who has favoured this expressive medium for some time).
The former is a philosopher-analyst of modern violence in
all of its manifestations and instigators (or victims). Pit
bull owners, soldiers of fortune, an imprisoned serial killer,
passengers of an aeroplane stalled on the ground, are thus
analysed by the Franco-German director with an eye as
alert as it is unrelenting towards what lies between fiction
and document, experiment and exhibition of style. Petit – a
frequent collaborator of and accomplice to science fiction
writer Iain Sinclair – has risen above his previous visionary talents to hone in his videos, as has been written, a
“hybrid expressive voice of mystification/exploration of the
real, a kind of dramatic mockumentary that has few elements to which it can be compared in contemporary filmmaking”.
Finally, a few words about the non-retrospective sections in
which we have focused – apart from the Japanese selection –
our divining search for the New. In “60’ + or –” we brought
together, as we did last year, a series of small but important
contemporary international works of fiction, non-fiction
and docu-fiction. And, encouraged by the public’s exceptional response last year, we are continuing the screenings
in the square. In honour of the complete works of Mario
Monicelli, the open air screenings this year – besides being
the most spectacular from among the festival selections – are
mostly comedies from corners of the world where there is
traditionally no tradition of producing comedies. But we
want to prove the contrary. See it to believe it…
NUOVE PROPOSTE
UNA NOCHE CON SABRINA LOVE
(t.l. Una notte con Sabrina Love)
Un piccolo spaccato di vita
nella moderna Argentina, una
storia universale: gli incontri di
un ragazzo con i vari aspetti
della vita e dell’amore, del
sesso e della morte. Il diciassettenne Daniel vince un concorso
che gli dà la possibilità di passare una notte col suo idolo, la
pornostar
Sabrina
Love.
Quindi parte per Buenos Aires,
dove si piazza nell’appartamento del fratello in attesa di
fissare un appuntamento con
Sabrina. Una specie di road
movie, dalla campagna alla città
e ritorno. Il viaggio di Daniel,
con le sue tappe formative, è
ritratto con calore e sincerità
BIOGRAFIA
Alejandro Agresti è nato a
Buenos Aires nel 1961.
sceneggiatura/screenplay: Alejandro Agresti
fotografia/photography (35mm, col.): Arnaldo Catinari
montaggio/editing: Stefan Kamp
musica/music: Paul van Brugge
interpreti/cast: Tomás Fonzi, Cecilia Roth, Norma
Aleandro, Fabián Vena, Julieta Cardinali, Giancarlo
Giannini, Luis Margani, Mario Paolucci
produzione/production: DMVB Films, Patagonik Film Group
distribuzione/distributed by: Eagle Pictures
durata/running time: 100’
origine/country: Argentina/Francia 2000
NUOVE PROPOSTE
ALEJANDRO AGRESTI
This is a little snapshot of life in
modern Argentina, telling a
universal story: a young man
encounters with the various
faces of life, love, sex and death.
Daniel, 17, wins a letter writing
contest and gets to spend one
night with his idol, porn star
Sabrina Love. For this occasion
he travels to Buenos Aires,
where he stays at his brother’s
apartment until he settles a date
with Sabrina. This is somewhat
of a road movie, moving from
the Argentine countryside to the
city and back. Daniel takes some
important steps during this trip,
which is portrayed
vith
warmth and sincerity.
BIOGRAPHY
Alejandro Agresti was born in
Buenos Aires (1961).
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
El hombre que ganó la razón (1986), El amor es una mujer gorda (1988), Boda secreta (1988), Luba (1990), City Life (1990),
Figaro Stories (1991), Everybody Wants to Help Ernest (1991), Modern Crimes (1992), A Lonely Race (1992), Just Friends
(1992), El acto en cuestión (1993), Buenos Aires Vice Versa (1996), La cruz (1998), El viento se llevó lo qué (1998), Una noche
con Sabrina Love (2000)
13
NUOVE PROPOSTE
RENNY BARTLETT
EISENSTEIN
La storia di un uomo il cui
genio era troppo grande per
essere controllato da qualsiasi
tiranno, Stalin compreso.
L’ascesa, caduta e fatale
redenzione del regista rivoluzionario russo Sergej M.
Ejzen>tejn è un’epica e toccante storia di humour beffardo e immagini visionarie.
Eisentein va al di là della biografia per diventare una favola moderna sullo scontro tra
Arte e Potere. Il film è interamente girato nei luoghi originali, tra Russia, Ucraina e
Messico.
The story of a man whose
genius was too great to be controlled by any tyrant, even
Stalin. The rise, fall and fatal
redemption of Russian revolutionary filmmaker Sergei M.
Eisenstein is an epic and moving story of wry humour and
visionary images. Eisenstein
goes beyond biography to
become a modern fable about
the struggle between Art and
Power. The film is shot entirely
on original locations in Russia,
Ukraine and Mexico.
sceneggiatura/screenplay: Renny Bartlett
fotografia/photography (35mm, col.): Alexej Rodionow
montaggio/editing: Wiebke von Carosfeld
musica/music: Alexander Balanescu
suono/sound: Claude La Haye
scenografia/art direction: Susanne Dieringer
costumi/costumes: Tatyana Poddubnaya
interpreti/cast: Simon McBurney, Raymond Coulthard,
Jaqueline McKenzie, Jonathan Hyde, Barnaby Kay, Leni
Parker, Sonia Walger, Andrea Manson, Tim McMullan, Ian
Bartholomew, Rolf Saxon, Louis Hammond, Bernard Hill
produzione/production: Vif Filmproduktion, Eisenstein
Production Inc.
distribuzione/distributed by: Fortissimo Film Sales
(Cruquiusweg 40, 1019 AT Amsterdam; tel.: (31-20)
6273215; fax.: (31-20) 6261155; e-mail: [email protected])
durata/running time: 96’
origine/country: Canada/Germania 2000
Dopo essere stato un visitatore abituale degli studi cinematografici sovietici sin dal
1981, lo scrittore e regista
Renny Bartlett si è ritrovato
imbevuto nel folklore che circonda Sergej M. Ejzen>tejn.
Una marea infinita di storie
apocrife e battute attribuite al
fantasma del regista che
ancora infesta l’industria
cinematografica sovietica, da
Leningrado al Kazakistan.
Ma è stato solo dopo aver
contribuito a Orlando che
Bartlett ha preso la decisione
di realizzare Eisenstein... È stato per via di una storia che gli
aveva raccontato Naum Kleiman, il curatore
dell’Ejzen>tejn Museum che sarebbe in seguito divenuto il
principale consulente storico di Ejzen>tejn. Naum raccontò a Renny della fatidica sera del 1946 in cui Stalin vide
Ivan il Terribile (parte seconda) mentre Ejzen>tejn festeggiava a un ballo in onore dei vincitori del Premio Stalin
(che aveva ricevuto per la prima parte). Mentre Stalin
andava su tutte le furie, Sergej ballò fino a farsi letteralmente scoppiare il cuore – l’infarto che alla fine lo uccise.
Armato di un finale straordinario, Renny partì per un’odissea durata otto anni, per realizzare un film ispirato
alla vita di Ejzen>tejn. Renny Bartlett si ritrovò a viaggiare dal Messico all’Asia centrale, attraverso l’Europa e la
14
Having been a regular visitor to
Soviet film studios since 1981,
wtriter-director Renny Bartlett
was steeped in the lore of Sergei
M. Eisenstein. An unending
flood of apocryphal stories and
jokes attested to Eisenstein’s
ghost still haunting the Soviet
film industry from Leningrad to
Kazakhstan. But it wasn’t until
Bartlett had helped make
Orlando that he decided to
make Eisnstein... It was
because of a story told to him by
Naum Kleiman, the curator of
the Eisenstein Museum and
later to become the senior historical advisor of Eisenstein.
Naum told Renny of the fateful night in 1946 that Stalin
watched Ivan the Terrible (part two) while Eisenstein celebrated at a ball held for the winners of the Stalin Prize (which
he received for part one). While Stalin raged, Sergei danced
until his heart literally exploded – the heart attack that would
eventually kill him. Armed with an extraordinary finale,
Renny started on an eight-year odissey to make a film inspired
by the life of Sergei M. Eisenstein. Renny Bartlett was to travel from Mexico to Central Asia, across Europe and the old
Soviet Union reading, viewing and unearthing first, second
and tenth hand accounts. What emerged was a mass of contradictions – a man hated by some as Stalin’s stooge, revered by
others as a maverick genius. (Productions notes)
BIOGRAPHY
Renny Bartlett (Ottawa, 1955) was first a sculptor before
enrolling at the St. Martin’s School of Art in London. He made
various experimental short films and television programmes
before directing Eisenstein, his feature film debut.
BIOGRAFIA
Renny Bartlett (Ottawa, 1955) è stato scultore prima di
iscriversi alla St. Martin’s School of Art di Londra. Ha realizzato vari cortometraggi sperimentali e programmi televisivi prima del suo debutto nel lungometraggio con
Eisenstein.
NUOVE PROPOSTE
vecchia Unione Sovietica, leggendo, vedendo e dissotterrando testimonianze di prima, seconda e decima mano. È
emersa una mole enorme di contraddizioni – un uomo
odiato da alcuni, come dagli scagnozzi di Stalin, e venerato da altri come un genio indipendente. (Note di produzione)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Between Heaven and Earth (1981, cm), Dula (1984, cm), The Cold War Game (1988, 2 mm), Moving Stills (1989, 10 cm),
Arktikos (1991, mm), Eisenstein (2000)
15
NUOVE PROPOSTE
JOSEF FARES
JALLA! JALLA!
Mans e Roro hanno venti
anni e sono amici per la pelle.
Entrambi lavorano al dipartimento forestale. Roro è di
origini arabe e, all’insaputa
dei genitori, ha una ragazza
svedese. È parecchio tempo
che vorrebbe presentarla ai
suoi, ma non si decide.
Proprio quando è pronto per
questo passo, la famiglia ha
combinato il suo matrimonio: vogliono che sposi una
ragazza di origini libanesi,
che è a sua volta contraria.
Ciò nonostante, fanno un
patto, perché lei corre il pericolo di essere rimandata in
Libano.
sceneggiatura/screenplay: Josef Fares
fotografia/photography (35mm, col.): Aril Wretblad
montaggio/editing: Michal Leszczylowki, Andreas Johnson
scenografia/art direction: Hanna Ostrowski
interpreti/cast: Fares Fares, Torkel Peterson, Tuva Novotny,
Laleh Pourkarim, Sofi Ahlström-Helleday, Leonard Terfelt
produzione/production: Memefis Film Ab
distribuzione/distributed by: Trust Film Sales
durata/running time: 87’
origine/country: Svezia 2000
Jalla! Jalla! è il film di debutto
di uno dei nuovi talenti del
cinema svedese, Josef Fares,
che ha solo 23 anni. Ha realizzato un’incantevole commedia in cui amore, sesso e differenze culturali interpretano i ruoli principali e con la quale
vuole far felice il pubblico. Jalla! Jalla!, che in arabo significa qualcosa come “Sbrigati!” o “Forza!”, è caratterizzato da
un ritmo giovanile. Gli “inseguimenti” sono messi in scena
con visibile piacere e il delizioso cast (che include il padre
e il fratello del regista) si adatta senza sforzo all’approccio
leggero al tema dell’amore in tempi di integrazione.
BIOGRAFIA
Josef Fares (1977) si spostò nel 1987 dal Libano a
Stoccolma con la sua famiglia. Ha iniziato a girare film
in video a 15 anni, realizzandone più di 50. All’età di 21
anni è diventato il più giovane studente di sempre
ammesso alla Dramatiske Institutet Film School di
Stoccolma, dove ancora studia.
Jalla! Jalla! is the debut film by
one of the new talents of
swedish film, Josef Fares, who
is only 23. He has made a
charming comedy in which
love, sex and cultural differences play leading roles and with
which he wants to make his audience happy, as he puts it.
Jalla! Jalla!, that in Arab means something like “Hurry up”
or “Come on”, is characterised by its youthful pace. The
“chases” have been set with visible pleasure and the charming
cast (including the director’s brother and father) fits in seamlessly with the light-hearted approach to the subject: love in
times of integration.
BIOGRAPHY
Josef Fares (1977) moved with his family from Lebanon to
Stockholm in 1987. At the age of 15, he became the youngest
student ever at the Dramatiske Institutet Film School, were he
is still studying.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Jalla! Jalla! (2000)
16
Mans and Roro are in their
twenties and best friends. They
both work for the parks department. Roro is of Arab origin
and, without his parents knowing, has a Swedish girlfriend.
He has been planning to introduce her to his family for a long
time, but doesn’t get round to it.
Just when he is ready to, the
family has arranged a marriage
for him. They want him to
marry a Lebanese-Swedish girl,
who doesn’t want to marry him
either. Yet they make a pact,
because otherwise she is in danger of being sent back to
Lebanon.
THERE IS NO CITY THAT DOES NOT DREAM
(t.l. Non c’è città che non sogni)
L’infinita trasformazione del
suolo di una città. La memoria geologica e la memoria
umana che si integrano:
“Dinosaurs sleep in the subway / at Bloor and Shaw, a
bed of bones / under the
rumbling track”. La topografia immaginaria di Toronto
tradotta in immagini dai
versi di Anne Michaels letti
dalla stessa poeta.
BIOGRAFIA
Lara Fitzgerald è nata ad
Arnhem, in Olanda. Si è laureata in Lingua francese e
Geografia all’università di
Kingston. Attualmente lavora a un lungometraggio,
Once Upon a Time in the East,
incentrato sulla figura di un
ragazzo affascinato dalle
imprese di Yuri Gagarin.
NUOVE PROPOSTE
LARA FITZGERALD
The infinite transformations of
the ground in a city. Geological
memory and human memory
are integrated: “Dinosaurs sleep
in the subway/at Bloor and
Shaw, a bed of bones/under the
rumbling track”. Toronto’s
imaginary topography is translated into images from the verses of Anne Michaels, which are
read by the poet herself
sceneggiatura/screenplay: testo della poesia omonima di
Anne Michaels
fotografia/photography: Patrick McGowan
montaggio/editing: Tai Zimmer
suono/sound: Steve Munro
interpreti/cast: Saeed Shahni, Shannon Williams
voce/voice: Anne Michaels
produzione/production: Caroline Klein
durata/running time: 3’ 41”
origine/country: Canada 2000
BIOGRAPHY
Lara Fitzgerald was born in
Arnhem, Holland. She graduated in French and Geography at
the University of Kingston. She
is currently working on her first
feature film, Once Upon a
Time in the East, which
revolves around a boy fascinated
by Yuri Gagarin’s feats.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
L’interesse prevalente di Lara Fitzgerald è il rapporto tra letteratura e film. The Lady of Shalott (1995) da Tennyson,
Mémoire Moire des souvenirs - Remembering Memory (1997), ritratto lirico della scrittrice Hélène Cixous basato sugli scritti
autobiografici e premiato quale miglior documentario canadese per l’anno 1998 all’Hot Docs Film Festival. Sempre in
ambito documentaristico la Fitzgerald ha realizzato nel 1998 per il National Film Board of Canada Traces d’une histoire
oubliée - Fragments of Lost History, sugli insediamenti di caccia dei pellicciai francesi Revillon agli inizi del ’900.
17
NUOVE PROPOSTE
BONG JOON-HO
FLANDERS EU GAE
BARKING DOGS NEVER BITE
(t.l. Can che abbaia non morde)
I cani che abbaiano non
Barking dog’s don’t bite, but
mordono, ma irritano enorthey severely irritate the
memente il giovane lettore
young university lecturer
universitario
Yoon-su.
Yoon-su. He spends a lot of
Questi trascorre molto
time in his apartment, in a
tempo nel suo appartamenquiet high-rise district, that he
to, in un tranquillo quartiere
shares with his pregnant wife.
di edifici altissimi, in cui
He has plenty of time to allow
vive con la moglie incinta.
the background noise to annoy
Yoon-su ha tutto il tempo
him. When Yoon-su sees an old
che gli serve perché il rumolady taking a dog for a walk, he
re di sottofondo possa daris sure that this is the animal
gli fastidio. Quando vede
that annoys him so. He manuna vecchia signora che esce
ages to kidnap the beast and
per portare a passeggio il
locks it in the cellar of the
cane, è sicuro che è quello
apartment building. Some way
sceneggiatura/screenplay: Bong Joon-ho, Tae-woong Derek
l’animale che gli dà tanta
off lives Hyun-nam, who
Son, Song Ji-ho
noia. Riesce a rapire la
works as secretary at the local
fotografia/photography (35mm, col.): Cho Yong-gyu
bestia e la rinchiude nello
housing association. Hyunmontaggio/editing: Lee Eun-soo
scantinato del palazzo. A
Nam is bored stiff. Nothing
musica/music: Cho Sung-woo
poca distanza abita Hyunhappens in her life. When she
suono/sound: Lee Sung-chul
nam, che lavora come segresees a little girl in the area putscenografia/art direction: Lee Hang
taria della cooperativa ediliting up a poster about her
costumi/costumes: Choi Yun-jung
zia della zona. Hyun-nam è
missing dog, she decides to
interpreti/cast: Lee Sung-jae, Bae Doo-na
in preda a una noia mortale:
help. She is sticking up posters
produzione/production: Uno Films Production
distribuzione/distributed by: Mirovision Inc. - 7F, Garden
nella sua vita non accade
everywhere, but more and
Yesikjang Building, 45-18 Youido-dong, Yongdungpo-Gu,
nulla. Quando vede una
more dogs disappear in the folSeoul. Tel.: (82-2) 7371185; fax.: (82-2) 7371184)
ragazzina appendere nel
lowing days. One day through
durata/running time: 106’
quartiere un manifesto sul
her binoculars Yoon-su sees a
origine/country: Corea del Sud 2000
suo cane scomparso, decide
man throw a dog from a block
di aiutarla: attacca manifesti
of flats across the road.
ovunque, ma nei giorni seguenti spariscono sempre più
cani. Un giorno vede col cannocchiale un uomo trasci“The idea for the film came from a childhood memory. I
nare via un cane da alcuni appartamenti dall’altra parte
remember seeing an old man living with a working couple, and
della strada.
I imagined what would happen if he caught all the neighborhood dogs and ate them, as is done in rural areas. With
“L’idea del film viene da un ricordo d’infanzia. Mi
Barking Dogs Never Bite, I wanted to take ordinary daily
ricordo di un vecchio che viveva con una coppia che
scenes and make an intriguing and interesting film. I didn’t
lavorava, e immaginavo che cosa sarebbe successo se
want to dig up troubles and sorrows to show cruelty in my
avesse preso e mangiato tutti i cani del vicinato, come
film; rather, I wanted to describe everyday life in a warm and
si fa nelle zone rurali. Con Barking Dogs Never Bite
engaging manner, to make a ‘recreational’ film, using the trivvolevo prendere scene di ordinaria quotidianità e reaia of daily life. (Bong Joon-ho)
lizzare un film intrigante e interessante. Non volevo
portare alla luce problemi e dolori per esporli crudelBIOGRAPHY
mente. Piuttosto volevo descrivere la vita quotidiana in
Bong Joon-ho (1969) studied at the Korean Academy of Film
modo caldo e attraente, fare un film ‘ricreativo’ usando
Arts, where he made the short pieces White Man (1993) and
la banalità del quotidiano.” (Bong Joon-ho)
Frame in My Memory (1994). His graduation film,
Incoherent (1995), was a cult success. In 1998 he wrote the
18
NUOVE PROPOSTE
BIOGRAFIA
Bong Joon-ho (1969) ha studiato alla Korean Academy of
Film Arts, dove ha realizzato i corti White Man (1993) e
Frame in My Memory (1994). Il suo film di diploma,
Incoherent (1995), è stato un successo di culto. Nel 1998 ha
scritto la sceneggiatura di Phantom, The Submarine, clamoroso successo in Corea, prima del suo debutto con Barking
Dogs Never Bite.
script for Phantom, The Submarine, an enormous hit in
Korea, before making his feature début with Barking Dogs
Never Bite.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
White Man (1993, cm), Frame in My Memory (1994, cm), Incoherent (1995, cm), Barking Dogs Never Bite (2000)
19
NUOVE PROPOSTE
JEAN ROUSSELOT
TRIBUTE TO ALFRED LEPETIT
(t.l. Tributo a Alfred Lepetit)
Chi è Alfred Lepetit? Sconosciuto ai più, ma glorificato
dall’intera industria cinematografica, Alfred sta per ricevere un premio alla carriera… Ritratto di una leggenda
tra le stelle.
Who is Alfred Lepetit really? Unknown to the general audience but glorified by the whole film industry, Alfred is about
to receive a lifetime achievement for his film career… Portrait
of a legend among the stars.
BIOGRAFIA
Jean Rousselot (1972) va spesso al cinema. Ha fatto il suo
tirocinio in film americani e inglesi, è stato regista e attore nella compagnia teatrale Les Bords de Scène e ha lavorato al montaggio per due serie televisive francesi.
BIOGRAPHY
Jean Rousselot (1972) often goes to the movies. He has been a
trainee on American and British features, an actor and director with the Theatre Company Les Bords de Scène, and a story
editor for two major French Tv series.
sceneggiatura/screenplay: Jean Rousselot
fotografia/photography (35mm, col., b/n): Pierre Batougier
montaggio/editing: Françoise Berger Garnault
musica/music: Jesse Cook
suono/sound: Renaud Michel
interpreti/cast: Charlotte Rampling, Roman Polanski,
Jean-Claude Brialy, Jake Eberts, Stéphane Massard, Elsa
Lepoivre, Mathieu Mathelin, Laetitia de Fombelle
produzione/production: Laurence Braunberger
distribuzione/distributed by: Les Films du Jeudi (Rue
Hautefeullie 3, 75006 Parigi, Francia; tel.: 33 1 40 46 97 98;
fax: 33 1 40 46 89 88; e-mail: [email protected])
durata/running time: 8’
origine/country: Francia 1999
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Amnesia (1997), Tribute to Alfred Lepetit (1999)
20
ITALIENSK FOR BEGYNDERE
(t.l. Italiano per principianti)
Poco dopo l’arrivo in un piccolo, grigio sobborgo di
Copenaghen, il neo pastore
Andreas viene convinto a
iscriversi a una scuola serale
di italiano dall’affabile receptionist del suo albergo. In
classe incontra un’incantevole ma impacciata commessa
di una pasticceria, Olympia,
che soffre molto per via degli
attacchi verbali del padre.
Olympia capisce presto che il
suo destino è inestricabilmente legato a quello di
Karen, una timida parrucchiera con una madre devastata dall’alcol, di cui lei si
prende cura con una pazienza confinante con la santità.
Quando la madre di Karen
muore, le due donne scoprono al funerale di essere sorelle. Olympia si innamora di
Andreas, mentre Karen inizia
una relazione con Hal-Finn,
un prestante ma arrogante
cameriere.
sceneggiatura/screenplay: Lone Scherfig
fotografia/photography (35mm, col.): Jorgen Johansson
montaggio/editing: Gerd Tjur
suono/sound: Rune Palving
interpreti/cast: Anders W. Berthelsen, Anette Stovelbaek,
Peter Gantzler, Ann Eleonora Jorgensen, Lars Kaalund,
Sara Indrio Jensen, Elsebeth Steentoft, Rikke Wölck,
Karen-Lise Mynster, Bent Mejding, Claus Gerving,
Jesper Christensen, Carlo Barsotti, Lene Tiemroth
produzione/production: Zentropa Productions
distribuzione/distributed by: Trust Film Sales
durata/running time: 118’
origine/country: Danimarca 2000
Italiensk for Begyndere è un film divertente che ogni tanto
mescola dei temi tipicamente bergmaniani che, al contatto con una visione del mondo mediterranea, conducono a
esilaranti conclusioni, come nella scena dello scambio dei
funerali in chiesa. (Fabrizio Liberti, Festival di Berlino,
“Cineforum”, n. 403, aprile 2001)
BIOGRAFIA
Lone Scherfig (Copenaghen, 1959) ha studiato cinema
alla Sorbona di Parigi e quindi all’università di
Copenaghen e alla Danish Film School. Ha diretto pubblicità e film industriali. Scrive sceneggiature, insegna in
varie scuole cinematografiche e lavora per la radio.
NUOVE PROPOSTE
LONE SCHERFIG
Shortly after his arrival in a
small,
grey
suburb
of
Copenhagen, the new minister
Andreas finds himself being
talked into taking part in an
evening class in Italian by the
affable receptionist at his hotel.
At the evening class he meets a
charming but clumsy pastry
shop assistant, Olympia, who
suffers greatly on account of her
father’s verbal attacks. Olympia
soon realises, however, that her
fate is inextricably bound up
with that of Karen, a shy hairdresser with a mother ravaged
by alcohol, whom she has been
taking care of with patience that
borders on the saintly. When
Karen’s mother dies, the two
women discover at the funeral
that they are indeed sisters.
Olympia falls in love with
Andreas, whilst Karen begins
an affair with Hal-Finn, a goodlooking but arrogant waiter.
Italian For Beginners is an
entertaining film that every
once in a while throws in some typically Bergman-esque themes
which lead to hilarious situations when they come into contact
with the film’s vision of Mediterrean culture, like the mix-up
between the funerals at the church. (Fabrizio Liberti, Berlin’s
Festival, “Cineforum”, n. 403, April 2001)
BIOGRAPHY
Lone Scherfig (Copenhagen, 1959) studied film at the Sorbonne
in Paris and later at the University of Copenhagen and the
Danish Film School. He has directed advertisements and
industrial films. He writes screenplays, teaches in several film
schools and works on the radio.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Den onde cirkel (1984, film di diploma), Margrethes Elsker (1985, Tv), Hesten i vesten (1986, cm), Kajs fodelsdag (1991), Den
gode lykke (1992, Tv), Sir John Soane’s House and Museum (1993, doc.), Flemming og berit (1994, Tv), En verden til forskel (coregia: Leif Magnusson, 1998), Nar mor kommer hjem… (1998), Italiensk for Begyndere (2000)
21
NUOVE PROPOSTE
DANIS TANOVIC
NO MAN’S LAND
(t.l. Terra di nessuno)
1993. Dopo il massacro
di
una
pattuglia
bosniaca, il soldato
Ciki si trova isolato tra
le linee di fuoco dei
due fronti. Qui lo raggiunge il sergente
Nino e un soldato
bosniaco
creduto
morto, il cui corpo è
stato disteso su una
mina anti-uomo: se
venisse rimosso, l’ordigno esploderebbe.
Un sergente francese
dell’Onu interviene per districare l’impossibile problema,
mentre le Tv internazionali si
precipitano sull’evento come
avvoltoi, trasformandolo in un
cinico show mediatico.
sceneggiatura/screenplay: Danis Tanovic
fotografia/photography (35mm, col.): Walther Van den Ende
montaggio/editing: Francesca Calvelli
musica/music: Danis Tanovic
scenografia/art direction: Dusko Milavec
interpreti/cast: Katrin Cartlidge, Rene Bitorajac, Branko
Djuric, Georges Siatidis, Filip Sovagovic, Simon Callow
produzione/production: Noé Productions, Fabrica Cinema,
Man's Films, Judy Couniman Films, Studio Maj-Casablanca
distribuzione/distributed by: The Sales Company (62 Shaftsbury
Avenue, Londra, W1V7DE - Gran Bretagna; tel.: (207) 434 9061;
fax: (207) 494 3293; e-mail: [email protected])
durata/running time: 98’
origine/country: Francia/Italia/Belgio/Gran Bretagna 2001
“La T-shirt e il kalashnikov
per me sono il simbolo della
guerra. Mentre l’armata
serba era bene organizzata,
noi eravamo impreparati,
avevamo
poche
armi.
Abbiamo combattuto solo
con l’idea e la volontà di
difendere il nostro paese: è un miracolo se la Bosnia si è
salvata. Come i miei personaggi, anch’io mi sono ritrovato in guerra, non l’ho scelta. E ho fatto quello che
sapevo fare: filmare quello che vedevo. […] Volevo raccontare lo shock dell’inizio della guerra. Era estate, c’erano i colori della natura e degli abiti della gente e
improvvisamente appariva il nero delle case distrutte.
Allora lo shock ci faceva ancora reagire con rabbia e con
energia, poi diventammo tutti come zombie, rassegnati
a una quotidianità di morte. […] Non prendo posizione
da una parte o dall’altra, non cerco le cause o le colpe
del conflitto, racconto la ‘mia’ guerra, la ‘mia’ verità, la
verità di uno di Sarajevo all’improvviso bombardata dai
serbi. Io non ho bombardato nessuno. Ma questa è una
guerra in cui ognuno ha la sua verità, dipende da dove
e come l’ha vissuta. E la ragione, come si dice nel film, è
di chi ha il fucile in mano.” (Danis Tanovic, “la
Repubblica”, 13-5-2001)
22
1993. After the massacre of his Bosnian
battalion, the soldier
Ciki finds himself
stranded and alone
between the line of
fire of the two fronts.
Here he comes across
sergeant Nino and a
Bosnian
soldier
believed to be dead
whose
body
is
stretched out on an
anti-man mine: if he
is moved, the explosive will go off. A French
sergeant of the UN steps in
to solve the irremediable
situation while the international television crews
swarm down on the event
like vultures, turning it
into a cynical media show.
“The T-shirt and the
Kalashnikov are symbols of
war to me. While the Serbian
army was well organised, we
were unprepared, we had few
weapons. We fought only
with the idea and the desire to defend our country. It is a
miracle that Bosnia was saved. Like my characters, I found
myself at war, I had no choice. And I did that which I knew
how to do: I filmed what I saw. […] I wanted to recount the
shock of the beginning of the war. It was summer, there were
colours of nature and people’s clothing and suddenly black
began appearing from the destroyed houses. At the time the
shock made us react with anger and with energy, but then
we all became like zombies, resigned to the daily-ness of
death. […] I’m not taking a stance with one side or another; I’m not searching for the causes of the conflict, nor who
to blame for it. I’m telling the story of ‘my’ war, ‘my’ truth,
the truth of a Sarajevo that was suddenly bombed by the
Serbs. I did not bomb anyone. But this is a war in which
everyone has their truth; it depends how and where you
experienced it. And who is right, like the film says, is the
person who has the gun in his hand.” (Danis Tanovic, “la
Repubblica”, 13-5-2001)
BIOGRAPHY
Danis Tanovic (Zenica, 1969) has dual citizenship: Bosnian
and Belgian. As director of the film archives of the Bosnian
army during the war, his images have been used in numerous
films and news reports throughout the world. He has made
many documentaries.
NUOVE PROPOSTE
BIOGRAFIA
Danis Tanovic (Zenica, 1969) ha doppia nazionalità,
bosniaca e belga. Responsabile degli archivi filmati dell’esercito bosniaco durante la guerra, le sue immagini
sono state riprese in numerosi film e reportages in tutto il
mondo. Ha realizzato numerosi documentari.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
No Man’s Land (2001)
23
NUOVE PROPOSTE
NING YING
I LOVE BEIJING
(t.l. Io amo Pechino)
Dezi è un giovane tassista donnaiolo di Pechino che per professione incontra persone le
cui vite vanno e vengono fuori
dal suo orizzonte mentale. Ma
quando si tratta di donne il suo
orizzonte non ha limiti.
Seguendo il taxi di Dezi, siamo
trasportati in un viaggio attraverso Pechino. Il vagabondare
di Dezi tra destinazioni e
donne è simile alla ricerca di
un’identità della sua città,
sospesa tra la sparizione di
antichi valori e un futuro incerto nella Cina postmaoista.
Dezi is a young philandering
Beijing taxi driver whose profession allows him to people whose
lives come and go far beyond his
mental horizon. But when it
comes to women his horizon has
no limits. Following his taxi, we
are taken on a voyage across
Beijing. Dezi’s floating between
destinations and women is much
like Beijing’s own search for
individual identity between disappearing ancient values and an
unknown future in post-Mao’s
China.
sceneggiatura/screenplay: Ning Dai, Ning Ying
“In the brief span of just ten
fotografia/photography (35mm, col.): Gao Fei
“Nell’arco di dieci anni ho visto
years I have seen my city,
montaggio/editing: Ning Ying
Pechino, la mia città, attraverBeijing, going through astonishmusica/music: Zhu Ziaomin
sare sorprendenti trasformaing transformations. I first set
suono/sound: Chao Jun, Song Qin
zioni. Ho iniziato a esplorarla
out to explore Beijing in 1992
scenografia/art direction: Wei Ning
nel 1992, con il lungometraggio
with the feature For Fun, a cominterpreti/cast: Yu Lei, Zuo Baitao, Tao Hong, Gai Yi, Liu
For Fun, una commedia sulla
edy about disappearing tradiMiao, Qiu Li
scomparsa degli stili di vita trational ways of life. In 1995, with
produzione/production: Eurasia Communications Ltd., Happy
dizionali. Nel 1995, con On the
the black-humored On the Beat,
Village Ltd., Han Sanping, Wang Zhonglei, Ning Ying
Beat e il suo umor nero, mi
I focused on the emerging new
distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue
sono concentrata sulla nuova
reality and the difficulty of copLamartine 24, 75009 Parigi; tel.: (33-1) 49700370; fax: (331) 49700371; e-mail: [email protected])
realtà emergente e sulle diffiing with it. In this new film, I
durata/running time: 80’
coltà cui far fronte. In questo
Love Beijing, the magnitude of
origine/country: Cina 2001
nuovo film, la dimensione dei
changes shaping our lives and
cambiamenti che danno forma
the anxieties of the new generaalle nostre vite e le ansie della nuova generazione sono raption are represented in a rhapsody form, through the eyes of a
presentate in forma di rapsodia, attraverso gli occhi di un gioyoung, restless taxi driver. When I look back at these three films
vane e inquieto tassista. Se guardo indietro a questi tre film
I cannot but regard them as completing a trilogy about three gennon posso non considerarli come parti di una trilogia su tre
erations of Beijingers: the grandfathers (For Fun), the parents
generazioni di pechinesi: i nonni (For Fun), i genitori (On the
(On the Beat) and the sons (I Love Beijing).” (Ning Ying)
Beat) e i figli (I Love Beijing).” (Ning Ying)
BIOGRAPHY
BIOGRAFIA
Ning Ying (Beijing, 1959) studied at the Beijing Film Academy,
Ning Ying (Pechino, 1959) ha studiato alla Beijing Film
simultaneously with older students such as Chen Kaige, Li
Academy, come i più anziani Chen Kaige, Li Shoahong e
Shoahong and Zhang Yimou. In 1982 she attended a course at
Zhang Yimou. Nel 1982 ha seguito un corso al Centro
the Centro Sperimentale di Cinematografia in Rome and later
Sperimentale di Cinematografia di Roma e poi è stata assiworked as assistant director on Bernardo Bertolucci’s The Last
stente di Bertolucci per L’ultimo imperatore. Ha vinto molti
Emperor. She won many prizes for her films For Fun and On
premi con i suoi For Fun e On the Beat.
the Beat.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Somebody Falls in Love With Me (1990), Zhao Le/For Fun (1992), On the Beat/Minjing gushi (1995), I Love Beijing (2001)
24
SPERIAMO CHE SIA FEMMINA
A Villa Torrisi, una fattoria nell’entroterra di Grosseto, vivono Elena
con le due figlie, il vecchio zio Gugo,
la governante con sua figlia e la giovane figlia di un’attrice televisiva.
Improvvisamente arriva l’ex marito
di Elena, Leonardo, che vorrebbe
coinvolgerla in uno dei suoi fantasiosi progetti: rimettere in funzione
le terme della villa. Tra incidenti
gravi e meno gravi, tutti (o quasi) gli
uomini scompaiono e le donne
restano da sole.
NUOVE PROPOSTE
MARIO MONICELLI
Elena lives with her two daughters, the
aged Uncle Gugo, a governess and her
daughter, and the young daughter of a
television actress at Villa Torrisi near
Grosseto. Suddenly, Elena’s ex-husband
Leonardo shows up and tries to get her
involved in one of his fanciful projects:
making the villa’s hot springs functional
again. Between the serious and less serious accidents, all (or almost all) of the
men disappear and the women are left
alone.
“This is the story of a group of women
“È la storia di un gruppo di donne e
and their relationships with men. They
dei loro rapporti con gli
are successful women, with
sceneggiatura/screenplay: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi,
uomini. Sono donne vincenstrong personalities. Women
Suso Cecchi D’Amico, Tullio Pinelli, Mario Monicelli
ti, di forte personalità.
who do not need men and who,
fotografia/photography (35mm, col.): Camillo Bazzoni
Donne che non hanno bisoin the end, decide to live togethmontaggio/editing: Ruggero Mastroianni
gno degli uomini e che alla
er, in a cottage in the country, in
musica/music: Nicola Piovani
fine decidono di vivere tutte
a kind of female commune. There
scenografia/art direction: Enrico Fiorentini
insieme, in un casolare di
are no shrewish women in this
costumi/costumes: Ezio Altieri
campagna, in una sorta di
story, however. Behind every
interpreti/cast: Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Giuliana
comunità femminile. Ma in
female story lie failures and sadDe Sio, Philippe Noiret, Giuliano Gemma, Bernard Blier,
questo film non ci sono
ness and the ultimate choice of
Stefania Sandrelli, Lucrezia Lante Della Rovere, Paolo
Hendel, Athina Cenci, Adalberto Maria Merli
donne virago; dietro a ogni
living together without men is
produzione/production: Giovanni Di Clemente per Clemi
storia femminile, ci sono falcertainly not a happy or liberatCinematografica (Roma) - Producteurs Associés (Parigi)
limenti, tristezze e la scelta
ing one. But this film is not dradistribuzione/distributed by: CDE
finale, di vivere da sole e
matic, although it is bitter, with,
durata/running time: 117’
insieme, non è certo allegra e
if I may say so, Chekovian tones
origine/country: Italia/Francia, 1986
liberatoria. Però questo film
not lacking in humour.” (Mario
non è un dramma, semmai
Monicelli, in Fabrizio Borghini,
una storia amara, con toni, se mi è permesso, cechoviani,
Mario Monicelli. Cinquant’anni di cinema, Pisa, Master
non privi di ironia.” (Mario Monicelli, in Fabrizio
1985, p. 146)
Borghini, Mario Monicelli. Cinquant’anni di cinema, Pisa,
Master 1985, p. 146)
25
EVENTI SPECIALI
ÉLOGE DE L’AMOUR
(t.l. Elogio dell’amore)
Qualcuno che sentiamo parlare – ma che non vediamo –
parla di un progetto sui quattro momenti chiave dell’amore: incontro, passione fisica,
litigi e separazione. Tutto ciò
è mostrato attraverso tre coppie: una giovane, una adulta,
una anziana. Non sappiamo
se il progetto è per una pièce
teatrale, un film, un romanzo
o un’opera. L’autore del progetto è sempre accompagnato
da una specie di servitore.
EVENTI SPECIALI
JEAN-LUC GODARD
Someone whom we hear talking
– but whom we do not see –
speaks of a project that
describes the four key moments
of love: meeting, phisical passion, arguments and separation, making up. This is told
through three couples: young,
adult and old. We do not know
if the project is for a play, a
film, a novel or an opera. The
author of the project is always
accompanied by a kind of servant.
Con Éloge de l’amour, Jean-Luc
With Éloge de l’amour, JeanGodard abbandona la rassicuLuc Godard abandons the reassceneggiatura/screenplay: Jean-Luc Godard
rante vegetazione Svizzera, il
suring Swiss countryside,
fotografia/photography (35mm, b/n e col.): Cristophe Pollock,
Julien Hirsch
lago di Ginevra e il suo specGeneva Lake and its mirroring
suono/sound: François Musy, Christian Monheim,
chio di iniziali (JLG/JLG), per
initials (JLG/JLG), to revisit a
Gabriel Hafner
ritrovare la città di Parigi filParis whose current conditions
interpreti/cast: Bruno Putzulu, Cécile Camp, Jean Davy,
mata in un bianco e nero che la
he captures in B&W (the SDF
Françoise Verny, Philippe Lyrette, Audrey Klebaner,
cattura nella sua condizione
on the benches, the abandoned
Jeremy Lippman, Claude Baigères, Remo Forlani
attuale (gli SDF sulle panchifactories in Billancourt), bringproduzione/production: Peripheria
ne, le fabbriche abbandonate a
ing the city back to a double oridistribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont
Billancourt) riconducendola a
gin: the cinematographic (Paris
D’urville 47, 75116 Paris; tel.: 01 53648555; fax: 0156692940;
una doppia origine, sia cineof the New Wave) and the hise-mail: [email protected])
matografica (la Parigi della
torical (Paris during the
durata/running time: 98’
Nouvelle Vague) sia storica, al
German occupation). At the
origine/country: Francia 2001
tempo dell’occupazione tedeheart of the film lies a neutral
sca. Al centro del film, un percharacter (Bruno Putzulu)
sonaggio neutro (Putzulu), che legge un libro dalle pagine
reading a book with white pages, whose text has not yet been
bianche, il cui testo non è ancora stampato o è già cancellaprinted or has already been erased. He has a precise plan: to
to, e ha un progetto preciso: evocare le quattro età e i quatconjure up the four ages and the four periods of love. This
tro tempi dell’amore. Questo progetto esposto all’inizio non
project, which is explained in the beginning, does not go anyorganizza nulla del film, e lo spettatore necessita di un certo
where in the film, and the viewer needs time to realise that
tempo per comprendere che quell’organigramma è una
that outline is a false track (the displeasure and mourning for
falsa pista (il dispiacere, il lutto per un soggetto iniziale, che
an initial subject that Godard no longer wanted to shoot). In
Godard non ha più avuto voglia di girare). In compenso,
compensation, a conversation between the characters grabs
una conversazione tra i personaggi trattiene l’attenzione: di
the attention: someone enters the room who we can guess is
qualcuno che entra in una stanza si sostiene che è un giovaeither young or old, but we cannot say that they are an adult.
ne o un vecchio ma non si dirà che è un adulto. Questa semThis simple observation becomes the film’s secret leitmotif (the
plice constatazione diventa il leitmotiv segreto del film (l’età
adult age does not exist); it reorganises the film without the
adulta non esiste), lo riorganizza all’insaputa della sua orgaknowledge of the announced plan. At the end of the film
nizzazione annunciata. Alla fine del film Bruno Putzulu fa
Bruno Putzulu reflects: “Things gain a sense the moment
questa riflessione: “È nel momento in cui le cose finiscono
they end”. (Charles Tesson, “Cahiers du Cinéma”, n. 557,
che acquistano senso”. (Charles Tesson, “Cahiers du
May 2001)
Cinéma”, n. 557, maggio 2001)
29
EVENTI SPECIALI
BIOGRAFIA
Jean-Luc Godard (Parigi, 1930) studia in Svizzera per poi
diplomarsi a Parigi in Etnologia. Nel 1951 lascia Parigi,
viaggia in America, lavora come operaio nel cantiere di una
diga in Svizzera, dove realizza il suo primo documentario.
Torna in Francia nel 1955. Collabora con “La Gazette du
Cinéma”, i “Cahiers du Cinéma” (firmandosi talvolta Hans
Lucas) e “Arts”. Collabora come attore, produttore, montatore, alle prime opere di
Rohmer e Truffaut, prima di
debuttare nel lungometraggio.
BIOGRAPHY
Jean-Luc Godard (Paris, 1930) studied in Switzerland and
later got his degree in Ethnology in Paris. In 1951 he left Paris,
travelled in America, and worked on a dam construction site in
Switzerland, where he made his first documentary. He returned
to France in 1955. He worked on “La Gazette du Cinéma”,
“Cahiers du Cinéma” (often under the pseudonym Hans
Lucas) and “Arts”. He worked as an actor, producer, and editor
in Rohmer and Truffaut’s early
works before debuting with his
first feature length film.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Opération Béton (1955, cm), Une femme coquette (1955, cm), Tous les garçons s’appellent Patrick (1957, cm), Charlotte et son
Jules (1958), Une histoire d’eau (1958, cm, in collaborazione con François Truffaut), À bout de souffle (1959), Le petit soldat
(1960), Une femme est une femme (1962), La paresse (1961, cm), Vivre sa vie (1962), Le Nouveau monde (1962, cm), Les carabiniers (1963), Le grand escroc (1963, cm), Le mépris (1963), Montparnasse-Lavallois (1963, cm), Bande à part (1964), Une femme
mariée (1964), Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (1965), Pierrot le fou (1965), Masculin féminin (1966), Made
in Usa (1966), Deux ou trois choses que je sais d’elle (1966), Anticipation ou l’amour en l’an 2000 (1967, cm), La chinoise (1967),
Week-end (1967), L’amore (1968, cm), Camera-Eye (1967, cm), Le gai savoir (1968), Ciné-Tracts (1968), Un film comme les
autres (1968), One plus one (1968), One American Movie (1968) British Sounds (1969), Pravda (1969), Vent d’est (1969), Lotte
in Italia (1970), Vladimir et Rosa (1970), Tout va bien (1972), Letter to Jane (1972), Ici et ailleurs (1975), Numéro deux (1975, in
collaborazione con Anne Marie Miéville), Comment ça va (1976), Six fois deux (1976), Sauve qui peut (la vie) (1980), Passion
(1982), Changer d’image (1982, cm), Lettre à Freddy Buache (1982, cm), Prénom Carmen (1983), Je vous salue, Marie (1984),
Détective (1985), Soft and Hard (1986, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma (1986), Meeting Woody Allen (1986, cm), Armide, enfin, il est en ma puissance (1986, cm), Soigne ta droite
(1987), King Lear (1987), Closed (1987, cm), On s’est tous défilé (1988, cm), Puissance de la parole (1988, cm), Le dernier mot
(1988, cm), Histoire(s) du Cinéma 1 (1988-98), Le rapport Darty (1989, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Nouvelle
Vague (1990), L’enfance de l’art (1991, cm, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Contre l’oubli (1991, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Allemagne année 90 Neuf Zero (1992), Hélas pour moi (1993), Les enfants jouent à la Russie
(1993), JLG/JLG. Autoportrait de décembre (1994), Deux fois cinquante ans de cinéma français (1995), For Ever Mozart (1996),
The Old Place (1998, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Pour une histoire du XXIème siècle (2000), L’Origine du
XXIème siècle (2000), Éloge de l’amour (2001)
30
EVENTI SPECIALI
IMAMURA SHOHEI
UNAGI
(L’anguilla)
Yamashita Takuro, uscito
sulla parola dopo otto anni di
prigione per uxoricidio, inizia una nuova vita come barbiere in un cittadina fuori
Tokyo. Il suo compagno più
stretto è la sua anguilla, che
gli ha tenuto compagnia
durante i suoi anni di reclusione. Gradualmente Takuro
inizia ad aprirsi, iniziando a
familiarizzare con i locali che
frequentano la sua bottega.
La sua vita cambia bruscamente quando salva Keiko,
una giovane donna che tenta
di suicidarsi nel fiume.
Keiko, che sta cercando di
rimarginare delle ferite interiori, inizia a lavorare con
Takuro. I due sentono crescere un’attrazione reciproca,
ma una serie di avvenimenti
li riporta indietro, al loro passato…
sceneggiatura/screenplay: Tomikawa Motofumi, Tengan
Daisuke, Imamura Shohei da una storia di Kurosawa
Akira
fotografia/photography (35mm, col.): Komatsubara Shigeru
montaggio/editing: Okayasu Haijime
musica/music: Ikebe Shinichiro
suono/sound: Benitani Kenichi
scenografia/art direction: Inagaki Hisao
interpreti/cast: Yakusho Koji, Shimizu Misa, Tsuneta Fujio,
Baisho Mitsuko, Sato Makoto, Emoto Akira, Kobayashi
Ken, Kawahara Sabu, Ichihara Etsuko, Taguchi Tomoro
produzione/production: Eiseigekijyo Co.
distribuzione/distributed by: Shochiku Co. (13-5 Tsukiji 1Chrome, Cuo-ku, Tokyo 104, Giappone; tel.: (3) 55501623;
fax: (3) 55501654)
durata/running time: 117’
origine/country: Giappone 1997
Il vecchio Imamura, otto anni
dopo Kuroi ame/Black Rain,
sembra aver calato l’indagine
antropologica, che è alla base
del suo cinema, in un nichilismo sempre più radicale
attraverso uno sguardo
distante e beffardo. Non a caso il protagonista è un uomo
che ha già oltrepassato una barriera verso il nulla (ha ucciso sanguinosamente la moglie in flagrante adulterio senza
di fatto rinnegare mai il suo gesto, poi viene dimesso dopo
alcuni anni da detenuto modello) e che comunica davvero
soltanto con un’anguilla allevata in una piccola vasca.
Intorno a lui una piccola comunità di emarginati senza
speranza dove si possono scorgere tracce di umanità solo
nei più folli e in chi ha ugualmente attraversato con purezza la sofferenza (la protagonista mancata suicida).
(Fabrizio Grosoli, “Cineforum”, n. 364, maggio 1997)
BIOGRAFIA
Imamura Shohei (Tokyo, 1926) dopo essersi laureato
all’Università di Waseda è assunto alla Shochiku come
Yamashita Takuro, paroled after
eight years in prison for killing
his wife, starts a new life as barber in a small town outside of
Tokyo. His closest companion
remains his pet eel, which has
kept him company throughout
his days behind bars. Free from
confinement, Takiro gradually
begins to open up, becoming
friendly with the locals who frequent his shop. But his life
changes abruptly when he saves
Keiko, a young woman he happens upon trying to commit
suicide by the river. Keiko, also
trying to heal mental wounds,
eventually starts to work at
Takuro’s shop. They both begin
to feel a growing attraction for
one another. However, incidents
occur, pulling them back to
their pasts…
Old Imamura, eight years after
Kuroi ame/Black Rain,
seemed to have lowered his
anthropological research, which
is at the base of his films, into
an increasinly more radical
nihilism through a distant and
scornful gaze. It is no accident
that his main character is a
man who has gone beyond a barrier towards nothingness (he
killed his wife violently because of her flagrant adultery without having ever denied his act, then he is released from jail as
a model prisoner) and who really only speaks to an eel he
keeps in a small tank. Around him is a small community of
immarginalised people who live without hope, where one can
catch glimpses of humanity only among the most mad and
among those who have also passed purely through suffering
(like the near-suicide character). (Fabrizio Grosoli,
“Cineforum”, n. 364, May 1997)
BIOGRAPHY
Imamura Shohei (Tokyo, 1926). After graduating from the
University of Waseda, Shohei was taken on at the Shochiku as
an assistant director, and he worked with Ozu on three of his
31
EVENTI SPECIALI
aiuto regista e lavora con Ozu in tre dei suoi film. Fino al
1954 lavora con Kawashima Yuzo. Nel 1958 scrive con
Kurosawa Akira la sceneggiatura di Bakumatsu Taiyo-Den.
films. He worked with Kawashima Yuzo until 1954. In 1958 he
wrote the screenplay for Bakumatsu Taiyo-Den with
Kurosawa Akira.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Nishi ginza ekimae (1958), Hateshinaki yokubo (1958), Nianchan (1959), Buta to gunkan (1961), Nippon konchuki (1963), Akai
satsui (1964), Jinruigaku nyumon (1966), Ningen Johatsu (1967), Kamigami no Fukaki Yokubo (1968), Nippon Sengoshi Madamu onboro no Seikatsu (1970), Karayuki-san, the Making of a Prostitute (1975), Fukusho suruwa ware ni ari (1979),
Eijanaika (1981), Narayama bushiko (1982), Zegen (1987), Kuroi ame (1989), Unagi (1997), Kanzo sensei (1998), Akai hashi noshitano nurui mizu (2000)
32
AS I WAS MOVING AHEAD OCCASIONALLY
I SAW BRIEF GLIMPSES OF BEAUTY
(t.l. Mentre mi muovevo in avanti ogni
tanto ho colto brevi visioni di bellezza)
EVENTI SPECIALI
JONAS MEKAS
“I miei diari filmati dal 1970 al
“My film diaries 1970-1999. It
1999. Coprono il mio matrimocovers my marriage, children are
nio, i bambini sono nati, li si
born, you see them growing up.
vede crescere. Spezzoni di vita
Footage of daily life, fragments
quotidiana, frammenti di feliof happiness and beauty, trips to
cità e bellezza, viaggi in
France, Italy, Spain, Austria.
Francia,
Italia,
Spagna,
Seasons of the year as they pass
Austria. Stagioni dell’anno che
through New York. Friends,
passano su New York. Amici,
home life, nature, unending
vita di casa, natura, ricerca infisearch for moments of beauty
nita di momenti di bellezza e
and celebration of life – friendelebrazione della vita – amiciships, feelings, brief moments of
zie, sensazioni, brevi momenti
happiness, beauty. Nothing
di felicità, bellezza. Niente di
extraordinary, nothing special,
straordinario, niente di speciathings that we all experience as
le, cose che proviamo tutti
we go through our lives. There
musica/music: Auguste Varkalis
durante le nostre vite. Ci sono
are many inter-titles that reflects
distribuzione/distributed by: Jonas Mekas (491 Broadway,
molti titoli interpolati che
my thoughts of the period. The
New York, NY 10012; tel.: (1-212) 5055181; fax.: (1-212)
riflettono i miei pensieri del
soundtrack consists of music
4772714
durata/running time: 288’
periodo. La colonna sonora
and sounds recorded mostly durorigine/country: USA 2000
consiste di musica e suoni regiing the same period from which
strati per lo più nello stesso
the images came. Sometimes I
periodo da cui provengono le immagini. Qualche volta parlo
talk into my tape recorder, as I edit these images, now, from a
nel mio registratore, mentre monto queste immagini, adesso,
distance of time. The film is also my love poem to New York, its
a distanza di tempo. Il film è anche la mia poesia d’amore a
summers, its winters, streets, parks. It’s the ultimate Dogme
New York, le sue estati, inverni, strade, parchi. È l’ultimo
movie, before the birth of Dogme.” (Jonas Mekas)
film Dogma, prima della nascita del Dogma.” (Jonas Mekas)
BIOGRAPHY
BIOGRAFIA
Jonas Mekas (Seminiskiai, Lithuania, 1922) in 1944 was transJonas Mekas (Seminiskiai, Lituania, 1922) nel 1944 fu traported to a German labour camp. After the war, Mekas remained
sportato in un campo di lavoro tedesco. Dopo la guerra
in Germany until 1948. In 1949, he emigrated to New York. In
rimase in Germania fino al 1948, quindi si trasferì a New
the early 1950s, he made his first documentaries. He founded the
York. Iniziò a realizzare documentari negli anni ’50. Fondò la
film magazine “Film Culture” in 1955. Five years later he was
rivista “Film Culture” nel 1955. Nel 1960 fu tra i fondatori del
involved in the creation of the New American Cinema Group. In
New American Cinema Group, nel 1962 della New York
1962 he started the New York Film-makers’ Cooperative. He coFilmmakers’ Cooperative, nel 1970 degli Anthology Film
founded the Anthology Film Archives in New York in 1970,
Achives, che dirige ancor oggi.
which he heads to this day.
FILMOGRAFIA (SELEZIONE)/FILMOGRAPHY (SELECTION)
Guns of the Trees (1961), The Brig (1963), Award Presentation to Andy Warhol (1964), Notes on the Circus (1966) Cassis (1966), Diaries,
Notes & Sketches (Walden) (1969), Reminiscenses of a Journey to Lithuania (1972), Lost Lost Lost (1975), In Between (1978), Notes for Jerome
(1976/1978), Paradise Not Yet Lost (1979), He Stands in a Desert Counting the Seconds of His Life (1988), Scenes from the Life of Andy
Warhol (1990), Zefiro Torna or Scenes from the Life of George Maciunas (1992), The Education of Sebastian or Egypt Regained (1992, video),
Mob or Angels (1993, video), Imperfect 3-Image Films (1995), On My Way to Fujiyama I Met… (1995), Memories of Frankenstein (1996),
Happy Birthday to John (1996), Birth of a Nation (1997), Scenes from Allen’s Last Three Days on Earth as a Spirit (1997, video), Simphony
of Joy (1997, video), Song of Avignon (1998), As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty (2000)
33
EVENTI SPECIALI
OSHIMA NAGISA
NINJA BUGEICHO
(t.l. Il manuale dell’arte marziale Ninja)
Mitsuharu Yuki, signore di
Fushikage, è stato ucciso da un
suo dipendente infedele,
Shuzen Sakagami. Il figlio di
Mitsuharu, Jutaro, fugge con i
dipendenti rimasti fedeli.
Alcuni anni dopo Yutaro torna
per vendicare il padre, ma
viene fermato dalla sorella di
Shuzen, Hotarubi. Un ninja di
nome Kagemaru lo aiuta a
sfuggire alla morte. La fame
incombe sul paese a causa di
una carestia di riso. Le tasse sui
raccolti provocano una rivolta
tra i contadini. Kagemoru, con
l’aiuto dei contadini, distrugge
il castello di Fushikage. Jutaru
sta per prendere Shuzen, ma
Hotarubi interviene ancora. La
caccia continua.
sceneggiatura/screenplay: Sasaki Mamoru, Oshima Nagisa
dal fumetto omonimo di Shirato Sanpei
fotografia/photography (35mm, b/n): Takada Akira
montaggio/editing: Uraoka Keiichi
musica/music: Hayashi Hiraku
suono/sound: Nichizaki Hideo
disegni/drawings: Shirato Sanpei
voci/voices: Ozawa Shoichi, Yamamoto Kei, Koyama
Akiko, Sato Kei, Matsumoto Noriko, Fukuda Yoshiyuki,
Kanze Hideo, Tanaka Nobuo, Kayano Juro, Tsuyugu
Shigeru, Watanabe Fumio, Hayashi Hikaru, Toura Rokko
produzione/production: Nakajima Masayuki, Yamaguchi
Takuji, Oshima Nagisa per la Sozosha
durata/running time: 131’
origine/country: Giappone 1966
“Per quanto riguarda Ninja
bugeicho si tratta di una storia a
fumetti molto popolare tra gli
studenti nel momento in cui fu
pubblicata e che anche a me
piaceva molto. Per questo mio
film il mio sforzo si è concentrato sull’ambizione tecnica di
girare tale e quale (senza utilizzare la tecnica dell’animazione) una storia a fumetti dotata di
un soggetto rivoluzionario. In ogni modo si può dire che sia
Ninja bugeicho che Amakusa Shiro Tokisada costituiscono una
critica al jidai-geki. […] Ninja bugeicho, il fumetto best-seller
di Shirato Sanpei, 16 volumi in tutto, attirò alla sua uscita
l’attenzione di molti registi. Ma alla fine i cineasti interessati
abbandonarono l’idea di portare la gigantesca opera sullo
schermo, a causa di presunte impossibilità produttive: il formato di alcuni disegni era troppo grande e il movimento dei
cosiddetti Ninja e degli animali, che hanno un ruolo molto
importante, troppo complesso per poter essere restituito con
le tecniche fotografiche esistenti. Io, tuttavia, sono andato
avanti laddove gli altri si sono ritirati, e ora considero un
onore, come avventuriero-artista, essere riuscito a portare
Ninja bugeicho sullo schermo.” (Oshima Nagisa, da Il rito, la
rivolta - Il cinema di Nagisa Oshima, a cura di Enrico Magrelli
e Emanuela Martini, Di Giacomo Editore, Roma 1984, p. 99)
34
Mitsuharu Yuki, the Lord of
Fushikage, is killed by one of his
unfaithful
subordinates,
Shuzen Sakagami. Mitsuharu’s
son, Jutaro, escapes with the
remaining loyal men. Several
years later Jutaro returns to
avenge his father’s death, but is
stopped by Shuzen’s sister
Hotarubi. A Ninja named
Kagemaru helps him escape
death.
Famine
threatens
Jutaro’s country because of a
rice shortage. The taxes on the
crops provoke a revolt among
the farmers. Kagemaru, with
the help of the farmers, destroys
Fushikage’s castle. Jutaro is
about to get Shuzen, but
Hotarubi intervenes once more.
The hunt continues.
Ninja bugeicho is a comic
strip that was very popular
with students at the time that it
was published, and which I
liked very much. For my film, I
concentrated my efforts on the
technical ambition to shoot just
such a comic strip of a revolutionary subject without using
an animation technique. In any case, it can be said that both
Ninja bugeicho and Amakusa Shiro Tokisada constitute a
critique of the jidai-geki. [...] Ninja bugeicho, Shirato
Sanpei’s best-selling, 16-volume comic strip attracted a lot of
attention among directors when it came out. In the end, however, the interested filmmakers abandoned their ideas to bring
the colossal work to the screen because of the presumed production impossibilities: the format of some of the designs was
too large and the movement of the so-called Ninjas and the
animals, which play a very important role, too complex to be
depicted using the existing photographic techniques.
Nevertheless, I went ahead whereas the others did not, and I
now consider it an honour, as an artist-adventurer, to have
succeeded in bringing Ninja bugeicho to the screen. (Oshima
Nagisa, from Il rito, la rivolta – Il cinema di Nagisa
Oshima, by Enrico Magrelli and Emanuela Martini, Di
Giacomo Editore, Roma 1984, p. 99)
EVENTI SPECIALI
BIOGRAFIA
Oshima Nagisa (Kyoto, 1932) ha studiato Legge all’università di Kyoto. Dopo la laurea inizia, nel 1954, a lavorare alla Shochiku Film Company come aiuto regista,
soprattutto con Oba Ideo. Nel frattempo scrive sceneggiature e si dedica alla critica cinematografica. Con i tre
film realizzati nel 1960, incentrati su tematiche giovanilistiche e politiche, diviene il simbolo della New Wave
giapponese.
BIOGRAPHY
Oshima Nagisa (Kyoto, 1932) studied Law at the University of
Kyoto. In 1954, after obtaining his degree, he began working at
the Shochiku Film Company as an assistant director, primarily
to Oba Ideo. In the meantime he wrote screenplays and dedicated himself to film criticism. He became a symbol of the
Japanese New Wave after making three films in the 1960s that
centred on youth-oriented and political themes.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Asu no taiyo (1959, cm), Ai to kibo no machi (1959), Seihun zankoku monogatari (1960), Taiyo no akaba (1960), Nihon no yoru to
kiri (1960), Shiiku (1961), Kori no naka no seishun (1962, cm, doc., Tv), Amakusa Shiro Tokisada (1962), Chiisana boken ryoko
(1963, mm), Wasurerareta kogun (1963, cm, doc., Tv), Watashi wa bellett (1964, mm), Aisurekaboso (1964, mm, Tv), Aru kokutetsu jomuin - 4.17 suto chushi zengo (1964, cm, doc., Tv), Gimei shojo (1964, cm, doc., Tv), Aogeba totoshi (1964, mm, Tv),
Hankotsu no toride - Hachinosu-jo no kiroku (1964, cm, doc., Tv), “Chita Niseigo” Taiheyo odan (1964, mm, doc., Tv), Seishun
no hi (1964, mm, doc., Tv), Ajia no akebono (1964, Tv), Etsuraku (1965), Yunbogi no nikki (1965, cm), Gyosen sonansu Wasurerareta taifu saigai (1965, cm, doc., Tv), Hakuchu no torima (1966), Ninja bugeicho (1966), Nihon shunka-ko (1967),
Muri-shinju: Nihon no natsu (1967), Koshikei (1968), Kaette kita yopparai (1968), Shinjuku dorobo nikki (1968), Daitoa senso
(1968, doc., Tv), Mo-Taku-To to bunka daikakumei (1969, mm, doc., Tv), Shonen (1969), Tokyo senso sengo hiwa - Eiga de isho o
nokoshite shinda otoko no monogatari (1970), Gishiki (1971), Kyojin-gun (1972, mm, doc., Tv), Joi Bangura! (1972, cm, doc.,
Tv), Natsu no imoto (1972), Goze Momoku no onna-tabigein (1972, co-regia: Ogasawara Kyoshi, cm, doc., Tv), Bengaru no
chichi Laman (1973, cm, doc., Tv), Ikiteiru nihonkai kaisen (1975, mm, doc., Tv), Ogon no daichi Bengaru (1976, co-regia)
Yamakazi Yuji, mm, doc., Tv), Ai no korida (1976), Denki Mo-Taku-To (1976, doc., Tv), Ikiteiru umi no bohyo - Torakku no kaitei o yuku (1976, cm, doc., Tv), Ikiteiru gyokusai no shima - Saipan no kaitei o yuku (1976, cm, doc., Tv), Yokoi Shoichi:
Guamuto 28 nen no nazo o ou (1977, mm, doc., Tv), Shisha wa itsumademo wakai - Okoinawa gakudo-sokai-sen no higeki (1977,
mm, doc., Tv), Ai no borei (1978) Merry Christmas Mr. Lawrence (1982), Max mon amour (1986), Kyoto, My Mother’s Place
(1991, mm, doc., Tv), 100 Years of Japanese Cinema (1994, Tv), Gohatto (1999)
35
EVENTI SPECIALI
JEAN-MARIE STRAUB - DANIÈLE HUILLET
OPERAI, CONTADINI
Con questo nuovo film, ispirato ancora una volta a un
testo di Vittorini, Straub e
Huillet continuano a confrontarsi con la storia del nostro
paese, riflettendo su un periodo centrale come quello del
dopoguerra. Dando corpo,
voce e forza ai personaggi di
Vittorini, il film si struttura
come un oratorio che “canta”
la riuscita “riunione” tra operai e contadini, tra persone
dal passato molto diverso che
sono riuscite a incontrarsi e a
credere in un progetto comune. I due uomini-guida si
chiamano, non a caso,
“Fazzoletto Rosso” e “Faccia
Cattiva”: nomi atavici e significativi di un diverso percorso
politico ed esistenziale (partigiano il primo, fascista l’altro). Riusciranno a convivere?
Dopo la guerra, in questo villaggio della ricostruzione, o
meglio dell’utopia, il cambiamento sembra possibile. Ma
per quanto ancora? (Maria
Coletti)
sceneggiatura/screenplay: Danièle Huillet e Jean-Marie
Straub da Le donne di Messina di Elio Vittorini
fotografia/photography (35mm, col.): Renato Berta, JeanPaul Toraille, Marion Befve
montaggio/editing: Danièle Huillet, Jean-Marie Straub
suono/sound: Jean-Pierre Duret, Dimitri Haulet, JeanPierre Laforce
interpreti/cast: Angela Nugara, Giacinto di Pascoli,
Giampaolo Cassarino, Enrico Achilli, Angela Durantini,
Martina Gioffriddo, Andrea Balducci, Gabriella Taddei,
Vittorio Vigneri, Aldo Fruttuosi, Rosalba Curatola,
Enrico Pelosini
produzione/production: Straub/Huillet
distribuzione/distributed by: Pierre Grise Distribution (21
avenue du Maine, 75015 Paris, France, tel.: 33 (0)1 45 44
20 45, fax: 33 (0)1 45 44 00 40, e-mail: [email protected])
durata/running time: 121’
origine/country: Italia/Francia, 2000
“Nel nostro film c’è molto
più movimento di un qualsiasi film d’azione. In ogni
quadro, tutto si muove: non solo i sentimenti, ma anche
tutto quello che sta intorno ai personaggi. Bisogna vedere questo film come si vede un processo. Sono dodici persone che vengono a testimoniare che cosa hanno vissuto,
che cosa è successo, in un momento storico ben preciso. E
lo raccontano in parte a memoria, in parte leggendo il
testo scritto, per essere più precisi. Raccontano una storia
che è composta da un’infinità di piccole altre storie, che si
intrecciano. E questo fa del film una specie di poliziesco.
[...] È molto importante ricordare proprio adesso la possibilità di questa utopia, che viene rimossa ogni secondo a
tutti i livelli e con tutti i mezzi. Bisogna andare controcorrente. Abbiamo scelto le 39 pagine centrali del testo, in
cui c’è un elemento quasi teatrale e fortemente realistico,
36
With this new film, which is
also inspired by one of
Vittorini’s texts, Straub and
Huillet continue to confront
our country’s history, reflecting
on a period as crucial as postwar Italy. Giving body, voice
and strength to Vittorini’s characters, the film is structured
like an oratory that “celebrates”
the successful “reconciliation”
between workers and farmers,
between people with very different pasts who have managed to
agree upon and believe in a
common project. The two
guide-men are called, not accidentally, “Fazzoletto Rosso”
(“Red Scarf”) and “Faccia
Cattiva” (“Nasty Face”). Their
names are atavistic and signify
very difficult political and existential paths (the first one is a
resistance fighter, the second a
fascist). Will they succeed in
living side by side? After the
war, in this village of reconstruction, or better yet, of
Utopia, the change seems possible. But for how much longer?
(Maria Coletti)
“There is much more movement
in our film than in just any
action film. Everything is moving in every frame: not only
their emotions, but also everything that surrounds the characters. This film must be watched as one would watch a trial.
Twelve people come to testify what they have lived through,
what happened, in a very precise historical moment. And their
testimony is in part memorised and in part read from a script,
to be more precise. They tell a story that is made up of an infinite number of other small intertwining stories. And this
makes the film somewhat of a mystery. [...] It is very important
to remember the possibility for this Utopia in exactly this
moment, because it is repressed every second at every level of
life by all means possible. We must go against the tide. We
chose 39 main pages of the text, in which there is an almost
theatrical and strikingly realistic element, in contrast to the
BIOGRAFIA
Jean- Marie Straub (Metz, 1933) si trasferisce a Parigi nel
1954 e incontra Danièle Huillet (Parigi, 1936). Lasciano la
Francia nel 1958 per Amsterdam, quindi si trasferiscono
in Germania. Straub viene condannato in contumacia a
un anno di prigione per essersi rifiutato di fare il servizio
militare in Algeria (amnistiato nel 1971). Nel 1969 si trasferiscono ancora, da Monaco a Roma.
rest of the novel that feels American. It seems like theatre and
it is not theatre. Nor is it a narrative novel. They seem like tape
recordings of stolen lives, written as if they were improvised by
the people, and very poetic when gathered together. Actually,
this is our most narrative film, even if everyone else says it
says nothing. (Jean-Marie Straub’s declarations at film’s presentation at cinema Arsenale in Pisa, 6th May 2001)
EVENTI SPECIALI
in contrasto col resto del romanzo, di impronta americana. Sembra teatro e non è teatro; e non è nemmeno
romanzo narrativo: sembrano registrazioni della vita
rubate al magnetofono, scritte come se fossero improvvisate dalla gente, e insieme molto poetiche. In realtà questo è il nostro film più narrativo, anche se tutti dicono che
non racconta nulla.»” (Dichiarazioni di Jean-Marie Straub
alla presentazione del film al cinema Arsenale di Pisa, 6
maggio 2001)
BIOGRAPHY
Jean-Marie Straub (Metz, 1933) moved to Paris in 1954, where
he met Danièle Huillet (Paris, 1936). In 1958, they left Paris
for Amsterdam and later moved to Germany. Straub was sentenced in absentia to a year in prison for having refused to serve
a military term in Algeria (but granted amnesty in 1971). In
1969 they moved again, from Munich to Rome.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Machorka-Muff (1963, cm), Nicht versöhnt oder es hilft nur Gewalt wo Gewalt herrscht (1965, mm), Chronik der Anna Magdalena
Bach (1968), Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter (1968, cm), Othon (1969), Einleitung zu Arnold Schenbergs
Begleitmusik zu einer Lichtspielscene (1972, cm), Geschichtsunterricht (1973), Moses und Aron (1974), Fortini/Cani (1976), Toute révolution est un coup de dés (1977, cm), Dalla Nube alla Resistenza (1979), Trop tôt, trop tard (1981), En rachachant (1982),
Klassenverhältnisse (1984), Der Tod des Empedokles (1987), Schwarze Sünde (1989, mm), Cézanne: Conversation avec Joachim Gasquet
(1989, mm), Antigone (1992), Lothringen! (1994, cm), Von heute auf morgen (1997), Sicilia! (1999), Operai, contadini (2001)
37
60 + o –
60 + o –
LISANDRO ALONSO
LA LIBERTAD
(t.l. La libertà)
Un giorno nella vita di
Misael, giovane taglialegna
indio nella sconfinata pampa.
Il lavoro, la potatura, la sega
all’opera, un certo rispetto
ecologico, il riposo, la radio, il
cibo, il sonnellino, il furgoncino Ford per trasportare i pini
tagliati, la visita al villaggio
per vendere il legno, sempre
a tirare sul prezzo, telefonare
all’amico e avere notizie della
mamma, la notte.
A day in the life of Misael, a
young Indian woodcutter in the
sprawling Pampas: work, pruning, the saw, a certain ecological
respect, break-time, the radio,
food, the nap, the Ford van that
transports the cut pine trees, the
visit to the village to sell the
wood and the constant haggling
over the prices, telephone calls
to a friend for news about his
mother, night.
Simple, tedious and poetic, like
Semplice, noioso, poetico
Piavoli’s Il pianeta azzurro.
come Il pianeta azzurro di
Lisandro Alonso, a Buenos
sceneggiatura/screenplay: Lisandro Alonso
Piavoli. Uno dei suoi 26 anni
Aires native, spent one of the 26
fotografia/photography (35mm, col.): José Luis Migliora
di vita Lisandro Alonso, cityears of his life with Misael,
montaggio/editing: Lisandro Alonso, Martin Mainoli
tadino di Buenos Aires, li ha
before shooting 73 minutes of
musica/music: Juan Montecchia
passati con Misael, prima di
footage among the fields, often
interpreti/cast: Rafael Estrada, Javier Didino, Omar
girare 73 minuti tra i campi,
getting caught up in the desire
Didino, Humberto Estrada Mizael Saavedma
facendosi spesso prendere la
to shoot with a moving camera,
produzione/production: R/M Films
voglia di girare a cinepresa
“from an insect’s height”. How
distribuzione/distributed by: Tv OR (Avenue Kleber 42,
svolazzante, “ad altezza di
is this done? How does one shirk
75116 Paris, France; tel.: 01 44 05 14 00; fax: 01 44 05 14 55;
insetto”. Come si fa. Anche
even the humanistic inclinae-mail : [email protected])
per togliersi le abitudini
tions that Kurosawa Akira had
durata/running time: 73’
origine/country: Argentina 2001
umaniste che ancora aveva
when he followed another free
Kurosawa Akira quando
man among the forests, in
inseguiva un altro uomo libero tra i boschi, Dersu Uzala.
Dersu Uzala? A distinct cinema that launches itself in every
Ma il film è anche qui la punta di un iceberg.
direction. [...] This is how some of the young Argentine filmDall’Argentina arrivano segnali vitali. Un cinema appunmakers – among the newcomers: Lucrecia Martel, Gustavo
tito che si lancia in ogni direzione. […] Ecco che qualche
Postiglione, Martino Rejtman, Daniel Burman, Stagnaro and
giovane cineasta argentino (tra gli emergenti, Lucrecia
Caetano, Juan Taratuto – interprets his own personal “Great
Martel, Gustavo Postiglione, Martino Rejtman, Daniel
Proletariat Cultural Revolution of the Pampas”. (Roberto
Burman, Stagnaro e Caetano, Juan Taratuto) sta intraSilvestri, “il manifesto”, 11th May 2001)
prendendo una sua personale “Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria nelle Pampa”. (Roberto Silvestri, “il
BIOGRAPHY
manifesto”, 11 maggio 2001)
Lisandro Alonso (Buenos Aires, 1975) studied at Buenos Aires
Cinema University, then began working as assistant director.
BIOGRAFIA
Lisandro Alonso (Buenos Aires, 1975) ha studiato
all’Università del cinema di Buenos Aires, per poi lavorare come aiuto regista.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Dos en la vereda (1995, cm), La libertad (2001)
41
60 + o –
THOMAS ARSLAN
DER SCHÖNE TAG
(t.l. Un bel giorno)
Deniz ha ventun anni. Vive a Berlino e lavora come doppiatrice, ma vuole diventare un’attrice. Ha difficoltà a trovare qualcuno che soddisfi le sue aspettative. Non è felice con il suo ragazzo, Jan. Una mattina d’estate deve
prendere una decisione. Incontra Jan in un caffè, vanno a
fare una passeggiata e rompe con lui. Completamente
disturbata, Deniz vaga per la Berlino estiva. Dopo un test
vocale per un ruolo in un film, incontra Diego in una stazione della metropolitana. Passano la serata inseme, ma
Deniz sa che il loro incontro non avrà alcun seguito. La
mattina dopo si separano.
Deniz is twenty-one years old. She lives in Berlin and works
as a film dubber, but she wants to become an actress. She has
difficulty finding someone who satisfies her expectations. She
isn’t happy with her boyfriend, Jan. One summer’s morning
she must make a decision. She meets Jan in a café, they go for
a walk and she breaks up with him. Completely disturbed,
Deniz hurries through summertime Berlin. After a voice test
for a role in a film, she encounters Diego in an underground
station. They spend the evening together, but Deniz knows this
encounter won’t be of any consequence. Early the next morning they part again.
Pochissimi film berlinesi si preoccupano della topografia,
Very few Berlin films worry about the city’s topography,
che o resta irriconoscibile o è tagliuzzata in sfondi pittowhich either remains unrecognisable or is hacked into picturreschi. In realtà, come ci
esque backdrops. How do we
muoviamo nella città? Che
actually move through the city?
sceneggiatura/screenplay: Thomas Arslan
cosa succede lungo la straWhat happens along the way?
fotografia/photography (35mm, col.): Michael Wiesweg
da? L’essenza del film di
The essence of Thomas Arslan’s
montaggio/editing: Bettina Blickwede
Thomas Arslan risiede negli
films lies just as much in the
musica/music: Selda Kaya & shape:mod, Morton Feldman,
incontri e nelle conversazioencounters and conversations
Saul Williams
ni, come pure nelle pause fra
as in the pauses in between, the
suono/sound: Andreas Mucke-Niesytka
essi, nel silenzio e nel movisilence and the movement from
scenografia/art direction: Ulrika Anderson
costumi/costumes: Anette Guther
mento fra un luogo e un
one place to another. Deniz
interpreti/cast: Serpil Turhan, Bilge Bingül, Florian Stetter,
altro. Deniz esce dall’apparleaves her boyfriend’s apartSelda Kaya, Hafize Üner, Hanns Zischler, Elke Scmitter,
tamento del suo ragazzo a
ment in Kreuzberg. The house
Benedict Weber, Özgür Firat, Göhkan Katman, Ali
Kreuzberg. La casa ha una
has a narrow staircase and
Akkas, Stefan Pethke
scala stretta e gabinetti in
shared toilets, the heavy wooden
produzione/production: Pickpocket Filmproduktion, zero
comune, pesanti porte di
doors typical of old-style buildfilm, ZDF
legno tipiche degli edifici
ings, and dark entrances.
distribuzione/distributed by: Peripher Filmverleih (Segitzdamm
vecchio stile, e ingressi bui.
Blinding
sunlight
shines
2, 10969 Berlino; tel.: (49-30) 6142464; fax: (49-30) 6159185; eUna luce accecante filtra dai
through half-opened gates into
mail: [email protected])
cancelli mezzo aperti sulla
the summer city. Summertime
durata/running time: 74’
città estiva. Berlino d’estate
Berlin is not only a description
origine/country: Germania 2001
non è solo la descrizione di
of a time of year. It is also a difuna stagione dell’anno. È
ferent than wintertime Berlin.
anche un luogo diverso dalla Berlino invernale. Gli edifiThe IBE (International Building Exhibition) buildings on
ci dell’International Building Exhibition sulla
Kochstrasse, where Deniz lives, play out their irritating
Kochstrasse, dove abita Deniz, sfoggiano i loro colori irricolourfulness, unusually bright and generous. Der Schöne
tanti, inusualmente accesi e generosi. Der Schöne Tag è
Tag is almost an alternative to a different, well-known film,
quasi un’alternativa a un altro, notissimo film ambientaset in Berlin. Deniz walks. Through the long corridors of
to a Berlino. Deniz cammina: lungo i corridoi sotterranei
Alexanderplatz underground station with its low ceilings and
della stazione della metropolitana di Alexanderplatz con
turquoise wall tiles, up shady lakeside shopes in the
i soffitti bassi e le pareti rivestite di mattonelle turchesi,
Grunewald, along the wide pavements of old Berlin streets,
su per pendii ombrosi vicino al lago a Grunewald, lungo
through the evening-time Tiergarten illuminated by the headgli ampi marciapiedi delle vecchie strade berlinesi.
lamps of cars on the Strasse des 17 Juni. Her long trek through
Attraverso la Tiergarten di sera, illuminata dai fari delle
the city takes Deniz from the dark dubbing studio to the light
automobili sulla Strasse des 17 Juni. Il lungo viaggio
casting studio, from a café in Schöneberg to a deserted bathing
attraverso la città porta Deniz dal buio dello studio di
lake. This is the playing field on which Der Schöne Tag takes
42
BIOGRAFIA
Thomas Arslan (Braunschweig, 1962) dal 1963 al 1967 ha
vissuto a Essen, dal 1967 al 1971 ad Ankara, dove ha fatto
le scuole elementari. Nel 1972 torna in Germania. Dopo
aver studiato tedesco a Monaco, ha frequentato
l’Accademia Tedesca di Cinema e Televisione a Berlino
dal 1986 al 1992.
place. (Cristoph Terhechte, Berlin’s Forum 2001 catalogue)
BIOGRAPHY
Thomas Arslan (Braunschweig, 1962) lived in Essen between
1963 and 1967, and from 1967 to 1971 in Ankara, where he
attended elementary school. In 1972 he returned to Essen.
After studying German in Munich for two semesters, he
studied at the German Film and Television Academy in Berlin
from 1986 to 1992.
60 + o –
doppiaggio alla luce della sala casting, da un caffè a
Schöneberg a un lago deserto in cui tuffarsi. È questo il
campo dove si gioca Der Schöne Tag. (Cristoph Terhechte,
catalogo del Forum di Berlino 2001)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Im Sommer - die sichtbare Welt (1992), Mach die Musik leiser (1994), Geschwister - Kardesler (1996), Dealer (1999),
Der schöne Tag (2001)
43
60 + o –
GAHITÉ FOFANA
I.T. (IMMATRICULATION TEMPORAIRE)
(t.l. Immatricolazione temporanea)
Mathias, figlio di una
francese, parte per la
Guinea alla ricerca del
padre naturale. Appena
arrivato è aggredito e
derubato di tutti gli
effetti personali e dei
documenti. In un bar
incontra John Tra, un
giovane e simpatico
vagabondo che lo presenta a sua sorella
Rama. Quest’ultima lo
accompagna a Fria, una
città industriale in declino in cui a quanto pare
abita il padre, visto che in passato lavorava in una fabbrica
del luogo. Rama mette in
guardia il giovane francese.
La sera incontra nuovamente
John in un bar gestito da un
uomo di nome Sylla. Mathias
non si rende conto che sono
stati gli uomini di Sylla a
derubarlo il giorno del suo
arrivo. Alla fine incontra il
padre, ormai vecchio, alcolista e indifferente a tutto.
Mathias decide di tornare a
Parigi. Ma…
sceneggiatura/screenplay: Gahité Fofana
fotografia/photography (35mm, col.): Peter Chapell
montaggio/editing: Yannick Kergoat
musica/music: Sékou Kouyaté
suono/sound: Maguette Sala
interpreti/cast: Fatoumata Kanté, Gahité Fofana, Yves
Guirchand Traoré, Ibrahima Sano, Mohamed Dinah Sampil,
Alhassane, Alsény Bah, Houraye Bah, Mamadou Dian
Diallo, Taye, Fatoumata, Kadiatou, Ibrahima “B” Soumah
produzione/production: ARTE France, Léo & Cie, F. G. F.
distribuzione/distributed by: Léo & Compagnie (Rue de
Lourmel 42 bis, 75015 Parigi; tel.: (33-1) 45710930; fax:
(33-1) 45710939; e-mail: [email protected])
durata/running time: 78’
origine/country: Guinea/Francia 2000
“Si incontrano parecchie persone in I.T.: uno è un francese
originario della Guinea, gli altri guineani. Trascorrono
insieme parecchio tempo. E si somigliano. Vivono in un
ambiente in cui persino il desiderio di mostrare un po’ di
calore umano provoca un dolore atroce, vista l’insensatezza delle loro esistenze. Chiunque si rifiuti di prendere in
considerazione il futuro, come fanno loro, e viva unicamente per il presente, deve avere un passato spettrale. Il
protagonista principale si smarrisce alla ricerca dei suoi
parenti. Grazie a un conoscente e all’aiuto delle persone
che lo sostengono nella sua ricerca, avrà un futuro. I.T. è un
film con attori che somigliano ai personaggi. O è il contrario? Il film mostra una serie di brevi squarci impressionistici della vita guineana: è molto realistico, tragico, triste,
eppure scintillante, proprio come i suoi personaggi. È il
ritratto di una generazione in Africa, giovani che sanno di
44
Mathias, the son of a
Frenchwoman, travels to
Guinea to find his natural father. No sooner does
he get there than he is
mugged and robbed of all
his personal belongings
and documents. In a bar
he meets John Tra, a
young and likeable tramp
who introduces him to his
sister Rama. Rama takes
Mathias to Fria, a rundown industrial town in
which his father is apparently staying because he
used to work in a local factory.
Rama warns the young
Frenchman about it. In the
evening he again meets John in
a bar run by a man called Sylla.
Mathias doesn’t realise that it
was Sylla’s men who robbed
him on the day he arrived. He
finally meets his father, who is
now an old man, wasted, alcoholic and uninterested in anything. Mathias decides to return
to Paris. But...
“Several people come together
in I.T. One is a Frenchman of Guinean origin, the others
Guineans. They spend a lot of time together, and they are
similar. They live in an environment in which even the will
to show human kindness causes excruciating pain in view
of the senselessness of their lives. Anyone who refuses to
consider the future, as they do, and lives solely for the present must have had a ghostly past. The main protagonist
loses his way on the search for his blood relatives. Thanks to
an acquaintance and the help of the people who support him
in his search, he has a future. I.T. is a film featuring actors
who are similar to the characters they play. Or is it the
other way around? The film shows a series of short impressions of Guinean life. It is a very down-to-earth film, tragic, sad, yet shimmering, just like the characters themselves.
It is the portrait of a generation in Africa, young people
who know they are lost and who live for today. They are
real.” (Gahité Fofana)
BIOGRAFIA
Gahité Fofana (1965) ha studiato letteratura e cinematografia a Parigi, per poi farsi un nome come regista di
documentari.
BIOGRAPHY
Gahité Fofana (1965) studied literature and cinematography
in Paris. The director previously made a name for himself as
a documentary filmmaker.
60 + o –
essere perduti e che vivono alla giornata. Sono autentici.”
(Gahité Fofana)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Tanun (1995, doc., mm), Une parole, un visage (1995, doc., mm), Témédy (1995, cm), Mathias, le Procès des Gangs (1997,
doc., mm), Le Spleil se maquille (1998, doc., cm), I.T. (Immatriculation temporaire) (2000)
45
60 + o –
ALAIN GUIRAUDIE
CE VIEUX RÊVE QUI BOUGE
(t.l. Questo vecchio sogno che si muove)
In una fabbrica della provincia
francese che sta per chiudere, i
pochi operai rimasti aspettano
con stanchezza la fine quando
arriva un giovane tecnico a
smontare un’ultima macchina.
Il ragazzo è omosessuale.
Colpo di fulmine col responsabile della fabbrica, mentre
un altro operaio più anziano
che ne è attratto lo mette in
guardia, dicendogli che non è
l’uomo adatto per lui. Ma non
si può decidere chi amare.
In a factory in the French suburbs
that is about to close down, a
group of workers is wearily awaiting the end when a young technician arrives to dismantle the last
machine. He is gay. He and the
factory supervisor are immediately drawn to one another, while
another, older worker, who is also
attracted to him, tells the young
man to watch out because the
supervisor is not the right man
for him. But one does not decide
who to fall in love with.
Ce vieux rêve qui bouge reveals
Ce vieux rêve qui bouge ci porta
sceneggiatura/screenplay: Alain Guiraudie
to us the anxieties of the working
nelle angosce operaie – salario
fotografia/photography (35mm, col.): Emmanuel Soyer
class – minimum wage salaries,
minimo di disoccupazione e
montaggio/editing: Golonda Ramos
unemployment and an uncertain
futuro incerto – in quella
suono/sound: Dana Farzenhpour
future – in a suburban and marFrancia periferica e marginale
scenografia/art direction: Morgan Nicolas
ginal France that sends home all
delle multinazionali che maninterpreti/cast: Pierre Louis-Calixte, Jean-Marie Combelles,
those who cannot cut it. [...] But
dano a casa chi non serve. […]
Jean Segani, Jean-Claude Montheil, Yves Dinse, Serge
the film does not speak about this.
Ma non ne parla, le lascia
Ribes, Jean-Claude Montheil, Rui Fernandes
That is, it lets the ideas come out in
venir fuori nelle parole, nei
produzione/production: Jean-Philippe Labadie, Nathalie
the words, in the gestures repeated
gesti ripetuti per anni. La fabEybrard, Paulo films
for years. The factory becomes a
brica diventa il luogo del piadistribuzione/distributed by: Cinexport (Avenue des Champsplace of unproductive pleasure, of
cere non produttivo, quel nonElysées 78, 75008 Paris, France, tel.: 33 (0)1 45 62 49 45; fax:
33 (0)1 45 63 85 26; e-mail: [email protected])
non-work vindicated by the best
lavoro rivendicato dalle menti
durata/running time: 50’
minds, of encounters and seducmigliori, incontri e scambio di
origine/country: Francia 2001
tions, of a masculine identity that
seduzioni, identità maschile
discovers uncertainties and new
che scopre incertezza e nuove
motivations. The workers come to life during breaks, lunch, at the
pulsioni. Gli operai vivono nelle pause: pranzo, fine giornaend of the day, in the shower, at the promise of a drink at the bar. This
ta, doccia, la promessa di un bicchiere al bar. Guiraudie
is how Guiraudie dismantles globalisation and production-oriented
smantella globalizzazione e alienazione produttiva, controlalienation, political control and labour. He changes the “real” reprelo politico e fatica, cambia segno alla rappresentazione
sentational meaning of the factory as a place of sublime massacre
“vera” della fabbrica contro il sublime del massacro (il Lars
(like the Lars von Trier of Dancer in the Dark) into a place of indivon Trier di Dancer in the Dark) per il piacere individuale,
vidual pleasure, of the single person living within the collective.
della singola persona che vive nella collettività. (Cristina
(Cristina Piccino, “il manifesto”, 18th May 2001)
Piccino, “il manifesto”, 18 maggio 2001)
BIOGRAFIA
Alain Guiraudie (Villefranche-de-Rouergue, 1964) autore
di corti e mediometraggi, ha scritto la sceneggiatura di un
primo lungometraggio, Rabalaire.
BIOGRAPHY
Alain Guiraudie (Villefranche-de-Rouergue, 1964) is the creator of various short and medium-length films and has also
written the screenplay for his first feature, Rabalaire.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Les Héros sont immortels (1990, cm), Tout droit jusqu'au matin (1994, cm), La Force des choses (1997, cm), Du soleil pour les
gueux (2000, cm), Ce vieux rêve qui bouge (2001, mm)
46
DANACH HÄTTE ES SCHÖN SEIN MÜSSEN
(t.l. Avrebbe dovuto andare bene dopo tutto ciò)
“Nel 1974 la donna si suicidò. Nel 1997 rividi l’uomo
per la prima volta. Abitava
ancora nello stesso appartamento in cui si era trasferito
con la moglie e il figlio 41
anni fa. L’appartamento era
rimasto letteralmente identico. L’uomo è mio padre. Nei
due anni e mezzo successivi,
ho usato la mia videocamera
digitale per osservare mio
padre. L’ho seguito ovunque,
persino durante una crociera
nei Caraibi. La videocamera
fornisce una certa distanza,
ma anche intimità.” (Karin
Jurschick)
sceneggiatura/screenplay: Karin Jurschick
fotografia/photography (35mm, col.): Karin Jurschick
montaggio/editing: Bettina Böhler
suono/sound: Karin Jurschick
interpreti/cast: Eva Mattes, Reinhart Firchow
produzione/production: Karin Jurschick, ZDF/3sat
distribuzione/distributed by: Karin Jurschick (Neusser Str.
356 A, 50733 Köln; tel./fax: (49-221) 8703442; e-mail:
[email protected])
durata/running time: 72’
origine/country: Germania 2001
“Sentivo un gran senso d’oppressione quando, dopo
molti anni, sono tornata per
la prima volta nell’appartamento in cui vive mio padre,
e in cui un tempo abitavamo
io e mia madre. È stato come
fare un balzo nel passato.
Ogni cosa era uguale a prima, a partire dalla coperta blu
sul letto di mia madre. Ho raccontato quest’esperienza ad
amici, e anche se non avevo mai usato una telecamera
digitale per scopi privati, una di loro mi consigliò di portarmi la telecamera. Ero scettica, ma ho seguito il suo consiglio, e così ha avuto inizio un’esperienza cruciale. Mio
padre era interessato alla telecamera come strumento tecnico: la rispettava ed era curioso. La macchina ha posto la
nostra relazione su un piano diverso rispetto al vecchio
rapporto padre-figlia. Potevamo parlare di essa in
entrambi i sensi. Agiva come uno schermo protettivo,
come un modo per creare una distanza nella quale però
io potevo “zoomare” su qualsiasi cosa: mio padre, l’appartamento, i ricordi. Potevo osservare gli oggetti da vicino pur restando a distanza, anche fisicamente. Credo che
la stessa cosa valga per mio padre, ma al contrario.
Trovava più facile parlare con me attraverso la cinepresa
piuttosto che direttamente. Una volta ha detto che era
incredibile quanto la cinepresa cambi le cose. Questo è
stato l’inizio di un processo in cui ho tentato di dare
forma a ciò che in precedenza era stato un tabù oppri-
60 + o –
KARIN JURSCHICK
“In 1974, the woman committed suicide. In 1997, I saw the
man for the first time again. He
was still living in the same
apartment he had moved into
with his wife and child 41 years
ago. The apartment had
remained virtually unchanged.
The man is my father. During
the course of the next two years
and a half, I used my digital
video camera to watch my
father. I follow him, even on a
boat
trip
through
the
Caribbean. The camera provides
a certain distance, but intimacy
as well.” (Karin Jurschick)
“It felt very oppressive when,
after many years, I returned for
the first time to the apartment
in which my father lives and
my mother and I once lived. It
was like a leap back into the
past. Everything was as it had
always been, right down to the
blue blanket over my mother’s
bed. I told friends about this experience, and although I had
never used a DV camera for private purposes, one of them
recommended I take a camera along with me. I was skeptical,
but followed her advice. Thus began a very crucial experience. My father was interested in the camera as a technical
instrument. He respected it and was curious. The camera
put our relationship on a different level from the old fatherdaughter arrangement. We could talk about “it” in both
senses. It acted as a protective shield, a way of creating distance through which I could, however, “zoom in” on everything: my father, the apartment and the memories. I could
examine things closely while remaining distant, physically
too. I think the same applied to my father in reverse. He
found it easier to talk to me through the camera than directly. He once said it was amazing how much the camera
changes things. That was the beginning of a process in which
I tried to give shape to that which had previously been taboo
and averwhelming, so that I – and others – could picture it.
And giving shape means keeping a distance. (Gabriela
Seidel, interview with Karin Jurschick, Berlin’s Forum 2001
catalogue)
47
60 + o –
mente, così che io – e altri – potessimo rappresentarlo. E
dare forma significa mantenere una distanza.” (Gabriela
Seidel, intervista con Karin Jurschick, catalogo del Forum
di Berlino 2001)
BIOGRAFIA
Karin Jurschick (Essen, 1959) ha studiato teatro, film e
televisione all’Università di Colonia. Co-fondatrice del
Feminale, festival internazionale di film femminili di
Colonia. Per cinque anni redattrice culturale nel mensile
“Stradtrevue”, ha poi lavorato come autrice per radio e
televisione.
BIOGRAPHY
Karin Jurschick (Essen, 1959) studied theater, film and television at the University of Cologne. She co-founded the
international women’s film festival Feminale in Cologne and
worked for five year as the culture editor for the monthly
magazine “Stradtrevue”. Since then she has written for radio
and television.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Danach hätte es schön sein müssen (2001)
48
I LOVE THE SOUND OF THE KALACHNIKOV,
IT REMINDS ME OF TCHAIKOVSKY
(t.l. Amo il suono del kalashnikov,
mi ricorda Cajkovskij)
60 + o –
PHILIPPE VARTAN KHAZARIAN
“Eccomi qui, insieme a molti altri, a con“Here I am, with many others, watching and
templare o celebrare una nuova era –
celebrating a new era – believing that images
convinto come sono che le immagini
can have their own doubts. I will never forget
possano anch’esse nutrire dei dubbi.
my first ride on the back seat of a scooter. I
Non dimenticherò mai la mia prima
was five. My father had lost me in Lyon’s
corsa sul sellino posteriore di uno scooimmense national park while I was performter. Avevo cinque anni. Mio padre mi
ing cartwheels. Alone, surrounded by hunaveva smarrito nell'immenso Parco
dreds of Sunday-afternoon strollers, while
nazionale di Lione mentre io ero tutto
the French National Police were looking for
intento a fare a ripetizione la ruota. Solo,
me. I finally decided to hitchhike on the nearcircondato da centinaia di persone
by road. A stranger jumped off his scooter
intente nella loro passeggiata domenicaand started questioning me. What was I
le, mentre la Polizia francese mi stava
doing here on my own? Why was I crying?
cercando, decisi di fare l’autostop nella
Where was my home? We were soon flying
strada che passava accanto al parco. Uno
along the streets of Lyon. Under the helmet, I
sconosciuto saltò giù dal suo
couldn’t tell who this adult was.
sceneggiatura/screenplay: Philippe Vartan Khazarian
scooter e cominciò a farmi
There were no introductions and
fotografia/photography (video, col.): Sacha De Petrossian,
delle domande. Cosa facevo
when we said goodbye, at the
Philippe Vartan Khazarian
lì da solo? Perché stavo pianfront door, he held me and made
montaggio/editing: Stephane Leclerc
gendo? Dove abitavo? Di lì a
sure that I would always
suono/sound: Felix Le Bars
poco volavamo già per le
remember that he, who saved me
interpreti/cast: Garabed Maguessian, Aravni
strade di Lione. Poiché porthat day, was a man.” (Philippe
Maguessian, Jana Galoustian, Gerard Chaliand
tava il casco, non avrei sapuVartan Khazarian)
produzione/production: Khazarian Ltd, Philippe Vartan
to dire chi fosse quest’adulto
Khazarian
che mi stava accompagnanBIOGRAPHY
distribuzione/distributed by: New York Times Tv & Film
(tel.: 00 44 20 7631 1202; fax: 00 44 20 7631 1203)
do. Non ci furono presentaPhilippe Vartan Khazarian
durata/running time: 75’
zioni e quando ci salutam(Villeurbanne, France, 1965),
origine/country: Francia/Gran Bretagna 2001
mo, davanti alla porta di
studied communications at the
casa mia, mi strinse e si assiSorbonne in Paris. He works for
curò che ricordassi per sempre che lui, il mio salvatore di
New York Times Television and Film, where he handles the
quel giorno, era un uomo.” (Philippe Vartan Khazarian)
production and sale of documentaries.
BIOGRAFIA
Philippe Vartan Khazarian (Villeurbanne, Francia, 1965)
ha studiato comunicazioni alla Sorbona di Parigi. Lavora
per New York Times Tv & Film, dove si occupa di produzione e vendita di documentari.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Tomorrow, Another Day (1993, cm), The Last Phoenix (1993, cm), I Love the Sound of the Kalachnikov, It Reminds Me of
Tchaikovsky (2001)
49
60 + o –
MURALI NAIR
PATTIYUDE DIVASAM
(t.l. Un giorno da cani)
Una volta in una vivace provincia rurale il Signore reggente garantiva la democrazia ai
suoi fedeli sudditi, e loro
festeggiavano con canzoni
gioiose. Come segno del suo
grande cuore, il Signore diede
il cane reale Apu a Koran, già
suo servo obbediente. Koran e
la moglie orgogliosamente si
prendevano cura del piccolo
cane, ammirati da tutto il villaggio. Un giorno, Apu morde
un’anatra, e quindi un ragazzo. Si sparsero voci che il
Signore avesse mandato il
cane tra la gente sapendo che
era rabbioso. La pacifica,
democratica atmosfera del villaggio era distrutta. Il nuovo
leader e gli scoraggiati abitanti del villaggio si volsero contro il Signore che una volta
amavano e rispettavano.
sceneggiatura/screenplay: Bharathan Njarakal, Murali Nair
fotografia/photography (35mm, col.): M. J. Radhakrishnan
montaggio/editing: Lalitha Krishna
musica/music: Kavalam Narayana Panikkar
scenografia/art direction: Shambhavi Kaul
interpreti/cast: Sudhas Thayat, Manilal, Thomas V.,
Lakshmi Raman, K. Krishna Kaimal, Vinu Prasad
produzione/production: Flying Elephant Films
distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue
Lamartine 24, 75009 Paris, France; tel.: 01 49 70 03 70; fax: 01
49 70 03 71; email: [email protected])
durata/running time: 74’
origine/country: India/Gran Bretagna 2001
“Pattiyude divasam è stato girato nello stato più meridionale
dell’India, nel piccolo villaggio
di Monconbu, nella provincia
centrale di Kuttanadu. Manconbu è un villaggio sperduto, il
che ha reso le riprese più difficili. Non c’erano alberghi.
Dovevamo cercare case vuote per alloggiare la troupe con i
servizi basilari. L’acqua non era il massimo! Ma l’aspetto interessante è che la regione è famosa per le sue coltivazioni di
riso. La cultura tradizionale è intatta. Questo rende le pose e i
volti molto particolari, aspetti che stanno rapidamente scomparendo dall’India contemporanea, anche nel Kerala. Ho
molto apprezzato l’ospitalità e il calore dei locali. Tutti gli attori nel film sono non professionisti. Vengono praticamente tutti
dal villaggio di Monconbu.” (Murali Nair)
BIOGRAFIA
Murali Nair (Anandapuram, Kerala, 1966), diplomato in
Geologia, ha fatto i suoi studi cinematografici all’Istituto
Xavier di Bombay. Ha lavorato come aiuto regista.
Once in a colorful rural
province, the ruling Lord granted democracy to his faithful citizens. They celebrated with joyous song. As a token of his good
will, the Lord gave the royal dog
Apu to his former obedient servant, Koran. Koran and his wife
proudly cared for the small dog,
admired by all the village. One
day, Apu bit a duck, then later a
boy. Rumor spread that the Lord
knowingly sent Apu amongst
the people because the dog had
rabies. The peaceful democratic
atmosphere of the village was
disrupted. The new leader and
the disheartened villagers turned
against the Lord they once loved
and respected.
“Pattiyude divasam was shot
in the small, southernmost state
of India, in the small village of
Monconbu, in the central
province
of
Kuttanadu.
Manconbu is a remote village,
which certainly made the filming more difficult. There were
no hotels. We had to look for empty houses to lodge crew with
basic facilities. The water wasn’t great! But the interesting
aspect is that the region is very well known for its rice paddy
cultivation. Traditional culture is very intact. This makes for
a very different attitude and especially faces, aspects which
are quickly disappearing from contemporary India, even in
Kerala. I really appreciated the hospitality and warmth of the
locals. All the performers in Pattiyude divasam are nonprofessionals. They’re practically all from the village of
Monconbu.” (Murali Nair)
BIOGRAPHY
Murali Nair (Anandapuram, Kerala, 1966) graduated in
Geology. He studied film at Xavier Institute in Bombay. He has
worked as an assistant director.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Tragedy Of An Indian Farmer (1993, cm), Coronations (1994, cm), Oru Neenda Yathra (1996, cm), Marana Sinhasanam (1999),
Pattiyude divasam (2001)
50
PROPOSTE VIDEO
Videoritratti
PROPOSTE VIDEO
GOZU NAOE
OSHIMA ’99
Nell’aprile del 1999 Oshima
Nagisa ha iniziato le riprese
di Gohatto, il suo primo film
dopo un silenzio di 13 anni.
Il progetto era stato annunciato nel gennaio del ’96, ma
poco dopo un ictus aveva
lasciato Oshima semiparalizzato e appena in grado di
parlare. Dopo aver sopportato una dura riabilitazione
fisica, il maestro ha autorizzato Gozu Naoe a portare
una handycam sul set di
Gohatto, dove per otto mesi la
regista ha seguito il lavoro
dei “Compagni”, un gruppo
di attori e tecnici orgogliosamente fedeli a Oshima.
Betacam SP
fotografia/photography (col.): Gozu Naoe, Ito Shinji
montaggio/editing: Asano Naohiro
narratore/narrator: Kishimoto Tamae
produzione/production: Gozu Naoe, NHK-Japan Broadcasting
Corporation, NHK Enterprise 21, Tv Man Union
durata/running time: 73’
origine/country: Giappone 1999
BIOGRAFIA
Gozu Naoe (Nagano, 1953)
dopo essere entrata alla Tv
Man Union ha vinto vari
premi per documentari e fiction. Nel 1995 ha prodotto Maborosi, no hikari di Kore’eda
Hirokazu, e ha vinto il premio per la miglior produttrice
tv giapponese. Nel 1999 il Festival del Cinema
Indipendente Giapponese l’ha dichiarata “Miglior nuova
regista”.
BIOGRAPHY
Gozu Naoe (Nagano, 1953).
After joining TV Man Union
she earned several awards for
her documentaries and dramas. In 1995 she produced
Maborosi, no hikari directed
by Kore’eda Hirokazu, and she won the Japanese Female
Broadcaster Award. In 1999 she was declared “Best new
director” at the Japanese Indipendent Film Festival.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Falling into the Evening (1998), Oshima ’99 (1999)
54
In April 1999 Oshima Nagisa
began filming Gohatto, his first
film in 13 years. The project had
been announced in January
1996, but soon after, during a
visit in London, Oshima suffered a severe stroke wich left
him paralyzed on his right side
and barely able to speak. After
enduring a tough physical rehabilitation, the master allowed
Gozu Naoe to take a handycam
onto the set of Gohatto, where
for eight months she filmed the
work of the “Comrades”, a
group of actors and technicians
fiercely loyal to him.
TAKESHI KITANO L’IMPRÉVISIBLE
(t.l. Takeshi Kitano l’imprevedibile)
Un’intervista a Kitano Takeshi il comico, attore e regista
giapponese definito nel film “imprevedibile”. Kitano
parla della sua attrazione per la violenza, della sua infanzia, del rapporto con le riprese, rivelando un personaggio
toccante, strano e misterioso
An interview with Kitano Takeshi, the Japanese comic, actor
and director who is defined as “unpredictable” in the film.
Kitano talks about his attraction to violence, his childhood and
his relationship with shooting films, revealing a touching,
strange and mysterious character.
BIOGRAFIA
Jean-Pierre Limosin, regista e critico francese, ha conosciuto la notorietà internazionale con Tokyo Eyes, tra i
cui interpreti figurava Kitano Takeshi.
BIOGRAPHY
A French director and critic, Jean-Pierre Limosin first
received international acclaim with Tokyo Eyes, which featured Kitano Takeshi among the cast.
VIDEORITRATTI
JEAN-PIERRE LIMOSIN
sceneggiatura/screenplay: Jean-Pierre Limosin
fotografia/photography (video, col.): Jean-Marc Fabre, Sakuma
Eiichi
montaggio/editing: Danielle Anezin, Thierry Demay
produzione/production: AMIP, INA-Entreprise, La SeptArte, Office Kitano
origine/country: Francia/Giappone 1999
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Faux fuyants (1983), Gardien de la nuit (1986), L’autre nuit (1988) Cinéma de notre temps: Abbas Kiarostami (1994, doc.), Tokyo
Eyes (1998) Takeshi Kitano, l’imprévisible (1999, doc.)
55
PROPOSTE VIDEO
SHINOZAKI MAKOTO
JAM SESSION
THE OFFICIAL BOOTLEG OF KIKUJIRO
(t.l. Jam Session
Il bootleg ufficiale di L’estate di Kikujiro)
Documentario unico nel suo
genere, realizzato durante le
riprese del film di Kitano
Takeshi L’estate di Kikujiro. Il
regista cerca di seguire ogni
fase del processo produttivo.
150 giorni di riprese, più di
100 ore di materiale girato,
finiti dentro questo documentario che si articola come
una “jam session”.
BIOGRAFIA
Shinozaki Makoto (Tokyo,
1963) esordisce nella regia
nel 1995 con Okaeri, lungometraggio pluripremiato a
Nantes, Berlino, Montreal e
Dunkerque.
A unique documentary in its
genre, this is the official bootleg
of Kitano Takeshi’s Kikujiro.
Director Shinokazi tries to follow every phase of the production process. 150 days of shooting, more than a hundred hours
of shot material all flow into
this documentary that seems
just like a “jam session”.
fotografia/photography (video, col.): Kawazu Taro, Shinozaki
Makoto
montaggio/editing: Kikawa Manabu, Shinozaki Makoto
musica/music: Hishaishi Joe
suono/sound: Shinbo Masahiro
produzione/production: Mori Masayuki, Yoshida Takio
durata/running time: 93’
origine/country: Giappone 1999
BIOGRAPHY
Shinozaki Makoto (Tokyo, 1963)
made his direction debut in
1995 with Okaeri, a long film
which has received awards in
Nantes, Berlin, Montréal and
Dunkerque.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Okaeri (1995), Jam Session - The Official Bootleg of Kikujiro (1999, doc.)
56
VIDEORITRATTI
MASSIMO DI FELICE
JAPOP!
Japop! (Japan+Pop) esplora il
Giappone contemporaneo
nelle espressioni della cultura popolare e della sua
metropoli: Tokyo. Nei quattro
episodi
(Robotism,
Cosplayer, Demolitori e Love)
vengono presi in esame i
diversi aspetti della cultura e
sub-cultura giapponese e i
suoi protagonisti, costruendo una visione del Giappone
di oggi.
Japop! (Japan+Pop) explores contemporary Japan in how its pop
culture and its metropolis, Tokyo,
express themselves. Various
aspects of Japanese culture and
sub-culture, as well as their leading
figures, are examined in the four
episodes (Robotism, Cosplayer,
Demolitori and Love), creating a
vision of Japan today.
BIOGRAPHY
Massimo Di Felice (Rome,
1963) is the high priest of the
BIOGRAFIA
“Chiesa della Elettrosofia”
Massimo Di Felice (Roma,
[“Church of Electrosophy”]
1963), primo sacerdote della
founded in Rome in 1990 for the
consulente/consultant: Pio D’Emilia
“Chiesa della Elettrosofia”
practice of home rites and sesfotografia/photography (video, col.): Massimo Di Felice
fondata a Roma nel 1990 per
sions of self-taught techno-mysmontaggio/editing: Massimo Di Felice, Adriano Mestichella
traduzioni/translations: Arturo Camillacci, Eva Magliocchetti
praticare riti e sedute casalinticism. He began directing short
produzione/production: Canal Jimmy, Elettrosofia s.r.l. (via
ghe di autoformazione tecniprogrammes for TMC and
Annia Faustina 14a, Roma; www.elettrosofia.com)
co-mistica. Inizia a lavorare
Raitre, among other channels.
durata/running time: 4 episodi di 30’
come regista di contributi
Soon, micro-reportages, videos,
origine/country: Italia 2000
per TMC e Raitre, tra gli altri.
themes, promos and documenSeguiranno micro-reportage,
taries followed. In 2000, he
videoclip, sigle, promo, documentari. Ha fondato nel
founded Elettrosofia s.r.l., a production company/independent
2000 Elettrosofia s.r.l., casa di produzione/factory indifactory that produces documentaries and fictional programmes
pendente che produce per le televisioni sia documentari
for television. He also creates live performances for the “off”
che fiction e per il circuito off realizza live-performances.
circuit.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Buio Pesto (1987), Vita su Marte (1988), Inediti Lumière; Monarchia o Repubblica; Etologia Umana (1988), Opzioni (1990), Floyd
(1991), Triplex (1993), Buongiorno Serbia (1996), Diventa quello che sei (spettacolo multimediale) (1997), Lounge!; Bologna
(1999), Le Torri di Kenzo Tange (1999), Japop!; Vinile!; Super8!; Mostri! (2000), Orrore!; Tacchi Alti; Che hai sulla testa? (2001)
57
PROPOSTE VIDEO
NAGASAWA - GIANNETTI - DE VITO
WAKAMONO: I GIOVANI DI TOKYO
Un viaggio attraverso il
variegato mondo dei giovani in un paese, il Giappone,
che sta vivendo un momento
di grande trasformazione
sociale e culturale. Il documentario si snoda attraverso
un’analisi del mondo giovanile giapponese fatta da
Murakami Ryu, scrittore e
regista conosciuto soprattutto per il film Tokyo Decadence
e attraverso le voci dei giovani che parlano di se stessi
e delle proprie tensioni tra
passato, presente e futuro.
A journey through the diversified world of young people in
Japan, a country that is going
through a moment of great
social and cultural transformation. The documentary builds
on the analysis of youth culture
presented by Murakami Ryu,
the writer and director best
known for his film Tokyo
Decadence, and through the
voices of the young people that
talk about themselves and their
tensions with the past, present
and future.
BIOGRAPHY
fotografia/photography (video, col.): Marco Fiata
montaggio/editing: Mirco de Vito
BIOGRAFIA
Alessandra Giannetti (Terracina,
produzione/production: Arim Video
Alessandra Giannetti (Ter1968) graduated in Japanese
distribuzione/distributed by: Arim Video (via Gregorio VII
racina, 1968), laureata in
Literature and Japanese. She is a
494, 00165 Roma; tel.: 06 66018852)
Lingua e letteratura giappovideomaker and coordinator of
durata/running time: 21’
nese, è autrice video e coordiJapanese television productions.
origine/country: Italia 2000
natrice di produzioni televiNagasawa Ai (Osaka, 1973)
sive giapponesi. Nagasawa
graduated in Russian Literature.
Ai (Osaka, 1973), laureata in Letteratura russa, è autrice,
She is a videomaker, graphic artist and video editor. Mirco De
grafica e montatrice video. Mirco De Vito (Roma, 1974) è
Vito (Rome, 1974) is a videomaker and video editor.
autore e montatore video.
58
IL MUSEO PIÙ VELOCE DEL MONDO
Il Museo più veloce del mondo
punta il suo potente cannocchiale sulla Cina, passando
dalle celebrazioni del cinquantesimo
anniversario
della nascita della Repubblica
Popolare Cinese a Pechino al
raduno mondiale degli aquiloni, arte inutile e scienza per
diletto, alle trasformazioni
impressionanti delle metropoli del Sud, Hong Kong e
Shenzen. Il commento, a metà
fra il saggio e la prosa d’arte,
si posa, ironico come una peripezia, sui caleidoscopici
mutamenti dell’immagine. Il
Museo più veloce del mondo rappresenta il tentativo di decifrare e comprendere un paese
che negli ultimi vent’anni ha
subito il più grande e veloce
mutamento mai registrato
nella storia dell’umanità.
Dvideo
sceneggiatura/screenplay: Carlo Laurenti
fotografia/photography: Andrea Cavazzuti
montaggio/editing: Andrea Cavazzuti
voce/voice: Carlo Laurenti
produzione/production: Alfaclap
durata/running time: 4 puntate di 20’
origine/country: Italia 1999-2000
BIOGRAFIA
Andrea Cavazzuti (Milano, 1959). Laureato in Lingua e
letteratura cinese all’università di Venezia, dalla fine degli
anni ’70 si dedica alla fotografia di paesaggio (espone a
Viaggio in Italia, Bari 1982; XVII Triennale di Milano; a
Vigo, Spagna; a Pechino 1993 ecc.) e dal 1994 realizza indipendentemente video artistici e documentari in digitale.
Dal 1982 ha vissuto prevalentemente in Cina a Shanghai,
Hong Kong e Pechino. Carlo Laurenti (Roma, 1954).
Sinologo e umanista, ha curato traduzioni del Chuang-tzu
e altre numerose edizioni e traduzioni di testi sinologici.
Collabora a trasmissioni culturali radiofoniche della Rai e
alla pubblicazione, in Cina, di opere sulla cultura italiana.
VIDEORITRATTI
ANDREA CAVAZZUTI - CARLO LAURENTI
Il Museo più veloce del
mondo [The Fastest Museum
in the World] directs its powerful gaze at China, from the
50th anniversary celebration of
the People’s Republic of China
in Beijing to the international
kite competition, a useless art
and scientific hobby; from the
impressive transformations of
the southern cities, Hong Kong
and Shenzen to.... The commentary, which is full of ironic
vicissitude and is halfway
between essay and artistic
prose, rests upon the kaleidoscopic mutations of the images.
Il Museo più veloce del
mondo represents an attempt
to decipher and understand a
country that has undergone the
biggest and fastest changes
ever recorded in the history of
humankind.
BIOGRAPHY
Andrea Cavazzuti was born in Milan in 1959. He graduated in
Chinese Literature and Chinese at the University of Venice. In
the late 70s he dedicated himself to landscape photography (he
has had shows in Bari, Italy in 1982; the XVII Triennale in
Milan; in Vigo, Spain; Beijing in 1993 etc.). He has been making video projects and digital documentaries independently
since 1994. Since 1982 he has been living, for the most part, in
China, in Shanghai, Hong Kong and Beijing. Carlo Laurenti
was born in Rome in 1954. A scholar of Chinese studies and the
humanities, he has edited Chuang-tzu translations as well as
numerous editions and translations of Chinese texts. He works
for Rai radio on their cultural programmes and in China has
worked on publishing texts on Italian culture.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY (Andrea Cavazzuti)
Trilogia pechinese (1996, con Olivo Barbieri e Daria Menozzi), L’ideogramma capovolto (1998, con Olivo Barbieri e Daria
Menozzi), Il museo più veloce del mondo (1999-2000, con Carlo Laurenti), Bambini - Fiction Kids (1999-2000), Life is not easy
(1999-2000), Pechino, un giorno (1999-2000, con Francesco Sisci)
59
PROPOSTE VIDEO
FRANCESCO CONVERSANO - NENE GRIGNAFFINI
MOSCA NON HA CUORE
IL MONDO DI VLADIMIR SOROKIN
Puntata di una serie Rai
dedicata a giovani talenti
della narrativa che parlano
della loro città.
An episode from a series dedicated to young writers talking
about their cities.
VHS
fotografia/photography (col.): Paolo Santolini, Viktor Ivanov
montaggio/editing: Stefano Barnaba
suono/sound: Alessandro Pinto
produzione/production: Rai Radiotelevisione Italiana,
Movie Movie
durata/running time: 51’
origine/country: Italia 2000
60
NELLA TERRA DEI DACI LIBERI
Al confine tra la Romania e
l’Ucraina, nella regione del
Maramures, un piccolo villaggio chiamato Sapinta
ospita uno dei più importanti gioielli della cultura romena: il suo cimitero. Stan Ion
Patras, scultore e poeta, ha
composto e realizzato nel
cimitero Vesel centinaia di
stele funerarie che ripercorrono e inquadrano la vita dei
defunti in una sorta di Spoon
River romeno. Sarà attraverso le stele funerarie di contadini, minatori, falegnami e
massaie che entreremo nella
vita, nelle abitudini e nelle
tradizioni di gente semplice
e ospitale, scoprendo una
società contadina dove il
tempo sembra essersi fermato decine di anni fa.
Mini DV
fotografia/photography (35mm, col.): Gheorghe Pop
montaggio/editing: Paolo Mercadini
post-produzione/post-poduction: Roberto Grassi
consulente musicale/musical consultant: Luca Perini
voci/voices: Teresa Piazza e Antonio Bonanotte
produzione/production: Potlach Productions (via
Gerace, 1B, 00100 Roma tel.: 06/70306930; e-mail: [email protected])
durata/running time: 45’
origine/country: Italia 2001
BIOGRAFIA
Sergio Pelliccioni (Roma,
1970), si laurea con il
Dipartimento di Tradizioni
Popolari dell’Università di Roma La Sapienza dopo aver
realizzato una ricerca antropologica di nove mesi in
Romania e dopo aver seguito corsi di perfezionamento di
antropologia visuale all’Università Saint Denis, Parigi 8.
Collabora da tre anni con il progetto Teche Rai e realizza
documentari e video per istituzioni pubbliche e istituti di
ricerca. Silvia Lazzarini (Verona, 1971), si laurea
all’Università di Roma La Sapienza in Storia del cinema
nel 1997. Frequenta per un anno il dipartimento di cinema dell’Università di Paris 3 La Sorbonne Nouvelle a
Parigi, corsi di realizzazione e montaggio video al Down
Town Community Center di New York e alla Stadion
Produzioni di Roma. Collabora da due anni al progetto
Teche Rai.
VIDEORITRATTI
SERGIO PELLICCIONI - SILVIA LAZZARINI
On the border between Rumania
and the Ukraine, in the
Maramures region, a small village named Sapinta contains one
of the most important jewels of
Romanian culture: its cemetery.
In the Vesel cemetery, sculptor
and poet Stan Ion Patras has
created hundreds of funereal
stele describing the lives of the
deceased in a kind of Romanian
Spoon River Anthology. We
enter into the lives, habits and
traditions of these simple and
hospitable farmers, miners,
woodworkers and housewives
through the stele, to discover a
farming community where time
seems to have come to a standstill ten years ago.
BIOGRAPHY
Sergio Pelliccioni (Rome, 1970)
got a degree in Popular
Cultures from the University of
Rome La Sapienza after having
conducted
anthropological
research in Rumania for nine
months and after having taking a specialisation course in visual anthropology at the University Saint Denis, Paris 8. He has
been working on the Teche Rai project for three years and has
made documentaries and videos for public and research institutions. Silvia Lazzarini (Verona, 1971) got a degree in Film
History from the University of Rome La Sapienza in 1997. She
attended the film school at the University of Paris 3 La
Sorbonne Nouvelle for one year, and took editing courses at the
Downtown Community Center in New York and at Stadion
Produzioni in Rome. She has been working on the Teche Rai
project for two years.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Nella terra dei Daci liberi (2001)
61
PROPOSTE VIDEO
VILLI HERMANN
LUIGI EINAUDI
DIARIO DELL’ESILIO SVIZZERO
L’8 settembre 1943
Luigi Einaudi, futuro
primo
presidente
della Repubblica Italiana,
abbandona
Torino occupata dalla
Wehrmacht e raggiunge la Svizzera. È la
“fuga del popolo
dinanzi al barbaro”,
scrive Einaudi nel suo
Diario dell’esilio. Utilizzando stralci del
Diario, Villi Hermann
dà la parola alle persone ancora in vita (svizzeri e italiani, militari e partigiani, ebrei respinti dalla
svizzera e sopravvissuti alla
Shoah) e delinea così un
ritratto del periodo, visto da
una prospettiva inedita.
(Catalogo del Festival di
Locarno 2000)
BIOGRAFIA
Villi Hermann è uno dei
nomi più importanti della
cinematografia svizzera.
sceneggiatura/screenplay: Villi Hermann
fotografia/photography (video, col.): Hans Stürm
montaggio/editing: Gianni Schmidhauser
musica/music: Ludovico Einaudi
suono/sound: Villi Hermann
produzione/production: Imagofilm SA
distribuzione/distributed by: Imagofilm SA (viale Cassarate
4, CH-6900 Lugano; tel.: +41 91 9226831; fax: +41 91
9220688; e-mail: [email protected])
durata/running time: 73’
origine/country: Svizzera 2000
On the 8th of September
1943, Luigi Einaudi,
future first president of
the Italian Republic,
abbandoned Turin, which
was occupied by the
Wehrmacht, and went to
Switzerland. It was “the
flight of the people in the
face of the barbarians”,
he wrote in his Diary of
Exile. Taking this as a
starting point, Villi
Hermann
interviews
those individuals still
alive (Swiss and Italian,
soldiers and partisans, Jews who
were denied entry to Switzerland
and survived the Holocaust),
who provide an account of this
troubled period from an unusual
perspective. (Locarno’s Festival
2000 catalogue)
BIOGRAPHY
Villi Hermann is one of the leading names in Swiss cinema.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
San Gottardo (1977), Matlosa (1981), Innocenza (1986), Bankomatt (1989), Tamaro (1999), Luigi Einaudi. Diario dell’esilio
svizzero (2000)
62
LEONARDO SCIASCIA - AUTORITRATTO
montaggio/editing: Mario di Chiara
musica/music: Erik Satie
produzione/production: Rai Educational
durata/running time: 27’
origine/country: Italia 2000
VIDEORITRATTI
VIDEO
RITRATTI
PASQUALE MISURACA
VITTORIO DE SICA - AUTORITRATTO
montaggio/editing: Andrea Spinella
produzione/production: Rai Educational
durata/running time: 27’
origine/country: Italia 2000
Interviste e filmati d’epoca della Rai in cui De Sica e
Sciascia parlano della propria vita, del proprio lavoro,
della società italiana.
BIOGRAFIA
Pasquale Misuraca è nato nel 1948 a Siderno, in riva al mar
Ionio, e vive a Roma. Si è diplomato al Liceo Artistico e laureato in Sociologia. Insegna Educazione Artistica e
Sociologia della conoscenza. Ha pubblicato articoli di carattere politico e culturale, saggi di genere letterario e critico, e
il libro di scienza della storia e della politica Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci (1978).
Interviews and clips from Rai in which De Sica and Sciascia
speak about their lives, their work and Italian society.
BIOGRAPHY
Pasquale Misuraca was born in 1948 in Siderno, on the coast
of the Ionic Sea, and now lives in Rome. He received a diploma
from an artistic lyceum and a university degree in Sociology.
He taught Art Education and Cognitive Sociology. He has published articles on politics and culture, literary and critical
essays and a book on historical and political science entitled
Sociology and Marxism in the Criticisms of Gramsci
(1978).
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Angelus Novus (1987), I sofisti (1989), L’etica di Aristotele (1989), La bobina dell’occhio ferito (1990), Vita e morte di (1991), Non
ho parole (1992), Le ceneri di Pasolini (1993), Vita all’incontrario di Mimmo Pesce (1994), Autoritratti vagabondi: Kafka - Gramsci
- Hitchcock - Pasolini (1995), Ciprioti (1995), Amorosa Caterina (1995), Nostalgia delle città proibite (1996), Prima di cominciare
(1997), Santarielli d’Amantea (1997), Al secolo Totò (1998), Fe y controversia en Yumbel (1999), San Sebastián en Yumbel (1999),
Retrato del Padre Pedro Campos (1999), Retrato del Padre Esteban Gumucio (1999), Leonardo Sciascia - Autoritratto (2000),
Vittorio De Sica - Autoritratto (2000), La vigilia (2001)
63
PROPOSTE VIDEO
PASQUALE MISURACA
LA VIGILIA
Davanti alla videocamera una
ragazza, dopo aver fallito l’esame a una scuola di teatro,
dice addio ai genitori, al
ragazzo, al mondo, alla vita.
After having failed her theatre
school exam, a young girl speaking into a video camera says
goodbye to her parents, her
boyfriends, the world, life.
Perché ho chiesto di non proiettare i miei audiovideo sul grande
schermo.
di Pasquale Misuraca
Why I asked that my
audiovideos not be projected
on the big screen.
by Pasquale Misuraca
Il cinema sta finendo, seconI believe that cinema is dying.
do me. Voglio dire quella
By that I mean the historic form
forma storica dell’arte audioof audiovisual art that presupvisiva che suppone la pellicoposes film stock, the large thela, la grande sala, il grande
atre, the big screen, the mass
sceneggiatura/screenplay: Pasquale Misuraca
schermo, il pubblico di
public, and the circus: the cammontaggio/editing: Mario di Chiara
massa, e il circo: la cinepresa
era and cameraman, the lights
musica/music: Claudio Barria Mancilla
e l’operatore, le luci e il diretand the cinematographer, the
interpreti/cast: Gayle Li Maxwell Ilabaca
tore della fotografia, il carreldolly and the operator, the set
produzione/production: ALFAZITA
lo e il macchinista, la scenoand the artistic designer, the
durata/running time: 29’
grafia e lo scenografo, i
costumes and the costume
origine/country: Italia 2000
costumi e il costumista, l’atdesigner, the actress and the
trice e il truccatore e via enumake-up artist. The list of all the
merando l’apparato che serviva per realizzarlo e che si
devices needed to create film goes on, devices that up until yesfrapponeva fino a ieri necessariamente tra l’astante e l’eterday inevitably came between the onlooker and the event, the
vento, lo spettatore e l’opera. Sta finendo perché sta
spectator and the work. Cinema is dying because the historical
finendo la forma storica di società che l’ha fatto nascere e
social model that created it and kept it alive is dying: the socievivere: la società dei partiti politici, dei sindacati operai e
ty of political parties, of labour and farm unions, of nationcontadini, degli stati nazionali, degli uomini-massa. Dalle
states, of mass movements. From its ashes (still hot and full of
sue ceneri (ancora calde e piene di tizzoni ardenti) sta
burning embers) another society is growing, which is building
nascendo un’altra società, la quale si sta costruendo una
a different kind of audiovisual art from, the principal product of
diversa forma storica dell’audiovisivo, il prodotto princiwhich is exactly the “audiovideo” that I am going to present.
pe del quale è appunto l’audiovideo, che vado a presenNaturally, I am speaking about my audiovideos because, havtare. Naturalmente parlo dei miei audiovideo, perché li
ing made them, I know them best, and because deep down a
conosco meglio degli altri (avendoli fatti) e perché un
director theorises about his work. So, let us set aside Leonardo
autore sotto sotto teorizza sempre la sua opera. Allora,
Sciascia Self-Portrait and Vittorio De Sica Self-Portrait, two
lasciamo da parte Leonardo Sciascia - Autoritratto e Vittorio
edited videos that I created for Italian television (Rai
De Sica - Autoritratto, due video di montaggio che ho
Educational) using only archival material, and let us examine
costruito per la televisione italiana (Rai Educational) con
La vigilia, an audiovideo that I shot (shot?) in Santiago de
soli materiali d’archivio, e prendiamo in esame La vigilia,
Chile and edited (edited?) in Rome, in the beginning of 2001.
un audiovideo che ho girato (ho girato?) a Santiago del
Between the spectator and the work there is no more circus: the
Cile e montato (montato?) a Roma, in questo inizio del
protagonist turns on the camera and records and is recorded. A
2001. Tra lo spettatore e l’opera non c’è più il circo: il prosubjective shot finally directed and justified. The first
tagonista accende la telecamera e registra e si registra.
audiovideo work was born: first person singular of the present
Una soggettiva finalmente diretta e giustificata. È nata
indicative. I audio and video for you, single subject spectator.
l’opera audiovideo: prima persona singolare del presente
This realism is different from New and True Realism, in which
indicativo. Io audio e video per te, singolo soggetto spetone saw and heard through an invisible witness that, however,
64
substituted the circus; and different from “Nouvelle” and
“Vague” Realism, with its ostentatious presentation of the circus in the frames and in the conspicuous editing. Yet this
aspect of the audiovideo is not only a new technical possibility,
a new material condition that is fundamental, however, for the
very reason that the condition is essential to the endeavour
itself. To quote Karl Marx (you remember his marvellous
Preface to A Contribution to the Critique of Political
Economy?): “Mankind always sets itself only such tasks as it
can solve; since, looking at the matter more closely, it will
always be found that the task itself arises only when the material conditions of its solution already exist or are at least in the
process of formation”. The audiovideo is also a new category of
linguistic effects, to practice and to theorise about: from the
already established material conditions to the practical and theoretical initiatives that are possible and therefore necessary.
Therefore, to get back to the screening, the watching and listening of audiovideo works should be done, for the love of clarity and with the art of consequence, with a video player and a
television (“Everything that is excess comes from evil.”). In
front of which are a handful of spectators who know and recognise each other, a handful of you.
VIDEORITRATTI
VIDEO
RITRATTI
tatore. Un realismo diverso dal Nuovo e Vero Realismo,
nel quale si vedeva e si sentiva attraverso un testimone
invisibile che supponeva però il circo, e diverso dal
Nuovo e Vago Realismo, con la sua ostentazione del circo
in campo e del montaggio visibile. Ma questa dell’audiovideo non è soltanto una nuova possibilità tecnica, una
nuova condizione materiale, la quale però è fondamentale per la buona ragione che la condizione è sostanziale
all’iniziativa. Per dirla con Karl Marx (vi ricordate la sua
meravigliosa prefazione a Per la Critica dell’Economia
Politica?): «L’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le
condizioni materiali della sua soluzione esistono già o
almeno sono in formazione». È anche, questa dell’audiovideo, una nuova effettualità linguistica, da praticare e da
teorizzare. Dalle condizioni materiali ormai date alle iniziative pratiche e teoriche possibili e per ciò necessarie.
Dunque, parlando di proiezione, la visione e l’ascolto
delle opere audiovideo si dovrebbe realizzare, per amore
di chiarezza e con l’arte della conseguenza, attraverso un
registratore e un televisore («Il di più viene dal
Maligno»). Di fronte al quale stiano un pugno di spettatori, che si conoscono e si riconoscono, un pugno di tu.
65
Nuove proposte video
PLUMES
(t.l. Piume)
In un luogo mitico e fuori del tempo
come un’isola, l’apparizione di una
donna uccello diviene simbolo di
una perduta età dell’oro. Plumes,
liberamente ispirato alla commedia
di Aristofane Gli uccelli, è una riflessione sul destino umano che attraversa, con una serie di citazioni e
pratiche visive, le principali formulazioni artistiche novecentesche
intorno ai temi concettuali di forma
e movimento.
In a mythical place that is beyond time,
like an island, the apparition of a
woman bird becomes a symbol of a lost
golden age. Plumes, loosely inspired by
Aristofanes’ The Birds, is a reflection
on human destiny that develops
through a series of quotes and visual
experiences on the principle artistic formulations of conceptual themes of form
and movement of the 1900s.
NUOVE PROPOSTE VIDEO
GIOVANNA AMARÙ
fotografia/photography: Paolo Schembari
montaggio/editing: Marco Sciveres
musica/music: George Crumb, Claudio Monteverdi, Arvo
Part
interpreti/cast: Giovanna Amarù (danzatrice), Carlo
Ferreri, Paolo Schembari
voce/voice: Carlo Ferreri, Giovanna Amarù
produzione/production: consorzi Oltremare
durata/running time: 17’
origine/country: Italia 2000
67
PROPOSTE VIDEO
MARCO AMORINI
I AM AN EYE
(t.l. Sono un occhio)
“Philip K. Dick inizia il
romanzo A Scanner Darkly
con la frase: ‘I am an eye’
(‘Io sono un occhio’). Essere
un occhio significa porre
attenzione alle relazioni che
viviamo con il mondo
esterno, sul quotidiano e
sulla minaccia che esso rappresenta attraverso il continuo ripetersi delle azioni.”
(Marco Amorini)
BIOGRAFIA
Marco Amorini (Roma,
1961), artista, lavora con fotografia e video. Al centro della
sua indagine ci sono i rapporti che si instaurano tra
l’individuo e la metropoli. Le
sue opere hanno fatto parte
della rappresentanza italiana
del Padiglione dell’Unione
Europea ad Hannover per
l’Expo 2000.
“Philip K. Dick begins his
novel A Scanner Darkly
with the phrase: ‘I am an
eye’. Being an eye means
drawing attention to daily
events and the threats they
pose through the continual
repetition
of
actions.”
(Marco Amorini)
Betacam SP
fotografia/photography: Marco Amorini
montaggio/editing: Roberto Grassi
interpreti/cast: Debora Giannetti
produzione/production: Marco Amorini
durata/running time: 2’15’’
origine/country: Italia 2000
BIOGRAPHY
Marco Amorini was born in
Rome and is an artist who
works with photography and
video. Established relationships between the individual
and the city are at the core of his
investigations. His work was
part of the Italian exhibition at
the European Union Pavilion at
Expo 2000 in Hannover.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Discensore (1998), Città continua (2000), I Am an Eye (2000), Città meccanica (2001)
68
THESE ARE NOT MY IMAGES
(t.l. Queste non sono le mie immagini)
Il viaggio in Oriente di una
cineasta disillusa accompagnata da una guida semicieca. Un film che ripropone
il tema dell’interrogazione
dei limiti del documento filmato, di quanta realtà esso
può conservare e nello stesso
tempo a quale grado di
manipolazione può essere
sottoposto.
BIOGRAFIA
Irit Batsry, newyorkese, è
un’artista di video e installazioni che ha ricevuto numerosceneggiatura/screenplay: Irit Batsry
sissimi riconoscimenti in più
fotografia/photography: Irit Batsry
di 30 paesi. Tra questi si citano
montaggio/editing: Irit Batsry
quelli ricevuti nel l992 dalla
suono/sound: Stuart Jones
Guggenheim
Foundation
produzione/production: Academy of Media Arts (Colonia),
Fellowship, e nel 1996, il
La Sept/ARTE
Grand Prix Video de Création
durata/running time: 80’
origine/country: USA/Francia/Germania/Inghilterra 2000
della Société Civile des
Auteurs Multimedia. È membro della commissione artistica dell’UNESCO.
A disillusioned filmmaker travels to the Orient with a halfblind guide. A film that re-proposes the investigation of the
limits of the filmed document in
terms of how much reality it can
preserve and at the same time
how much manipulation it can
be subjected to.
NUOVE PROPOSTE VIDEO
IRIT BATSRY
BIOGRAPHY
Irit Batsry, a New Yorker, is a
video and installation artist who
has won awards in over 30 countries, including the Guggenheim
Foundation Fellowship in 1992
and the Grand Prix Video de
Création from the Société Civile
des Auteurs Multimedia in
1996. He is a member of the
UNESCO artistic commission.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
I video di Irit Batsry hanno partecipato ripetutamente ai maggiori festival, tra i quali Berlino, Londra, Montreal e
Locarno dove, nel 1995, ha vinto il primo premio. Slightly Less Than a Saint (1982), We Are All Civilized (1982), She Jumps
Into the Water (1982), Preview (1983), Invitation For an Opening (1983), How Real Is Your Screen (1983), Neutral (1983), Fine
Mechanics (1983), The Roman Wars: 1983 (1983), The Double Murder (1983), I Won’t, I Can’t, or I Won’t Love You When
You’re Rich (1985), Animal (Loco)motion and (Dis)placements (1988), A Simple Case of Vision (1991), Passage to Utopia. Trilogy
(1985-1993), Scale (1995)
69
PROPOSTE VIDEO
ELENA BERNARDI
SUDORE
L’estate di un gruppo di giovani veneti tra senso di libertà e idiotismo, intimità e canzoni mentre dal tavolo di un
bar un gruppo di “comari” fanno loro da contrappunto.
BIOGRAFIA
Dopo la laurea in Scienze Politiche all’università di
Padova, Elena Bernardi ha perfezionato gli studi artistici
in California dove attualmente risiede lavorando come
allestitrice di set cinematografici e presso il gruppo teatrale Zoo District. Negli Stati Uniti ha scritto, diretto e
prodotto tre pièce teatrali.
It’s summer for a group of young inhabitants of Veneto, a time
of freedom and idiocy, intimacy and song, while a group of gossiping women sitting around a table in a bar present a counterpoint to their lives.
BIOGRAPHY
After graduating in Political Science at the University of
Padua, Elena Bernardi completed her artistic studies in
California, where she currently resides and works as a stage
manager on film sets and for the Zoo District theatre group. She
has written, directed and produced three theatrical pieces in the
U.S.
fotografia/photography: Elena Bernardi
montaggio/editing: Elena Bernardi
durata/running time: 47’
origine/country: Italia 2001
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Sudore (2001)
70
CANDILLA
Inquisita e sola
come una Giovanna d’Arco postmoderna e metallica,
Candilla scandisce
il suo monologo:
un delirio che contiene passato, presente e futuro.
Condannata a una
autodevastazione
che la porterà letteralmente a svanire,
risorgerà, un solo
momento, donna.
BIOGRAFIA
Francesco Dominedò è un
attore. Ha recitato in numerose produzioni cinematografiche e televisive.
Inquisitive and alone
like a post-modern
and metallic Joan of
Arc, Candilla delivers her monologue: a
delirium of the past,
present and future.
Condemned to a selfdestruction that will
make her literally
disappear, she will be
resurrected, for just
one moment, as a
woman.
Betacam SP
sceneggiatura/screenplay: Francesco Dominedò
fotografia/photography: Joseph Arena
montaggio/editing: Consuelo Catucci
suono/sound: Consuelo Catucci
scenografia/art direction: Francesco Dominedò
interpreti/carachter: Mithrea
voce/voice: Mia Benedetta
produzione/production: XgonzoCrudox, Orange s.n.c.
durata/running time: 4’17’’
origine/country: Italia 2001
NUOVE PROPOSTE VIDEO
FRANCESCO DOMINEDÒ
BIOGRAPHY
Francesco Dominedò is an actor
who has performed in numerous
films and television productions.
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
S.C.T.M.V. (Sono come tu mi vuoi) (1999), Candilla (2001)
71
PROPOSTE VIDEO
WALTER FASANO
FINALE
Ultimo episodio di una trilogia (D-Non puoi credere a tutto
ciò che vedi; Tre Anni), ultime
immagini di una storia privata. Aperte verso il finale.
The last episode in a trilogy (DNon puoi credere a tutto ciò
che vedi; Tre Anni), the last
images of a private story that
open up towards the end.
BIOGRAFIA
Walter Fasano (Bari, 1974).
Deejay radiofonico. Lavora
come montatore per Tonino
De Bernardi, Luca Guadagnino, Theo Eshetu, Asia
Argento, Beniamino Catena.
Vive a Roma.
BIOGRAPHY
Walter Fasano was born in Bari
in 1974. He is a radio DJ and
has worked as an editor for
Tonino De Bernardi, Luca
Guadagnino, Theo Eshetu, Asia
Argento and Beniamino Catena.
He lives in Rome.
Betacam SP
fotografia/photography: Walter Fasano
montaggio/editing: Walter Fasano
musica/music: Nathalie Tanner
produzione/production: Ibrahim Deep e Alberto Lucci per
presentazioni Dalnegro
durata/running time: 3’30’’
origine/country: Italia 2000
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Anime (1991), Devotion (1995), Edmondo (1997), Dialoghi con Edmondo (1998), D-Non puoi credere a tutto ciò che vedi (2000),
Film Americano - Trailer (2000), Tre anni (2000), Touch (2000), Finale (2000), Quiet Boy (2001)
72
QUIET BOY
(t.l. Ragazzo tranquillo)
C’è una certa
inclinazione della
luce, nei pomeriggi estivi, che libera e opprime:
peso leggero di
un soffio di vento.
Lieve ferita che
lascia un segno,
sospirosa gioia
osservata
dal
cielo. (Ludovica
Fanti)
During summer
afternoons the light
has a certain tendency towards liberation and oppression: the effortless
weight of a gust of
wind; a slight
wound that leaves a
mark; plaintive joy
as seen from the
heavens. (Ludovica
Fanti)
NUOVE PROPOSTE VIDEO
WALTER FASANO
Betacam SP
fotografia/photography: Walter Fasano
montaggio/editing: Walter Fasano
musica/music: Nathalie Tanner
produzione/production: Milo Morris per presentazioni dalnegro
durata/running time: 4’
origine/country: Italia 2001
73
PROPOSTE VIDEO
EDGAR HONETSCHLÄGER
COLORS
(t.l. Colori)
“Nel corso degli ultimi otto
anni mi sono divertito a
osservare la mia formazione
culturale da lontano, da
parti del mondo dove il
Cristianesimo non ha mai
messo piede e Sigmund
Freud non è mai diventato
un fattore di importanza
vitale. Colors è un’archeologia dei dogmi eurocentrici in
cui ‘outsiders’ della cultura e
della religione riflettono su
quello che non considerano
loro proprietà e che non
hanno assorbito dalla loro
prima infanzia.” (Edgar
Honetschläger)
“Over the course of the last eight
years I enjoyed viewing my own
cultural background from a distance, from a part of the world,
where Christianity never gained
a foothold and Sigmund Freud
never became a factor of importance. Colors is an archeology of
eurocentristic dogmas, in which
cultural/religious
‘outsiders’
reflect upon what they don’t call
their own and which they have
not imbibed from their earliest
infancy.” (Edgar Honetschläger)
Digi beta
sceneggiatura/screenplay: Edgar Honetschläger
fotografia/photography: Edgar Honetschläger
montaggio/editing: Karina Ressler (The History of Chocolate),
Thomas Woschitz (Masaccio), Petra Zöpnek (In Times of
Emergency)
interpreti/cast: Leo Ryo Kogai, Yukika Kudo, Serge Pinkus,
Thomas Angus
produzione/production: Edgar Honetschläger, Gabriele
Kranzelbinder
durata/running time: 33’
origine/country: Austria 2000
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Edgar Honetschläger è un artista e filmmaker austriaco. Tra suoi lavori: Sequences (1992), Gadgets (1994), 97 - (13+1) (1997)
Milk (1998), L+R (1999), Colors (2000), Das Bad in Tokyo (2000)
74
HOMO ERECTUS
Un’ambiziosa parabola risolta come una coreografia che
parte da una regione ancestrale dell’inconscio, anteriore
quasi alla vita stessa, per confutare la tragicità di una guerra e i suoi inganni.
An ambitious parable developed
like a choreographed dance that
stems from an ancestral region
of the unconscious, even before
life itself, to refute the tragic elements of war and its chicanery.
NUOVE PROPOSTE VIDEO
EMA KUGLER
BIOGRAPHY
Ema Kugler’s work, which has
received widespread acclaim, is
divided between video films,
installations and performance
art.
BIOGRAFIA
L’attività di Ema Kugler è
divisa fra la realizzazione di
video-film, installazioni e
performance per le quali ha
ottenuto numerosi riconoscimenti.
Betacam SP
sceneggiatura/screenplay: Ema Kugler
fotografia/photography: Izidor Fariã
montaggio/editing: Ema Kugler
interpreti/cast: Natasa Matjasec, Blaz Bertoncelj, Demeter
Bitenc, Branko Miklavc, Tanja Zgonc
suono/sound: Aldo Kumar
musica/music: George Crumb
costumi/costumes: Ema Kugler
produzione/production: ZANK
durata/running time: 44’
origine/country: Slovenia 2000
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Hydra (1993), The Visitor (1995), Taiga (1996), Station 25 (1997), Menhir (1999), Homo Erectus (2000)
75
PROPOSTE VIDEO
MAURO SANTINI
DI RITORNO
Improvviso, il ricordo di una
casa, abitata per un mese,
un’estate… La voglia di partire, di ritrovare i luoghi, il
viaggio di ritorno su un
treno. Notte, volti aldilà del
vetro. E infine la casa, un
passato che non si può più
afferrare se non nel ricordo
di un dondolio, di una voce,
di una finestra vuota.
Suddenly, the memory of a
house, lived in for one month,
one summer… The desire to
leave, to find those places once
again, the train trip back.
Nights, faces beyond the window. And finally the house: a
past that cannot be grasped
anymore other than in the memory of a swing, a voice, an
empty window
BIOGRAFIA
Mario Santini è nato a Fano
nel 1965.
BIOGRAPHY
Mario Santini was born in Fano
in 1965.
Betacam SP
sceneggiatura/screenplay: Mauro Santini
fotografia/photography (col.): Mauro Santini
montaggio/editing: Mauro Santini
musica/music: Mario Mariani
suono/sound: Mario Mariani
voce/voice: Mauro Santini
produzione/production: Mauro Santini
durata/running time: 12’
origine/country: Italia 2001
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
H (1991), Carie (1992), Come sei calzini a bagno in un catino di plastica rosa (1992), Come un dio americano (1992), Lorelai (1994),
Lavorare stanca (co-regia: Fabrizio Bartolucci, 1996), Dove sono stato (2000), Di ritorno (2001)
76
D.D.T. / ABDUCTED 187 REMIX
Come attraverso la visione
angusta di una telecamera
fissa che sorveglia un angolo
qualsiasi di Little Italy, si
apre la vita di una umanità
che nella sua ritmica semplicità è una scacchiera di cromatismi simile alle composizioni che il jazz ha ispirato a
Piet Mondrian.
Humanity is revealed through
the narrow window of a stationary video camera that monitors
a random corner of Little Italy,
and in its rhythmic simplicity is
a checkerboard of chromaticisms
similar to the jazz compositions
that inspired Piet Mondrian.
NUOVE PROPOSTE VIDEO
CAROLA SPADONI
BIOGRAPHY
Carola Spadoni was born in
BIOGRAFIA
Rome in 1969 and has been
Carola Spadoni (Roma,
dividing her time between
1969). Da oltre dieci anni
Rome and New York for over
divide vita e professione tra
ten years. She studied film in
New York e Roma. Negli
the U.S., at Brooklyn College,
Dvideo, Betacam SP
Stati Uniti ha studiato cineand began working there as an
fotografia/photography: Carola Spadoni
ma al Brooklyn College e ha
assistant camera operator on
computer work: Carola Spadoni
iniziato ha lavorare come
numerous independent producmontaggio/editing: Alessandro Cerquetti
assistente operatrice in
tions. She has directed several
musica/music: DJ Soul Slinger, Abducted 187 remix
numerose produzioni indifilms and her first feature film,
produzione/production: Open Cine Roma
pendenti. Ha realizzato
Giravolte, is currently in postdurata/running time: 3’
diversi film come regista e
production. She has written for
origine/country: Italia 1999
attualmente sta lavorando
the daily newspaper “il manialla post-produzione del suo
festo” and was one of the
primo lungometraggio in pellicola, Giravolte. Ha collabofounders of the Open Cine, an organisation that screens clasrato con il quotidiano “il manifesto” ed è stata una delle
sic films in New York.
fondatrici di Open Cine, organizzazione per la proiezione dei classici della cinematografia italiana a New York.
(VIDEO)FILMOGRAFIA/(VIDEO)FILMOGRAPHY
Video: Al confine tra il Missouri e la Garbatella - Freddy - Victor Blind Date (1997), Se il tuo occhi dà scandalo, cavalo (1997),
Arthur Penn: the work (doc., 2001), DREDD: A drag king (reportage, 1997), Love-Life (video musicale, 1992).
In pellicola: Make Believe a Conin (1992), Smileshyslide (1992), On the Way… by Night (1993), Tadpole’s Human Delusion
(1993), Untitled (1995), Rolling (1996), Neighbors (1996), D.D.T. (1999), Symphonies of Memories (2001)
77
PROPOSTE VIDEO
CAROLA SPADONI
SYMPHONIES OF MEMORIES
(t.l. Sinfonie di memorie)
Manhattan e la cinta periferica con i suoi anonimi personaggi notturni, la giostra di
infiniti e minuscoli bagliori,
la forza di recitare per resistere dentro un mondo paradossale, diventano il regno
di una memoria che corre
lontana.
Manhattan and its outlying
areas with its nocturnal characters, the merry-go-round of tiny,
infinite flashes of light, the
strength to act in order to last in
a paradoxical world: all these
elements become the realm of a
memory that goes back a long,
long way.
Betacam SP
fotografia/photography: Carola Spadoni, Alfonsine Flower
montaggio/editing: Cecilia Pagliarani
effetti/digital effects: Alfonso Florio
produzione/production: Freddy Specs per Podestal Gain
Production
durata/running time: 3’36’’
origine/country: USA 2001
78
SLIVERS
(t.l. Schegge)
La giornata di un gruppo di bambini moscoviti segnati
dalla povertà e dall’abbandono. Nelle piazze e nei giardini una folla fa da sfondo anonimo e sfuggente ai loro giochi, alla loro fame, alla loro violenza
A day in the life of a group of poverty-stricken and abandoned
Muscovite children. An anonymous and passing crowd creates
the background to their games, hunger and violence in various
squares and parks.
BIOGRAFIA
Laureata in Giornalismo all’università di Mosca, Svetlana
Stasenko ha studiato sceneggiatura e regia. Attualmente
lavora presso uno studio televisivo.
BIOGRAPHY
Svetlana Stasenko graduated in Journalism at the University of
Moscow and studied screenwriting and directing. She currently works for a television studio.
NUOVE PROPOSTE VIDEO
SVETLANA STASENKO
Betacam SP
sceneggiatura/screenplay: Svetlana Stasenko
fotografia/photography: Vladimir Bashta, Vladimir Fastenko
montaggio/editing: Svetlana Stasenko, Evgeny Smirnoff,
Alexander Froloff
suono/sound: Evgeny Smirnoff, Svetlana Stasenko
produzione/production: Arnold Giskin
durata/running time: 13’
origine/country: Russia 2000
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Radetel (1988), Zazoff (1988), Parabola (1992), Rolling Poet (1997), “There Is No Need to Take Pity on Us” (1998), The Space
Pilgrim (2000), Alexander F. Sklyar. The Song (2000), Slivers (2000)
79
PROPOSTE VIDEO
KRISTIINA SZABO
DRAGONFLY
(t.l. Volo del drago)
Un videopoema. La storia favolosa dell’amicizia tra un
dragone divenuto uomo e un uomo divenuto fragile.
Consapevoli di non essere in ogni luogo a casa, dissolveranno nell’acqua la loro comune sventura. Tragicamente.
A questa vicenda si interseca il flusso emotivo di una
donna che ha visto perdere il suo unico amore
BIOGRAFIA
Kristiina Szabo è una giovane artista canadese. Pittrice,
ha realizzato video musicali e installazioni dichiarando
caparbiamente la sua volontà ad applicare la stessa energia espressiva, fatta di verità e sentimento, in ognuna di
queste manifestazioni.
A video poem. The fabled story of a friendship between a dragon that becomes a man and a man who becomes fragile. Aware
of not feeling at home anywhere, they will dissolve their common misfortune in the water. Tragically. The emotional flux of
a woman who has lost her only love crosses their path.
BIOGRAPHY
Kristiina Szabo is a young Canadian artist. A painter, she has
made music videos and installations, wilfully declaring her
desire to apply the same expressive energy, composed of truth
and sentiment, in all of these areas.
Betacam SP
sceneggiatura/screenplay: Kristiina Szabo
fotografia/photography: Sami Hajjar
montaggio/editing: Chad Petherick
suono/sound: Victor Szabo
musica/music: Victor Szabo
interpreti/cast: Jeremy Munce, Gabrielle Gillespie
voce/voice: Allan Lee
produzione/production: Mindcircus Production
durata/running time: 9’40’’
origine/country: Canada 2000
VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY
Dragonfly (2000)
80
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
ROJI-E / INTO THE ALLEY
(t.l. Nel vicolo)
Una docu-fiction sperimentale,
Experimental,
fictionalised
romanzata, sullo scrittore giapdocumentary
about
the
ponese Nakagami Kenji, morto
Japanese writer Nakagami
giovane nel 1992. Nakagami è
Kenji, who died young in 1992.
stato il cronista della città mariNakagami was the chronicler of
na di Shingu. Molte storie racthe seaside town of Shingu.
contate da Nakagami sono
Many of Nakagami’s stories
ambientate in un particolare
are set in a specific alley in
vicolo di Shingu. Un vicolo
Shingu, an alley that is now
ormai scomparso, ma che congone, but that lives on in the
tinua a vivere nella narrativa di
fiction of Nakagami. And also
Nakagami. E anche sulla celluon celluloid, because the writer
loide, perché lo scrittore ha filfilmed the alley before its demmato il vicolo prima che venisolition. In the film by Aoyama
se demolito. Nel film di
Shinji, the film-maker Izuchi
Aoyama Shinji, il cineasta
Kisshu goes in search of what
sceneggiatura/screenplay: Aoyama Shinji
Izuchi Kisshu va alla ricerca di
is left of Nakagami’s alley. The
fotografia/photography (35mm, col.): Tamura Masaki
ciò che resta del vicolo di
specific mood of the small harmontaggio/editing: Yamamoto Ako
Nakagami. Tuttavia l’atmosfebour town however turns out
musica/music: Sakamoto Ryuichi, Ohtomo Yodhihide
ra peculiare della cittadina porto be difficult to find. In the
suono/sound: Kikuchi Noboyuki
tuale si rivela difficile da rinfilm, the film-maker reads the
interpreti/cast: Izuchi Kishu
tracciare. Nel film, il regista
books of Nakagami out loud for
produzione/production: Michio Koshikawa, Sato Kimiyoshi
legge ad alta voce per noi i libri
us at the locations where they
per Slow Learner, Brandish
di Nakagami nei luoghi in cui
are set, but is difficult to
distribuzione/distributed by: Slow Learner, Brandish (Slow
sono ambientati, ma è difficile
inwoke the magic. Time and
Learner, Tokyo; tel.: +813 37703717; fax: +813 37703718)
durata/running time: 64’
evocarne la magia. Di tanto in
again, film-maker Aoyama
origine/country: Giappone 2000
tanto, il regista Aoyama torna
returns to the film images
alle immagini girate da
made by Nakagami, while the
Nakagami, mentre il cineasta del film sembra cercare invano
filmmaker in the film seems to search in vain in the present.
nel presente.
BIOGRAPHY
BIOGRAFIA
Aoyama Shinji (Kyushu, 1965) made his first 8mm film while
still a student at Rikyo University, where he was profoundly
Aoyama Shinji (Kyushu, 1965) fece i suoi primi film in 8mm
influenced by his classes with film critic Hasumi Shigehiko. He
mentre era studente all’università di Rikyo, dove fu profondabegan his film career as an assistant art director, then became
mente influenzato dai corsi del critico cinematografico
assistant director to Kurosawa Kiyoshi, Fridrik Thor
Hasumi Shigehiko. Nell’industria cinematografica iniziò come
Fridriksson, Daniel Schmid e Rijiu Go, among others. As a
assistente scenografo, per poi diventare assistente alla regia
critic, he contributes to several magazines, including “Le
con, tra gli altri, Kurosawa Kiyoshi, Fridrik Thor Fridriksson,
Cahiers du Cinéma Japon” and “Esquire Japan”.
Daniel Schmid e Rijiu Go. Collabora come critico a varie riviste (“Le Cahiers du Cinéma Japon”, “Esquire Japan”).
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
AOYAMA SHINJI
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Hima tsubushi no onna (Time Killing Woman) (1988, Super8), Yoru made hitotabi (One Trip Til Night) (1989, Super8), Akai
Muffler (The Red Muffler) (1991, Super8), Kyokasho ni nai! (It's Not in the Textbook!) (1995), Waga mune ni kyoki ari
(There's a Gun in My Chest/A Weapon in My Heart/The Cop, the Bitch and the Killer) (1995), Helpless (1995-96), Chinpira
(Two Punks) (1996), Wild Life (1997), Tsumetai chi (An Obsession) (1997), Shady Grove (1998-99), EM/Embalming (1999),
June 12, 1998 - At the Edge of Chaos (2000, mm, Beta SP), Eureka (2000), Roji-e: Nakagami Kenji no nokoshita Film (Into the
Alley) (2000, mm), Desert Moon (2001)
83
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
GO TAKAMINE
TSURU-HENRY
Tsuru Shimabukuru è una
cantante folk a Okinawa. Un
giorno le capita di trovare
una sceneggiatura dello scrittore Mekaru. Decide di riportargliela, e sulla strada incontra strani personaggi come il
suo vicino zio Coser e il pittore Yamagushiku. Nel frattempo Mekaru ha perso tutti i
suoi soldi nelle slot machines
e si è immerso nello studio
delle formiche. Quando la
cantante arriva a casa sua, lui
è partito per Taiwan per cercare una donna. Tsuru decide
di rimanere nell’appartamento con suo figlio Henry e filmare la sceneggiatura di
Mekaru. Mentre realizzano il
film, il figlio Henry non
distingue più tra realtà e finzione.
Video, col.
sceneggiatura/screenplay: Go Takamine, Isao Nakazato
montaggio/editing: Kunihiko Ukai
musica/music: Koji Ueno
scenografia/art direction: Manabu Muragishi
interpreti/cast: Misako Oshiro, Katsuma Miyagi, Miezo
Toma, Susumu Taira, Chusin Oyadomari, Chen Shaing Chyi
produzione/production: Go Takamine
distribuzione/distributed by: Go Takamine
durata/running time: 85’
origine/country: Giappone 1998
Un film realistico girato in
digital video che, come molti
lavori di Go Takamine, è
ambientato sull’isola di Okinawa. Lavora con attori locali e musicisti che parlano nella loro lingua e cantano. Con
l’aiuto delle moderne attrezzature leggere, è stato possibile realizzare il film col realismo di un documentario.
Questa tecnica, insieme all’impegno della gente di
Okinawa, ha consentito di realizzare il film con un budget ridotto.
BIOGRAFIA
Go Takamine (Okinawa, 1948) iniziò a fare film mentre
studiava alla scuola d’arte di Kyoto. Il suo primo lungometraggio fu proiettato al Festival di Berlino. Untamagiru,
il suo secondo lungometraggio, vinse il Premio Caligari a
Berlino nel 1989.
Protagonist Tsuru Shimabukuru
is a folk singer on Okinawa, who
one day happens to find the film
script Love’s Love by the writer
Mekaru. She decides to give it
back to him. On her way to see
Mekaru she meets strange people
like Uncle Coser, her neighbour
and the painter Yamagushiku. In
the meantime, Mekaru has lost all
his money on one-armed bandits
and has engrossed himself in
studying ants. When the singer
reaches his home, he has left for
Taiwan to look for a woman.
Tsuru decides to stay in the apartment with her son Henry and to
film the script she founds. As they
are making the film, the son
Henry loses touch with the difference between fiction and fact.
A realistic feature shot on digital video that, like much of the
work of Go Takamine, is set on
the island of Okinawa. He
works with local actors and
musicians who speak their own language and sing. With the
aid of light modern equipment, it was possible to make the film
with the realism of a documentary. This technique, combined
with the dedication of the people of Okinawa, made a high
budget unnecessary.
BIOGRAPHY
Go Takamine (Okinawa, 1948) started making films when he
was studying at art school in Kyoto. His first feature was
screened at the Berlin Festival. Untamagiru, his second feature, won the Caligari Award in 1989 in Berlin.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Okinawan chirudai (1979), Paradaisu byû (1985), Untamagiru (1989), Ryûkyû Mugen/Tsuru-Henry (1998)
84
NIJUSEIKI NOSTALGIA
TWENTIETH-CENTURY NOSTALGIA
(t.l. Nostalgia del XX Secolo)
“A dir la verità, sono un’aliena”, dice Toru ad Anzu in un
giorno d’estate. Lei frequenta l’ultimo anno di liceo,
nella stessa scuola di Toru.
Questi le dice che il suo
corpo è stato preso in prestito da un alieno di nome
Chunse, venuto sulla terra
per indagare sul suo processo di distruzione. Stupita da
questa confessione, si ritrova
attratta dal misterioso personaggio e decide di prestare il
proprio corpo a un altro alieno di nome Pouse. Anzu
comincia a girare un film
insieme a Toru. Il tema è:
“Terrestri verso la distruzione”. Durante le riprese i due
scoprono di provare un sentimento speciale l’uno per
l’altra.
35mm, col.
sceneggiatura/screenplay: Hara Masato, Nakajima Goro
musica/music: Hara Masato
interpreti/cast: Hirosue Ryoko, Marushima Tsutomu
produzione/production: Daiei Co. Ltd.
distribuzione/distributed by: Daiei Co. Ltd. (Tokuma,
Tokyo; tel.: +813 35738716; fax: +813 35738720)
durata/running time: 93’
origine/country: Giappone 1997
Il Giappone ha la più alta
percentuale di cantanti pop
per metro quadro sulla terra, e la canzone di J-Pop che fa
da colonna sonora a un film spesso ha un impatto significativo sugli incassi, ma è davvero raro in un film giapponese vedere qualcuno mettersi di colpo a cantare, se non
su un palco, o in un locale di karaoke, o in altri contesti
«appropriati». Di qui la mia sorpresa nel vedere l’eroina
adolescente di Nijuseiki Nostalgia, di Hara Masato, interpretata dal superidolo Hirosue Ryoko, mettersi a ballare
spontaneamente e canticchiare spensieratamente davanti
ai fondali postmoderni e alla moda della Baia di Tokyo.
Ma l’effetto si avvicina di più ai film musicali della
Bollywood indiana che alla Hollywood che ha prodotto
Singin’ in the Rain. Il film, comunque, è la somma dei suoi
spumeggianti interludi musicali. Personalità di spicco del
cinema indipendente giapponese per quasi tre decenni,
Hara ha creato, nel suo a lungo rimandato debutto cinematografico, un peana sull’amore giovanile che è a un
tempo irreparabilmente stucchevole e intrigantemente
penetrante. A differenza che nella maggior parte dei film
giapponesi sull’adolescenza moderna, c’è qui la consapevolezza che mentre il passaggio dall’innocenza dell’infanzia alla sessualità adulta è accidentato come sempre,
“To tell the truth, I am an
alien”, said Toru to Anzu one
summer day. She was a senior
high student, going to the
same school as Toru. Toru told
her that he had his body borrowed by an alien named
Chunse, who came over to the
earth to investigate the process
oh its destruction. Amazed at
his confesion, she found herself
attracted to his mysterious
character. She decided to have
her body lent to another alien
named Pouse. Anzu began to
make a film with Toru. The
subject was: “Earthlings
Toward Destruction”. While
shooting, a special feeling
grows between them.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
HARA MASATO
Japan has the highest persquare-meter ratio of pop
singers on earth and a film’s JPop theme song often has a
significant impact on its box
office, but it’s rare indeed to see anyone in a Japanese movie
bursting into song anywhere but on a stage, in a karaoke
club, or in other “proper” settings. Thus my surprise at
seeing the teenage heroine of Hara Masato’s Nijuseiki
Nostalgia, played by superidol Hirosue Ryoko, dance artlessly and trill ingenuously against trendy post-modern
backdrops in Tokyo Bay. But the effect was closer to India’s
tuneful Bollywood flicks than the Hollywood that produced
Singin’ in the Rain. The film, however, is more than the
sum of its frothy musical interludes. A prominent figure in
Japan’s independent film scene for nearly three decades,
Hara has created, in his long-delayed feature debut, a
paean to young love that is at once irredeemably twee and
intriguingly acurte. More than most Japanese films about
modern adolescence, it is aware that while the transition
from childhood innocence to adult sexuality is as bumpy as
ever, teens raised in this media-saturated society can experience it at one remowe, as though it were a video whose
images they can endlessly manipulate. (Mark Schilling,
Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull
1999, p. 279)
85
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
gli adolescenti cresciuti in una società saturata dai media
possono farne esperienza col telecomando, come se si
trattasse di un video le cui immagini possono manipolare all’infinito. (Mark Schilling, Contemporary Japanese Film,
Weatherhill, Trumbull 1999, p. 279)
BIOGRAFIA
Hara Masato (1950) mentre era studente produsse il film
in 16mm A Sad Yet Funny Ballad. Nel 1970 sceneggiò il
film di Oshima The Man who Left his Will in Film, e nel
1973 completò, dopo tre anni di lavoro, The First Emperor.
Alla fine degli anni ’70 iniziò a scrivere e dirigere video e
lavori didattici e, a partire dagli anni ’80, si concentrò sui
documentari per la televisione.
BIOGRAPHY
Hara Masato (1950) as a high school student produced the
16mm film A Sad Yet Funny Ballad. He scripted Oshima
Nagisa’s film The Man who Left his Will in Film in 1970,
and in 1973, after three years of work he completed The First
Emperor. In the late 1970’s he began writing and directing
videos, educational works and PR films, and beginning in the
1980’s, added a focus on documentaries for television
FILMOGRAFIA (SELEZIONE)/FILMOGRAPHY (SELECTION)
Okashisa ni irodorareta kanasimi no barado (A Sad Yet Funny Ballad, 1968, 16mm), Sogetsu (1968, 16mm), Hatsukuni shirasumera mikoto (The First Emperor, 1973, 16mm), Hatsukuni shirasumera mikoto - Refrain (The First Emperor - Refrain, 1975, 16mm),
Hatsukuni shirasumera mikoto - Again (The First Emperor - Again, 1980, 16mm), Ningen zero sai no shuhen (1982), Hyakudai no
kakyaku (1993), Hatsukuni shirasumera mikoto - 1994 nenban (The First Emperor - edizione 1994, 16mm), Nijuseiki nostalgia
(Twentieth-Century Nostalgia, 1997), Road Movie - Ie no natsu (Never Ending Summer, 1997, 16mm, 8mm, video)
86
DISTANCE
(t.l. Distanza)
Giappone, pochi anni fa. I membri di una setta religiosa millenarista avvelenano oltre cento cittadini innocenti, intossicandone
ancora di più, all’interno di una
strategia di annientamento apocalittico che provoca rassegnati
suicidi, omicidi d’avvertimento e
fughe precipitose. Anni dopo
alcuni protagonisti della storia,
giovani parenti e amici degli
assassini o dei carnefici, raggiungono la disagevole sede del
Tempio della Verità e cercano di
ricostruire, tra indizi e memoria,
quella drammatica vicenda,
anche perché intrappolati da un
misterioso incidente che li
costringe all’isolamento forzato.
sceneggiatura/screenplay: Kore-eda Hirokazu
fotografia/photography (35mm, col.): Yamazaki Yutaka
montaggio/editing: Kore-eda Hirokazu
scenografia/art direction: Isomi Toshihiro
interpreti/cast: Iseya Yusuke, Asano Tadanobu, Natsukawa
Yui, Arata, Terajima Susumu
produzione/production: Distance Project Team, Tv Man Union
distribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont
d’Urville 47, 75016 Paris, France; tel.: 01 71.76.11.20; fax:
01 71.76.11.24; e-mail: [email protected])
durata/running time: 132’
origine/country: Giappone 2001
Un thriller in forma di puzzle, ma come potrebbe visualizzarlo un Tarkovskij meno
angosciato o un RobbeGrillet meno estetizzante, se
avessero avuto entrambi l’esattezza formale di Robert
Bresson o lo humor di
Kie¢lowski. Senza sviluppo,
psicologie, scene madri, snodi o climax. Eppure il film si
alimenta di una strana suspense. Dobbiamo, infatti,
immaginare noi cosa successe tre anni fa tra quelle lontane, umide colline verde-nero, di fronte a un conturbante
lago algido, striato da ombre di indizi, flashback, lunghi
silenzi e canti d’invisibili uccelli. Perché si organizza,
senza progetto, quella gita alla Blair Witch Project? Perché
c’è un abisso spaventoso oggi tra giovane e vecchia generazione, uomini e donne, aristocratici valori e razza pagana col cellulare? Perché il cinema giapponese ha crescenti pulsioni anti-urbane, una voglia matta di campagna,
verde e aria pulita? Insomma, un thriller, ma a distanza.
(Roberto Silvestri, “il manifesto”, 11 maggio 2001)
BIOGRAFIA
Kore-eda Hirokazu (Tokyo, 1962), laureatosi all’università di Waseda, ha iniziato a lavorare per la compagnia TV
Man Union, per la quale ha realizzato numerosi documentari.
Japan, a few years ago. The
members of a millenial religious sect kill over 100 innocent citizens, and poison even
more, as part of a apocalyptic
destruction that brings about
mass suicides, warning murders and precipitous flights.
Years later, some of the young
friends and relatives of the
murderers and torturers
arrive at the out-of-the-way
Temple of Truth and, using
clues and their memory, try to
reconstruct that dramatic
event; also because they are
trapped in a mysterious circumstances that physically
force them into isolation.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
KORE-EDA HIROKAZU
A thriller in the form of a puzzle, which a less anguished
Tarkovskij or a less aesthetically-minded Robbe-Grillet could
make, if they had the Robert
Bresson’s formal exactitude or
Kie¢lowski’s humor; without
development, psychological
analysis, crucial scenes, connecting scenes or a climax. And yet the film is fuelled by a
strange kind of suspense. In fact, we have to imagine what
happened three years ago, in those distant, humid blackgreen hills by that disquieting icy lake, filled with shadowy
clues, flashbacks, long silences and the singing of invisible
birds. Why is that Blair Witch Project-like trip, which has
no real plan to it, organised? Why is there a frightening
abyss today between the young and old generations, men and
women, aristocratic values and the pagan race with their cell
phones? Why does Japan cinema have growing anti-urban
impulses? Does it come from a crazed desire for the countryside, green landscapes, clean air? Essentially, the film is a
thriller, but at a distance. (Roberto Silvestri, “il manifesto”,
11th May 2001)
BIOGRAPHY
Kore-eda Hirokazu (Tokyo, 1962) after graduating from
Waseda University, joined TV Man Unity company and made
several documentaries for them.
87
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Shikashi... fukushi kirisute no jidai ni (However) (1991, mm, video), Mo hitotsu no kyoku - Ina shogakko haru gumi no kiroku
(Lessons from a Calf) (1991, mm, video), Nihonjin ni naritakatta (I just Wanted to be Japanese) (1992, mm, video), Shinshu
Sketch - Sorezono Miyazawa Kenji (1993), Eiga ga jidai o utsusutoki - Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993, mm, video),
Kare no inai hachigatsu-ga - Aids o seigen shita Hirata Yutaka ninenkan no seikatsu kiroku (August without Him) (1994,
video), Maboroshi no hikari (Maborosi) (1995), Utsushiyo (This World) (co-regia: Kawase Naomi, 1996, cm, Super8),
Kioku-ga ushenawareta-toki (Without Memory) (1997, video), Wonderful Live (After Life) (1998), Distance (2001)
88
SORA NO ANA / HOLE IN THE SKY
(t.l. Buco nel cielo)
Hokkaido. Kinoshita
Ichio è un trentacinquenne
di
buon
cuore, single, che
gestisce con l’eccentrico padre un piccolo
ristoro sul margine
della strada chiamato
“Buco nel cielo”.
Qualche volta passano pochi camionisti o
viaggiatori. Ichio sta
tutti i giorni dietro i
fornelli senza particolare piacere. Si sente
solo. Un giorno, arriva al ristorante una ragazza.
Quando cerca di andarsene
senza pagare, Ichio la ferma.
Viene fuori che la ragazza è
stata abbandonata dall’amante. Ichio le offre alloggio e
lavoro. La loro vita insieme
sembra durare per sempre,
ma forse Ichio è un po’ troppo romantico.
sceneggiatura/screenplay: Kumakiri Kazuyoshi
fotografia/photography (35mm, col.): Ashimoto Kiyoaki
musica/music: Mastumoto Akira
suono/sound: Yoshida Noriyoshi
scenografia/art direction: Nishimura Toru
interpreti/cast: Terajimi Susumu, Kikuchi Yuriko,
Tobayama Bunmei, Sawada Syunsuke, Gondo Syunsuke
produzione/production: PIA Film Festival, Morimoto
Hidetoshi, Amano Mayumi, Nakamura Kazuki
distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA
Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075
Tokyo; tel.: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659)
durata/running time: 127’
origine/country: Giappone 2001
“Non mi è mai venuto in
mente di applicare al mio film
il concetto o la categoria di
‘terapia’. La storia che volevo raccontare era quella di un
uomo che si è completamente alienato dal proprio passato,
ma che riuscirà a fare un passo in avanti solo riconoscendo
e riappropriandosi dei suoi ricordi più dolorosi. Se questa
si può definire terapia, allora ho realizzato un film terapeutico. Quando vediamo per la prima volta Ichio, il personaggio centrale del film, si è avvolto in un manto di cinismo e si è autoconvinto che una vita di clausura nella cucina del ristorante di suo padre può rappresentare una soluzione accettabile. Ma quando conosce Taeko, i suoi sentimenti per lei gli fanno provare un senso di disperazione,
per la prima volta in tutta la sua vita. Mentre corteggia
Taeko, si ritrova a riaprire gli scatoloni con i vestiti che sua
madre si era lasciata alle spalle anni prima. Ichio aveva
sempre incolpato dell’abbandono da parte di sua madre il
padre, un uomo strambo e incapace di fare anche una sola
cosa utile. Ma grazie al nuovo rapporto con Taeko, arriva
alla dolorosa constatazione che sua madre ha abbandona-
Hokkaido. Kinoshita
Ichio is a good-hearted,
single man aged 35
who runs a small roadside diner called “Hole
in Heaven” with his
eccentric
father.
Sometimes
a
few
truckers or travellers
pass. Ichio stands
behind the stove everyday without much
pleasure. He feels lonely. One day, a girl
walks into the restaurant. She tries to leave
again without paying, but
Ichio stops her. It turns out
that the girl has been deserted
by her lover. Ichio offers her
accommodation and a job in
the restaurant. Their life
together seems to last forever,
but maybe Ichio is just a little
too romantic.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
KUMAKIRI KAZUYOSHI
“The concept of ‘therapy’
never really occurred to me,
but the story I wanted to tell
was of a man who had shut
himself off from the past, who is able to move forward only
by fully acknowledging his painful past. If that’s what you
call tharapy, then I guess I’ve made a therapeutic film.
When we meet the central character, Ichio, he’s cloaked
himself in a veneer of cynicism, having convinced himself
that being stuck cooking in his father’s roadside restaurant
is an acceptable life. But when he meets Taeko, his feelings
for her make him desperate for the first time in his life. As
he looks after Taeko, he winds up unpacking the clothes his
mother left behind years ago. Ichio had always dealt with
his mother’s departure by blaming it on his ornery, useless
father. But through his involvement with Taeko, he comes
to the painful acknowledgement that his mother had abandoned him just as much as his father.” (Linda Hoaglund,
interview with Kumakiri Kazuyoshi, Berlin’s Forum 2001
catalogue)
89
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
to lui tanto quanto ha abbandonato suo padre.” (Linda
Hoaglund, intervista con Kumakiri Kazuyoshi, catalogo
del Forum di Berlino 2001)
BIOGRAFIA
Kumakiri Kazuyoshi (Hokkaido, 1974) iniziò a fare film
durante la scuola secondaria e vinse il suo primo premio
all’età di 17 anni. Ha studiato cinema all’Art University di
Osaka, dove si è laureato con Kichiku, che vinse il secondo premio al Pia Film Festival nel 1997 e fu distribuito
con grande successo in Giappone.
BIOGRAPHY
Kumakiri Kazuyoshi (Hokkaido, 1974) started making films at
secondary school and won his first prize at the age of 17. He
studied film at Osaka Art University, where he gratuated with
Kichiku, which in 1997 won second prize at the Pia Film
Festival and was distributed in Japan with great success.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Kichiku (1997), Sora no Ana/Hole in the Sky (2001)
90
ZAWAZAWA SHIMOKITAZAWA
“Shimokitazawa”, Setagayaku, Tokyo – una cittadina da
paese delle meraviglie che
somiglia a un villaggio.
L’eroina, Yuki, è una ragazza
di vent’anni, nata e cresciuta
lì – che lavora part-time da
KARASS: clienti abituali del
locale sono Kyushiroh, presidente di “Oregonza”, e il suo
fidanzato, Tatsuya. Yoki ama
quella città, ma comincia a
dubitare della sua atmosfera
indifferente e dell’insoddisfacente rapporto con il
fidanzato. Un giorno Yuki va
a vedere Kyushiroh suonare
con Yoko, il proprietario di
KARASS. Che esperienza
emozionante! Ora si sente
incoraggiata a cambiare se
stessa. Intanto Tatsuya è
incapace di interrompere la
sua relazione con una donna
più vecchia. Eppure l’inverno sta per tornare nell’adorabile cittadina, dove troverà
tutti gli abitanti in preda alla
confusione.
sceneggiatura/screenplay: Satoh Shinsuke
fotografia/photography (35mm, col.): Tsutai Takahiro
montaggio/editing: Sanjoh Tomoo
musica/music: Shimizu Kazuo, Reichi
suono/sound: Hashimoto Yasuo
scenografia/art direction: Harada Mitsuo
interpreti/cast: Lily, Hattanda Katsunari, Nakamura
Yasushi, An Taeko, Tadano Miako, Watanabe Ken, Suzuki
Kyoka, Tanaka Rena, Tanaka Yuko
produzione/production: Pugpoint
distribuzione/distributed by: Cinema Shimokitazawa
durata/running time: 105’
origine/country: Giappone 2000
BIOGRAFIA
Ichikawa Jun (Tokyo, 1948) iniziò a collaborare con la
compagnia di produzione CF nel 1975. Dal 1981 lavora
come regista free-lance per pubblicità, prima di passare
alla regia cinematografica. Con Tokyo Lullaby ha vinto il
premio come miglior regista al festival di Montreal.
“Shimokitazawa”, Setagaya-ku,
Tokyo – a little wonderland
town like a village. The heroine,
Yuki, is a 20-year-old girl, who
was born and brought up there
– a part-timer at KARASS: a
coffee-shop whose regular customers are Kyushiroh, chairman of “Oregonza”, and her
boyfriend, Tatsuya. Yuki loves
this town, but starts feeling
doubt for its lukewarm atmosphere and her boyfriend’s
unsatisfactory
relationship.
One day, Yuki went to see
Kyushiroh’s play with Yoko, is
the KARASS’s owner. What a
touching experience! Now she
is encouraged to change herself.
Meanwhile, Tatsuya is unable
to cut off his relationship with
an older woman. Still, a winter
will come again to the loving
town with everybody’s thoughts
mingled.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
ICHIKAWA JUN
BIOGRAPHY
Ichikawa Jun (Tokyo, 1948)
joined the Production Planning
Department
of
the
CF
Production Company in 1975. In 1981 he started working as a
freelance director for Japanese commercials as well as feature
films. Tokyo Lullaby wins the prize for Best Director at
Montreal Festival.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Bu-su (1987), Kaisha Monogatari (1988), No Life King (1989), Tsugumi (1990), Goa isatsu ‘Shisei-san’ (1991), Byoin de shinu to
iu koto/Dying at the Hospital (1993), Kurepu (1993), Tokyo Kyodai (1995), Tokiwa-so no seishun/Tokiwa: The Manga Apartment
(1997), Tokyo Yakyoku/Tokyo Lullaby (1997), Tadon to Chikuwa (1998), Osaka Story (1999), Zawazawa shimokitazawa (2000)
91
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
MANDA KUNITOSHI
UNLOVED
(t.l. Non amata)
Mitsuko lavora in municipio.
Non è ansiosa di passare l’esame
di servizio civile per avanzare
nella carriera. Mitsuko ama il suo
lavoro perché le si adatta bene. Eji
è impressionato dal lavoro di
Mitsuko e le propone di unirsi a
lui nella sua impresa in rapida
espansione. Lui è divorziato da
un anno e sogna di trovare la
donna giusta. Quando Mitsuko
rifiuta la sua offerta di lavoro, le
chiede un appuntamento.
Mitsuko works at city hall. She
is not eager to take the civil service exam and advance her career.
Mitsuko likes her job because it
suits her. Eiji is impressed with
Mitsuko’s work and asks her to
join him at his rapidly expanding IT-company He is one year
divorced and dreams of finding
the right woman to be at his
side. When Mitsuko refuses his
offer of work, he asks her out on
a date.
Developing the character of
“Sviluppando il personaggio
Mitsuko with my wife, who codi Mitsuko con mia moglie,
wote the screenplay, we resolved
che ha collaborato alla scenegsceneggiatura/screenplay: Manda Kunitoshi, Manda Tamami
fotografia/photography (35mm, col.): Ashizawa Akiko
to depict an unusually strong
giatura, abbiamo scelto di
montaggio/editing: Kakesu Syuichi
character. I believe that to live
descrivere un carattere singomusica/music: Kawai Kenji
strongly means to be content
larmente forte. Credo che
suono/sound: Hosoi Masaji
with oneself without depending
vivere con forza significa essescenografia/art direction: Gunji Hideo
on the approval of others. It
re soddisfatti di se stessi,
interpreti/cast: Moriguchi Yoko Mitsuko, Nakamura Toru,
might be said that Mitsuko
senza dipendere dall’approMatusoka Shunsuke
wages war against a society
vazione degli altri. Si potrebbe
produzione/production:
Sento
Takenori,
Suncent
where competition is the ultidire che Mitsuko conduca una
Cinemaworks Production
mate human activity and
guerra con una società dove la
distribuzione/distributed by: Media Luna Entertainment
respect the ultimate goal. In
competizione è la principale
(Hochstadenstrasse 1-3, D-50674 Colonia, Germania; tel.:
casting the part, I sought an
attività e l’essere rispettati il
+49 221 139 22 22; fax: +49 221 139 22 24)
durata/running time: 117’
actress whose style and manner
principale obiettivo. Ho cercaorigine/country: Giappone 2001
gives the impression that she
to un’attrice le cui maniere
never flatters men and is at the
dessero l’impressione che non
same time a totally natural person. Indeed, her strenght bewillusingasse mai gli uomini e al tempo stesso fosse una perders the men who get to know her. Mitsuko has absolute consona totalmente naturale. In effetti, la sua forza disorienta
fidence in her own way of life; but that very confidence is the
gli uomini che la conoscono. Mitsuko è assolutamente sodreason she is regarded as unloved. (Manda Kunitoshi)
disfatta del suo stile di vita, ma è proprio per questa sicurezza che viene vista come una persona che non può essere
amata.” (Manda Kunitoshi)
BIOGRAPHY
Manda Kunitoshi (Tokyo, 1956) directed several 8mm films
BIOGRAFIA
while studying at Rikkyo University. After school, he worked
Manda Kunitoshi (Tokyo, 1956) ha diretto vari film in 8mm
as a screenwriter and assistant director for Kurosawa Kiyoshi.
mentre studiava alla Rikkyo University. Dopo la suola ha
He also directed television dramas and industrial videos and
lavorato come sceneggiatore e aiuto regista per Kurosawa
has written film criticism for journals such as the Japanese
Kiyoshi. Ha inoltre diretto sceneggiati televisivi e video
monthly “Image Forum”.
industriali, oltre a scrivere di cinema su riviste come il mensile giapponese “Image Forum”.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Yottsu Kazoero (1978, 8mm), School Sounds (1979, 8mm), Spaceship Remnant 6 (1996, mm), Unloved (2001)
92
ANNYON-KIMCHI
“Il Kimchi è un piatto coreano
“Kimchi is a traditional
tradizionale. È una specie di
Korean food. It’s a kind of pickgiardiniera. In tutti i ristoranti
les. There are a few varieties of
coreani vengono servite a ogni
Kimchi served at every meal in
pasto diverse varietà di Kimchi.
every Korean home. [...] I
[…] Sono entrato all’Accademia
entered the Japan Academy of
cinematografica giapponese e
Moving images, and I started
ho cominciato a dire a tutti che
to tell people that I was Korean.
ero coreano. In quell’ambiente
At that school, it was an intersi trattava di un argomento
esting subject, and made me
interessante, e rendeva interesseem interesting. Kind of a
sante anche me. Una condizioconvenient status. Also that
ne decisamente conveniente. Il
must have been a reaction after
fatto che lo dicessi a tutti
not telling anybody for so long.
dev’essere stato anche una
I majored in documentary filmforma di reazione, dopo che per
making. It was time to make a
fotografia/photography (video, col.): Mogi Kazuki, Matsue
tanto tempo non lo avevo mai
thesis project. I chose the subTetsuaki
accennato a nessuno. Mi sono
ject of ‘Koreans in Japan’ that I
montaggio/editing: Yoshida Hiraku, Seki Masanori
diplomato nel settore del docuhad avoided all my life. It was
musica/music: Okano Samu
mentario cinematografico. Era
the perfext time to do it. It was
produzione/production: Yoshida Hiraku, Matsue Tetsuaki
giunto il momento di presentathen or never. I would face
per Japan Academy of Moving Images
re un progetto per la tesi. Ho
myself as a ‘Korean in Japan’
distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA
scelto come soggetto ‘i coreani
anf if I liked myself, that would
Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075
in Giappone’, un tema che
be good. If I didn’t, that would
Tokyo; tel: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659)
durata/running time: 52’
avevo ignorato per tutta la mia
be that. An easygoing Korean
origine/country: Giappone 1999
vita. Era il momento ideale per
in Japan who hates Kimchi
farlo. O allora, o mai più. Avrei
with no hint of racial integrity.
guardato a me stesso come a un ‘coreano in Giappone’, e se mi
As a subject of documentary, it couldn’t be better. [...]
fossi piaciuto, bene così. Altrimenti, pazienza. Un coreano
Recently I have learnt thet ‘Annyon haseyo’ means both hello
benestante in Giappone, che odia il Kimchi e non ha alcun
and good bye. I chose the title ‘Annyon Kimchi’ for the irony
senso di integrità razziale. Come soggetto per un documentait implies to my own existence. I wonder which way it will
rio, non avrebbe potuto essere migliore. […] Recentemente ho
turn eventually... ‘Hello, Korea’, or ‘Good bye, Korea’. The
imparato che il termine ‘Annyon haseyo’ può voler dire tanto
answer will be found as my life goes on. Hope it’s a good
‘buongiorno’ quanto ‘addio’. Ho scelto il titolo ‘Annyon
one.”(Matsue Tetsuaki)
Kimchi’ per il significato ironico che getta sulla mia stessa esistenza. Mi domando come andrà a finire… se sarà
BIOGRAPHY
‘Buongiorno, Corea’ o ‘Addio, Corea’. La risposta la troverò
Matsue Tetsuaki (Tokyo, 1977) entered the Japan Academy of
man mano che la mia vita andrà avanti. E spero che sarà valiMoving Images in 1996. Annyon-Kimchi is his graduate studa.” (Matsue Tetsuaki)
dent film.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
MATSUE TETSUAKI
BIOGRAFIA
Matsue Tetsuaki (Tokyo, 1977) è entrato nel 1996 alla Japan
Academy of Moving Images. Annyon-Kimchi è il suo film di
diploma.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Annyon-Kimchi (1999, doc., mm)
93
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
MOCHIZUKI ROKURO
CHINPIRA
Osamu, del clan yakuza Tsukishima, nasconde una donna in fuga
da alcuni dei suoi confederati, ignaro che sia
Keiko, l’amante del suo
padrino. Venendo a
sapere che Tsukishima
la sta trasformando in
una drogata, decide di
aiutarla, una decisione
con conseguenze inevitabili sulle relazioni con
chiunque intorno a lui,
compresa la fidanzata
Arimi e il suo patrono
nella gang, Funamizu.
sceneggiatura/screenplay: Ishikawa Masaya, Hirayama
Kohki dal manga di Tachihara Ayumi
fotografia/photography (35mm, col.): Ishii Koichi
montaggio/editing: Yafune Yosuke
musica/music: Endo Koji
scenografia/art direction: Ito Akio
interpreti/cast: Kitamura Kazuki, Taguchi Tomorowo,
Hoshi Yoko, Miyamae Kiyori, Nagato Hiroyuki,
Takenaka Naoto, Oosugi Ren, Maro Akaji, Taka
Gadarukanaru
produzione/production: Groove Corporation, Excellent Film
distribuzione/distributed by: Groove Corporation (1F,
Myark Building, 10-16 Nihonbashi Tomizawa-cho, Chuouku, Tokyo; tel: (81-3) 36622971; fax: (81-3) 36623219)
durata/running time: 109’
origine/country: Giappone 2001
“Ho avuto molte occasioni
di fare film sui malviventi.
Non che mi piacciano i malviventi, ma non intendo
neanche trattare il tema in
modo casuale, come se fosse
‘un lavoro come un altro’.
Un film non è il luogo dove
giudicare la gente: perciò ho
sempre voluto stare dalla
parte dei perdenti. Ho girato parecchi film che avevano come protagonisti dei
perdenti, e si dà il caso che
questo sia un non molto
brillante giovanotto sulla ventina; l’unica virtù che gli
si può riconoscere è la consapevolezza delle sue debolezze. Ma questo non gli impedisce di vivere alle spalle
di altri. Kitamura Kazuki è apparso in quattro miei
film, ma è la prima volta che interpreta il ruolo principale. Kitamura è un uomo coraggioso: riesce a interpretare un personaggio tutt’altro che affidabile e renderlo
sexy.” (Mochizuki Rokuro)
BIOGRAFIA
Mochizuchi Rokuro (Tokyo, 1957) dopo un corso di sceneggiatura con Kaneko Masaru all’Image Forum, lavora
come sceneggiatore e assistente regista con Nakamura
Genji. Il suo film indipendente Skinless Night ottenne un
grande successo in numerosi festival e iniziò a consacra-
94
Osamu, of the Tsukishima
yakuza family, hides a
woman running from
some of his confederates,
unaware that she is Keiko,
the mistress of his
Godfather. Learning that
Mr. Tsukishima is turning her into a drug addict,
he decides to help her, a
decision with inevitable
conseguences for his relationship with everyone
around him including his
girlfriend Arimi and Mr.
Funamizu, his patron in
the gang.
“I have had many opportunities to make films about mobsters. It is not that I like mobsters, but neither do I intend
to be casual about it, treating
it as ‘just another job’. The
thing about film is that it is
not a venue for judging people; thus I always want to get
behind the losers. I have made
quite a nulber of films featuring losers, and this one happens o be a not-very-bright
young man still in his twenties. The only virtue he may
possess is that he is aware of his weaknesses. But that does
not stop him from living at the expense of others.
Kitamura Kazuki has been in four of my films, but this is
the first time he has played the central character. Mr.
Kitamura is blessed with courage. He can play a less-thantrustworthy character and make him sexy. (Mochizuki
Rokuro)
BIOGRAPHY
Mochizuchi Rokuro (Tokyo, 1957) began working as a
screenwriter and assistant director to Nakamura Genji
after a screenwriting class with Kaneko Masaru at the
Image Forum. His independent film Skinless Night
achieved great success at numerous festivals and established his reputation both in and outside of Japan. A spe-
cial tribute was held in his honour at the 1998 Rotterdam
Film Festival.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
re la sua reputazione dentro e fuori il Giappone. Nel
1998 gli è stato dedicato un omaggio speciale al Festival
di Rotterdam.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Honban Video: Hagu (Real Action Video: To Skin) (1985), Masturbating Girl (1985, mm), Aido ningyo: Ikasete (Love Slave Doll:
Make Me Come) (1986), Skinless Night (1990-91), Gokudo kisha (Wicked Reporter) (1993), Gokudo kisha 2 (Wicked Reporter 2 Transmigration of a pari-mutuel ticket) (1994), Debeso de Strip (Apron Stage) (1995), Shin kanashiki Hitman (Another Lonely
Hitman) (1995), Shin gokudo kisha - Niguema densetsu (Wicked Reporter 3 - The One that Got Away) (1996), Onibi (The Fire
Within) (1996), Chi no shuseki - Mukokuseki no otoko (Pinocchio - A Man Without Nationality) (1997), Koi gokudo (A Yakuza in
Love) (1997), Gokudo zange roku (Mobster's Confession) (1998), Gedo (The Outer Way) (1998), Minazuki (1999), Currency and
Blonde (2000), Chinpira (2001), Flowergod (2001)
95
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
OKUHARA HIROSHI
TIMELESS MELODY
(t.l. Melodia senza tempo)
Tamura, un accordatore di
pianoforti, viene a sapere
della morte del padre da una
lettera inviata da uno sconosciuto. Il vecchio era scomparso anni prima in un incidente in mare, ma Tamura
non l’aveva mai dato per
morto. Ora, tuttavia, non ha
scelta. Ubriaco, decide di
guidare fino a Yokohama per
occuparsi dei resti del padre,
ma l’impiegato dell’autonoleggio lo manda via. Poi un
uomo anziano e stranamente
nervoso gli offre un passaggio. Tamura accetta e si
imbarca in quello che potrebbe essere il viaggio più bizzarro della sua vita.
sceneggiatura/screenplay: Okuhara Hiroshi
fotografia/photography (35mm, col.): Fukumoto Jun
montaggio/editing: Okuhara Hiroshi, Sento Takenori
musica/music: Aoyagi Takuji
suono/sound: Nishioka Masami, Fukuda Shin
scenografia/art direction: Hayashi China
interpreti/cast: Aoyagi Takuji, Ichikawa Mikako, Kondo
Taro, Kimiko Yo, Wakamatsu Takeshi
produzione/production: Yanai Hiroshi, Kai Maki, Hayashi
Masaki, Amano Mayumi
distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA
Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075
Tokyo; tel: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659)
durata/running time: 95’
origine/country: Giappone 1999
Attualmente il minimalismo
fa furore nei film indipendenti giapponesi, e la cosa
non sorprende, giusto?
Voglio dire, non è forse tipico
della cultura tradizionale
giapponese fare di più con
meno? I giardini di pietra
zen e tutto il resto? Ma proprio come la cultura tradizionale giapponese scivola di frequente nel mero formalismo, il minimalismo cinematografico giapponese spesso
si risolve in una serie di trucchetti stilistici applicati in
modo meccanico. Niente primi piani, prego, siamo giapponesi! Nel suo primo lungometraggio, Timeless Melody,
Okuhara Hiroshi attraversa molte delle più comuni innovazioni del minimalismo, fra cui la scarsità dei tagli, le
inquadrature lunghe, i piccoli movimenti di macchina,
l’uso parco della musica, il dialogo ridotto all’osso e le
emozioni dolorosamente soffocate. Ma mentre altri registi utilizzano questi elementi per provocare una leggera
depressione, Okuhara crea un arazzo visivo ed emotivo
usando un’immagine e una trama della vita al massimo
della sua banalità e allegria. Anche se il materiale è ben
noto – un quartetto di personaggi disparati alle prese con
svolte decisive – Okuhara riesce a rinnovarlo, non grazie
a un montaggio vistoso o al lavoro della cinepresa, ma
96
A piano tuner named Tamura
learns of his father's death
from a letter posted by a
stranger. The old man went
missing in a boat accident
years ago, but Tamura never
gave him up for dead. Now,
however, he has no choice.
Drunk, he decides to drive to
Yokohama to attend to his
father's remains, but the clerk
at the rental car office turns
him away. Then a strangely
coiled older man offers him a
ride. Tamura accepts and
embarks on what may be the
oddest journey of his life.
Minimalism is all the rage
now in Japanese indie movies,
which sounds right doesn't it?
I mean, isn't traditional
Japanese culture about doing
more with less? Zen rock gardens and all that? But just as
traditional Japanese culture
often lapses into mere formalism, Japanese cinematic minimalism often declines into a
series of mechanically applied
stylistic tricks. No close-ups,
please, we're Japanese! In his first feature, Timeless
Melody, Okuhara Hiroshi runs through many of the standard minimalist changes, including long cuts, long shots,
little camera movement, little music, pared-down dialogue
and painfully suppressed emotions. But while other directors use these elements to induce mild depression, Okuhara
creates a visual and emotional tapestry with the look and
texture of life at its most banal and beatific. Despite the
familiarity of his material – a quartet of disparate characters facing important turning points – Okuhara manages to
make it new, not with flashy editing or camerawork, but by
keeping us ever so subtly off-balance, while steadily drawing us into his story. Like Ozu, he creates the illusion of
naturalism through calculated, detailed artifice. Every gesture has its meaning, every cut, its logic. (Mark Schilling,
“Japan Times”, 21th March 2000)
BIOGRAPHY
Okuhara Hiroshi (1968) first wanted to become a musician;
his first short film, Picnic, won the audience award at the Pia
Film Festival in 1993. Timeless Melody was made with the
support of the Pia Film Festival.
BIOGRAFIA
Okuhara Hiroshi (1968) voleva in un primo momento
diventare musicista. Il suo primo cortometraggio, Picnic,
vinse il premio del pubblico al Pia Film Festival nel 1993.
Timeless Melody è stato realizzato col supporto del Pia
Film Festival.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
facendoci sempre impercettibilmente perdere l’equilibrio, mentre ci trascina con fermezza dentro la storia.
Come Ozu, crea l’illusione del naturalismo attraverso un
artificio calcolato e dettagliato. Ogni gesto ha il suo significato, ogni stacco la sua logica. (Mark Schilling, “Japan
Times”, 21 marzo 2000)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Picnic (1993, cm), Kazhakh (1994, cm), Timeless Melody (1999)
97
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
SAKAMOTO JUNJI
KAO / FACE
(t.l. Faccia)
Un dramma/avventura strappacuore su una
ragazza, Yoshimura
Masako, che non ne
può più di tirarsi
indietro.
Ragazza innocente trasformatasi in criminale, comprende il significato della sua vita
attraverso numerosi
incontri col sesso
opposto. Un tempo
ragazza solitaria, la
sua vita in fuga diviene un viaggio verso
l’illuminazione.
A heart-rending drama/
adventure about a girl,
Yoshimura Masako, who
gets sick and tired of
holding back.
An innocent girl turned
criminal, she learns
about the meaning of her
life through several
encounters with the
opposite sex. Once a
reclusive girl, a life on
the run becomes a journey towards her own
enlightenment.
Face è il primo film di
Sakamoto Junji in cui le
donne sono i personaggi
principali. Alla prima giapponese, il film ha attirato un
numero impressionante di
spettatori per un film indipendente. Tale successo può
essere attribuito alla sottigliezza con cui Sakamoto
ritrae la protagonista – una
donna che fugge dopo aver
commesso un delitto – ma
dipende anche dal ritratto della solitudine di un individuo moderno che ci offre. Sin dal suo debutto nel 1989,
Sakamoto è riuscito a tenersi a galla nel caotico mondo
cinematografico giapponese degli anni novanta ritraendo
esclusivamente personaggi maschili coinvolti in un qualche conflitto. Che la storia fosse ambientata nel mondo
del pugilato, degli scacchi giapponesi o che parlasse di
sequestratori e investigatori, di continuo nei suoi film
mescolava brillantemente l’azione hard-boiled con l’umorismo benevolo. In Face ha reso più pungente questa idiosincrasia e ha anche fatto un passo avanti scegliendo soltanto personaggi femminili. Ciò rende Face sia un punto
di svolta per lo stesso Sakamoto sia un metro di misura
del livello raggiunto dai film giapponesi nell’ultimo
decennio. (Yamane Sadao, catalogo del Festival di
Rotterdam 2001)
98
Face is the first film by
Sakamoto Junji in which
women are the most important
characters. The film attracted
a striking number of visitors
for an independent film at its
Japanese première. This success can be attributed to the
penetrating way in which
Sakamoto portrays the protagonist – a woman who flees
after committing a murder –
while it also thanks to his portrayal of the loneliness of a
modern individual. Since his
début in 1989, Sakamoto has managed to keep his head
above water in the chaotic film world of nineties Japan by
only portraying male characters involved in some kind of
conflict or other. Whether the story was set in the boxing
world, the world of Japanese chess or whether it was about
kidnappers or detectives, in his films he repeatedly combined hard-boiled action with good-natured humour in a
superior way. In Face he sharpened this idiosyncrasy and
also took a new step by choosing only female characters.
This makes Face both a turning point for Sakamoto himself,
and a measure of the level achieved by Japanese films in the
past decade. (Yamane Sadao, Rotterdam Festival’s 2001 catalogue)
sceneggiatura/screenplay: Sakamoto Junji
fotografia/photography (35mm, col.): Kasamatsu Norimichi
montaggio/editing: Fukano Toshihide
musica/music: Coba
suono/sound: Hashimoto Fumio
scenografia/art direction: Harada Mitsuo
interpreti/cast: Fujiyama Naomi, Nakamura Kankuro,
Ookuso Michiyo, Kishibe Ittoku, Sato Koichi
produzione/production: KNHO
distribuzione/distributed by: Shochiku Co. Ltd. (1-13-5
Tsukiji, Chuo-ku, Tokyo; tel.: (81-3) 55501623; fax: (81-3)
55501643)
durata/running time: 123’
origine/country: Giappone 1999
BIOGRAPHY
Sakamoto Junji (Osaka, 1958) learned the craft with directors
including Ishii Sogo, Kazayuki Izutsu and Tou Kawashima. In
1989 he made his début with the successful Knock Out!. Since
then he has continued to surprise adiences with films including
Tekken and Ote.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
BIOGRAFIA
Sakamoto Junji (Osaka, 1958) ha imparato il mestiere con
registi come Ishii Sogo, Kazayuki Izutsu e Tou
Kawashima, prima di debuttare nel 1989 col fortunato
Knock Out!, che l’ha rivelato come uno dei personaggi più
interessanti del cinema indipendente giapponese.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Doitsutarunen (Knock Out!) (1989), Tekken (Iron Fist) (1990), Ote (Check Mate) (1991), Tokarev (1994), Boxer Joe (1995), Biliken
(1996), Kizu darake no tenshi (Scarred Angels) (1997), Orokamono - Kizu darake no tenshi 2 (The Goofball - Scarred Angels 2)
(1998), Kao (Face) (1999), Shin jingi naki tatakai (Another Battle) (2000)
99
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
SHIMIZU HIROSHI
IKINAI
Un gruppo di persone si
imbarca su un autobus, partendo per un viaggio con
l’intenzione di salvare i familiari dai debiti o altri problemi irresolvibili. Quando una
ragazza si unisce a loro usando il biglietto delo zio, il
viaggio prende una svolta
inaspettata.
A busload of people embark on a
trip to end their lives with the
intention of saving their families from their debts or other
unresolvable problems. When a
young girl joins them using her
uncle’s ticket, their journey
takes an unexpected twist.
The title of Ikinai (literally,
“Not to Live”) the debut feature
Il titolo Ikinai (letteralmente,
by Shimizu Hiroshi, may be a
“Non vivere”), il lungomeplay on the title of the Kurosawa
traggio con cui debutta
Akira masterpiece Ikuru (To
Shimizu Hiroshi, può essere
Live), but Ikinai is a Kitano
un gioco sul titolo del capoTakeshi film by proxy. This is not
lavoro di Kurosawa Akira
surprising: Shimizu worked as
sceneggiatura/screenplay: Dankan
Ikuru (Vivere), ma Ikinai è un
Kitano’s first assistant director
fotografia/photography (35mm, col.): Yanagishima Katsumi
montaggio/editing: Ota Yoshinori
film di Kitano Takeshi per
on his last three films and Ikinai
musica/music: Maya
procura. Non sorprende:
is the first non-Kitano film to be
suono/sound: Take Susumu
Shimizu ha lavorato come
made by the director’s Office
scenografia/art direction: Isoda Norihiro
aiuto regista di Kitano nei
Kitano production company.
interpreti/cast: Dankan, Okouchi Nanano, Omi Toshinori,
suoi ultimi tre film, e Ikinai è
This is also nothing to be
Soda Ippei, Nukumizu Youichi, Gidayu Great, Kishi
il primo film non di Kitano a
ashamed of. While recalling the
Hiroyuki, Mitsuhashi Takashi, Togioka Mitsuo, Haruki
essere realizzato dalla casa
Kitano style in its puckish
Misayo, Ogura Ichiro, Ishida Taro, Murano Takenori
di produzione del regista. E
deadpan humor, spare narraproduzione/production: Mori Masauyki per Office Kitano,
non c’è nulla di cui vergotive structure, and shotmaking
Bandai Visual, TBS, Tokyo FM, Nippon Herald
gnarsi. Se nell’umorismo
economy, Ikinai is not baldly
distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams
maligno da faccia di bronzo,
imitative. I was reminded of
durata/running time: 101’
origine/country: Giappone 1998
nella scarna struttura narraSuo Masayuki, another directiva e nell’economia insentor who learned his trade at the
sata evoca lo stile di Kitano,
feet of a master – in his case
Ikinai non è sfacciatamente imitativo. Mi ha ricordato
Itami Yuzo – but whose own films softened the harsher
Suo Masayuki, un altro regista che ha imparato il
aspects of his sensei’s style, including his strident grotesmestiere ai piedi di un maestro – nel suo caso Itami Yuzo
querie. Ikinai is likewise Kitano without the rough edges,
– ma i cui film addolcivano gli aspetti più aspri dello
including the sadistic violence and bad-boy jokes about sex
stile del sensei, compreso il suo stridente senso del grotand bodily functions. Shimizu also lacks Kitano’s talent for
tesco. Ikinai somiglia a Kitano senza bordi scabrosi, tra
shocking us into new ways of seeing and feeling, but has his
cui la violenza sadica e le battute da ragazzaccio sul
own knack for making his narrative points with the least possesso e le funzioni corporali. A Shimizu manca anche il
sible fuss, much like the simple but evocative Peruvian flute
talento che ha Kitano nel mostrarci attraverso uno shock
music of Ikinai soundtrack composer Maya. His is a mininuovi modi di guardare e di provare emozioni, ma ha
malism that, with its absence of directorial ego, is in some
un’abilità tutta sua nel sostenere la narrazione con il
ways more palatable than his master’s. (Mark Schilling,
minimo di smancerie, come l’uso della semplice ma
Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull
evocativa musica per flauto peruviano, del compositore
1999, p. 211)
Maya, che è la colonna sonora di Ikinai. Il suo è un minimalismo che, in assenza di un ego direttoriale, risulta in
BIOGRAPHY
un certo qual modo più piacevole di quello del suo maeAfter graduating from the Yokohama Film School, Shimizu
100
BIOGRAFIA
Dopo essersi diplomato alla Yokohama Film School,
Shimizu Hiroshi iniziò la sua carriera come aiuto regista.
Nel 1993, con Sonatine, Shimizu diventa membro fisso
della troupe di Kitano Takeshi, con cui lavora anche per
Getting Any?, Kids Return e Hana-bi.
Hiroshi launched his career as a free-assistant director. With
Sonatine in 1993, Shimizu became an established member of
Kitano Takeshi’s crew. From 1995 on, he worked as chief assistant director on Getting Any?, Kids Return and Hana-bi.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
stro. (Mark Schilling, Contemporary Japanese Film,
Weatherhill, Trumbull 1999, p. 211)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Ikinai (1998)
101
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
LEE SANG-IL
BLUE / CHONG
(t.l. Blu)
Yang Tesong trascorre i suoi
anni di studi nelle vesti di
allievo volenteroso in un
liceo per immigrati coreani.
Durante un’estate conosce
un forte turbamento nel
momento in cui la sua famiglia, i suoi amici e la vita scolastica acuiscono la sua consapevolezza di essere un
immigrato coreano di terza
generazione. Quell’estate, la
squadra di baseball del suo
liceo gioca per la prima volta
una partita amichevole contro la squadra di un liceo
giapponese. La sua squadra
perde, e Yang prova una
cocente delusione. Scosso da
una reazione che gli sembra
eccessiva, comincia a rivedere la sua vita da un punto di
vista nuovo.
sceneggiatura/screenplay: Lee Sang-il
fotografia/photography (16mm, col.): Hayasaka Shin,
Yamada Kosuke, Hashimoto Taro
montaggio/editing: Takiguchi Chieko, Sato Tatsunori
suono/sound: Igarashi Kei, Oishige Takashi
scenografia/art direction: Matsuura Moto
costumi/costumes: Mo Syu-ki
interpreti/cast: Mashima Hidekazu, Yamamoto Takashi,
Ariyama Takahiro, Takemoto Shino, Shimizu Yka,
Nishikawa Masahiro, Kimura Ikuyo, Ogiso Reiichi,
Fujiwara Takaya
produzione/production: Japan Academy of Moving Images
distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA
Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075
Tokyo; tel.: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659)
durata/running time: 54’
origine/country: Giappone 1999
“In un paese dove molti
pensano che in Giappone
vivano solo i giapponesi,
non è facile venire a patti
con la propria condizione di
straniero, e questo vale
tanto più per i coreani. Nei
film giapponesi, i coreani
venivano presentati di solito
come poveri, puri e perfetti.
Ma ora, a cinquant’anni dalla fine della seconda guerra
mondiale, questi slogan non funzionano più. I coreani
che vivono nel Giappone di oggi, me compreso, sono
come denti di leone, che fioriscono in qualsiasi parte del
paese. […] Per una concomitanza di fattori, la situazione tra il Giappone e la penisola di Corea continua a
ricordare quella di una spina di pesce che ti si sia messa
di traverso in gola. I coreani che vivono in Giappone
sono coinvolti a tutti gli effetti nel problema. In ogni
caso, questo non è un film didascalico sull’Estremo
Oriente, e sarei già felice se vi sedeste al vostro posto, vi
rilassaste e ve lo godeste. Se poi il film dovesse suscitare il vostro interesse e una vostra attenzione ai problemi
esistenti tra la penisola di Corea e il Giappone, andreb-
102
Yang Tesong is spending his
school days as a wilful youth
at a high school for Korean
immigrants. One summer he
becomes worried as his family,
friends and school life make
him become sharply aware that
he is a third generation Korean
immigrant. That summer, for
the first time, his high school
baseball team is pitted in a
friendly game against the team
from a Japanese high school.
When his team loses, Tesong
gets upset. Stirred by the disappointment he begins to take
a second look at his life.
“In a country where many
people think that only
Japanese live in Japan, it’s not
easy to live as a foreigner, in
particular a Korean. Koreans
in Japanese film were also
usually portrayed as pure,
poor, and pretty. Now, however, 50 years after the Second
World War, such slogans no
longer function. The Koreans
living in Japan today, including myself, are like dandelions
blooming
everywhere
in
Japan. […] Due to various
factors, the situation between
Japan and the Korean Peninsula continues to be a state like
a sliver of fish bone stuck in the throat. Koreans living in
Japan are apart of that bone. In any case, this film is not an
educational film about the Far East region, so I would be
happy if you just sit back, relax, and simply enjoy it. And
if you become interested in the problems between the
Korean Peninsula and Japan through this film, it would be
more than I can hope for.” (Lee Sang-il)
BIOGRAPHY
Lee Sang-il (1974) was born in the Niigata Prefecture as a
third generation Korean resident in Japan. After graduating
from Kanagawa University, he entered the Japan Academy
of Moving Images, Imamura Shohei’s film school.
Blue/Chong is his graduate student film.
BIOGRAFIA
Lee Sang-il (1974) nasce nella Prefettura di Niigata da una
famiglia coreana residente in Giappone. Dopo essersi laureato all’università di Kanagawa, è entrato alla Japan
Academy of Moving Images, la scuola di cinema di
Imamura Shohei. Blue/Chong è il suo film di diploma.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
be al di là delle mie più rosee speranze.” (Lee Sang-il)
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Blue/Chong (1999)
103
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
SUWA NOBUHIRO
H-STORY
(t.l. Storia H)
Il regista Suwa Nobuhiro ha
riunito il cast e la troupe nella
sua città natale, Hiroshima, per
realizzare un remake del classico di Alain Resnais Hiroshima,
Mon Amour. L’attrice francese
Béatrice Dalle, il direttore della
fotografia Caroline Champetier
e lo scrittore Kou Machida, un
simbolo della letteratura giapponese contemporanea, si uniscono a Suwa nell’impegnativa
impresa di reinterpretare emozioni complesse legate a un
particolare tempo e luogo nel
passato.
Filmmaker Suwa Nobuhiro has
gathered cast and crew in his
native city, Hiroshima, to direct
a re-make of the classic Alain
Resnais film Hiroshima, Mon
Amour. French actress Béatrice
Dalle, cinematographer Caroline
Champetier and writer Kou
Machida, an emblem of contemporary Japanese literature, join
Suwa in the challenging task of
re-interpreting complex emotions linked to a singular time
and place in the past.
“With this film, as with my two
earlier works, there is no scenario. My last film, M/Other
is based on a very short synopsis. The scenario was developed
through numerous discussions
with the actors before and during the shoot. Dialogue is
always improvised; and the
story changes continually during the shoot. Even after the
shoot, I find that images themselves have no sense. It is only
during the editing process that I
can discover the structure of the
film. One might say the scenario is never really written at all
until the end of the process. I was even stricter with myself in
making H-Story. Nothing in the way of a synopsis was drafted; except that I knew the story would concern a man and a
woman who come together and separate in Hiroshima today.”
(Suwa Nobuhiro)
fotografia/photography (35mm, col.): Caroline Champetier
montaggio/editing: Oshige Yuji, Suwa Nobuhiro
musica/music: Suzuki Haruyuki
suono/sound: Kikuchi Noboyuki
scenografia/art direction: Hayashi China
interpreti/cast: Beatrice Dalle, Machida Kou, Umano
Hiroaki, Suwa Nobuhiro, Caroline Champetier,
Yoshitake Michiko, Suhama Motoko
produzione/production: Suncent Cinemaworks Inc.
distribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont
D’urville 47, 75116 Parigi; 0153648555; fax: 0156692940; email: [email protected])
durata/running time: 112’
origine/country: Giappone 2001
“In questo film, come nei
miei due precedenti, non c’è
sceneggiatura. Il mio film
precedente, M/Other, era
basato su una sinossi molto
breve. La sceneggiatura si
sviluppava attraverso numerose discussioni con gli attori
prima e durante le riprese. Il
dialogo è sempre improvvisato e la storia cambia continuamente durante le riprese.
Anche dopo le riprese, mi
sembra che le immagini non hanno senso in se stesse.
Solo durante il processo di montaggio scopro la struttura
del film. Si potrebbe dire che la sceneggiatura non è mai
realmente finita che al termine del processo. Sono stato
ancor più rigoroso con me stesso nel fare H-Story. Niente
che assomigliasse a una sinossi è stato steso, a parte il
fatto che sapevo la storia avrebbe riguardato un uomo e
una donna che si incontrano e separano a Hiroshima,
oggi.” (Suwa Nobuhiro)
BIOGRAFIA
Suwa Nobuhiro (Hiroshima, 1961) iniziò la sua esperienza cinematografica come assistente di Nagasaki Shunichi,
Yamamoto Masashi e Ishii Sogo. Nel 1990 ha iniziato a
realizzare documentari televisivi.
BIOGRAPHY
Suwa Nobuhiro (Hiroshima, 1961) started his film career as
assistent director with Nagasaki Shunichi, Yamamoto Masashi
and Ishii Sogo. In 1990 he started making television documentaries.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
2 Duo (1996), M/Other (1999), H-Story (2001)
104
MABUDACHI / BAD COMPANY
(t.l. Cattiva compagnia)
1980. Sadamoto frequenta un
istituto superiore di una cittadina. Il severo insegnante
Kobayashi ha appeso in classe
un “indice dell'umanità” diviso
in “delinquenti”, “rifiuti” e “persone”. Un giorno Kobayashi
scopre che Sadamoto e i suoi
amici hanno rubato in un negozio per il puro gusto di farlo. Gli
alunni devono scrivere un tema
“autocritico”; Sadamoto consegna il suo intitolandolo “Io sono
una cipolla”, e all'insegnante
sembra di intravedere un primo
segno di umanità. Da qui parte
una situazione confusa nella
quale diventa sempre più difficile, anche per gli alunni, distinguere tra verità e menzogne, tra
autocritiche giustificate e meri
atti di opportunismo.
sceneggiatura/screenplay: Furumaya Tomoyuki
fotografia/photography (35mm, col.): Inomoto Masami
musica/music: Shigeno Masamichi
suono/sound: Hata Kotaro
scenografia/art direction: Suzaka Fumiaki
interpreti/cast: Okitsu Yamato, Takahashi Ryosuke,
Nakajima Yuta, Mitsuishi Ken, Yashiro Asako, Shimizu
Mikio
produzione/production: Suncent Cinemaworks Inc.
distribuzione/distributed by: Suncent Cinemaworks Inc.
(tel.: +813 57492461; fax: 57492341)
durata/running time: 98’
origine/country: Giappone 2000
1980. Sadamoto is at a secondary school in a small town. The
strict teacher Kobayashi has
hung up a “humanity index” in
the classroom, divided into the
categories
“delinquents”,
“scum” and “people”. One day
Kobayashi finds out that
Sadamoto and his friends have
stolen some things from a shop
for fun. The children have to
write a self-critical essay;
Sadamoto writes a piece entitled
“I am an onion”, in which the
teacher thinks he can detect a
first sign of humanity. This is
the start of a confusing situation
in which it gets hard to distinguish lies, truth, justified selfcriticism and opportunist wheeler dealing, even for the boys.
Mabudachi, secondo film del
giapponese
Furuyama
Tomoyuki, è un buon film sull’adolescenza e ha ricevuto
uno dei tre premi del concorso.
Ambientazione rurale. Tre
ragazzini formano una banda affiatata e cercano di opporsi a
una scuola in cui un professore tirannico li sottopone a vere
e proprie torture fisiche e psicologiche. […] I tre si inventano
prove per sopportare il dolore, come strigere una puntina in
mano durante l’interrogazione e come passare il fiume camminando sulla spalletta del ponte. Ma le umiliazioni continuano e uno dei tre si lascia cadere dal ponte. Nessuno lo troverà più. Film lucido e senza concessioni; il percorso tra l’incomprensione e la ribellione, l’umiliazione e il senso di colpa
è raccontato in maniera forte e sentita. Un regista da tenere
d’occhio. (Bruno Fornara, Rotterdam: nella dispersione si salva il
Giappone, “Cineforum”, n. 403, aprile 2001)
Mabudachi, the second film by
Japanese filmmaker Furuyama
Tomoyuki, is a good film about
adolescence, which received one
of the competition prizes. The
setting is rural. Three boys
form a tight-knit group and try
to stand up to a school at which a tyrannical professor subjects them to actual and real physical and psychological torture. [...] The three invent trials to withstand the pain, like
squeezing a needle in their hand during the interrogation; and
to defy risk, like passing over a river walking along the parapet of a bridge. But the humiliations continue and one of them
throws himself off the bridge, never to be found again. A lucid
film that makes no concessions, a journey between incomprehension and rebellion, humiliation and feelings of guilt, told
in a strong and sincere fashion. A director worth keeping an
eye on. (Bruno Fornara, Rotterdam: nella dispersione si
salva il Giappone, “Cineforum”, n. 403, April 2001)
BIOGRAFIA
Furuyama Tomoyuki fece il suo debutto nel 1996 con This
Window is Yours. Mabudachi è il suo secondo film.
BIOGRAPHY
Furuyama Tomoyuki made his debut in 1996 with This
Window is Yours. Mabudachi is his second film.
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
FURUYAMA TOMOYUKI
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
This Window is Yours (1996), Mabudachi/Bad Company (2000)
105
Film sperimentali
dall’Image Forum
KAIDO-RYOKU REAL / SATISFACTION REAL
(t.l. Reale soddisfazione)
“Questo film condivide lo
stesso tema con Satisfaction
(1994), ma ho usato qui un
approccio differente. Ho tentato di visualizzare l’energia
dell’attività riproduttiva. Ho
usato un computer per montare e creare fotogrammi compositi, sfondi in miniatura,
nuvole disegnate al computer.” (Boda Katsushi, catalogo
dell’Image Forum Festival
1998)
BIOGRAFIA
Boda Katsushi (1964) si è laureato alla Art University di
Musashino nel 1987. Ha lavorato anche per la TV in opere
d’animazione per bambini. I
suoi lavori includono Pulsar
(1990) e Form of Stress (1992).
“This film shares the same theme
with Satisfaction (1994) but I’ve
used a different approach here. In
this film I tried to visualize the
energy of reproductive activity. I
used a computer to edit and create composite frames out of the
characters, miniature backgrounds, and computer graphically designed clouds.” (Boda
Katsushi, Image Forum Festival’s
1998 catalogue)
Video, b/n
musica/music: Yamashita Naoki
interpreti/cast: Horiguchi Megumi, Yanaka Masanori,
Shimada Asuka
durata/running time: 6’
origine/country: Giappone 1998
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
BODA KATSUSHI
BIOGRAPHY
Boda Katsushi (1964). Graduated
from Musashino Art University
in 1987. Recently he made many
animation and photo story works
for children on TV. His independent works include Pulsar (1990),
Form of Stress (1992).
107
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
108
HARADA IPPEI
OZ-MIX
“Un tentativo di fare musica
“An attempt to make music
utilizzando immagini ma
using images but unlike a
non come in un video musimusic video or video jockey who
cale o come fa un VJ che
arranges images purely for the
combina immagini solo per il
sake of the music. Nor is it simgusto della musica. Neanche
ilar to the visual music made by
è simile alla musica visuale
abstract images and animation
fatta di immagini atratte e
or computer graphic films
animazione, o ai film in comwhere pictures and music are
puter grafica dove immagini
valued at the same level in order
e musica sono valutate allo
to make the images understandstesso livello in modo da renable. This film was born out of
dere comprensibili le immathe desire to create a place where
gini. Questo film è nato dal
the picture recorded in the
desiderio di creare un luogo
frame including dialogue and
dove l’immagine registrata
sound effects, in other words,
nel fotogramma includendo
both the image aspect and the
Video, b/n
musica/music: Tanba Hiroyuki
dialogo ed effetti sonori – in
musical aspect (the rhythm of
durata/running time: 5’
altrt parole sia l’aspetto visithe film), were treated equally.”
origine/country: Giappone 1999
vo che quello musicale (il
(Harada Ippei, Image Forum
ritmo del film) – fossero tratFestival’s 1999 catalogue)
tati allo stesso modo.” (Harada Ippei, catalogo dell’Image
Forum Festival 1999)
BIOGRAPHY
Harada Ippei (Tokyo, 1960). Prizes: Honorable Mention at
BIOGRAFIA
Image Forum Festival 1987 (Continuous Rectangles). To
Harada Ippei (Tokyo, 1960) è attivo come VJ. Ha ottenuSum Up (1996-’98) nominated for Dragons and Tigers Award
to una menzione all’Image Forum Festival nel 1987 con
in the 17th Vancouver International Film Festival. He is active
Continuous Rectangles. To Sum Up è stato nominato per il
as a VJ.
premio Dragons and Tigers al Festival di Vancouver.
GI-SOUCHI “M” / APPARATUS “M”
Un lavoro prodotto per l’esibizione di Morimura
Yasumasa allo Yokohama Museum of Art, dal 6 aprile al
9 giugno 1996. Fu proiettato in un cinema vecchio stile
costruito nello spazio espositivo che comprendeva fotografie di Morimura nei panni di famose attrici giapponesi e straniere. Morimura Yasumasa è stata ripresa mentre
interpretava Marilyn Monroe in Quando la moglie è in
vacanza. Questo film visualizza un’immaginazione
rispondente a parole chiave come sesso, morte, travestimento, ostentazione, Marilyn Monroe e Morimura
Yasumasa.
A work produced for the Morimura Yasumasa Exhibition at the
Yokohama Museum of Art, April 6 to June 9, 1996. It was
shown in an old-style theater constructed within the exhibit
space that featured photographs of Morimura playing famous
foreign and Japanese actresses. Morimura Yasumasa was
filmed playing Marilyn Monroe from The Seven Year Itch.
This is a film that visualizes an imagination responding to keywords like sex, death, masquerade, ostentation, Marilyn
Monroe, and Morimura Yasumasa.
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
ITO TAKASHI
BIOGRAPHY
Ito Takashi (Furuoka, 1956), graduated from Kyushu
BIOGRAFIA
University of Arts and Design. In school, under professor
Ito Takashi (Furuoka, 1956) si è laureato in Arte e design
Matsumoto Toshio’s instruction, he studied experimental filmall’università di Kyushu, studiando cinema sperimentale
making and began his own work in film. Recently, he has
col professor Matsumoto
turned his interest to “death”.
16mm, col.
Toshio e iniziando a realizzaHe won a prize at 42nd
interpreti/cast: Morimura Yasumasa
re i propri film. È professore
Oberhausen International Short
produzione/production: Morimura Yasumasa
associato al Kyoto College of
Film Festival (Zone, 1995). He
durata/running time: 6’
Art. Ha vinto un premio con
is an associate professor of Kyoto
origine/country: Giappone 1996
Zone (1995) al Festival del corCollege of Art. His works
tometraggio di Oberhausen. I
include: Spacy (1981), Box
suoi lavori includono: Spacy (1981), Box (1982), Thunder
(1982), Thunder (1982), Drill (1983), Ghost (1984), Grim
(1982), Drill (1983), Ghost (1984), Grim (1985), Wall (1987),
(1985), Wall (1987), Venus (1990), The Moon (1994).
Venus (1990), The moon (1994).
109
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
ITO TAKASHI
MONOCHROME HEAD
(t.l. Testa monocromatica)
“Un uomo ossessionato dal filmmaking tenta di fissare su
pellicola tutto ciò che vede di fronte a se. Ma, quando la
situazione trascende, la storia gli sfugge di mano, e nella
sua angoscia l’uomo comincia a essere minacciato da
un’immagine di morte. Ho tentato di mettere nel film le
immagini che mi venivano in mente mentre cercavo di raccontare questa storia.” (Ito Takashi, catalogo dell’Image
Forum Festival 1997)
“A man obsessed with filmmaking tries to fix on film everything he sees before him. But, as the situation escalates, the
story grows out of hand, and in his agony, the man begins to be
menaced by an image of death. In my film, I have tried to put
into film the images that come to my mind as I try to tell this
story.” (Ito Takashi, Image Forum Festival’s 1997 catalogue)
16mm, col.
suono/sound: Inagaki Takashi
interpreti/cast: Yamanaka Ryuichi
durata/running time: 10’
origine/country: Giappone 1997
110
MONGOLIAN PATY
Da principio il film appare
At first, the film seems like a
semplice, costruito su una
simple one constructed out of a
serie di lunghi piani sequenseries of long one-shot takes,
za, ma la seconda metà è
but the second half is shot with
girata chiudendo manuala manual shutter release that
mente il diaframma e così
subtly alters the shooting
alterando sottilmente la velospeed. This form of shooting
cità delle riprese. Questo
makes one think, for example, of
modo di girare fa pensare, ad
the changing speed of hand
esempio, alle diverse velocità
movements during a music
dei movimenti di una mano
recital. The effect of this style is
durante un concerto musicaa transfiguration of Mongolia’s
le. L’effetto di questo stile è la
natural wonders into a persontrasfigurazione delle meraviified landscape, and a humorglie naturali della Mongolia
ous portrayal of things moving
in un paesaggio personificaever so lightly (flowers, clouds,
8mm, col.
to, insieme a un ritratto
animals, exercising women).
interpreti/cast: fiori, cielo, cavalli, capre e cammelli in
divertente di oggetti che si
The title “paty” is a variation of
Mongolia
muovono con estrema legge“party”; by leaving out one letdurata/running time: 19’
rezza (fiori, nuvole, animali,
ter and by recording the title in
origine/country: Giappone 1996
donne che si allenano). Il titoa personalized style, the direclo “paty” è una variante di
tor claims a broad array of
“party”; secondo il regista, eliminando una lettera e
meanings becomes possible. This is a piece in the director’s
riportando il titolo in uno stile personale ci si apre a una
series “Film as Dance”.
larga schiera di significati. Il film fa parte della serie
“Film as Dance”, dello stesso regista.
“Shooting for this film was done in July 1995 in Mongolia (the
Southern Gobi and elsewhere). Besides conventional shooting,
“Le riprese sono state girate nel luglio del 1995 in
I also used single-frame shots and manually advanced time
Mongolia (Gobi meridionale e in altri luoghi). Oltre a
exposures. The film was edited and completed in September
riprese convenzionali, ho utilizzato anche singoli frame e
1996.” (Manjome Jun, Image Forum Festival’s 1997 catalogue)
tempi d’esposizione regolati manualmente. Il film è stato
montato e completato nel settembre 1996.” (Manjome Jun,
BIOGRAPHY
catalogo dell’Image Forum Festival 1997)
Since 1989, Manjome Jun has worked on the series “Film as
dance” which takes as its topics “film and corporeality”. At the
BIOGRAFIA
same time, he has continued his involvement as a performance
Manjome Jun ha lavorato dal 1989 alla serie “Film as
artist with a focus on dance. His films include: The Animal
Dance”. Allo stesso tempo ha continuato il suo lavoro
Named Dance (1990), Seraphita (1993), Nul (1995), AKB
come performance artist. Le sue opere includono The
(1996).
Animal Named Dance (1990), Seraphita (1993), Nul (1995),
AKB (1996).
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
MANJOME JUN
111
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
MURAKAMI KENJI
NATSU NI UNARERU / TEL-CLUB
Nell’estate del 1998, il cineasta è tornato nella sua città
natia, Takasaki, per filmare la
nascita del figlio di suo fratello e di sua cognata.
Passano i giorni e il bambino
ancora non nasce. Con molto
tempo libero a disposizione e
nessuno con cui parlare, il
regista trova il numero di un
club per appuntamenti telefonici, e chiama mosso dall’urgenza di un solo desiderio: parlare con una ragazza.
Pur seguendo le convenzioni
del film-diario, in alcuni
punti il cineasta precipita in
un tunnel temporale, costellato di falsi ricordi. (Catalogo
dell’Image Forum Festival
1999)
Video, col.
montaggio/editing: Shorao Kazuhiro
musica/music: Yajima Satoshi
interpreti/cast: Uematsu Rie, Shimada Yukiyasu, Kuribayashi
Shinobu
durata/running time: 76’
origine/country: Giappone 1998
BIOGRAFIA
Murakami Kenji (1970) ha
avuto una menzione all’Image Forum nel 1995 con Bye-Bye
Original Colour e un Gran premio al Festival di Yubari del
1999 con Tel-Club.
112
In the summer of 1998, the
filmmaker went home to
Takasaki to film the birth of his
brother and sister-in-law’s
child. Days go by and the child
is still to be born. With time on
his hands and no one to talk to,
the filmmaker finds the phone
number for a telephone date
club, and calls up with an
earnest desire: I’d like to talk to
a girl. While following the conventions of film-diary form, at
some point the filmmaker falls
into a time tunnel of false memory. (Image Forum Festival’s
1999 catalogue)
BIOGRAPHY
Murakami Kenji (1970). Prizes:
Honorable Mention at Image
Forum estival 1995 (Bye-Bye
Original Colour), Grand Prize
at Yubari International Fantastic
Adventure Film Festival 1999 Off-Theater Competition (TelClub).
CROSSING
(t.l. Attraversamento)
“In linea generale, tendiamo a
“Generally speaking, we tend to
percepire gli oggetti che vediafeel that the objects we see and
mo e tocchiamo come immutouch are immutable in our
tabili. Tuttavia, questi materiaworld. However, these materials
li fatti di pietra o di metallo
which are made of stone or metpotrebbero rivelare, almeno a
als might have potential to tell
livello potenziale, una loro
these intention or to move. If
mobilità e mutevolezza. Se a
once these objects started movun certo punto questi oggetti
ing around and communicatcominciassero a muoversi
ing, the world supposed to be
tutto intorno e a comunicare, il
immutable will be changed and
mondo che si credeva immuat the same time people’s mind
tabile cambierebbe completaand consciousness will be also
mente, e lo stesso accadrebbe
changed. Changing the view
alla mente e alla coscienza
point might be close to these
della gente. Cambiare contithings. Whenever I create visunuamente punto di vista
al works, I am hoping to express
musica/music: Planet 3
durata/running time: 3’
potrebbe produrre un effetto
these feelings through my
origine/country: Giappone 1996
molto simile. Ogni volta che
works.”(Nakahishi Yoshihisa)
creo un’opera di arte visiva,
sono questi i sentimenti e gli
BIOGRAPHY
stati d’animo che tento di esprimere.” (Nakahishi Yoshihisa)
Nakanishi Yoshihisa (Tokyo, 1965) graduated from Musashino
Art College. He has continued creating works free of any kind
BIOGRAFIA
of expressive forms. He also works on illustrations, objects,
Nakanishi Yoshihisa (Tokyo, 1965) si è laureato all’Art
installations and design. In 1992, he began editing and working
College di Musashino. Lavora su illustrazioni, oggetti,
as art director of the street culture magazine “Rojyo”. Since
installazioni, design. Dal 1992 si occupa della direzione
1993 he has been producing live events in collaboration with
artistica della rivista di cultura di strada “Rojyo”. Dal
other artistic groups. Selected visual works: Flying Off (1988),
1993 produce eventi artistici collaborando con altri grupBattle Town (1988), Metro Coaster (1991), Zone (1995),
pi artistici. Tra i suoi lavori visuali: Flying Off (1988), Battle
Crossing (1996), Roundscape Mix (1997), Carve Man
Town (1988), Metro Coaster (1991), Zone (1995), Crossing
(1998).
(1996), Roundscape (1997), Carve Man (1998).
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
NAKANISHI YOSHIHISA
113
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
114
NAKANISHI YOSHIHISA
ROUNDSCAPE MIX
“Avevo appena visto un pae“I had just seen a wonderful
saggio meraviglioso: mi senlandscape; I felt great. I wanttivo benissimo. Volevo traed to turn that beautiful feelmutare quella bella sensazioing into a film. I found a nice
ne in un film. Ho trovato uno
view, while walking around
scorcio carino, mentre pasthe
neighbourhood,
and
seggiavo per il quartiere e
observed the scene from up
osservavo la scena dall’alto,
above, in the park. There was a
nel parco. C’era una certa
kind of nostalgia and a sense of
nostalgia e un senso d’affetto.
affection. I tried to record the
Nel film ho cercato di mantememory of that vision. The
nere il ricordo di quella visiomeans for expressing this film
ne. Il mezzo per esprimere
were the use of a device and a
questo film è stato l’uso di
high speed motion control
uno stratagemma e una tecnitechnique. This way I could
ca di controllo del movimengive you the sensation of flyVideo, col.
to ad alta velocità. Così poteing, a mysterious sensation.
musica/music: Rie Furuya
vo darvi la sensazione di
This film wanted to use sight
durata/running time: 5’
volare, una sensazione misteto create entertainment. The
origine/country: Giappone 1997
riosa. Questo film voleva
theme of this film is that we
usare la vista per fare spettahave various perspectives in
colo. Il tema di questo film è che nella vita quotidiana noi
our daily lives, and that we are free from prejudice and conabbiamo varie visioni, e che siamo liberi dal pregiudizio e
crete idea.” (Nakanishi Yoshihisa)
dall’idea di concretezza.” (Nakanishi Yoshihisa)
SLIDE
(t.l. Scorrere)
La sensazione del movimento
in avanti è qualcosa che noi
umani prendiamo ormai praticamente per assodata.
Invece la sensazione di movimento laterale è storicamente
un fenomeno decisamente
più recente, reso possibile
dalle invenzioni della nostra
epoca meccanica. Dalle portantine ai carretti tirati dai
cavalli, fino ai treni e alle
automobili, la nostra percezione della velocità è cresciuta
sempre più rapidamente. Ora
che l’informatizzazione delle
immagini ha assunto il controllo grazie a computer sempre più potenti, ha inizio uno
strano spettacolo. (Catalogo
dell’Image Forum Festival
2000)
Video, col.
durata/running time: 7’
origine/country: Giappone 1999
BIOGRAFIA
Sato Yoshinao si è laureato all’università di Tsukuba. Ha
lavorato recentemente ad animazioni fotografiche. Con
Papers (1994) vinse un premio al Philip Morris Art Award
nel 1996, con Variation for Movements (1996), il Premio
Speciale della Giuria al Festival di Yubari nel 1998, con
Trucks (1999), un Gran Premio al III Japan Digital Art
Contest.
The sensation of forward movement is something that we walking humans pretty much take
for granted these days. The
sense of lateral motion, however,
is historically a rather more
recent phenomenon, made possible by the inventions of our
mechanical age. From palanquins and horse-drawn carts to
trains and cars, our perception
of speed has grown increasingly
faster. Now with visual information taken over by increasingly powerful computers, a
strange spectacle arises. (Image
Forum’s 2000 catalogue)
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
SATO YOSHINAO
BIOGRAPHY
Sato Yoshinao graduated from
University of Tsukuba/Master’s
Program in Art and design. Recently, he has been working on
photographic animations. Papers (1994) won a prize at Philip
Morris Art Award 1996. Variation for Movements (1996)
won Special Jury Prize at Yubari International Fantastic
Adventure Film Festival 1998. Trucks (1999) won Grand
Prize at 3rd Japan Digital Art Contest.
115
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
SERIZAWA YOICHIRO
SATSUJIN CAMERA / KILLER CAMERA
(t.l. Telecamera assassina)
“Chi è più forte, l’aggressore
o la vittima? Chi è più grande, il regista o l’oggetto filmato? Quali sono corrette, le
vere immagini documentaristiche o quelle messe in
scena? E se io sono al centro
del mondo, allora dove può
mai essere il centro del film?
Perciò, dopo essersi conquistata sia l’amore del mio
consigliere tecnico, Mr.
Hiruma, che la mia malevolenza, la mia Fran-kenprinter comincia a mettersi in
azione. E se avete un film
che non vi piace proprio,
portatemelo. Questa macchina lo ridurrà a brandelli.”
(Serizawa Yoichiro, catalogo
dell’Image Forum Festival
1997)
16mm, col.
interpreti/cast: Kikuchi Toshiaki
durata/running time: 3’
origine/country: Giappone 1996
BIOGRAFIA
Serizawa Yoichiro (1963) si è laureato all’Istituto
dell’Image Forum nel 1988. Ha vinto premi al PIA Film
Festival nel 1981 con Really? e all’Image Forum Festival
nel 1990 con Between Man. I suoi film includono: Light My
Fire (1985), Freeze! (1988), I Like Traveling (1991), Synthetic
Person (1993), Direct Light (1995).
116
“Who is stronger, the aggressor or the victim? Who is
greater, the filmmaker or the
filmed object? Which are correct, actual documentary
imeges or composed images?
And if I am at the center of the
world, then where on earth is
the center of film? And so, my
Frankenprinter having won
both the love of my technical
adviser, Mr. Hiruma, and my
own malice starts to operate.
And, if you have a film you
don’t quite like, then bring it
along. This machine will rip it
to shreds.” (Serizawa Yoichiro,
Image Forum Festival’s 1997
catalogue)
BIOGRAPHY
Serizawa Yoichiro (1963) graduated from the Image Forum
Institute of Moving Image in 1988. Prizes: at PIA Film
Festival 198 (Really?), Image Forum 1990 (Between Man).
His films include: Light My Fire (1985), Freeze! (1988), I
Like Traveling (1991), Synthetic Person (1993), Direct
Light (1995).
HIDARI CHOKYO
DISCIPLINE FOR LEFT-HANDED
(t.l. Disciplina per mancini)
Un film basato sulle memorie
di essere stati “corretti” con
la forza dalla propria natura
di mancini. In una stanza
spoglia con nient’altro che i
ritratti dei genitori su un
tavolo. Niente altro che una
tempesta a soffiare in uno
spazio che inizia e termina
nelle tenebre.
BIOGRAFIA
Shirakawa Koji (Miyazaki,
1967) ha studiato cinematografia all’Image Forum
Institute of Moving Image. Il
suo primo film è Ishiki saezuri
(The Site Behind the Bandaged
Eye), Hidari chokyo il secondo.
Entrambi incorporano elementi digitali e mirano a
nuovi “modi di racconto”.
A film based on memories of
having left-handedness corrected by force by one’s parents. In a
stark room with nothing but
portraits of parents on a table. It
is only a storm, blowing in a
space that begins and ends in
darkness.
Super8, col.
interpreti/cast: Shirakawa Toshiko, Joichi Akira, Ishii
Kenichiro, Shinohara Ryuichi, Matsubara Toyo,
Murayama Kiyomi
durata/running time: 57’
origine/country: Giappone 1999
FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM
SHIRAKAWA KOJI
BIOGRAPHY
Shirakawa Koji (Miyazaki,
1967) studied filmmaking at
Image Forum Institute of
Moving Image. His first film is
Ishiki saezuri (The Site
Behind the Bandaged Eye).
Hidari chokyo is his second
film. Both works incorporate
digital elements into the film,
and aim for new “ways of
telling”.
117
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
WADA YUNKO
MOMOIRO BABY OIL / PEACH BABY OIL
(t.l. Olio per bambini alla pesca)
“Che cosa farò quando sarò
grande?” Uno strano spazio
solo pochi metri sopra il mio
monolocale. La nostra eroina,
vent’anni, sogna di restare una
“ragazzina”… La narrazione
dolce e irreale, e le immagini
erotiche e provocatorie, producono sul pubblico un strano
effetto raggelante eppure affascinante. Wada afferma:
“Quando diventa grande il
mio corpo, il mio cucciolo di
coccodrillo, il mio monolocale? A vent’anni mi comportavo come una bambina in lotta
con se stessa, ma ero già troppo vecchia e troppo grossa.”
(Catalogo dell’Image Forum
Festival 1996)
sceneggiatura/screenplay: Wada Yunko
fotografia/photography (8mm, col.): Wada Yunko
montaggio/editing: Wada Yunko
interpreti/cast: Aoyama Reiko, Yogo Misako
durata/running time: 16’
origine/country: Giappone 1995
BIOGRAFIA
Wada Yunko (Prefettura di
Aomori, 1973) si è laureata all’Istituto dell’Image Forum
nel 1996. Ha vinto un premio all’Image Forum Festival
nel 1994 con Claustromania. Tra i suoi altri lavori: Ice
Cream 38° C (1994), Papaya-Coconut Passion (1995), Exercise
March (1995), A Lesson in Boy’s Love (1996).
118
“What should I do when I grow
up?” A strange space only several inches above my one room
apartment. Our twenty year
old heroine dreams of staying as
a “girl”… The sweet unreal
narration and the provocative,
erotic images produce a strange
chilling yet enthralling effect
on the audience. Wada claims,
“When will my body, when will
my pet crocodile, when will my
one bedroom apartment grow
larger? At twenty I was acting
like a child at odds with herself,
but I was already too old and
large.” (Image Forum Festival’s
1996 catalogue)
BIOGRAPHY
Wada Yunko (Aomori Prefecture,
1973) graduated from the Image
Forum Institute of Moving
Image in 1996. Prizes: Image Forum Festival 1994
(Claustromania). Her films and video include: Ice Cream 38°
C (1994), Papaya-Coconut Passion (1995), Exercise March
(1995), A Lesson in Boy’s Love (1996).
In Occidente i pink eiga sono prevalentemente noti come
film porno, ma tale denominazione è fuorviante poiché in
questi film non si vedono né organi genitali, né atti sessuali espliciti e il confine con l’hard core non viene mai
superato. Le scene hard core non solo infrangerebbero le
leggi della commissione sull’etica cinematografica (eiga
rinri kitei iinkai, in breve: EIRIN, l’organo volontario di autocontrollo dell’industria cinematografica), la cui autorizzazione in Giappone è necessaria affinché i film possano
essere presentati in pubblico, ma entrerebbero anche in
conflitto con il comma 175 del codice penale giapponese,
che vieta la distribuzione e l’esposizione di rappresentazioni oscene. In generale le scene di sesso sono girate in
modo che si capisca bene ciò che succede sullo schermo,
ma quel che succede non è visibile in modo esplicito.
Organi genitali e peli pubici vengono elegantemente evitati oppure resi irriconoscibili attraverso “sfumature”, i
cosiddetti bokashi. La maggior parte dei pink eiga vengono
girati ancora oggi con macchine da presa a 35mm o
Super16. A differenza che in Europa e in America, in
Giappone il cinema erotico ha conservato un mercato
indipendente. I pink eiga, quindi, si distinguono dai loro
omologhi europei per il fatto di essere stati girati in primo
luogo per il cinema, il che naturalmente non esclude una
successiva utilizzazione sul mercato del video e della televisione (via cavo o satellite). I pink eiga vengono presentati in sale cinematografiche specializzate, prevalentemente
di piccole dimensioni. Una volta esistevano centinaia di
cinema di questo tipo, oggi, in tutto il Giappone, sono
appena centotrenta le sale che offrono regolarmente dei
pink eiga. Due fra i pink eiga più straordinari degli ultimi
anni sono stati OL no Love Juice (1999) di Tajiri Yuji e Sex
Friend (1999) di Sakamoto Rei. Entrambi documentano i
mutamenti nel rapporto fra i sessi: OL no Love Juice è la
storia di una donna sui trent’anni che avvia una relazione
con uno studente più giovane di sette anni, al quale però
non riesce ad aprirsi emotivamente. La comunicazione fra
i due si svolge quasi esclusivamente attraverso la sessualità, che viene rappresentata con una sensibilità rara nel
pink eiga. Anche in Sex Friend di Sakamoto Rei viene
mostrato un cambiamento nel modo di rapportarsi con la
sessualità, che qui viene trattata quasi in modo pudico.
(Roland Domenig)
PINK EIGA
PINK EIGA
In the west, pink eiga films are mostly known as porn films,
but such a label is misleading because no genital organs or
explicit sex scenes are shown in the films, and the boundary
with hard core pornography is never crossed. Hard core
scenes would not only infringe upon the laws of the
Aesthetics in Film Commission (eiga rinri kitei iinkai; in
short, EIRIN, the film industry’s voluntary organ of self-control), whose authorisation in Japan is necessary in order for a
film to be presented publicly; they would also come into conflict with article 175 of the Japanese penal code, that prohibits
the distribution and exhibition of obscene material. Generally,
the sex scenes are shot in such a way to make it what is happening on the screen apparent without, however, making the
action either visible or explicit. Genital organs and pubic
hairs are elegantly avoided or else rendered unrecognisable
through “nuances”, the so-called bokashi. The majority of
pink eiga films are still shot today with 35mm or
Super16mm cameras and, unlike in Europe or American,
erotic films have maintained an independent market in Japan.
Thus, the pink eiga films differ from their European counterparts in that, in the first place, they were shot for the cinema, which naturally does not exclude subsequent distribution
on the video or television (cable or satellite) markets. The
pink eiga films are shown in specialised cinemas, which are
usually small. Hundreds of these kinds of cinemas used to
exist, but today there are barely 130 that regularly show pink
eiga films. Two of the most extraordinary pink eiga films of
recent years are Tajiri Yuji’s OL no Love Juice (1999) and
Sex Friend (1999) by Sakamoto Rei. Both document the
changes in a relationship between the sexes. OL no Love
Juice is the story of a 30 year-old woman that begins a relationship with a student who is seven years younger, to whom
she cannot manage to open up however. Communication
between the two takes place almost exclusively through sex,
which is presented with a sensitivity that is rare for a pink
eiga film. In Sakamoto Rei’s Sex Friend, the changes in ways
of relating through sex are also depicted, but this time in an
almost shy manner. (Roland Domenig)
119
IL CINEMA GIAPPONESE OGGI
SAKAMOTO REI
SEX FRIEND NUREZAKARI / A 3-1 COUNT
Mika e Daisuke vivono insieme in un piccolo appartamento e non si preoccupano del futuro. Un giorno
Tsutomu, un ex compagno di classe di Daisuke, si intromette nella loro casa e passa la notte lì. Il giorno dopo se
n’è andato. Mika e Daisuke decidono di visitare in campagna i genitori di Tsutomu per riportargli il cellulare
che ha dimenticato. Durante il viaggio incontrano un
altro compagno di scuola con la sua ragazza che si uniscono a loro.
Mika and Daisuke live together in a small apartment and don’t
worry about their future. One day Tsutomu, a former classmate
of Daisuke, intrudes their apartment and spends the night
there. The next day he is gone. Mika and Daisuke decide to visit
Tsutomu’s parents at the countryside to bring them the mobile
telephone Tsutomu has left. On their way they meet another
classmate with his girlfriend who joins them.
BIOGRAPHY
Sakamoto Rei (Tokyo, 1973). In 1994, while still studying at
the Nikkatsu Art School, he encounters the films of the shitenno directors and decides to enter the pink eiga world. After
several years as assistant director to Zeze Takahisa, Sato
Toshiki and others, in 1999 he directs his debut film Sex
Friend nurezakari.
BIOGRAFIA
Sakamoto Rei (Tokyo, 1973) nel 1994, mentre studiava
alla Nikkatsu Art School, conosce i film dei registi shitenno e decide di entrare nel mondo del pink eiga. Dopo
alcuni anni come aiuto regista per Zeze Takaisha, Sato
Toshiki e altri, nel 1999
debutta alla regia con Sex
sceneggiatura/screenplay: Sakamoto Rei, Imaoka Shinji, Zeze
Takahisa
Friend nurezakari.
fotografia/photography (35mm, col.): Kagami Sachi
montaggio/editing: Sakai Syoji
interpreti/cast: Sato Kinako, Sawa Tetsuji, Sakai Kuniyuki,
Ito Kiyomi
produzione/production: KOKUEI Co. Ltd.
durata/running time: 65’
origine/country: Giappone 1999
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Sex Friend nurezakari (1999), 18-sai. Shitagi no uzuki (2001)
120
OL NO LOVE JUICE / RUSTLING IN BED
Tomomi ha 28 anni e lavora come impiegata in una piccola compagnia. È stata scaricata dal ragazzo e passa le
serate a ubriacarsi in un bar. Tornando a casa in treno
incontra Takao, di otto anni più giovane, ancora studente. Finiscono a letto insieme e iniziano una relazione che
sembra perfetta per entrambi. Tomomi, comunque, capisce presto che il loro rapporto è perfetto solo dal punto di
vista fisico, e che a livello emotivo Takao è meno coinvolto di quanto lei sperasse.
PINK EIGA
TAJIRI YUJI
Tomomi is 28 and works as an office employee at a small company. She was dumped by her boyfriend and spends the evening
drinking at a bar. On her way back home on the train she
encounters Takao, 8 years younger than Tomomi and still a
student. They end up in bed together and begin a relationship,
that seems perfect for both of them. Tomomi however, very soon
realizes, that their relationship is perfect only on a physical
level and that emotionally Takao is less committed than she had
hoped.
BIOGRAFIA
BIOGRAPHY
Tajiri Yuji (Hokkaido, 1968) dopo essersi laureato alla
Tajiri Yuji (Hokkaido, 1968). After graduating from Teikyo
Teikyo University entra nella compagnia di produzione
University he entered the pink eiga production company
di pink eiga Shishi Pro e lavora come aiuto regista per Sato
Shishi Pro and worked as assistant director to Sato Hisayasu,
Hisayasu, Zeze Takahisa e altri. Col suo secondo film OL
Zeze Takahisa and other directors. His second film OL no Love
no Love Juice ottiene ricoJuice won him wide acclaim also
noscimenti anche al di
outside of the pink eiga world.
sceneggiatura/screenplay: Takeda Kousuke
fuori del mondo dei pink
fotografia/photography (35mm, col.): Iioka Masahide
eiga.
montaggio/editing: Sakai Syoji
interpreti/cast: Kubota Azumi, Sato Mikio, Hayashi
Yumika, Sawayama Yuji
produzione/production: KOKUEI Co. Ltd.
durata/running time: 58’
origine/country: Giappone 1999
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Ikeike densha - Hamete ikasete yamenaide (1997), OL no Love Juice (1999), Nopan chikan densha - Miechatta! (2000), Mirai H
nikki (2001, video)
121
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
(CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”)
PARIS VU PAR…
(t.l. Parigi vista da…)
Una sorta di manifesto programmatico della Nouvelle
Vague: i quartieri di Parigi in sei storie realizzate da alcuni dei principali esponenti del movimento.
A kind of programmatic manifesto of the New Wave: the neighbourhoods of Paris in six stories made by some of the leading
members of the movement.
“Les Films du Losange”, fondata all’inizio del 1964, è più
“Les Films du Losange”, founded in 1964, is more than a prodi una società di produzione. Si pone come un moviduction company. It presents itself as an aesthetic movement
mento estetico legato a determinate concezioni economiconnected to certain economic concessions. Paris vu par’s
che. L’ambizione di Paris vu par… è di esserne il manifeambition… is to be the manifesto […]. It is the same as for pubsto […]. È come per le case editrici e per le gallerie d’arlishing companies and art galleries: what counts is choosing an
te: quel che conta è di scegliere una linea e di attenervisi.
artistic course and sticking to it. We are certain that the public
Noi siamo certi che alla lunga il pubblico seguirà – una
will follow in the long run – a part of the public, at least, the
parte, almeno, quella che ci interessa. Non è il regno di
part that interests us. We do not want to establish a sterile
un’“avanguardia” sterile quello che vogliamo instaurare
“avant-garde” kingdom (imited by theatre or painting,
(imitata dal teatro o dalla pittura, distaccata dalla realtà
detached from present-day reality), but an “avant-garde” of the
attuale), ma piuttosto quello degli autori. Tutto il cinema
authors themselves. All of modern cinema is “auteur” cinema.
moderno è un cinema di
But the truly modern cinema, of
autori. Ma il cinema autentitomorrow, that we can glimpse
regia/direction: Claude Chabrol (ep. La Muette), Jean
camente moderno, quello di
and want to help exhibit, will
Douchet (ep. Saint-Germain-des-Prés), Jean-Luc Godard
(ep. Montparnasse-Levallois), Jean-Daniel Pollet (ep. Rue
domani, che noi intravedianot be a cinema created by direcSaint-Denis), Eric Rohmer (ep. Place de l’Étoile), Jean
mo e che vogliamo contritors incapable of depicting conRouch (ep. Gare du Nord)
buire a rivelarsi, non sarà
temporary and future reality or
sceneggiatura/screenplay: Claude Chabrol (ep. La Muette),
quello dei registi incapaci di
freeing themselves from the
Jean Douchet (ep. Saint-Germain-des-Pres), Jean-Luc
mostrare la realtà attuale e
weight of their obsessions, to tell
Godard (ep. Montparnasse-Levallois), Georges Keller (ep.
futura, di liberarsi dal peso
a story. […] What seems to be
Saint Germain-des-Pres), Jean-Daniel Pollet (ep. Rue Saintdelle loro ossessioni, di racemanating from Paris vu par…
Deni), Eric Rohmer (ep. Place de l’Etoile), Jean Rouch (ep.
contare una storia. […]. Quel
is a new aesthetic of realism. In
Gare du Nord)
che pare sprigionarsi da
all of these instances, and
fotografia/photography (35mm, col.): Néstor Almendros (ep.
Paris vu par… è una nuova
despite each director’s profound
Saint Germain-des-Pres e Place de l’Etoile), Étienne Becker
estetica del realismo. Vi è, in
originality, there is a common
(ep. Gare du Nord e Place de l’Etoile), Alain Levent (ep. Rue
Saint Denis), Albert Maysles (ep. Montparnasse-Levallois),
tutti questi episodi, malgradesire: to reclaim environments,
Jean Rabier (ep. La Muette)
do la profonda originalità di
social classes and characters
montaggio/editing: Jacquie Raynal
ogni regista, una volontà
without weighing them down
interpreti/cast: Jean-Pierre Andréani, Stéphane Audran,
comune:
restituire
gli
with pre-established meanings;
Nadine Ballot, Georges Bez, Claude Chabrol, Jeanambienti, le classi sociali, i
to see beyond the preconcepFrançois Chappey, Gilles Chusseau, Serge Davri,
personaggi, senza appesantions. […] The respect for the
Micheline Dax, Jean Douchet, Marcel Gallon, Sarah
tirli di significati prestabiliti,
aforementioned issues can be
Georges-Picot, Philippe Hiquilly, Maya Josse, Claude
vedere le cose al di là dei
attested in the use of live sound
Melki, Gilles Quéant, Jean-Michel Rouzière
preconcetti. […]. Di questo
and colour, which we would like
produzione/production: Barbet Schroeder, Patrick Bauchau
rispetto per le cose è testimoto lay down increasingly more
per Les Filmes du Cyprès, Les Films du Losange
ne l’uso del suono in presa
often as the general rule; as well
durata/running time: 95’
origine/country: Francia 1965
diretta e del colore, che vorin the technique that will come,
remmo sempre più imporre
that is already coming, to econocome regola. È la tecnica che
my’s aid. Thus, 16mm (which
verrà, che già viene, in aiuto all’economia. Così il 16mm
television rendered a professional format) allows one to save
(di cui la televisione ha fatto un formato professionale)
tremendously on the shooting costs (and not only on the price
consente di risparmiare notevolmente sui costi delle
of film stock, which is of negligible importance in a film’s budgriprese (e non solo sul prezzo della pellicola, avendo
et). This allows for increased freedom for the camera and elimquesta un peso trascurabile nel budget di un film). Esso
inates all the inconveniences that hinder filming in natural
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
AA.VV.
125
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
126
permette una maggiore libertà della macchina da presa
ed elimina tutti gli inconvenienti che ostacolavano le
riprese in ambiente naturale. Esteticamente, d’altronde,
gli episodi di Godard e Rouch propongono nuove forme,
assolutamente impensabili in 35mm. Quel che conta è
dotarci dei mezzi per fare film con più facilità e con costi
minori. […]. Non ci si può attenere alla “politica del
rischio”. Un film d’autore da 50 milioni è ancora troppo
caro. Soluzione: ridurre il prezzo e aumentare la quantità dei film prodotti. Così il successo di un solo film
potrebbe recuperare le spese di quattro. E comunque un
buon film, se ha costi minimi, sempre di più trova un suo
pubblico. (Barbet Schroeder, Six Paris contés, “Cahiers du
Cinéma”, n. 171, ottobre 1965)
surroundings. Aesthetically, on the other hand, Godard and
Rouch propose new forms, that are absolutely unthinkable in
35mm. That which counts is equipping ourselves with the
means to make films with greater ease and lower costs. […] We
cannot concern ourselves with the “politics of risk”. An
“auteur” film that costs 50 million is still too expensive. The
solution: reduce the costs and increase the number of films produced. This way, the earnings of one successful film could make
up the cost of four films. And a good film, if it has minimum
costs, will have even greater success in finding its public.
(Barbet Schroeder, Six Paris contés, in “Cahiers du Cinéma”,
n. 171, October 1965)
LOIN DU VIETNAM
(t.l. Lontano dal Vietnam)
Otto registi per un documentario che esprime la cattiva
coscienza dell’Occidente nei
confronti della guerra del
Vietnam.
Eight directors in one documentary try and explain the West’s
dirty conscience in regards to
the Vietnam War.
“None of us felt capable of
“Nessuno di noi si sentiva
resolving the Vietnamese probcapace di risolvere da solo il
lem on our own; our position on
problema vietnamita; la
Vietnam came as a result of connostra attitudine nei confrontinuous discussions and continti del Vietnam è il risultato di
uous research. For all of those
discussioni continue e di
who took part in it, this work
continue ricerche. Per tutti
was profoundly enriching.
coloro che ci hanno preso
Godard and Resnais took charge
parte, questo lavoro è stato
of the scenes shot in France.
un arricchimento profondo.
Resnais preferred the monoGodard e Resnais si sono
logue and chose this “genre” to
incaricati delle scene girate
precisely state the position of
in Francia. Resnais ha prefethe leftist intellectual. To sum
rito il monologo, e ha scelto
up this man, to define him
questo “genere” per precisaexactly, he made an actor say
re la posizione dell’intelletthe written text instead of, as
tuale di “sinistra”. Per fare la
one would expect, recording it
sintesi di questo uomo, per
indirectly as an interview. And
definirlo esattamente, ha
it is the only moment in the film
fatto dire da un attore un
in which a fictional form was
testo scritto, invece di procechosen. For Jean-Luc Godard,
regia/direction: Jean-Luc Godard, Joris Ivens, William
dere, come si sarebbe portati
the film was a kind of “confesKlein, Claude Lelouch, Chris Marker, Alain Resnais,
a credere, a una registrazione
sion” into which he threw himAgnès Varda, Michelle Ray
indiretta di un’intervista. Ed
self with much enthusiasm. He
sceneggiatura/screenplay: Jean-Luc Godard, Chris Marker
è il solo momento in cui, nel
had the lucidity to himself comfotografia/photography (35mm, col.): Ghislain Cloquet
film, si è scelta la forma della
ment on his soul-searching.
montaggio/editing: Jacques Meppiel
finzione. Per Godard il film è
And this was seen as a provocainterpreti/cast: Anne Bellec, Karen Blanguernon, Bernard
stato una specie di “confestion. The more candid and modFresson, Maurice Garrel, Valérie Mayoux
produzione/production: Chris Marker, Societé pour le
sione” nella quale si è gettato
est he was in describing his
Lancement des Œuvres Nouvelles
con molto entusiasmo. Ha
interior conflicts, the more he
durata/running time: 120’
avuto la lucidità di commenwas accused of being vain.”
origine/country: Francia 1967
tare lui stesso il suo esame di
(Chris
Marker,
Cinemacoscienza. E questo è stato
sessantotto, by Riccardo
accolto come una provocazione. Più è stato franco e
Rosetti, Quaderni di “Filmcritica”, n. 6, Bulzoni, Roma 1978)
modesto descrivendo i suoi conflitti interiori, più è stato
accusato di essere vanitoso.” (Chris Marker,
Cinemasessantotto, a cura di Riccardo Rosetti, Quaderni di
“Filmcritica”, n. 6, Bulzoni, Roma 1978)
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
AA.VV.
127
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
MONTE HELLMAN
THE SHOOTING
(t.l. La sparatoria)
Un ex cacciatore di taglie
accetta di fare da guida, con
un compagno, a una donna
che vuole attraversare il
deserto con un killer per
ammazzare un uomo. La vittima designata è il fratello del
nostro, che tenta inutilmente
di evitare l’assassinio.
A woman who wants to cross
the desert with a killer to murder a man hires an ex-bounty
hunter as a guide, along with
his friend. The designated victim is the bounty hunter’s
brother, who futilely tries to
escape death.
And now a surprise: The
E ora una sorpresa: The
Shooting by Monte Hellmann
Shooting di Monte Hellmann
(who also made Ride the
(autore anche di Ride the
Whirlwind, which I haven’t
Whirlwind che non ho visto),
seen), the first western from the
primo western del giovane
young US independent cinema.
cinema indipendente USA. Ci
We were expecting an intellecsceneggiatura/screenplay: Carole Eastman (Adrien Joyce)
aspettavamo un western
tual western. We got it, in a
fotografia/photography (35mm, col.): Gregory Sandor
intellettuale. Lo abbiamo
sense, but only to discover that
montaggio/editing: Monte Hellman
avuto, in un certo senso, ma
an ethnological kind of intellecmusica/music: Richard Markowitz
per scoprire come un intellettualism has forced itself upon
scenografia/art direction: Wally Moon
tualismo di tipo etnologico si
the traditional standards of the
interpreti/cast: Will Hutchins, Millie Perkins, Jack
è sforzato di ancorare i tipi
west (seeing as how the film
Nicholson, Warren Oates, Charles Eastman, Guy El
tradizionali del West (poiché
captures them without cheating)
Tsosie, Brandon Carroll, B.J. Merholz, Wally Moon,
il film li riprende senza barain the linguistic and rural rusWilliam Mackleprang, James Campbell
re) nella rusticità linguistica e
ticity of its contemporary inhabproduzione/production: Monte Hellman, Jack Nicholson
per Proteus Films, Santa Clara Productions
contadina dei suoi attuali abiitants. The problem was that,
durata/running time: 82’
tanti. Il problema è stato che,
not understanding the dialect
origine/country: USA 1967
non comprendendo bene il
well (it wasn’t subtitled), I diddialetto (non c’erano sottotin’t follow the film very well, but
toli), non ho seguito molto bene, ma il film si è imposto
it made itself understood nonetheless. Especially the end, a dracomunque. Soprattutto la fine, gag drammatica a più
matic, fantastical gag that works on several levels and smacks
livelli, di tipo para fantastico, tocco originale e peccato oriboth of an original touch and original sin: after an hour and a
ginale: dopo un’ora e mezza la cultura riprende i suoi
half, culture takes back its rights. (Michel Delahaye, “Cahiers
diritti. (Michel Delahaye, “Cahiers du Cinéma”, n. 178)
du Cinéma”, n. 178)
BIOGRAFIA
Monte Hellman (Long Island, 1932) dopo varie esperienze teatrali inizia a lavorare a Hollywood come assistente
al montaggio, prima alla televisione, poi al cinema, per
entrare successivamente nella factory di Roger Corman,
con cui realizza i suoi primi film.
BIOGRAPHY
Monte Hellman (Long Island, 1932) began working in
Hollywood as an assistant editor (after having worked extensively in the theatre), first in television then in cinema, before
entering the Roger Corman factory and making his first films
with them.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Beast from Haunted Cave (1959), Ski Troop Attack (1960, minutaggio aumentato per la Tv), The Terror (1963) (non accreditato),
Flight to Fury (1964), Back Door to Hell (1964), Ride in the Whirlwind (1965), The Shooting (1967), Two-Lane Blacktop (1971),
Shatter (1974) (non accreditato), Cockfighter (1974), Baretta (1975, Tv), The Greatest (1977) (subentrato dopo il decesso di Tom
Gries), China 9, Liberty 37 (1978), Avalanche Express (1979), Inside the Coppola Personality (1981), Iguana (1988), Silent Night,
Deadly Night 3: Better Watch Out! (1989)
128
APRILI
(t.l. Aprile)
Un ragazzo e una ragazza si
rincorrono per le strade di
Tblisi, intralciati da numerosi uomini che trasportano
mobili senza sosta. I due si
stabiliscono in un appartamento cercando un po’ d’intimità. La comparsa di luce,
acqua e gas è seguita da
quella di un uomo che
istruisce silenziosamente i
giovani sulle norme della
vita privata. Presto la loro
casa viene invasa dai mobili
con il consenso degli abitanti del palazzo. Non c’è più
spazio per il loro amore,
tutto è custodito dalla presenza ingombrante di un
lucchetto.
sceneggiatura/screenplay: Erlom Achvlediani, Otar Ioseliani
fotografia/photography (35mm, b/n): Jurij Fedven
musica/music: Natela Ioseliani, Sulchan Nasidze
suono/sound: V. Machaidze
scenografia/art direction: E. Lapkovski
interpreti/cast: Ghia Cirakadze, Tatiana Canturia,
Alexsandr Cikvaidze, A. Giorbenadze, V. Maisuradze
produzione/production: G. Shariqadze, Gruzjia Film,
Kartuli Filmi
durata/running time: 50’
origine/country: URSS 1962
Il soggetto di Aprili era
molto semplice: si trattava
di tagliare un bosco per
farne dei mobili e invadere
con essi un appartamento.
In una giovane coppia in cui
non c’era più posto per la
leggerezza e per l’amore, non c’era spazio che per i
mobili. C’era, però, anche una questione di lucchetti e
catenacci, riguardante l’ossessione di chiudere ogni
bene dietro le porte. Si trattava di un piccolo modello di
umanità che non riusciva a vivere, perché invasa da cose
inutili. Al posto degli alberi e della foresta, restavano i
ceppi… Il simbolismo può essere inteso come volete, ma
non c’erano proprio tracce di una critica concreta alla
società. Ero un regista molto giovane che non pensava
per niente alla politica. Ma in seguito divenni, tanto per
il pubblico quanto per le autorità, qualcuno che proponeva una critica della società totalitaria: e questo mi
faceva ridere, perché io volevo solo raccontare una favola tragica, sul principio della stupidità che domina la
nostra vita su questa terra; in ogni luogo. Kruscëv a
quell’epoca aveva già intrapreso una lotta contro l’astrattismo e il cosmopolitismo. Veniva considerato un
atteggiamento cosmopolita il non raccontare una storia
concreta; era l’opposto del neorealismo. (Da Ioseliani
secondo Ioseliani - Addio terraferma, a cura di Luciano
A young man and woman chase
each other through the streets of
Tbilisi, obstructed by numerous men moving furniture
ceaselessly. The two move into
an apartment, searching for
some privacy. The arrival of
electricity, water and gas is followed by the arrival of a man
who silently instructs the
young couple on the rules of
private life. Soon, their place is
overrun by furniture, with the
permission of the building’s
inhabitants. There is no more
space for their love; everything
is guarded over by the cumbersome presence of a padlock.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
OTAR IOSELIANI
The theme of Aprili was very
simple: it was about cutting
down a forest in order to make
furniture with which to overload an apartment. For a
young couple in which there
was no more space for lightness and love, there was no
more space for furniture. There
was also, however, the question of padlocks and bolts,
regarding the obsession to lock up all possessions. It was
about a small model of humanity that could not manage to
live, because it was overrun by useless things. Instead of the
trees and the forest, all that remained were stumps… The
symbolism can be interpreted as one wishes, but there was
truly no trace of concrete social criticism in the film. I was
a very young director who did not think at all about politics.
But afterwards I became – as much for the public as for the
authorities – someone who criticised totalitarian society.
This made me laugh, because I only wanted to tell a tragic
fairy tale, about the principle of stupidity that dominates
our life on this earth, in every place. At that time, Kruschev
had already undertaken a fight against abstraction and cosmopolitanism. It was considered cosmopolitan to not tell a
concrete story; it was the opposite of neorealism. (From
Ioseliani secondo Ioseliani - Addio terraferma, by
Luciano Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa,
Ubulibri, Milano 1999, p. 43)
129
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa, Ubulibri,
Milano 1999, p. 43)
BIOGRAFIA
Otar Ioseliani (Tblisi, 1934) studia con Aleksandr
Dovzenko e Michail Ciaureli al VGIK di Mosca, e lavora
agli studi Gruzija-fil’m come aiuto regista, montatore e
quindi nella sezione documentari. Nel 1961 si diploma in
regia ma dopo che il suo primo mediometraggio non
ottiene il permesso di essere distribuito nelle sale abbandona per qualche anno il cinema, ritornandovi nel 1966
col suo primo lungometraggio, Girgobistve.
BIOGRAPHY
Otar Ioseliani (Tblisi, 1934) studied with Aleksandr Dovzenko
and Michail Ciaureli at the VGIK in Moscow and worked at the
Gruzija-fil’m studios as an assistant director, editor and, later,
in the documentary department. He graduated in directing in
1961 but after his first medium-length film was granted permission to be distributed in cinemas, he left film for a few years,
returning in 1966 with his first feature, Girgobistve.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Akvarel’ (1958, cm, Tv), Sapovnela (1959, cm), Aprili (1962, mm), Tudhzi (1964, cm, doc.), Girgobistve (1966), Dzveli qartuli
simgera (1969, cm, doc.), Iko shashvi mgalobeli (1971), Pastorali (1976), Lettre d’un cineaste (1982, cm, Tv), Sept pièces pour
cinéma noir et blanc (1983), Eukzadi été 1982 (1983, mm, doc.), Les Favoris de la lune (1984), Un petit monastère en Toscane
(1988, mm, doc.), Et la lumière fut (1989), Homage to Hubert Bals (1989, ep. di In Memoriam Hubert Bals), La Chasse aux
papillons (1992), Seule, Georgie (1994, Tv), Brigands, chapitre VII (1996), Adieu, plancher des vaches! (1999)
130
DEMANTY NOCI
(t.l. Diamanti della notte)
Seconda guerra mondiale.
Due ragazzi saltano da un
treno che trasporta gli ebrei
verso i campi di sterminio.
Le guardie della Gestapo
danno loro la caccia ma i
ragazzi riescono a fuggire.
Camminano per giorni,
quando incontrano una
donna che porta il cibo al
marito che lavora nei campi.
Tirano a sorte chi dovrà
andarle a chiedere il cibo e
poi ucciderla perché non li
tradisca. Il designato ottiene
il cibo ma non ha il coraggio
di uccidere la donna, che li
denuncia. I due sono fatti
ancora
prigionieri,
ma
riescono di nuovo a fuggire,
sperando di raggiungere la
loro casa.
sceneggiatura/screenplay: Arnost Lustig, Jan Nemec dal
racconto omonimo di Arnost Lustig
fotografia/photography (35mm, b/n): Jaroslav Kucera,
Miroslav Ondrícek
musica/music: Vlastimil Hála, Jan Rychlík
suono/sound: Frantisek Cerny
scenografia/art direction: Oldrich Bosák
costumi/costumes: Ester Krumbachová, Zdena Snajdarová
interpreti/cast: Ivan Asic, August Bischof, Irma
Bischofova, Ladislav Jánsky, Josef Koblizek, Josef
Koggel, Josef Kubat, Antonín Kumbera, Rudolf Lukásek,
Bohumil Moudry, Karel Navratil, Evzen Pichl, Frantisek
Procházka, Jan Riha, Anton Schich, Rudolf Stolle,
Frantisek Vrana
produzione/production: Ceskostovensky Filmexport
durata/running time: 63’
origine/country: Cecoslovacchia 1964
Un estetismo molto controllato, quello di Demanty Noci,
trappola per critici che si è
già sbafato due premi. Su
due adolescenti che fuggono
davanti all’occupante tedesco, dunque sulla sofferenza
umana durante la guerra, il
ceco Jan Nemec ha realizzato
un esercizio di stile privo di
qualsiasi valore umano. I
flashback sempre uguali di una Praga sovraesposta, che
fanno di questa pellicola di 1 ora e 10 minuti un brutto
cortometraggio di 5 minuti ricopiato 15 volte, sembrano
trasformarla in un film sulla coscienza dei protagonisti,
un Marienbad di Marianské-Lazné. In realtà, tali coscienze sono le coscienze puramente animali di una coppia di
idioti che non sanno neanche respirare correndo, si fanno
prendere per stupidaggine, cercano solo di appagare i
loro rari istinti, hanno due o tre idee, pensieri o ricordi
ricorrenti, e la cui idiozia non è mai denunciata: è una
cosa naturale o una conseguenza della guerra? Nemec
non si è posto il problema, perché il tutto è solo un pretesto per un estetismo muto che risale al cinema centroeuropeo d’anteguerra, dalla fotografia meno elaborata, ma
meno brutta. Il film inizia con un’inquadratura in movi-
World War II. Two young men
hop on a train transporting
Jews to death camps. The
Gestapo guards on board chase
them but the two manage to
escape. They walk for days
until they meet a woman taking
food to her husband who is
working in the fields. They
draw names to see who will ask
the woman for food and then
kill her so that she will not give
them away. The loser gets the
food but does not have the
courage to kill the woman, who
turns them in. The two are
imprisoned again but, like
before, manage to escape, in the
hopes of reaching their homes.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
JAN NEMEC
The aestheticism of Demanty
Noci is very controlled and
presents a trap for critics as the
film scooped up two prizes. In
this film about two adolescents
fleeing from the German occupier – and thus a film on human
suffering during the war –
Czech filmmaker Jan Nemec has
created an exercise in style
devoid of any human content.
The flashbacks of an overexposed
Prague – that turn this 1 hour
and 10 minute film into an ugly
5 minute short repeated 15 times – seem to transform Demanty
Noci into a film about the characters’ consciences, a Marienbad
of Marianské-Lazné. Actually, the consciences are purely animal. They are the those of a pair of idiots who do not even know
how to breathe correctly; who lose themselves in trivialities;
who are only looking to satisfy their rare instincts; who have
only two or three recurring ideas, thoughts or memories in
their heads; and whose idiocy is never exposed. It this natural
or a consequence of war? Nemec does not pose this question
because everything here is just pretence for a silent aestheticism
that dates back to post-war European cinema, from the less
elaborated, and thus less ugly, photography. The film begins
with a surprising tracking shot. For 8-10 seconds one appreciates the audacity, but after 25-30 seconds of the same exact
sequence one understands that the film will repeat itself end-
131
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
mento sorprendente. Per 8-10 secondi se ne apprezza
l’audacia, ma la corsa continua identica e, dopo 25-30
secondi, si capisce che il film si ripeterà continuamente.
Nessuna spontaneità giovanile, dunque. (Luc Moullet,
“Cahiers du Cinéma”, n. 166)
BIOGRAFIA
Jan Nemec (Praga, 1936) ha studiato alla scuola di cinema
di Praga terminando i corsi con Sausto, mediometraggio
premiato al Festival di Oberhausen. Ottiene il successo
internazionale con Demanty noci, ma dopo le manifestazioni del ’68 praghese (che filma per il documentario
Oratorium for Prague) rimane per anni senza lavoro e negli
anni ’70 emigra, prima in Francia e Germania, poi negli
Stati Uniti. Solo con la caduta del regime comunista può
tornare a girare in patria.
lessly. Thus, there is no youthful spontaneity. (Luc Moullet,
“Cahiers du Cinéma”, n. 166)
BIOGRAPHY
Jan Nemec (Prague, 1936) studied at the cinema school in
Prague, where as his final project he produced Sausto, a medium-length film which was awarded at the Oberhausen Days of
Short Films Festival. He gained international success with
Demanty noci, but after the Prague demonstrations of 1968
(which he filmed for the documentary Oratorium for Prague)
he was unable to work and in the 1970s he emigrated to France
and Germany, then the United States. Only after the fall of the
Communist regime was he able to return to his country to make
films.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Sausto (1960, mm), Pamet naseho dne (1963, doc., mm), Demanty noci (1964, mm), Podnodnici (ep. di Perlicky na dne, 1965),
O slavnosti a hostech (1966), Mucedníci lásky (1967), Matka a syn – Mutter und Sohn (1967, mm), Oratorium for Prague (1968,
doc.), Návrat (1968) Náhrdelník melancholie (1968,Tv), Cas slunce a ruzí (1968, Tv), Das Rückendekolleté (1975), Metamorphosis
(1975), The Czech Connection (1975, Tv), True Stories: Peace in Our Time? (1988, Tv), The Poet Remembers (1989, Tv), V záru
královské lásky (1990), Strahovská demonstrace (1990), Jmeno kodu: Rubin (1997), Nocní hovory s matkou (2000)
132
MAHLZEITEN
(t.l. Pasti)
La studentessa di fotografia
Elisabeth, a photography stuElisabeth incontra e frequenta
dent, meets and starts dating
lo studente di medicina Rolf:
medical student Rolf: together
insieme discutono di problethey discuss aesthetic problems
mi estetici e si entusiasmano
and engage in lively discussions
con gli amici in vivaci discuswith their friends. Rolf is an idesioni. Rolf è un idealista e i
alist and his studies are not
suoi studi non procedono con
going well. When Elisabeth gets
successo. Quando Elisabeth è
pregnant they marry and set up
incinta si sposano e mettono
a home and she continues to
su casa, mentre lei continua a
forcefully steer Rolf’s interests
forzare gli interessi di lui
towards art and literature, surverso l’arte e la letteratura,
rounding herself with a literary
riunendo attorno a se un circircle of friends. After the birth
colo letterario. Alla nascita
of their third child, Rolf leaves
del terzo figlio, Rolf lascia gli
medical school and, in order to
sceneggiatura/screenplay: Edgar Reitz
studi di medicina e per ritrofind himself, leaves Elisabeth for
fotografia/photography (35mm, b/n): Thomas Mauch
vare se stesso lascia per un
a while; she loses their fourth
montaggio/editing: Anni Geise, Maxi Mainka, Beate
po’ Elisabeth, che perde il
child. Elisabeth gets depressed
Mainka-Jellinghaus, Elisabeth Orlov
quarto figlio. Lei dapprima
and wants to leave her husband,
musica/music: Maurice Ravel
vuole lasciare il marito, poi si
but eventually makes up with
suono/sound: Herbert Prasch, Hansjörg Wicha
riconcilia con lui; è incinta per
him. She becomes pregnant with
interpreti/cast: Heidi Stroh, Georg Hauke, Nina Frank,
la quinta volta, mentre Rolf fa
a fifth child and Rolf becomes a
Ruth Von Zerboni, Ilona Schütze, Peter Hohberger, Dirk
il rappresentante di cosmetici
cosmetics salesman. Elisabeth
Borchert, Klaus Lackschewitz, Edgar Reitz (commento off)
Apassionatasi alla religione
becomes inspired by the
produzione/production: Edgar Reitz Film, Kuratorium
mormone, convince Rolf a
Mormon religion and convinces
Junger Deutscher Film
durata/running time: 90’
seguirne il rito; poco dopo
Rolf to take part in one of the ritorigine/country: RFT 1966
Rolf si toglie la vita. Elisabeth
uals; shortly afterwards, Rolf
non capisce la morte del
takes his life. Elisabeth does not
marito, e quando conosce un americano di dieci anni più
understand her husband’s death and, when she meets an
giovane di lei lo sposa e lo segue in America.
American ten years her senior, she marries him and follows him
to America.
Edgar Reitz ha girato una storia d’amore, un film sulla
felicità in due che rapidamente diventa una famiglia di
Edgar Reitz has created a love story, a film about happiness
sette persone. Una grande parte del film, quasi la metà,
between two people that quickly become a family of seven. A
illustra quel tipo di amore che distrugge chi ama passilarge part of the film, almost half of it, shows the type of love
vamente: incontri dei due nella brughiera, nella natura, in
that destroys those who love passively. There are scenes of rencui Elisabeth dice di “prosperare” particolarmente bene;
dezvous in fields, in nature, in which Elisabeth claims to
scene d’amore sul grande divano-letto, che Elisabeth ha
“flourish” particularly well; love scenes on the large sofa-bed,
proclamato il mobile più importante del piccolo appartawhich Elisabeth declares the most important piece of furniture
mento; sguardi silenziosi e teneri, dialoghi, parole “gocin the small apartment; silent and tender looks and dialogue
ciolanti” davanti alla finestra chiara; visite di amici,
and words “trickled” in front of a clear window; friend’s visits;
chiacchiere alle feste, si sta accoccolati per terra, Elisabeth
chats at parties; the couple embracing on the ground. Elisabeth
rende pubblica la propria felicità: “Lo si sente nel cuore,
makes her happiness public: “It can be felt in the heart, in the
nell’anima, ci si sente liberi, felici, si è semplicemente felisoul, it makes us free, happy, we are simply happy… Happiness
ci… La felicità sarà compiuta soltanto quando ci sarà
will be achieved only when there will be pain as well. We need
anche un dolore. Lo si vorrebbe avere più spesso”. Il film
more of that more often”. The film does not criticise anything,
non critica nulla, mostra soltanto la vorace felicità di
it only shows Elisabeth’s voracious happiness and its conse-
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
EDGAR REITZ
133
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
Elisabeth e le sue conseguenze. Osserva il modo in cui
recita, il suo modo di muoversi e di compromettersi e di
essere libera e ingenua, e di non riflettere sulle esperienze, raccontandole ingenuamente e traducendole in luoghi
comuni. […] Il film, mostrando le immagini del suo
amore e del suo matrimonio, descrive la coscienza di una
donna il cui desiderio eteronomo di essere se stessa e di
diventare “più ricca” attraverso le esperienze, coincide
idealmente con l’immagine imposta alla donna dalla
società. L’irrealtà del suo modo di amare e del suo amore
per la vita dimostra l’irrealtà dei desideri indotti dalla
società, che hanno prodotto proprio quel modo di amare
e quell’amore per la vita. (Ernst Wendt, “Film”, n. 3, 1967)
BIOGRAFIA
Edgar Reitz (Morbach, 1932) ha studiato giornalismo, storia della letteratura e del teatro e contemporaneamente
ha preso lezioni di recitazione. Direttore artistico, cameraman, montatore, firmatario del “Manifesto di
Oberhausen”, ha fondato insieme a Alexander Kluge
l’Istituto di Composizione Cinematografica alla
“Hochschule für Gestaltubg” di Ulm dove è stato docente di direzione artistica, fotografia e montaggio. Dal 1959
autore di cortometraggi e film industriali.
quences. Observe the way in which she acts, her way of moving
and compromising herself, her freedom and ingenuousness, her
lack of reflection on her experiences, which she recounts naively and translates into clichés. […] The film, depicting the
images of her love and her marriage, describes the conscience of
a woman whose heteronomous desire to be herself and to become
“enriched” through experience coincides ideally with the image
of woman imposed by society. Her unrealistic manner of loving
and love for life demonstrate the unrealistic wishes induced by
a society which has produced exactly that manner of loving and
that kind of love for life. (Ernst Wendt, “Film”, n. 3, 1967)
BIOGRAPHY
Edgar Reitz (Morbach, 1932) studied journalism, literary and
theatre history, while simultaneously taking acting lessons. An
artistic director, cameraman, editor, and one of the writers of
“Oberhausener Manifest”, Reitz founded the Institute of
Cinematographic Composition with Alexander Kluge at the
Ulm “Hochschule für Gestaltubg”. At the institute, he taught
artistic direction, photography and editing. He has been making short and industrial films since 1959.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Auf offener Bühne (co-regia: Bernhard Dörries, Stefan Meuschel, 1954, cm), Gesicht einer Residenz (co-regia: B. Dörries, S.
Meuschel, 1954), Schicksal einer Oper (co-regia: B. Dörries, 1958, cm), Baumwolle (1959, doc., mm), Krebsforschung I und II
(1960, doc., cm), Yucatan (1961, cm), Kommunikation (1961, cm), Post und Technik (1961, doc., cm), Ärztekonfress (1961, doc.,
cm), Moltoproben 1-4 (1961, doc.), Gechwindigkeit (1963, cm), VariaVision (multiproiezione, 1965, cm), Binnenschiffahrt (1965,
cm), Die Kinder (1966, cm), Mahlzeiten (1966), Füssnoten (1967), Uxmal (1968, incompiuto), Filmstunde (1968, doc.), Cardillac
(1969), Geschichten von Kübelkind (co-regia: Ula Stöckl, 1970), Kino Zwei (1971, Tv), Das Goldene Ding (co-regia: Alf
Brustellin, Ula Stöckl, Nikos Pierakis, 1972), Die Reise nach Wien (1973), Im Gefahr und grosster Not bringt der Mittelweg den
Tod (co-regia: Alexander Kluge, 1974), Alstadt-Lebensstadt (1975, doc., cm), Wir Gehen wohnen (1975, doc., cm), 7 Jahre - 70
Jahre (1975, cm), Stunde Null (1976), Deutschland im Herbst (ep. Grenzstation, 1978), Der Schneider von Ulm (1978), Susanne
tanzt (1979, cm), Geschichten aus den Hunsrückdörfer (1981, doc.), Biermann - Film (co-regia: Alexander Kluge, 1983, cm),
Heimat - Eine deutsche Chronik (1984), Die Zweite Heimat - Chronik einer Jugend (1992), Die Nacht der Regisseure (1995)
134
O DESAFIO
(t.l. La sfida)
L’azione si svolge poco
prima dell’aprile del 1964,
quando venne deposto il presidente del Brasile João
Goulart. Marcelo, giornalista
e romanziere, attraversa una
fortissima crisi, vedendo i
suoi amici in carcere. Ha una
relazione con Ada, una giovane ragazza della ricca borghesia carioca, sposata con
un industriale. Fra di loro c’è
una vera affinità e sono
entrambi intellettuali e progressisti. Ma lei non lascerà
mai il marito e i figli. Marcelo
prende coscienza della sua
incapacità di agire, del fatto
che anche il suo amore può
diventare una pura e semplice evasione, un modo per
non impegnarsi in cause più
serie. Dopo un’ultima discussione con un vecchio
intellettuale disilluso e fallito, Marcelo capisce che è
arrivato il momento di agire.
sceneggiatura/screenplay: Paulo César Saraceni
fotografia/photography (35mm, b/n): Guido Cosulich
montaggio/editing: Ismar Porto
musica/music: Mozart, Villa-Lobos, Vinicius de Moraes, Zé
Keti, Edu Lobo, Caetano Veloso, Carlos Lira, J. De Paula
interpreti/cast: Oduvaldo Vianna Filho, Isabela, Sérgio
Brito, Luiz Linhares, Joel Barcellos, Hugo Carvana,
Gianina Singulani, Marilu Fiorani, Renata Graça, Couto
Filho, Zé Keti, Maria Betania
produzione/production: Mário Fiorani, Produtora
Cinematografica Imago, Mapa, Sérgio Saraceni
durata/running time: 90’
origine/country: Brasile 1965
Molto complesso a livello di
pensiero, il film parte da fatti reali che non si discutono,
come non si discutono i dogmi cattolici o marxisti. La
crisi dei sentimenti è motivata da una crisi morale e politica che il film non spiega, dandola piuttosto come dimostrata dall’inizio. La scrittura del dialogo è molto astratta,
molto concettuale, anche se resa in uno spirito molto
“cinema direct”. Nessuno può farci niente: un intellettuale, anche quando si lava i denti fa della letteratura. Si
parla molto nel film, si parla di tutto: politica, amore,
poesia, musica popolare, soldi ecc. Ci sono anche dei
grandi silenzi… Canzoni commentano l’azione (nuovo
omaggio a Brecht). La lotta di classe esplode nell’amore e
la dialettica dei sentimenti si sostituisce alla progressione
drammatica. Tra la donna e l’impegno sociale, il giovane
intellettuale sceglie la seconda, incapace di conciliare i
due poli della sua attività. Se egli dimostra da un lato
un’incapacità di vivere, propria all’adolescente, dall’altra
va fino alla fine delle sue responsabilità e resta solo con il
suo dolore. Più che un film moderno, un film contempo-
The action takes place a little bit
before April 1964, when the
President of Brazil, João
Goulart, was overthrown.
Marcelo, a Journalist and novelist, goes through a very deep crisis when he sees his friends in
prison. He has a relationship
with Ada, a young woman from
the rich bourgeoisie who has
married a businessman. There is
a real affinity between them
since they are both intellectuals
and progressives. However, she
will never leave her husband
and children. Marcelo becomes
aware that he is incapable of acting, and that his love affair
could become a pure and simple
evasive action, a way of not
committing himself in more
serious causes. After his latest
discussion with an old, disillusioned and failed intellectual,
Marcelo understands that now
is the time to take action.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
PAULO CÉSAR SARACENI
Highly complex on the philosophical level, the film is based
on true facts that are never discussed, just as Catholic and
Marxist dogmas are not discussed. The emotional crisis is
spurred by a moral and political crisis that the film does not
explain and leaves dangling from the beginning. The dialogue
is very abstract, very conceptual, even if it is presented in a
very “direct cinema” fashion. Nothing can be done: an intellectual, even when brushing his teeth, creates literature. There
is a lot of talking in the film, about everything: politics, love,
poetry, pop music, money, etc. There are also long silences…
Songs comment on the action (a new homage to Brecht). The
class struggle explodes into love and the emotional dialectic
becomes dramatic progression. Having to choose between the
woman and social activism, the young intellectual chooses the
latter, incapable of reconciling the two extremes in his life. If on
the one hand he demonstrates an inability to live, as an adolescent, on the other he sees his responsibilities through to the end
and ends up alone with his pain. More than a modern or contemporary film, as P. E. Sales Gomes defined it, it is fictional
reportage, like Rome Open City or L’Espoir, and was shot
135
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
raneo, come lo ha definito P. E. Sales Gomes, fiction
reportage, come Roma città aperta o L’Espoir, è stato girato
mentre gli avvenimenti che descriveva erano ancora in
corso, senza nascondere un’opposizione a coloro che
occupano il potere. (Louis Marcorelles, “Cahiers du
Cinéma”, n. 172)
BIOGRAFIA
Paulo César Saraceni (Rio de Janeiro, 1933) a 21 anni è critico cinematografico, oltre che attore e regista teatrale.
Frequenta nel 1961 il Centro Sperimentale di
Cinematografia a Roma. Dopo un paio di cortometraggi
debutta nel lungo l’anno successivo con Porto das Caixas,
dove è evidente l’influenza del neorealismo.
while the events which it depicts were still happening, without
hiding its opposition to those in power. (Louis Marcorelles,
“Cahiers du Cinéma”, n. 172)
BIOGRAPHY
At the age of 21, Paulo César Saraceni (Rio de Janeiro, 1933)
worked as a film critic, as well as an actor and theatre director.
He attended the Centro Sperimentale di Cinematografia in
Rome in 1961. After completing a couple of short films he
debuted the following year with his first feature, Porto das
Caixas, in which the influence of neorealism on his work was
obvious.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Arraial do Cabo (1960), Porto das Caixas (1962), Integração Racial (1964), O Desafio (1965), Capitu (1968), A Casa Assassinada
(1971), Amor, Carnaval e Sonhos (1972), Anchieta, José do Brasil (1977), Ao Sul do Meu Corpo (1982), Bahia de Todos os Sambas
(1983, doc.), Natal de Portela (1988), O Viajante (1999)
136
WALKOVER
(t.l. Vittoria facile)
Andrzej incontra per caso su
un treno Teresa, studentessa
che tempo prima aveva provocato la sua espulsione dall’università. Ora ingegnere,
sta per presentare un progetto. Andrzej la accompagna,
conosce un allenatore di
pugilato e accetta di partecipare a un match, che vince.
Ritenendo un secondo match
troppo difficile, decide di
ripartire con Teresa, ma
all’ultimo momento viene
convinto a tornare indietro.
Andrzej vince per walkover.
L’avversario non si è presentato ma lo attende nella sala
ormai vuota: non ha disputato la gara perché corrotto
dall’allenatore, e ora pretende la sua parte di premio.
Andrzej rifiuta, accetta la
sfida e cade a terra sconfitto.
sceneggiatura/screenplay: Jerzy Skolimowski
fotografia/photography (35mm, b/n) Antoni Nurzynski
montaggio/editing: Alina Faflik, Jerzy Skolimowski
musica/music: Andrzej Trzaskowski
suono/sound: Mikolaj Kompa-Altman
scenografia/art direction: Zdzislaw Kielanowski
interpreti/cast: Krzysztof Chamiec, Andrzej Herder,
Henryk Kluba, Tadeusz Kondrat, Franciszek Pieczka,
Jerzy Skolimowski, Stanislaw Tym, Stanislaw Zaczyk,
Aleksandra Zawieruszanka
produzione/production: Syrena
durata/running time: 76’
origine/country: Polonia 1965
I due lungometraggi di
Skolimowski manifestano la
stessa intenzione di percorrere da cima a fondo un tragitto difficilmente individuabile e irriducibile alle denominazioni accettate di situazione, svolgimento o esplorazione. In Rysopis o Walkover, l’assenza di raggruppamento, di
raccolta, è l’unica costante. Certo, i temi si intrecciano da
un film all’altro, paralleli o convergenti. Ma, invece di
sviluppare, variare o approfondire il loro movimento, lo
neutralizzano, lo confondono. La corsa di un solitario e il
paesaggio urbano, termini apparentemente identici nei
due film, sono forzatamente staccati, isolati in un altro
spazio e in un altro tempo, senza alcuna possibilità di
somiglianza. Perché la somiglianza si fonda sull’identità,
la caratterizzazione, il dettaglio, e sembra che niente
possa permettere una pretesa individualizzazione, una
qualsiasi distinzione, un riconoscimento approssimativo
nell’universo di Skolimowski. Il personaggio non possiede nulla di proprio e non presenta nessuna particolarità,
nessun segno rivelatore. E ciò che gli accade non è molto
più determinante. Fatti e atti, parole e gesti, appaiono
così come sono, sprovvisti di qualsiasi motivazione, di
Andrzej accidentally runs into
Teresa on a train; during their
student days she was the cause
of his expulsion from university.
She is now an engineer and is on
her way to make a project presentation. He accompanies her,
meets a boxing trainer and
accepts to fight a match, which
he wins. Believing a second
match to be too difficult, he
decides to leave with Teresa but
at the last moment is persuaded
to stay and fight. Andrzej wins
on a walkover because the opponent does not show up.
However, the latter is waiting
for Andrzej in the deserted
arena afterwards: he threw the
match because he has been corrupted by his trainer, and now
demands that Andrzej give him
his take of the prize money.
Andrzej refuses and instead
accepts the other man’s challenge to a fight, which Andrzej
loses when he is knocked out.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
JERZY SKOLIMOWSKI
Skolimowski’s two feature films
manifest the same intention to cover a journey from beginning
to end, a journey that can hardly be singled out and confirmed
for its acceptable situations, developments or explorations. The
absence of a group, of a gathering, is the only constant Rysopis
or Walkover. Certainly, the themes intertwine from one film to
the next; they are either parallel or converging. However,
instead of developing, altering or studying their movement
more deeply, he neutralises and confuses them. The path of the
lone individual and the urban landscape – elements that are
apparently identical in the two films – are forcefully detached,
isolated in another space and another time, without any possibility of resembling each other. Because resemblance is based on
identity, characterisation, detail, and it would seem that nothing could permit so-called individualisation, a distinction of
any kind, or approximate recognition in Skolimowski’s universe. The character owns nothing of his own and demonstrates
no distinguishing mark, no telltale sign. And that which happens to him is not any more conclusive. Facts and actions,
words and gestures, appear just as they are (lacking any moti-
137
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
qualsiasi riferimento a un passato noto, di qualsiasi
implicazione con un progetto imperativo, incolori e come
privi di qualità. Ogni cosa si trova a essere allora parassitaria, esistendo solo per perpetuare l’uniformità minacciata (l’uniformità esclude riassorbendola qualsiasi somiglianza). (André Téchiné, “Cahiers du Cinéma”, n. 178)
vation or allusion to a known past, or any implication of an
imperative plan), colourless and seemingly devoid of features.
Each thing seems to be parasitic, and exists only to perpetuate
the threatened uniformity (uniformity excludes reabsorbing
any kind of resemblance). (André Téchiné, “Cahiers du
Cinéma”, n. 178)
BIOGRAFIA
Jerzy Skolimowski (Lodz, 1938) si laurea in etnologia, letteratura e storia all’Università di Varsavia nel 1959 e in
regia all’Accademia cinematografica di Lodz nel 1962.
Dopo aver lavorato come sceneggiatore e attore per
Roman Polanski e Andrzej Wajda, debutta nel lungometraggio con Rysopis. In seguito alla censura per Rece do
góry abbandona la Polonia per lavorare in Inghilterra,
Australia, Italia e USA.
BIOGRAPHY
Jerzy Skolimowski (Lodz, 1938) graduated in ethnology, literature and history from the University of Warsaw in 1959 and in
directing from the Film Academy in Lodz in 1962. After having worked as a screenwriter and actor for Roman Polanski and
Andrzej Wajda, he debuted as a director with the feature film
Rysopis. After his film Rece do góry was censored, he left
Poland to work in England, Australia, Italy and the US.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Oko wykol (1960, cm), Hamles (1960, cm), Erotyk (1960, cm), Pienadze albo zycie (1961, cm), Boks (1961, cm), Akt (1962, cm),
Rysopis (1964), Walkover (1965), Bariera (1966), Le départ (1967), Rece do góry (prima versione, 1967), Dialóg 20-40-60
(primo episodio, Dvadsat’ rocni, 1968), The Adventures of Gerard (1970), Deep End (1970), King, Queen, Knave (1972), The
Shout (1978), Rece do góry (seconda versione, 1981), Moonlighting (1982), Success Is the Best Revenge (1984), The Lightship
(1985), Acque di primavera (1989), Ferdydurke (1992)
138
DER BRÄUTIGAM, DIE KOMÖDIANTIN
UND DER ZUHÄLTER
(t.l. Il fidanzato, la commediante
e il ruffiano)
Un triangolo tra il marito,
un’attrice e il suo protettore.
Nella prima parte l’attrice
uccide il protettore. La
seconda parte mostra (concentrati in 10 minuti) tre atti
della pièce di Ferdinand
Bruckner. Dopo una scena
nuziale, l’attrice torna a casa
e recita affacciata alla finestra
poesie d’amore del mistico
Juan de la Cruz.
A triangle between an actress,
her husband and her pimp. In the
first part the actress kills the
pimp. The second part (which is
condensed in 10 minutes) shows
three acts from the work by
Ferdinand Bruckner. After the
nuptial scene, the actress returns
home and, with her face against
the window, recites love poems
by the mystic Juan de la Cruz.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
JEAN-MARIE STRAUB - DANIÈLE HUILLET
It is not a political film, if “politNon è un film politico, se per
ical” implies a film about politi“politico” si intende un film
cal affairs. It is a film about love,
sugli affari della politica. È
if by “love” one does not mean
un film sull’amore, se per
the transactions of love and
sceneggiatura/screenplay: Danièle Huillet, Jean-Marie
“amore” non si intendono gli
using love that the film deals
Straub dal testo teatrale Krankheit der Jugend di
affari dell’amore e con l’amowith. The first sequence (over 7
Ferdinand Bruckner
re di cui tratta il film. La
minutes long) is a tracking shot
fotografia/photography (35mm, b/n): Hubertus Hagen,
prima sequenza (più di 7
along a street at night: there are
Niklaus Schilling
minuti) è una carrellata
chewing gum, petrol, and people
montaggio/editing: Danièle Huillet, Jean-Marie Straub
musica/music: Johan Sebastian Bach
lungo una strada, di notte:
for sale. Only the billboards are
suono/sound: Peter Lutz
sono in vendita gomma da
lighted; the people (the hookers,
interpreti/cast: Rudolf Waldemar Brem, Rainer Werner
masticare, benzina, persone.
the clients) seem to belong to the
Fassbinder, Irm Hermann, Kristin Peterson, Jimmy
Soltanto i cartelloni pubblicishadows. They appear in the
Powell, Peer Raben, Hanna Schygulla, Lilith Ungerer
tari sono illuminati; le persolight creating a stylised and lapproduzione/production: Klaus Hellwig, Janus Film und
ne (le puttane, i clienti) semidary theatrical performance,
Fernsehen, Straub-Huillet
brano appartenere al regno
speaking schematically of the
durata/running time: 23’
delle ombre. Si affacciano
violent “social games” of an
origine/country: RFT 1968
alla luce per una rappresenimpoverished class […] Here the
tazione teatrale, stilizzata e
magic (the elevation and catharlapidaria, in cui si parla in modo schematico dei violenti
sis of man through art) becomes a cartoon. It disturbs the exter“giochi di società” di una classe decaduta. […] Qui la
nal reality even further: the street noise penetrates the theatrimagia (elevamento e catarsi dell’uomo attraverso l’arte)
cal performance. During the funeral the magic (the elevation
diventa fumetto; inoltre disturba la realtà esterna: il
and catharsis of man through religion) still works. But even
rumore della strada penetra nella rappresentazione teahere there is an element of disturbance: the husband is black
trale. Nel funerale la magia (elevamento e catarsi dell’uoand is being persecuted. In the exclusiveness of the religious
mo attraverso la religione) funziona ancora. Ma anche qui
ritual the existence of racism is pointed out (through the camc’è un elemento di disturbo: il marito è un negro ed è perera’s positioning), and it is more violent than the attempts of
seguitato. Qui nell’esclusività del rituale religioso, si avverthe pimp (who symbolises society) to break off the relationship
te l’esistenza del razzismo (attraverso la posizione della
between the white girl and the black man. The film ends with a
cinepresa) più intensamente di quanto avvenga nei violenbeautiful, sad and Utopian sequence: the man and woman
ti tentativi del protettore (simbolo di una società) di irromspeak to one another reciting verses by the Spanish poet Juan de
pere nell’amore tra la ragazza bianca e l’uomo negro. Il film
la Cruz, a 16th century mystic. It is difficult to catch their
finisce con una sequenza bella, triste e utopica: la coppia
words; once again, the action is essential. The poetic introspec-
139
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
si parla citando versi del poeta spagnolo Juan de la Cruz,
un mistico del XVI secolo. È difficile afferrarne le parole;
ancora una volta, è essenziale l’azione. L’introspezione
poetica ha a che fare con la speranza, ma anche con l’abbandono. (Alf Brustellin, “Süddeutsche Zeitung”, 9 aprile 1969)
BIOGRAFIA
Jean-Marie Straub (Metz, 1933) si trasferisce a Parigi nel
1954 e incontra Danièle Huillet (Parigi, 1936). Lasciano la
Francia nel 1958 per Amsterdam, quindi si trasferiscono
in Germania. Straub viene condannato in contumacia a
un anno di prigione per essersi rifiutato di fare il servizio
militare in Algeria (amnistiato nel 1971). Nel 1969 si trasferiscono ancora, da Monaco a Roma.
tion represents hope, but also abandonment. (Alf Brustellin,
“Süddeutsche Zeitung”, 9th April 1969)
BIOGRAPHY
Jean-Marie Straub (Metz, 1933) moved to Paris in 1954, where
he met Danièle Huillet (Paris, 1936). In 1958, they left Paris
for Amsterdam and later moved to Germany. Straub was sentenced in absentia to a year in prison for having refused to serve
a military term in Algeria (but granted amnesty in 1971). In
1969 they moved again, from Munich to Rome.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Machorka-Muff (1963, cm), Nicht versöhnt oder es hilft nur Gewalt wo Gewalt herrscht (1965, mm), Chronik der Anna Magdalena
Bach (1968), Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter (1968, cm), Othon (1969), Einleitung zu Arnold Schenbergs
Begleitmusik zu einer Lichtspielscene (1972, cm), Geschichtsunterricht (1973), Moses und Aron (1974), Fortini/Cani (1976), Toute
révolution est un coup de dés (1977, cm), Dalla Nube alla Resistenza (1979), Trop tot, trop tard (1981), En rachachant (1982),
Klassenverhältnisse (1984), Der Tod des Empedokles (1987), Schwarze Sünde (1989, mm), Cézanne: Conversation avec Joachim
Gasquet (1989, mm), Antigone (1992), Lothringen! (1994, cm), Von heute auf morgen (1997), Sicilia! (1999), Operai, contadini (2001)
140
SUNA NO ONNA
(La donna di sabbia)
Sulle coste giapponesi un entomologo
viene ospitato per la notte da una donna
che vive in fondo a un burrone e combatte contro l’avanzata della sabbia del
deserto. L’uomo rimane intrappolato, e
tra i due inizia una strana relazione.
Along the Japanese coast, a woman who
lives in the bottom of a ravine and is fighting against the advancing desert sand takes
in an entomologist for the night. The man
ends up trapped there, and a strange relationship develops between the two of them.
Symbols are beginning to lose ground, and
I simboli stanno perdendo terreno e l’ostithe obstinate tendency to see them in every
nata tendenza a vederne in ogni film
film is beginning to show signs of fatigue.
comincia a indebolirsi. […] A proposito di
[…] As far as Suna no onna is concerned,
Suna no onna, la critica è stata quasi unathe critics were unanimous in declaring that
nime nel dichiarare che il film non contiethe film does not contain symbols, or at least
ne simboli, o perlomeno che il simbolismo
that the symbolism is secondary. A Kafkavi è secondario. Film kafkiano, beckettiaesque, Beckett-esque, Camus-esque film, it is
no, camusiano, illustrazione del destino
an illustration of the absurd fate
assurdo dell’uomo sottoposto a
sceneggiatura/screenplay: Abe Kôbô dal suo romanzo
of man, who is subjected to a
un compito infinito, dramma
fotografia/photography (35mm, col.): Segawa Hiroshi
never-ending task. An intellectudell’intellettuale che si confronmontaggio/editing: Shuzui Fusako
al drama that confronts the practa con i problemi della vita pramusica/music: Takemitsu Toru
tical problems of life, a parable on
tica, parabola sullo sfruttameninterpreti/cast: Okada Eiji, Kishida Kyôko, Ito Hiroko,
the exploitation of farmers by the
to dei contadini da parte dei
Mitsui Koji, Yano Sen, Sekiguchi Kinzo
labour unions or even a discovery
sindacati o anche scoperta dei
produzione/production: Teshigahara Productions, Toho
of true values in isolation and in
valori autentici nell’isolamento
durata/running time: 127’
work, values that contradict an
e nel lavoro, valori che si
origine/country: Giappone 1964
illusory freedom. All of this is of
oppongono a una illusoria
little importance as the form unifies everything. The strength of
libertà: tutto questo non ha più importanza poiché la forma
the mise-en-scène reabsorbs the multiplicity of the contents. The
unifica tutto. La forza della messa in scena riassorbe la molteonly visible reality substitutes the common support of the various
plicità dei contenuti, l’unica realtà visibile sostituisce il supporpossible implications; the clarity, the evidence, the unalterability of
to comune dalle varie implicazioni possibili, la chiarezza, l’evithe imagery withstands the abundancy of meanings. This would
denza, l’inalterabilità dell’immagine resiste alla prolificazione
satisfy us if Teshigahara had not included a third character besides
dei significati. Questo basterebbe se il film non comprendesse
the man and woman, as the title indicates: the sand. This is the
un terzo protagonista oltre all’uomo e alla donna, come indica
most awful, the most ambiguous and the least loyal of all the
il titolo: la sabbia. Tra tutti i materiali filmabili è il più perfido,
filmable material. Its polymorphous state, its varying depending
il più ambiguo e il meno fedele. E il suo essere polimorfo, il
on the lighting, the distance and the situation, singularly comprovariare a seconda dell’illuminazione, della distanza, dell’ammises the deliberate realism of the beginning. (Jean Narboni,
biente, compromettono in modo singolare il partito preso rea“Cahiers du Cinéma”, n. 163)
lista dell’inizio. (Jean Narboni, “Cahiers du Cinéma”, n. 163)
BIOGRAFIA
Teshigahara Hiroshi (1927-2001) era il figlio di Teshigahara
Sofu, il fondatore della scuola di Ikebana di Sogetsu. Si diploma in pittura a olio all’Università di Musica e Belle Arti di
Tokyo nel 1950. Dal 1958 è stato direttore del Sogetsu Art
Center, e ha svolto un ruolo importante in attività di avanguardia in tutti i campi artistici.
CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”
TESHIGAHARA HIROSHI
BIOGRAPHY
Teshigahara Hiroshi (1927-2001) was the son of Teshigahara
Sofu, the founder of the Ikebana School in Sogetsu. In 1950 he
graduated from the Tokyo National University of Fine Arts and
Music in oil painting. In 1958 he became the director of the
Sogetsu Art Centre and took on a leading role in avant-garde
activities in all the artistic fields.
FILMOGRAFIA/FIMOGRAPHY
Otoshiana (1962), Kashi to kodomo (1962), Suna no onna (1964), Ako (ep. di La Fleur de l'âge, 1964), Tanin no kao (1966),
Bakuso (1967), Moetsukita chizu (1968), Summer Soldiers (1972), Antonio Gaudí (1984, doc.), Rikyu (1989), Goh-hime (1992)
141
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60
EDGARDO COZARINSKY
LE CINÉMA DES “CAHIERS”
CINQUANTE ANS D’HISTOIRE
D’AMOUR DU CINÉMA
(t.l. Il cinema dei “Cahiers”
Cinquant’anni di storia d’amore
per il cinema)
Ben prima di festeggiare, nel 2001, il loro mezzo secolo, i
Well before celebrating its half-century anniversary in 2001,
“Cahiers du Cinéma” sono diventati una rivista mitica nel
“Cahiers du Cinéma” had already become a legendary magazine
mondo. E con ragione: è lì che hanno cominciato a pubblithroughout the world. And with reason: this is where the first
care i loro testi (più che “critiche”) i registi che, intorno al
texts (which were more than just criticisms) were published by
1959, dovevano imporre il loro talento individuale e al
the directors who, around 1959, felt compelled to impose their
tempo stesso la nozione di “film d’autore” e una rilettura
individual talent and, at the same time, the notion of “auteur”
della storia del cinema. I
films and a re-reading of the his“cahiers gialli” del primo
tory of film. The “yellow
Betacam SP
periodo hanno conosciuto
cahiers” of the first period lived
sceneggiatura/screenplay: Edgardo Cozarinsky
numerose metamorfosi: all’ethrough many metamorphoses.
fotografia/photography (col.): Jacques Bouquin, Ned Burgess
stetismo rohmeriano, esploraFrom a Rohmerian aestheticism,
montaggio/editing: Martine Bouquin
zione della tradizione classica
an exploration of the classical
suono/sound: Olivier Schwob, Olivier Le Vacon, André
americana così come di artisti
American tradition by artists
Rigaud
produzione/production: Canal +, Les Films d’Ici, Le Fresnoy,
come Murnau o Rossellini,
such as Murnau and Rossellini
Studio national des arts contemporains
succederà, sotto l’egida di
that led to the spreading of ideas
durata/running time: 88’
Jacques Rivette, un’apertura
that shook up the Parisian intelorigine/country: Francia 2001
alle idee che agitano il mondo
lectual world of the 1960s took
intellettuale parigino degli
place under the protection of
anni ’60. La politicizzazione portata dal ’68 conduce all’imJacques Rivette. The politicisation of 1968 led to a militant
passe militante, a ignorare i film che non corrispondono
impasse, to ignoring films that did not correspond to a way of
alla linea considerata rivoluzionaria, a riscoprire l’eresia
thinking considered revolutionary, to the rediscovery of iconoiconoclasta. Il ritorno al cinema nel suo farsi, all’industria e
clastic heresy. Film went back to being made, to industry and
all’artigianato, cioè alla vita. È stato il periodo più difficile
craftsmanship; that is, to life. It was the most difficult and
e più esigente per i giovani redattori, tavolta schiacciati dal
demanding period for the young editors, who were occasionally
prestigio di un nome: i “Cahiers du Cinéma”. Il film intencrushed by the prestige of one name: “Cahiers du Cinéma”. The
de tracciare una cronaca di più generazioni, di guerre famifilm means to retrace the story of a generation, of family wars,
liari, di eredità dilapidate o venerate, di padri assassinati,
of dilapidated or venerated legacies, of assassinated fathers, but
ma anche di amore per il cinema, ambizione di farlo in peralso of a love of cinema, the ambition to create it personally, and
sona, desiderio di appartenere a un mondo. Il metodo?
the desire to belong to a world. The approach? A “dialogued”
Una “messa in dialogo” di archivi e testimonianze, di citaaccount of archives and testimonies, of film citations and new
zioni di film e di nuove immagini, di coincidenze e conimages, of coincidences and contradictions. A film whose screentraddizioni. Un film la cui sceneggiatura ha preso forma
play took place as editing went along. Its ambition: to seize the
con il procedere del montaggio. La sua ambizione: coglieunseizable. In this case, the passing of time that marks faces,
re l’inafferrabile, in questo caso il trascorrere del tempo che
devaluates ideas and rediscovers certain irreducible emotions
segna i volti, svaluta le idee e ritrova sotto nomi diversi
hidden under different names. (Edgardo Cozarinsky)
alcuni sentimenti irriducibili. (Edgardo Cozarinsky)
142
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
Romuald Karmakar
A STRONG BOND WITH THE WORK
di Alexander Kluge
by Alexander Kluge
Dedicato a Romuald Karmakar
Dedicated to Romuald Karmakar
I
l proiezionista Sigrist aveva tratto le sue conclusioni poco
dopo l’inizio della discussione che lo aveva trattenuto,
poiché l’ultimo spettacolo ritardava per questa ragione: gli
spettatori che prendevano la parola non parlavano per
comunicare qualcosa ma per fare bella figura davanti al
famoso ospite. Questi, a sua volta, parlava o rispondeva per
affermare la sua bravura davanti agli spettatori. A Sigrist
tutto ciò sembrava superfluo come “attendere l’aurora”.
Conosceva un insegnante che si alzava di proposito alle tre
del mattino per “assistere all’aurora”. Ciò doveva servire a
mettere gli allievi, che associavano la parola “aurora” presente in un verso poetico a un concetto generico, a confronto con conoscenze concrete. Nulla al mondo avrebbe potuto costringerli ad alzarsi alle tre del mattino in piena estate
per studiare le condizioni di luce nell’arco di tempo che
precede il sorgere del sole. Non erano curiosi. Così era l’insegnante a farlo per loro. Gli era però impossibile parlare
agli allievi dell’aurora alla quale aveva assistito poiché,
verso le otto, questa si era già dissolta. Restavano solo le
parole del suo racconto che per gli studenti, ancora assonnati e disinteressati, non avevano alcun significato. In considerazione degli sforzi del loro insegnante, che aveva dato
prova di sé con la sua levataccia, gli studenti tentavano di
fare bella figura ascoltandolo con gli occhi spalancati.
T
Il proiezionista, dal canto suo, conosceva l’aurora grazie a
un film australiano girato in Sudafrica. Lì il sole sorgeva
verso le 4.30: si imponeva dalle regioni asiatiche che si affacciavano sul mare, dall’India sulle vette rocciose della costa,
di fronte alla quale, con le spalle rivolte a occidente, sedevano sulle sedie del caffè 1 due uomini condannati ingiustamente a morte. Il plotone, disposto a oriente, abbatté i prigionieri con tutte le sedie. La pellicola aveva però dei graffi.
Era stata inviata al cinema per una svista. Il proiezionista
avrebbe avuto il tempo e la capacità di restaurare la copia.
Sarebbe stato pronto a trattare le rigature che si trovavano
sul lato lucido e di riprodurre, da una copia graffiata, un’aurora di prim’ordine e senza graffi, quella delle 4.30 del mattino. Ma non volle farlo, soltanto perché un proiezionista
incapace di un’altra sala vi avrebbe potuto produrre ulteriori graffi (magari in altri punti della pellicola). Lo avrebbe
fatto solo se in seguito avesse potuto esser lui l’unico a
proiettare sullo schermo quell’alba perfetta. Ciò avrebbe
però violato l’ordine gerarchico poiché la pellicola, prima di
arrivare in questa sala cinematografica di categoria B 2,
doveva essere proiettata in una sala di categoria A.
The projectionist, for his part, knew the sunrise thanks to an
Australian film shot in South Africa. The sun rose there
around 4:30 in the morning: from the Asiatic regions which
faced the sea, from the rocky coastal peaks of India, in front of
which, with their backs turned to the west, two men unjustly condemned to death sat in café chairs 1. With their backs to
the east, the firing squad shot up the men and the chairs. The
film, however, was scratched, and had been sent to the cinema by mistake. The projectionist would have had the time
and capacity to restore the copy. He could have treated the
streaks on the glossy side of the film and reproduced, from a
scratched copy, a first rate sunrise without scratches, the
sunrise of 4:30 in the morning. But he did not want to do it,
only because another, incompetent projectionist from another cinema would have caused other scratches (perhaps on
another part of the film). He would have repaired the film
only if, from then on, he could have been the only one to project that perfect dawn onto the screen. That is, he would have
violated the hierarchical order since the film, before arriving
in that B level cinema, first had to be screened in an A level
cinema.
Il proiezionista era spiacente per la durata della discussione che bloccava la sala cinematografica. Non si trattava
assolutamente di cose evidenti come “il sorgere del sole” o
The projectionist was sorry about the duration of the discussion that was holding up the movie house. The discussion
was not about things as obvious as “the sunrise” or the
he projectionist Sigrist reached his conclusions shortly
after the beginning of the discussion that had held him
up, as the last showing had been late for the following reason:
the spectators who spoke did not do so to communicate anything, but to impress the famous guest. The guest, in turn,
spoke or replied in order to assert his expertise in front of the
audience. To Sigrist, all of this seemed as superfluous as
“waiting for the sun to rise”. He knew a teacher who woke up
every morning at three o’clock in order to watch the sun rise.
That is, the endeavour was something that should have made
the students, who associated the word “sunrise” from a poetic verse with a generic concept, compare it to their concrete
experience of the event. However, nothing in the world could
have made them get up at three in the morning in the middle
of summer to study the light conditions in the moments
before the rising of the sun. They were not curious. Thus, the
teacher did it for them. It was impossible for him, however, to
speak to his students about the sunrise he witnessed as it had
already faded away by eight o’clock. All that remained were
the words to his story that to his still sleepy and uninterested students had no meaning. Out of consideration for the
efforts of their teacher, who had proved himself with his early
rising, the students tried to make a good impression, listening to him goggle-eyed.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
UN FORTE LEGAME CON IL LAVORO
145
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
“rigature”. Non gli restava altro da fare se non attendere
passivamente. La discussione procedeva a suo discapito,
poiché sarebbe andato a letto tre quarti d’ora più tardi del
solito. Avrebbe potuto giustificare questa perdita di tempo
solo per la proiezione di una qualunque pellicola purché
assolutamente priva di graffi. Sigrist era considerato un
pignolo per ciò che riguardava la qualità dei film. Non
dovevano presentare giuntaggi o lesioni della superficie.
Dal momento che non esistevano praticamente copie così
perfette, Sigrist trovava un orrore il contenuto dei film e la
sempre più diffusa abitudine dei dibattiti in sala a favore o
contro il film stesso. Sapeva che una macchina del tempo
come il film non poteva recuperare il tempo che si era
perso in discussioni (come un macchinista di una locomotiva recupera il ritardo) e vendicava il disappunto accumulato, che provava per l’uso diverso che veniva fatto
della sala di proiezione, tagliando – durante l’ultimo spettacolo – la quarta e la quinta scena del film giallo. L’azione,
infatti, faceva un salto in avanti che, secondo Sigrist,
migliorava notevolmente il film. Avrebbe accettato volentieri di migliorare i film usando questa tecnica; si rendeva
tuttavia conto che per far ciò avrebbe dovuto tagliare le
pellicole. Il problema non era sempre tralasciare intere
scene 3. Ne sarebbero seguiti poi dei giuntaggi che avrebbero dato origine a orrendi rumori anche nel caso in cui
avesse ritoccato la colonna sonora con l’inchiostro di china.
Non era disposto ad accettare imperfezioni nella copia,
neanche in cambio di un contenuto migliore. Infine, Sigrist
pensava che il contenuto fosse irrilevante, mentre la qualità della copia è la strada sulla quale tutti i contenuti, intercambiabili o no, si muovevano. Non era disposto né a
cedere su questa questione radicale, né a trascorrere la
notte in bianco per qualcosa di relativo (=mediocre).
Alla fine della proiezione, dopo aver riavvolto la pellicola
dell’ultimo film e averla preparata per il trasporto, prese la
sua borsa. Si stupì molto del fatto che le pellicole non fossero foderate con una protezione.
NOTE
1
Le sedie del caffè erano state date in prestito dal plotone di
esecuzione.
2
A partire dagli anni ’30, in Germania, i cinema sono suddivisi
in categorie. Un film deve essere proiettato in sale di categoria
superiore, prima che il distributore possa noleggiarlo a sale di
categorie inferiori.
3
Un lungometraggio è composto generalmente da dieci rulli;
due rulli contengono cinque scene.
146
“streaks”. There was nothing else for him to do but wait passively. The discussion went on and on, to its own detriment,
and he would have to go to bed 45 minutes later than usual.
He could only justify this waste of time for the screening of a
film, any film, provided that it was free of scratches. Sigrist
was considered pedantic in regards to everything that concerned the quality of the films: there should be no splices or
cracks on the film’s surfaces. From the moment that copies
this perfect practically ceased to exist, Sigrist found their
content atrocious, as well as the increasingly popular habit of
arguing for or against the films themselves in the movie
house. He knew that even a time machine like film could not
make up for the time lost in discussions (like a train engine
driver makes up for a delay) so he avenged his built up disappointment over the contrary use that was made of the cinema by cutting – during the last showing – the fourth and
fifth scene of the mystery. To Sigrist, this act was, in fact, a
considerable step forward in improving the film. He would
have gladly accepted to improve all the films using this technique; nevertheless, he recognised that doing so would have
meant editing the films. The problem was not always leaving
out entire scenes 2: splices would have arisen that would have
created horrible noises, even if he were to retouch the soundtrack with China ink. He was not able to accept imperfections
in the copies, not even in exchange for improved content. In
the end, Sigrist believed that the content was irrelevant,
while the quality of the copy was the path down which all
content, interchangeable or not, travelled. He was unwilling
to budge from this radical idea, or stay up all night pondering something so relative (=mediocre).
At the end of the screening, after having rewound the reels of
the last film and prepared them for transport, he grabbed his
bag. He was astounded by the fact that the reels were not protected by any kind of lining.
NOTES
1
The café chairs had been loaned to the firing squad.
2
A feature film is usually made up of ten reels; two reels contain
five scenes.
BANG-BANG
Incontri con Romuald Karmakar e i suoi film
Encounters with Romuald Karmakar and his films
di Alexander Horwath
by Alexander Horwath
Q
W
uando verso la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 si
esordiva dicendo: “Il film tedesco…” vi era sempre
tra gli interlocutori e gli astanti del momento qualcuno che
sogghignava, ridacchiava oppure prorompeva in una sonora risata. Essi non erano invero così pochi e si doveva per lo
più troncare la frase anche subitaneamente (a causa dell’incresciosa sensazione oppure per il sopraggiunto riso dello
stesso relatore).
Naturalmente tutto ciò avveniva immeritatamente.
Nondimeno rispecchiava la fruizione del film tedesco tra la
critica, inoltrandosi sino agli ambienti specialistici.
L’autoqualifica di “cinema tedesco”, cosí come essa veniva
brandita tra le associazioni, tra i promotori del cinema e altri
portavoce del settore, era cioè evidentemente inconsistente e
anche un poco risibile. Codesti portavoce non sapevano bene
se, come già negli anni ’70, dovessero porre in rilievo la valenza universale degli autori del cinema tedesco oppure se fosse
preferibile sottolineare la recente volontà di mercato nazionale,
che si veniva manifestando in una corrente di successo contro i film e le commedie d’autore. Quella valenza universale
era già una chimera intorno al 1990 e la volontà di mercato
produsse soprattutto cattivi film, a mala pena esportabili.
Le reali energie del cinema narrativo di questo periodo – i
film di Michael Klier, Uwe Schrader, Dominik Graf – passarono sotto silenzio (per lo meno in ambito internazionale e
nell’autorappresentazione retorica della cultura nazionale)
tanto quanto la coerente prosecuzione dell’attività della precedente e più energica generazione: Wohin e Hades di
Achternbusch, Empedokles e Antigone di Straub/Huillet
oppure i film d’essai di Hartmut Bitomsky e Harun Farocki.
Ancor meno fu presa in considerazione l’ultima generazione, che a metà degli anni ’80 cominciò a riappropriarsi di
concetti caduti nel discredito negli ambienti della cultura
cinematografica – quali politica, storia, realtà –, per proseguire (in stile punk) là dove la scomparsa di Fassbinder
(1982), il lungo congedo di Kluge dal cinema (durato sino al
1986) e il neoconservatore “argomento Kohl” avevano lasciato dietro di sé sensibili discrasie. Menziono soltanto due rappresentanti, ma probabilmente quelli decisivi di questa generazione: Christoph Schlingensief e Romuald Karmakar.
Ciò che quindici anni più tardi possiederà forza argomentativa, precisione, intelligenza analitica e/o autentica capacità
di suscitare entusiasmo nella produzione dell’odierno lungometraggio tedesco, è quasi esclusivamente in relazione
agli artisti di questa generazione, nati tra il 1959 e il 1965: Das
Himmler-Projekt e Manila di Karmakar (entrambi del 2000),
Die Unberührbare (2000) di Oskar Roehler, Die innere Sicherheit
(2000) di Christian Petzold, Dealer (1998) e Der schöne Tag
(2001) di Thomas Arslan, nonché degli esempi “commerciali” quali 23 (1998) di Hans-Christian Schmid, Lola rennt di
Tom Tykwer (1998) oppure Sonnenallee di Leander
hen one began a sentence with “German cinema…”
towards the end of the 80s and the beginning of the
90s, there was always someone among the listeners and
onlookers that would sneer, giggle or burst out laughing.
There were indeed more than a few of these people and one
had to usually break off the sentence abruptly (due to the
awkwardness of the situation or even because of the speaker’s
own laughter).
Naturally, all of that was undeserved. Nevertheless, it
reflected what critics thought of German cinema, and even
seeped into specialised circles. The self-labelling of “German
cinema”, as it was brandished among the associations, promoters and other cinema spokespeople, was rather evidently
inconsistent and even somewhat laughable. These spokespeople didn’t know whether to emphasise the universal value of
the German auteurs or whether it was preferable to stress the
latest will of the international market, which was being
manifested in a wave of success against auteur films and
comedies. That universal value was already a chimera around
1990 and the desires of the market produced, above all, bad
films that were hardly exportable.
The real forces of narrative cinema of this period – the films
of Michael Klier, Uwe Schrader, Dominik Graf – passed by
unnoticed (at least on the international level and in the selfrepresentational rhetoric of national culture), in much the
same way that the coherent continuation of the films of the
earlier and more active generation had passed. Films such as
Wohin and Hades by Achternbusch, Straub/Huillet’s
Empedokles and Antigone, or even the more arthouse films
of Hartmut Bitomsky and Harun Farocki. The later generation was taken even less seriously and during the mid-80s it
began to re-appropriate the concepts of cinema culture that
had been discredited – such as politics, history, reality – to
carry on (in the Punk style) where Fassbinder’s death (1982),
Kluge’s long absence from cinema (which has lasted since
1986) and the neo-conservative “Kohl Argument” had left off
and left behind gaps of sensitivity. I cite only two representatives, but they are probably the crucial names of this generation: Christoph Schlingensief and Romuald Karmakar.
That which fifteen years later possesses argumentative force,
precision, analytical intelligence and/or the authentic capacity to arouse enthusiasm in the production of today’s German
feature film is almost exclusively related to the artists of this
generation, born between 1959 and 1965. For example: Das
Himmler-Projekt and Manila by Karmakar (both made in
2000), Oskar Roehler’s Die Unberührbare (2000),
Christian Petzold’s Die innere Sicherheit (2000), Dealer
(1998) and Der schöne Tag (2001) by Thomas Arslan; as
well “commercial” examples such as Hans-Christian
Schmid’s 23 (1998), Lola rennt by Tom Tykwer (1998) or
Sonnenallee by Leander Haußmann (1999). Even Christoph
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
BANG-BANG
147
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
148
Haußmann (1999). Lo stesso Christoph Schlingensief continua a fare del “cinema”, propriamente dal 1997, sia nello spazio televisivo, teatrale, politico, sia in quello reale.
Si tratta nel complesso di un vero e proprio “film sulla contemporaneità”, che negli anni ’80 è alimentato bensì dai
sentimenti di rottura con il passato e di transizione verso un
nuovo futuro, ma anche dalla successiva, problematica
esperienza della svolta e dell’unità nazionale. Esso trae alimento dalla nuova realtà del métissage, del sincretismo culturale per lo più turco-tedesco, ma anche dalle nuove energie (con molto Super8 ed egocentrismo), che attorno al 1985
furono dissipate dai “folli” come Karmakar e Schlingensief.
Certo non è un caso che Alexander Kluge, da quando è passato all’autonoma attività televisiva, abbia realizzato diverse avvincenti trasmissioni proprio con questi due giovani.
Schlingensief has continued to make “cinema”, particularly
since 1997, be it in television, theatrical, political or real
spaces.
On the whole, it is a question of a real and honest “film about
contemporaneity”, that in the 1980s fed not only on the emotions of a break with the past and the transition towards a
new future, but also on the subsequent problematic experience of a turning point and national unity. This fed on the
new reality of métissage, mostly on the Turkish-German
cultural fusion, but also on the new forces (with a lot of
Super8 and egotism) that were dissipated by “madmen” like
Karmakar and Schlingensief around 1985. It is certainly no
accident that Alexander Kluge, since beginning his independent work in television, has created various engrossing programmes on these two young directors.
Mercenaries e Mavericks 1
Mercenaries and Mavericks
Ho fatto la prima esperienza “dal vivo” di Romuald
Karmakar nell’ottobre del 1993. Con il suo film Warheads
(1992) era ospite della Viennale, il festival cinematografico
internazionale di Vienna, che allora dirigevo insieme a
Wolfgang Ainberger. Durante quei giorni viennesi egli era
membro di una “cricca” di quattro giovani registi tedeschi,
che si sentivano uniti gli uni agli altri nel loro ruolo ufficiale di agents provocateurs nonché attraverso una certa rabbia
nei confronti dell’apparato della cinematografia tedesca.
Oltre a Karmakar il gruppo comprendeva Wienfried
Bonengel (rappresentato al festival dal film Beruf Neonazi),
Christoph Schlingensief (Terror 2000 – coautore: Oskar
Roehler) e Jörg Buttgereit (Der Todesking e Schramm – protagonista: Florian Koerner von Gustorf, piú tardi produttore
di Die innere Sicherheit). Di tutti gli altri ospiti del festival i
due autonomi “artisti-outsider” Dario Argento e Terrence
Malick erano i più affascinati da loro.
Nell’ambito di una veemente tavola rotonda sul film documentario e la rappresentazione del “male” sia Bonengel che
Karmakar vennero posti a confronto nel dubbio sulla legittimità della loro opera ritrattistica: “Avete dimostrato distanza
a sufficienza? Non vi siete per caso lasciati sedurre dai vostri
protagonisti, dai ‘nemici’? In breve: non risultano il neonazista (in Bonengel) e il sicario mercenario (in Karmakar) troppo ‘simpatici’?” La notizia che la ZDF e la fondazione cinematografica Nordrhein-Westfalen avevano ricusato
Warheads, perché considerato “militarista” ed “esaltatore
della violenza”, contribuì a infiammare il dibattito.
Warheads, un film epico (che Karmakar rielaborò in seguito
su CD in forma di radiodramma e di “oratorio“), ruota
attorno a due mercenari: il tedesco, ex arruolato nella legione straniera, Günther Aschenbrenner e il più giovane Karl,
soldato di ventura proveniente dall’Inghilterra. Essi non
sono i soldati “regolari” dell’esercito, bensì i “liberi imprenditori” nel mondo dei conflitti armati, le cui biografie ed
esistenze sono qui da essi stessi esposte.
Nel ricordo di Warheads e della tavola rotonda viennese mi
sorge chiaro in che cosa consiste lo “scandalo” di Karmakar:
I had my first “live” experience with Romuald Karmakar in
October of 1993. He was a guest at the Viennale – the international cinema festival in Vienna that I co-directed with
Wolfgang Ainberger at the time – with his film Warheads
(1992). During those Viennese days he was a member of a
“gang” of four young German directors, who felt connected to
one another in their official roles as agents provocateurs, as
well as in their rage against the German film system. Besides
Karmakar, the group was made up of Wienfried Bonengel
(whose film Beruf Neonazi was shown at the festival),
Christoph Schlingensief (Terror 2000; co-author: Oskar
Roehler) and Jörg Buttgereit (Der Todesking e Schramm;
main characters: Florian Koerner von Gustorf, as well as the late
producers of Die innere Sicherheit). Of all the other guests at
the festival, the two autonomous “outsider artists” Dario
Argento and Terrence Malick were the most fascinated by them.
During a heated round table on documentary films and the
depiction of “evil” both Bonengel and Karmakar were questioned regarding doubts of the legitimacy of their “portraiture” work: “Did you maintain enough of a distance? Didn’t
you accidentally allow yourselves to be seduced by your characters, by the ‘enemies’? In short, don’t the neo-Nazi (in
Bonengal’s film) and the mercenary assassin (in Karmakar’s)
come across as too ‘sympathetic’?” The news that the ZDF and
the Nordrhein-Westfalen film fund had rejected Warheads,
because they felt that [Karmakar] was “militaristic” and “glorified violence”, only succeeded in inflaming the debate.
Warheads, an epic film that Karmakar later reworked onto
CD in the form of a radio play and “oratory”, revolves
around two mercenaries: the German Günther
Aschenbrenner, an ex-Foreign Legion recruit, and the
younger Karl, an English soldier of fortune. They are not
“regular” army soldiers, but rather “freelancers” in the
world of armed conflicts, whose biographies and existence are
exposed here by the men themselves.
The reason behind Karmakar’s “scandal” stands out clearly
in my memory of Warheads and of the round table in
Vienna: the men that he films are not pigeonholed at first
sight (nor later), or scrupulously classified in moral or political categories. He does not filter his characters and their stories through a convenient set-up (attitude), but rather as a
director he always chooses the correct set-up (camera
angle). This is exactly the same problem that plagues any
pedagogical idea in cinema asserted by all those artists who
once and for all opened their eyes onto the world; who allow
themselves to be literally seduced, even if not by evil, than by
the contradictions and fullness of a “different” life and philosophy that is not pedagogically respectable. In Warheads a
mercenary-instructor says to the group of actors during a
demonstration on the use of tear gas: “This stinks to the
point where even you will feel it.” Then he turns and says to
his volunteer adventurer students in his training camp:
“You can stand it. It will sting you, but you can do it.” These
words seem to be spoken as if they were also directed at the
overly worried film audience.
His attitude deep down – his genuine interest in “intolerable” men as well as different lifestyles – unites Karmakar
with certain American directors, among them, for example,
Peckinpah, Monte Hellman and even John Cassavetes.
Moreover, these directors were even considered mavericks
that rarely loved subjugating themselves to the rules of the
film market. Karmakar follows in their footsteps even in this
aspect. Among his short documentaries there is a video-interview about Cassavetes (Sam Shaw on John Cassavetes,
1990) and one with Monte Hellman (Hellman Rider, 1988,
made together with Ulrich von Berg). Hellman’s masterpiece,
Cockfighter (1974), was based on the eponymous novel
about a cockfighting trainer by the US writer Charles
Willeford, who was also a maverick. Karmakar dedicated his
own film on cockfighting, Gallodrome (1988), to him.
The relatively rough video, Hellman Rider, is the obvious
product of a fan. Karmakar did the filming while Ulrich von
Berg asked the questions. Nevertheless, at a certain point,
when the setting sun reflected against the car window onto
Hellman’s face, Karmakar begins to speak: “You look good
with sunglasses.” And Hellman responds: “I can certainly
see better with them.” This fleeting moment, which is also a
good pun on seeing and appearing, calls to mind the classic
cinephile student-teacher relationship, like what once existed
between John Ford and Peter Bogdanovich or between Fritz
Lang and Jean-Luc Godard: the (wise) dinosaur and the
(enthusiastic) infant.
The mavericks stand out for their ability to pick themselves
up again despite the world’s hostility, despite the rejections
and humiliations, and for knowing how to find renewed energy because of them. For which other German artist’s character growth has the experience of rejection and hostility
towards his work been so crucial? The tense relationships
that have existed since Karmakar’ debut, the “friction”
between his films and the various cinema promotion or television broadcast circles are part of Karmakar’s modus
operandi.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
gli uomini, che egli riprende, non appaiono di primo acchito
(e neanche in seguito) “incasellati”, scrupolosamente classificati in categorie morali o politiche. Egli non filtra i suoi personaggi e le loro storie attraverso una conveniente messa a
punto (atteggiamento), benché in quanto regista egli scelga
sempre la corretta messa a punto (posizione della macchina da
presa). Questo è esattamente il problema che possiede un’idea pedagogica nel campo del cinema per tutti quegli artisti
che una buona volta hanno aperto gli occhi sul mondo, che
si lasciano letteralmente sedurre, anche se non dal male,
bensì dalla contraddittorietà e pienezza di una vita “altra” e
di un pensiero che si trova al di fuori della rispettabilità
pedagogica. In Warheads dice un mercenario-istruttore al
complesso degli attori durante la dimostrazione sull’uso del
lacrimogeno: “Questo puzza al punto che ce ne sarà anche
un po’ per voi”. Poi si volge verso i suoi volenterosi allievi
avventurieri nel suo campo di esercitazione: “You can stand
it. It will sting you, but you can do it” 2. Queste parole sembrano un po’ essere proferite come se fossero altresì rivolte al
sin troppo preoccupato pubblico del cinema.
Il suo atteggiamento di fondo – il genuino interesse nei confronti di uomini “intollerabili” nonché verso determinati
modi di vivere – congiunge Karmakar a certi registi americani quali ad esempio Sam Peckinpah, Monte Hellman
oppure John Cassavetes. Questi registi erano per di più considerati dei “Maverick” che non sempre amavano assoggettarsi alle regole del mercato del cinema. Anche sotto questo
aspetto Karmakar procede sulle loro tracce. Tra i suoi più
brevi film documentari vi è una video-intervista su
Cassavetes (Sam Shaw on John Cassavetes, 1990) e una su
Monte Hellman (Hellman Rider, 1988, insieme a Ulrich von
Berg). Il capolavoro di Hellman, Cockfighter (1974), si fondava sull’omonimo romanzo di un preparatore di galli da
combattimento dell’autore statunitense Charles Willeford,
anch’egli un Maverick. A lui Karmakar ha dedicato il suo
personale film sul combattimento di galli, Gallodrome (1988).
Il video abbastanza grossolano Hellman Rider, è l’evidente
prodotto di un fan. Karmakar si occupa della ripresa, mentre
Ulrich von Berg pone le domande. Tuttavia a un certo
momento, allorché il sole al tramonto riverbera attraverso il
finestrino della vettura sul volto di Hellman, Karmakar
prende la parola: “You look good with sunglasses” 3. Allora
Hellman risponde: “I can certainly see better with them” 4.
Questo fugace istante, che tra l’altro è una bella trovata sul
vedere e l’apparire, richiama la classica relazione cinefila
allievo-insegnante, cosí come essa è esistita un tempo tra
John Ford e Peter Bogdanovich oppure tra Fritz Lang e JeanLuc Godard: il (saggio) dinosauro e l’(entusiasta) infante.
I Maverick si distinguono tra l’altro per la capacità di risollevarsi dalle ostilità del mondo, da rifiuti e umiliazioni,
sapendone trarre rinnovate energie. Per la maturazione
dell’identità di Karmakar, quale artista del cinema in
Germania, si è rivelata decisiva, insieme ad altri fattori, l’esperienza di rifiuto e di ostilità nei confronti della sua
opera. I rapporti tesi sin dagli esordi, le “frizioni” tra i suoi
film e i diversi ambienti di promozione cinematografica o
trasmissioni televisive sono parte del suo modus operandi.
I first heard about Karmakar in 1989. People talked with
raised eyebrows about the fact that Enno Patalas was holding
149
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
150
Ho sentito parlare di Karmakar per la prima volta nel 1989.
Ci si raccontava a sopracciglia increspate che nel famoso
museo del cinema di Monaco Enno Patalas avesse offerto a
un ignoto regista ventiquattrenne una retrospettiva globale.
Nello stesso anno Kluge realizzò la prima trasmissione su
Karmakar. La sua opera era nel complesso esigua e
Karmakar fu inequivocabilmente reputato sino ad allora
dalla maggior parte dei critici un “documentarista nato”. In
effetti i cortometraggi documentari Gallodrome e Coup de
Boule (1987, inerenti alla violenza e alla prevaricazione dei
comandanti) come anche il mediometraggio Hunde aus Samt
und Stahl (1989, sui pit bull terrier e i loro padroni) sono già
gravidi di “anticipazioni” su una concezione globale del
cinema, che poco si cura dei tradizionali confini del genere.
Attraverso un’opera di profonda astrazione nell’organizzazione delle immagini e dell’audio e nel loro montaggio scevro da commenti, ma con l’impiego di mezzi quali la reiterazione e la dilatazione (l’indugiare sul climax dopo che
esso è trascorso), quella stessa organizzazione tecnica sottesa ai suoi film viene esibita senza veli. Ciò va detto anche
per le successive opere documentarie e narrative: si avverte a ogni piè sospinto la “costruzione”, ma attraverso di
essa s’intensifica paradossalmente il turbine, l’azione vorticosa degli eventi e delle storie presentate.
Per quanto con Gallodrome venga fatto di pensare di primo
acchito al classico di Georges Franju Le Sang des Bêtes, altro
è qui tuttavia l’impeto. Non si tratta di sangue di animali e
della dialettica della civiltà “in sé”. Spinto da una curiosità
– a tutta prima apparentemente gelida – verso i giochi
logoranti con gli animali e con il corpo umano, Karmakar
s’interessa a come siano esattamente questi combattimenti, ma mostra altresì un vivo interesse per ciò che a loro
conduce e per ciò che successivamente ne rimane.
Ai colpi di testa dei soldati francesi, ai combattimenti di galli
e agli appassionati di pit bull si associano più tardi l’action
artist Flatz (Demontage IX, 1991: “Il corpo nudo e pencolante
di Flatz ‘suona’ come una campana tra due lastre d’acciaio”.)
e i pugili dilettanti in Infight (1994). Nell’ultimo film menzionato, il modello prima/durante/dopo il combattimento si rivela
particolarmente interessante da studiare. Qui (persino nel
caso di una vittoria sul ring) non vi sono trionfi da annunciare, viceversa vengono consentiti sguardi in quei punti
deboli o “folli”, che nelle migliori storie maschili sono in
aperto contrasto con l’ideale esteriore (ovvero l’immagine di
sé) dell’uomo duro e razionale. I giochi di combattimento in
Monte Hellman, ad esempio la corsa automobilistica di TwoLane Blacktop oppure i combattimenti di galli di Cockfighter,
hanno la funzione tra l’altro di mostrare gli uomini interpretati da Warren Oates non del tutto “induriti”, di fronteggiare
la loro assurda voglia di vincere mettendo a nudo la goffaggine, la tristezza, le ferite nella loro corazza. In Manfred
Zapatka, figura di macho nel film Manila, si avverte ancora
un’eco intensa di tale prospettiva. Allorché egli racconta di
avere assistito una volta a un’esecuzione capitale in Arabia
Saudita, cosa che in seguito gli procurerà difficoltà sessuali,
cita un altro gioco violento con gli animali: era “come nella
corrida quando la cosa si fa seria”.
a complete retrospective of an unknown, 24 year-old director’s work at the famous film museum in Munich. In that
same year Kluge produced his first broadcast on Karmakar.
His body of work was on the whole scant but Karmakar was
at the time declared, by the majority of critics, a “born documentary filmmaker”. Indeed, the short documentaries
Gallodrome and Coup de boule (1987, on the violence and
abuse of power of the commanders) – just like the mediumlength film Hunde aus Samt und Stahl (1989, on pitbull
terriers and their owners) – are already full of “foreshadowing signs…” of a global concession of cinema, that does not
pay much attention to the traditional confines of the genre.
Through the use of deep abstraction in the organisation of the
images and the sound, and in an editing devoid of commentary, but with the use of means such as repetition and dilatation (in lingering over the climax after it has taken place),
that same organisational technique that runs through his
films is exhibited without any masks. The same can be said
for his subsequent narrative and documentary works as well:
it is felt at every turn, but through it the whirlwind and the
whirling action of the events and the presented stories is
paradoxically intensified.
Although Gallodrome at first glance makes one of think of
Georges Franju’s classic Le Sang des Bêtes, anything else
here is nevertheless impetuous. [Gallodrome] does not deal
with animal blood or the dialectic of civilisation “in and of
itself”. Propelled by a curiosity – which at first seems cold – for
the exhausting games, the animals and the human body,
Karmakar, however, is not only interested in how these fights
really are, but also shows a lively interest in that which drives
them and in that which remains afterwards.
Only later does one associate him with the action artist Flatz
(Demontage IX, 1991: “Flatz’s naked and swinging body
‘rings’ like a bell between two slabs of steel.”) with the headbutts of the French soldiers, the cockfights, the pitbull enthusiasts and the amateur boxers in Infight (1994). In this last film,
the before/during/after the fight model is particularly
interesting to study. Here (even in the case of a victory in the
ring) there are no triumphs to declare; vice versa, those weak
and “crazy” details are looked at, which in the best masculine
stories are in blatant contrast to the exterior ideal (or selfimage) of the rational and tough male. For example, the battle
games in Monte Hellman, the car race in Two-Lane Blacktop
or even the cockfights in Cockfighter serve, among other
things, to show the not so complete “toughness” of the men
described by Warren Oates, and to confront their absurd desire
to win, exposing the awkwardness, the sadness and the wounds
in their protective armour. A strong echo of that notion can also
be sensed in the macho figure of Manfred Zapatka in the film
Manila. When he tells of having once witnessed a capital execution in Saudi Arabia, which later caused him to have sexual
problems, he also cites another violent game with animals: “it
was like the running of the bulls when it is done seriously”.
Starting with Infight one could say that Karmakar’s work
does not reach conclusions – as it has been said at times – of
“martiality” or of “the myth of the unbreakable man”, so
much as stimulate the observation of defeat and the analysis
L’ecoscandaglio
Nell’ottobre del 1995 Romuald Karmakar fu ospite della
Viennale per la seconda volta. Il suo film di debutto, Der
Totmacher (1995), con Götz George nel ruolo del serial killer Fritz Haarmann, aveva da poco suscitato scandalo alla
Biennale di Venezia. George, figlio di un famoso mimo al
tempo del nazionalsocialismo, stella di prima grandezza
del cinema tedesco e dalla fine degli anni ’50 – sulla strada
del superamento di ogni frattura con il passato – fattore
emblematico di continuità, era stato insignito della Coppa
Volpi quale miglior interprete: il suo primo riconoscimento in campo internazionale.
Al festival di Vienna George non giunse tanto con Karmakar,
quanto contro di lui. Ciò si poteva già chiaramente percepire
nel viaggio dall’aeroporto all’hotel. Durante l’incontro precedente alla presentazione del film e successivamente in scena,
durante il discorso rivolto al pubblico, gli attriti continuarono affatto apertamente. Dietro a questo conflitto si celava la
domanda su chi fosse il vero autore del film ovvero del successo di critica e di pubblico. George avvertiva se stesso
come l’artista principale e considerava il suo regista una
sorta di apprendista che avesse il permesso di stare a guardare (e sistemare l’attrezzatura di scena), mentre un testo
“ammantato di storia”, uno spazio immutato e un interprete
virtuoso si incensavano reciprocamente.
Tuttavia il metodo che innanzitutto si rivela in Totmacher –
e in molti altri film di Karmakar – non è quello dell’attore.
È il metodo di una lettura vigile, della scelta, dello scandaglio, della rielaborazione e della costruzione scenica delle
tracce testuali esistenti, dei reali “ruoli parlati” e del materiale storico ai fini del loro “compimento con il presente”.
George voleva invece salvare, si può presumere, di contro
al concetto di storia di Walter Benjamin, quello di storicismo: l’ingannevole storico, capace d’empatia, che viene a
mimare di nuovo un passato apparentemente omogeneo
quanto armonioso. Da questo contrasto di metodo tra protagonista e regista nasce una certa contraddizione interna,
che mai può o vuole fare di Totmacher una totalità.
La rielaborazione e la depurazione degli strati che si sono
formati attorno ai testi (documentari) e ai loro contesti, è un
importante elemento del cinema di Karmakar. Egli trasceglie e depura: i verbali della visita psichiatrica preliminare
al processo di Gottinga a carico di Fritz Haarmann, che è
servito da modello al ruolo interpretato da Peter Lorre in M
(Der Totmacher) 6; il discorso di più di tre ore, tenuto da
Heinrich Himmler davanti ai generali delle SS a Poznan,
che, divenuto famoso stante la sua evidenza omicida, viene
of the missing acts. To indulge in the language of the boxing
film: Karmakar shows moments of that truth “when we were
NOT kings.”
The Sonic Probe
In October of 1995 Romuald Karmakar was a guest at the
Viennale for the second time. His debut feature, Der
Totmacher (1995), with Götz George in the role of serial
killer Fritz Haarmann, had recently provoked a scandal at
the Venice Biennale. George, the son of a famous mime during the times of national-socialism, a first class star of
German cinema since the 50s – on the road to getting over
every break with the past – and an emblematic factor of continuity, was bestowed the Coppa Volpi for best actor. It was
the first international recognition he had ever received.
George did not arrive at the Vienna festival with Karmakar
so much as against him. That could be plainly felt during the
trip from the airport to the hotel. During the encounter
before the film’s screening, and later during the film and the
meeting and talk with the public, the disagreements continued openly. Behind this antagonism was the question of who
was the real author of the film, and the one responsible for the
critical and audience success. George saw himself as the principal artist and he considered his director a kind of apprentice
who had permission to stand and watch (and adjust the
equipment) while a text “cloaked in history”, an unaltered
space and a virtuoso actor were mutually flattering one
another.
Nevertheless, the method that is revealed above all in
Totmacher – and in many of Karmakar’s other films – is not
that of the actor. It is the method of a vigilant reading, of a
probe, of a re-elaboration and scenic construction of the existing textual signs, of the real “speaking roles” and the historical material reaching its goal of “concluding with the present”. However, George wanted, one can presume, to save a
concept of historicism that is the antithesis of Walter
Benjamin’s concept of history: the deceptive historian, capable of empathy, who once again mimes a past that seems as
homogenous as it is harmonious. A certain internal contradiction also arises from this contrast in methodology between
actor and director, a contradiction that does not and cannot
make something whole of Totmacher.
The re-elaboration and filtering of the layers that have been
created around the (documentary) texts and their contexts is
an important element in Karmakar’s cinema. He selects and
filters: the proceedings from the psychiatric visit prior to Fritz
Haarmann’s trial in Gottingen, modelled after Peter Lorre’s
role in M (Der Totmacher) 1; a speech over three hours long
held by Heinrich Himmler in front of SS generals in Poznan,
which became famous because of its homicidal evidence, is
nevertheless only partially recreated (Das HimmlerProjekt); the correspondence between Friedrich Nietzsche
and his mother shortly before Nietzsche “lost his lucidity”
(Der Tyrann von Turin, 1989-’94). Karmakar invents and
filters: a false document, the presumed story of one of Hitler’s
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
A partire da Infight si potrebbe dire che l’opera di Karmakar
non giunga a delle conclusioni – come qualche volta è stato
affermato – con “fare marziale” oppure con il “mito dell’uomo infrangibile”, bensì stimolando l’osservazione della
sconfitta e l’analisi degli atti mancati. Per indulgere nella
lingua del film di pugilato: Karmakar mostra gli istanti di
quella verità “when we were NOT king” 5.
151
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
nondimeno citato solo in modo assai lacunoso (Das
Himmler-Projekt); il carteggio tra Friedrich Nietzsche e la
madre poco prima dell’“ottenebramento” dello stesso
Nietzsche (Der Tyrann von Turin, 1989-’94).
Karmakar inventa e depura: un documento contraffatto, il
presunto racconto di un amico monacense di Hitler sul selvaggio periodo degli anni ’20, gravido di esperienze comuni
(Eine Freundschaft in Deutschland, 1985). Trova e depura: testi
letterari quali il radiodramma di Jörg Fauser Für eine Mark
und acht, che è servito di fondamento per il bel mediometraggio televisivo, parimenti girato in una sola località, Frankfurter
Kreuz (1997). Persino la realizzazione della sceneggiatura di
Manila, elaborata insieme allo scrittore Bodo Kirchhoff, possiede il carattere di una simile analisi stratificata.
Nei film di Karmakar l’attore è una sorta di ecoscandaglio (lo
dice Kluge di Manfred Zapatka, inteso quale “oracolo del
cielo“); una sonda che, inoltrata nel testo, vi viene “lasciata
penetrare”, per indurre questo a parlare. Ciò richiede una
problematica forma di rappresentazione a metà realistica e a
metà oltre la verosimiglianza (oppure sotto di essa), che deve
corrispondere anche all’artificiosità del testo-verità oppure
alla sua condensazione letteraria (in Fauser e Kirchhoff). A
questo riguardo l’ideale interprete di Karmakar è probabilmente Manfred Zapatka (come Warren Oates per Hellman)
– da me conosciuto sino a quel momento solo attraverso la
sua assidua frequentazione di serie televisive –, che in
Frankfurter Kreuz, Himmler Projekt e Manila sviluppa un’incredibile, ma sempre trasparente intensità. Non solo attraverso Zapatka si può supporre, a cominciare da questi film,
che Karmakar veneri e in un certo senso desideri i suoi attori-scandaglio (“You complete me” verrebbe fatto di dire a
questo punto in un film d’amore). Il “rifiuto” di Götz George,
successivo alle riprese di Der Totmacher, non dimostra pertanto necessariamente da parte di Karmakar un’eccezione
alla regola, ma piuttosto un classico caso di lotta per l’egemonia nell’industria dell’identità: un attore voleva assolutamente rimanere il re, non “completare” alcuno e comunque
essere non il messaggero, ma il messaggio stesso.
Al principio dell’opera in Super8 di Karmakar Eine
Freundschaft in Deutschland si trova una semplice frase, che
può essere applicata all’intera produzione del regista:
“Tutto l’apparato documentario di questo film è reale e la
finzione non è necessariamente fittizia”.
Non ancora ventenne, Karmakar interpreta qui Adolf
Hitler in riprese amatoriali fittizie, che il suo “amico” narrante fuori campo rincorre con il proiettore. D’altronde
anche Christoph Schlingensief ha girato alcuni anni più
tardi un film su Hitler (100 Jahre Adolf Hitler - die letzte
Stunde im Führerbunker, 1989) nonché un impetuoso remake
del film di Veit-Harlan Opfergang (Mutters Maske, 1988).
“Dobbiamo cambiare la storia per giungere a un altro materiale”, dice la voce di Alexander Kluge nel suo film Die
Patriotin. Per di più si ha a volte l’impressione che
Karmakar e Schlingensief avessero preso sul serio questa
frase più di qualsiasi altro. (Provenendo da un’altra direzione, anche Herbert Achternbusch presentò nel 1985 un
152
friends in Munich during the wild 1920s, full of common
experiences (Eine Freundschaft in Deutschland, 1985). He
finds and filters: literary texts like Jörg Fauser’s radio play
Für eine Mark und acht, which served as the basis of the
television feature Frankfurter Kreuz (1997), which was also
shot in just one location. Even the creation of the screenplay
for Manila, worked on with the writer Bodo Kirchhoff, possesses the quality of a similar layered analysis.
In Karmakar’s films, the actor is a kind of sonic probe
(Kluge says that of Manfred Zapatka, meaning an “oracle
from heaven”); a probe that, late in the text, is allowed to
“penetrate”, to induce him to talk. This requires a problematic form of representation that is halfway realistic and
halfway beyond realism (or perhaps under it), that has to also
correspond with the truth-text or with the literary condensation (in Fauser and Kirchhoff). In this sense, Karmakar’s
ideal actor is probably Manfred Zapatka (like Warren Oates
for Hellman) – whom I knew up until then only through his
professional persistence in television series – who, in
Frankfurter Kreuz, Himmler Projekt and Manila develops an increasingly transparent intensity. Not only through
Zapatka can one presume, beginning with these films, that
Karmakar venerates and in a certain sense desires his actorprobes (“You complete me” would be said at this point if it
were a romantic film). Götz George’s “rejection”, after the
filming of Der Totmacher, does not prove that Karmakar is
an exception to the rule, but rather a classic case of a fight for
superiority in the industry of identity. An actor absolutely
wanted to be king, and not “complete” someone; therefore,
not to be the messenger but the message itself.
At the beginning of Karmakar’s Super8 film Eine
Freundschaft in Deutschland there is a simple phrase, that
can be applied to all of the director’s work: “All of the documentary material in this film is real and the fiction is not
necessarily fictitious”.
Not yet twenty, Karmakar here plays Adolf Hitler in an amateurish and fictitious film, whom his narrator and off screen
“friend” chases with a spotlight. On the other hand, even
Christoph Schlingensief shot a film about Hitler several
years later (100 Jahre Adolf Hitler - die letzte Stunde im
Führerbunker, 1989) itself an impetuous remake of the VeitHarlan’s film, Opfergang (Mutters Maske, 1988). “We
have to change history to arrive at other material”, says
Alexander Kluge in his film Die Patriotin. What is more,
one has the impression at times that Karmakar and
Schlingensief took this phrase more seriously than any other.
(Coming from another direction, even Herbert Achternbusch
presented his film on Hitler, Heilt Hitler, in 1985. That happened at the beginning of his creative phase with the Super8
camera. Three years later he recruited Karmakar as assistant
director on Mixwix.)
Punk represents the second attitude present in these films.
The Super8 camera as the appropriate medium – just like in
the New York and Berlin scenes – marked a cheap liberation
from the historical-political relationships considered, up
until then, to be aesthetically and/or intellectually “correct”.
Mercy in Manila
Nella tarda estate del 1999 ebbi l’occasione di vedere un
abbozzo del montaggio di Manila, che doveva essere com-
Asked thus what led him to become a self-taught filmmaker,
Karmakar responded: “Punk, football, and the film museum
of Munich.” When at the end of Warheads he uses a sloweddown version of Iggy Pop’s rowdy hymn “Bang-Bang!
(Vukovar)” one can still sense an echo of this declaration.
Besides the fictionalised text and the fictionalised amateurish
scenes, the documentary aspect of Eine Freundschaft in
Deutschland is likewise just as important: stationary shots
of places Hitler used to visit in Munich, everyday town
squares and houses, just as they appear today (1985). The
same approach was later adopted by Karmakar in Tyrann
von Turin: Super8 images of Turin, shot in November of
1989 (the director was invited to the local “Youth Cinema”
film festival) are superimposed by Nietzsche’s letters from
and about Turin at the end of 1888 and the beginning of
1889. We can follow the discourse with our eyes, even when
we are transported to a marvellous street on the banks of the
Po River; or to the diffused autumn light of Turin coloured in
reds and golds, even though it has been shot in a “slowed
down” version 100 years later.
Karmakar’s images evoke the spirits of Hitler and Nietzsche,
to make them daily figures in a daily world: “After a film on
Adi, now a film on Fritz”. At times completely cynical, at
times almost loveable, these titans become “an acoustic effect
and an optical movement” (Olaf Möller) and as such are
recognisable as milestones for multiple thematic constructions: a historic-media Lego block.
From the perspective of expanding these strategies within the
realm of document re-elaboration, Karmakar is not only
interested in the “present” of a specific time period they
allude to, but also in that which they indirectly say of the
“after”. The Himmler-Projekt, he says, is “actually a film
about the Bonn Republic” – since the SS generals who listened to Himmler’s speak passed it down “in silence”,
together with their successful biographies, until well after
WWII, until the 1980s. In Warheads, a young girl from
Munich, who in 1991 had returned to her country of origin,
a Croatia ready for war, says of her fellow soldiers: “There are
maniacs who go to sleep with their guns. What will they do
after the war? I’m more afraid of what will come later than
the present. This will not end quickly”.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
film su Hitler: Heilt Hitler. Ciò avvenne all’inizio della sua
fase creativa con il Super8; tre anni più tardi ingaggiò
Karmakar in qualità di assistente alla regia in Mixwix).
Quello punk rappresenta il secondo atteggiamento sotteso
a queste pellicole; con il Super8 quale medium adeguato, il
quale – come anche sulla scena newyorkese e berlinese –
segnala una liberazione a buon mercato da relazioni storico-politiche sino ad allora esteticamente e/o intellettualmente “corrette”. Consultato quindi su cosa lo abbia condotto da autodidatta al cinema, Karmakar risponde: “Il
punk, il calcio, il museo del cinema di Monaco”. Quando
alla fine di Warheads impiega la versione mitigata di un
inno facinoroso di Iggy Pop – “Bang-Bang! (Vukovar)” –, si
può ancora avvertire un’eco di questa dichiarazione.
Oltre al testo fittizio e ai fittizi filmati amatoriali, l’aspetto
documentario di Eine Freundschaft in Deutschland risulta essere
parimenti importante: immobili riprese di luoghi frequentati
da Hitler a Monaco, piazze e case di tutti i giorni, cosí come
appaiono oggi (1985). Lo stesso approccio è successivamente
adottato da Karmakar in Tyrann von Turin: immagini in Super8
di Torino, girate nel novembre del 1989 (il regista fu ospite del
locale festival “Cinema Giovani“), sovrapposte ai testi delle
lettere di Nietzsche da e su Torino della fine del 1888 e gli inizi
del 1889. Noi possiamo seguire con gli occhi il discorso, anche
quando siamo trasportati su un meraviglioso viale sulla sponda del Po oppure sul lucore autunnale di Torino dalle colorazioni rosse e dorate, benché tutto ciò sia stato riportato da una
“versione mitigata” di 100 anni dopo. La storia non viene ricostruita, non “rifatta daccapo”, ma prospettata in una contemporaneità di frammenti bio-topografici di oggi e di ieri.
Le immagini di Karmakar evocano gli spiriti di Hitler e di
Nietzsche, per farne figure della quotidianità in un mondo
della quotidianità: “Dopo il film su Adi ora il film su Fritz”.
Talvolta affatto cinici, talaltra quasi amabili, titani di tale fatta
divengono “un effetto acustico e un movimento ottico” (Olaf
Möller) e come tali riconoscibili quali pietre miliari per molteplici costruzioni discorsive: un lego storico-mediatico.
Nella prospettiva di un ampliamento di queste strategie nell’ambito della rielaborazione di documenti importa a
Karmakar non solo il loro presente di un tempo, bensì anche
ciò che essi indirettamente raccontano del dopo. Das HimmlerProjekt, egli dice, è “invero un film sulla repubblica di Bonn” –
perché i generali delle SS che avevano ascoltato il discorso di
Himmler lo tramandarono “sotto silenzio” assieme alle loro
biografie di successo sino al dopoguerra inoltrato, sino agli
anni ’80. In Warheads una giovane monacense, che alla fine del
1991 aveva fatto ritorno al suo paese d’origine, una Croazia
pronta alla guerra, dice dei suoi commilitoni al fronte: “Ci
sono dei pazzi che vanno a dormire con il loro fucile. Che cosa
faranno quelli dopo la guerra? Ho più paura per il tempo a
venire che per il presente. Non può finire tutto tanto in fretta”.
Mercy in Manila
In the late summer of 1991 I had the opportunity to see a
rough-cut of Manila, which was not to be completed before
2000. How much the film would be discussed in Germany
was not yet predictable, nor examine-able. In my opinion, as
much then as today, the film’s beauty is simple and moving.
Manila will be a success.
After the screening, Karmakar and the writer, Bodo
Kirchhoff, told me how the film was born in an outdoor beer
hall in Munich; how expensive and difficult it was to create
an airport waiting room (the only scenography in Manila) in
a film studio; who the characters were and how they were
based on real interpersonal travel relationships; who the
153
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
piuto non prima del 2000. In quale misura esso sarebbe
stato discusso in Germania non era ancora prevedibile (e
neanche esaminabile); nella mia percezione tanto di allora
quanto di oggi è di una semplice, sconvolgente bellezza.
Manila si affermerà. Dopo la proiezione Karmakar e l’autore, Bodo Kirchoff, raccontarono della nascita del film in una
birreria all’aperto di Monaco: di quanto fosse costosa e difficile da realizzare in uno studio cinematografico la costruzione di una sala d’attesa in un aeroporto (la sola scenografia di Manila); dei personaggi, che si fondano su reali relazioni interpersonali di viaggio; del complesso degli attori di
spicco, da Margit Castensen sino a Sky Dumont, da
Elizabeth McGovern sino a Manfred Zapatka; infine dell’infinito turbine del coro finale, diretto e cantato dai passeggeri. È il coro dei prigionieri del Nabucco verdiano, ma
con un nuovo testo in tedesco: “Polizeistunde kennen wir
nicht” 7, condotto con moto via via più retrogrado.
Kirchhoff raccontò che anche questa scena si fondava su di
un’osservazione tratta dalla realtà: sul lago di Garda egli
fece una volta l’esperienza di un gruppo di viaggiatori
tedeschi che verso la fine di un party urlarono a squarciagola proprio questo coro con esattamente lo stesso testo. Il
prodigio della relativa scena cinematografica è la sua perdurante ambivalenza, che al contempo si volge in bellezza,
tormento, passione e abominio. Karmakar si trova qui lontano più che mai dallo stereotipo emozionale, morale o
nazionale. Cantare e ballare in un film rende possibili tali
esperienze che irritano lo spettatore, oscillando tra utopia e
ideologia (e il cinema tedesco ha a questo riguardo una tradizione particolarmente lunga: le canzoni strampalate nell’opera di Peer Raben/Rainer Werner Fassbinder). La durata di queste scene non dev’essere considerata troppo esigua: ad esempio in Warheads, allorché, in un incontro di ex
arruolati della legione straniera presso un banco di mescita
nella Guyana francese, viene intonata ogni singola strofa
del canto nazista: “In einem Polenstädchen, da wohnte
einst ein Mädchen…” 8, oppure al termine della notte in
Frankfurter Kreuz, quando in un’osteria senza tavoli a sedere un’imprevista coppia d’innamorati si dondola con interminabile spensieratezza al ritmo di una musica pop dell’epoca; infine ancora in Manila, quando alla radio viene suonato un successo locale e con vaga minaccia il giovane redditiere Franz si esibisce in un inaspettato ballo nel corridoio
del bagno con la donna filippina addetta alle pulizie.
Il rapporto di Karmakar con la Germania, il suo coerente
“lavorare alle cose tedesche” è improntato da un forte, quasi
irritato senso di estraneità – e nello stesso tempo da una severa esigenza di verità, da un sapere meticoloso dei dettagli e da
una volontà di articolarsi autonomamente in questo
“Whirlpool”. Lo si avverte tanto nei film quanto nel discorso.
Io penso che Karmakar, che ha trascorso gli anni di scuola
al ginnasio tedesco di Atene e il servizio militare nell’esercito francese, si senta di appartenere a un mondo di legionari e di esuli nel bel mezzo della Germania. In lui giacciono i frammenti delle più svariate biografie dell’estraneità.
Forse i frammenti dell’esistenza di Christa Päffgen, figlia di
154
prominent actors were, from Margit Castensen to Sky
Dumont, from Elizabeth McGovern to Manfred Zapatka.
And, finally, they told me about the endless whirlwind of the
final chorus, directed and sung by the passengers. It is the
prisoners’ chorus from Verdi’s Nabucco, but with a new text
in German – “Polizeistunde kennen wir nicht” 2 – conducted
in a rhythm that increasingly slows down as it goes along.
Kirchhoff said that even this scene was based on an observation taken from reality: on Garda Lake he once met of a group
of Germans who, at the end of a party, began screaming this
music with these exact words at the top of their lungs.
The beauty of the aforementioned cinematic scene is its persistent ambivalence, which in the meantime turns into beauty, torment, passion and outrage. Here, Karmakar finds himself further away than ever from emotional, moral or national stereotypes. Singing and dancing in a film render possible
experiences that irritate the viewer, oscillating between
utopia and ideology. (And German cinema has a particularly
long tradition in this area: the nonsensical songs in the work
of Peer Raben/Rainer Werner Fassbinder). The length of
these [following] scenes must not be considered too slight.
For example, in Warheads, when in an encounter between
ex-Foreign Legion soldiers at a bar counter in French
Guyana, every single verse of the Nazi song is sung: “In
einem Polenstädchen, da wohnte einst ein Mädchen…” 3. Or
at the end of the night in Frankfurter Kreuz, when in a
table-less tavern young couple in love suddenly begins swaying cheerfully to the rhythm of pop music from that period.
Or finally in Manila, when a local hit comes on the radio
and, with vague menace, Franz begins an unexpected dance
in the bathroom hallway with the Filipino cleaning woman.
Karmakar’s relationship with Germany, his coherent “work
on German subjects”, is marked by a strong, almost irritating sense of “foreign-ness” – and at the same time a rigorous
need for the truth, for a meticulous knowledge of details and
a desire to articulate himself independently in this
“Whirlpool”. This is sensed in his films as much as in his discourse. I think that Karmakar, who went to a German high
school in Athens and did his military service in the French
army, feels like he belongs to a world of legionnaires and
exiles smack dab in the middle of Germany. Fragments of the
most diverse and extrinsic biographies lie within him.
Perhaps the fragments of the life of Christa Päffgen, the
daughter of a soldier killed by Nazi euthanasia; an inimitable
star in Berlin, Paris, Rome, who sang with Warhol and the
Velvet Underground under the name Nico, and later, with
her drug music and death, became the Marlene Dietrich of
post-1968. Or fragments of Günther Aschenbrenner, the
“hero” of Warheads, the son of a family of Nazis, who joined
the Foreign Legion at a young age and became a hired soldier
in other people’s wars. Or perhaps fragments of the world of
Peter Lorre, and old-fashioned Austrian who experienced
Berlin theatre and film as well a Hollywood exile and who
returned to Germany in 1951 to direct and star in his last
“foreign” film: Der Verlorene.
Naturally, all of these are also constructions, but a radical
construction is, in a final analysis, the point that Karmakar’s
work – besides the “seduction” and the “probing” – revealed
and reached. The characters in Manila are constructed, written, layered Germans who, far from their homeland, live out
the harshness and mercy of their artifice through song,
stress, self-observation and other people’s images. They also
present once and for (also thanks to the actor’s artistry) the
real man, even though they do not follow their paths “improvising” or under the guise of a documentary. They are “complete fragments”, like those condensed and constructed without haste, that Romuald Karmakar attempts to articulate in
front of Kluge’s camera, in the private conversation or in
front of a cinema audience. When, for example, Christoph
Schlingensief scientifically loses control to generate new situations, Karmakar leans towards concentration and control
of his thesis (cinematic and verbal). There, new aggregates of
thoughts and sound/images are born.
Both of these methods generate misunderstandings, controversies and spontaneous rifts in the moments when they
mainly contain the “imprecision”. (For example, during discussions with the public after the screenings.) Nevertheless,
in our peaceful and commodity driven culture of experts
these situations still emerge all too rarely.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
un soldato ucciso dall’eutanasia nazista, inimitabile star a
Berlino, Parigi, Roma, cantante di Warhol e dei Velvets con
il nome di Nico, successivamente divenuta con la sua musica di droga e morte la Marlene Dietrich dell’era post-sessantottesca. Oppure frammenti del mondo di Günther
Aschenbrenner, dell’“eroe” di Warheads, figlio di una famiglia di nazisti, che andò presto nella legione straniera e
divenne militare assoldato nelle guerre degli altri. Oppure
frammenti del mondo di Peter Lorre, austriaco di vecchio
stampo, che attraverso la Berlino del teatro e del film M
nonché attraverso l’esilio di Hollywood fece ritorno in
Germania nel 1951, per girare in veste di regista e di protagonista l’ultimo film dell’estraneità: Der Verlorene. Tutte
queste sono naturalmente anche delle costruzioni, ma una
costruzione radicale è in ultima analisi il punto che l’opera di
Karmakar – oltre il “lasciar sedurre” e lo “scandagliare” – ha
rilevato e raggiunto. I personaggi di Manila sono tedeschi
costruiti, scritti, stratificati, che, lontani dalla patria, esperiscono la durezza e la clemenza del loro artefice attraverso il
canto, lo stress, l’osservazione di sé e dell’immagine altrui.
Essi raccontano una volta per tutte (anche grazie all’arte dell’attore) l’uomo reale, benché essi non percorrano la loro
strada “improvvisati” oppure a guisa di “documentario”.
Essi sono “frasi complete”, come quelle condensate e costruite senza precipitazione che Romuald Karmakar tenta di proferire davanti alla macchina da presa di Kluge, nella conversazione privata oppure davanti al pubblico del cinema.
Quando ad esempio Christoph Schlingensief perde scientemente il controllo per generare nuove situazioni, Karmakar
tende alla concentrazione e al controllo del suo discorso
(cinematografico e verbale). Ne nascono nuovi aggregati di
pensieri e di suoni/immagini.
Entrambi i metodi possono ingenerare fraintendimenti, controversie o spontanee spaccature in momenti nei quali essi
contengono principalmente l’“imprecisione” (ad esempio
nelle discussioni con il pubblico dopo la proiezione). Tuttavia
nella nostra pacifica e merceologica cultura da intenditori tali
situazioni emergono comunque sin troppo di rado.
NOTES
The title of Karmakar’s film, Der Totmacher, literally “The
Murderer”, evokes the title of the famous 1931 film starring
Peter Lorre, M, in which the letter stood for “murderer.” [T.N.]
2
“We never close up shop.” [T.N.]
3
“Once upon a time a girl lived in a Polish town…” [T.N.]
1
NOTE
Mercenari e indipendenti. [N.d.T.]
“Riuscirete a sopportarlo. Vi tormenterà, ma ce la
farete.”[N.d.T.]
3
“Hai un bell’aspetto con gli occhiali da sole.” [N.d.T.]
4
“Con quelli posso vederci sicuramente meglio.” [N.d.T.]
5
“Quando NON eravamo dei re.” [N.d.T.]
6
Il titolo del film di Karmakar, Der Totmacher, letteralmente
“L’omicida”, riecheggia il titolo del famoso film interpretatoto
da Peter Lorre nel 1931, M, iniziale della parola “Mörder”,
assassino. [N.d.T.]
7
“Non conosciamo orario di chiusura.” [N.d.T.]
8
“In una cittadina polacca viveva una volta una ragazza…”
[N.d.T.]
1
2
155
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
IL CINEMA È CINEMA
CINEMA IS CINEMA
Una conversazione con Romuald Karmakar
A conversation with Romuald Karmakar
di Rolf Aurich
by Rolf Aurich
[…] Più o meno ai tempi della maturità dovrebbe risalire Eine
Freundschaft in Deutschland, il film su Hitler.
[…] It was more or less during your final school exam
that Eine Freundschaft in Deutschland, the film about
Hitler must have come about.
La maturità è in estate, prima c’era stato il carnevale, a febbraio. È stato allora che ho avuto l’idea di andare tutti insieme alla Lövenbräukeller. Io mi sono mascherato da Hitler,
mi sono coperto la barba e tutti insieme ci siamo ritrovati nel
bel mezzo della sala, che era tutta addobbata per carnevale.
Poi la cosa è rimasta ferma per un po’, solo più tardi ho
cominciato a pensarci seriamente. Nel frattempo ho preso il
diploma. Tra l’estate ’84 e il febbraio ’85 abbiamo girato
diverse parti, nei fine settimana. Il materiale a colori lo
abbiamo girato all’inizio dell’85 e poi lo abbiamo montato.
Quindi le prime riprese sono state quelle di carnevale. Sono nate
già con l’idea di farci un film, oppure era solo un gioco?
Ormai non saprei più come rispondere. Credo che le cose
siano andate così: in aprile insieme agli amici del
Werkstattkino avevamo pensato di comprare una cinepresa,
così ci siamo messi in cinque e abbiamo raccolto 1500 marchi, che per noi erano una bella cifra. Abbiamo comprato
una cinepresa Braun Nizo Super8 e ci siamo detti: bene,
adesso facciamo il cinema. Io ho fatto il mio film su Hitler e
anche gli altri hanno girato qualcosa; nel marzo ’85 tutto il
materiale è andato in proiezione per dieci giorni al
Werkstattkino. È cominciata così, e io sono l’unico che ancora si occupa di queste cose.
A quei tempi c’era anche un altro gruppetto che si riuniva attorno al Werkstattkino. Hai lavorato anche con loro?
No, con loro giocavo a calcio. Ci eravamo incontrati anche
nei circoli punk, nell’82, quando sono arrivato a Monaco.
Con loro però non ho mai lavorato. La sequenza è stata
questa: punk - calcio - cinema.
Niente male come titolo. Per il film su Hitler, che per così dire è
nato nell’arco di un anno, ogni settimana ti trovavi a dover
“mobilitare” gli altri. Non era una cosa complicata?
No, la cosa ci prendeva molto. C’era per esempio Anatol
Nitschke che era tutto fiero di interpretare il miglior amico
di Hitler, e anche quello che faceva Heinrich Hoffmann…
trovavamo fosse una bella cosa, e ci divertivamo tutti. Il
sabato mattina ci si trovava in quattro o cinque e si andava
fino a Berchtesgaden, si girava qualche scena e si rientrava
a casa il sabato pomeriggio. Lo stesso abbiamo fatto durante la Oktoberfest. Non era difficile motivare i ragazzi.
L’idea di base del film è scritta all’inizio, anche se sulla
videocassetta si legge a stento: “In questo film tutto ciò che
156
The exam is in the summer, before it there was Carnival, in
February. That was when I had the idea to work with
Lövenbräukeller. I dressed up as Hitler, I covered up my
beard and we found ourselves together smack dab in the middle of the hall, which was decorated for Carnival. The film
went nowhere for a while, I only started thinking about it
seriously later. In the meantime, I got my degree. We shot different parts of it between the summer of ’84 and February of
’85, during the weekends. We shot the colour material in the
beginning of ’85 and edited it later.
So the first shots were filmed during Carnival. Did the
idea to make a film come about then or was it just for
fun?
I couldn’t really tell you at this point. I think it went like
this: in April my friends from the Werkstattkino and I
decided to buy a movie camera, so five of us raised 1,500
marks, which was a considerable sum for us. We bought a
Braun Nizo Super8 camera and said to ourselves: All right,
now we’re going to make movies. I made my film about
Hitler, the others shot something as well. The material was
shown at the Werkstattkino in March of ’85. That’s how it
began, and I am only one still doing these things.
At that time there was also another, smaller group
hanging around the Werkstattkino. Did you work with
them as well?
No, I played football with them. We met on the punk scene,
in ’82, when I got to Munich. I never worked with them,
however. The sequence was the following: punk - football cinema.
Not bad as a title. As for the film on Hitler, which was
more or less made over a year, you had to “mobilise”
the others every weekend. Wasn’t that complicated?
No, we were all very taken with the film. For example, there
was Anatol Nitschke, who was very proud to play Hitler’s
best friend, as well as the guy who played Heinrich
Hoffmann… It was a great experience for us, and we all had
a lot of fun. Five or six of us would get together Saturday
morning and go all the way to Berchtesgaden, shoot a scene
or two, then go home in the afternoon. We did the same thing
during Octoberfest. It wasn’t difficult to motivate the group.
The underlying idea for the film is written at the beginning
of the film, even though it is barely legible on the videocassette: “In this film, everything that is a documentary is real,
and not everything that is fiction necessarily has to be fake”.
The fiction naturally refers to all the black and white shots.
These sequences were elaborations of photographs that I had
seen, that were printed in a number of volumes by Heinrich
Hoffmann, Hitler’s personal photographer. Among them I
remember, for example, a picture of Hitler sitting on a sled. I
also knew from other sources that Hitler had settled down in
Berchtesgaden through a Mister Dietrich Eckart, who had a
small house and came to play chess with him here in
Schellingstrasse. Then there is a photo of Hitler, as a guest of
Goebbels’ I believe, eating soup. There is an enormous pot
with a crown of laurel around it, and that’s all there is to the
photo. Using the picture as a starting point, I shot the scene
with all the people who were with him. This is how the black
and white sequences came about.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
è documentario è reale, e non tutto ciò che è finzione
dev’essere necessariamente falso”. La finzione si riferisce
naturalmente a tutte le sequenze in bianco e nero. Queste
sequenze sono elaborazioni di fotografie che avevo visto e
che sono state pubblicate in parecchi volumi da Heinrich
Hoffmann, il fotografo personale di Hitler. Ricordo tra le
altre, ad esempio una foto di Hitler seduto nella slitta. E poi
sapevo anche da altre fonti che Hitler si era stabilito a
Berchtesgaden attraverso questo signor Dietrich Eckart, che
aveva lì una casetta e veniva a giocare a scacchi con lui qui
in Schellingstrasse. Poi c’è una foto dove si vede Hitler
ospite credo di Goebbels che mangia il minestrone. C’è un
pentolone enorme con intorno una corona d’alloro, e la foto
è tutta qui. Prendendo spunto da questa foto ho girato la
scena con tutte le persone che erano là con lui. Così sono
nate le sequenze in bianco e nero.
Le fotografie le hai scelte a caso dai libri?
Did you choose the photos from the books randomly?
Non per caso, ho fatto molte ricerche. Ho studiato i luoghi
dove le scene si erano svolte sui documenti dell’Archivio di
Stato e della Biblioteca Nazionale. Stavo diventando l’ennesimo ricercatore che si occupava di Hitler. Poi però ho
lasciato stare, perché la gente cominciava a diventare
sospettosa, aveva un’aria del tipo “ma questo qui cosa avrà
a che fare con quelle storie, che cosa cerca ?”. Nessuno sapeva cosa avrei fatto del materiale che raccoglievo. C’era un
tale che si chiamava Ottmar Katz e aveva scritto una biografia di Theo Morell, il medico personale di Hitler. Questo
biografo viveva qui a Monaco, e io ho passato ore e ore a
parlare con lui. La ricerca dei luoghi storici reali, che riguarda tutta la parte a colori, si basa su informazioni raccolte
presso i biografi di diversi personaggi e dagli elenchi
dell’Archivio di Stato. Poi sono andato a trovare anche il
figlio di Heinrich Hoffmann, che mi ha fatto uno schizzo
dello studio di suo padre in Schellingstraße, dove più tardi
avrebbero messo gli uffici della NSDAP. […]
Quindi ci sono due componenti che derivano dal materiale disponibile: da una parte le foto, che tu hai sviluppato nelle sequenze in
bianco e nero, dall’altra quei fatti che si possono ricostruire cercando negli archivi e nelle biblioteche. Oltre a queste due tracce ce
n’è poi una terza di grandissima importanza, la voce fuori campo.
Da dove vengono le sue parole, chi le ha scritte?
Le ho scritte io. Le ho messe insieme come un puzzle da
biografie e autobiografie di vari personaggi. C’è il libro di
Hanfstaengl, c’è quello di Heinrich Hoffmann, poi ci sono
diversi libri di autori francesi su Eva Braun e su Hitler e le
donne, libri che parlano soltanto di questo. Io ho preso tutto
e l’ho messo in questa persona. Una persona che si trovava
sempre con lui – e che in realtà non è mai esistita. […]
Not randomly, I did a lot of research. I studied the places
where the scenes took place in the documents of the National
Archives and the National Library. I was becoming one of an
endless number of researchers studying Hitler. Then I
dropped it because people were beginning to get suspicious,
they were acting like, “What does this guy have to do with
these stories? What is he looking for?” Nobody knew what I
was going to do with the material I was collecting. There was
a man named Ottmar Katz who had written a biography on
Theo Morell, Hitler’s personal doctor. This biographer lived
in Munich and I spent hours and hours talking to him. The
research on the real historical places, that has to do with all
the places in colour, is based on information that I gathered
from the biographers of various people and from the catalogues in the National Archives. Then I even went to visit
Heinrich Hoffmann’s son, who drew me a sketch of his
father’s office in Schellingstraße, where they later put the
NSDAP offices. […]
Thus, there are two components derived from the available
material: on the one hand, the photos, which you then elaborated in the black and white scenes; on the other hand, the
facts which can be reconstructed from the archives and
libraries. Other than these two elements there is a third of
great importance: the off-camera voice. Where did his
words come from, who wrote them?
I wrote them. I put them together like a puzzle from various people’s biographies and autobiographies. There is Heinrich
Hoffmann’s book, then there are several books by French authors
on Eva Braun and on Hitler and women, books that deal only
with that. I took all of that and put it into this person. A person
who was always with him – and who actually did not exist.
Cosa c’è stato dopo il film su Hitler?
What came after the film on Hitler?
Dopo ho scritto due sceneggiature, che non mi hanno fruttato nemmeno un soldo. Una si intitolava Deutschland über
Afterwards, I wrote two screenplays, which did not earn me
157
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
dem Meere ed era la riduzione cinematografica di un romanzo di Bodo Kirchhoff, Zwiefalt; l’idea era stata del produttore e direttore della fotografia Horst Schier, la sceneggiatura
l’abbiamo scritta a quattro mani io e Thomas Schamoni. Ho
lavorato spesso con lui, è stato lui ad “avvicinarmi” alla sceneggiatura. La cosa però non andò in porto. La seconda sceneggiatura era tutta mia, la protagonista doveva essere
Anne Bennent e Jörg Schmidt-Reitwein avrebbe curato la
fotografia. L’ho presentata al Kuratorium ma ancora una
volta senza successo.
Come ti è venuta l’idea di girare un film sotto le armi?
How did you get the idea to shoot a film while in the army?
Questo “coup de boule” [lett. “colpo di testa”, N.d.T.] è una
cosa comunissima in Francia, lo fanno tutti. Lo facevano
anche in caserma, così per divertimento. Lo vedi e subito ti
viene da pensare: ok, adesso faccio un film. Una volta che ero
stato in licenza mi ero riportato da casa la cinepresa Super8,
e quando smontavo dal servizio me ne tornavo in camerata
e giravo. La cosa è andata avanti per diversi giorni, e ne è
nato un film in Super8 che poi ho fatto gonfiare in 16mm.
Stavi dicendo che il “coup de boule” è una cosa comune in
Francia…
Sì, anche da borghesi, per esempio in discoteca, se due tipi
cominciano a beccarsi e c’è di mezzo una donna, puoi star
sicuro che prima o poi si arriva a qualcosa del genere. Non
puoi difenderti, il movimento è troppo rapido e rabbioso, ti
ritrovi subito il naso rotto. I francesi lo fanno anche nel calcio: c’era quel difensore, Amoros, che ancora adesso gioca
in nazionale, in una partita aveva subito un’infinità di falli,
poi a un certo punto, al centesimo fallo, ha rifilato al suo
avversario un “coup de boule” e l’ha pure passata liscia,
non si è nemmeno beccato il cartellino rosso. Da militare in
ogni modo devi vederla in maniera molto semplice: è un
passatempo, uno sfogo, una soddisfazione, è forte – ognuno
può pensarne quello che vuole, non mi interessa più di tanto.
Si fa e basta, non importa se hai problemi di donne oppure
no. È stato divertente anche girare il film. I ragazzi la trovavano una cosa eccitante, “ecco, ora siamo tante star”, dicevano. La cinepresa li affascinava, a uno ho dato da tenere il
microfono, e quando si girava la camerata era sempre piena.
Per loro era semplicemente qualcosa di diverso invece di
sedersi all’osteria a bere birra. […]
Il film porta una dedica “a tutti i commilitoni”. Sono tutti quelli
che hanno partecipato?
Sì. Ognuno di loro ha avuto noie dal capitano nella propria
compagnia. Quei capitani il film non l’avevano mai visto,
ma per loro era lo stesso qualcosa di sovversivo, e io ero un
“sinistroide”, un sovversivo. Un capitano mi aveva addirittura proibito di passare davanti al suo acquartieramento.
Lui voleva mettere a posto anche gli altri che avevano partecipato, ma loro erano rimasti dalla mia parte, avevano
spiegato che “pur di andare in scena alla Berlinale lo
158
a cent. One was titled Deutschland über dem Meere and
was the film version of a book by Bodo Kirchhoff, Zwiefalt.
The idea [for the screenplay] was producer and cinematographer Horst Schier’s. I wrote the screenplay together with
Thomas Schamoni. I often worked with him, he was the one
who “brought me closer” to the screenplay. The project, however, went nowhere. The second screenplay was all mine. The
lead was supposed to be played by Anne Bennent and Jörg
Schmidt-Reitwein was going to be the director of photography. I presented it at the Kuratorium but, once again, without any success.
This “coup de boule” [head-butt] is a very common thing in
France, everyone does it. They even used to do it in the barracks, for fun. You see it and you immediately think: “OK,
now I’ll make a film”. Once when I was on leave I brought
back a Super8 camera from home and when I would come off
duty I would go back to barracks and film. This went on for
several days and a Super8 film was born, which I later blew
up into 16mm.
You were saying that the head-butt is a common thing
in France…
Yes, even among the middle class. For example, if two men start
going at each other in a disco, and there is a woman involved,
you can be sure that sooner or later something to that effect will
happen. You can’t defend yourself, the movement is too quick
and violent, you immediately end up with a broken nose. The
French even do it in football. There was that defender, Amoros,
who still plays for the national team. He had sustained a countless number of fouls, then at a certain point, after the hundredth
foul, he gave his opponent a “coup de boule” and he got away
with it without even getting a red card. As a soldier you have
to look at it very simply: it’s a diversion, a way to vent, to feel
satisfaction, it’s tough – everyone can think whatever they
want, I’m not very interested in that. It’s done and that’s all
there is to it, it doesn’t matter if you have problems with
women or not. It was fun just making the film. The guys
found it exciting: “Now we’re big stars,” they used to say.
The movie camera fascinated them, and I let one of them hold
the microphone. The barracks were always full when we
would film. To them it was simply something different than
sitting in a bar and drinking beer. […]
The film is dedicated “to all the comrades-at-arms”. Are
those all the people who participated in the filming?
Yes. Each one of them had trouble from their company captains. Those captains never even saw the film, but for them it
was nevertheless subversive, and I was a “leftoid”, a subversive. One captain had even forbid me from passing in front of
his quarters. He wanted to put the others who had participated in their place as well, but they stayed on my side,
explaining that, “To get the film shown at the Berlinale, we
still would have done it, even at the expense of being confined
for a week”. That’s why I dedicated it to them.
Si conosce l’origine del “coup de boule“?
Are the origins of the head-butt known?
In Germania si chiama “testata” o anche “danese”, dal
gergo marinaresco credo, sembra che la cosa l’abbiano
inventata i marinai danesi. Non ne so molto di più.
In Germany it’s called a head-butt or else a “Danish”, in
sailor lingo I believe. It seems that Danish sailors invented it.
I don’t know much more than that.
In Coup de boule fai vedere che non sei entrato nell’esercito per
fare un film, ma ti ci sei trovato e hai osservato qualcosa di interessante, che potevi anche filmare. È stato così anche per il successivo, Gallodrome, anche qui hai trovato il soggetto per caso?
In Coup de boule you show that you did not go into the
army to make a film, but that you observed something
interested while you were there, that you could also film.
Was it the same for your next film, Gallodrome, as well?
Did you find that subject by accident?
È andata così: nella nostra camerata c’era una rivista porno,
una rivista francese che si chiama “Newlook” e contiene
accanto a immagini pornografiche molto hard anche reportage fotografici di grande qualità, ad esempio sugli attacchi
dei pescecani, sulle corse dei carri o anche sull‘“uomo più
grande del mondo”, insomma c’è sempre qualcosa che colpisce. Quella volta c’era un articolo sui combattimenti dei
galli, che mi sono anche ritagliato. In questo reportage, che
è uscito anche su “Geo”, si citava il nome di un piccolo villaggio che si trova a pochi chilometri da Lille. Quasi tutti in
caserma erano di quelle parti, eppure nessuno ne aveva sentito parlare. Dopo il congedo ho chiamato al telefono il sindaco di quel paesino e gli ho chiesto se i combattimenti si
svolgevano ancora, dato che la rivista era dell’83. Lui mi ha
dato un nome e io ho chiamato quel nome. Poco dopo ho
ricevuto un manifesto con le date delle riunioni e nel fine
settimana me ne sono andato laggiù con un operatore e dell’equipaggiamento cinematografico rubato. Nel pomeriggio
abbiamo ripreso gli incontri di allenamento, il giorno dopo,
domenica, il combattimento vero e proprio. Sono stato il
primo ad avere il permesso di filmare i combattimenti, che
sono chiaramente vietati. Da quelle parti li tollerano come
reliquie culturali, resti di una vecchia tradizione. Soltanto
non li si può pubblicizzare. Comunque abbiamo potuto
riprenderli in maniera del tutto legale, poi nel pomeriggio
seguente siamo tornati a casa. Mille chilometri all’andata,
altri mille al ritorno, girati 30 minuti di pellicola. […]
Quanto può durare un combattimento fra galli?
Il tempo massimo è fissato a sei minuti, poi naturalmente se
uno dei due vince al primo minuto si interrompe. Però può
succedere anche che dopo sei minuti entrambi i contendenti siano ancora in piedi.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
avremmo fatto comunque, anche al prezzo di una settimana di consegna”. Per questo l’ho dedicato a loro.
This is how it went: there was a porn magazine in our barracks, a French magazine called “Newlook” that carries good
quality photographic reportage, along with the very hard
pornographic images, on, for example, shark attacks, cart
races or on the “Biggest man in the world.” In other words,
there is always something noteworthy. This time there was
an article on cockfighting that I even cut out. In this story,
which came out in “Geo” as well, they cited the name of a
small village just a few kilometres from Lille. Almost everyone in the camp was from that area, but no one had ever
heard about it. After I was discharged I called the mayor of
that town and asked him if they still held the cockfights, since
the magazine was from ’83. He gave me a name and I called
that name. Shortly afterwards I received a notice with the
dates and over the weekend I went down there with down
there with a cameraman and some stolen film equipment. In
the afternoon we shot the training meetings/sessions and the
next day, Sunday, the actual fights. I was the first to be given
permission to shoot the fights, which are forbidden. They are
tolerated in that area as a cultural relic, the remains of an old
tradition, they just cannot be advertised. In any case, our
filming of them was entirely legal, then in the afternoon we
went home. A thousand kilometres there, a thousand kilometres back, just to shoot thirty minutes of film. […]
How long can a fight between two roosters last?
The maximum amount of time is set at six minutes but, naturally, if one of the two wins after the first minute the fight
is interrupted. However, it can happen that even after six
minutes both of the contenders are still on their feet.
This film required a lot of editing.
Questo film ha richiesto un gran lavoro di montaggio.
Approximately 130 cuts in 12 minutes.
Circa 130 tagli in 12 minuti.
Did you expect that from the beginning?
Era una cosa prevista già all’inizio?
No. […]
No. […]
Can you tell me something about Charles Willeford’s
book, Cockfighter, and about the film that Monte
159
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
Puoi dirmi qualcosa sul libro di Charles Willeford, Cockfighter,
e sul film che ne ha tratto Monte Hellman: queste opere hanno
qualche rapporto col tuo film?
Conoscevo il romanzo di Willeford, Gallodrome in realtà è
dedicato a lui. Sapevo anche che Monte Hellman aveva
fatto quel film, ma non l’avevo ancora visto, sono riuscito a
vederlo soltanto più tardi, al festival di Amiens.
Dunque il tuo film è da ricondurre soltanto all’articolo su quella
rivista porno, oppure alla stessa situazione che aveva prodotto
anche il tuo secondo film, Coup de boule. Come sei arrivato
invece ai pitbull e al successivo film, Hunde aus Samt und
Stahl [Cani di velluto e d’acciaio]?
È stato come un seguito del precedente. Avevo visto i combattimenti fra galli e sapevo che esistevano anche quelli fra
cani. L’idea di fondo era quella di filmare due generi di
incontri tra animali, uno legale e l’altro illegale. Ad
Amburgo conoscevo una donna che a sua volta era in contatto con un proprietario di pit bull, che ho successivamente incontrato alla Reeperbahn. Abbiamo parlato un po’ e ci
siamo rivisti altre volte, poi però ho accantonato l’idea dei
combattimenti di cani. Questi combattimenti esistono, filmarli però non è possibile. Mi sono affidato invece al ben
noto “sistema della palla di neve“: incontri uno che ti esamina, arrivi al famoso contatto visivo eccetera, poi quello ti
dice: “Ok, ora ti porto da un amico e ti presento”. Questo
amico era “il forzuto”, ci ho parlato e anche per lui era ok.
Il giorno dopo sono andato a far visita al “Legionario”, dato
che il suo cane, Apollo, è figlio di Toya. Gli ho fatto vedere
Coup de boule, per dargli un’idea di quello che avevo intenzione di fare. Allora lui ha detto: “Sì, qui c’ero anch’io, però
stavo dall’altra parte”, e mi ha raccontato che era stato nella
Legione Straniera. Così quando ha saputo che ero francese
e avevo prestato servizio nell’esercito francese ha detto che
andava bene. Questo è successo nell’agosto dell’88. Avevo
con me sempre lo stesso operatore, che aveva portato la sua
m.d.p. personale. In ottobre siamo andati ad Amburgo. […]
Tu giri in ambienti marginali, nelle zone grigie. Ad Amburgo sei
stato solo alla Reeperbahn?
Era Kiez. L’ex legionario è uno che vorrebbe sempre stare
da quelle parti, non solo a Reeperbahn-Kiez, ma anche a St.
Georg. Il tipo che si vede all’inizio prima aveva un bordello, adesso però si è fatto troppo vecchio per queste cose. Il
forzuto, che si vede in fondo nel film, gira in Mercedes e ha
un signor negozio in Herbertstraße, poi gestisce un bordello a Brema e un altro a Oldenburg e un paio di birrerie in
Gerhardstraße. Quello con i capelli lunghi è un ragazzo di
strada, il proprietario dello “Shiva”.
Prima di girare il film avevi avuto modo di occuparti di questi
cani e delle loro caratteristiche? Sapevi qualcosa sul loro conto?
Qui non puoi documentarti come faresti per girare un film
160
Hellman made about it: do these films have anything to
do with yours?
I knew Willeford’s book and Gallodrome is actually dedicated to him. I also knew that Monte Hellman had made that
film, but I only managed to see it later, at the Amiens festival.
So, your film can be traced back just to the article in that
porn magazine, to the same situation that produced your
second film as well, Coup de boule. How did you arrive
instead at the pitbulls of your following film, Hunde aus
Samt und Stahl?
It was like the follow-up to the previous film. I had seen the
cockfights and I knew that fights between dogs existed as well.
The basic idea was to film two types of encounters between
animals, one legal and the other illegal. I knew a woman in
Hamburg that was once in contact with an owner of a pitbull,
who I subsequently met at the Reeperbahn. We spoke and then
saw each other again other times then, however, I got the idea
for the dogfights. These fights exist, but it’s not possible to
film them. So I trusted the well-known “snowball effect system”: you meet someone who checks you out, you make the
infamous eye contact etc., then he tells you: “OK, now I can
take you to friend I’ll introduce you to.” This friend is the
“the tough guy”, I talked to him and it was all right with him
as well. The next I went to see the “Legionnaire,” since his
dog, Apollo, is Toya’s son. I showed him Coup de boule, to
give him an idea of what I wanted to do. Then he said, “Yes, I
was there, but I was on the other side”. And he told me that
he had been in the Foreign Legion. Then when he found out I
was French and had served in the French army he said it was
all right. That happened in August of ’88. I had the same cameraman with me, who had brought his personal movie camera.
In October we went to Hamburg.
You shoot in borderline environments, in grey zones.
Were you alone at the Reeperbahn in Hamburg?
It was Kiez. The ex-Legionnaire is someone who always
wants to stay near that area, not just at Reeperbahn-Kiez,
but also at St. Georg. The man you see at the beginning had
a brothel, but is now too old for those things. The tough guy,
who you see in the background of the film, goes around in a
Mercedes and has a classy boutique in Herbertstraße. He also
runs one brothel in Brema and another in Oldenburg, and a
couple of beer houses in Gerhardstraße. The man with the
long hair is a street kid, and the owner of the “Shiva”.
Before shooting the film did you have any way of familiarising yourself with these dogs and their characteristics? Did you know anything about them?
You can’t do the same kind of documentation as when you are
making a film about a director, where you can find critical literature and see all his films and so on. It’s not the same with
Nel film sui cani c’è una scena, quella in cui un uomo vende vitamine e altri preparati, dove a un certo punto compare un braccio
che mette a posto qualcosa in campo. Avresti potuto tagliarla, mi
è piaciuto il fatto che sia rimasta.
Lì ero io a prendere il sonoro, dato che non avevamo un tecnico del suono. Così è capitato che finissi in scena, allora l’operatore ha cercato di tenere fuori campo il microfono, ma
non si è accorto che così facendo entrava lui in campo. Cose
del genere non mi danno fastidio, perché tanto non le posso
cambiare. Sopporto volentieri una sfocatura o uno strappo
all’estetica dell’immagine, se il contenuto se ne avvantaggia. Lì non si poteva certo tagliare: il soggetto iniziava a raccontare… […]
Gli ultimi tre film sembrano produrre una certa concordanza fra
loro. Poi arriva il film su Cassavetes, Sam Shaw on Cassavetes.
Quello però io non lo conto tra i film. Quando vado a un
festival mi porto sempre la videocamera, e questo film è nato
così. Fai un film quando giri intenzionalmente, altrimenti se
è soltanto una cosa incidentale, come il Sam Shaw o il Monte
Hellman, non la puoi considerare cinema. Se i due non fossero stati entrambi presenti quegli incontri non sarebbero
mai avvenuti, io questo non lo sapevo prima di andare.
fighting dogs, you can’t read about what they do anywhere.
The only book I read in which it appears is Jack London’s
Call of the Wild, which talks about a man who organises
matches between dogs. Beyond this, however, I was not able
to prepare myself, because there is nothing. This is the problem with this kind of film: you find yourself in front of these
people, who you have never seen before, and they tell you that
in half an hour they have to leave again. How can you manage to get anything done with them? It was much better
when I could spend more time with someone like, for example, the ex-Legionnaire. […]
In the film about dogs there is a scene, the one in which
the man is selling vitamins and other substances, where
at a certain point an arm appears that fixes something in
the frame. You could have cut that, but I liked the fact
that it remained.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
su un regista, dove puoi trovare la letteratura critica e
vederti tutti i suoi film e così via. Con i cani da lotta non è
così, quello che viene descritto non lo puoi leggere da nessuna parte. L’unico libro che ho letto è stato quello di Jack
London, Il richiamo della foresta, là si parla di un tale che
organizza incontri tra cani. Oltre questo purtroppo non ho
potuto prepararmi, perché non c’è nulla. È qui il problema
con questo genere di film: ti ritrovi davanti a questi personaggi che non hai mai visto prima, e che ti dicono che entro
mezz’ora devono andarsene via di nuovo. Cosa puoi riuscire a concludere con loro? Andava meglio quando potevo
rimanere con qualcuno un po’ più a lungo, come per esempio con l’ex legionario. […]
I was doing the sound there, since we didn’t have a sound
technician, and I ended up in the scene, The cameraman tried
to keep the microphone out of the frame but didn’t realise that
in doing so he ended up being in the frame. Things like this
don’t bother me, because in any case you can’t change them.
I wholeheartedly support a blurring or a scratch of the aesthetics of the image, if the content benefits from it. There I
couldn’t cut: the subject had started telling a story … […]
The last three films seem to have a certain consistency
among them. Then we come to the film on Cassavetes,
Sam Shaw on Cassavetes.
I don’t count that one, however, among the films. I always take
my video camera with me when I go to a festival, and that is how
that film was born. You make a film when you shoot in intentionally, otherwise it’s just something accidental, like with Sam
Shaw or Monte Hellman, and you can’t consider it cinema. If
the two of them hadn’t been present these meetings would never
have taken place, and I didn’t know this beforehand.
So you went to Barcelona in response to an invitation.
Quindi sei andato al festival di Barcellona per rispondere a un
invito.
Mi avevano invitato per Gallodrome e per il film sui cani. Lì
poi ho potuto vedere la mostra allestita dal festival con le
foto di Sam Shaw, e ho saputo che c’era anche lui in persona. Così gli ho chiesto se voleva venire con me alla mostra
per parlare di Cassavetes. Non aveva nulla in contrario,
quindi dovevo solo cercare qualcuno che tenesse il microfono. Questo qualcuno fu Timothy Neal, un regista scozzese che aveva fatto con me il tragitto dall’aeroporto. Proprio
Timothy Neal, che aveva girato Play Me Something, avrebbe
poi vinto il primo premio. Il festival di Barcellona mette in
palio un premio di 40.000 marchi, da assegnare esclusivamente a un’opera nuova. Così sono andate le cose. […]
Puoi dirmi qualcosa anche sull’aiuto che ti ha dato Alexander
They invited me for Gallodrome and for the film about dogs.
I saw an exhibition of Sam Shaw’s photos there, organised by
the festival, and I found out that he was there in person. So I
asked him if he wanted to come with me to the festival to
speak about Cassavetes. He had nothing against that, so I
just had to find someone to hold the microphone. That someone was Timothy Neal, a Scottish director who had made the
trip from the airport with me. Timothy Neal, who shot Play
Me Something, ended up winning the festival prize. The
Barcelona festival offers a prize of 40,000 marks, to be given
exclusively to a new work. That’s how it happened. […]
Can you tell me something about how Alexander Kluge
helped you and how the two of you met?
I had sent him a package with the videocassettes of the film
161
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
Kluge e su come vi siete conosciuti?
Io gli avevo mandato un pacchetto con le videocassette del
film su Hitler e di Coup de boule; dopo una settimana lui mi
ha chiamato e mi ha chiesto: “Chi è lei? Da dove viene?
Cosa sta facendo? Cosa intende fare?” Diceva che voleva
assolutamente mandare Coup de boule in televisione. Mi ha
portato con sé alla Arri, dove montavano il suo programma. Allo stesso modo ha usato anche Gallodrome e il film sui
cani per i suoi programmi. Quando lo chiamo mi risponde
sempre: “Compagno Karmakar, che c’è?” […]
Come sei arrivato al tema dei mercenari?
È andata così: in quanto alleati degli americani, i militari
francesi di stanza in Germania possono fare acquisti dutyfree ai magazzini PX delle guarnigioni. Lì si trova anche la
rivista “Soldier of Fortune”. In un numero ho trovato la presentazione di un grande raduno che questa rivista organizza ogni anno a Las Vegas: la gente si riunisce in un grandissimo albergo, si tengono seminari e si organizza un’enorme mostra di armi, alla quale partecipano anche ditte
tedesche. Parallelamente fuori città si svolgono gare di tiro,
dove puoi sparare con ogni genere immaginabile di armi
automatiche. Per partecipare basta pagare la quota. Così mi
è venuta l’idea di andare a filmare questo raduno, per vedere di cosa si tratta. Sono stato da loro lo scorso agosto,
abbiamo parlato e la cosa gli è andata a genio, poi però non
ho ricevuto i fondi per girare in settembre, ed è slittato
tutto. Questi seminari sono una cosa particolarmente interessante. Viene ad esempio l’attaché militare dell’ambasciata del Sudafrica e presenta un “Situation Report: Southern
Africa”. L’ospite d’onore era un membro del Congresso che
si vantava di aver fatto arrivare ai ribelli afghani dei missili antiaerei tipo “Stinger”, con i quali hanno potuto colpire
i russi, e dal punto di vista militare questo era secondo lui
uno dei motivi per cui i russi si erano ritirati
dall’Afghanistan. C’era un altro seminario che si intitolava
“Duff Matson - The Devil’s Bodyguard”. Questo Duff
Matson è un vecchio, credo un ex berretto verde, che è
morto da poco e che era l’unico superstite della “sporca
dozzina”, quella che ha ispirato il film di Robert Aldrich. lo
avevano invitato a raccontare la sua vita davanti a tutta
quella gente in uniforme. Poi c’erano dei campi per i quali
si trovavano gli annunci su “Soldier of Fortune”. Ho chiamato e ho raccontato che stavo girando un film su un tedesco che era stato per 20 anni nella Legione Straniera. Volevo
vedere se in questo modo potevo riuscire a entrare in uno
di questi campi. Il tedesco mi serviva prima di tutto per
dare al film un filo conduttore, poi per avere un legame con
la Germania e infine anche per avere una figura con la
quale poter entrare in scena. Certo quando parli a questa
gente di un film su qualcuno che ha fatto per vent’anni il
legionario, per loro da un punto di vista militare è il massimo che si possa avere. Per una cosa del genere anche gli
americani diventano tutt’orecchi. A Monaco e ad Amburgo
intanto ho fatto il mio casting, vale a dire che ho messo
162
about Hitler and Coup de boule. A week later he called me
and asked me: “Who are you? Where do you come from?
What are you doing? What do you want to do?” He said he
absolutely wanted to broadcast Coup de boule on television. He took me with him to Arri, where they were editing
his programme. He used Gallodrome and the film about the
dogs in the same way. When I call him he always answers,
“What is it Comrade Karmakar?” […]
How did you come to the theme of mercenaries?
This is how it happened: since they are allied with the
Americans, the French military personnel stationed in
Germany can buy duty-free in the garrison’s PX department
stores. There you can also find the magazine “Soldier of
Fortune”. In one issue I saw an ad for a large convention that
this magazine organises every year in Las Vegas. The people
meet in a huge hotel, they hold seminars and they organise an
enormous weapons fair, in which German companies also
take part. At the same time, they hold shooting contests outside the city, where you can shoot any kind of automatic
weapon imaginable. All you need is to do is pay the entrance
fee to participate. So I got the idea to go and film this convention, to see what it was about. I went to see them last
August, we talked and the idea appealed to them, but then,
however, I didn’t receive funding in order to be able to film in
September and everything had to be postponed. These seminars are particularly interesting. The military attaché from
the South African embassy comes, for example, and presents
a “Situation Report: Southern Africa”. The guest of honour
was a member of Congress who boasted about having supplied the Afghan rebels with anti-aircraft missiles like
“Stinger”, with which they were able to strike the Russians,
and from a military point of view this was one of the reasons
why the Russians pulled out of Afghanistan. There was
another seminar titled “Duff Matson - The Devil’s
Bodyguard”. This Duff Matson was an old man, an ex-Green
Beret I believe, who died recently, and who was the only surviving member of the “Dirty Dozen” that inspired Robert
Aldrich’s film. They had invited him to tell his life story in
front of all those people in uniform. Then there were the
camps for which you can find advertisements in “Soldier of
Fortune”. I called and told them I was shooting a film about
a German who had been in the Foreign Legion for twenty
years. I wanted to see if in this way I could manage to get
into one of these camps. I needed the German, above all, to
give the film its underlying theme, then to have a connection
with Germany and, finally, in order to have a person with
whom to enter into the scene. Naturally, when you talk to
these people about a film on someone who spent twenty years
in the Foreign Legion, from a military point of view for them
it’s the utmost that one could have. Even the Americans
become all ears over something like this. In the meantime, I
did my casting in Munich and Hamburg, meaning that I
placed announcements saying I was looking for an exLegionnaire or ex-mercenary for a film. This is how I met
Günter Aschenbrenner. Then with this character I dedicated
myself to the magazine and to the boot camp, and everything
went as it should have. I can move freely throughout the
camp and shoot whatever I want. They have already called
me to find out if I really will come and bring this guy. This
was the basic idea. Later, however, I improved it a bit, and I
made a strategic plan. Alongside Aschenbrenner’s life, and
with the help of the magazine and the camp, I would like to
go to a crisis zone. I’m not interested in the convention anymore, but a crisis zone could be a counterbalance to the camp
school, which is in a sense “child’s play”, even though obviously not in real life. Working on these two planes you can
work on all the different aspects of a mercenary’s life. In fact,
this vein exists in Aschenbrenner, in the Legionnaire who
has a respectable military career behind him, but on the other
hand whose history as a mercenary represents a dirty and
irregular military life. In the regular army there are many
officers for whom the mercenaries would be best off in Hell.
This is the idea I have right now, which is still in some way
connected to the army. […] (From “Filmwärts”, n. 17,
Summer 1990)
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
degli annunci nei quali cercavo per un film un ex legionario o un ex mercenario. È stato così che ho conosciuto
Günter Aschenbrenner. Poi con questo personaggio mi
sono dedicato alla rivista e al campo di addestramento, e
tutto è andato come doveva. Posso muovermi liberamente
nel campo e filmare quello che voglio, già mi hanno chiamato per sapere se davvero andrò da loro e se porterò il
tipo. Questa era l’idea di base; in seguito l’ho un po’ arricchita, mi sono fatto un piano strategico: parallelamente alla
vita di Aschenbrenner e con l’aiuto della rivista e del campo
vorrei andare in una zona di crisi. Il raduno non mi interessa più, invece la zona di crisi potrebbe fare da contrappeso alla scuola del campo, che in un certo senso è un
“gioco da bambini”, anche se naturalmente non nella realtà. Attraverso questi due piani hai la possibilità di lavorare
su tutti i diversi aspetti della vita del mercenario. Infatti da
una parte c’è questo filone su Aschenbrenner, sul legionario che in fondo ha alle spalle una rispettabile carriera militare, e dall’altra parte quelle storie di mercenari che rappresentano una vita militare sporca e irregolare. Negli eserciti
regolari ci sono parecchi ufficiali per cui i mercenari starebbero bene soltanto all’inferno. Questa è l’idea che ho adesso, ancora legata in qualche modo all’esercito. […] (Da
“Filmwärts”, n. 17, estate 1990)
163
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
DA “WARHEADS”
A “DAS HIMMLER-PROJEKT”
FROM “WARHEADS”
TO “DAS HIMMLER-PROJEKT”
Intervista con Romuald Karmakar
Interview with Romuald Karmakar
di Rainer Rothe
by Rainer Rothe
Nell’intervista con Rolf Aurich per “Filmwärts” hai detto che a
lavorare a Warheads eravate un gruppo molto piccolo; è stato
così anche per la parte girata nei Balcani?
In the interview with Rolf Aurich for “Filmwärts” you
said that a very small group of you worked on
Warheads. Was that also the case for the parts shot in the
Balkans?
Lì eravamo veramente pochissimi, oltre a me soltanto un
tecnico del suono e un operatore. Questo era tutto il team.
Carl aveva raggiunto Zagabria da Monaco in treno con gli
altri mercenari per la prima volta poco dopo lo scoppio della
guerra, nel giugno o luglio 1991. Poi erano andati un’altra
volta in ottobre, quando ho girato anche un’intervista con
Carl nella mia cucina. Poco dopo mi hanno fatto sapere che
si potevano iniziare le riprese, e allora mi sono messo a cercare la troupe. Non era una cosa facile, dato che allora esisteva ancora una “hit-list” di giornalisti, nel senso di una
lista di giornalisti “to be hit”, da colpire. Inoltre eravamo
sotto Natale, e nessuno moriva dalla voglia di andare a girare un film da quelle parti, tantomeno di preoccuparsi della
qualità del sonoro. Ricordo bene che all’inizio Christoph
Schlingensief voleva occuparsi delle riprese. Io ho pensato:
benissimo, questo qui lo farà sul serio, è abbastanza matto
da farlo per davvero. Poi però lui si trovava in Austria e lì a
Vienna gli è capitato di leggere un titolo sulla guerra. Certo
Vienna era più vicina di Monaco ai Balcani, anche sul piano
emotivo. A quel punto Schlingensief ha detto che non era
più disposto a farlo, che era troppo pericoloso.
Allora ho chiamato al telefono Pierre Schoendorfer e Raoul
Coutard e ho chiesto se potevano aiutarmi. Coutard mi ha
dato il numero del suo assistente, io l’ho chiamato e visto
che ci trovavamo in difficoltà con i tempi lui è venuto subito da me. Il giorno dopo abbiamo preso una BMW usata e
siamo partiti.
La macchina l’avevo avuta da un amico che ha un’officina
a Passau. Gli avevo telefonato per dirgli che mi serviva
un’auto per il viaggio di andata, un’auto che probabilmente laggiù sarebbe stata ridotta a un colabrodo e noi avremmo trovato un altro modo per tornare indietro.
Così l’indomani sono partito per Zagabria con un operatore
che non conoscevo. Abbiamo fatto conoscenza percorrendo
l’autostrada. In un albergo di Zagabria avevamo invece l’appuntamento con il fonico, che avevo trovato attraverso un’agenzia stampa di Monaco specializzata in notizie
dall’Europa orientale. Il fonico era di Budapest, con lui non
avevo mai parlato prima. Il bello è che nessuno mi aveva
detto che non parlava lingue straniere, soltanto ungherese.
Questa è davvero grossa…
Eppure era proprio così. Quindi avevo un operatore francese che non parlava volentieri in inglese, e un fonico ungherese che da parte sua si era portato un dizionario tascabile
164
There were truly just a few of us there. Besides me, there was
only a sound technician and a cameraman. This was the
entire team. Carl came to Zagreb from Munich by train with
the other mercenaries, for the first time since the war had broken out in June or July of 1991. They went once again in
October, which was also when I shot the interview with Carl
in my kitchen. Shortly thereafter they let me know that I
could begin shooting, so I started looking for a crew. It wasn’t easy since at that time there was still a “hit list” of journalists; that is, a list of journalists “to be hit.” Plus it was
during Christmas, and no one wanted to go shoot a film in
that area, much less to take care of the sound quality. I
remember well that in the beginning Christoph Schlingensief
wanted to operate the camera. I thought, “Great, he’s crazy
enough to really do it, and he’ll do it seriously”. But then he
went to Austria and in Vienna read a book about the war.
Sure, Vienna was closer than Munich was to the Balkans,
even on an emotional level. At that point Schlingensief said
he wouldn’t do it anymore, that it was too dangerous.
So I telephoned Pierre Schoendorfer and Raoul Coutard and
asked them if they could help me. Coutard gave me the number of one of his assistants, and I called him and because we
were in a tight spot time-wise he immediately came out to
where I was. The next day we got a used BMW and left.
We got the car from a friend who has a garage in Passau. I
called to tell him I needed a car for the trip out there, a car
that would probably end up riddled with holes down there,
which we wouldn’t be able to bring back.
So the next day I left for Zagreb with a cameraman that I didn’t know. We got to know each other driving down the highway. In a hotel in Zagreb we met the sound technician, who I
found through a press agency in Munich that specialised in
Eastern Europe. The sound engineer, with whom I had never
spoken, was in Budapest. The best thing was that no one had
told me he didn’t speak any foreign languages, just Hungarian.
That really is too much…
Yet that’s exactly how it was. I had a French cameraman who
wouldn’t willingly speak English, and a Hungarian sound
engineer who, for his part, had brought a Hungarian-English
dictionary. I also had the feeling that they hadn’t explained to
the Hungarian sound engineer exactly where we wanted to
go, so I told him we were going “where they were making
bang-bang”. This didn’t bother him, so the next day we left for
Dove avevate preso il materiale?
La m.d.p. e il Nagra ce li ha forniti la WDR, anche se chiedere il materiale era come chiedere un’auto in prestito. Ci
siamo riusciti soltanto perché Werner Dütsch ci ha appoggiati in modo deciso. Un tizio alla WDR ha detto che se la
cinepresa non tornava indietro potevamo fare a meno di
tornare anche noi (ride).
Warheads è stato un grande successo, anche se contestato. Ti ha
procurato noie?
Questo film è stato per loro semplicemente una conferma
lunga tre ore dell’opinione che si erano formati delle mie
opere precedenti, l’espressione in grande scala di qualcosa
che in generale già non gli piaceva. Poi però nel 1993 è passato alla Berlinale, e la presentazione al Forum ha segnato
la sua vera data di nascita. In quell’occasione Wolfgang
Werner lo ha fatto conoscere alla stampa, e la reazione favorevole ci ha colti di sorpresa, è stato come uno choc.
Personalmente io ricordo Warheads soprattutto come il film
che mi ha permesso di finanziare Der Totmacher, è così che
l’ho sempre visto.
Come è nato il progetto di Der Totmacher?
Avevo sempre voluto girare film a soggetto. Poi però quando le mie prime sceneggiature non hanno trovato finanziatori, a ragione o a torto, ho deciso che avrei girato documentari finché non mi fossi convinto di essere in grado di
fare un film a soggetto e non avessi trovato qualcuno disposto a investire soldi per farmelo realizzare. Un giorno
Michael Farin mi ha dato da leggere i verbali dei suoi colloqui con Haarmann, credo 100 delle 400 pagine complessive.
Quella lettura mi ha infiammato all’istante: ecco, mi sono
detto, questo è il mio film, il film che voglio fare.
Quando hai deciso le scene e le posizioni della macchina da presa?
Nel corso delle prove, che sono durate circa dieci giorni,
c’era un canovaccio per le scene, inoltre avevo già un
modello, quindi conoscevo la disposizione del tavolo e il
resto. Avevo sistemato per le prove uno spazio direi quasi a
grandezza naturale. In quel momento però non avevamo
ancora preso lo stenografo, lo abbiamo arruolato soltanto a
prove già iniziate. All’inizio era previsto che fosse Joachim
Krol, che però un giorno mi ha detto che aveva l’impressione che non ne sarebbe venuto fuori nulla, e un paio di
giorni prima delle prove ha rinunciato. Pierre Franckh è
Gospic where, because there were no hotels, we stayed with
Carl and another mercenary, and we even shot with them.
Where did you get the equipment?
The WDR supplied us with the camera and the Nagra, even
though asking them for equipment was like asking to borrow
a car. We managed to get it only because Werner Dütsch
firmly backed us. A guy from the WDR said that if we didn’t
bring the camera we shouldn’t bother coming back ourselves
(laughs).
Warheads was a great success, even if it was opposed.
Did it get you in trouble?
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ungherese-inglese. Avevo anche la sensazione che non gli
avessero spiegato esattamente dove volevamo andare, così
gli ho detto che si andava “dove facevano bang-bang”. La
cosa comunque non gli ha dato fastidio, così il giorno dopo
siamo partiti per Gospic, dove non essendoci alberghi
abbiamo alloggiato in una casa con Carl e con un altro mercenario, e lì abbiamo anche girato con loro.
To them, the film was simply three hours of proof of the opinions they had already formed about my earlier works, a largescale demonstration of something they didn’t like in general.
Then, however, in 1993 it went to the Berlinale, and the
screening at the Forum marked its real birthdate. On that
occasion Wolfgang Werner introduced it to the press, and the
positive reaction caught us by surprise. It was a shock.
Personally, I remember Warheads above all as the film that
allowed me to finance Der Totmacher, and that’s how I’ve
always seen it.
How did the Der Totmacher project come about?
I had always wanted to shoot a feature film. Then, however,
when my first screenplays did not find any funding, rightly
or wrongly, I decided that I would have kept making documentaries until I was convinced that I was able to make a feature film and to find someone willing to invest money to help
me make it. One day Michael Farin let me read the proceedings from his interviews with Haarmann, approximately
100 of the 400 pages in total. I was immediately excited by
what I read. This is it, I said myself, this is my film, the film
I want to make.
When did you decide the scenes and the camera positions?
During the rehearsals, which lasted about ten days. There was
an outline for the scenes, and I also had a model, so I already
knew how the table and the rest would be placed. I had arranged
an almost full-scale space for the rehearsals. We still hadn’t got
the stenographer; we only recruited him after the rehearsals
started. In the beginning we thought it would be Joachim Krol,
but one day he said he had the feeling nothing would come of it,
and he quit a few days before rehearsals began. Pierre Franckh
only came into the picture towards the end of the rehearsals. He
flew into Berlin from Munich, someone stuck the screenplay in
his hand, and he immediately wanted to leave again, seeing as
how in the entire screenplay…
…he doesn’t say one word…
165
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
entrato in gioco soltanto verso la fine delle prove. Era arrivato a Berlino con un volo da Monaco, dove qualcuno gli
aveva messo in mano la sceneggiatura. Appena arrivato a
Berlino voleva subito ripartire, dato che in tutta la sceneggiatura…
…non aveva nemmeno una frase…
(Laughs) Exactly! But then he said to himself, Seeing as how
I’m already in Berlin, I may as well think about it. So I
showed him the videotape of the rehearsals. It was Fred’s idea
to tape the rehearsals, and he joined us towards the end of the
rehearsal period. So I showed him the tape and I explained to
him that it would be impossible not to see him in a film in
which there were three people in only one room.
(Ride) Esattamente! Poi però si è detto: ormai che sono qui
a Berlino, posso anche passarci sopra. Allora gli ho fatto
vedere il video delle prove. Era stata un’idea di Fred
Schuler, che aveva potuto raggiungerci verso la fine delle
prove e aveva suggerito di mettere una videocamera e
riprendere quello che succedeva. Così ho mostrato il nastro
a Pierre Franckh e gli ho spiegato che in un film dove ci
sono solo tre persone in un’unica stanza era impossibile che
lui non si vedesse.
Did you take a lot of takes?
Avete fatto molti takes?
Is the following film, Frankfurter Kreuz, still similar to
Der Totmacher, stylistically speaking?
Non saprei dirlo con precisione. Ricordo una scena di circa
sei minuti e mezzo con la macchina da presa che si muove
attorno a Haarmann e al professore mentre Haarmann
parla dei dieci comandamenti: quella scena l’abbiamo girata sei o sette volte. In ogni caso giravamo a gran ritmo, tanto
che credo che Götz alla fine fosse completamente esaurito.
È stata una cosa veramente stressante. […]
Il successivo Frankfurter Kreuz è ancora vicino a Der
Totmacher da un punto di vista stilistico?
Sì, è una prosecuzione.
Invece Manila rappresenta un salto?
No, per me anche quello prosegue sulla stessa strada. In
Der Totmacher c’era una stanza di sette metri per nove, in
Frankfurter Kreuz lo spazio era più piccolo ma c’era anche
una finestra che dava sulla strada, quindi il film era una
combinazione di interni ed esterni, il che rappresenta un
problema difficile da risolvere. Inoltre non avevo una sola
figura centrale ma molte. Questo rappresenta uno sviluppo
rispetto a Der Totmacher e una preparazione a Manila, con
cinque grossi spazi, parecchie figure di primo piano e una
numerosa folla sullo sfondo. Curiosamente c’è stato qualcuno all’estero che lo ha visto così, come uno sviluppo ulteriore; qui da noi invece nessuno. Da noi semmai lo hanno
considerato un passo indietro. Con Manila ho aggiunto un
altro strato alla domanda che mi faccio spesso: che cosa ha
visto realmente la gente nei miei film per tutti questi anni?
Quanto è stata stretta la collaborazione con Bodo Kirchoff nella
composizione della sceneggiatura di Manila?
I couldn’t really tell you. I remember one scene that was
about six and a half minutes long, during which the camera
circles around Haarmann and the professor while Haarmann
talks about the ten commandments. We shot that scene about
six or seven times. In any case, we shot so quickly that I think
Götz was completely exhausted in the end. It was a truly
stressful experience. […]
Yes, it’s a continuation.
Manila, however, represents a change?
No, it continues along the same path for me. In Der
Totmacher there was a room that was seven by nine metres,
in Frankfurter Kreuz the space was even smaller but there
was a window that opened up onto the street, so the film was
a combination of interiors and exteriors, which presents a difficult problem to resolve. Besides, I didn’t have one main
character, but many. This is a development in respect to Der
Totmacher, and a preparation for Manila, with five large
spaces, many people in close-up and a large crowd in the
background. Curiously, some people abroad saw it this way,
as an ulterior development; here, however, no one did. If anything, local critics considered it a step backwards. With
Manila I added another layer to the question I often ask
myself: What have people actually been seeing in my films all
these years?
How closely did you collaborate with Bodo Kirchoff in
writing the screenplay for Manila?
That was a great experience. For Der Totmacher we had the
proceedings as a starting point, for Frankfurter Kreuz there
was a radio play, but here we had carte blanche. We agreed
upon the people that interested us in a first treatment.
Working together was new for both of us; later Kirchoff continued working on the material we had developed during the
five or six times we locked ourselves away to read the texts
and to imagine the answers our characters would have given.
When did the idea of the closing chorus come about?
Quella è stata una grande esperienza. Per Der Totmacher
avevamo i verbali come traccia, per Frankfurter Kreuz c’era
un radiodramma, qui invece avevamo carta bianca. Ci
166
It was one of the first ideas we came up with. We wrote the
first treatment in March of 1996. The original idea was to
Quando è nata l’idea del coro di chiusura?
È stata una delle prime. Nel marzo 1996 abbiamo scritto il
primo treatment. L’idea iniziale era di avere un coro nel
quale turisti tedeschi e GI e uomini d’affari americani si
rispondevano a vicenda. Poi abbiamo lasciare cadere l’idea,
dopo che Bodo, che si trovava sul lago di Garda a letto con
l’influenza, aveva sentito sotto le sue finestre italiani e tedeschi cantare insieme Polizeistunde kenne wir nicht, in tedesco
e ripetendo sempre questo solo verso. Gli ho chiesto se
veramente cantavano un solo verso – se fosse vero o no non
lo so ora e non lo saprò mai. Lui comunque afferma che si
trattava di quell’unico verso.
È stato lo stesso anche per il Nabucco?
Già, anche il Nabucco viene da lì, da una straordinaria osservazione di Bodo Kirchoff.
Poi ti sei rifugiato nell’Himmler?
La postproduzione di Manila è stata tremenda, un orrore,
con la regolazione della luce, le copie e tutto il resto, è durata fin troppo a lungo. Poi il film è stato anche respinto dalla
Berlinale. Io però volevo andare a tutti i costi alla Berlinale
2000, così ho deciso di fare un altro film. Il 27 novembre
1999 abbiamo girato questo Himmler-Projekt. Il 3 gennaio ho
consegnato il film, e il 20 febbraio c’è stata la première. Ma
erano cominciate anche le polemiche, già dal “Forum”
Christoph Terhechte mi aveva detto che su nessun altro
film si era discusso tanto nella commissione di selezione.
C’era stata un maggioranza che voleva proiettare il film e
una minoranza…
have a chorus in which German tourists, GI’s and American
businessmen answered in turn. Then we dropped the idea
after Bodo, who happened to be at Garda Lake and in bed
with the flu, overheard a group of Italians and Germans
singing Polizeistunde kenne wir nicht under his window,
in German, and repeating just that one verse. I asked him if
they were really singing just one verse – if this true or not I
don’t know, and I’ll never know. In any case, he claims that
they were singing just one verse.
Was the same true for Nabucco as well?
Yeah, even Nabucco comes from there, from an extraordinary observation made by Bodo Kirchoff.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
siamo messi d’accordo in un primo treatment sulla scelta
delle figure che ci interessavano. Il lavoro in comune era
una cosa nuova per entrambi, più tardi Kirchoff ha continuato a lavorare sul materiale che avevamo sviluppato
nelle cinque o sei volte in cui ci eravamo rinchiusi insieme
per leggerci i testi e immaginare le risposte che i nostri personaggi avrebbero dato.
Then you sought refuge in Himmler?
Post-production on Manila was awful, horrible, with the
lighting adjustments, the copies and all the rest, and it lasted far too long. Then the film was also rejected by the Berlin
Film Festival. However, I wanted to go the Berlinale 2000 at
all costs, so I decided to make another film. On November 27
1999 we shot this Himmler-Projekt. I delivered the film on
January 3, on February 20 it had its premiere. But the controversy had begun, already from the “Forum”. Christoph
Terhechte told me that no other film had provoked as much
discussion among the selection committee. The majority
wanted to screen the film and a minority…
A “qualified minority”?
…a “qualified minority” wanted to reject it. At that point,
however, it all rested upon the democratic majority, as it
were. In any case, the film was screened on the second to last
day, after all the journalists had already left, and during a
special five-hour session, three hours of which were dedicated to the film and two to the discussion.
They could just as easily shown the film on the first day; they
could have foreseen an interesting debate. Instead, they
screened it at the end because they wanted to avoid the
debate. What is a festival for then? (Berlin, April 2001)
Una “minoranza qualificata“?
… una “minoranza qualificata” che lo voleva respingere. A
quel punto tuttavia si è imposta per così dire la maggioranza democratica. Comunque il film sarebbe stato proiettato
soltanto il penultimo giorno, con tutti i giornalisti già ripartiti e nel contesto di una sessione speciale di cinque ore, tre
dedicate al film e due alla discussione.
Si sarebbe potuto anche far vedere il film già il primo giorno, prevedendo un dibattito interessante, invece lo hanno
proiettato alla fine perché quello che volevano evitare era
proprio il dibattito. Ma allora il festival che ci sta a fare?
(Berlino, aprile 2001)
167
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
BIOGRAFIA
Romuald Karmakar (Wiesbaden, 1965) dopo la maturità,
ottenuta nel 1985, decide di diventare regista, ma senza frequentare scuole di cinema, e realizza il suo primo documentario nel 1985. I temi dei suoi documentari Hitler, combattimenti di galli e cani, pugili, militari. Il suo primo film è
Der Totmacher, presentato in concorso al Festival di Venezia
del 1995, seguito da Manila, presentato al Festival di
Locarno nel 2000.
BIOGRAPHY
Romuald Karmakar (Wiesbaden, 1965) decided he wanted to
become a filmmaker after his baccalaureat in 1985. Without
attending film schools, he made his first documentary in
1985. He went on to make a series of documentaries exploring a wide range of subject matters including Hitler, boxers,
soldiers, dogs and cock fighting. His first feature, Der
Totmacher (1995), screened in competition at Venice.
Manila was presented at the Locarno Film Festival in 2000.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Candy Girl (1984, cm), Gehirne schwerfälliger Bauern (1984, cm), Eine Freundschaft in Deutschland (1985; una parte è stata
anche editata col titolo Im zeichen gewaltsamkeit 4), Coup de boule (1987, doc., cm), Gallodrome (1988, doc., cm), Hellman
Rider (co-regia: Ulrich von Berg, 1988, doc., mm), Hunde aus Samt und Stahl (1989, doc., mm), Sam Shaw on John
Cassavetes (1990, doc., cm), Demontage IX, Unternehmen Stahlglocke (1991, doc., cm), Warheads (1992, doc.), Infight (1994,
doc., mm), Der Tyrann von Turin (1989-1994, incompiuto), Der Totmacher (1995), Das Frankfurter Kreuz (1997), Manila
(1999), Das Himmler-Projekt (2000, video)
PROGETTI/PROJECTS
Der Pantegan (sceneggiatura dal racconto omonimo di Victor Hadwiger), Schwarz und Wolf (sceneggiatura del 1986), Der
Mantel des Konsuls o Deutschland über dem Meere (sceneggiatura – realizzata con Thomas Schamoni – da Zwiefalten di Bodo
Kirchoff 1986), Combatdrome (progetto di documentario, 1988)
168
CANDY GIRL
Una perla primigenia, un
A primitive pearl, a pornosceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
Godard porno, perché “un
graphic Godard, because “a film
fotografia/photography (Super8, col., monocromo): Romuald
film è una ragazza e una
is a girl with a gun”. An afterKarmakar
montaggio/editing: Romuald Karmakar
pistola”. Un pomeriggio,
noon, perhaps. A symbol of
produzione/production: Romuald Karmakar
forse. Una giovane icona in
youth in a room: she shoots a
durata/running time: 15’
una stanza: spara con una
gun, she reads Asterix, Lucky
origine/country: RFT 1984
pistola, legge Asterix, Lucky
Lucke, a film club programme,
Lucke, un programma di
she goes around on rollerskates,
cineclub, va sui pattini a rotelle, si masturba con vari
she masturbates with various lollipops. Poetry of reality and
lecca lecca. Poesia del reale e della finzione, colpi di pistofiction, gunshots that are dubbed and rattling gunshots recordla doppiati e crepitii del suono in presa diretta, graffi e
ed live, scratches and flashes on the film, raw power and reflecflash sulla pellicola, cruda forza e riflessiva tenerezza.
tive tenderness. (Olaf Möller)
(Olaf Möller)
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
GEHIRNE SCHWERFÄLLIGER BAUERN
(t.l. Cervelli di contadini tardi)
Lo stesso Romuald Karmakar
non sa esattamente cosa voleva fare con questo film. Si
ricorda che una volta aveva
filmato la Giornata dei cattolici tedeschi, e che aveva fatto
delle riprese del padre. Forse
da tutto ciò è uscito questo film.
(Olaf Möller)
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (Super8, col.): Romuald Karmakar
montaggio/editing: Romuald Karmakar
produzione/production: Romuald Karmakar
durata/running time: 6’
origine/country: RFT 1984
Romauld Karmakar himself does
not know what he wanted to do
with his film. He remembers that
he once filmed German Catholics
Day, and that he shot some
footage of his father. Perhaps a
film came out of all of this.
(Olaf Möller)
169
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
EINE FREUNDSCHAFT IN DEUTSCHLAND
(t.l. Un gruppo di amici in Germania)
Dopo i diari di Hitler, gli
After Hitler’s diaries, Hitler’s
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
home movies su Hitler: menhome movies: Hitler taking a
fotografia/photography (Super8, b/n, col.): Florian Süßmayr,
tre fa il bagno, mentre mangia
bath, eating soup, taking a walk
Doris Kuhn, Anatol Nitschke, Olaf Schönwolf, Reinhard
la minestra, mentre fa una
or sledding, at Carnival and
Eggersdorfer
montaggio/editing: Romuald Karmakar
passeggiata e su una slitta, a
Octoberfest. One of his old
musica/music: Lorenz Lorenz, Florian Süßmayr
carnevale e all’Oktoberfest.
neighbours sings into the faded
suono/sound: Romuald Karmakar
Un vicino di allora ci rende
Super 8 camera and lets us in
interpreti/cast: Romuald Karmakar, Anatol Nitschke,
oggi partecipi, dal suo sogon Hitler’s “petit-bourgeois”
Werner Wohlrab, Regina Huber, Joachim Hoh, Marina
giorno bavarese e piccolo-borsojourn in Bavaria. He met
Bierlein, Gunther Weckherlin, Manuela Hartmann,
ghese, cantando alla m.d.p. su
Hitler in 1920, when he was
Andrea Hagen, Wolfgang Flatz
un Super8 sbiadito. Nel 1920
living in a neighbour’s sublet.
produzione/production: Romuald Karmakar
conobbe Hitler, quando abitaA friendship was born when
durata/running time: 75’
va in subaffitto dai vicini,
they exchanged pornographic
origine/country: RFT 1985
scambiandosi giornaletti pormagazines, and they remained
nografici nacque un’amicizia,
faithful companions until 1933,
e rimasero buoni compagni fino al 1933, quando “Adi”
when “Adi” decided to begin a new life in Berlin. Fifty years
decise di cominciare una nuova vita a Berlino.
later we see the films shot then, and full of youthful pride, he
Cinquant’anni dopo ci mostra i film girati allora e, pieno
takes us to the historical sites, along Munich’s streets and
d’orgoglio gioviale, ci conduce nei luoghi storici, sulle strasquares. From the present-day places a story arises that is
de e piazze di Monaco, e dai luoghi odierni racconta una
wholly innocent and different from that which one expects the
storia del tutto innocente e diversa che instaura una tenspectator to know. (“Tagesspiegel”, 18th August 1991)
sione con quello che si suppone sappia lo spettatore.
(“Tagesspiegel”, 18 agosto 1991)
COUP DE BOULE
(t.l. Colpo di testa)
Coup de boule: colpire con la
fronte qualcuno in piena faccia. Forte, veloce, duro –
come un pallone. Soldati
francesi che sbattono la fronte
contro gli armadietti, contro
le porte di legno – per ridere,
per i loro compagni. La porta
si rompe? No. La loro testa?
Neanche. E allora? Niente.
170
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (16mm, col.): Romuald Karmakar
montaggio/editing: Romuald Karmakar
musica/music: Romuald Karmakar
suono/sound: Romuald Karmakar
produzione/production: Romuald Karmakar
durata/running time: 8’
origine/country: RFT 1987
Coup de boule: butting someone in the face with your forehead. Forceful, fast, hard – like
football. French soldiers with
their foreheads against their lockers, the wooden doors – for a
laugh, for their mates. Does the
door fall apart? No Their heads?
No. What then? Nothing.
GALLODROME
Un combattimento di galli
nella Francia del Nord in commemorazione della festa
nazionale.
A cockfight in northern France
in commemoration of the
national holiday.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer
montaggio/editing: Romuald Karmakar, Birgit Lorenz
produzione/production: Exocet-Film Romuald Karmakar
durata/running time: 12’
origine/country: RFT 1988
HELLMAN RIDER
Video intervista di Karmakar e
Ulrich von Berg al mitico regista indipendente americano
Monte Hellman, l’autore di The
Shooting e Cockfighter.
sceneggiatura/screenplay: Ulrich von Berg (anche co-regia),
Romuald Karmakar
fotografia/photography (Super8, col.): Florian Süssmayr,
Erich von Wagner
montaggio/editing: Jürgen Reichenmeier
suono/sound: Romuald Karmakar
durata/running time: 42’
origine/country: RFT 1988
A video interview by
Karmakar and Ulrich von
Berg of the legendary
American independent director Monte Hellman, the creator of The Shooting and
Cockfighter.
171
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
HUNDE AUS SAMT UND STAHL
(t.l. Cani di velluto e acciaio)
Il pit bull. Una razza di cani
da combattimento, importata
dall’America. Arrivata in
Germania soltanto da pochi
anni. Amburgo la sua roccaforte. Cani straordinari con
nomi divini. Cani divini per
tipi speciali. Tipi speciali con
storie personali.
The pit bull. A breed of fighting
dog imported from America,
which arrived in Germany only a
few years earlier. Hamburg is the
stronghold. Extraordinary dogs
with godlike names. Godlike dogs
for special people. Special people
with personal stories.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer
montaggio/editing: Birgit Lorenz
suono/sound: Carol Schneeweiß, Klaus Rosentreter
produzione/production: Exocet-Film Romuald Karmakar
durata/running time: 54’
origine/country: RFT 1989
ROMUALD KARMAKAR
DER TYRANN VON TURIN
(t.l. Il tiranno di Torino)
Der Tyrann von Turin non
Der Tyrann von Turin does
durata/running time: 25’
consiste altro che in immaginot exist except in images of
origine/country: Germania 1989-1994
ni della Torino autunnale
Turin in the autumn of 1989.
dell’anno 1989. La maggior
Most of the footage was shot in
parte di esse sono state riprese nei luoghi citati nelle letplaces mentioned in Nietzsche’s letters to his mother. The
tere di Nietzsche a sua madre, di cui alcune vengono
mother of the actor who provides Nietzsche’s voice reads some
lette, risposte incluse. Vengono lette dalla madre dell’atof the letters and their replies. Unlike Eine Freundschaft in
tore che dà la voce a Nietzsche: al contrario di Eine
Deutschland, there are no acted scenes. The relationship
Freundschaft in Deutschland non ci sono scene recitate, il
between the two films thus illustrates the development of
rapporto fra i due film illustra perciò anche lo sviluppo
recorded cinema of everyday facts to their dramatic re-enactdel cinema dalla registrazione di fatti quotidiani alla loro
ments. (Olaf Möller, “Filmwärts”, n. 4/94)
recitazione. (Olaf Möller, “Filmwärts”, n. 4/94)
172
SAM SHAW ON JOHN CASSAVETES
(t.l. Sam Shaw su John Cassavetes)
Intervista al produttore Sam
Shaw: i suoi ricordi dell’amico John Cassavetes.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (video, col.): Romuald Karmakar
montaggio/editing: Igor Patalas, Romuald Karmakar
produzione/production: Exocet-Film
durata/running time: 23’
origine/country: Germania 1990
An interview with producer
Sam Shaw on his memories of
his friend John Cassavetes.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
DEMONTAGE IX
UNTERNEHMEN STAHLGLOCKE
(t.l. Demontage IX
Operazione campana d’acciaio)
Demontage IX is the filming of
a performance by the Austrian
artist Flatz, who for five minutes is swung to and fro by a
bell-ringer between two steelplates fixed to the ceiling.
Afterwards, a couple dances the
waltz “The Blue Danube”.
Demontage IX è la ripresa di
uno spettacolo dell’artista
austriaco Flatz, che per cinque minuti viene fatto oscillare avanti e indietro come
una campana tra due lastre
di metallo fissate al soffitto.
Poi, una coppia danza sulle
note del “Bel Danubio blu”.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer
montaggio/editing: Brigit Lorenz
suono/sound: Klaus-Peter Kaiser
interpreti/cast: Flatz, Asis e Iran Khadjeh-Nouri, Koka
Ramischwilli
produzione/production: Romuald Karmakar Filmproduktion
distribuzione/distributed by: Ex Picturis (Fidicinstrasse 40,
1000 Berlin 61; tel.: 30-6916008; telex 186794; fax: 306929575)
durata/running time: 24’
origine/country: Germania 1991
173
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
WARHEADS
(t.l. Teste di guerra)
Warheads presenta le vite
dell’ex legionario Günther
Aschenbrenner e del mercenario inglese Carl in tre ore
di documentario. Si passa da
un campo di addestramento
di una “Special Assault
School” per chi vuole giocare alla guerriglia, situato a
Jackson nello stato del
Mississippi, poi un fortino
della Legione Straniera nella
Guyana francese e infine la
cittadina croata di Gospic,
segnata dalla guerra civile.
Warheads presents the lives of
ex-legionnaire
Günther
Aschenbrenner and English
mercenary Carl in a three-hour
documentary. It begins in the
training camp of a “Special
Assault School” in Jackson,
Mississippi (USA), for those
who want to play at being
guerrillas, then travels to a
Foreign Legion outpost in
French Guyana and finally to
the Croatian city Gospic,
besieged by civil war.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (16mm, col.): Michael Teutsch,
Klaus Merkel, Reiner Lauter, Bruno Affret
montaggio/editing: Katja Dringenberg
suono/sound: Klaus-Peter Kaiser, Norbert Werner, Eckard
Kuchenbecker, Istvan Kerenyi
produzione/production: Max Film, Eurocréation Productions,
WDR
distribuzione/distributed by: Ex picturis (Fidicinstrasse 40,
1000 Berlin 61; tel.: 30-6916008; telex 186794; fax: 306929575)
durata/running time: 182’
origine/country: Germania/Francia 1992
174
INFIGHT
(t.l. Lotta interna)
Un gruppo di pugili tedeschi: estenuanti allenamenti
in palestra, interviste e, finalmente, il ring.
A group of German boxers:
exhausting training sessions in
the gym, interviews and, finally,
the ring.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar
fotografia/photography (video, col.): Klaus Müller-Laue
montaggio/editing: Uwe Klimmeck
suono/sound: Eckhard Kuchenbecker
produzione/production: Pantera Film, ZDF
durata/running time: 47’
origine/country: Germania 1994
175
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
DER TOTMACHER
(t.l. L’assassino)
1924. Fritz Haarmann, commesso viaggiatore, confessa
di aver ucciso e smembrato i
corpi di 24 giovani. Il professor Ernst Schultze riceve l’incarico di preparare una relazione psichiatrica che stabilisca la sanità mentale dell’accusato. Ad agosto, in una clinica di Göttingen, hanno inizio le sei settimane di esame.
Le conversazioni, stenografate da una segretaria, costituiscono la base del film. I testi
sono stati riprodotti nella
loro autenticità: tutto il film
si svolge nello studio del professor Schultze.
1924. Salesman Fritz Haarmann
admittes to having killed and dismembered the bodies of 24 young
men. Professor Ernst Schultze is
commissioned to prepare a psychiatric report determining the
soundness of the accused’s mental state. The six-week examination began at a clinic in
Göttingen in August. The conversations which were documented in shorthand by a secretary form the basis of the film.
The texts have been reproduced
authentically.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Michael Farin
fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler
montaggio/editing: Peter Przygodda
suono/sound: Robi Güver
scenografia/art direction: Toni Lüdi
costumi/costumes: Peri de Bragança
interpreti/cast: Götz George, Jürgen Hentsch, Pierre
Franckh, Hans-Michael Rehberg, Matthias Fuchs, Marek
Harloff, Christian Honhold, Rainer Feisthorn
produzione/production: Thomas Schühly, Pantera Film
Produktion
distribuzione/distributed by: Deutscher Verleih Warner
Bros. Film (GmbH Hans-Henny-Jahnn-Weg 35, d-22085
hamburg; tel.: (040) 22650221; fax: (040) 22650229)
durata/running time: 114’
origine/country: Germania 1995
In questa indagine dello scatenamento freddo dei sensi
in direzione del dolore, in
questa anticipazione a posteriori della disumanità nazista
(si veda la meticolosità con
cui
il
commerciante
Haarmann racconta di aver
scomposto e riciclato i corpi
delle sue vittime), in questo
“kammerspielfilm” sonoro,
girato tutto in una stanza, in
quel concentrato di parole,
emozioni, espressioni del corpo e del viso (del magnifico
Götz George), c’è un riflesso del lavoro sull’attore fatto da
Cassavetes (anche se qui il testo è molto più scritto della
“improvvisazione” del regista americano, essendo costituito dai veri verbali della polizia psichiatrica eseguita su
Haarmann dal professor Ernst Schultze). E c’è soprattutto una certa pietà per l’essere umano, che “nonostante
tutto” Haarmann continua a essere. Un non allinearsi di
Karmakar con la freddezza clinica dell’indagatore-burocrate, che si compie in quella spirale sempre più stretta
con cui la macchina da presa gira intorno ai due protagonisti, fino al secco abbraccio finale. (Luciano Barisone,
“Cineforum”, n. 348, ottobre 1995)
176
In this inquiry into the outbreak
of cold indifference to pain; in
this anticipation of the hindsight
of Nazi inhumanity (depicted in
the salesman Haarmann’s meticulous descriptions of how he dismembered and recycled his victim’s bodies); in this resounding
“kammerspielfilm”, shot entirely
in one room; in this concentration of words, emotions, facial
and bodily expressions (of the
magnificent Götz George); there
is a reflection of Cassavetes’ work
with the actor. (Yet this text is
much more written than the
American director’s “improvisations”, having been constructed
on the verbal truths of the psychiatric police that are exacted on
Haarmaan by professor Ernst Schultze.) Above all, however,
there is pity for the human being which, “despite everything”,
Haarmann continues to be. A non-alignment by Karmakar with
the coldness of the investigator-bureaucrat, which is achieved in
that ever-narrowing spiral created as the camera encircles the
two main characters, up to the final, dry embrace. (Luciano
Barisone, “Cineforum”, n. 348, October 1995)
DAS FRANKFURTER KREUZ
(t.l. La croce di Francoforte)
La “Frankfurt junction” di
Walter è un chiosco di ristoro
con la licenza per vendere
alcolici e un forno a microonde. 31 dicembre 1999: per
Walter e i suoi clienti questo è
un giorno come tutti gli altri.
Troppo presi dalla propria
vita, non credono più ai miracoli. Harry, per esempio,
conosce tutti i pub della zona
ma si sente a casa solo da
Walter, cosa che a quest’ultimo non sempre fa piacere.
Mannie, di nuovo senza lavoro, non ha fortuna neanche
con Roswita. Mr. Faltermann
cerca di sfuggire alla claustrofobia domestica. E la dottoressa che si avvia al turno
di notte non capisce proprio
cosa ci sia da festeggiare.
Sebbene nessuno di loro sembri voler avere qualcosa a che
fare con la vigilia del millennio, alla fine succede tutto – il
miracolo. Ma chiunque finisca al “Frankfurt junction”
non sa davvero che cosa lo
aspetta.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Michael
Farin dalla pièce radiofonica di Jörg Fauser Für eine mark
und acht
fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler
montaggio/editing: Juliane Lorenz, Margarete Rose
suono/sound: Martin Müller
scenografia/art direction: Tony Lüdi
costumi/costumes: Ute Pallendorf
interpreti/cast: Michael Degen, Manfred Zapatka, Jochen
Nickel, Kajsa Reingardt Dagmar Manzel, Christina Kruse,
Ulrich von Dobscütz, Birol Ünel, Pierre Franckh, Mattias
Fuchs, Katharina Müller-Elmau, Hans-Michael Rehberg,
Helmut Semmet, Stefan Vogel, Susanne Roher
produzione/production: La Sept ARTE, Die Zweite
Hauskunst, Aut et Court, WDR
distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue
Lamartine 24, F-75009 Parigi; tel.: (1-49) 700370; fax: (1-49)
700371)
durata/running time: 55’
origine/country: Germania 1997
Walter’s “Frankfurt Junction”
is a refreshment stand with an
alcohol license and microwave
cuisine. December 31st, 1999:
for Walter and his guests this is
a day like any other. Too caught
up with their own lives, they no
longer believe in miracles. Harry
for example, knows all the pubs
in the area but feels at home only
at Walter’s, which does not
always suit Walter. Mannie, out
of work again, is also out of luck
with Roswita. Mr. Faltermann
is fleeing domestic claustrophobia. The doctor on the way to her
nightshift doesn’t really know
what there is to celebrate anyway. Although not one of them
seems to want anything to do
with the eve of the millenium, it
does happen in the end – the miracle. But anyone who ends up at
the “Frankfurt Junction” doesn’t know what he is getting himself into.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
177
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
MANILA
In una sala d’attesa nell’aeroporto di Manila alcuni viaggiatori sperano da ore di
poter prendere l’aereo che li
porterà
in
Germania.
Ammazzano il tempo raccontando aneddoti accaduti
loro all’estero, come nel caso
dei Görler, una coppia di
insegnanti della Germania
dell’Est. Walter si è recato in
Asia accompagnato dalla
moglie filippina per riportare
in Germania il corpo di un
amico morto di Aids. Rudi,
soldato della Bundeswehr,
racconta l’eperienza traumatica di un’operazione militare
in Somalia. Una giornalista
registra ogni sua minima
parola: da un ventina d’anni
scrive esclusivamente articoli
sui tedeschi all’estero. Franz
racconta che ha due amiche
filippine: “onora” la prima in
inverno e la seconda in estate. Quanto a Cora, filippina,
vuole andare in Europa per
prostituirsi. L’attesa diventa
fastidiosa, alcuni viaggiatori
cominciano a perdere la
pazienza.
sceneggiatura/screenplay: Bodo Kirchhoff, Romuald Karmakar
fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler
montaggio/editing: Peter Przygodda
musica/music: Ric Manrique Jr.
suono/sound: Martin Muller
scenografia/art direction: Rolf Zehetbauer
interpreti/cast: Chin-Chin Gutierrez, Manfred Zapatka,
Michael Degen, Jürgen Vogel, Elizabeth McGovern,
Martin Semmelrogge, Eddi Arent, Ana Capri, Margit
Castersen
produzione/production: Pantera Film GmbH, Romuald
Karmakar, Renate Seefeld
distribuzione/distributed by: Bavaria Film International
(Bavariafilmplatz 8, D-82031 Geiselgasteig; tel.: (49-89)
64992686; fax.: (49-89) 64993720)
durata/running time: 113’
origine/country: Germania 1999
Nel concepire Manila non ci siamo detti che ci occorrevano un omosessuale, un impiegato di banca e via di seguito, in modo da fornire un campionario rappresentativo.
Ci siamo semplicemente domandati quali fossero i personaggi che ci interessavano. Mi viene spesso chiesto in che
misura amo i miei personaggi e devo confessare che è una
domanda che non capisco. È evidente che amo i miei personaggi. In primo luogo sono stato io a crearli. C’è stato
quindi, in precedenza, un processo di elaborazione. In
secondo luogo, non parlo mai della mia vita privata:
invento figure che mi piacerebbe vedere sullo schermo. E
infine trovo sia mio dovere, come regista, tentare di rappresentare i personaggi; con la collaborazione degli altri
membri della troupe e degli attori, nel modo più interessante e complesso possibile. (Romuald Karmakar)
178
A group of travellers find themselves thrown together in the
Manila airport waiting lounge.
Taking their cue from the
Görlers, an East German teaching couple, they recount their
travel adventures to kill time.
Walter, meanwhile, came to
Asia with his Filipino wife to
repatriate the body of a friend
who has died of AIDS. Rudi, a
soldier in the German army,
tells of his traumatic experiences
participating in military operations in Somalia. A journalist
coldly notes his every word. For
the past 20 years, she has written exclusively about Germans
abroad. Franz, meanwhile, tells
anyone that he has two Filipino
girlfriends. He “honours” the
first in the winter and the second in the summer. Cora, the
Filipino woman, is going to
Germany to become a prostitute.
The wait becomes irritating,
some passengers begin to lose
patience.
When we were developing
Manila, we didn’t say we need a
homosexual character, a bank
employee and a… in order to
give a representative cross-section of society. We simply asked
ourselves which characters interested us. I’m often asked how
much do I like my characters. I have admit I don’t really understand this question. Of course I like my characters: I created
them. They take some time and effort to evolve. I never delve
into my private life; instead, I invent characters I would like to
see on the screen. Then, as a director I have to try them out.
With the help of the other members of the crew and actors, I
flesh out the characters so that they become as interesting and
complex as possible. (Romuald Karmakar)
DAS HIMMLER-PROJEKT
(t.l. Il progetto Himmler)
Dopo essere entrato nella
After exploring Adolf Hitler’s
vita privata di Hitler con Eine
private life in Eine FreunFreundschaft in Deutschland,
dschaft in Deutschland,
Romuald Karmakar focalizza
Romuald Karmakar focuses his
la sua attenzione su Heinrich
attention on the Nazi leader
Himmler. Nella sua ricostruHeinrich Himmler. For this
zione il regista filma un disreconstruction, he films a secret
corso segreto di tre ore e
three and a half hour speech that
mezzo che Himmler, allora
Himmler, then the Third Reich’s
ministro degli Interni del
Minister of the Interior and
Terzo Reich e Capo delle SS,
Chief Commandant of the SS,
pronunciò il 4 ottobre 1943
gave to 92 of his generals on the
davanti a 92 generali.
4th October, 1943. Taking a conBasandosi su una registratemporary recording as a basis
zione audio dell’epoca,
for the film, Karmakar shot it in
Karmakar gira il film in un
a day, with four digital cameras.
sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Stefan
giorno con quattro macchine
Das Himmler-Projekt has only
Eberlein
da presa digitali. Das
50 cuts over its three hour runfotografia/photography (video, col.): Bernd Neubauer,
Himmler-Projekt presenterà
ning time. The “Posen Speech”
Werner Penzel, Florian Süssmayer
alla fine solo 50 tagli per una
justifies the extermination of the
montaggio/editing: Nicholas Goodwin
durata di tre ore. Il “discorso
“Slavs”, and is a horrifying
suono/sound: Klaus-Peter Kaiser
di Posen” giustifica lo sterapologia for Nazi frenzy.
interpreti/cast: Manfred Zapatka
minio degli ebrei e lo sfruttaHimmler sketches out his future
produzione/production: Pantera Film GmbH, Romuald
mento e lo sterminio degli
projects: the SS has the duty to
Karmakar
“slavi” e intesse l’apologia
establish itself as a key organisadurata/running time: 182’
del furore nazista in tutto il
tion in Europe, guarantor of the
origine/country: Germania 2000
suo orrore. Himmler vi illu“Germanic” Empire which will
stra anche i suoi progetti per l’avvenire: le SS hanno il
extend as far as the Urals, “and one day much further”.
dovere di affermarsi come un’organizzazione chiave in
Europa, a garanzia dei confini dell’Impero “germanico”
che si estenderanno sino agli Urali “e un giorno anche
molto oltre”.
PERSONALE ROMUALD KARMAKAR
ROMUALD KARMAKAR
179
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
ANATOMIES OF THE IMAGE
di Serafino Murri
by Serafino Murri
Il lavoro su immagini e sonoro del britannico Chris Petit
si pone sotto il segno, sempre più raro, di una rivoltosa
inafferrabilità. Critico cinematografico per “Time Out”
negli anni ’70, è passato dietro alla macchina da presa
(come uno tra gli ultimi mohicani della Nouvelle Vague
europea) con un’ellittica versione del road-movie alla
Hellman negli anni del tatcherismo trionfante (Radio On,
1979), per poi spingersi, col sostegno della Road Movies
di Wenders, verso un’inquietante e ironica commistione
di generi “minori” ad alto tasso di thriller e noir (la stessa che più tardi, abbandonata la “fiction” cinematografica, ha sviluppato come scrittore, in romanzi come The
Psalm Killer e Back from the Grave). Negli anni ’90, infine,
Petit ha mutato radicalmente le proporzioni tra gli ingredienti del suo cinema, e grazie all’incontro creativo (in
forma di beffardo complotto) con uno scrittore del calibro
di Iain Sinclair (tra i pochi assieme a Ballard in grado di
dare nuova linfa a un genere reso esangue proprio dal
cinema come la science fiction), ha raggiunto il vertice del
suo talento visionario mettendo a punto un registro
espressivo ibrido, di mistificazione/esplorazione del
reale, una specie di mockumentary drammatico che ha
poche pietre di paragone nel panorama del film-making
attuale. Come se lo spirito di Sans Soleil e La Jetée di
Marker si fosse reincarnato nella tecnologia più avanzata,
la stessa del videoclip e dello spot, in un’eclettica commistione tra formati, tecniche e soluzioni di ripresa, per tornare a mettere in discussione con poesia e disincanto la
verità del mondo trasformato in immagine di se stesso. A
fare da collante narrativo e background climatico ai film
realizzati nell’ultimo decennio con Sinclair è uno scenario
iperrealista, con suggestioni a cavallo tra science fiction e
fake di wellesiana memoria, in cui vengono dissezionati e
rielaborati gli stilemi del mezzo che più di tutti è responsabile del degradante buonsenso dell’ultimo scorcio di
secolo: quello televisivo. Il risultato, soprattutto negli
ultimi due atti della “trilogia” Petit-Sinclair costituita da
The Cardinal and the Corpse (1992), The Falconer (1998) e
Asylum or The Final Commision (2000), è la descrizione di
mondi possibili sulla soglia tra presente e futuro, attraversati da un senso di mistero e da una contro-logica che
corrodono le apodittiche certezze della nostra civiltà, svelandone sul piano visivo la loro traballante assurdità.
Nonostante la singolarità del suo codice, però, sarebbe
fuori tiro definire Petit cineasta “underground”: per
cogliere il suo attentato alla logica corrente, non va
dimenticato che questi film nascono come exploitation dei
fondi produttivi di canali televisivi come Channel Four,
la stessa committenza delle tante commediole di buon
gusto (“sociale” o no) che ingolfano tristemente l’attuale
scena cinematografica britannica. Inserendosi con causti-
English filmmaker Chris Petit’s work on image and sound falls
under the increasingly rare category of rebellious elusiveness.
A film critic for “Time Out” during the 1970s, he moved
behind the camera (like one of the last of the Mohicans of the
European New Wave) with the elliptical version of a road
movie, à la Hellman, during the triumphant Thatcher years
(Radio On, 1979), only to then push himself, with the support
of Wenders’ Road Movies, towards a disquieting and ironic
blend of “lesser” genres like the thriller and noir. (The same
genres which, after having abandoned in his cinematic “fiction”, he developed as a writer in novels such as The Psalm
Killer and Back from the Grave). In the 90s, Petit finally radically mutated the proportions of the ingredients of his filmmaking, thanks to the creative encounter (in the form of scornful conspiracy) with the highly talented writer Iain Sinclair
(one of the few, along with Ballard, who is capable of giving
new life to a genre like science fiction that has been rendered
lifeless by film itself). Petit reached the height of his visionary
talent honing a hybrid expressive voice of mystification/exploration of the real, a kind of dramatic mockumentary that has
few elements to which it can be compared in contemporary
filmmaking. It is as if the spirit of Marker’s Sans Soleil and La
Jetée were reincarnated with more advanced technology, the
same technology of music videos and advertisements – in an
eclectic mix of formats, techniques and filming solutions – to
return to discussing, with poetry and disenchantment, the
world’s truth transformed into images of itself. The narrative
glue and climactic background to the films made in the last
decade with Sinclair is the hyper-realistic scenery, which evokes
something between science fiction and the “fake” of Wellesian
memory; in which the stylistic features of the medium most
responsible for the degrading common sense at the close of the
last century – television – are dissected and re-elaborated. The
result, especially in the last two acts of the Petit-Sinclair “trilogy”, made up of The Cardinal and the Corpse (1992), The
Falconer (1998) and Asylum or The Final Commission
(2000), is the description of possible worlds on the threshold
between the present and the future, with a sense of mystery and
counter-logic running through them that corrode the apodictic
certainties of our culture, revealing their unsteady absurdities
on the visual plane. Despite his uniqueness, however, it would
be wrong to call Petit an “underground” filmmaker. To understand his attack of the current way of thinking one must not
forget that these films arise as an exploitation of production
funds of television channels like Channel Four, the same producers who commissioned light, tasteful comedies (“social” or
otherwise) that sadly glut the British film scene. With caustic
lucidity, Petit inserted himself clandestinely in the “banality
factory”, with his non-stories between documentary and fiction, between electronic over-refinement and analogical tribalism. He turns the narrative idea on its head with an aesthetic
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
ANATOMIE DELL’IMMAGINE
183
I VIDEO DI CHRIS PETIT
184
ca lucidità, da clandestino, nella fabbrica della banalità,
Petit, con le sue non-storie tra documento e fiction, tra
calligrafismo elettronico e tribalismo analogico, ribalta
con un surplus estetico l’idea di narratività, e ne amplia il
senso inserendo al suo interno inquietanti fusioni del
rimosso sociale, biografie immaginarie, vita in presa
diretta ricostruita: movimenti fumogeni che animano un
clima intravisto nell’episodio “fantascientifico” che apre
Lo stato delle cose del padre putativo Wenders, ma con
un’attrazione morbosa per la morte e la degenerazione, la
metastasi e la malattia, sintomi del processo di erosione
di una civiltà e dei suoi modi di vita, che ha pari solo nel
lavoro di un altro inquieto conterraneo, il non meno eclettico artista della visione Peter Greenaway.
Verità e invenzione, vita vissuta e fiction, diventano elementi indistinti e alla pari, confluiscono assieme a brani
di opere altrui utilizzati alla maniera del found-footage in
un unico tessuto, per suscitare una casuale spontaneità
espressiva, la stessa della vita che scivola davanti alla
telecamera di un negozio: ogni brano di film si porge
come bandolo di una matassa inestricabile a cui è legato
tutto il resto del mondo, nella sua ragnatela di tempo,
spazio e caso. Le suggestioni frammentarie che Petit utilizza per mettere in scena oscure vite d’artista off (The
Falconer) e malattie virali della tele-visione (Asylum), con
il loro procedimento indiziario, innescano nella narrazione una trama di evocazioni incontrollate, esplosioni a
catena e connessioni “a domino” tra gli oggetti della
visione, che generano una moltiplicazione dimensionale
delle immagini. A sfondare il limite delle due dimensioni
è il tempo come terza dimensione visibile: un tempo suddiviso, corrotto, che scorre nei suoi diversi gradi simultaneamente nello spazio visivo. Il ricordo e la fantasmagoria si compenetrano all’attualità: il baricentro del tempo
fluttua, la crono-logica diviene una variante tra le altre
che l’immagine, con i suoi processi raffigurativi, muove
in avanti e indietro a suo piacimento. Un fattore di caos
semiotico ancor più marcato dall’uso della parola, che
entra prepotentemente nello spazio visivo in tutte le sue
forme (scritta, detta, vista), e che ha la proprietà di interagire con la visione fino a provocarle degli shock percettivi. Spesso asincrona rispetto all’immagine, la parola
nelle ultime opere di Petit si fa testimone della scissione
tra espressione e verità, tra apparenza ed essenza. Le
zone dell’immagine invase dalle parole scritte, mentre
enfatizzano e rendono permanenti con velocità stocastica
brani vocali transeunti nella dimensione cronologica
lineare, coniugano la grammatica del videoclip a quella
del libro e dell’articolo di giornale, fondono la definitezza di una lettera privata alla mano furtiva di un graffitista sul muro della città. Come spiega lo stesso regista, si
tratta di “convertire la scrittura in immagini, e non di filmare dei libri”.
Dunque, con Petit e Sinclair ci troviamo di fronte al ribaltamento della “caméra-stylo” della Nouvelle Vague: non
la macchina da presa usata come una penna, ma una
scrittura fatta di immagini che come geroglifici designa-
surplus, and expands its meaning by inserting a disturbing
fusion of social repression, imaginary biographies, and reconstructed “live” lives into it. Smoky movements that bring to life
an ambience half-glimpsed in the science-fictional episode that
opens The State of Things by the putative father Wenders, but
with a morbid attraction for death and degeneration, metastasis and sickness, symptoms of the erosive process of a civilisation and its ways of life, which is matched only by the work of
another disquieting fellow countryman of Petit’s, the no less
eclectic visual artist Peter Greenaway.
Truth and invention, real lives and fiction, become indistinct
and equal elements, merging with other people’s work in the
found-footage style into a single fabric, to create a random
spontaneous expressiveness, not unlike the life that slides by in
front of a shop video camera. Each piece of film presents a clue
to a inextricable tangle to which everything in the world is connected in its spider web of time, space and chance. The fragmented intimations (and their circumstantial methods) that
Petit uses to put obscure lives of an “off” artist (The Falconer)
and viral diseases of television (Asylum) onto film, trigger a
plot of uncontrolled evocations, chain reaction explosions and
domino connections between the visual objects in the narration
that generate a dimensional multiplication of images. Time
breaks through the limits of the two dimensions as a visible
third dimension: a subdivided, corrupt time that passes by
simultaneously at its different levels in visual space. The memory and phantasmagoria are interpenetrated with current
events: the barycentre of time fluctuates, the chrono-logic
becomes a variant like any other that the image, with its representational processes, moves forward and backwards as it pleases. A factor of semiotic chaos even more marked by the use of
language, which enters domineeringly into the visual space in
all of its forms (written, spoken, seen) and that has the ability
to interact with the vision up until the point of even provoking
in it perceptive shocks. Often asynchronous in respect to the
image, the language in Petit’s latest works bears testament to
the fission between expression and truth, appearance and
essence. The image zones are invaded by the written words,
which emphasise and render permanent the ephemeral vocal
fragments with stochastic speed in the linear chronological
dimension, joining the syntax of the music video with that of
the book and newspaper article, establishing the tangibility of a
private letter in the hands of a furtive graffiti artist on a city
wall. As the director himself explains it, it is a question of “converting the writing into images, and not filming books”.
Therefore, with Petit and Sinclair we found ourselves in front
of an upheaval of the “camera-pen” of the New Wave. The camera is not used like a pen; rather the writing is made up of
images that, like hieroglyphics, cryptically design the meanings, submitting them to continuous reinterpretation. All of the
phases of the image, from the design to the photograph to the
film frame, work together, flow into each other, contaminate one
another. In Asylum, the same images shot several times wear
themselves out, until their progressive blurring achieves in
denying the tightness and “objective” independence of the
image-form (one of the cornerstones of television ideology that
determines the visible and true). The visible is subjectified in a
dimension that is intraocular, mental, an active (and not
descriptive) mimesis of the processes of memory and association. The merging of refined gestures that appear random in the
flow of a life filmed live – with writings, maps and animated
designs in what is a masterpiece in its genre in all respects, The
Falconer (1998) – create a superimposition and audio-visual
coexistence of the foundations of an attack against narrative
violence as a movement that flattens any individuality and difference of what exists in a linear story which, unlike when it
happens in a real life experience, becomes universally “understandable”. The same idea of documenting an irregular life like
that of Peter Whitehead’s (flaneur, filmmaker, counter-culture
torchbearer of the “swinging London” years, mythomaniac and
alleged lover of numerous female celebrities) erases the boundary between character and reality, and recreates a truth accentuating the pertinent outlines in light of a global sentiment, of
an objectified emotion.
Just as in Ciprì and Maresco’s work on idiots and the marginalised (or in Herzog’s work with Bruno S. in Every Man For
Himself and God Against All), the aim is to push reality to
become even more real that it is. Whitehead is all of those things
(poetic and nefarious) that are attributed to him, and of which
he speaks in the interviews gathered by the two writer/filmmakers. But his prestige, for better or for worse, is elevated to
the utmost power of aesthetic superfetation, which reflects the
absurd occultist story to which the film’s title refers. It is not
surprising then that the real Whitehead, who even played along
with the macabre joke in which he is seen as a superstitious ritualist and disturbed sexual maniac on the verge of death after
a serious heart attack, felt hurt by the finished work, to the
point of turning against its creators publicly. His life, rather
than being rendered coherent in a story, was exploded into a
thousand pieces, atomised, penetrated down to the most intimate nucleus of individuality. In other words, sweetly and
deliberately desecrated, irreversibly bared in the might of the
visible. Just like the written bodies that inhabit the film, and the
faces that are designed and then disappear by the stroke of a
pencil that would like to affix them, or the figures that dissolve,
devoured by the blinding light of superimposition, Whitehead’s
life becomes a crystalline indication of the anti-method used by
Petit and Sinclair: an anatomy of the image that is resolved
in a process of dissolution, that repeats the game of death at
work, lurking in the deepest manifestations of life.
The images that run on many levels through The Falconer not
only echo a Godard-esque knocking down of absoluteness of
point of view, but lead to a definitive unveiling of iconic illusion. When an image appears on a screen and a second image,
which is a back-lit or animated human profile, surrounds and
contrasts the first fictitious “image” with its presumed greater
reality, that which differentiates the image from the concrete
presence is rendered palpable in a game of Chinese boxes (which
ends only with the out-of-frame, with that which is around
and outside the television screen). What is “shown” is the
invisibility of the point of view, which vanishes in a perceptive,
frame-less flood. The images orchestrated by Petit assault and
condemn point of view; render the frame a dramatic element;
pass by modifying themselves through countless systems of ref-
I VIDEO DI CHRIS PETIT
no cripticamente il senso, e senza mai rifletterlo realisticamente, ne metamorfizzano costantemente i significati
deferendoli a una continua reinterpretazione. Tutti gli
stadi dell’immagine, dal disegno alla fotografia al fotogramma, co-agiscono, scorrono l’uno nell’altro, si contaminano. In Asylum le stesse immagini riprese più volte si
sfibrano, finché la loro sgranatura progressiva giunge a
negare la compattezza e l’indipendenza “oggettiva” della
forma-immagine (uno dei cardini dell’ideologia televisiva, che identifica visibile e vero): il visibile viene soggettivizzato in una dimensione infraoculare, mentale, mimesi
attiva (e non descrittiva) dei processi della memoria e
dell’associazione. Il fondersi di gesti colti con parvenza di
casualità nel flusso della vita in presa diretta con scritte,
mappe e disegni animati di quello che a tutti gli effetti è
un capolavoro nel suo genere, The Falconer (1998), fa della
sovrapposizione e della coesistenza audiovisiva i cardini
di un attentato alla violenza della narrazione come movimento che appiattisce ogni unicità e differenza dell’esistente in una storia lineare, che al contrario di quanto
accade nell’esperienza vissuta in prima persona, diventa
universalmente “comprensibile”. L’idea stessa di documentare una vita irregolare come quella di Peter
Whitehead, flaneur, filmmaker, alfiere della contro-cultura negli anni della “swinging London”, mitomane e presunto amante di star, cancella il confine tra personaggio e
realtà, e ri-crea una verità accentuandone i tratti pertinenti alla luce di un sentimento del mondo, di un’emozione oggettivata. Come nel lavoro sugli idioti e gli emarginati di Ciprì e Maresco (o di Herzog con Bruno S. in
L’Enigma di Kaspar Hauser), l’obiettivo è spingere la realtà
a diventare più reale di se stessa: Whitehead è anche tutte
le cose (poetiche e nefande) che gli si ascrivono, e di cui
parla nelle interviste raccolte dai due scrittori/filmmaker,
ma la sua statura, nel bene e nel male, è elevata all’ennesima potenza dalla superfetazione estetica, che riflette
l’assurda storia occultistica a cui fa riferimento il titolo
del film. Non stupisce dunque che il vero Whitehead, che
pure si è prestato al macabro scherzo che lo vede superstizioso ritualista e torbido sessuomane in aria di morte
dopo un grave infarto, di fronte all’opera compiuta si sia
sentito ferito, al punto da rivoltarsi pubblicamente contro
i suoi autori: la sua vita, piuttosto che essere resa coerente in un racconto, è stata fatta esplodere in mille frammenti, atomizzata, penetrata nelle sue linee di forza fin
nel nucleo più intimo dell’individualità. In altri termini,
volutamente e dolcemente profanata, irreversibilmente
sciolta nella forza del visibile. Così come i corpi scritti che
abitano il film, e i volti che si disegnano e sfuggono al
tratto di matita che li vorrebbe fissare, o le figure che svaniscono divorate dalla luce accecante della sovraesposizione, la vita di Whitehead diventa un indizio cristallino
dell’antimetodo usato da Petit e Sinclair: un’anatomia delle
immagini che si risolve in un processo di dissoluzione, che
bissa il gioco della morte al lavoro annidato nel più profondo manifestarsi della vita.
Le immagini che scorrono su più piani in The Falconer non
185
I VIDEO DI CHRIS PETIT
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riecheggiano solo un godardiano abbattimento dell’assolutezza del punto di vista, ma conducono fino al disvelamento definitivo dell’illusione iconica. Quando un’immagine scorre su uno schermo e una seconda immagine,
che sia un profilo umano in controluce o un’animazione,
circonda e rende la prima “immagine” fittizia in opposizione a una presunta maggiore realtà, si rende palpabile
in un gioco di scatole cinesi (che termina solo con il fuori
quadro, con quel che sta intorno e fuori dello schermo televisivo) quel che differenzia l’immagine dalla presenza
concreta: l’invisibilità del punto di vista, che scompare in
un flusso percettivo senza cornice. Le immagini orchestrate da Petit aggrediscono e denunciano il punto di
vista, rendono la cornice un elemento drammatico, passano modificandosi attraverso innumerevoli sistemi di
riferimento e di registrazione, occhi, apparecchi e prospettive che svelano continuamente il “di più” dello strumento, e distruggono alle fondamenta l’illusione di una
realtà assoluta, astratta e indifferente allo sguardo che la
fonda. Numeri e lettere, voci e disegni animati, attraversano la piatta freddezza del digitale, rendono inquietanti
e misteriose persino le cose più ovvie, la camminata di
una ragazza tra la folla o la più abusata e ingenua delle
immagini di passaggio dello stile documentario: il camera-car fuori del finestrino di un’automobile. Allo stesso
modo il lavoro sul suono, la compenetrazione musicale e
rumoristica delle immagini, si svolge da un lato come una
partitura autonoma che solo a tratti coincide con il flusso
e lo svolgimento delle immagini: dall’altro, la distinzione
tra suono e luce che la scissione percettiva rende evidente, finisce per rimarcare le differenti velocità della materia, la lentezza cronologicamente compromessa del
suono, e la velocità inafferrabile e traditrice della luce
come dato visivo che compone l’immagine. L’alterazione
della visione è usata dunque da Petit in senso espressionista, come portato di una forza psichica sottesa allo
sguardo, con una conseguente moltiplicazione dei livelli
di interpretazione. Non c’è immagine di videocamera che
non sia manipolata, corrotta e amplificata in segnicità e
significazione da un profluvio di codici inafferrabili,
numerici e alfabetici, che creano mistero, attrazione
semantica, e irretiscono con la calligrafica bellezza del
gesto di assemblaggio spazzando via ogni residuo di
naturalismo della narrazione. C’è sempre qualcosa di
poco decifrabile e incontestabilmente bello ad aggiungere un senso interrogativo a queste immagini, a negare la
letteralità del significato. Bianchi e neri colorati, saturazioni cromatiche, polarizzazioni, sfocature, tutto l’armamentario dei più prosaici effetti a disposizione di ogni
semplice handycam, assume qui una funzione demiurgica
e stilistica precisa, quanto i found-footage televisivi, veri
e simulati, mescolati con le animazioni e le manipolazioni grafiche delle immagini. Luoghi estetici complessi e
anarcoidi, che si spiegano solo alla luce radiante del procedimento di antinarrazione.
Giocando con la realtà anagrafica dell’uomo-Whitehead,
Petit e Sinclair mettono in corto circuito la presunta veri-
erences and recording – eyes, instruments and perspectives that
continually unveil the “most” of the instrument, and destroy at
its foundations the illusion of an absolute, abstract and indifferent reality of the person constructing it. Numbers and letters, voices and animal designs, pass through the flat coldness
of the digital medium, and make even the obvious seem disturbing and mysterious: a girl walking through a crowd or the
most overused and ingenuous of the documentary-style travelling images – the car-camera outside the window of an automobile. In the same way, the use of sound – the deep permeation
of music and noise in the images – on the one hand seems to be
an independent score that only occasionally coincides with the
flow and sequence of the images. On the other hand, the distinction between sound and light which the perceptive division
renders evident, serves to enumerate the different speeds of the
material, the slowness chronologically compromised by the
sound, and the elusive and traitorous speed of the light as a
visual given that constitutes the image. The alteration of the
vision is thus used by Petit in an expressive fashion, as the outcome of the mental force of the gaze, with a subsequent multiplication of the levels of interpretation. There is no video camera image that is not manipulated, corrupted and amplified in
“sign-ness” and meaning by a stream of elusive codes, numerical and alphabetical, that create mystery, semantic attraction
and inveigle one with the over-refined beauty of assemblage,
sweeping away any remnant of narrative naturalism. There is
always something barely decipherable and indisputably beautiful in adding an interrogative sense to these images, in denying
the literalness of the meaning. Coloured blacks and whites,
chromatic saturations, polarisations, blurring, the entire arsenal of the most prosaic effects at the disposal of any simple
handycam, here play a role that is demiurgic and stylistically
precise; just like the found-footage television clips, real and simulated, mixed with animation and the graphic manipulations of
the images. Complex and anarchical aesthetic places, which are
explained only in light of the progress of the anti-narrative.
Playing with the reality of the personal information of the man
Whitehead, Petit and Sinclair create a short circuit in the presumed documentary truth of The Falconer, rendering tangible
the creative process of the legend and character in the moment
of his creation. With his narcissistic plots running counterpart
to the visual, acoustic and content-related metamorphic “exaggerations” staged by the filmmakers, Whitehead embodies a
culture (and a generation) that has lived creating and destroying people like abstractions created by life, personifications of
attitudes, radicalisations in standard images of behaviours
mutated into attitudes, transforming the spontaneity into a
language of gesture and the idiosyncrasies into distinctive outlines. Whitehead’s meditation on death and the soul through the
mythical figure of the falcon, and his black magic rituals for
confronting the dark force of imminent death, that function as
a mysterious contextual glue in the narrative, are parallel
attempts by the filmmakers to surprise and to capture the
process of agony and relaxation in an existential moment when
vital energy is being dissipated as is it returning to the ecological pyramid that has always contained only one form of energy in constant flux. The character’s heavy box/dark object of
desire, which we are told contains his soul and the falcon’s
mummified spirit, is used as a metaphor for life as it is seen and
represented in Petit and Sinclair’s narrative mode. It exemplifies the contrast between interior energy and the casing that
entraps it in time; that accumulation of impressions that functions from infancy to old age to form the sense of self.
Accompanying and helping a man recover and open the box of
life means rendering the synapses and connections of memory
and perception once again available; putting back into play that
complex and multi-form process from which the constellations
of impressions we call our ideas take shape.
In the trilogy produced by Channel Four, the language of the
video clips that merge persuasively on a daily basis with the
uninterrupted flood of media language – from the rhythmic
cadence of “live” television from which direction as “live editing” emerges, to the “real” and squandered time of “homemade” clips, to the animation and sensationalism of advertisements – are newly split, distinguished and charged with meaning. The specificities of the filming medium pour into the creation of the message based on the Marshall McLuhan’s age-old
formula, to the point where even Whitehead’s face in The
Falconer is charged with “private” emotions if shot with a
handycam in a private house, and with “public” emotions and
attitudes when shot with public television means. The image
mutates into an anatomy of the body, into exploration and
amplification of the visible surfaces. Bodies that can be sensual
or deathly, repellent or seductive, constantly change meaning
and function, making the inherent contradictions in every form
of life (or potential death) apparent. The changes that the person undergoes at the hands of the medium that engulfs or
records him are unveiled. The object of the fictional investigation is not so much the life of a man in a comprehensive and
chronological sense, but in the contextual and simultaneous
sense; his being as many lives as there are means to capture and
record parts of his “life time”. And yet, the body alone is not
enough for Petit’s vampirism: the interior life is the goal. This
is depicted in the more visionary moments, those (splendid)
moments of animation, that mould the visual material into
thought incarnate. Emotions are no longer depicted through
correlative objectives, but directly. The kiss that the angel-batwoman gives Peter Whitehead during an interview in a dilapidated post-modern television studio turns the realism into
something unreal and artificial. It invades the image, and solidifies the mood of the character cut off from his composed image
according to the “official” codes of broadcasting. It is one of
those strokes of genius, those epigrammatic devices of a way of
making films that capture, in a single gesture and in a few
moments, the entire spirit of the work: its aesthetics-leaning
stimmung and nostalgia of desires that the music and writing
and suspended gestures accompany in the background, like
abstract dances, throughout the narration of the time of the
vision. A clearly spelled out aesthetic discussion is present even
in the short film Dead Tv, the story of the last days of “televisional” humanity. The film is superimposed by a “Real Tv”
made up of the alchemist aesthetics with which Petit treats the
authentic, that even photograph the mechanics of the cathode
tube on the canvas of the screen like brush strokes of an arcane
I VIDEO DI CHRIS PETIT
tà documentaria di The Falconer, rendendo tangibile il
processo di creazione del mito e del personaggio nel
momento della sua genesi. Con le sue narcisistiche affabulazioni parallele alle metamorfiche “esagerazioni” visive, acustiche e contenutistiche inscenate dagli autori,
Whitehead incarna una civiltà (e una generazione) che ha
vissuto creando e distruggendo personaggi come astrazioni compiute sulla vita, personificazioni di attitudini,
radicalizzazioni in immagini standard di comportamenti
mutati in atteggiamenti, trasformando la spontaneità in
una grammatica del gesto e le idiosincrasie in tratti
distintivi. Le meditazioni di Whitehead sulla morte e sull’anima attraverso la figura mitica del falco e i suoi rituali di magia nera per affrontare la forza oscura della morte
imminente, che fanno da misterioso collante contenutistico alla narrazione, sono paralleli al tentativo degli autori
di sorprendere e catturare il processo di agonia e rilassamento nel momento esiziale in cui l’energia vitale si disperde, tornando equamente distribuita nella piramide
ecologica che contiene da sempre un’unica energia in
costante mutazione. La pesante scatola-oscuro oggetto
del desiderio del protagonista, che ci si dice contenere la
sua anima o lo spirito mummificato del falco, si fa metafora della vita come viene vista e rappresentata nel modo
narrativo di Petit e Sinclair: esemplifica il contrasto tra
l’energia interiore e l’involucro che la intrappola nel
tempo, quell’accumulo di impressioni che dall’infanzia
procedono fino alla vecchiaia a formare il senso del sé.
Accompagnare un uomo a recuperare e ad aprire la scatola della vita significa rendere di nuovo disponibili le
sinapsi e le connessioni della memoria e della percezione,
rimettere in gioco quel processo multiforme e complesso
per cui le costellazioni di impressioni che chiamiamo le
nostre idee, prendono forma.
Nella trilogia prodotta da Channel Four, le lingue della
ripresa video che ogni giorno confluiscono persuasivamente nel flusso ininterrotto dei linguaggi mediatici,
dalla cadenza ritmata della “diretta” televisiva da cui traspare la regia come “montaggio in diretta”, al “tempo
reale” e sperperato dalle riprese “casalinghe”, fino all’animazione e all’effettistica da spot, vengono nuovamente
scisse, distinte, e caricate di senso. Le specificità del
mezzo di ripresa affluiscono alla creazione del messaggio
secondo l’antica formula di Marshall McLuhan, al punto
che lo stesso volto di Whitehead in The Falconer si carica
di emozioni “private” se ripreso con una handycam in
una casa privata, e di atteggiamenti ed emozioni “pubbliche” quando ripreso con i mezzi della televisione pubblica. L’immagine si muta in anatomia del corpo, esplorazione e amplificazione della superficie visibile: corpi
che possono essere sensuali o mortuari, repellenti o
seduttivi, cambiano continuamente senso e funzione,
facendo sentire la contraddittorietà insita in ogni forma
di vita (o di morte potenziale). Le modificazioni che la
persona subisce a opera del mezzo che la fagocita e la
connota, vengono svelate: l’oggetto dell’investigazione di
finzione non è tanto la vita dell’uomo in un senso com-
187
I VIDEO DI CHRIS PETIT
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plessivo e cronologico, ma contestuale e simultaneo, il
suo essere tante vite quanti sono i mezzi che riescono ad
afferrare e registrare parti del suo tempo vitale. Eppure,
al vampirismo dell’immagine di Petit, il solo corpo non
basta. È l’interiorità l’obiettivo: lo dimostrano i momenti
più visionari, quelli (splendidi) delle animazioni, che plasmano la materia visiva in pensiero incarnato, emozione
raffigurata non più tramite correlativi oggettivi, ma in
maniera diretta. Il bacio che l’angelo-donna-pipistrello dà
a Peter Whitehead intervistato in uno squinternato studio
televisivo postmoderno, rende il realismo qualcosa di
irreale e posticcio, invade l’immagine, e concretizza lo
stato d’animo del personaggio scisso dalla sua immagine
composta secondo i codici “ufficiali” della messa in onda.
Si tratta di uno di quei colpi di genio, di quelle figure epigrammatiche di un modo di fare cinema che rendono
conto, in un solo gesto e in pochi istanti, dell’intero spirito dell’opera, della sua stimmung estetizzante, nostalgia
dei desideri che musica e scritte e gesti sospesi nel tempo
della narrazione come danze astratte da uno scopo
accompagnano in sottofondo nel tempo della visione. Un
discorso estetico ripreso a chiare lettere anche nel cortometraggio Dead Tv, storia degli ultimi giorni dell’umanità televisiva, a cui viene sovrapposta una “Real Tv” fatta
delle alchimie estetiche con cui Petit tratta il reale, che
vanno a fotografare addirittura lo stendersi dei punti del
tubo catodico sulla tela dello schermo come pennellate di
un linguaggio arcano, interamente artificiale, impossibile
da riferire a una realtà preesistente: a essere narrato è di
nuovo il mezzo, non una storia. La “Real Tv” del clandestino Petit è un’aggressione visiva ai danni delle tante
“Junk”, “Cheap” o “Laugh” Tv che hanno la funzione di
intorpidire e irreggimentare le coscienze: analizzare tecnicamente e scindere molecolarmente le immagini, come
direbbe Fassbinder, “libera il cervello”.
Che il materiale di lavoro di Petit sia l’immagine come
mezzo e come oggetto puro e autonomo, ancor prima che
quel che essa raffigura, appare con evidenza anche nel
doveroso tributo a uno dei geni più misconosciuti della
critica cinematografica del ’900, il pittore americano
Manny Farber, dal titolo Negative Space. L’idea che anima
questo atipico documento è la suggestiva concretizzazione di un’intuizione di Farber: l’esistenza di uno “spazio
negativo” dove le immagini emergono dal nulla, da una
sorta di buco nero dove navigano scisse per sempre dalla
loro matrice originaria, la vita. L’America come industria
dell’immaginario è la porta aperta su questo buco nero
inafferrabile. Il sonoro del film è un profluvio di reminescenze filmiche, musiche e dialoghi che circondano, in
uno spazio avvertito ma invisibile, dei quadri-polaroid, al
cui interno lo spazio della visione si trasforma: brani di
film rallentati, alterati, sfibrati, movimento senza realtà
catturato nei film storici, sindoni di una vita mai stata e
imperitura. A esso fa da contrappeso l’attraversamento
coast to coast dell’America, il paese del Buco Nero. È un
certo modo di disegnare il movimento a dare un’anima alle
immagini: per Farber, come per Wenders e Petit, il rap-
language, entirely artificial and impossible to connect with a
pre-existing reality. What is narrated is once again the medium, and not a story. The “Real Tv” of the “clandestine” Petit
is a visual aggression against the damage done by the many
“Junk”, “Cheap” or “Laugh” Tv programmes whose sole function is to numb and regiment the conscience. It technically
analysed and molecularly took apart the images to, as
Fassbinder would say, “free the brain”. That Petit’s working
material is the image as the means and as a pure and independent object, even before that which it represents, is made
evident even in the reverential tribute to one of the most misunderstood geniuses of film criticism in the 1900s – the
American painter Manny Farber – in the film Negative
Space. The idea that inspired this atypical document is the fascinating proof of Farber’s intuition: the existence of a “negative
space” where the images emerge from nothing, from a kind of
black hole where they navigate, forever cut off from their original matrix – life. America as the industry of the imaginary is
the open door into this incomprehensible black hole. The film’s
soundtrack is a stream of memories of surrounding film, music
and dialogues, in a perceived but invisible space. Of Polaroidpaintings inside which the space of vision is transformed: fragments of films that are slowed down, altered, unwoven; movement without reality captured in historical films, cerements of
an everlasting life that never was. A coast to coast trip across
America, the country of the Black Hole, creates a counterbalance to all of this. It is a certain way of designing the movement to give life to the images. For Farber, like for Wenders and
Petit, the relationship between movies and to move is essential.
Negative Space is a Personal Voyage through American cinema that depicts, even more radically than the film by devoted
cinephile Martin Scorsese, Farber’s axiom that what counts in
a film is not a film but several singular moments with which it
guides, as it progresses, the more often than not prosaic narrative that we most regularly forget about: the “negative space”
of the few moments that are alive. Negative Space gathers and
re-works together the moments chosen by Farber: simple
milieus, gestures, spaces and expressions, not made to be
extraordinary or narrative, but fragments of truth captured
despite the fiction. When the critic appears in the film to
explain his “sentimental” idea, mixing together moments of
noir classics – from Godard, Rossellini, Fassbinder, and up to
the paradox of Michael Snow’s Wavelength – what is seen is
the most essential of film’s proprieties, that of cutting a space
and filling it with life. The game of rediscovering the moment
in the Black Hole goes on until the image is blown-up and
decentralised so much so as to capture its background fragments. Where that which passes behind the objects brought to
our attention (for example, Ingrid Bergman’s in a camera-car
inside the car in Voyage to Italy) bears testimony to the existence of countless other invisible films within every film; to the
imprisoned life that waits in a state of patient suspension to be
freed from the fog of negative space.
The trip is a trap then. But if the film image is a trap with a
beginning and an end, that nevertheless provides an exit, the
television image is a blind alley of experience. And this is what
Asylum confirms, with its emblematic title that simultaneous-
ly means shelter/refuge as well as mental hospital/constraint. A
place where it is necessary to stay, out of one’s own or someone
else’s will, from which, once entered, one cannot leave as one
pleases. The point of no return is television, the means of
Debordian fragmentation of life, which enchants and devours
the personality, where there is no possible chance of reconstruction. The necrophiliac-like vitality of The Falconer is reversed
in Asylum, where there is a search for life in a kingdom of
death. It takes place in a viral era that is dominated by a television that is infected and invaded by inexplicable factions, survivors of a catastrophe of the senses. Petit and Sinclair’s development in Asylum can be categorised as iconic regression
with its pattern of the electronic writing on the television
screen that brings back an intricate and ancient dimension of
sign violation reminiscent of Godard in Ici et Ailleurs. The
image is dissolved and atomised into its fundamental impulses,
and the interruption, the drop, the low definition and even the
involuntary blurring of the camera’s automatic focus all make
up the expressive material. A sense of mystery emanates from
the extreme enlargement of the magnetic image, that returns to
its chaotic state of atomic composition in evolution, so different
from that indefinable body of light, yet inseparable and caged in
the film. Off camera voices guide the spectator in a journey
through unidentified fragments. It is almost impossible to
reconstruct the past meanings. They are almost always loops,
false movements created with the indefinite repetitions of a
rediscovered moment, that allude to a life in which it was still
possible to understand and explain. It is visual degeneration.
And parallel to it, we follow the images of a woman that, like
the sound technician in Wenders’ Lisbon Story, crosses the
post-viral world to record the sounds of reality, trying to capture in the ether the waves that still travel freely, without any
instruments forcing her to use an infected method. The film is
an after-flood that pitilessly mirrors our age of semiotic confusion; where there is virtual expressive freedom but a substantial
servile dictatorship by those who produce images and meanings. The “viral” distortions that slowly overwhelm the film –
disturbances that are irritating, not in the least bit aesthetic,
that seem indomitable and disorganised, even damaged – in the
end debase even the slightest possibility of visual pleasure. They
slap the spectator-voyeur in the face, frustrating his or her ravenous indifference. And the disheartened image, in all its
essence and falsity, irretrievably flutters before his or her eyes
like a bag carried by the wind, that appears in the visual space
at a certain point. The same bag whose unbearable beauty the
boy in English director Sam Mendes’ American Beauty praises for it harmonic, free fortuity.
I VIDEO DI CHRIS PETIT
porto tra movies e to move è essenziale. Negative Space è un
Viaggio Personale nel cinema americano, che ancor più
radicalmente di quello del devoto cinefilo Martin
Scorsese, dimostra l’assioma di Farber per cui a contare in
un film non è il film, ma alcuni singoli momenti a cui esso
conduce con il suo sviluppo, narrazione il più delle volte
prosaica di cui dimentichiamo gran parte, “spazio negativo” dei pochi momenti vivi. Negative Space raccoglie e
rifonde insieme momenti scelti da Farber, semplici climi,
gesti, spazi ed espressioni, non fatti eclatanti e narrativi,
ma brani di verità catturata nonostante la finzione.
Quando il critico appare nel film a spiegare la sua idea
“sentimentale” mescolando momenti tolti dai classici
noir, da Godard, Rossellini, Fassbinder, fino al paradosso
di Michael Snow di Wavelength, ad andare in scena è la
proprietà più essenziale della forma filmica, quella di
tagliare uno spazio e riempirlo di vita. Il gioco della
riscoperta dell’attimo nel Buco Nero, va avanti fino ad
approdare al blow-up e al decentramento dell’immagine,
e afferra brani di sfondo, dove quel che passa dietro gli
oggetti deputati della nostra attenzione (ad esempio, il
volto di Ingrid Bergman in un camera-car dall’interno
dell’automobile del Viaggio in Italia), diventa la testimonianza dell’esistenza di innumerevoli altri film quasi
invisibili in ogni film, di una vita imprigionata che attende paziente e sospesa di essere liberata dalle nebbie dello
spazio negativo.
L’immagine è una trappola, dunque. Ma se l’immagine
cinematografica è una trappola con un inizio e una fine, e
prevede dunque una via d’uscita, quella televisiva è il
vicolo cieco dell’esperienza. È quel che afferma Asylum,
un titolo emblematico, che significa allo stesso tempo
rifugio, ricovero, ma anche manicomio e costrizione: un
posto in cui è necessario restare, per volontà propria o
volontà altrui, da cui, una volta entrati, non si può uscire
a proprio piacimento. Il luogo del non ritorno è la televisione, mezzo di debordiana frammentazione della vita,
che incanta e divora la personalità, dove nessuna possibilità di ricostruzione è più possibile. La necrofila vitalità di
The Falconer si ribalta in Asylum in una ricerca della vita in
un regno di morti, effettuata in un’epoca virale, dominata
da una Tv infetta e invasa da frammenti inspiegabili,
sopravvissuti a una catastrofe del senso. Il procedere di
Petit e Sinclair in Asylum è sotto il segno della regressione
iconica: il pattern della scritta elettronica sullo schermo
televisivo riporta a una dimensione involuta e annosa
dell’infrazione segnica, che ricorda il Godard di Ici et
Ailleurs. L’immagine viene dissolta e atomizzata nei suoi
impulsi fondamentali, e l’interruzione, il drop, la bassa
definizione e persino le sfocature involontarie del fuoco
automatico della telecamera entrano a far parte della
materia espressiva. Un senso di mistero emana dall’estremo ingrandimento dell’immagine magnetica, che ritorna
al suo caotico stato di composizione atomica di punti in
evoluzione, così diversa da quel corpo di luce umbratile
ma inscindibile che è ingabbiato nella pellicola. Voci fuori
campo accompagnano lo spettatore in un viaggio attra-
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verso brani non identificati e quasi impossibili da ricostruire di significati passati, quasi sempre loop, falsi movimenti creati con la ripetizione indefinita di un attimo
ritrovato, che alludono a una vita in cui era ancora possibile capire e spiegare. È la de-generazione visiva. E parallelamente a essa, seguiamo le immagini di una donna che,
come il tecnico del suono di Lisbon Story di Wenders,
attraversa il mondo post-virale per registrare il suono
della realtà, cercando di catturare nell’etere onde che
viaggiano ancora libere in assenza di strumenti che le
costringano in una forma infetta. Un dopo diluvio che
rispecchia impietosamente la nostra era di confusione
semiotica, virtuale libertà espressiva ma sostanziale dittatura strisciante di chi produce immagini e sensi. Le distorsioni “virali” che a poco a poco prendono il sopravvento sul film, disturbi che non hanno nulla di estetico,
irritanti, che sanno di non dominato e non amministrato,
di guasto, mortificano alla fine anche la minima possibilità di un godimento scopico: schiaffeggiano il voyeur-spettatore, frustrano la sua famelica indifferenza. E l’immagine avvilita, in tutta la sua inessenza e la sua falsità, fluttua
irrecuperabile davanti ai suoi occhi come la busta in volo
trasportata dal vento, che a un certo punto appare nello
spazio visivo: la stessa busta di cui il ragazzo di American
Beauty dell’inglese Sam Mendes canta la bellezza quasi
insostenibile, nella sua armonica, libera casualità.
PICTURES BY NUMBERS
di Chris Petit
by Chris Petit
D
D
igitale, analogico, 35mm, 16mm, Super8, alla fine è sempre cinema. Certo, si può rimanere abbagliati dalla
luminosità del 35mm, ma i miei ricordi di quando facevo
film a soggetto rimandano a un sistema incredibilmente antiquato, quasi vittoriano nel metodo, con macchinari ingombranti. Se da un lato era un privilegio lavorare con un procedimento rimasto sostanzialmente immutato dai giorni di
Stroheim o Griffith, da un altro lato era anche una seccatura.
Tutto richiedeva troppo tempo. Lo sceneggiatore Rudy
Wurlitzer ha detto una volta che fare film si riduce in genere a un’attesa: attesa di una risposta sulla sceneggiatura,
attesa di un produttore, attesa di un’attrice. E anche quando finalmente si ottengono i finanziamenti, si continua ad
aspettare – che il set sia pronto o che smetta di piovere.
Ovviamente il corollario dell’attesa dovrebbe essere il meeting ma, come sottolinea ancora Wurlitzer, questo è spesso
erroneamente interpretato come fine dell’attesa: in realtà,
nella maggior parte dei casi, altro non è che un mezzo formale per annunciare un ulteriore rinvio.
Io sono stato fortunato perché, fra il 1979 e il 1984, sono
riuscito a realizzare quattro lungometraggi in 35mm, che in
retrospettiva sembrano fare una buona media, anche se
all’epoca tendevo a considerarmi più come disoccupato che
a riposo. Ciò che è rimasto maggiormente impresso nella
mia memoria è quanto fossero improbabili le cose che venivano realizzate. Così ho abbandonato il cinema prima che
lui abbandonasse me. Tutto qui. Non ero una solida prospettiva commerciale, e non avevo grandi ambizioni artistiche. In parte ho lasciato perdere perché tutto richiedeva
troppo tempo. Io bramavo la velocità, una carriera segnata
da quantità e soldi, in cui i progetti realizzati si rincorressero uno dietro l’altro. Volevo lavorare più velocemente di
quanto non lo permettesse il sistema, ai ritmi raggiunti da
Godard o da Fassbinder, ma mi mancava il fisico, la droga,
o i fondi, o magari il coraggio, e forse mi trovavo nel paese
sbagliato. La rapidità è raramente possibile quando si
fanno film in Gran Bretagna, e le carriere inglesi si notano
per le lacune che presentano: Michael Powell ne è un esempio lampante. All’epoca in cui ho lasciato, Loach riusciva a
malapena a trovare lavoro, e lo stesso vale per Lindsay
Anderson. Poi ho capito che il ritmo di lavoro che avrei
voluto veniva raggiunto in televisione da un regista come il
defunto Alan Clarke (Elephant, The Firm, Road), ma all’epoca quello della fiction televisiva era un mondo impenetrabile per gli outsider, soggetto a regole oscure e perciò difficile da avvicinare anche per chi aveva già diretto dei film.
Nell’arco di diversi anni non ho fatto altro che un episodio
di Miss Marple di Agatha Christie per la BBC, che ho accettato perché volevo fare l’esperienza di lavorare in una struttura che somigliasse almeno approssimativamente allo studio system di una volta. (Per di più, è stato un sollievo venire assunto piuttosto che iniziare a scrivere, trovare un pro-
igital, analog, 35mm, 16mm, Super8: it’s all pictures in
the end. You can get misty-eyed about 35mm in terms of
luminosity if you want, but my memories of making feature
films were of an incredibly antiquated system, almost
Victorian in its method, involving cumbersome machinery.
Though it was a privilege to work with a process that hadn’t
changed substantially since the days of Stroheim or Griffith,
it was also a drag.
Everything took too long. Screenwriter Rudy Wurlitzer once
said the process of filmmaking usually comes down to waiting. You’re waiting for an answer on your script, waiting for
a producer, waiting for an actress. Even when you get the
money you’re still waiting – for the setup or the rain to stop.
The corollary of waiting is, of course, supposed to be the meeting; except Wurlitzer pointed out that the meeting is widely
misunderstood as an end to waiting when, more often than
not, it’s merely a formal device for announcing a further postponement.
I was lucky in that I managed to make four 35mm feature
films between 1979 and 1984, which in retrospect seems productive enough, though at the time I considered myself to be
mostly out of work rather than resting. My main memory was
of the unlikelihood of things getting made. I gave up on
movies before they gave up on me. Just. I wasn’t a reliable
commercial prospect, nor was I arty enough for the other circuit. I gave up partly because everything took too long. I
craved speed, a career of quantity and economy where the
project in hand was buffered by the next already lined up. I
wanted to work faster than the system allowed, at the pace
achieved by Godard or Fassbinder, but I lacked the constitution, the drugs, or the funding, perhaps the courage, and possibly the right country. Speed is rarely possible when you’re
making movies in Britain, and British careers are notable for
their hiatuses, Michael Powell being the obvious example. At
the time I quit, Loach could barely get work, and the same
goes for Lindsay Anderson. I can see now that the work rate I
wanted was being achieved in Tv by a director like the late
Alan Clarke (Elephant, The Firm, Road), but Tv drama was
pretty much a closed shop to outsiders then, dependent on
obscure rules of grace and favor, and therefore hard to break
into even if you had directed movies.
For several years I didn’t make anything apart form an
Agatha Christie Miss Marple episode for the BBC, which I
did for the experience of working within something that still
approximated the old studio system. (It was a relief to get
hired – as opposed to initiating, writing, finding a producer,
and raising money, then conducting gloomy postmortems at
various film festivals.) In 1989 the BBC was still a monolithic organization with its own studio – previously belonging to
Ealing Films – full-time crews and a virtual repertory of
actors, mostly hammy. In terms of organization the BBC was
very vertical and paternalistic, rather cozy and seething with
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duttore, raccogliere i fondi e poi assistere a lugubri esequie
ai vari festival del cinema). Nel 1989 la BBC era ancora
un’organizzazione monolitica, con gli studios – quelli che
appartenevano alla Ealing – le troupe a tempo pieno e un
intero parco di attori, gran parte dei quali improvvisati. Dal
punto di vista dell’organizzazione, la BBC era molto verticale, paternalistica, abbastanza confortevole; e trasudava
risentimento. Tutto dava l’idea dell’isolamento e, sebbene
non ci fosse una vera e propria discriminazione, la vita
assumeva un carattere insulare e irreale che la faceva assomigliare al regime di semi-apartheid delle colonie inglesi.
Miss Marple è stato girato in 16mm. A me non importava
niente, ma per la troupe di macho degradata dal 35mm era
quasi insopportabile. Il risultato è che sul set erano tutti di
malumore (“Il signore vuole la macchina da presa in quella posizione”) con tutti gli screzi del caso fra i vari reparti e
alleanze fra altri, facilitati in questo dal codificato linguaggio massonico dell’ambiente del cinema.
Per un periodo ho anche avuto una specie di agente che mi
pubblicizzava come un genio, ma non è mai riuscito a farmi
avere un ingaggio. È passato un anno prima che riuscissi a
rimediare uno speciale Tv di dieci minuti sullo scrittore J.
G. Ballard e ne sono stato contento. Nel frattempo avevo
cominciato a interessarmi di quella che si potrebbe definire
la trasposizione istantanea di immagini. Mi piacevano gli
schermi delle telecamere a circuito chiuso che cominciavano a fare la loro comparsa nelle stazioni di servizio, perché
mostravano il luogo dove si era appena passati, immagini
quotidiane imbrattate, dalla qualità piacevolmente dislocata. Ho iniziato anche a scattare un sacco di Polaroid perché
davano la sensazione di catturare l’istante. Erano addirittura migliori della pellicola classica nel catalogare il marginale, aspetto dal quale ero sempre più attratto.
Agli inizi degli anni ’90 ho iniziato a dedicarmi ai documentari e sono passato dalla pellicola al video – anche se
molti documentari venivano ancora girati su pellicola –
perché il procedimento era più semplice e veloce, e non
bisognava aspettare che tornasse dal laboratorio. Il passaggio da pellicola a video era anche dovuto alla possibilità di
vedere i film in cassetta. Il videoregistratore – insieme con
l’ATM – è stato la grande rivoluzione degli anni ’80, perché
ha letteralmente cambiato il modo di guardare i film: andare avanti e dietro, rivedere, esaminare il montaggio – e poi
decostruire e ricostruire. Il cinema non era più subordinato
ai 24 fotogrammi al secondo o a una memoria inaffidabile.
Ho scoperto che l’esperienza di vedere i film in sala non mi
mancava poi tanto. Spielberg e Wenders potevano pure
continuare a ribadire la sacralità della sala buia e dell’esperienza accomunante del sogno condiviso ma, sebbene ci sia
una parte di verità, tutto ciò si applicava a un determinato
periodo in cui l’architettura, l’industria cinematografica, la
tecnologia e i costumi sessuali convergevano. Spielberg
può aver guardato la luce, ma la vera essenza del cinema
era fondamentalmente in ciò che accadeva al buio. L’estasi
di un’esperienza visiva non può essere raggiunta in una
multisala. Inoltre, nella Gran Bretagna provinciale del
dopoguerra, la realtà era spesso tutt’altro che trascendenta-
resentment. Everything felt segregated, and though there was
no discrimination as such, life took on a strangely insular and
unreal quality akin to the quasi-apartheid of life in the British
colonies. Miss Marple was shot in 16mm. I couldn’t have
cared less, but for the macho camera crew who had failed to
graduate to 35mm it was almost unbearable, and they were as
chippy as anything as a result (“Sir wants the camera over
there”). Plus the usual turf wars broke out between departments, and loose alliances were forged between others, aided
by the encoded Masonic language of the film floor.
For a while I even had a fancy agent at ICM, who pronounced
me a cult but conspicuously failed to find any follow-up work.
A year passed before I managed to scrounge a ten-minute Tv
job on the writer J. G. Ballard and was grateful for the work.
During this hiatus I became interested in what could be called
the instant translation of images: I liked the surveillance
screens that were starting to appear in gas stations, showing
the forecourt you had just been standing in, smeary everyday
images that had a pleasantly dislocated quality. I also started
taking a lot of Polaroids because of the instant hit they gave.
They also seemed better than regular film at cataloguing the
peripheral, to which I found myself increasingly drawn.
In the early nineties I turned to documentaries, and switched
from film to tape, even though most documentaries were still
shot on film, because the process was quieter and faster, and
you didn’t have to wait for it to come back from the lab. The
switch also had to do with the accessibility of watching movies
on tape. The VCR – along with the ATM – was the big revolution of the eighties. It radically altered the way we could
watch movies: shuttle back and forward, review, examine cuts
– and both deconstruct and reconstruct. Film was no longer
conditioned by 24 frames a second, or unreliable memory.
I found that I didn’t much miss the experience of seeing films
projected. Spielberg and Wenders might have gone on about
the sanctity of the darkened cinema and the communal experience of the shared dream, and though there is something to
that, it applied to a specific period when architecture, industry, technology, and sexual mores converged. Spielberg may
have been gazing at the light, but a large part of what cinemas
were about was what went on in the dark. The ecstasy of the
viewing experience is not readily achieved in a multiplex.
Besides, in postwar provincial British cinemas the reality was
often less than transcendental – ancient faded prints that
were full of scratches, soft-focus projection, reels shown in the
wrong order, bad dubbing, hairs in the gate, snoring in the
auditorium, and a vague smell of toilets throughout the film,
and restless smoking (remember smoking?).
Once or twice I’ve been to conferences on digital technology,
and i have never really understood them because they always
seem to focus on aesthetics, which is to miss the point. The
technology is a given, so discussions about image quality have
always seemed irrelevant, and part of a standard argument
that revolves around any replacement of one technology by
another. (Tv’s not as good as film, 16’s not as good as 35, CDs
aren’t as good as vinyl, blah blah.) The point worth making
(although it usually never is) is that the digital revolution is
a temporal one.
Video and digital technology is principally about time. To take
an obvious example, round-the-clock news channels dissolve
previously rigid time zones. Satellite Tv gives 24-hour access
to a multiplicity of channels. Television in a Holiday Inn in
Cairo is virtually identical to television in Kuala Lumpur or
Atlanta, and previously remote communities can now access
dozen of channels. Television’s worldwide countdown to millennium 2000 was entirely about this technology in relation
to time, and endorsed Paul Virilio’s observation that we’ve
“passed from the extended time of centuries and from the
chronology of history to a time that will continue to grow ever
more intensive; we live in a world of intensely tiny units of
time. The real world and our image of the world no longer
coincide.”
The digital process also speeds up production, and cuts costs,
for the first time placing a professional standard within individual reach, making it possible to work without commercial
funding. Professional-level editing programs, which used to
be the prohibitively expensive factor in the equation, are now
down to domestic budget prices and desktop size. Seven years
ago I was still having to edit tape by the incredibly laborious
offline process, which had no cut-and-paste facilities, meaning that any insert resulted in the whole tape having to be
relaid from the point of insert. This editing was followed by an
expensive online process that involved a qualified technician
wrestling with a set of controls complicated enough to launch
the film into space. Today the PC that sits downstairs at home
effortlessly reproduces effects you previously had to go to a
post-production house for: split screen, opticals, captions. The
editing software I bought a year ago for about $1,500 now
costs half that, and the new Purple editing system costs
around $8,000 and rivals professional systems that a few
years ago costs $75,000.
But there are drawbacks compared to the old method of film
cutting. If linear (film) editing is analogous to writing on a
typewriter – the mistakes take longer to undo – non-linear
editing is more like writing on a computer: everything comes
up clean. The messiness of the creative process is eliminated,
and because of that you can be fooled into thinking what
you’re doing is better than it is. Another problem is that
non-linear editing is often too quick. With linear editing
there was a sense of a cut being arrived at. Editors worked
physically with film reels that in the end became the film’s
final cut. Because non-linear editing is so fast and easy, it’s
possible to miss the cut and carry on with endless and pointless tinkering. This happens more and more, in British television anyway, thanks to a glut of note-taking middle-management executives who view programs and demand instant
alterations; the old expression “to lock off” is now virtually
forgotten.
Another real problem with post-production has to do with
time in relation to money. Unscrupulous production companies, keen to increase narrow profit margins, now often prepare two budgets: a padded one presented to the Tv companies
and a lower one applied to the production. A shoot budgeted
for fourteen days might really take ten. Post-production usually gets squeezed hardest. Programs that used to take eight
I VIDEO DI CHRIS PETIT
le – vecchie copie sbiadite tutte graffiate, proiezioni sfocate,
bobine proiettate nell’ordine sbagliato, cattiva sincronizzazione, peletti nella finestra d’esposizione, gente che russava
in sala, un vago odore di cesso per tutto il film, e fumo ininterrottamente (ve lo ricordate il fumo?).
Una o due volte sono stato a qualche conferenza sulla tecnologia digitale e non le ho mai realmente capite perché si
dedicano sempre all’estetica, ma non colgono il senso. La
tecnologia è un dato di fatto, perciò le discussioni sulla qualità dell’immagine sono sempre state non pertinenti e fanno
parte del solito discorso sulla sostituzione di una tecnologia
con un’altra (la televisione non è come il cinema, il 35mm è
meglio del 16, i CD non sono come il vinile, bla bla bla). Ciò
che invece è importante ribadire (che di solito non viene
fatto) è che quella digitale è una rivoluzione temporale.
La tecnologia video e digitale è legata alla questione del
tempo. Per fare un esempio ovvio, i canali che fanno informazione 24 ore su 24 dissolvono i fusi orari. La televisione
satellitare fornisce un accesso ininterrotto a una molteplicità
di canali. La Tv in un Holiday Inn al Cairo è virtualmente
identica alla televisione di Kuala Lumpur o di Atlanta, e
comunità un tempo isolate hanno oggi accesso a dozzine di
canali. Il conto alla rovescia in occasione del 2000, evento
seguito in contemporanea dalle televisioni di tutto il mondo,
è emblematico di questo rapporto tecnologia-tempo, e ha
legittimato l’osservazione di Paul Virilio per cui “siamo passati dal tempo esteso dei secoli e dalla cronologia della storia
a un tempo sempre più intenso; abitiamo in un mondo caratterizzato da unità temporali minuscole. Il mondo reale e la
nostra immagine del mondo non coincidono più”.
Il processo digitale accelera anche la produzione, tagliando i
costi, mettendo per la prima volta alla portata di tutti uno standard professionale e permettendo di lavorare anche senza
finanziamenti commerciali. Programmi di montaggio professionali, che un tempo costituivano il fattore proibitivamente
costoso dell’equazione, hanno ora costi accessibilissimi e sono
grandi quanto una scrivania. Sette anni fa dovevo ancora
montare i video off-line, un procedimento incredibilmente
laborioso che non permetteva il taglia-e-incolla, con il risultato che per ciascun inserto bisognava riassemblare l’intero
nastro a partire da quel punto. Questo montaggio era seguito
da un costoso procedimento on-line, che prevedeva un tecnico
specializzato alle prese con una serie di comandi così complicati da poter lanciare il film nello spazio. Oggi, il PC permette
di realizzare tranquillamente da casa effetti come split screen,
effetti ottici speciali e didascalie per i quali un tempo bisognava rivolgersi a una società di post-produzione. Il software per
montaggio che ho acquistato un anno fa a circa 1500 dollari
ora costa la metà, e il nuovo sistema Purple costa circa 8000
dollari e può competere con sistemi professionali che solo
qualche anno fa costavano 75.000 dollari.
Tuttavia, ci sono anche degli inconvenienti rispetto ai vecchi
metodi di montaggio in pellicola. Se il montaggio lineare è
analogo allo scrivere con una macchina da scrivere – ci vuole
più tempo per correggere gli errori – il montaggio non lineare è simile allo scrivere al computer, è tutto facile e veloce.
Viene così eliminata la confusione del processo creativo, ma
193
I VIDEO DI CHRIS PETIT
194
questo può portare all’errata percezione che ciò che si sta
facendo è migliore di quanto non lo sia realmente. Un altro
problema è che il montaggio non lineare è spesso troppo rapido. Con il metodo tradizionale si aveva l’impressione di
costruire il montaggio: i montatori lavoravano fisicamente
con bobine di pellicola che poi diventavano la versione definitiva del film. Al contrario, poiché il montaggio non lineare
è così facile e veloce, è facile perdere il punto e andare avanti per ore cercando di rattoppare alla meglio. Questo accade
sempre più spesso, almeno nella televisione inglese, dove
una massa di funzionari medi armati di taccuino visionano i
programmi chiedendo modifiche istantanee. L’antica espressione “bloccare” è ormai praticamente superata.
C’è un altro problema nella post-produzione, legato al denaro in relazione al tempo. Oggi accade spesso che società di
produzione senza scrupoli, desiderose di aumentare i ristretti margini di profitto, preparino due preventivi: uno “gonfiato” che presentano alle società televisive e uno più ridotto che
applicano alla produzione. Un budget per quattordici giorni
di riprese potrebbe in realtà valere per dieci; la post-produzione viene in genere compressa al massimo. Programmi che
un tempo richiedevano otto settimane per il montaggio vengono ora realizzati in quattro o cinque settimane. Molte società di produzione offrono agevolazioni e condizioni di lavoro
che sono al limite dello sfruttamento. Oggi il montaggio, che
un tempo era considerato opera di artigianato, è visto semplicemente come abilità al computer, quasi l’equivalente di
un lavoro di segreteria, lontano anni luce dal mio ultimo
montatore, Herr Alfred Srp, che era vecchio abbastanza da
aver visto Fritz Lang all’opera ai tempi di Berlino, e che rifiniva il montaggio al tatto, facendo scorrere le bobine fra le
dita inguantate di bianco, “sentendone” il ritmo. Ma con il
montaggio digitale, che richiede così poco tempo, i programmi spesso rimangono assemblaggi più che prodotti finiti. […]
Questa nuova tecnologia costituisce una rivoluzione anche
dal punto di vista del peso, soprattutto se pensiamo alle
mini-DV. In generale, i vantaggi per la mobilità sono
impressionanti. Le riprese in movimento come le facevo io
20 anni fa significavano una preparazione infinita e l’allestimento di impalcature complicate per poter avere la luminosità necessaria e assicurare il peso considerevole di una
macchina da presa 35mm. Oggi posso fare la stessa ripresa,
con una qualità dell’immagine altrettanto buona, utilizzando una m.d.p. che sta in una mano mentre con l’altra guido.
Una m.d.p. tradizionale non si può muovere facilmente; ciò
che m’interessa maggiormente dei film di Hitchcock, ad
esempio, è la velocità che hanno rispetto al peso enorme
dell’equipaggiamento. Offrono cioè la dimostrazione estrema di quanto il cinema in pellicola sia una forma premeditata a priori più del cinema in video. Un film digitale come
Festen è l’esatto opposto di Hitchcock: l’apparente eliminazione di una sembianza di prove, l’offuscamento della classica sensazione di distanza e di barriera fra il pubblico e lo
schermo, per non parlare dell’apparente superfluità.
Un’altra caratteristica del video, forse ovvia ma che vale la
pena sottolineare, è che suono e immagine non sono più separati come avviene nella pellicola. Uno degli svantaggi è che la
weeks to cut are now done in four or five. Many production
companies offer facilities and working conditions that are no
better than those in sweatshops. Editing, which was once
regarded as a craft, is now barely treated as a keyboard skill.
It is today’s equivalent of secretarial work, and light-years
away from my last actual film editor, Herr Alfred Srp, who
was old enough to have seen Fritz Lang in his Berlin studio
days, and who did his fine-cutting by touch, running reels
backwards between white-gloved fingers, feeling for the
rhythm of the cuts. With so much less time given to non-linear editing, programs often remain assemblies rather than
final cuts. […]
This new technology is also a revolution in weight, particularly as seen in the newest mini-DV cameras. The general
gains in mobility are astonishing. Driving shots I did 20
years ago involved a huge amount of preparation and complicated rigging to secure the lighting and the considerable
weight of a 35mm camera. Today I can make the same shot, of
comparable image quality, using a camera small enough to
hold in one hand while driving with the other. A movie camera is not moved lightly (can’t be): what interests me most
about Hitchcock’s films, for instance, is their momentum in
relation to the enormous weight of the equipment involved.
They offer the ultimate demonstration of how films as a form
is a priori more premeditated than tape. A taped film like The
Celebration seems the exact opposite of Hitchcock: the apparent elimination of any appearance of rehearsal, a blurring of
the usual sense of distance and barrier between audience and
screen, and a sense of weightlessness.
Another obvious point about tape, but worth noting, is that
sound and image are no longer separate, as in film. One disadvantage of this is that the concentration of the film take,
cued by the clapper board – that precise moment when sound
and picture marry – can be replaced by something much less
focused. But it was only after i started using tape that I felt
more confident about experimenting with random sound and
overriding the recorded track; the marrying of sound and
image in film editing always made it hard to contemplate further tampering – for me at any rate. Even in the early editing
stages film always felt much more finished than tape.
I started out by arguing that there is little or no difference
between film and tape, and will now contradict myself. There
is, of course, a huge difference. Film still retains a magical
property, as the primary form of moving representation. The
early films of the Lumière brothers have in some ways never
superseded, just added to – that initial surprise of the moving
image. Movies were and are aspirational – the dream factory
after all – and the bottom line is you’re supposed to come out
feeling better than before you went in, or at least distracted.
Tape, which is more encompassing and has more to do with
control (security, surveillance, speed traps), marks a fundamental shift in the level and type of voyeurism.
Film can also be ascribed alchemical qualities. Although a
mechanical process, film has a potential luminosity that tape
doesn’t naturally have, in a way that relates more to painting.
Film framing is also closer to painting than tape, which is
Ho iniziato col sostenere che c’è poca o nessuna differenza
fra video e pellicola, e ora sto per contraddirmi. Infatti c’è
una differenza enorme. La pellicola rimane ancora qualcosa di magico, in quanto forma primaria della rappresentazione in movimento. I primi film dei fratelli Lumière, in un
certo senso, non sono mai stati superati – si è solo aggiunto
qualcosa alla sorpresa iniziale delle immagini in movimento. I film avevano e hanno a che fare con le aspirazioni – è
la fabbrica dei sogni dopo tutto – e alla fine dei conti
dovrebbero far sentire meglio le persone rispetto a quando
sono entrate nel cinema, o almeno distrarle. Il video, che
racchiude più cose ed è più legato al controllo (sicurezza,
vigilanza, autovelox), segna un cambiamento fondamentale a livello e tipo di voyeurismo.
Alla pellicola possono essere attribuite anche qualità alchemiche. Pur dipendendo da un processo meccanico, la pellicola ha una potenziale luminosità che il nastro non ha per
natura, e che ricorda la pittura. Anche la composizione dell’immagine nel cinema in pellicola è più vicina alla pittura
che non al video, molto più casuale e versatile. In Moving
Pictures Anne Hollander fa notare che “la somiglianza fra
un’inquadratura presa da un qualsiasi film commerciale
americano e un Vermeer va intesa… come esempio di continuità culturale, di tradizione pittorica che viene interiorizzata e naturalizzata, come è sempre stato, solo che questa volta
accade grazie al balzo tecnologico fatto dalla fotografia al
volgere del secolo”. Con il video spesso non c’è una composizione dell’immagine, che viene semplicemente centrata,
poiché l’atto dell’inquadrare è meno ineteressato a scegliere
l’inquadratura e la posizione della m.d.p. e più al rapporto
con le immagini che vengono prima e dopo. Gli spot pubblicitari e i video musicali favoriscono questo approccio per
ovvie ragioni; velocità, risparmio, messaggio e stimoli.
In genere il video è più veloce, più uniforme e più regolare,
e più difficile da illuminare, che è il problema principale.
Ma è lì, pronto per giocarci. Può essere forzato più della
pellicola, e reagisce bene anche se trattato con noncuranza.
Come le Polaroid, risponde meglio della pellicola alle cattive inquadrature. La pellicola somiglia a qualcos’altro, il
video somiglia a se stesso. Va bene con ciò che è familiare:
ha più dell’istantanea che della fotografia professionale. Le
immagini video di Godard con i bambini che si sporgono
da una finestra o con la sponda del lago e il cielo azzurro
rimangono scolpite nella memoria proprio come alcune
delle sue immagini in 35mm più studiate e riprese con la
luce naturale, in film come Slow Motion o Passion.
Tanto migliore è la rappresentazione – maggior fedeltà,
much more casual and accommodating. Anne Hollander’s
Moving Pictures notes that “a resemblance between a frame
from an ordinary commercial American film and a Vermeer
may be understood… as an example of cultural continuity, of
pictorial tradition becoming internalized and naturalized, as
it always has, only this time by means of the great leaps made
by phototechnology at the turn of the century.” With video
the image often isn’t framed, but merely centered, the framing
less to do with lining up the shot than its relation to shots
before and after. Commercials and music videos favor this
approach, for obvious reasons: speed, economy, message, and
stimulation.
Tape is generally faster, flatter, and cleaner, and harder to
light, which is the biggest problem. But it’s there to be messed
about with. It can be pushed harder than film and it responds
well to being handled badly. Like Polaroids, it copes better
than film with awkward framing. Film looks like something
else. Tape looks like itself. It’s good with the familiar: more
snapshot than professional photograph. Godard’s video
images of kids hanging out of a window or a lakeside and blue
sky stick in the mind just as long as some of his more studied
35mm images shot with a natural light in films like Slow
Motion or Passion.
The better representation gets – higher fidelity, improved
image resolution, with digital tape now capable of shooting at
such low light levels that it makes Barry Lyndon look overlit – the more I find myself impatient to move into something
more expressionistic or impressionistic, to something beyond
a literal representation.
I never really had any aspirations to shoot my own material,
ad I always felt self-conscious looking through a director’s
viewfinder. That changed with the introduction of Sharp’s
novelty Hi-8 camera, the Viewcam, which had the then-rare
option of an LCD screen, cutting out the need for a regular
eyepiece. The process came to have as much to do with the
hands as with the eye, especially as the Viewcam had several
features that let you physically manipulate the tape during
shooting. As someone who had done a lot of writing, I felt
comfortable with this and didn’t feel as though I was competing with professionals whose eyes were more trained than
mine. I also realized instinctively that this form was the next
paradigm shift, the start of a process as revolutionary in its
way as the beginning of cinema. If my films became more
experimental, it had to do with suddenly having instant
access, which allowed for a sense of work-in-progress, work
that could be more sketch-like, with an opportunity to try
things out and make mistakes. It became liberating.
Increasingly in commercial cinema, filmmakers are not
allowed to make mistakes, although arguably most developments come about as the result of errors. For the first time I
didn’t have to think, “I’m shooting this story,” or “I’m shooting a documentary”, the subtext of which was “I may never
work again.” Form, content, and process became indistinguishable.
One of the few remarks by filmmakers that have struck me as
useful is Godard’s observation that in the earliest days of cinema they started by just filming. Scripts came later, an inven-
I VIDEO DI CHRIS PETIT
concentrazione che scattava con il ciak – quel preciso momento in cui suono e immagine si congiungono – può essere sostituito da qualcosa di molto più vago. Ma solo dopo aver iniziato a usare il video mi sono sentito pronto a fare esperimenti
con suoni casuali, senza tenere in conto la colonna sonora.
Nel montaggio la fusione di suono e immagine ha sempre
lasciato poco spazio a qualsiasi ulteriore manipolazione –
almeno per quanto mi riguarda. Anche nelle primissime fasi
del montaggio la pellicola sembra più “finita” del video.
195
I VIDEO DI CHRIS PETIT
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migliore definizione dell’immagine, con il digitale che oggi
è in grado di fare riprese a livelli di luminosità così bassi da
far apparire Barry Lyndon troppo illuminato – quanto più
cresce la mia impazienza di andare verso qualcosa di più
espressionistico o impressionistico, qualcosa al di là della
rappresentazione letterale.
In realtà, non ho mai avuto l’aspirazione a girare materiale
mio, e sono sempre stato troppo consapevole di me stesso
guardando attraverso il mirino del regista. Le cose sono cambiate con l’arrivo della novità Sharp, la Hi-8 o Viewcam,
dotata di quello che all’epoca era un optional raro, lo schermo LCD che eliminava il classico oculare. Il procedimento
era così legato tanto alle mani quanto agli occhi, soprattutto
visto che la Viewcam aveva funzioni che permettevano di
manipolare fisicamente il nastro durante le riprese. Avendo
io scritto molto, mi sono trovato perfettamente a mio agio e
non avevo più la sensazione di essere in competizione con
professionisti i cui occhi erano più esercitati dei miei. Mi sono
anche istintivamente accorto che questa forma avrebbe costituito un mutamento paradigmatico, l’inizio di un processo
rivoluzionario almeno quanto l’invenzione del cinema. Se i
miei film diventavano più sperimentali era dovuto al fatto di
avere improvvisamente l’accessibilità istantanea, che dava
quella sensazione di work in progress, di opera in forma di
schizzo, con la possibilità di provare e di fare errori. È diventato liberatorio. Sempre più, nel cinema commerciale, ai registi non è permesso commettere errori, nonostante spesso l’evoluzione ne sia il frutto. Per la prima volta non dovevo pensare “sto girando questa storia”, oppure “sto girando un
documentario”, con il sottotesto che faceva “potrebbe essere
il mio ultimo lavoro”. Forma, contenuto e procedimento
erano diventati un tutt’uno.
Una delle poche affermazioni fatte da un regista che mi
abbiano colpito e mi siano tornate utili è stata l’osservazione di Godard per cui agli albori del cinema si è cominciato
con il puro filmare. Le sceneggiature sono arrivate dopo,
sono state un’invenzione delle case di produzione per suddividere e specificare i costi. Per sfuggire alle sceneggiature
ho fatto documentari Tv in video. Ho anche girato un paio
di programmi – London Labyrinth e Surveillance – utilizzando found footage per aggirare la fase delle riprese.
L’accumularsi di immagini ha raggiunto il livello in cui il
riciclaggio diventa possibile, persino inevitabile e necessario: si ha la sensazione concreta che sia stato girato tutto
fino alla morte. Un’eccezione a questo marasma d’immagini è il lavoro di Chris Marker, che per un certo periodo mi
ha colpito per il metodo, la forma e la fatica solitaria, e
soprattutto per l’attenzione che Marker rivolgeva al periodo in cui stava lavorando. Da un punto di vista pratico,
m’interessava il suo modo di ignorare il procedimento di
produzione convenzionale. C’era anche un che di evasivo
nelle sue opere che mi attraeva. Non si riusciva mai a capire appieno come era riuscito a metterle insieme, come era
riuscito a far funzionare il montaggio. Se consideriamo le
circostanze e il tempo trascorso da allora, le sue avventure
hanno anticipato le possibilità più flessibili e nascoste della
rivoluzione digitale. […]
tion of production companies, as a way of breaking down and
itemizing costs. I did Tv documentaries on tape as a way of
escaping scripts. I also made a couple of programs – London
Labyrinth and Surveillance – using found footage as a way
of circumventing the shooting process. The accumulation of
images had reached the stage where recycling became possible,
even inevitable and necessary: there is a very real sense that
too much has been shot to death. An exception to this glut of
images is Chris Marker’s work, which for some time has
struck me as increasingly important, for its method, form, and
solitary endeavor, above all for the way Marker stayed alert to
the time in which he was working. From a practical angle, he
interested me for the way he seemed to avoid the conventional production process; there was also something intriguingly
elusive about his work. You couldn’t quite figure out how they
have been put together, how he had gotten the cuts to work. In
the ground gone over and the distances involved, his travels
anticipated the more flexible and solitary possibilities of the
digital revolution. […]
Bresson’s notes on cinema quote a French general on how all
great battles are waged in the interstices of the map. That’s
what’s happening in popular culture today. Music has fragmented and much of it has gone back underground. The
Internet allows for loose, widespread affiliations of cultish
enthusiasms and discoveries. A corollary to celebrity (one of
the worst diseases of this and the last century) is a growing
move toward invisibility, of a sense of worthwhile work being
done in lab-like conditions, with few in the know. We’re just
at the beginning of the breakdown of an old industrial process,
which make things interesting. Perhaps new kinds of guerrilla filmmaking will emerge. Tomorrow’s Sam Fuller or Edgar
G. Ulmer won’t emerge via Sundance: he/she will be getting
their hand in shooting porn in Rio or Rotterdam for some
obscure satellite channel. The opportunities are there for
bizarre J.G. Ballards-like mutations to emerge – radical
forms/challenging content – intimate questionnaires, suburban pornography, salvaged test footage, reports from the black
economy; who knows, perhaps even scripts that don’t insult
our intelligence, that don’t adhere to lottery-winning formulas. (As Cristopher said in The Sopranos: “I’d like to know
what the fucking arc of my life is!”) Dream on. The downside
of all this is that the notion of a maverick or alternative cinema is hijacked by the corporates the moment it appears. So
advertising is currently a form of radical filmmaking, unfortunately. The notion of making films for little or no money is
mocked by these guys who use the same technology to make
these cheap-looking, street-funky films that are of course
incredibly expensive. (“Film Comment”, February 2001)
I VIDEO DI CHRIS PETIT
Negli scritti di Bresson sul cinema viene citato un generale
francese che sosteneva che le grandi battaglie vengono
negoziate fra gli interstizi della mappa. Ed è proprio quello
che sta accadendo oggi nella cultura popolare. La musica si
è frammentata e molta di questa è tornata nella clandestinità. Internet dà libero spazio ad ampie affiliazioni di entusiasmi e scoperte di pseudo-culto. Un corollario della celebrità (una delle peggiori malattie di questo e dello scorso
secolo) è il crescendo verso l’invisibilità, la sensazione che il
lavoro meritevole sia fatto in condizioni difficili e quasi nell’anonimato. Siamo solo all’inizio del crollo di un vecchio
processo industriale, che rende le cose interessanti. Forse
emergeranno nuovi modi rivoluzionari di fare cinema. I
Sam Fuller o gli Edgar G. Ulmer non verranno certo fuori
dal Sundance: lui o lei si faranno le ossa girando film porno
a Rio o a Rotterdam per qualche oscuro canale satellitare. È
lì che possono avvenire mutazioni ballardiane – forme radicali/contenuti provocatori – questionari intimi, pornografia da periferia, provini recuperati, rapporti dall’economia
sommersa; chissà, magari anche sceneggiature che non
insultino la nostra intelligenza, che non aderiscano alle formule che vincono alla lotteria. (Come diceva Christopher in
The Sopranos: “Mi piacerebbe sapere, quale diavolo sarà il
corso della mia vita?”). Continua a sognare. Il rovescio di
tutta la medaglia è che la nozione di cinema indipendente
o alternativo viene scippata dalle multinazionali nel
momento stesso in cui appare. Tanto che la pubblicità è una
forma di cinema radicale, purtroppo. L’idea di fare film in
cambio di poco o nulla è derisa da questa gente che utilizza la stessa tecnologia per realizzare pellicole ambientate in
strada e girate apparentemente con pochi mezzi, ma che
naturalmente sono in realtà incredibilmente costose. (“Film
Comment”, febbraio 2001)
197
I VIDEO DI CHRIS PETIT
BIOGRAFIA
Chris Petit (1949) si laurea in Letteratura inglese all’università di Bristol. Si avvicina al cinema come critico cinematografico della rivista “Time Out”. Ammiratore del cinema e
delle teorie di Wenders, è proprio da lui che trova sostegno
e finanziamento per esordire nella regia, nel 1979, con Radio
On, prodotto dal BFI con la casa di produzione del regista
tedesco, la Road Movies Film Produktion. Ha pubblicato
vari romanzi e racconti.
BIOGRAPHY
Chris Petit (1949) got his degree in English Literature at the
University of Bristol. His first step toward cinema was as film
critic for “Time Out” magazine. A follower of cinema and of
Wim Wenders’ theories, it was Wenders who offered him support and financing for his 1979 directorial debut, Radio On,
which was produced by BFI and the German director’s production company, Road Movies Film Produktion. He has published several novels and short stories.
FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY
Radio On (1979), An Unsuitable Job for a Woman (1981), Flying Fish Over Hollywood: Profile of Wim Wenders (1981, doc.),
Fluchtpunkt Berlin (1983), Chinese Boxes (1984), A Caribbean Mystery (1989, Tv), J. G. Ballard (1990, Tv), Suburbs in the Sky
(1991, Tv), Weather (1992, Tv), London Labyrinth (1992, Tv), The Cardinal and the Corpse (1992, Tv), Surveillance (1993, Tv),
Thriller (1993, Tv), Rudy Wurlitzer (1994, Tv), Death of a Bank Manager (1995, Tv), The Disappearance of Kathleen Waugh (1997,
Tv), The Falconer (co-regia: Iain Sinclair, 1998, Tv), Radio On Remix (1998, Tv), Dead Tv (1999, Tv), Negative Space (1999, Tv),
Asylum (co-regia: Iain Sinclair, 2000, Tv), The Carfax Fragment (2001, Tv)
TESTI LETTERARI/LITTERARY TESTS
Robinson (Jonathan Cape, 1993; Viking US, 1994), Newman Passage or J. Maclaren-Ross and The Case of the Vanishing Authors
(The Time Out Book of Short Stories, 1993), The Psalm Killer (Macmillan, 1996; Knopf, 1997), The Hard Shoulder (It’s Dark in
London, Serpent’s Tail, 1996), Back From the Dead (Macmillan, 1999; Knopf, 2000)
PRESENTAZIONI SU NASTRO/TAPE PRESENTATIONS
The Slaughterhouse Tape (1997), River 1 and 2 (per Iain Sinclair, 1997), Suburbs 1 and 2 (per Iain Sinclair, 1998), To the West (per
Iain Sinclair, 1998), Walking Rodinsky: Dagenham Purgatorio (per Iain Sinclair, 1999), Walking Rodinsky: London Paradiso (per
Iain Sinclair, 1999)
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J. G. BALLARD
Eccentrico,
provocatorio,
bizzarro: una gemma. Il film
di Petit è un saggio eccitante
e illuminante, disciplinato,
sovversivo e coerente. (“The
Guardian”)
Idyosyncratic, challenging, very
quirky: a gem. Chris Petit’s film
is an exciting window-opening
essay, disciplined, subversive
and coherent. (“The Guardian”)
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
durata/running time: 12’
origine/country: Gran Bretagna 1990
WEATHER
(t.l. Tempo)
Petit usa lo stesso modo di
rendere estranee le cose più
familiari che è tipico di Wim
Wenders: è come se il cane
nero della melanconia si aggirasse per i suburbi, costringendo i fobici a letto, in preda
alle loro paure più inconfessabili. Alla fine, ci si domanda
se la tipica atmosfera inglese,
tetra e piovosa, non sia solo
una sorta di gigantesco transfert delle nostre passioni.
(“Indipendent on Sunday”)
Petit has Wim Wenders’s trick of
making the familiar alien: his
suburbia felt as though a black
dog of melancholy were snuffling round it, keeping phobics in
bed with nameless fears. By the
end, you wondered whether the
Great British weather weren’t
just some giant displacement of
our passions. (“Indipendent on
Sunday”)
fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench
montaggio/editing: Robert Hargreaves
durata/running time: 40’
origine/country: Gran Bretagna 1992
199
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
LONDON LABYRINTH
(t.l. Labirinto londinese)
Petit ha scritto un pezzo per
Petit wrote a piece for “Sight
montaggio/editing: Robert Hargreaves
“Sight and Sound” intitolato
and Sound” called Flickers. It
durata/running time: 50’
origine/country: Gran Bretagna 1992
Flickers. Consisteva interaconsisted entirely of presentmente in immagini al presentense images from favourite
te tratte dai film preferiti: un’epopea di frammenti, dissolfilms: an epic of fragments, arbitrary dissolves. London
venze arbitrarie. London Labyrinth era così: home movie,
Labyrinth was just like that: home movies, John Betjeman,
John Betjeman, centauri alla Ken Loach, periferie, treni
Ken Loach bikers, suburbs, underground trains, clips from
della metropolitana, scarti di pellicole, spogliarelliste palliplays, pale strippers auditioning, Fu Manchu riverside conde al provino, complotti alla Fu Manchu lungo il fiume.
spiracies. Cinema in meltdown. The end of the night. An abdiCinema al tracollo. Il termine della notte. Un’abdicazione
cation of involvement. Robinson in his cutting room – like Dr.
al coinvolgimento. Robinson nella sua sala di montaggio –
Mabuse – recomposing History from endless reels of docucome il Dr. Mabuse – che ricompone la Storia da intermimentation and fantasy. (Iain Sinclair, Lights Out for the
nabili bobine di documentazione e fantasia. (Iain Sinclair,
Territory)
Lights Out for the Territory)
London Labyrinth conceives of a city of memory shards, an
London Labyrinth proietta una città di schegge di memoria,
accumulation from theatrical and documentary sources.
accumulando fonti teatrali e documentarie. Modernismo
Pathological modernism: the art of the dustbin, the skip thief.
patologico: l’arte della pattumiera, il ladro di rifiuti.
(“Sight and Sound”)
(“Sight and Sound”)
THE CARDINAL AND THE CORPSE
(t.l. Il cardinale e il cadavere)
Scrittori e librerie, mercatini
di libri usati e cacciatori di
volumi introvabili, pub e
periferie inglesi, facciate e
copertine. La prima collaborazione di Petit con lo scrittore Iain Sinclair.
Writers and bookshops, used
book markets and hunters of
rare volumes, pubs and the
English suburbs, facades and
book covers. Petit’s first collaboration with the writer Iain
Sinclair.
sceneggiatura/screenplay: Iain Sinclair
fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench
montaggio/editing: Robert Hargreaves
musica/music: Martin Stone e Almost Presley
suono/sound: Rudy Buckle
produzione/production: Janine Marmot per Koninck
Projects, Channel Four Television
durata/running time: 38’
origine/country: Gran Bretagna 1992
200
SURVEILLANCE
(t.l. Sorveglianza)
“Oggi queste telecamere sono
dappertutto, installate così
gradualmente che quasi non
ce ne siamo accorti. Ma è difficile capire da dove cominciare,
perché fare un film su queste
immagini significa rinnegarne
il senso. Discrete. Strategiche.
Controllo invisibile. Sicurezza
24 ore su 24. L’idea che qualcosa venga guardato per 24 ore
rende queste immagini uniche. Si snodano in un tempo
non montato, e questo le rende
radicalmente diverse dal
tempo compresso del cinema e
della televisione.” (Chris Petit,
maggio 1993)
durata/running time: 11’
origine/country: Gran Bretagna 1993
Il solo cinema appropriato per questa Londra è il cinema
della sorveglianza. Non montato, muto, fluviale; minaccioso nella sua noia. Un cinema che non richiede spettatori.
(“Sight and Sound”)
“Now of course these cameras
are everywhere, installed so
gradually that we hardly
noticed. But it’s hard to know
where to begin, because to
make a film about these images
is to deny their point. Discreet.
Strategic. Invisible monitoring. Round the clock security.
The idea of something being
watched for 24 hours makes
these images unlike any others.
They deal in unedited time,
and this makes them radically
different from the compressed
time of cinema and television.”
(Chris Petit, May 1993)
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
The only cinema appropriate to this London is the cinema of
surveillance. Unedited, mute, riverine; menacing in its boredom. A cinema that requires no audience. (“Sight and Sound”)
THRILLER
Petrolio. Pistole. Denaro.
Droga. Un’indagine sul
mestiere di scrivere thriller (e
sulla tecnologia cinematografica in evoluzione). Con
un piccolo aiuto da parte di
suo figlio, che all’epoca
aveva sette anni, Thriller
mostra un Petit sempre più
insofferente nei confronti dei
modi tradizionali di fare
documentari, con quelle
distinzioni spesso spurie tra
fatto e finzione. Thriller
segna inoltre un momento
importante nel sempre più
evidente allontanamento di
Petit dalle regole della produzione. È stato l’ultimo film
nel quale abbia lavorato con
qualcosa che somigliasse a
una normale troupe.
fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench
montaggio/editing: Robert Hargreaves
interpreti/cast: Michael Dibdin, Frank Kippax, Leslie
Waller
durata/running time: 40’
origine/country: Gran Bretagna 1993
Oil. Guns. Money. Drugs. An
investigation into the business
of writing thrillers (and into the
changing technology of filmmaking). With some help from
his then seven-year-old son,
Thriller shows Petit’s increasing impatience with the conventional forms of documentary
film-making, with its often spurious distinctions between fact
and fiction. Thriller also marks
an important step in Petit’s
increasing departure from production norms. It was the last
film on which he worked with
anything like a normal crew.
201
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
RUDY WURLITZER
Un profilo particolarmente
acuto del romanziere e sceneggiatore fuorilegge.
A characteristically sharp-eyed
profile of the outlaw novelist
and screenwriter.
fotografia/photography (video, col.): Chris Petit
montaggio/editing: Matthew Reinders
durata/running time: 12’
origine/country: Gran Bretagna 1994
RADIO ON REMIX
Twenty years after having
filmed them, Petit took the black
and white images of his first
feature-length film, Radio On,
manipulated them electronically in his style and mixed them
with images of the same places
shot contemporarily.
Vent’anni dopo, Petit prende
le immagini in bianco e nero
del suo primo lungometraggio, Radio On, le manipola
elettronicamente alla sua
maniera e le mixa con riprese girate oggi sugli stessi
luoghi.
sceneggiatura/screenplay: Chris Petit
montaggio/editing: Emma Matthews
suono/sound: Bruce Gilbert
produzione/production: Keith Griffiths per Illumination Films
distribuzione/distributed by: Illumination Films
durata/running time: 24’
origine/country: Gran Bretagna 1998
202
THE FALCONER
(t.l. Il falconiere)
Un’inchiesta fittizia sulle vite
e le carriere di Peter Lorrimer
Whitehead (1937-1997). Un
film in cui niente è vero e
tutto è permesso.
A fictional investigation into the
lives and careers of Peter Lorrimer
Whitehead (1937-1997). A film in
which nothing is true and everything is permitted.
Sul regista e sciamano degli
anni ’60 Peter Whitehead
potrebbe essere facilmente
realizzato un documentario
tanto affascinante quanto
convenzionale. Ma The
Falconer è più simile a un collage frammentario di tutti i
film su Whitehead che, in un
mondo mentalmente sano,
sarebbe impossibile realizzasceneggiatura/screenplay: Chris Petit, Iain Sinclair
re. Whitehead ha espresso
fotografia/photography (video, col.): Chris Petit, Iain Sinclair
pubblicamente il suo sdegno
montaggio/editing: Emma Matthews
suono/sound: Bruce Gilbert
e la sua contrarietà al film,
elaborazioni digitali/digital artist: Dave McKean
una bizzarra narrazione speinterpreti/cast: Kathy Acker, Steven Dilworth, Stewart
culativa del narratore e poeta
Home, Francoise Lacroix, Howard Marks, David Rodifer,
Iain Sinclair e del cineasta
Peter Whitehead
Chris Petit; ma se si conduproduzione/production: Keith Griffiths, Illumination Films
cono le premesse paranoiche
durata/running time: 55’
di The Falconer alla loro logiorigine/country: Gran Bretagna 1998
ca conclusione, non si può
fare a meno di domandarsi
se Whitehead non sia anch’egli complice delle mistificazioni di cui il film è tanto ricco.
(Jonathan Romney, “The Guardian”, 21 agosto 1998)
A fascinating conventional documentary could be made about
sixties film-maker and shaman
figure Peter Whitehead. But
The Falconer is more like a
fragmented compilation of all
the films that, in a sane world, it
would be impossible to make
about him. Whitehead has pubbicly expressed his outrage at
the film, a bizarre speculative
fiction by novelist/poet Iain
Sinclair and filmmaker Chris
Petit; but, if you take The
Falconer’s paranoid premise to
its logical conclusion, you can’t
help wondering how Whitehead
is complicit with their mistifications. (Jonathan Romney, “The
Guardian”, 21th August 1998)
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT - IAIN SINCLAIR
203
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
DEAD TV
(t.l. Tv morta)
Immagini televisive (ingrandite, deformate, rallentate,
bloccate) per raccontare la
morte della televisione.
Television images (enlarged,
distorted, slowed down, paused)
that recount the death of television.
sceneggiatura/screenplay: Christopher Petit
fotografia/photography (video, col.): Christopher Petit
produzione/production: Illuminations Television
durata/running time: 10’
origine/country: Gran Bretagna 1999
THE CARFAX FRAGMENT
(t.l. Il frammento di carfax)
Per il suo video-diario Petit
voleva andare in una sorta di
cimitero di navi presso
Bombay, in India. Questo si è
dimostrato produttivamente
impossibile, ma vicino casa, a
Londra, Petit ha trovato alcune
intriganti location lungo il corso
del Tamigi, come Tilbury, dove
i prigionieri venivano imbarcati per l’Australia, che è anche
vicino a Purfleet, dove il conte
Dracula mise piede in
Inghilterra.
For his video-diary, Chris Petit
really wanted to go to a kind of
ships’ graveyard near Bombay
in India. However that proved
productionally impossible. But
closer to his home in London,
Petit also found some intriguing
places along the Thames. Such
as Tilbury, from whence prisoners were shipped to Australia
and that is also close to Purfleet,
where Count Dracula set foot on
land.
fotografia/photography (video, col.): Chris Petit
montaggio/editing: Emma Matthews
musica/music: Bruce Gilbert
produzione/production: De Productie, IFFR
distribuzione/distributed by: IFFR
durata/running time: 15’
origine/country: Olanda 2001
204
NEGATIVE SPACE
(t.l. Spazio negativo)
Viaggio on the road sulle highway statunitensi intervallato
da spezzoni di cinema classico e moderno (da Rossellini
a Godard, da Tourneur a
Fassbinder, da Hawks a
Michael Snow) e da interviste con i critici Manny Farber
e David Hickey.
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT
A road trip on US highways
alternated with clips from modern and classic cinema (from
Rossellini to Godard, from
Tourneur to Fassbinder, from
Hawks to Michael Snow) and
interviews with critics Manny
Farber and David Hickey.
There aren’t many films or
Non ci sono molti film o
videos about criticism, especialvideo dedicati alla critica, e
ly ones that perform the work of
in particolare alla critica cinefilm criticism. An interesting
matografica. Un’eccezione
and ambitious exception is
particolarmente interessante
Chris Petit’s Negative Space,
e ambiziosa è quella di
an experimental 39 minute
sceneggiatura/screenplay: Chris Petit
Negative Space, di Chris Petit,
video made for BBC Tv […]
fotografia/photography (video, col.): Chris Petit
un video sperimentale di 39
Named after the only book by
montaggio/editing: Emma Matthews, Chris Petit
minuti realizzato per la BBC.
film critic, painter, and teacher
suono/sound: Emma Matthews
[…] Il video di Petit, che
Manny Farber, Petit’s video
produzione/production: Keith Griffiths, Illuminations
prende il nome dall’unico
wrestles with American landTelevision
libro del critico cinematograscape and culture, irony, memodurata/running time: 39’
fico, pittore e insegnante
ry, Las Vegas, the beginning of
origine/country: Gran Bretagna 1999
Manny Farber, tratta del paea new millenium, death, desert,
saggio e della cultura amerifilm versus video, J.M.W.
cani, dell’ironia, della memoria, di Las Vegas, dell’inizio
Turner’s painting, several movies, as well as two critics, Faber
del nuovo millennio, della morte, del deserto, del rapand Dave Hickey. (Jonathan Rosenbaum, American beauty,
porto tra film e video, della pittura di J.M.W. Turner, di
“Chicago Reader”, 12th May 2000)
diversi film e di due critici, Farber e Dave Hickey.
(Jonathan Rosenbaum, American beauty, “Chicago
Reader”, 12 maggio 2000)
205
I VIDEO DI CHRIS PETIT
CHRIS PETIT - IAIN SINCLAIR
ASYLUM
(t.l. Rifugio)
Alla fine del XX secolo, un
virus ha distrutto tutte le
immagini televisive. Lo
scienziato Kaper ha ricostruito le vicende legate a un progetto, chiamato “La recinzione perimetrale”, partorito da
un misterioso “broker dell’informazione”, che utilizzava delle donne per raccogliere immagini e suoni. Questo
film sulla memoria, l’esilio e
la follia utilizza un’ampia
selezione di materiali visivi e
sonori per parlare del presente dalla prospettiva del
futuro prossimo.
At the end of the twentieth century, a virus destroyed all Tv
pictures. Scientist Kaper reconstructed a project, called “The
Perimeter Fence”, which was
the brainchild of a mysterious
“information broker” who
employed women to collect
images and sounds. This film
about memory, exile and madness uses a wide ange of visual
and sound materia to say something about the present from the
near future.
Il vero scopo di Asylum è
richiamare alla nostra mente
un progetto di avanguardia
ormai dimenticato, un’utopia amorfa in cui tutto esplode in un caos che va oltre
qualsiasi connotazione di
genere riconoscibile – in questo caso, un caos che sfugge
alle griglie e alle regole in
base alle quali le televisioni
commissionano i film d’arte.
Asylum è ossessionato dall’idea che con ogni probabilità nessun dirigente di una Tv
britannica sarà più disposto a finanziare un progetto del
genere, anche se la certezza del proprio disperato eroismo, di cui il film quasi si fregia, subirebbe un duro
colpo, nel caso in cui i veri boss del mondo televisivo
dovessero decidere che questo è proprio il tipo di prodotto che avrebbero sempre voluto commissionare per la
programmazione in seconda serata. (Jonathan Romney,
Reality remixed, “The Guardian”, 14 giugno 2000)
206
Asylum’s serious proposition is
to remind us of a forgotten
avant-garde project, an amorphous utopia in which everything explodes into a chaos
beyond recognisable genre – in
this case, a chaos that evades the
grids and menus of Tv arts commissioning. Asylum is haunted
by the improbability that anyone
in British Tv would ever fund
something like this again,
altough the film’s sense of its
own desperado heroism would
be confounded if arts bosses suddenly decided that this was just
the sort of stuff they wanted to commission for late nights.
(Jonathan Romney, Reality remixed, “The Guardian”, 14th
June 2000)
sceneggiatura/screenplay: Chris Petit, Iain Sinclair
fotografia/photography (video, b/n e col.): Chris Petit, Iain
Sinclair
montaggio/editing: Emma Matthews
suono/sound: Emma Matthews, Bruce Gilbert
elaborazioni digitali/digital artist: Dave McKean
interpreti/cast: Michael Moorcock, Ed Dorn, James Sallis,
Marina Warner, Francoise Lacroix, David Seabrook,
Michelle Lacroix, Susan Stenger (voce over)
produzione/production: Keith Griffiths, Illuminations
Films/Koninck
distribuzione/distributed by: Illuminations Films/Koninck
durata/running time: 56’
origine/country: Gran Bretagna 2000
INDICI
INDICE DEI FILM E DEI VIDEO
A
Annyon-Kimchi, 93
Aprili, 129
As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw
Brief Glimpses of Beauty, 33
Asylum, 206
B
Blue/Chong, 102
C
Candilla, 71
Candy Girl, 169
Ce vieux rêve qui bouge, 46
Chinpira, 94
Colors, 74
Coup de boule, 170
Crossing, 113
D
Danach hätte es schön sein müssen, 47
Das Frankfurter Kreuz, 177
Das Himmler-Projekt, 179
D.D.T./Abducted 187 Remix, 77
Dead Tv, 204
Demanty noci, 131
Demontage IX, Unternehmen Stahlglocke, 173
Der Bräutigam, die Komödiantin und der
Zuhälter, 139
Der schöne Tag, 42
Der Totmacher, 176
Der Tyrann von Turin, 172
Di ritorno, 76
Distance, 87
Dragonfly, 80
E
Eine Freundschaft in Deutschland, 170
Eisenstein, 14
Éloge de l’amour, 29
F
Finale, 72
Flanders eu gae/Barking Dogs Never Bite, 18
G
Gallodrome, 171
Gehirne schwerfälliger Bauern, 169
Gi-souchi “M”/Apparatus “M”, 109
H
Hellman Rider, 171
Hidari chokyo/Discipline for Left-Handed, 117
Homo Erectus, 75
H-Story, 104
Hunde aus Samt und Stahl, 172
I
I Am an Eye, 68
Ikinai, 100
Il museo più veloce del mondo, 59
I Love Beijing, 24
I Love the Sound of the Kalachnikov, It
Reminds Me of Tchaikovsky, 49
Infight, 175
I.T. (Immatriculation temporaire), 44
Italiensk for Begyndere, 21
P
Paris vu par…, 125
Pattiyude divasam, 50
Plumes, 67
Q
Quiet Boy, 73
R
Radio On Remix, 202
Roji-e/Into the Alley, 83
Roundscape Mix, 114
Rudy Wurlitzer, 202
J
Jalla! Jalla!, 16
Jam Session - The Official Bootleg of
S
Kikujiro, 56
Sam Shaw on John Cassavetes, 173
Japop!, 57
Satsujin camera/Killer Camera, 116
J.G. Ballard, 199
Sex Friend nurezakari/A 3-1 Count, 120
Slide, 115
K
Slivers, 79
Kaido-ryoku real/Satisfaction Real, 107
Sora no Ana/Hole in the Sky, 89
Kao/Face, 98
Speriamo che sia femmina, 25
Sudore, 70
L
Suna no onna, 141
La libertad, 41
Surveillance, 201
La vigilia, 64
Le Cinéma des “Cahiers”. Cinquante ans Symphonies of Memories, 78
d’histoire d’amour du cinéma, 142
T
Leonardo Sciascia - Autoritratto, 63
Takeshi Kitano l’imprévisble, 55
Loin du Vietnam, 127
The Cardinal and the Corpse, 200
London Labyrinth, 200
Luigi Einaudi. Diario dell’esilio svizzero, 62 The Carfax Fragment, 204
The Falconer, 203
There is No City That Does Not Dream, 17
M
These Are Not My Images, 69
Mabudachi/Bad Company, 105
The Shooting, 128
Mahlzeiten, 133
Thriller, 201
Manila, 178
Timeless Melody, 96
Momoiro baby oil/Peach Baby Oil, 118
Tribute to Alfred Lepetit, 20
Mongolian Paty, 111
Tsuru-Henry, 84
Monochrome Head, 110
N
Natsu ni unareru/Tel-Club, 112
Negative Space, 205
Nella terra dei Daci liberi, 61
Nijuseiki nostalgia/Twentieth-Century Nostalgia, 85
Ninja bugeicho, 34
No Man’s Land, 22
U
Unagi, 31
Una noche con Sabrina Love, 13
Unloved, 92
O
O Desafio, 135
OL no Love Juice/Rustling in Bed, 121
Operai, contadini, 36
Oshima ’99, 54
Oz-mix, 108
W
Wakamono: i giovani di Tokyo, 58
Walkover, 137
Warheads, 174
Weather, 199
V
Vittorio De Sica - Autoritratto, 63
Z
Zawazawa shimokitazawa, 91
INDICE DEI NOMI
A
AGRESTI Alejandro, 13
ALONSO Lisandro, 41
AMARÙ Giovanna, 67
AMORINI Marco, 68
AOYAMA Shinji, 83
ARSLAN Thomas, 42
B
BARTLETT Renny, 14
BATSRY Irit, 69
BERNARDI Elena, 70
BODA Katsushi, 107
BONG Joon-ho, 18
C
CAVAZZUTI Andrea, 59
CONVERSANO Francesco, 60
COZARINSKY Edgardo, 142
D
DE VITO Mirco, 58
DI FELICE Massimo, 57
DOMINEDÒ Francesco, 71
F
FARES Josef, 16
FASANO Walter, 72-73
FITZGERALD Lara, 17
FOFANA Gahité, 44
FURUYAMA Tomoyuki, 105
G
GIANNETTI Alessandra, 58
GODARD Jean-Luc, 29
GO Takamine, 84
GOZU Naoe, 54
GRIGNAFFINI Nene, 60
GUIRAUDIE Alain, 46
H
HARADA Ippei, 108
HARA Masato, 85
HELLMAN Monte, 128
HERMANN Villi, 62
HONETSCHLÄGER Edgar, 74
HUILLET Danièle, 36, 139
I
ICHIKAWA Jun, 91
IMAMURA Shohei, 31
IOSELIANI Otar, 129
ITO Takashi, 109-110
J
JURSCHICK Karin, 47
K
KARMAKAR Romuald, 169-179
KHAZARIAN Philippe Vartan, 49
KORE-EDA Hirokazu, 87
KUGLER Ema, 75
KUMAKIRI Kazuyoshi, 89
L
LAURENTI Carlo, 59
LAZZARINI Silvia, 61
LEE Sang-il, 102
LIMOSIN Jean-Pierre, 55
M
MANDA Kunitoshi, 92
MANJOME Jun, 111
MATSUE Tetsuaki, 93
MEKAS Jonas, 33
MISURACA Pasquale, 63-64
MOCHIZUKI Rokuro, 94
MONICELLI Mario, 25
MURAKAMI Kenji, 112
N
NAIR Murali, 50
NAGASAWA Ai, 58
NAKANISHI Yoshihisa, 113-114
NEMEC Jan, 131
NING Ying, 24
O
OKUHARA Hiroshi, 96
OSHIMA Nagisa, 34
P
PELLICCIONI Sergio, 61
PETIT Chris, 199-206
R
REITZ Edgar, 133
ROUSSELOT Jean, 20
S
SAKAMOTO Junji, 98
SAKAMOTO Rei, 120
SANTINI Mauro, 76
SARACENI Paulo César, 135
SATO Yoshinao, 115
SCHERFIG Lone, 21
SERIZAWA Yoichiro, 116
SHIMIZU Hiroshi, 100
SHINOZAKI Makoto, 56
SHIRAKAWA Koji, 117
SKOLIMOWSKI Jerzy, 137
SPADONI Carola, 77-78
STASENKO Svetlana, 79
STRAUB Jean-Marie, 36, 139
SUWA Nobuhiro, 104
SZABO Kristiina, 80
T
TAJIRI Yuji, 121
TANOVIC Danis, 22
TESHIGAHARA Hiroshi, 141
W
WADA Yunko, 118
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