XXXVII M O S T R A INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA PESARO FILM FESTIVAL XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA CATALOGO DELLA XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA A cura di Alessandro Borri Traduzioni in inglese di Natasha Senjanovic AVVERTENZA Gli artisti giapponesi citati compaiono con il cognome anteposto al nome, secondo l’uso della lingua giapponese. Le abbreviazioni usate significano: doc. (documentario); cm (cortometraggio); mm (mediometraggio); col. (colore); b/n (bianco&nero). Redazione a cura di Pier Maria Allolio, Piero Perucca e Barbara Zileri © 2001 Lindau s.r.l. Via Bernardino Galliari 15 bis - 10125 Torino tel. 011/669.39.10 fax 011/669.39.29 http//www.lindau.it e-mail: [email protected] Prima edizione ISBN 88-7180-371-X Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA Pesaro, 22 - 30 giugno 2001 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO REGIONE MARCHE PROVINCIA DI PESARO E URBINO COMUNE DI PESARO COMMISSIONE EUROPEA XXXVII MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA Comitato Scientifico Bruno Torri, Presidente Adriano Aprà Pierpaolo Loffreda Lino Miccichè Angela Prudenzi Giovanni Spagnoletti Vito Zagarrio Direzione Giovanni Spagnoletti FONDAZIONE PESARO NUOVO CINEMA Onlus Organizzazione generale Pedro Armocida Soci fondatori Comune di Pesaro Oriano Giovanelli, Sindaco Assistente alla programmazione Francesca Leonardi Provincia di Pesaro e Urbino Palmiro Ucchielli, Presidente Amministrazione Provinciale Ufficio Documentazione e Catalogo Alessandro Borri Consiglio di Amministrazione Oriano Giovanelli, Presidente Luca Bartolucci, Gianaldo Collina, Alessandro Fattori, Simonetta Marfoglia, Franco Marini, Ornella Pucci, Paolo Sorcinelli, Aldo Tenedini Segreteria Maria Grazia Chimenz Segretario generale Massimo Barilari Accrediti e ospitalità Alessandra Scotti Amministrazione Lorella Megani Responsabile Ufficio stampa Mimmo Morabito Coordinamento Viviana Zampa Collaborazione alla sezione “Il cinema giapponese oggi” Okubo Ken, Roberta Novielli, Olaf Möller Rapporti con le scuole Beatrice Terenzi Selezione “Nuove Proposte Video” Andrea Di Mario Movimento copie Fabiola Pagnanelli Coordinamento conferenze stampa e concorso video Pierpaolo Loffreda Giuria concorso video“L’attimo fuggente” Giuliana Gamba, Presidente Fiorangelo Pucci, Alberto Pancrazi, Enzo Polverigiani, Franco Bertini Traduzioni dall’inglese: Efenesia Baffa, Luca Briasco dal tedesco: Matteo Masini per lo Studio di Traduzione, Roma Altre traduzioni dall’inglese: Sandra Grieco dal tedesco: Massimo Leardini, Daniele Battaglia dal francese: Massimo Thomas, Laura Palandrani Sito Internet Claudio Gnessi Realizzazione immagini su Internet Stefano De Felici, Silvia Lazzarini Stagisti Corinna Larcher, Elisabetta Marino, Ribes Sappa Progetto grafico Studio Ring, Pesaro Coordinamento proiezioni Gilberto Moretti Traduzioni simultanee Anna Ribotta, Simonetta Santoro, Marina Spagnuolo, Gigliola Viglietti Consulenza assicurativa I.I.M. di Fabrizio Volpe, Roma Trasporti Stelci e Tavani, Roma Ospitalità A.P.A., Pesaro Sottotitoli elettronici Diva s.a.s., Roma Allestimento “Cinema in piazza” L’image s.r.l., Padova Impianti tecnici Olivud, Roma Pubblicità Dario Mezzolani Viaggi Viaggi Ratti by Holiday s.r.l., Roma Si ringraziano: Andrea Cassini Maria Coletti Lia Colucci Laura Palandrani Roberto Pisoni Elena Vecchia Si ringraziano particolarmente: The Japan Foundation Istituto Giapponese di Cultura (Yoshie Mitamura, Isabella Lapalorcia) Aihara Hiromi Ambasciata italiana in Giappone (Gustavo Cutolo) Cahiers du cinéma (Franck Nouchi, Charles Tesson) Antoine De Baecque Roland Domenig Simona Fina Jennifer Franchina Freunde der Deutschen Kinemathek (Ulrich e Erika Gregor) Malgorzata Furdal Aaron Gerow Hayashi Kanako Alexander Horwath Image Forum (Tomiyama Katsue, Hiroyuki Ikeda) Kawakita Memorial Film Institute (Okada Masayo, Sakano Yuka) Gabriella Lucantonio Francesco Martinotti (“Semaine de la critique” a Roma) Jonas Mekas PIA Film Festival (Keiko Araki, Koike Akira) Georgette Ranucci (Cannes a Roma) Rainer Rothe Mark Schilling Sogetsu Art Museum Teshigahara Public Relation Office Prof. Yokokawa Shinken Produzioni e distribuzioni Bonner Kinemathek Celluloid Dreams (Pascale Ramonda) Cinema Shimokitazawa Cinémathèque de Toulose Cineteca di Bologna (Gianluca Farinelli) Contemporary Films (Eric Liknaitzky) Danske Filminstitut (Pernille Munk) Eagle Pictures (Alessandra Izzo) Edgar Reitz Filmproduktion (Robert Busch) Fabrica (Marco Müller) Film Polsky Les Films d’Ici Les Films du Losange (Lise Zipci) Fortissimo Film Sales (Marnix van Wijk) Groove Corporation Istituto Luce (Giovanni Tamberi, Patrizia De Cesari) Lantia Cinema & Audiovisivi Léo et Compagnie Lucky Red (Andrea Occhipinti, Georgette Ranucci) Media Luna (Ida Martins) Mirovision (Erica Nam) Nippon Moso Kyokai Office Kitano Oshima Production Paulo Films Pierre Grise Productions Sharada Film (Sandro Cecca, Andrea De Liberato) Shochiku Co. (Ikeshima Akira) Slow Learner Stance Company Surf Film (Elena Francot, Massimo Vigliar) Svenska Film Institutet (Gunnar Almer) Tele + (Fabrizio Grosoli, Barbara Ferrieri) Tvor Zero-Film Per la “Personale Romuald Karmakar” in collaborazione con il “Deutsches Filmmuseum” di Frankfurt am Main Hans Peter Reichmann, Thomas Worschech (Deutsches Filmmuseum) Bavaria Film (Stefanie Zeitler) Pantera Film Telepool (Wolfram Skowronnek) ZDF (Doris Hepp) Per “I video di Chris Petit” Illumination Films (Pinky Ghundale, Keith Griffiths) BBC IFFR MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA Via Villafranca, 20 - 00185 Roma tel. (+39) 06 491156 / (+39) 06 4456643 fax (+39) 06 491163 www.pesarofilmfest.it e-mail: [email protected] [email protected] IL PROGRAMMA MEDIA II DELLA COMMISSIONE EUROPEA A SOSTEGNO DEI FESTIVAL CINEMATOGRAFICI THE MEDIA II PROGRAMME OF THE EUROPEAN COMMISSION SUPPORTED AUDIOVISUAL FESTIVALS I festival cinematografici hanno in Europa un ruolo culturale, Film festivals have a very important cultural, social and educative sociale ed educativo particolarmente importante. Contribuiscono role to play in Europe. They contribute to the creation of a large direttamente o indirettamente alla creazione di un gran numero number of direct and indirect jobs and provide a much needed pro- di posti di lavoro nonché di un’utilissima rete di promozione e motion and distribution network which enhances the production of distribuzione che rafforza la produzione dell’industria audiovisi- the European audiovisual industry. New talented creators are thus va europea. Nuovi artisti di talento hanno così la possibilità di far given the opportunity to show their works and young audiences conoscere le loro opere e il pubblico più giovane può venire a may get better acquainted with European cinematography. contatto con la cinematografia europea. The MEDIA II Programme of the European Commission gives its Il programma Media II della Commissione Europea finanzia i support to festivals with a view to improve the conditions of pro- festival con l’intento di migliorare le condizioni di promozione e motion and distribution of European audiovisual works and the distribuzione dei prodotti cinematografici europei e di favorire access of independent producers and distributors to the European l’accessibilità di produttori e distributori indipendenti al mercato and international market. europeo e internazionale. This action aims to reinforce the link between European public at Questo progetto mira a rafforzare il legame fra il vasto pubblico large and films produced in Europe. About sixty festivals across europeo e i film prodotti in Europa. Attualmente vengono finan- Europe, in the Member States as well as in the third countries ziati circa cinquanta festival cinematografici in tutta Europa, participating in the MEDIA II Programme, are granted financial negli Stati Membri così come nei paesi terzi che partecipano al support. Every year, thanks to the activities of these festivals and programma MEDIA II. Ogni anno, grazie alle attività di questi to the support of the European Commission, about 10,000 audio- festival e al finanziamento della Commissione Europea, vengono visual works displaying the rich diversity of European cine- presentate circa 10.000 produzioni cinematografiche a una platea matographies, are presented to a public of about two million spec- di circa due milioni di spettatori, testimoniando la varietà e la ric- tators. chezza del cinema europeo. Moreover, the Commission actively supports the networking of La Commissione Europea sostiene inoltre la costruzione di reti o film festivals on an European scale. Within this framework, the strutture dei festival cinematografici su scala europea. In questo activities of the European Coordination of Film Festivals will help contesto, le attività del Coordinamento Europeo dei Festival strengthen the cooperation between festivals and the development Cinematografici contribuiranno alla cooperazione fra i festival e of joint projects which will reinforce the positive impact of these allo sviluppo di progetti comuni sul cinema europeo. events on European cinema. Programma MEDIA II, partner della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, 37ª edizione, 2001 The MEDIA II Programme, partner of the 37th Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, 2001 Commissione Europea Programma MEDIA II - festival audiovisivi European Commission MEDIA II Programme – audiovisual festivals EAC – T120 1/74 B-1049 Brussels Tel. +32 2 295 95 30 Fax. + 32 2 299 92 14 EAC – T120 1/74 B-1049 Brussels Tel. +32 2 295 95 30 Fax. + 32 2 299 92 14 INDICE 9 Pesaro 2001 Introduzione al programma Pesaro 2001 An introduction to the programme di Giovanni Spagnoletti 11 Nuove proposte 27 Eventi speciali 39 60 + o – 51 Proposte video 81 Il cinema giapponese oggi 123 Il nuovo cinema degli anni ’60 (cinquantenario dei «Cahiers du Cinéma») 143 Personale Romuald Karmakar 181 I video di Chris Petit 207 Indici PESARO 2001 PESARO 2001 Introduzione al programma An introduction to the programme di Giovanni Spagnoletti by Giovanni Spagnoletti N I ella continua ricerca pionieristica del “nuovo” che caratterizza il DNA del Festival di Pesaro, quest’anno abbiamo pensato di dedicare il “piatto forte” del programma non tanto a un problema, come abbiamo fatto l’anno scorso con il cinema europeo del métissage, quanto invece di tornare a esplorare in profondità una cinematografia nazionale. Nessuno potrebbe ragionevolmente disconoscere la grandissima importanza storica del cinema giapponese nel contesto internazionale, ma è altresì vero che negli anni ’90 – per altro dominati dall’emergere del cinema dell’Estremo Oriente – la variegata produzione del Sol Levante è stata a lungo dimenticata, come mai in passato. Censurato inesorabilmente dal mercato europeo (e da quello italiano in particolare), il Nuovo Cinema Giapponese (NCG) – malgrado gli isolati sforzi di alcuni studiosi e istituzioni – è stata conosciuto solo quasi unicamente attraverso alcuni Festival stranieri “di tendenza” (Rotterdam, il “Forum” di Berlino, Locarno o la Viennale) che gli dedicavano ampio spazio come a un ospite importante e gradito. Contemporaneamente sorgeva l’astro internazionale di KITANO Takeshi e in parte quello di TSUKAMOTO Shinya – gli unici cineasti o quasi a cui in Italia era consentita una visione pubblica fuori dai chiusi circuiti degli “addetti ai lavori”. Sembra però che questa situazione, per fortuna, stia rapidamente cambiando, grazie all’attenzione internazionale (e i riconoscimenti) che il cinema giapponese ha di recente conosciuto a livello europeo (cfr. le ultime due edizioni del Festival di Cannes o lo status di “regista di culto” che KUROSAWA Kiyoshi, ad esempio, ha acquisito in Francia). Ripetendo così un lontano esperimento già compiuto a Pesaro nel 1984, quella che proponiamo, dunque, è la prima retrospettiva in Italia che intenda mostrare, in tutta la sua dinamicità e poliedrica ricchezza, la più recente e innovativa produzione di qualità del NCG a partire dalla seconda metà degli anni ’90. È una produzione che vuole mettere a fuoco nuovi problemi come ad esempio quello della propria identità e del rapporto dei giapponesi con il mondo (o con la propria cultura interna, quella dell’isola di Ryukyu/Okinawa) e che sembra caratterizzarsi (ancora una volta?) per uno stretto intreccio tra tradizione e innovazione, tra generi (yakuza, gendaigeki, porno ecc.) e autorialità. Su tutto si è costruita, in parte, la renaissance cinematografica giapponese della quale si discuterà in una apposita tavola rotonda con autori e critici. Il compleanno dei “Cahiers du Cinéma”, che quest’anno festeggiano il loro mezzo secolo di vita, ci ha invece fornito lo spunto per riandare alle ragioni e ai temi che n the continuous pioneering search for the “new” that characterises the DNA of the Pesaro Festival, this year we considered dedicating the “main course” of the programme not so much to a problem, as we did last year with European métissage cinema, but to going back to exploring a national cinema in depth. Although no one can honestly dispute Japanese cinema’s great historical importance in the international context, it is also true that in the 1990s – a decade, moreover, dominated by the emergence of Far East films – numerous diverse films from the “Rising Sun” were overlooked like never before. Inexorably shut out of the European market (and the Italian market in particular), New Japanese Cinema (NJC) – despite the isolated efforts of a few scholars and academics – was given recognition almost entirely only at festivals with foreign “tendencies” (Rotterdam, the Berlin Forum, Locarno or the Viennale) which gave it the space worthy of an important and appreciated guest. At the same time, international rising stars KITANO Takeshi and, to a lesser degree, TSUKAMOTO Shinya were essentially the only filmmakers to be granted a public release outside the closed circuits of the “industry insiders”. Fortunately, however, it would seem that this situation is changing rapidly, thanks to the international attention (and acclaim) that Japanese cinema has recently received on the European level (one has only to think of the last two editions of the Cannes Festival, or the “cult director” status that KUROSAWA Kiyoshi has achieved in France). Thus, repeating an old experiment conducted at Pesaro in 1984, what we propose is the first retrospective in Italy that presents the most recent and innovative quality films of the NJC, from the second half of the 1990s, in all their dynamism and multifarious depth. They are films that want to focus on new problems, such as selfidentity and the relationship between the Japanese and the world (or their own internal culture, that of Ryukyu/Okinawa island) and that seem to be characterised (once again?) by a tightly woven blend of tradition and innovation, of genres (yakuza, gendai-geki, porn etc.) and auteur-ship. The renaissance of Japanese cinema that has been built on these elements will be discussed in a relevant round table with filmmakers and critics. On the other hand, the birthday of “Cahiers du Cinéma”, which is celebrating a half-century of life, inspired us to return to the reasons and themes that mark the origins of the Pesaro Festival. Thus, as a non-academic homage to the French magazine, we wanted to commemorate that great season of “New Cinema” during its moment of glory in the 1960s with a “free” selection of films that by no means claims to be exhaustive. This occasion to re-visit the hanno ispirato la nascita del Festival di Pesaro. Così, come un non accademico omaggio alla rivista francese, abbiamo pensato di ricordare con una serie di film – una selezione “libera” e senza la minima pretesa di esaustività – la grande stagione del “Nuovo Cinema” nel suo momento clou degli anni ’60. Quest’occasione e la rivisitazione di alcuni film (purtroppo troppo pochi!) e/o autori fondamentali di quella straordinaria stagione cinematografica, potrà servire da base per riflettere cosa significa oggi “Nuovo Cinema” – un tema a cui dedicheremo un apposito incontro con alcuni cineasti e con i critici dei CdC. A essa idealmente si legano alcune “proiezioni speciali” dedicate a registi che di quella stagione sono stati protagonisti come Jean-Luc Godard, Jonas Mekas, Jean-Marie Straub/Danièle Huillet, a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della perdurante vitalità delle esperienze “vague”. Con la retrospettiva completa di una delle più brillanti leve dell’ultimo cinema tedesco, Romuald Karmakar, quello che Alexander Kluge considera probabilmente il suo migliore discepolo e continuatore, nonché un’ampia selezione della produzione in video dell’inglese Chris Petit (che da tempo ha privilegiato questa forma espressiva), Pesaro continua la sua proposta di autori fuori dagli schemi dell’industria mainstream. Il primo è un filosofo-analista della violenza moderna in tutte le sue figurazioni e protagonisti (o vittime) – padroni di pit bull, soldati di ventura, un serial killer alla sbarra o i passeggeri di un aereo bloccato a terra così sono analizzati dal regista franco-tedesco con un occhio attento quanto impietoso tra fiction e documento, tra esperimento e esibizione di stile. Il secondo, invece – complice lo scrittore di fantascienza Iain Sinclair, spesso suo collaboratore – ha esaltato il suo precedente talento visionario mettendo a punto nel video, come è stato scritto, “un registro espressivo ibrido, di mistificazione/esplorazione del reale, una specie di mockumentary drammatico che ha poche pietre di paragone nel panorama del film-making attuale”. Due parole, infine, sulle due sezioni riguardanti le proposte non retrospettive dove abbiamo concentrato – a parte la selezione giapponese – la nostra ricerca rabdomantica del Nuovo: in “60 + o –” abbiamo accorpato, come l’anno scorso, una serie di piccole ma significative opere di fiction, di non-fiction e di docu-fiction della corrente produzione internazionale mentre – confortati dall’eccezionale risposta di pubblico dell’anno scorso – abbiamo proseguito in piazza l’uscita all’aperto del Festival. Le proiezioni Open Air di quest’anno oltre a rimandare con opere più spettacolari ad alcune sezioni del Festival – in onore dell’e vento speciale consacrato all’opera completa di Mario Monicelli – presentano in maggioranza delle commedie da alcuni angoli del mondo dove tradizionalmente non sembrerebbero avere una grande tradizione. Ma noi vogliamo dimostrare il contrario. Vedere per credere… various films (unfortunately, too few!) and/or filmmakers that were fundamental to that extraordinary period in cinema will serve as the foundation for reflecting on what “New Cinema” means today. This is a theme to which we will dedicate an opportune meeting with various filmmakers and with the “Cahiers” critics. Combined with this meeting are special screenings dedicated to the directors who were the leading figures of that period – such as JeanLuc Godard, Jonas Mekas, Jean-Marie Straub/Danièle Huillet – which will demonstrate, as if there were still need to do so, the enduring vitality of the “Nouvelle Vague” experience. Pesaro continues to present filmmakers outside the commercial mainstream with a complete retrospective of one of the brightest figures of contemporary German cinema, Romuald Karmakar, considered by Alexander Kluge as possibly his best disciple and “descendant”, as well as a wide selection of video productions by English artist Chris Petit (who has favoured this expressive medium for some time). The former is a philosopher-analyst of modern violence in all of its manifestations and instigators (or victims). Pit bull owners, soldiers of fortune, an imprisoned serial killer, passengers of an aeroplane stalled on the ground, are thus analysed by the Franco-German director with an eye as alert as it is unrelenting towards what lies between fiction and document, experiment and exhibition of style. Petit – a frequent collaborator of and accomplice to science fiction writer Iain Sinclair – has risen above his previous visionary talents to hone in his videos, as has been written, a “hybrid expressive voice of mystification/exploration of the real, a kind of dramatic mockumentary that has few elements to which it can be compared in contemporary filmmaking”. Finally, a few words about the non-retrospective sections in which we have focused – apart from the Japanese selection – our divining search for the New. In “60’ + or –” we brought together, as we did last year, a series of small but important contemporary international works of fiction, non-fiction and docu-fiction. And, encouraged by the public’s exceptional response last year, we are continuing the screenings in the square. In honour of the complete works of Mario Monicelli, the open air screenings this year – besides being the most spectacular from among the festival selections – are mostly comedies from corners of the world where there is traditionally no tradition of producing comedies. But we want to prove the contrary. See it to believe it… NUOVE PROPOSTE UNA NOCHE CON SABRINA LOVE (t.l. Una notte con Sabrina Love) Un piccolo spaccato di vita nella moderna Argentina, una storia universale: gli incontri di un ragazzo con i vari aspetti della vita e dell’amore, del sesso e della morte. Il diciassettenne Daniel vince un concorso che gli dà la possibilità di passare una notte col suo idolo, la pornostar Sabrina Love. Quindi parte per Buenos Aires, dove si piazza nell’appartamento del fratello in attesa di fissare un appuntamento con Sabrina. Una specie di road movie, dalla campagna alla città e ritorno. Il viaggio di Daniel, con le sue tappe formative, è ritratto con calore e sincerità BIOGRAFIA Alejandro Agresti è nato a Buenos Aires nel 1961. sceneggiatura/screenplay: Alejandro Agresti fotografia/photography (35mm, col.): Arnaldo Catinari montaggio/editing: Stefan Kamp musica/music: Paul van Brugge interpreti/cast: Tomás Fonzi, Cecilia Roth, Norma Aleandro, Fabián Vena, Julieta Cardinali, Giancarlo Giannini, Luis Margani, Mario Paolucci produzione/production: DMVB Films, Patagonik Film Group distribuzione/distributed by: Eagle Pictures durata/running time: 100’ origine/country: Argentina/Francia 2000 NUOVE PROPOSTE ALEJANDRO AGRESTI This is a little snapshot of life in modern Argentina, telling a universal story: a young man encounters with the various faces of life, love, sex and death. Daniel, 17, wins a letter writing contest and gets to spend one night with his idol, porn star Sabrina Love. For this occasion he travels to Buenos Aires, where he stays at his brother’s apartment until he settles a date with Sabrina. This is somewhat of a road movie, moving from the Argentine countryside to the city and back. Daniel takes some important steps during this trip, which is portrayed vith warmth and sincerity. BIOGRAPHY Alejandro Agresti was born in Buenos Aires (1961). FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY El hombre que ganó la razón (1986), El amor es una mujer gorda (1988), Boda secreta (1988), Luba (1990), City Life (1990), Figaro Stories (1991), Everybody Wants to Help Ernest (1991), Modern Crimes (1992), A Lonely Race (1992), Just Friends (1992), El acto en cuestión (1993), Buenos Aires Vice Versa (1996), La cruz (1998), El viento se llevó lo qué (1998), Una noche con Sabrina Love (2000) 13 NUOVE PROPOSTE RENNY BARTLETT EISENSTEIN La storia di un uomo il cui genio era troppo grande per essere controllato da qualsiasi tiranno, Stalin compreso. L’ascesa, caduta e fatale redenzione del regista rivoluzionario russo Sergej M. Ejzen>tejn è un’epica e toccante storia di humour beffardo e immagini visionarie. Eisentein va al di là della biografia per diventare una favola moderna sullo scontro tra Arte e Potere. Il film è interamente girato nei luoghi originali, tra Russia, Ucraina e Messico. The story of a man whose genius was too great to be controlled by any tyrant, even Stalin. The rise, fall and fatal redemption of Russian revolutionary filmmaker Sergei M. Eisenstein is an epic and moving story of wry humour and visionary images. Eisenstein goes beyond biography to become a modern fable about the struggle between Art and Power. The film is shot entirely on original locations in Russia, Ukraine and Mexico. sceneggiatura/screenplay: Renny Bartlett fotografia/photography (35mm, col.): Alexej Rodionow montaggio/editing: Wiebke von Carosfeld musica/music: Alexander Balanescu suono/sound: Claude La Haye scenografia/art direction: Susanne Dieringer costumi/costumes: Tatyana Poddubnaya interpreti/cast: Simon McBurney, Raymond Coulthard, Jaqueline McKenzie, Jonathan Hyde, Barnaby Kay, Leni Parker, Sonia Walger, Andrea Manson, Tim McMullan, Ian Bartholomew, Rolf Saxon, Louis Hammond, Bernard Hill produzione/production: Vif Filmproduktion, Eisenstein Production Inc. distribuzione/distributed by: Fortissimo Film Sales (Cruquiusweg 40, 1019 AT Amsterdam; tel.: (31-20) 6273215; fax.: (31-20) 6261155; e-mail: [email protected]) durata/running time: 96’ origine/country: Canada/Germania 2000 Dopo essere stato un visitatore abituale degli studi cinematografici sovietici sin dal 1981, lo scrittore e regista Renny Bartlett si è ritrovato imbevuto nel folklore che circonda Sergej M. Ejzen>tejn. Una marea infinita di storie apocrife e battute attribuite al fantasma del regista che ancora infesta l’industria cinematografica sovietica, da Leningrado al Kazakistan. Ma è stato solo dopo aver contribuito a Orlando che Bartlett ha preso la decisione di realizzare Eisenstein... È stato per via di una storia che gli aveva raccontato Naum Kleiman, il curatore dell’Ejzen>tejn Museum che sarebbe in seguito divenuto il principale consulente storico di Ejzen>tejn. Naum raccontò a Renny della fatidica sera del 1946 in cui Stalin vide Ivan il Terribile (parte seconda) mentre Ejzen>tejn festeggiava a un ballo in onore dei vincitori del Premio Stalin (che aveva ricevuto per la prima parte). Mentre Stalin andava su tutte le furie, Sergej ballò fino a farsi letteralmente scoppiare il cuore – l’infarto che alla fine lo uccise. Armato di un finale straordinario, Renny partì per un’odissea durata otto anni, per realizzare un film ispirato alla vita di Ejzen>tejn. Renny Bartlett si ritrovò a viaggiare dal Messico all’Asia centrale, attraverso l’Europa e la 14 Having been a regular visitor to Soviet film studios since 1981, wtriter-director Renny Bartlett was steeped in the lore of Sergei M. Eisenstein. An unending flood of apocryphal stories and jokes attested to Eisenstein’s ghost still haunting the Soviet film industry from Leningrad to Kazakhstan. But it wasn’t until Bartlett had helped make Orlando that he decided to make Eisnstein... It was because of a story told to him by Naum Kleiman, the curator of the Eisenstein Museum and later to become the senior historical advisor of Eisenstein. Naum told Renny of the fateful night in 1946 that Stalin watched Ivan the Terrible (part two) while Eisenstein celebrated at a ball held for the winners of the Stalin Prize (which he received for part one). While Stalin raged, Sergei danced until his heart literally exploded – the heart attack that would eventually kill him. Armed with an extraordinary finale, Renny started on an eight-year odissey to make a film inspired by the life of Sergei M. Eisenstein. Renny Bartlett was to travel from Mexico to Central Asia, across Europe and the old Soviet Union reading, viewing and unearthing first, second and tenth hand accounts. What emerged was a mass of contradictions – a man hated by some as Stalin’s stooge, revered by others as a maverick genius. (Productions notes) BIOGRAPHY Renny Bartlett (Ottawa, 1955) was first a sculptor before enrolling at the St. Martin’s School of Art in London. He made various experimental short films and television programmes before directing Eisenstein, his feature film debut. BIOGRAFIA Renny Bartlett (Ottawa, 1955) è stato scultore prima di iscriversi alla St. Martin’s School of Art di Londra. Ha realizzato vari cortometraggi sperimentali e programmi televisivi prima del suo debutto nel lungometraggio con Eisenstein. NUOVE PROPOSTE vecchia Unione Sovietica, leggendo, vedendo e dissotterrando testimonianze di prima, seconda e decima mano. È emersa una mole enorme di contraddizioni – un uomo odiato da alcuni, come dagli scagnozzi di Stalin, e venerato da altri come un genio indipendente. (Note di produzione) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Between Heaven and Earth (1981, cm), Dula (1984, cm), The Cold War Game (1988, 2 mm), Moving Stills (1989, 10 cm), Arktikos (1991, mm), Eisenstein (2000) 15 NUOVE PROPOSTE JOSEF FARES JALLA! JALLA! Mans e Roro hanno venti anni e sono amici per la pelle. Entrambi lavorano al dipartimento forestale. Roro è di origini arabe e, all’insaputa dei genitori, ha una ragazza svedese. È parecchio tempo che vorrebbe presentarla ai suoi, ma non si decide. Proprio quando è pronto per questo passo, la famiglia ha combinato il suo matrimonio: vogliono che sposi una ragazza di origini libanesi, che è a sua volta contraria. Ciò nonostante, fanno un patto, perché lei corre il pericolo di essere rimandata in Libano. sceneggiatura/screenplay: Josef Fares fotografia/photography (35mm, col.): Aril Wretblad montaggio/editing: Michal Leszczylowki, Andreas Johnson scenografia/art direction: Hanna Ostrowski interpreti/cast: Fares Fares, Torkel Peterson, Tuva Novotny, Laleh Pourkarim, Sofi Ahlström-Helleday, Leonard Terfelt produzione/production: Memefis Film Ab distribuzione/distributed by: Trust Film Sales durata/running time: 87’ origine/country: Svezia 2000 Jalla! Jalla! è il film di debutto di uno dei nuovi talenti del cinema svedese, Josef Fares, che ha solo 23 anni. Ha realizzato un’incantevole commedia in cui amore, sesso e differenze culturali interpretano i ruoli principali e con la quale vuole far felice il pubblico. Jalla! Jalla!, che in arabo significa qualcosa come “Sbrigati!” o “Forza!”, è caratterizzato da un ritmo giovanile. Gli “inseguimenti” sono messi in scena con visibile piacere e il delizioso cast (che include il padre e il fratello del regista) si adatta senza sforzo all’approccio leggero al tema dell’amore in tempi di integrazione. BIOGRAFIA Josef Fares (1977) si spostò nel 1987 dal Libano a Stoccolma con la sua famiglia. Ha iniziato a girare film in video a 15 anni, realizzandone più di 50. All’età di 21 anni è diventato il più giovane studente di sempre ammesso alla Dramatiske Institutet Film School di Stoccolma, dove ancora studia. Jalla! Jalla! is the debut film by one of the new talents of swedish film, Josef Fares, who is only 23. He has made a charming comedy in which love, sex and cultural differences play leading roles and with which he wants to make his audience happy, as he puts it. Jalla! Jalla!, that in Arab means something like “Hurry up” or “Come on”, is characterised by its youthful pace. The “chases” have been set with visible pleasure and the charming cast (including the director’s brother and father) fits in seamlessly with the light-hearted approach to the subject: love in times of integration. BIOGRAPHY Josef Fares (1977) moved with his family from Lebanon to Stockholm in 1987. At the age of 15, he became the youngest student ever at the Dramatiske Institutet Film School, were he is still studying. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Jalla! Jalla! (2000) 16 Mans and Roro are in their twenties and best friends. They both work for the parks department. Roro is of Arab origin and, without his parents knowing, has a Swedish girlfriend. He has been planning to introduce her to his family for a long time, but doesn’t get round to it. Just when he is ready to, the family has arranged a marriage for him. They want him to marry a Lebanese-Swedish girl, who doesn’t want to marry him either. Yet they make a pact, because otherwise she is in danger of being sent back to Lebanon. THERE IS NO CITY THAT DOES NOT DREAM (t.l. Non c’è città che non sogni) L’infinita trasformazione del suolo di una città. La memoria geologica e la memoria umana che si integrano: “Dinosaurs sleep in the subway / at Bloor and Shaw, a bed of bones / under the rumbling track”. La topografia immaginaria di Toronto tradotta in immagini dai versi di Anne Michaels letti dalla stessa poeta. BIOGRAFIA Lara Fitzgerald è nata ad Arnhem, in Olanda. Si è laureata in Lingua francese e Geografia all’università di Kingston. Attualmente lavora a un lungometraggio, Once Upon a Time in the East, incentrato sulla figura di un ragazzo affascinato dalle imprese di Yuri Gagarin. NUOVE PROPOSTE LARA FITZGERALD The infinite transformations of the ground in a city. Geological memory and human memory are integrated: “Dinosaurs sleep in the subway/at Bloor and Shaw, a bed of bones/under the rumbling track”. Toronto’s imaginary topography is translated into images from the verses of Anne Michaels, which are read by the poet herself sceneggiatura/screenplay: testo della poesia omonima di Anne Michaels fotografia/photography: Patrick McGowan montaggio/editing: Tai Zimmer suono/sound: Steve Munro interpreti/cast: Saeed Shahni, Shannon Williams voce/voice: Anne Michaels produzione/production: Caroline Klein durata/running time: 3’ 41” origine/country: Canada 2000 BIOGRAPHY Lara Fitzgerald was born in Arnhem, Holland. She graduated in French and Geography at the University of Kingston. She is currently working on her first feature film, Once Upon a Time in the East, which revolves around a boy fascinated by Yuri Gagarin’s feats. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY L’interesse prevalente di Lara Fitzgerald è il rapporto tra letteratura e film. The Lady of Shalott (1995) da Tennyson, Mémoire Moire des souvenirs - Remembering Memory (1997), ritratto lirico della scrittrice Hélène Cixous basato sugli scritti autobiografici e premiato quale miglior documentario canadese per l’anno 1998 all’Hot Docs Film Festival. Sempre in ambito documentaristico la Fitzgerald ha realizzato nel 1998 per il National Film Board of Canada Traces d’une histoire oubliée - Fragments of Lost History, sugli insediamenti di caccia dei pellicciai francesi Revillon agli inizi del ’900. 17 NUOVE PROPOSTE BONG JOON-HO FLANDERS EU GAE BARKING DOGS NEVER BITE (t.l. Can che abbaia non morde) I cani che abbaiano non Barking dog’s don’t bite, but mordono, ma irritano enorthey severely irritate the memente il giovane lettore young university lecturer universitario Yoon-su. Yoon-su. He spends a lot of Questi trascorre molto time in his apartment, in a tempo nel suo appartamenquiet high-rise district, that he to, in un tranquillo quartiere shares with his pregnant wife. di edifici altissimi, in cui He has plenty of time to allow vive con la moglie incinta. the background noise to annoy Yoon-su ha tutto il tempo him. When Yoon-su sees an old che gli serve perché il rumolady taking a dog for a walk, he re di sottofondo possa daris sure that this is the animal gli fastidio. Quando vede that annoys him so. He manuna vecchia signora che esce ages to kidnap the beast and per portare a passeggio il locks it in the cellar of the cane, è sicuro che è quello apartment building. Some way sceneggiatura/screenplay: Bong Joon-ho, Tae-woong Derek l’animale che gli dà tanta off lives Hyun-nam, who Son, Song Ji-ho noia. Riesce a rapire la works as secretary at the local fotografia/photography (35mm, col.): Cho Yong-gyu bestia e la rinchiude nello housing association. Hyunmontaggio/editing: Lee Eun-soo scantinato del palazzo. A Nam is bored stiff. Nothing musica/music: Cho Sung-woo poca distanza abita Hyunhappens in her life. When she suono/sound: Lee Sung-chul nam, che lavora come segresees a little girl in the area putscenografia/art direction: Lee Hang taria della cooperativa ediliting up a poster about her costumi/costumes: Choi Yun-jung zia della zona. Hyun-nam è missing dog, she decides to interpreti/cast: Lee Sung-jae, Bae Doo-na in preda a una noia mortale: help. She is sticking up posters produzione/production: Uno Films Production distribuzione/distributed by: Mirovision Inc. - 7F, Garden nella sua vita non accade everywhere, but more and Yesikjang Building, 45-18 Youido-dong, Yongdungpo-Gu, nulla. Quando vede una more dogs disappear in the folSeoul. Tel.: (82-2) 7371185; fax.: (82-2) 7371184) ragazzina appendere nel lowing days. One day through durata/running time: 106’ quartiere un manifesto sul her binoculars Yoon-su sees a origine/country: Corea del Sud 2000 suo cane scomparso, decide man throw a dog from a block di aiutarla: attacca manifesti of flats across the road. ovunque, ma nei giorni seguenti spariscono sempre più cani. Un giorno vede col cannocchiale un uomo trasci“The idea for the film came from a childhood memory. I nare via un cane da alcuni appartamenti dall’altra parte remember seeing an old man living with a working couple, and della strada. I imagined what would happen if he caught all the neighborhood dogs and ate them, as is done in rural areas. With “L’idea del film viene da un ricordo d’infanzia. Mi Barking Dogs Never Bite, I wanted to take ordinary daily ricordo di un vecchio che viveva con una coppia che scenes and make an intriguing and interesting film. I didn’t lavorava, e immaginavo che cosa sarebbe successo se want to dig up troubles and sorrows to show cruelty in my avesse preso e mangiato tutti i cani del vicinato, come film; rather, I wanted to describe everyday life in a warm and si fa nelle zone rurali. Con Barking Dogs Never Bite engaging manner, to make a ‘recreational’ film, using the trivvolevo prendere scene di ordinaria quotidianità e reaia of daily life. (Bong Joon-ho) lizzare un film intrigante e interessante. Non volevo portare alla luce problemi e dolori per esporli crudelBIOGRAPHY mente. Piuttosto volevo descrivere la vita quotidiana in Bong Joon-ho (1969) studied at the Korean Academy of Film modo caldo e attraente, fare un film ‘ricreativo’ usando Arts, where he made the short pieces White Man (1993) and la banalità del quotidiano.” (Bong Joon-ho) Frame in My Memory (1994). His graduation film, Incoherent (1995), was a cult success. In 1998 he wrote the 18 NUOVE PROPOSTE BIOGRAFIA Bong Joon-ho (1969) ha studiato alla Korean Academy of Film Arts, dove ha realizzato i corti White Man (1993) e Frame in My Memory (1994). Il suo film di diploma, Incoherent (1995), è stato un successo di culto. Nel 1998 ha scritto la sceneggiatura di Phantom, The Submarine, clamoroso successo in Corea, prima del suo debutto con Barking Dogs Never Bite. script for Phantom, The Submarine, an enormous hit in Korea, before making his feature début with Barking Dogs Never Bite. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY White Man (1993, cm), Frame in My Memory (1994, cm), Incoherent (1995, cm), Barking Dogs Never Bite (2000) 19 NUOVE PROPOSTE JEAN ROUSSELOT TRIBUTE TO ALFRED LEPETIT (t.l. Tributo a Alfred Lepetit) Chi è Alfred Lepetit? Sconosciuto ai più, ma glorificato dall’intera industria cinematografica, Alfred sta per ricevere un premio alla carriera… Ritratto di una leggenda tra le stelle. Who is Alfred Lepetit really? Unknown to the general audience but glorified by the whole film industry, Alfred is about to receive a lifetime achievement for his film career… Portrait of a legend among the stars. BIOGRAFIA Jean Rousselot (1972) va spesso al cinema. Ha fatto il suo tirocinio in film americani e inglesi, è stato regista e attore nella compagnia teatrale Les Bords de Scène e ha lavorato al montaggio per due serie televisive francesi. BIOGRAPHY Jean Rousselot (1972) often goes to the movies. He has been a trainee on American and British features, an actor and director with the Theatre Company Les Bords de Scène, and a story editor for two major French Tv series. sceneggiatura/screenplay: Jean Rousselot fotografia/photography (35mm, col., b/n): Pierre Batougier montaggio/editing: Françoise Berger Garnault musica/music: Jesse Cook suono/sound: Renaud Michel interpreti/cast: Charlotte Rampling, Roman Polanski, Jean-Claude Brialy, Jake Eberts, Stéphane Massard, Elsa Lepoivre, Mathieu Mathelin, Laetitia de Fombelle produzione/production: Laurence Braunberger distribuzione/distributed by: Les Films du Jeudi (Rue Hautefeullie 3, 75006 Parigi, Francia; tel.: 33 1 40 46 97 98; fax: 33 1 40 46 89 88; e-mail: [email protected]) durata/running time: 8’ origine/country: Francia 1999 FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Amnesia (1997), Tribute to Alfred Lepetit (1999) 20 ITALIENSK FOR BEGYNDERE (t.l. Italiano per principianti) Poco dopo l’arrivo in un piccolo, grigio sobborgo di Copenaghen, il neo pastore Andreas viene convinto a iscriversi a una scuola serale di italiano dall’affabile receptionist del suo albergo. In classe incontra un’incantevole ma impacciata commessa di una pasticceria, Olympia, che soffre molto per via degli attacchi verbali del padre. Olympia capisce presto che il suo destino è inestricabilmente legato a quello di Karen, una timida parrucchiera con una madre devastata dall’alcol, di cui lei si prende cura con una pazienza confinante con la santità. Quando la madre di Karen muore, le due donne scoprono al funerale di essere sorelle. Olympia si innamora di Andreas, mentre Karen inizia una relazione con Hal-Finn, un prestante ma arrogante cameriere. sceneggiatura/screenplay: Lone Scherfig fotografia/photography (35mm, col.): Jorgen Johansson montaggio/editing: Gerd Tjur suono/sound: Rune Palving interpreti/cast: Anders W. Berthelsen, Anette Stovelbaek, Peter Gantzler, Ann Eleonora Jorgensen, Lars Kaalund, Sara Indrio Jensen, Elsebeth Steentoft, Rikke Wölck, Karen-Lise Mynster, Bent Mejding, Claus Gerving, Jesper Christensen, Carlo Barsotti, Lene Tiemroth produzione/production: Zentropa Productions distribuzione/distributed by: Trust Film Sales durata/running time: 118’ origine/country: Danimarca 2000 Italiensk for Begyndere è un film divertente che ogni tanto mescola dei temi tipicamente bergmaniani che, al contatto con una visione del mondo mediterranea, conducono a esilaranti conclusioni, come nella scena dello scambio dei funerali in chiesa. (Fabrizio Liberti, Festival di Berlino, “Cineforum”, n. 403, aprile 2001) BIOGRAFIA Lone Scherfig (Copenaghen, 1959) ha studiato cinema alla Sorbona di Parigi e quindi all’università di Copenaghen e alla Danish Film School. Ha diretto pubblicità e film industriali. Scrive sceneggiature, insegna in varie scuole cinematografiche e lavora per la radio. NUOVE PROPOSTE LONE SCHERFIG Shortly after his arrival in a small, grey suburb of Copenhagen, the new minister Andreas finds himself being talked into taking part in an evening class in Italian by the affable receptionist at his hotel. At the evening class he meets a charming but clumsy pastry shop assistant, Olympia, who suffers greatly on account of her father’s verbal attacks. Olympia soon realises, however, that her fate is inextricably bound up with that of Karen, a shy hairdresser with a mother ravaged by alcohol, whom she has been taking care of with patience that borders on the saintly. When Karen’s mother dies, the two women discover at the funeral that they are indeed sisters. Olympia falls in love with Andreas, whilst Karen begins an affair with Hal-Finn, a goodlooking but arrogant waiter. Italian For Beginners is an entertaining film that every once in a while throws in some typically Bergman-esque themes which lead to hilarious situations when they come into contact with the film’s vision of Mediterrean culture, like the mix-up between the funerals at the church. (Fabrizio Liberti, Berlin’s Festival, “Cineforum”, n. 403, April 2001) BIOGRAPHY Lone Scherfig (Copenhagen, 1959) studied film at the Sorbonne in Paris and later at the University of Copenhagen and the Danish Film School. He has directed advertisements and industrial films. He writes screenplays, teaches in several film schools and works on the radio. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Den onde cirkel (1984, film di diploma), Margrethes Elsker (1985, Tv), Hesten i vesten (1986, cm), Kajs fodelsdag (1991), Den gode lykke (1992, Tv), Sir John Soane’s House and Museum (1993, doc.), Flemming og berit (1994, Tv), En verden til forskel (coregia: Leif Magnusson, 1998), Nar mor kommer hjem… (1998), Italiensk for Begyndere (2000) 21 NUOVE PROPOSTE DANIS TANOVIC NO MAN’S LAND (t.l. Terra di nessuno) 1993. Dopo il massacro di una pattuglia bosniaca, il soldato Ciki si trova isolato tra le linee di fuoco dei due fronti. Qui lo raggiunge il sergente Nino e un soldato bosniaco creduto morto, il cui corpo è stato disteso su una mina anti-uomo: se venisse rimosso, l’ordigno esploderebbe. Un sergente francese dell’Onu interviene per districare l’impossibile problema, mentre le Tv internazionali si precipitano sull’evento come avvoltoi, trasformandolo in un cinico show mediatico. sceneggiatura/screenplay: Danis Tanovic fotografia/photography (35mm, col.): Walther Van den Ende montaggio/editing: Francesca Calvelli musica/music: Danis Tanovic scenografia/art direction: Dusko Milavec interpreti/cast: Katrin Cartlidge, Rene Bitorajac, Branko Djuric, Georges Siatidis, Filip Sovagovic, Simon Callow produzione/production: Noé Productions, Fabrica Cinema, Man's Films, Judy Couniman Films, Studio Maj-Casablanca distribuzione/distributed by: The Sales Company (62 Shaftsbury Avenue, Londra, W1V7DE - Gran Bretagna; tel.: (207) 434 9061; fax: (207) 494 3293; e-mail: [email protected]) durata/running time: 98’ origine/country: Francia/Italia/Belgio/Gran Bretagna 2001 “La T-shirt e il kalashnikov per me sono il simbolo della guerra. Mentre l’armata serba era bene organizzata, noi eravamo impreparati, avevamo poche armi. Abbiamo combattuto solo con l’idea e la volontà di difendere il nostro paese: è un miracolo se la Bosnia si è salvata. Come i miei personaggi, anch’io mi sono ritrovato in guerra, non l’ho scelta. E ho fatto quello che sapevo fare: filmare quello che vedevo. […] Volevo raccontare lo shock dell’inizio della guerra. Era estate, c’erano i colori della natura e degli abiti della gente e improvvisamente appariva il nero delle case distrutte. Allora lo shock ci faceva ancora reagire con rabbia e con energia, poi diventammo tutti come zombie, rassegnati a una quotidianità di morte. […] Non prendo posizione da una parte o dall’altra, non cerco le cause o le colpe del conflitto, racconto la ‘mia’ guerra, la ‘mia’ verità, la verità di uno di Sarajevo all’improvviso bombardata dai serbi. Io non ho bombardato nessuno. Ma questa è una guerra in cui ognuno ha la sua verità, dipende da dove e come l’ha vissuta. E la ragione, come si dice nel film, è di chi ha il fucile in mano.” (Danis Tanovic, “la Repubblica”, 13-5-2001) 22 1993. After the massacre of his Bosnian battalion, the soldier Ciki finds himself stranded and alone between the line of fire of the two fronts. Here he comes across sergeant Nino and a Bosnian soldier believed to be dead whose body is stretched out on an anti-man mine: if he is moved, the explosive will go off. A French sergeant of the UN steps in to solve the irremediable situation while the international television crews swarm down on the event like vultures, turning it into a cynical media show. “The T-shirt and the Kalashnikov are symbols of war to me. While the Serbian army was well organised, we were unprepared, we had few weapons. We fought only with the idea and the desire to defend our country. It is a miracle that Bosnia was saved. Like my characters, I found myself at war, I had no choice. And I did that which I knew how to do: I filmed what I saw. […] I wanted to recount the shock of the beginning of the war. It was summer, there were colours of nature and people’s clothing and suddenly black began appearing from the destroyed houses. At the time the shock made us react with anger and with energy, but then we all became like zombies, resigned to the daily-ness of death. […] I’m not taking a stance with one side or another; I’m not searching for the causes of the conflict, nor who to blame for it. I’m telling the story of ‘my’ war, ‘my’ truth, the truth of a Sarajevo that was suddenly bombed by the Serbs. I did not bomb anyone. But this is a war in which everyone has their truth; it depends how and where you experienced it. And who is right, like the film says, is the person who has the gun in his hand.” (Danis Tanovic, “la Repubblica”, 13-5-2001) BIOGRAPHY Danis Tanovic (Zenica, 1969) has dual citizenship: Bosnian and Belgian. As director of the film archives of the Bosnian army during the war, his images have been used in numerous films and news reports throughout the world. He has made many documentaries. NUOVE PROPOSTE BIOGRAFIA Danis Tanovic (Zenica, 1969) ha doppia nazionalità, bosniaca e belga. Responsabile degli archivi filmati dell’esercito bosniaco durante la guerra, le sue immagini sono state riprese in numerosi film e reportages in tutto il mondo. Ha realizzato numerosi documentari. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY No Man’s Land (2001) 23 NUOVE PROPOSTE NING YING I LOVE BEIJING (t.l. Io amo Pechino) Dezi è un giovane tassista donnaiolo di Pechino che per professione incontra persone le cui vite vanno e vengono fuori dal suo orizzonte mentale. Ma quando si tratta di donne il suo orizzonte non ha limiti. Seguendo il taxi di Dezi, siamo trasportati in un viaggio attraverso Pechino. Il vagabondare di Dezi tra destinazioni e donne è simile alla ricerca di un’identità della sua città, sospesa tra la sparizione di antichi valori e un futuro incerto nella Cina postmaoista. Dezi is a young philandering Beijing taxi driver whose profession allows him to people whose lives come and go far beyond his mental horizon. But when it comes to women his horizon has no limits. Following his taxi, we are taken on a voyage across Beijing. Dezi’s floating between destinations and women is much like Beijing’s own search for individual identity between disappearing ancient values and an unknown future in post-Mao’s China. sceneggiatura/screenplay: Ning Dai, Ning Ying “In the brief span of just ten fotografia/photography (35mm, col.): Gao Fei “Nell’arco di dieci anni ho visto years I have seen my city, montaggio/editing: Ning Ying Pechino, la mia città, attraverBeijing, going through astonishmusica/music: Zhu Ziaomin sare sorprendenti trasformaing transformations. I first set suono/sound: Chao Jun, Song Qin zioni. Ho iniziato a esplorarla out to explore Beijing in 1992 scenografia/art direction: Wei Ning nel 1992, con il lungometraggio with the feature For Fun, a cominterpreti/cast: Yu Lei, Zuo Baitao, Tao Hong, Gai Yi, Liu For Fun, una commedia sulla edy about disappearing tradiMiao, Qiu Li scomparsa degli stili di vita trational ways of life. In 1995, with produzione/production: Eurasia Communications Ltd., Happy dizionali. Nel 1995, con On the the black-humored On the Beat, Village Ltd., Han Sanping, Wang Zhonglei, Ning Ying Beat e il suo umor nero, mi I focused on the emerging new distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue sono concentrata sulla nuova reality and the difficulty of copLamartine 24, 75009 Parigi; tel.: (33-1) 49700370; fax: (331) 49700371; e-mail: [email protected]) realtà emergente e sulle diffiing with it. In this new film, I durata/running time: 80’ coltà cui far fronte. In questo Love Beijing, the magnitude of origine/country: Cina 2001 nuovo film, la dimensione dei changes shaping our lives and cambiamenti che danno forma the anxieties of the new generaalle nostre vite e le ansie della nuova generazione sono raption are represented in a rhapsody form, through the eyes of a presentate in forma di rapsodia, attraverso gli occhi di un gioyoung, restless taxi driver. When I look back at these three films vane e inquieto tassista. Se guardo indietro a questi tre film I cannot but regard them as completing a trilogy about three gennon posso non considerarli come parti di una trilogia su tre erations of Beijingers: the grandfathers (For Fun), the parents generazioni di pechinesi: i nonni (For Fun), i genitori (On the (On the Beat) and the sons (I Love Beijing).” (Ning Ying) Beat) e i figli (I Love Beijing).” (Ning Ying) BIOGRAPHY BIOGRAFIA Ning Ying (Beijing, 1959) studied at the Beijing Film Academy, Ning Ying (Pechino, 1959) ha studiato alla Beijing Film simultaneously with older students such as Chen Kaige, Li Academy, come i più anziani Chen Kaige, Li Shoahong e Shoahong and Zhang Yimou. In 1982 she attended a course at Zhang Yimou. Nel 1982 ha seguito un corso al Centro the Centro Sperimentale di Cinematografia in Rome and later Sperimentale di Cinematografia di Roma e poi è stata assiworked as assistant director on Bernardo Bertolucci’s The Last stente di Bertolucci per L’ultimo imperatore. Ha vinto molti Emperor. She won many prizes for her films For Fun and On premi con i suoi For Fun e On the Beat. the Beat. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Somebody Falls in Love With Me (1990), Zhao Le/For Fun (1992), On the Beat/Minjing gushi (1995), I Love Beijing (2001) 24 SPERIAMO CHE SIA FEMMINA A Villa Torrisi, una fattoria nell’entroterra di Grosseto, vivono Elena con le due figlie, il vecchio zio Gugo, la governante con sua figlia e la giovane figlia di un’attrice televisiva. Improvvisamente arriva l’ex marito di Elena, Leonardo, che vorrebbe coinvolgerla in uno dei suoi fantasiosi progetti: rimettere in funzione le terme della villa. Tra incidenti gravi e meno gravi, tutti (o quasi) gli uomini scompaiono e le donne restano da sole. NUOVE PROPOSTE MARIO MONICELLI Elena lives with her two daughters, the aged Uncle Gugo, a governess and her daughter, and the young daughter of a television actress at Villa Torrisi near Grosseto. Suddenly, Elena’s ex-husband Leonardo shows up and tries to get her involved in one of his fanciful projects: making the villa’s hot springs functional again. Between the serious and less serious accidents, all (or almost all) of the men disappear and the women are left alone. “This is the story of a group of women “È la storia di un gruppo di donne e and their relationships with men. They dei loro rapporti con gli are successful women, with sceneggiatura/screenplay: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, uomini. Sono donne vincenstrong personalities. Women Suso Cecchi D’Amico, Tullio Pinelli, Mario Monicelli ti, di forte personalità. who do not need men and who, fotografia/photography (35mm, col.): Camillo Bazzoni Donne che non hanno bisoin the end, decide to live togethmontaggio/editing: Ruggero Mastroianni gno degli uomini e che alla er, in a cottage in the country, in musica/music: Nicola Piovani fine decidono di vivere tutte a kind of female commune. There scenografia/art direction: Enrico Fiorentini insieme, in un casolare di are no shrewish women in this costumi/costumes: Ezio Altieri campagna, in una sorta di story, however. Behind every interpreti/cast: Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Giuliana comunità femminile. Ma in female story lie failures and sadDe Sio, Philippe Noiret, Giuliano Gemma, Bernard Blier, questo film non ci sono ness and the ultimate choice of Stefania Sandrelli, Lucrezia Lante Della Rovere, Paolo Hendel, Athina Cenci, Adalberto Maria Merli donne virago; dietro a ogni living together without men is produzione/production: Giovanni Di Clemente per Clemi storia femminile, ci sono falcertainly not a happy or liberatCinematografica (Roma) - Producteurs Associés (Parigi) limenti, tristezze e la scelta ing one. But this film is not dradistribuzione/distributed by: CDE finale, di vivere da sole e matic, although it is bitter, with, durata/running time: 117’ insieme, non è certo allegra e if I may say so, Chekovian tones origine/country: Italia/Francia, 1986 liberatoria. Però questo film not lacking in humour.” (Mario non è un dramma, semmai Monicelli, in Fabrizio Borghini, una storia amara, con toni, se mi è permesso, cechoviani, Mario Monicelli. Cinquant’anni di cinema, Pisa, Master non privi di ironia.” (Mario Monicelli, in Fabrizio 1985, p. 146) Borghini, Mario Monicelli. Cinquant’anni di cinema, Pisa, Master 1985, p. 146) 25 EVENTI SPECIALI ÉLOGE DE L’AMOUR (t.l. Elogio dell’amore) Qualcuno che sentiamo parlare – ma che non vediamo – parla di un progetto sui quattro momenti chiave dell’amore: incontro, passione fisica, litigi e separazione. Tutto ciò è mostrato attraverso tre coppie: una giovane, una adulta, una anziana. Non sappiamo se il progetto è per una pièce teatrale, un film, un romanzo o un’opera. L’autore del progetto è sempre accompagnato da una specie di servitore. EVENTI SPECIALI JEAN-LUC GODARD Someone whom we hear talking – but whom we do not see – speaks of a project that describes the four key moments of love: meeting, phisical passion, arguments and separation, making up. This is told through three couples: young, adult and old. We do not know if the project is for a play, a film, a novel or an opera. The author of the project is always accompanied by a kind of servant. Con Éloge de l’amour, Jean-Luc With Éloge de l’amour, JeanGodard abbandona la rassicuLuc Godard abandons the reassceneggiatura/screenplay: Jean-Luc Godard rante vegetazione Svizzera, il suring Swiss countryside, fotografia/photography (35mm, b/n e col.): Cristophe Pollock, Julien Hirsch lago di Ginevra e il suo specGeneva Lake and its mirroring suono/sound: François Musy, Christian Monheim, chio di iniziali (JLG/JLG), per initials (JLG/JLG), to revisit a Gabriel Hafner ritrovare la città di Parigi filParis whose current conditions interpreti/cast: Bruno Putzulu, Cécile Camp, Jean Davy, mata in un bianco e nero che la he captures in B&W (the SDF Françoise Verny, Philippe Lyrette, Audrey Klebaner, cattura nella sua condizione on the benches, the abandoned Jeremy Lippman, Claude Baigères, Remo Forlani attuale (gli SDF sulle panchifactories in Billancourt), bringproduzione/production: Peripheria ne, le fabbriche abbandonate a ing the city back to a double oridistribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont Billancourt) riconducendola a gin: the cinematographic (Paris D’urville 47, 75116 Paris; tel.: 01 53648555; fax: 0156692940; una doppia origine, sia cineof the New Wave) and the hise-mail: [email protected]) matografica (la Parigi della torical (Paris during the durata/running time: 98’ Nouvelle Vague) sia storica, al German occupation). At the origine/country: Francia 2001 tempo dell’occupazione tedeheart of the film lies a neutral sca. Al centro del film, un percharacter (Bruno Putzulu) sonaggio neutro (Putzulu), che legge un libro dalle pagine reading a book with white pages, whose text has not yet been bianche, il cui testo non è ancora stampato o è già cancellaprinted or has already been erased. He has a precise plan: to to, e ha un progetto preciso: evocare le quattro età e i quatconjure up the four ages and the four periods of love. This tro tempi dell’amore. Questo progetto esposto all’inizio non project, which is explained in the beginning, does not go anyorganizza nulla del film, e lo spettatore necessita di un certo where in the film, and the viewer needs time to realise that tempo per comprendere che quell’organigramma è una that outline is a false track (the displeasure and mourning for falsa pista (il dispiacere, il lutto per un soggetto iniziale, che an initial subject that Godard no longer wanted to shoot). In Godard non ha più avuto voglia di girare). In compenso, compensation, a conversation between the characters grabs una conversazione tra i personaggi trattiene l’attenzione: di the attention: someone enters the room who we can guess is qualcuno che entra in una stanza si sostiene che è un giovaeither young or old, but we cannot say that they are an adult. ne o un vecchio ma non si dirà che è un adulto. Questa semThis simple observation becomes the film’s secret leitmotif (the plice constatazione diventa il leitmotiv segreto del film (l’età adult age does not exist); it reorganises the film without the adulta non esiste), lo riorganizza all’insaputa della sua orgaknowledge of the announced plan. At the end of the film nizzazione annunciata. Alla fine del film Bruno Putzulu fa Bruno Putzulu reflects: “Things gain a sense the moment questa riflessione: “È nel momento in cui le cose finiscono they end”. (Charles Tesson, “Cahiers du Cinéma”, n. 557, che acquistano senso”. (Charles Tesson, “Cahiers du May 2001) Cinéma”, n. 557, maggio 2001) 29 EVENTI SPECIALI BIOGRAFIA Jean-Luc Godard (Parigi, 1930) studia in Svizzera per poi diplomarsi a Parigi in Etnologia. Nel 1951 lascia Parigi, viaggia in America, lavora come operaio nel cantiere di una diga in Svizzera, dove realizza il suo primo documentario. Torna in Francia nel 1955. Collabora con “La Gazette du Cinéma”, i “Cahiers du Cinéma” (firmandosi talvolta Hans Lucas) e “Arts”. Collabora come attore, produttore, montatore, alle prime opere di Rohmer e Truffaut, prima di debuttare nel lungometraggio. BIOGRAPHY Jean-Luc Godard (Paris, 1930) studied in Switzerland and later got his degree in Ethnology in Paris. In 1951 he left Paris, travelled in America, and worked on a dam construction site in Switzerland, where he made his first documentary. He returned to France in 1955. He worked on “La Gazette du Cinéma”, “Cahiers du Cinéma” (often under the pseudonym Hans Lucas) and “Arts”. He worked as an actor, producer, and editor in Rohmer and Truffaut’s early works before debuting with his first feature length film. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Opération Béton (1955, cm), Une femme coquette (1955, cm), Tous les garçons s’appellent Patrick (1957, cm), Charlotte et son Jules (1958), Une histoire d’eau (1958, cm, in collaborazione con François Truffaut), À bout de souffle (1959), Le petit soldat (1960), Une femme est une femme (1962), La paresse (1961, cm), Vivre sa vie (1962), Le Nouveau monde (1962, cm), Les carabiniers (1963), Le grand escroc (1963, cm), Le mépris (1963), Montparnasse-Lavallois (1963, cm), Bande à part (1964), Une femme mariée (1964), Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (1965), Pierrot le fou (1965), Masculin féminin (1966), Made in Usa (1966), Deux ou trois choses que je sais d’elle (1966), Anticipation ou l’amour en l’an 2000 (1967, cm), La chinoise (1967), Week-end (1967), L’amore (1968, cm), Camera-Eye (1967, cm), Le gai savoir (1968), Ciné-Tracts (1968), Un film comme les autres (1968), One plus one (1968), One American Movie (1968) British Sounds (1969), Pravda (1969), Vent d’est (1969), Lotte in Italia (1970), Vladimir et Rosa (1970), Tout va bien (1972), Letter to Jane (1972), Ici et ailleurs (1975), Numéro deux (1975, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Comment ça va (1976), Six fois deux (1976), Sauve qui peut (la vie) (1980), Passion (1982), Changer d’image (1982, cm), Lettre à Freddy Buache (1982, cm), Prénom Carmen (1983), Je vous salue, Marie (1984), Détective (1985), Soft and Hard (1986, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma (1986), Meeting Woody Allen (1986, cm), Armide, enfin, il est en ma puissance (1986, cm), Soigne ta droite (1987), King Lear (1987), Closed (1987, cm), On s’est tous défilé (1988, cm), Puissance de la parole (1988, cm), Le dernier mot (1988, cm), Histoire(s) du Cinéma 1 (1988-98), Le rapport Darty (1989, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Nouvelle Vague (1990), L’enfance de l’art (1991, cm, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Contre l’oubli (1991, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Allemagne année 90 Neuf Zero (1992), Hélas pour moi (1993), Les enfants jouent à la Russie (1993), JLG/JLG. Autoportrait de décembre (1994), Deux fois cinquante ans de cinéma français (1995), For Ever Mozart (1996), The Old Place (1998, in collaborazione con Anne Marie Miéville), Pour une histoire du XXIème siècle (2000), L’Origine du XXIème siècle (2000), Éloge de l’amour (2001) 30 EVENTI SPECIALI IMAMURA SHOHEI UNAGI (L’anguilla) Yamashita Takuro, uscito sulla parola dopo otto anni di prigione per uxoricidio, inizia una nuova vita come barbiere in un cittadina fuori Tokyo. Il suo compagno più stretto è la sua anguilla, che gli ha tenuto compagnia durante i suoi anni di reclusione. Gradualmente Takuro inizia ad aprirsi, iniziando a familiarizzare con i locali che frequentano la sua bottega. La sua vita cambia bruscamente quando salva Keiko, una giovane donna che tenta di suicidarsi nel fiume. Keiko, che sta cercando di rimarginare delle ferite interiori, inizia a lavorare con Takuro. I due sentono crescere un’attrazione reciproca, ma una serie di avvenimenti li riporta indietro, al loro passato… sceneggiatura/screenplay: Tomikawa Motofumi, Tengan Daisuke, Imamura Shohei da una storia di Kurosawa Akira fotografia/photography (35mm, col.): Komatsubara Shigeru montaggio/editing: Okayasu Haijime musica/music: Ikebe Shinichiro suono/sound: Benitani Kenichi scenografia/art direction: Inagaki Hisao interpreti/cast: Yakusho Koji, Shimizu Misa, Tsuneta Fujio, Baisho Mitsuko, Sato Makoto, Emoto Akira, Kobayashi Ken, Kawahara Sabu, Ichihara Etsuko, Taguchi Tomoro produzione/production: Eiseigekijyo Co. distribuzione/distributed by: Shochiku Co. (13-5 Tsukiji 1Chrome, Cuo-ku, Tokyo 104, Giappone; tel.: (3) 55501623; fax: (3) 55501654) durata/running time: 117’ origine/country: Giappone 1997 Il vecchio Imamura, otto anni dopo Kuroi ame/Black Rain, sembra aver calato l’indagine antropologica, che è alla base del suo cinema, in un nichilismo sempre più radicale attraverso uno sguardo distante e beffardo. Non a caso il protagonista è un uomo che ha già oltrepassato una barriera verso il nulla (ha ucciso sanguinosamente la moglie in flagrante adulterio senza di fatto rinnegare mai il suo gesto, poi viene dimesso dopo alcuni anni da detenuto modello) e che comunica davvero soltanto con un’anguilla allevata in una piccola vasca. Intorno a lui una piccola comunità di emarginati senza speranza dove si possono scorgere tracce di umanità solo nei più folli e in chi ha ugualmente attraversato con purezza la sofferenza (la protagonista mancata suicida). (Fabrizio Grosoli, “Cineforum”, n. 364, maggio 1997) BIOGRAFIA Imamura Shohei (Tokyo, 1926) dopo essersi laureato all’Università di Waseda è assunto alla Shochiku come Yamashita Takuro, paroled after eight years in prison for killing his wife, starts a new life as barber in a small town outside of Tokyo. His closest companion remains his pet eel, which has kept him company throughout his days behind bars. Free from confinement, Takiro gradually begins to open up, becoming friendly with the locals who frequent his shop. But his life changes abruptly when he saves Keiko, a young woman he happens upon trying to commit suicide by the river. Keiko, also trying to heal mental wounds, eventually starts to work at Takuro’s shop. They both begin to feel a growing attraction for one another. However, incidents occur, pulling them back to their pasts… Old Imamura, eight years after Kuroi ame/Black Rain, seemed to have lowered his anthropological research, which is at the base of his films, into an increasinly more radical nihilism through a distant and scornful gaze. It is no accident that his main character is a man who has gone beyond a barrier towards nothingness (he killed his wife violently because of her flagrant adultery without having ever denied his act, then he is released from jail as a model prisoner) and who really only speaks to an eel he keeps in a small tank. Around him is a small community of immarginalised people who live without hope, where one can catch glimpses of humanity only among the most mad and among those who have also passed purely through suffering (like the near-suicide character). (Fabrizio Grosoli, “Cineforum”, n. 364, May 1997) BIOGRAPHY Imamura Shohei (Tokyo, 1926). After graduating from the University of Waseda, Shohei was taken on at the Shochiku as an assistant director, and he worked with Ozu on three of his 31 EVENTI SPECIALI aiuto regista e lavora con Ozu in tre dei suoi film. Fino al 1954 lavora con Kawashima Yuzo. Nel 1958 scrive con Kurosawa Akira la sceneggiatura di Bakumatsu Taiyo-Den. films. He worked with Kawashima Yuzo until 1954. In 1958 he wrote the screenplay for Bakumatsu Taiyo-Den with Kurosawa Akira. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Nishi ginza ekimae (1958), Hateshinaki yokubo (1958), Nianchan (1959), Buta to gunkan (1961), Nippon konchuki (1963), Akai satsui (1964), Jinruigaku nyumon (1966), Ningen Johatsu (1967), Kamigami no Fukaki Yokubo (1968), Nippon Sengoshi Madamu onboro no Seikatsu (1970), Karayuki-san, the Making of a Prostitute (1975), Fukusho suruwa ware ni ari (1979), Eijanaika (1981), Narayama bushiko (1982), Zegen (1987), Kuroi ame (1989), Unagi (1997), Kanzo sensei (1998), Akai hashi noshitano nurui mizu (2000) 32 AS I WAS MOVING AHEAD OCCASIONALLY I SAW BRIEF GLIMPSES OF BEAUTY (t.l. Mentre mi muovevo in avanti ogni tanto ho colto brevi visioni di bellezza) EVENTI SPECIALI JONAS MEKAS “I miei diari filmati dal 1970 al “My film diaries 1970-1999. It 1999. Coprono il mio matrimocovers my marriage, children are nio, i bambini sono nati, li si born, you see them growing up. vede crescere. Spezzoni di vita Footage of daily life, fragments quotidiana, frammenti di feliof happiness and beauty, trips to cità e bellezza, viaggi in France, Italy, Spain, Austria. Francia, Italia, Spagna, Seasons of the year as they pass Austria. Stagioni dell’anno che through New York. Friends, passano su New York. Amici, home life, nature, unending vita di casa, natura, ricerca infisearch for moments of beauty nita di momenti di bellezza e and celebration of life – friendelebrazione della vita – amiciships, feelings, brief moments of zie, sensazioni, brevi momenti happiness, beauty. Nothing di felicità, bellezza. Niente di extraordinary, nothing special, straordinario, niente di speciathings that we all experience as le, cose che proviamo tutti we go through our lives. There musica/music: Auguste Varkalis durante le nostre vite. Ci sono are many inter-titles that reflects distribuzione/distributed by: Jonas Mekas (491 Broadway, molti titoli interpolati che my thoughts of the period. The New York, NY 10012; tel.: (1-212) 5055181; fax.: (1-212) riflettono i miei pensieri del soundtrack consists of music 4772714 durata/running time: 288’ periodo. La colonna sonora and sounds recorded mostly durorigine/country: USA 2000 consiste di musica e suoni regiing the same period from which strati per lo più nello stesso the images came. Sometimes I periodo da cui provengono le immagini. Qualche volta parlo talk into my tape recorder, as I edit these images, now, from a nel mio registratore, mentre monto queste immagini, adesso, distance of time. The film is also my love poem to New York, its a distanza di tempo. Il film è anche la mia poesia d’amore a summers, its winters, streets, parks. It’s the ultimate Dogme New York, le sue estati, inverni, strade, parchi. È l’ultimo movie, before the birth of Dogme.” (Jonas Mekas) film Dogma, prima della nascita del Dogma.” (Jonas Mekas) BIOGRAPHY BIOGRAFIA Jonas Mekas (Seminiskiai, Lithuania, 1922) in 1944 was transJonas Mekas (Seminiskiai, Lituania, 1922) nel 1944 fu traported to a German labour camp. After the war, Mekas remained sportato in un campo di lavoro tedesco. Dopo la guerra in Germany until 1948. In 1949, he emigrated to New York. In rimase in Germania fino al 1948, quindi si trasferì a New the early 1950s, he made his first documentaries. He founded the York. Iniziò a realizzare documentari negli anni ’50. Fondò la film magazine “Film Culture” in 1955. Five years later he was rivista “Film Culture” nel 1955. Nel 1960 fu tra i fondatori del involved in the creation of the New American Cinema Group. In New American Cinema Group, nel 1962 della New York 1962 he started the New York Film-makers’ Cooperative. He coFilmmakers’ Cooperative, nel 1970 degli Anthology Film founded the Anthology Film Archives in New York in 1970, Achives, che dirige ancor oggi. which he heads to this day. FILMOGRAFIA (SELEZIONE)/FILMOGRAPHY (SELECTION) Guns of the Trees (1961), The Brig (1963), Award Presentation to Andy Warhol (1964), Notes on the Circus (1966) Cassis (1966), Diaries, Notes & Sketches (Walden) (1969), Reminiscenses of a Journey to Lithuania (1972), Lost Lost Lost (1975), In Between (1978), Notes for Jerome (1976/1978), Paradise Not Yet Lost (1979), He Stands in a Desert Counting the Seconds of His Life (1988), Scenes from the Life of Andy Warhol (1990), Zefiro Torna or Scenes from the Life of George Maciunas (1992), The Education of Sebastian or Egypt Regained (1992, video), Mob or Angels (1993, video), Imperfect 3-Image Films (1995), On My Way to Fujiyama I Met… (1995), Memories of Frankenstein (1996), Happy Birthday to John (1996), Birth of a Nation (1997), Scenes from Allen’s Last Three Days on Earth as a Spirit (1997, video), Simphony of Joy (1997, video), Song of Avignon (1998), As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty (2000) 33 EVENTI SPECIALI OSHIMA NAGISA NINJA BUGEICHO (t.l. Il manuale dell’arte marziale Ninja) Mitsuharu Yuki, signore di Fushikage, è stato ucciso da un suo dipendente infedele, Shuzen Sakagami. Il figlio di Mitsuharu, Jutaro, fugge con i dipendenti rimasti fedeli. Alcuni anni dopo Yutaro torna per vendicare il padre, ma viene fermato dalla sorella di Shuzen, Hotarubi. Un ninja di nome Kagemaru lo aiuta a sfuggire alla morte. La fame incombe sul paese a causa di una carestia di riso. Le tasse sui raccolti provocano una rivolta tra i contadini. Kagemoru, con l’aiuto dei contadini, distrugge il castello di Fushikage. Jutaru sta per prendere Shuzen, ma Hotarubi interviene ancora. La caccia continua. sceneggiatura/screenplay: Sasaki Mamoru, Oshima Nagisa dal fumetto omonimo di Shirato Sanpei fotografia/photography (35mm, b/n): Takada Akira montaggio/editing: Uraoka Keiichi musica/music: Hayashi Hiraku suono/sound: Nichizaki Hideo disegni/drawings: Shirato Sanpei voci/voices: Ozawa Shoichi, Yamamoto Kei, Koyama Akiko, Sato Kei, Matsumoto Noriko, Fukuda Yoshiyuki, Kanze Hideo, Tanaka Nobuo, Kayano Juro, Tsuyugu Shigeru, Watanabe Fumio, Hayashi Hikaru, Toura Rokko produzione/production: Nakajima Masayuki, Yamaguchi Takuji, Oshima Nagisa per la Sozosha durata/running time: 131’ origine/country: Giappone 1966 “Per quanto riguarda Ninja bugeicho si tratta di una storia a fumetti molto popolare tra gli studenti nel momento in cui fu pubblicata e che anche a me piaceva molto. Per questo mio film il mio sforzo si è concentrato sull’ambizione tecnica di girare tale e quale (senza utilizzare la tecnica dell’animazione) una storia a fumetti dotata di un soggetto rivoluzionario. In ogni modo si può dire che sia Ninja bugeicho che Amakusa Shiro Tokisada costituiscono una critica al jidai-geki. […] Ninja bugeicho, il fumetto best-seller di Shirato Sanpei, 16 volumi in tutto, attirò alla sua uscita l’attenzione di molti registi. Ma alla fine i cineasti interessati abbandonarono l’idea di portare la gigantesca opera sullo schermo, a causa di presunte impossibilità produttive: il formato di alcuni disegni era troppo grande e il movimento dei cosiddetti Ninja e degli animali, che hanno un ruolo molto importante, troppo complesso per poter essere restituito con le tecniche fotografiche esistenti. Io, tuttavia, sono andato avanti laddove gli altri si sono ritirati, e ora considero un onore, come avventuriero-artista, essere riuscito a portare Ninja bugeicho sullo schermo.” (Oshima Nagisa, da Il rito, la rivolta - Il cinema di Nagisa Oshima, a cura di Enrico Magrelli e Emanuela Martini, Di Giacomo Editore, Roma 1984, p. 99) 34 Mitsuharu Yuki, the Lord of Fushikage, is killed by one of his unfaithful subordinates, Shuzen Sakagami. Mitsuharu’s son, Jutaro, escapes with the remaining loyal men. Several years later Jutaro returns to avenge his father’s death, but is stopped by Shuzen’s sister Hotarubi. A Ninja named Kagemaru helps him escape death. Famine threatens Jutaro’s country because of a rice shortage. The taxes on the crops provoke a revolt among the farmers. Kagemaru, with the help of the farmers, destroys Fushikage’s castle. Jutaro is about to get Shuzen, but Hotarubi intervenes once more. The hunt continues. Ninja bugeicho is a comic strip that was very popular with students at the time that it was published, and which I liked very much. For my film, I concentrated my efforts on the technical ambition to shoot just such a comic strip of a revolutionary subject without using an animation technique. In any case, it can be said that both Ninja bugeicho and Amakusa Shiro Tokisada constitute a critique of the jidai-geki. [...] Ninja bugeicho, Shirato Sanpei’s best-selling, 16-volume comic strip attracted a lot of attention among directors when it came out. In the end, however, the interested filmmakers abandoned their ideas to bring the colossal work to the screen because of the presumed production impossibilities: the format of some of the designs was too large and the movement of the so-called Ninjas and the animals, which play a very important role, too complex to be depicted using the existing photographic techniques. Nevertheless, I went ahead whereas the others did not, and I now consider it an honour, as an artist-adventurer, to have succeeded in bringing Ninja bugeicho to the screen. (Oshima Nagisa, from Il rito, la rivolta – Il cinema di Nagisa Oshima, by Enrico Magrelli and Emanuela Martini, Di Giacomo Editore, Roma 1984, p. 99) EVENTI SPECIALI BIOGRAFIA Oshima Nagisa (Kyoto, 1932) ha studiato Legge all’università di Kyoto. Dopo la laurea inizia, nel 1954, a lavorare alla Shochiku Film Company come aiuto regista, soprattutto con Oba Ideo. Nel frattempo scrive sceneggiature e si dedica alla critica cinematografica. Con i tre film realizzati nel 1960, incentrati su tematiche giovanilistiche e politiche, diviene il simbolo della New Wave giapponese. BIOGRAPHY Oshima Nagisa (Kyoto, 1932) studied Law at the University of Kyoto. In 1954, after obtaining his degree, he began working at the Shochiku Film Company as an assistant director, primarily to Oba Ideo. In the meantime he wrote screenplays and dedicated himself to film criticism. He became a symbol of the Japanese New Wave after making three films in the 1960s that centred on youth-oriented and political themes. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Asu no taiyo (1959, cm), Ai to kibo no machi (1959), Seihun zankoku monogatari (1960), Taiyo no akaba (1960), Nihon no yoru to kiri (1960), Shiiku (1961), Kori no naka no seishun (1962, cm, doc., Tv), Amakusa Shiro Tokisada (1962), Chiisana boken ryoko (1963, mm), Wasurerareta kogun (1963, cm, doc., Tv), Watashi wa bellett (1964, mm), Aisurekaboso (1964, mm, Tv), Aru kokutetsu jomuin - 4.17 suto chushi zengo (1964, cm, doc., Tv), Gimei shojo (1964, cm, doc., Tv), Aogeba totoshi (1964, mm, Tv), Hankotsu no toride - Hachinosu-jo no kiroku (1964, cm, doc., Tv), “Chita Niseigo” Taiheyo odan (1964, mm, doc., Tv), Seishun no hi (1964, mm, doc., Tv), Ajia no akebono (1964, Tv), Etsuraku (1965), Yunbogi no nikki (1965, cm), Gyosen sonansu Wasurerareta taifu saigai (1965, cm, doc., Tv), Hakuchu no torima (1966), Ninja bugeicho (1966), Nihon shunka-ko (1967), Muri-shinju: Nihon no natsu (1967), Koshikei (1968), Kaette kita yopparai (1968), Shinjuku dorobo nikki (1968), Daitoa senso (1968, doc., Tv), Mo-Taku-To to bunka daikakumei (1969, mm, doc., Tv), Shonen (1969), Tokyo senso sengo hiwa - Eiga de isho o nokoshite shinda otoko no monogatari (1970), Gishiki (1971), Kyojin-gun (1972, mm, doc., Tv), Joi Bangura! (1972, cm, doc., Tv), Natsu no imoto (1972), Goze Momoku no onna-tabigein (1972, co-regia: Ogasawara Kyoshi, cm, doc., Tv), Bengaru no chichi Laman (1973, cm, doc., Tv), Ikiteiru nihonkai kaisen (1975, mm, doc., Tv), Ogon no daichi Bengaru (1976, co-regia) Yamakazi Yuji, mm, doc., Tv), Ai no korida (1976), Denki Mo-Taku-To (1976, doc., Tv), Ikiteiru umi no bohyo - Torakku no kaitei o yuku (1976, cm, doc., Tv), Ikiteiru gyokusai no shima - Saipan no kaitei o yuku (1976, cm, doc., Tv), Yokoi Shoichi: Guamuto 28 nen no nazo o ou (1977, mm, doc., Tv), Shisha wa itsumademo wakai - Okoinawa gakudo-sokai-sen no higeki (1977, mm, doc., Tv), Ai no borei (1978) Merry Christmas Mr. Lawrence (1982), Max mon amour (1986), Kyoto, My Mother’s Place (1991, mm, doc., Tv), 100 Years of Japanese Cinema (1994, Tv), Gohatto (1999) 35 EVENTI SPECIALI JEAN-MARIE STRAUB - DANIÈLE HUILLET OPERAI, CONTADINI Con questo nuovo film, ispirato ancora una volta a un testo di Vittorini, Straub e Huillet continuano a confrontarsi con la storia del nostro paese, riflettendo su un periodo centrale come quello del dopoguerra. Dando corpo, voce e forza ai personaggi di Vittorini, il film si struttura come un oratorio che “canta” la riuscita “riunione” tra operai e contadini, tra persone dal passato molto diverso che sono riuscite a incontrarsi e a credere in un progetto comune. I due uomini-guida si chiamano, non a caso, “Fazzoletto Rosso” e “Faccia Cattiva”: nomi atavici e significativi di un diverso percorso politico ed esistenziale (partigiano il primo, fascista l’altro). Riusciranno a convivere? Dopo la guerra, in questo villaggio della ricostruzione, o meglio dell’utopia, il cambiamento sembra possibile. Ma per quanto ancora? (Maria Coletti) sceneggiatura/screenplay: Danièle Huillet e Jean-Marie Straub da Le donne di Messina di Elio Vittorini fotografia/photography (35mm, col.): Renato Berta, JeanPaul Toraille, Marion Befve montaggio/editing: Danièle Huillet, Jean-Marie Straub suono/sound: Jean-Pierre Duret, Dimitri Haulet, JeanPierre Laforce interpreti/cast: Angela Nugara, Giacinto di Pascoli, Giampaolo Cassarino, Enrico Achilli, Angela Durantini, Martina Gioffriddo, Andrea Balducci, Gabriella Taddei, Vittorio Vigneri, Aldo Fruttuosi, Rosalba Curatola, Enrico Pelosini produzione/production: Straub/Huillet distribuzione/distributed by: Pierre Grise Distribution (21 avenue du Maine, 75015 Paris, France, tel.: 33 (0)1 45 44 20 45, fax: 33 (0)1 45 44 00 40, e-mail: [email protected]) durata/running time: 121’ origine/country: Italia/Francia, 2000 “Nel nostro film c’è molto più movimento di un qualsiasi film d’azione. In ogni quadro, tutto si muove: non solo i sentimenti, ma anche tutto quello che sta intorno ai personaggi. Bisogna vedere questo film come si vede un processo. Sono dodici persone che vengono a testimoniare che cosa hanno vissuto, che cosa è successo, in un momento storico ben preciso. E lo raccontano in parte a memoria, in parte leggendo il testo scritto, per essere più precisi. Raccontano una storia che è composta da un’infinità di piccole altre storie, che si intrecciano. E questo fa del film una specie di poliziesco. [...] È molto importante ricordare proprio adesso la possibilità di questa utopia, che viene rimossa ogni secondo a tutti i livelli e con tutti i mezzi. Bisogna andare controcorrente. Abbiamo scelto le 39 pagine centrali del testo, in cui c’è un elemento quasi teatrale e fortemente realistico, 36 With this new film, which is also inspired by one of Vittorini’s texts, Straub and Huillet continue to confront our country’s history, reflecting on a period as crucial as postwar Italy. Giving body, voice and strength to Vittorini’s characters, the film is structured like an oratory that “celebrates” the successful “reconciliation” between workers and farmers, between people with very different pasts who have managed to agree upon and believe in a common project. The two guide-men are called, not accidentally, “Fazzoletto Rosso” (“Red Scarf”) and “Faccia Cattiva” (“Nasty Face”). Their names are atavistic and signify very difficult political and existential paths (the first one is a resistance fighter, the second a fascist). Will they succeed in living side by side? After the war, in this village of reconstruction, or better yet, of Utopia, the change seems possible. But for how much longer? (Maria Coletti) “There is much more movement in our film than in just any action film. Everything is moving in every frame: not only their emotions, but also everything that surrounds the characters. This film must be watched as one would watch a trial. Twelve people come to testify what they have lived through, what happened, in a very precise historical moment. And their testimony is in part memorised and in part read from a script, to be more precise. They tell a story that is made up of an infinite number of other small intertwining stories. And this makes the film somewhat of a mystery. [...] It is very important to remember the possibility for this Utopia in exactly this moment, because it is repressed every second at every level of life by all means possible. We must go against the tide. We chose 39 main pages of the text, in which there is an almost theatrical and strikingly realistic element, in contrast to the BIOGRAFIA Jean- Marie Straub (Metz, 1933) si trasferisce a Parigi nel 1954 e incontra Danièle Huillet (Parigi, 1936). Lasciano la Francia nel 1958 per Amsterdam, quindi si trasferiscono in Germania. Straub viene condannato in contumacia a un anno di prigione per essersi rifiutato di fare il servizio militare in Algeria (amnistiato nel 1971). Nel 1969 si trasferiscono ancora, da Monaco a Roma. rest of the novel that feels American. It seems like theatre and it is not theatre. Nor is it a narrative novel. They seem like tape recordings of stolen lives, written as if they were improvised by the people, and very poetic when gathered together. Actually, this is our most narrative film, even if everyone else says it says nothing. (Jean-Marie Straub’s declarations at film’s presentation at cinema Arsenale in Pisa, 6th May 2001) EVENTI SPECIALI in contrasto col resto del romanzo, di impronta americana. Sembra teatro e non è teatro; e non è nemmeno romanzo narrativo: sembrano registrazioni della vita rubate al magnetofono, scritte come se fossero improvvisate dalla gente, e insieme molto poetiche. In realtà questo è il nostro film più narrativo, anche se tutti dicono che non racconta nulla.»” (Dichiarazioni di Jean-Marie Straub alla presentazione del film al cinema Arsenale di Pisa, 6 maggio 2001) BIOGRAPHY Jean-Marie Straub (Metz, 1933) moved to Paris in 1954, where he met Danièle Huillet (Paris, 1936). In 1958, they left Paris for Amsterdam and later moved to Germany. Straub was sentenced in absentia to a year in prison for having refused to serve a military term in Algeria (but granted amnesty in 1971). In 1969 they moved again, from Munich to Rome. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Machorka-Muff (1963, cm), Nicht versöhnt oder es hilft nur Gewalt wo Gewalt herrscht (1965, mm), Chronik der Anna Magdalena Bach (1968), Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter (1968, cm), Othon (1969), Einleitung zu Arnold Schenbergs Begleitmusik zu einer Lichtspielscene (1972, cm), Geschichtsunterricht (1973), Moses und Aron (1974), Fortini/Cani (1976), Toute révolution est un coup de dés (1977, cm), Dalla Nube alla Resistenza (1979), Trop tôt, trop tard (1981), En rachachant (1982), Klassenverhältnisse (1984), Der Tod des Empedokles (1987), Schwarze Sünde (1989, mm), Cézanne: Conversation avec Joachim Gasquet (1989, mm), Antigone (1992), Lothringen! (1994, cm), Von heute auf morgen (1997), Sicilia! (1999), Operai, contadini (2001) 37 60 + o – 60 + o – LISANDRO ALONSO LA LIBERTAD (t.l. La libertà) Un giorno nella vita di Misael, giovane taglialegna indio nella sconfinata pampa. Il lavoro, la potatura, la sega all’opera, un certo rispetto ecologico, il riposo, la radio, il cibo, il sonnellino, il furgoncino Ford per trasportare i pini tagliati, la visita al villaggio per vendere il legno, sempre a tirare sul prezzo, telefonare all’amico e avere notizie della mamma, la notte. A day in the life of Misael, a young Indian woodcutter in the sprawling Pampas: work, pruning, the saw, a certain ecological respect, break-time, the radio, food, the nap, the Ford van that transports the cut pine trees, the visit to the village to sell the wood and the constant haggling over the prices, telephone calls to a friend for news about his mother, night. Simple, tedious and poetic, like Semplice, noioso, poetico Piavoli’s Il pianeta azzurro. come Il pianeta azzurro di Lisandro Alonso, a Buenos sceneggiatura/screenplay: Lisandro Alonso Piavoli. Uno dei suoi 26 anni Aires native, spent one of the 26 fotografia/photography (35mm, col.): José Luis Migliora di vita Lisandro Alonso, cityears of his life with Misael, montaggio/editing: Lisandro Alonso, Martin Mainoli tadino di Buenos Aires, li ha before shooting 73 minutes of musica/music: Juan Montecchia passati con Misael, prima di footage among the fields, often interpreti/cast: Rafael Estrada, Javier Didino, Omar girare 73 minuti tra i campi, getting caught up in the desire Didino, Humberto Estrada Mizael Saavedma facendosi spesso prendere la to shoot with a moving camera, produzione/production: R/M Films voglia di girare a cinepresa “from an insect’s height”. How distribuzione/distributed by: Tv OR (Avenue Kleber 42, svolazzante, “ad altezza di is this done? How does one shirk 75116 Paris, France; tel.: 01 44 05 14 00; fax: 01 44 05 14 55; insetto”. Come si fa. Anche even the humanistic inclinae-mail : [email protected]) per togliersi le abitudini tions that Kurosawa Akira had durata/running time: 73’ origine/country: Argentina 2001 umaniste che ancora aveva when he followed another free Kurosawa Akira quando man among the forests, in inseguiva un altro uomo libero tra i boschi, Dersu Uzala. Dersu Uzala? A distinct cinema that launches itself in every Ma il film è anche qui la punta di un iceberg. direction. [...] This is how some of the young Argentine filmDall’Argentina arrivano segnali vitali. Un cinema appunmakers – among the newcomers: Lucrecia Martel, Gustavo tito che si lancia in ogni direzione. […] Ecco che qualche Postiglione, Martino Rejtman, Daniel Burman, Stagnaro and giovane cineasta argentino (tra gli emergenti, Lucrecia Caetano, Juan Taratuto – interprets his own personal “Great Martel, Gustavo Postiglione, Martino Rejtman, Daniel Proletariat Cultural Revolution of the Pampas”. (Roberto Burman, Stagnaro e Caetano, Juan Taratuto) sta intraSilvestri, “il manifesto”, 11th May 2001) prendendo una sua personale “Grande Rivoluzione Culturale Proletaria nelle Pampa”. (Roberto Silvestri, “il BIOGRAPHY manifesto”, 11 maggio 2001) Lisandro Alonso (Buenos Aires, 1975) studied at Buenos Aires Cinema University, then began working as assistant director. BIOGRAFIA Lisandro Alonso (Buenos Aires, 1975) ha studiato all’Università del cinema di Buenos Aires, per poi lavorare come aiuto regista. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Dos en la vereda (1995, cm), La libertad (2001) 41 60 + o – THOMAS ARSLAN DER SCHÖNE TAG (t.l. Un bel giorno) Deniz ha ventun anni. Vive a Berlino e lavora come doppiatrice, ma vuole diventare un’attrice. Ha difficoltà a trovare qualcuno che soddisfi le sue aspettative. Non è felice con il suo ragazzo, Jan. Una mattina d’estate deve prendere una decisione. Incontra Jan in un caffè, vanno a fare una passeggiata e rompe con lui. Completamente disturbata, Deniz vaga per la Berlino estiva. Dopo un test vocale per un ruolo in un film, incontra Diego in una stazione della metropolitana. Passano la serata inseme, ma Deniz sa che il loro incontro non avrà alcun seguito. La mattina dopo si separano. Deniz is twenty-one years old. She lives in Berlin and works as a film dubber, but she wants to become an actress. She has difficulty finding someone who satisfies her expectations. She isn’t happy with her boyfriend, Jan. One summer’s morning she must make a decision. She meets Jan in a café, they go for a walk and she breaks up with him. Completely disturbed, Deniz hurries through summertime Berlin. After a voice test for a role in a film, she encounters Diego in an underground station. They spend the evening together, but Deniz knows this encounter won’t be of any consequence. Early the next morning they part again. Pochissimi film berlinesi si preoccupano della topografia, Very few Berlin films worry about the city’s topography, che o resta irriconoscibile o è tagliuzzata in sfondi pittowhich either remains unrecognisable or is hacked into picturreschi. In realtà, come ci esque backdrops. How do we muoviamo nella città? Che actually move through the city? sceneggiatura/screenplay: Thomas Arslan cosa succede lungo la straWhat happens along the way? fotografia/photography (35mm, col.): Michael Wiesweg da? L’essenza del film di The essence of Thomas Arslan’s montaggio/editing: Bettina Blickwede Thomas Arslan risiede negli films lies just as much in the musica/music: Selda Kaya & shape:mod, Morton Feldman, incontri e nelle conversazioencounters and conversations Saul Williams ni, come pure nelle pause fra as in the pauses in between, the suono/sound: Andreas Mucke-Niesytka essi, nel silenzio e nel movisilence and the movement from scenografia/art direction: Ulrika Anderson costumi/costumes: Anette Guther mento fra un luogo e un one place to another. Deniz interpreti/cast: Serpil Turhan, Bilge Bingül, Florian Stetter, altro. Deniz esce dall’apparleaves her boyfriend’s apartSelda Kaya, Hafize Üner, Hanns Zischler, Elke Scmitter, tamento del suo ragazzo a ment in Kreuzberg. The house Benedict Weber, Özgür Firat, Göhkan Katman, Ali Kreuzberg. La casa ha una has a narrow staircase and Akkas, Stefan Pethke scala stretta e gabinetti in shared toilets, the heavy wooden produzione/production: Pickpocket Filmproduktion, zero comune, pesanti porte di doors typical of old-style buildfilm, ZDF legno tipiche degli edifici ings, and dark entrances. distribuzione/distributed by: Peripher Filmverleih (Segitzdamm vecchio stile, e ingressi bui. Blinding sunlight shines 2, 10969 Berlino; tel.: (49-30) 6142464; fax: (49-30) 6159185; eUna luce accecante filtra dai through half-opened gates into mail: [email protected]) cancelli mezzo aperti sulla the summer city. Summertime durata/running time: 74’ città estiva. Berlino d’estate Berlin is not only a description origine/country: Germania 2001 non è solo la descrizione di of a time of year. It is also a difuna stagione dell’anno. È ferent than wintertime Berlin. anche un luogo diverso dalla Berlino invernale. Gli edifiThe IBE (International Building Exhibition) buildings on ci dell’International Building Exhibition sulla Kochstrasse, where Deniz lives, play out their irritating Kochstrasse, dove abita Deniz, sfoggiano i loro colori irricolourfulness, unusually bright and generous. Der Schöne tanti, inusualmente accesi e generosi. Der Schöne Tag è Tag is almost an alternative to a different, well-known film, quasi un’alternativa a un altro, notissimo film ambientaset in Berlin. Deniz walks. Through the long corridors of to a Berlino. Deniz cammina: lungo i corridoi sotterranei Alexanderplatz underground station with its low ceilings and della stazione della metropolitana di Alexanderplatz con turquoise wall tiles, up shady lakeside shopes in the i soffitti bassi e le pareti rivestite di mattonelle turchesi, Grunewald, along the wide pavements of old Berlin streets, su per pendii ombrosi vicino al lago a Grunewald, lungo through the evening-time Tiergarten illuminated by the headgli ampi marciapiedi delle vecchie strade berlinesi. lamps of cars on the Strasse des 17 Juni. Her long trek through Attraverso la Tiergarten di sera, illuminata dai fari delle the city takes Deniz from the dark dubbing studio to the light automobili sulla Strasse des 17 Juni. Il lungo viaggio casting studio, from a café in Schöneberg to a deserted bathing attraverso la città porta Deniz dal buio dello studio di lake. This is the playing field on which Der Schöne Tag takes 42 BIOGRAFIA Thomas Arslan (Braunschweig, 1962) dal 1963 al 1967 ha vissuto a Essen, dal 1967 al 1971 ad Ankara, dove ha fatto le scuole elementari. Nel 1972 torna in Germania. Dopo aver studiato tedesco a Monaco, ha frequentato l’Accademia Tedesca di Cinema e Televisione a Berlino dal 1986 al 1992. place. (Cristoph Terhechte, Berlin’s Forum 2001 catalogue) BIOGRAPHY Thomas Arslan (Braunschweig, 1962) lived in Essen between 1963 and 1967, and from 1967 to 1971 in Ankara, where he attended elementary school. In 1972 he returned to Essen. After studying German in Munich for two semesters, he studied at the German Film and Television Academy in Berlin from 1986 to 1992. 60 + o – doppiaggio alla luce della sala casting, da un caffè a Schöneberg a un lago deserto in cui tuffarsi. È questo il campo dove si gioca Der Schöne Tag. (Cristoph Terhechte, catalogo del Forum di Berlino 2001) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Im Sommer - die sichtbare Welt (1992), Mach die Musik leiser (1994), Geschwister - Kardesler (1996), Dealer (1999), Der schöne Tag (2001) 43 60 + o – GAHITÉ FOFANA I.T. (IMMATRICULATION TEMPORAIRE) (t.l. Immatricolazione temporanea) Mathias, figlio di una francese, parte per la Guinea alla ricerca del padre naturale. Appena arrivato è aggredito e derubato di tutti gli effetti personali e dei documenti. In un bar incontra John Tra, un giovane e simpatico vagabondo che lo presenta a sua sorella Rama. Quest’ultima lo accompagna a Fria, una città industriale in declino in cui a quanto pare abita il padre, visto che in passato lavorava in una fabbrica del luogo. Rama mette in guardia il giovane francese. La sera incontra nuovamente John in un bar gestito da un uomo di nome Sylla. Mathias non si rende conto che sono stati gli uomini di Sylla a derubarlo il giorno del suo arrivo. Alla fine incontra il padre, ormai vecchio, alcolista e indifferente a tutto. Mathias decide di tornare a Parigi. Ma… sceneggiatura/screenplay: Gahité Fofana fotografia/photography (35mm, col.): Peter Chapell montaggio/editing: Yannick Kergoat musica/music: Sékou Kouyaté suono/sound: Maguette Sala interpreti/cast: Fatoumata Kanté, Gahité Fofana, Yves Guirchand Traoré, Ibrahima Sano, Mohamed Dinah Sampil, Alhassane, Alsény Bah, Houraye Bah, Mamadou Dian Diallo, Taye, Fatoumata, Kadiatou, Ibrahima “B” Soumah produzione/production: ARTE France, Léo & Cie, F. G. F. distribuzione/distributed by: Léo & Compagnie (Rue de Lourmel 42 bis, 75015 Parigi; tel.: (33-1) 45710930; fax: (33-1) 45710939; e-mail: [email protected]) durata/running time: 78’ origine/country: Guinea/Francia 2000 “Si incontrano parecchie persone in I.T.: uno è un francese originario della Guinea, gli altri guineani. Trascorrono insieme parecchio tempo. E si somigliano. Vivono in un ambiente in cui persino il desiderio di mostrare un po’ di calore umano provoca un dolore atroce, vista l’insensatezza delle loro esistenze. Chiunque si rifiuti di prendere in considerazione il futuro, come fanno loro, e viva unicamente per il presente, deve avere un passato spettrale. Il protagonista principale si smarrisce alla ricerca dei suoi parenti. Grazie a un conoscente e all’aiuto delle persone che lo sostengono nella sua ricerca, avrà un futuro. I.T. è un film con attori che somigliano ai personaggi. O è il contrario? Il film mostra una serie di brevi squarci impressionistici della vita guineana: è molto realistico, tragico, triste, eppure scintillante, proprio come i suoi personaggi. È il ritratto di una generazione in Africa, giovani che sanno di 44 Mathias, the son of a Frenchwoman, travels to Guinea to find his natural father. No sooner does he get there than he is mugged and robbed of all his personal belongings and documents. In a bar he meets John Tra, a young and likeable tramp who introduces him to his sister Rama. Rama takes Mathias to Fria, a rundown industrial town in which his father is apparently staying because he used to work in a local factory. Rama warns the young Frenchman about it. In the evening he again meets John in a bar run by a man called Sylla. Mathias doesn’t realise that it was Sylla’s men who robbed him on the day he arrived. He finally meets his father, who is now an old man, wasted, alcoholic and uninterested in anything. Mathias decides to return to Paris. But... “Several people come together in I.T. One is a Frenchman of Guinean origin, the others Guineans. They spend a lot of time together, and they are similar. They live in an environment in which even the will to show human kindness causes excruciating pain in view of the senselessness of their lives. Anyone who refuses to consider the future, as they do, and lives solely for the present must have had a ghostly past. The main protagonist loses his way on the search for his blood relatives. Thanks to an acquaintance and the help of the people who support him in his search, he has a future. I.T. is a film featuring actors who are similar to the characters they play. Or is it the other way around? The film shows a series of short impressions of Guinean life. It is a very down-to-earth film, tragic, sad, yet shimmering, just like the characters themselves. It is the portrait of a generation in Africa, young people who know they are lost and who live for today. They are real.” (Gahité Fofana) BIOGRAFIA Gahité Fofana (1965) ha studiato letteratura e cinematografia a Parigi, per poi farsi un nome come regista di documentari. BIOGRAPHY Gahité Fofana (1965) studied literature and cinematography in Paris. The director previously made a name for himself as a documentary filmmaker. 60 + o – essere perduti e che vivono alla giornata. Sono autentici.” (Gahité Fofana) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Tanun (1995, doc., mm), Une parole, un visage (1995, doc., mm), Témédy (1995, cm), Mathias, le Procès des Gangs (1997, doc., mm), Le Spleil se maquille (1998, doc., cm), I.T. (Immatriculation temporaire) (2000) 45 60 + o – ALAIN GUIRAUDIE CE VIEUX RÊVE QUI BOUGE (t.l. Questo vecchio sogno che si muove) In una fabbrica della provincia francese che sta per chiudere, i pochi operai rimasti aspettano con stanchezza la fine quando arriva un giovane tecnico a smontare un’ultima macchina. Il ragazzo è omosessuale. Colpo di fulmine col responsabile della fabbrica, mentre un altro operaio più anziano che ne è attratto lo mette in guardia, dicendogli che non è l’uomo adatto per lui. Ma non si può decidere chi amare. In a factory in the French suburbs that is about to close down, a group of workers is wearily awaiting the end when a young technician arrives to dismantle the last machine. He is gay. He and the factory supervisor are immediately drawn to one another, while another, older worker, who is also attracted to him, tells the young man to watch out because the supervisor is not the right man for him. But one does not decide who to fall in love with. Ce vieux rêve qui bouge reveals Ce vieux rêve qui bouge ci porta sceneggiatura/screenplay: Alain Guiraudie to us the anxieties of the working nelle angosce operaie – salario fotografia/photography (35mm, col.): Emmanuel Soyer class – minimum wage salaries, minimo di disoccupazione e montaggio/editing: Golonda Ramos unemployment and an uncertain futuro incerto – in quella suono/sound: Dana Farzenhpour future – in a suburban and marFrancia periferica e marginale scenografia/art direction: Morgan Nicolas ginal France that sends home all delle multinazionali che maninterpreti/cast: Pierre Louis-Calixte, Jean-Marie Combelles, those who cannot cut it. [...] But dano a casa chi non serve. […] Jean Segani, Jean-Claude Montheil, Yves Dinse, Serge the film does not speak about this. Ma non ne parla, le lascia Ribes, Jean-Claude Montheil, Rui Fernandes That is, it lets the ideas come out in venir fuori nelle parole, nei produzione/production: Jean-Philippe Labadie, Nathalie the words, in the gestures repeated gesti ripetuti per anni. La fabEybrard, Paulo films for years. The factory becomes a brica diventa il luogo del piadistribuzione/distributed by: Cinexport (Avenue des Champsplace of unproductive pleasure, of cere non produttivo, quel nonElysées 78, 75008 Paris, France, tel.: 33 (0)1 45 62 49 45; fax: 33 (0)1 45 63 85 26; e-mail: [email protected]) non-work vindicated by the best lavoro rivendicato dalle menti durata/running time: 50’ minds, of encounters and seducmigliori, incontri e scambio di origine/country: Francia 2001 tions, of a masculine identity that seduzioni, identità maschile discovers uncertainties and new che scopre incertezza e nuove motivations. The workers come to life during breaks, lunch, at the pulsioni. Gli operai vivono nelle pause: pranzo, fine giornaend of the day, in the shower, at the promise of a drink at the bar. This ta, doccia, la promessa di un bicchiere al bar. Guiraudie is how Guiraudie dismantles globalisation and production-oriented smantella globalizzazione e alienazione produttiva, controlalienation, political control and labour. He changes the “real” reprelo politico e fatica, cambia segno alla rappresentazione sentational meaning of the factory as a place of sublime massacre “vera” della fabbrica contro il sublime del massacro (il Lars (like the Lars von Trier of Dancer in the Dark) into a place of indivon Trier di Dancer in the Dark) per il piacere individuale, vidual pleasure, of the single person living within the collective. della singola persona che vive nella collettività. (Cristina (Cristina Piccino, “il manifesto”, 18th May 2001) Piccino, “il manifesto”, 18 maggio 2001) BIOGRAFIA Alain Guiraudie (Villefranche-de-Rouergue, 1964) autore di corti e mediometraggi, ha scritto la sceneggiatura di un primo lungometraggio, Rabalaire. BIOGRAPHY Alain Guiraudie (Villefranche-de-Rouergue, 1964) is the creator of various short and medium-length films and has also written the screenplay for his first feature, Rabalaire. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Les Héros sont immortels (1990, cm), Tout droit jusqu'au matin (1994, cm), La Force des choses (1997, cm), Du soleil pour les gueux (2000, cm), Ce vieux rêve qui bouge (2001, mm) 46 DANACH HÄTTE ES SCHÖN SEIN MÜSSEN (t.l. Avrebbe dovuto andare bene dopo tutto ciò) “Nel 1974 la donna si suicidò. Nel 1997 rividi l’uomo per la prima volta. Abitava ancora nello stesso appartamento in cui si era trasferito con la moglie e il figlio 41 anni fa. L’appartamento era rimasto letteralmente identico. L’uomo è mio padre. Nei due anni e mezzo successivi, ho usato la mia videocamera digitale per osservare mio padre. L’ho seguito ovunque, persino durante una crociera nei Caraibi. La videocamera fornisce una certa distanza, ma anche intimità.” (Karin Jurschick) sceneggiatura/screenplay: Karin Jurschick fotografia/photography (35mm, col.): Karin Jurschick montaggio/editing: Bettina Böhler suono/sound: Karin Jurschick interpreti/cast: Eva Mattes, Reinhart Firchow produzione/production: Karin Jurschick, ZDF/3sat distribuzione/distributed by: Karin Jurschick (Neusser Str. 356 A, 50733 Köln; tel./fax: (49-221) 8703442; e-mail: [email protected]) durata/running time: 72’ origine/country: Germania 2001 “Sentivo un gran senso d’oppressione quando, dopo molti anni, sono tornata per la prima volta nell’appartamento in cui vive mio padre, e in cui un tempo abitavamo io e mia madre. È stato come fare un balzo nel passato. Ogni cosa era uguale a prima, a partire dalla coperta blu sul letto di mia madre. Ho raccontato quest’esperienza ad amici, e anche se non avevo mai usato una telecamera digitale per scopi privati, una di loro mi consigliò di portarmi la telecamera. Ero scettica, ma ho seguito il suo consiglio, e così ha avuto inizio un’esperienza cruciale. Mio padre era interessato alla telecamera come strumento tecnico: la rispettava ed era curioso. La macchina ha posto la nostra relazione su un piano diverso rispetto al vecchio rapporto padre-figlia. Potevamo parlare di essa in entrambi i sensi. Agiva come uno schermo protettivo, come un modo per creare una distanza nella quale però io potevo “zoomare” su qualsiasi cosa: mio padre, l’appartamento, i ricordi. Potevo osservare gli oggetti da vicino pur restando a distanza, anche fisicamente. Credo che la stessa cosa valga per mio padre, ma al contrario. Trovava più facile parlare con me attraverso la cinepresa piuttosto che direttamente. Una volta ha detto che era incredibile quanto la cinepresa cambi le cose. Questo è stato l’inizio di un processo in cui ho tentato di dare forma a ciò che in precedenza era stato un tabù oppri- 60 + o – KARIN JURSCHICK “In 1974, the woman committed suicide. In 1997, I saw the man for the first time again. He was still living in the same apartment he had moved into with his wife and child 41 years ago. The apartment had remained virtually unchanged. The man is my father. During the course of the next two years and a half, I used my digital video camera to watch my father. I follow him, even on a boat trip through the Caribbean. The camera provides a certain distance, but intimacy as well.” (Karin Jurschick) “It felt very oppressive when, after many years, I returned for the first time to the apartment in which my father lives and my mother and I once lived. It was like a leap back into the past. Everything was as it had always been, right down to the blue blanket over my mother’s bed. I told friends about this experience, and although I had never used a DV camera for private purposes, one of them recommended I take a camera along with me. I was skeptical, but followed her advice. Thus began a very crucial experience. My father was interested in the camera as a technical instrument. He respected it and was curious. The camera put our relationship on a different level from the old fatherdaughter arrangement. We could talk about “it” in both senses. It acted as a protective shield, a way of creating distance through which I could, however, “zoom in” on everything: my father, the apartment and the memories. I could examine things closely while remaining distant, physically too. I think the same applied to my father in reverse. He found it easier to talk to me through the camera than directly. He once said it was amazing how much the camera changes things. That was the beginning of a process in which I tried to give shape to that which had previously been taboo and averwhelming, so that I – and others – could picture it. And giving shape means keeping a distance. (Gabriela Seidel, interview with Karin Jurschick, Berlin’s Forum 2001 catalogue) 47 60 + o – mente, così che io – e altri – potessimo rappresentarlo. E dare forma significa mantenere una distanza.” (Gabriela Seidel, intervista con Karin Jurschick, catalogo del Forum di Berlino 2001) BIOGRAFIA Karin Jurschick (Essen, 1959) ha studiato teatro, film e televisione all’Università di Colonia. Co-fondatrice del Feminale, festival internazionale di film femminili di Colonia. Per cinque anni redattrice culturale nel mensile “Stradtrevue”, ha poi lavorato come autrice per radio e televisione. BIOGRAPHY Karin Jurschick (Essen, 1959) studied theater, film and television at the University of Cologne. She co-founded the international women’s film festival Feminale in Cologne and worked for five year as the culture editor for the monthly magazine “Stradtrevue”. Since then she has written for radio and television. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Danach hätte es schön sein müssen (2001) 48 I LOVE THE SOUND OF THE KALACHNIKOV, IT REMINDS ME OF TCHAIKOVSKY (t.l. Amo il suono del kalashnikov, mi ricorda Cajkovskij) 60 + o – PHILIPPE VARTAN KHAZARIAN “Eccomi qui, insieme a molti altri, a con“Here I am, with many others, watching and templare o celebrare una nuova era – celebrating a new era – believing that images convinto come sono che le immagini can have their own doubts. I will never forget possano anch’esse nutrire dei dubbi. my first ride on the back seat of a scooter. I Non dimenticherò mai la mia prima was five. My father had lost me in Lyon’s corsa sul sellino posteriore di uno scooimmense national park while I was performter. Avevo cinque anni. Mio padre mi ing cartwheels. Alone, surrounded by hunaveva smarrito nell'immenso Parco dreds of Sunday-afternoon strollers, while nazionale di Lione mentre io ero tutto the French National Police were looking for intento a fare a ripetizione la ruota. Solo, me. I finally decided to hitchhike on the nearcircondato da centinaia di persone by road. A stranger jumped off his scooter intente nella loro passeggiata domenicaand started questioning me. What was I le, mentre la Polizia francese mi stava doing here on my own? Why was I crying? cercando, decisi di fare l’autostop nella Where was my home? We were soon flying strada che passava accanto al parco. Uno along the streets of Lyon. Under the helmet, I sconosciuto saltò giù dal suo couldn’t tell who this adult was. sceneggiatura/screenplay: Philippe Vartan Khazarian scooter e cominciò a farmi There were no introductions and fotografia/photography (video, col.): Sacha De Petrossian, delle domande. Cosa facevo when we said goodbye, at the Philippe Vartan Khazarian lì da solo? Perché stavo pianfront door, he held me and made montaggio/editing: Stephane Leclerc gendo? Dove abitavo? Di lì a sure that I would always suono/sound: Felix Le Bars poco volavamo già per le remember that he, who saved me interpreti/cast: Garabed Maguessian, Aravni strade di Lione. Poiché porthat day, was a man.” (Philippe Maguessian, Jana Galoustian, Gerard Chaliand tava il casco, non avrei sapuVartan Khazarian) produzione/production: Khazarian Ltd, Philippe Vartan to dire chi fosse quest’adulto Khazarian che mi stava accompagnanBIOGRAPHY distribuzione/distributed by: New York Times Tv & Film (tel.: 00 44 20 7631 1202; fax: 00 44 20 7631 1203) do. Non ci furono presentaPhilippe Vartan Khazarian durata/running time: 75’ zioni e quando ci salutam(Villeurbanne, France, 1965), origine/country: Francia/Gran Bretagna 2001 mo, davanti alla porta di studied communications at the casa mia, mi strinse e si assiSorbonne in Paris. He works for curò che ricordassi per sempre che lui, il mio salvatore di New York Times Television and Film, where he handles the quel giorno, era un uomo.” (Philippe Vartan Khazarian) production and sale of documentaries. BIOGRAFIA Philippe Vartan Khazarian (Villeurbanne, Francia, 1965) ha studiato comunicazioni alla Sorbona di Parigi. Lavora per New York Times Tv & Film, dove si occupa di produzione e vendita di documentari. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Tomorrow, Another Day (1993, cm), The Last Phoenix (1993, cm), I Love the Sound of the Kalachnikov, It Reminds Me of Tchaikovsky (2001) 49 60 + o – MURALI NAIR PATTIYUDE DIVASAM (t.l. Un giorno da cani) Una volta in una vivace provincia rurale il Signore reggente garantiva la democrazia ai suoi fedeli sudditi, e loro festeggiavano con canzoni gioiose. Come segno del suo grande cuore, il Signore diede il cane reale Apu a Koran, già suo servo obbediente. Koran e la moglie orgogliosamente si prendevano cura del piccolo cane, ammirati da tutto il villaggio. Un giorno, Apu morde un’anatra, e quindi un ragazzo. Si sparsero voci che il Signore avesse mandato il cane tra la gente sapendo che era rabbioso. La pacifica, democratica atmosfera del villaggio era distrutta. Il nuovo leader e gli scoraggiati abitanti del villaggio si volsero contro il Signore che una volta amavano e rispettavano. sceneggiatura/screenplay: Bharathan Njarakal, Murali Nair fotografia/photography (35mm, col.): M. J. Radhakrishnan montaggio/editing: Lalitha Krishna musica/music: Kavalam Narayana Panikkar scenografia/art direction: Shambhavi Kaul interpreti/cast: Sudhas Thayat, Manilal, Thomas V., Lakshmi Raman, K. Krishna Kaimal, Vinu Prasad produzione/production: Flying Elephant Films distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue Lamartine 24, 75009 Paris, France; tel.: 01 49 70 03 70; fax: 01 49 70 03 71; email: [email protected]) durata/running time: 74’ origine/country: India/Gran Bretagna 2001 “Pattiyude divasam è stato girato nello stato più meridionale dell’India, nel piccolo villaggio di Monconbu, nella provincia centrale di Kuttanadu. Manconbu è un villaggio sperduto, il che ha reso le riprese più difficili. Non c’erano alberghi. Dovevamo cercare case vuote per alloggiare la troupe con i servizi basilari. L’acqua non era il massimo! Ma l’aspetto interessante è che la regione è famosa per le sue coltivazioni di riso. La cultura tradizionale è intatta. Questo rende le pose e i volti molto particolari, aspetti che stanno rapidamente scomparendo dall’India contemporanea, anche nel Kerala. Ho molto apprezzato l’ospitalità e il calore dei locali. Tutti gli attori nel film sono non professionisti. Vengono praticamente tutti dal villaggio di Monconbu.” (Murali Nair) BIOGRAFIA Murali Nair (Anandapuram, Kerala, 1966), diplomato in Geologia, ha fatto i suoi studi cinematografici all’Istituto Xavier di Bombay. Ha lavorato come aiuto regista. Once in a colorful rural province, the ruling Lord granted democracy to his faithful citizens. They celebrated with joyous song. As a token of his good will, the Lord gave the royal dog Apu to his former obedient servant, Koran. Koran and his wife proudly cared for the small dog, admired by all the village. One day, Apu bit a duck, then later a boy. Rumor spread that the Lord knowingly sent Apu amongst the people because the dog had rabies. The peaceful democratic atmosphere of the village was disrupted. The new leader and the disheartened villagers turned against the Lord they once loved and respected. “Pattiyude divasam was shot in the small, southernmost state of India, in the small village of Monconbu, in the central province of Kuttanadu. Manconbu is a remote village, which certainly made the filming more difficult. There were no hotels. We had to look for empty houses to lodge crew with basic facilities. The water wasn’t great! But the interesting aspect is that the region is very well known for its rice paddy cultivation. Traditional culture is very intact. This makes for a very different attitude and especially faces, aspects which are quickly disappearing from contemporary India, even in Kerala. I really appreciated the hospitality and warmth of the locals. All the performers in Pattiyude divasam are nonprofessionals. They’re practically all from the village of Monconbu.” (Murali Nair) BIOGRAPHY Murali Nair (Anandapuram, Kerala, 1966) graduated in Geology. He studied film at Xavier Institute in Bombay. He has worked as an assistant director. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Tragedy Of An Indian Farmer (1993, cm), Coronations (1994, cm), Oru Neenda Yathra (1996, cm), Marana Sinhasanam (1999), Pattiyude divasam (2001) 50 PROPOSTE VIDEO Videoritratti PROPOSTE VIDEO GOZU NAOE OSHIMA ’99 Nell’aprile del 1999 Oshima Nagisa ha iniziato le riprese di Gohatto, il suo primo film dopo un silenzio di 13 anni. Il progetto era stato annunciato nel gennaio del ’96, ma poco dopo un ictus aveva lasciato Oshima semiparalizzato e appena in grado di parlare. Dopo aver sopportato una dura riabilitazione fisica, il maestro ha autorizzato Gozu Naoe a portare una handycam sul set di Gohatto, dove per otto mesi la regista ha seguito il lavoro dei “Compagni”, un gruppo di attori e tecnici orgogliosamente fedeli a Oshima. Betacam SP fotografia/photography (col.): Gozu Naoe, Ito Shinji montaggio/editing: Asano Naohiro narratore/narrator: Kishimoto Tamae produzione/production: Gozu Naoe, NHK-Japan Broadcasting Corporation, NHK Enterprise 21, Tv Man Union durata/running time: 73’ origine/country: Giappone 1999 BIOGRAFIA Gozu Naoe (Nagano, 1953) dopo essere entrata alla Tv Man Union ha vinto vari premi per documentari e fiction. Nel 1995 ha prodotto Maborosi, no hikari di Kore’eda Hirokazu, e ha vinto il premio per la miglior produttrice tv giapponese. Nel 1999 il Festival del Cinema Indipendente Giapponese l’ha dichiarata “Miglior nuova regista”. BIOGRAPHY Gozu Naoe (Nagano, 1953). After joining TV Man Union she earned several awards for her documentaries and dramas. In 1995 she produced Maborosi, no hikari directed by Kore’eda Hirokazu, and she won the Japanese Female Broadcaster Award. In 1999 she was declared “Best new director” at the Japanese Indipendent Film Festival. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Falling into the Evening (1998), Oshima ’99 (1999) 54 In April 1999 Oshima Nagisa began filming Gohatto, his first film in 13 years. The project had been announced in January 1996, but soon after, during a visit in London, Oshima suffered a severe stroke wich left him paralyzed on his right side and barely able to speak. After enduring a tough physical rehabilitation, the master allowed Gozu Naoe to take a handycam onto the set of Gohatto, where for eight months she filmed the work of the “Comrades”, a group of actors and technicians fiercely loyal to him. TAKESHI KITANO L’IMPRÉVISIBLE (t.l. Takeshi Kitano l’imprevedibile) Un’intervista a Kitano Takeshi il comico, attore e regista giapponese definito nel film “imprevedibile”. Kitano parla della sua attrazione per la violenza, della sua infanzia, del rapporto con le riprese, rivelando un personaggio toccante, strano e misterioso An interview with Kitano Takeshi, the Japanese comic, actor and director who is defined as “unpredictable” in the film. Kitano talks about his attraction to violence, his childhood and his relationship with shooting films, revealing a touching, strange and mysterious character. BIOGRAFIA Jean-Pierre Limosin, regista e critico francese, ha conosciuto la notorietà internazionale con Tokyo Eyes, tra i cui interpreti figurava Kitano Takeshi. BIOGRAPHY A French director and critic, Jean-Pierre Limosin first received international acclaim with Tokyo Eyes, which featured Kitano Takeshi among the cast. VIDEORITRATTI JEAN-PIERRE LIMOSIN sceneggiatura/screenplay: Jean-Pierre Limosin fotografia/photography (video, col.): Jean-Marc Fabre, Sakuma Eiichi montaggio/editing: Danielle Anezin, Thierry Demay produzione/production: AMIP, INA-Entreprise, La SeptArte, Office Kitano origine/country: Francia/Giappone 1999 FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Faux fuyants (1983), Gardien de la nuit (1986), L’autre nuit (1988) Cinéma de notre temps: Abbas Kiarostami (1994, doc.), Tokyo Eyes (1998) Takeshi Kitano, l’imprévisible (1999, doc.) 55 PROPOSTE VIDEO SHINOZAKI MAKOTO JAM SESSION THE OFFICIAL BOOTLEG OF KIKUJIRO (t.l. Jam Session Il bootleg ufficiale di L’estate di Kikujiro) Documentario unico nel suo genere, realizzato durante le riprese del film di Kitano Takeshi L’estate di Kikujiro. Il regista cerca di seguire ogni fase del processo produttivo. 150 giorni di riprese, più di 100 ore di materiale girato, finiti dentro questo documentario che si articola come una “jam session”. BIOGRAFIA Shinozaki Makoto (Tokyo, 1963) esordisce nella regia nel 1995 con Okaeri, lungometraggio pluripremiato a Nantes, Berlino, Montreal e Dunkerque. A unique documentary in its genre, this is the official bootleg of Kitano Takeshi’s Kikujiro. Director Shinokazi tries to follow every phase of the production process. 150 days of shooting, more than a hundred hours of shot material all flow into this documentary that seems just like a “jam session”. fotografia/photography (video, col.): Kawazu Taro, Shinozaki Makoto montaggio/editing: Kikawa Manabu, Shinozaki Makoto musica/music: Hishaishi Joe suono/sound: Shinbo Masahiro produzione/production: Mori Masayuki, Yoshida Takio durata/running time: 93’ origine/country: Giappone 1999 BIOGRAPHY Shinozaki Makoto (Tokyo, 1963) made his direction debut in 1995 with Okaeri, a long film which has received awards in Nantes, Berlin, Montréal and Dunkerque. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Okaeri (1995), Jam Session - The Official Bootleg of Kikujiro (1999, doc.) 56 VIDEORITRATTI MASSIMO DI FELICE JAPOP! Japop! (Japan+Pop) esplora il Giappone contemporaneo nelle espressioni della cultura popolare e della sua metropoli: Tokyo. Nei quattro episodi (Robotism, Cosplayer, Demolitori e Love) vengono presi in esame i diversi aspetti della cultura e sub-cultura giapponese e i suoi protagonisti, costruendo una visione del Giappone di oggi. Japop! (Japan+Pop) explores contemporary Japan in how its pop culture and its metropolis, Tokyo, express themselves. Various aspects of Japanese culture and sub-culture, as well as their leading figures, are examined in the four episodes (Robotism, Cosplayer, Demolitori and Love), creating a vision of Japan today. BIOGRAPHY Massimo Di Felice (Rome, 1963) is the high priest of the BIOGRAFIA “Chiesa della Elettrosofia” Massimo Di Felice (Roma, [“Church of Electrosophy”] 1963), primo sacerdote della founded in Rome in 1990 for the consulente/consultant: Pio D’Emilia “Chiesa della Elettrosofia” practice of home rites and sesfotografia/photography (video, col.): Massimo Di Felice fondata a Roma nel 1990 per sions of self-taught techno-mysmontaggio/editing: Massimo Di Felice, Adriano Mestichella traduzioni/translations: Arturo Camillacci, Eva Magliocchetti praticare riti e sedute casalinticism. He began directing short produzione/production: Canal Jimmy, Elettrosofia s.r.l. (via ghe di autoformazione tecniprogrammes for TMC and Annia Faustina 14a, Roma; www.elettrosofia.com) co-mistica. Inizia a lavorare Raitre, among other channels. durata/running time: 4 episodi di 30’ come regista di contributi Soon, micro-reportages, videos, origine/country: Italia 2000 per TMC e Raitre, tra gli altri. themes, promos and documenSeguiranno micro-reportage, taries followed. In 2000, he videoclip, sigle, promo, documentari. Ha fondato nel founded Elettrosofia s.r.l., a production company/independent 2000 Elettrosofia s.r.l., casa di produzione/factory indifactory that produces documentaries and fictional programmes pendente che produce per le televisioni sia documentari for television. He also creates live performances for the “off” che fiction e per il circuito off realizza live-performances. circuit. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Buio Pesto (1987), Vita su Marte (1988), Inediti Lumière; Monarchia o Repubblica; Etologia Umana (1988), Opzioni (1990), Floyd (1991), Triplex (1993), Buongiorno Serbia (1996), Diventa quello che sei (spettacolo multimediale) (1997), Lounge!; Bologna (1999), Le Torri di Kenzo Tange (1999), Japop!; Vinile!; Super8!; Mostri! (2000), Orrore!; Tacchi Alti; Che hai sulla testa? (2001) 57 PROPOSTE VIDEO NAGASAWA - GIANNETTI - DE VITO WAKAMONO: I GIOVANI DI TOKYO Un viaggio attraverso il variegato mondo dei giovani in un paese, il Giappone, che sta vivendo un momento di grande trasformazione sociale e culturale. Il documentario si snoda attraverso un’analisi del mondo giovanile giapponese fatta da Murakami Ryu, scrittore e regista conosciuto soprattutto per il film Tokyo Decadence e attraverso le voci dei giovani che parlano di se stessi e delle proprie tensioni tra passato, presente e futuro. A journey through the diversified world of young people in Japan, a country that is going through a moment of great social and cultural transformation. The documentary builds on the analysis of youth culture presented by Murakami Ryu, the writer and director best known for his film Tokyo Decadence, and through the voices of the young people that talk about themselves and their tensions with the past, present and future. BIOGRAPHY fotografia/photography (video, col.): Marco Fiata montaggio/editing: Mirco de Vito BIOGRAFIA Alessandra Giannetti (Terracina, produzione/production: Arim Video Alessandra Giannetti (Ter1968) graduated in Japanese distribuzione/distributed by: Arim Video (via Gregorio VII racina, 1968), laureata in Literature and Japanese. She is a 494, 00165 Roma; tel.: 06 66018852) Lingua e letteratura giappovideomaker and coordinator of durata/running time: 21’ nese, è autrice video e coordiJapanese television productions. origine/country: Italia 2000 natrice di produzioni televiNagasawa Ai (Osaka, 1973) sive giapponesi. Nagasawa graduated in Russian Literature. Ai (Osaka, 1973), laureata in Letteratura russa, è autrice, She is a videomaker, graphic artist and video editor. Mirco De grafica e montatrice video. Mirco De Vito (Roma, 1974) è Vito (Rome, 1974) is a videomaker and video editor. autore e montatore video. 58 IL MUSEO PIÙ VELOCE DEL MONDO Il Museo più veloce del mondo punta il suo potente cannocchiale sulla Cina, passando dalle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese a Pechino al raduno mondiale degli aquiloni, arte inutile e scienza per diletto, alle trasformazioni impressionanti delle metropoli del Sud, Hong Kong e Shenzen. Il commento, a metà fra il saggio e la prosa d’arte, si posa, ironico come una peripezia, sui caleidoscopici mutamenti dell’immagine. Il Museo più veloce del mondo rappresenta il tentativo di decifrare e comprendere un paese che negli ultimi vent’anni ha subito il più grande e veloce mutamento mai registrato nella storia dell’umanità. Dvideo sceneggiatura/screenplay: Carlo Laurenti fotografia/photography: Andrea Cavazzuti montaggio/editing: Andrea Cavazzuti voce/voice: Carlo Laurenti produzione/production: Alfaclap durata/running time: 4 puntate di 20’ origine/country: Italia 1999-2000 BIOGRAFIA Andrea Cavazzuti (Milano, 1959). Laureato in Lingua e letteratura cinese all’università di Venezia, dalla fine degli anni ’70 si dedica alla fotografia di paesaggio (espone a Viaggio in Italia, Bari 1982; XVII Triennale di Milano; a Vigo, Spagna; a Pechino 1993 ecc.) e dal 1994 realizza indipendentemente video artistici e documentari in digitale. Dal 1982 ha vissuto prevalentemente in Cina a Shanghai, Hong Kong e Pechino. Carlo Laurenti (Roma, 1954). Sinologo e umanista, ha curato traduzioni del Chuang-tzu e altre numerose edizioni e traduzioni di testi sinologici. Collabora a trasmissioni culturali radiofoniche della Rai e alla pubblicazione, in Cina, di opere sulla cultura italiana. VIDEORITRATTI ANDREA CAVAZZUTI - CARLO LAURENTI Il Museo più veloce del mondo [The Fastest Museum in the World] directs its powerful gaze at China, from the 50th anniversary celebration of the People’s Republic of China in Beijing to the international kite competition, a useless art and scientific hobby; from the impressive transformations of the southern cities, Hong Kong and Shenzen to.... The commentary, which is full of ironic vicissitude and is halfway between essay and artistic prose, rests upon the kaleidoscopic mutations of the images. Il Museo più veloce del mondo represents an attempt to decipher and understand a country that has undergone the biggest and fastest changes ever recorded in the history of humankind. BIOGRAPHY Andrea Cavazzuti was born in Milan in 1959. He graduated in Chinese Literature and Chinese at the University of Venice. In the late 70s he dedicated himself to landscape photography (he has had shows in Bari, Italy in 1982; the XVII Triennale in Milan; in Vigo, Spain; Beijing in 1993 etc.). He has been making video projects and digital documentaries independently since 1994. Since 1982 he has been living, for the most part, in China, in Shanghai, Hong Kong and Beijing. Carlo Laurenti was born in Rome in 1954. A scholar of Chinese studies and the humanities, he has edited Chuang-tzu translations as well as numerous editions and translations of Chinese texts. He works for Rai radio on their cultural programmes and in China has worked on publishing texts on Italian culture. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY (Andrea Cavazzuti) Trilogia pechinese (1996, con Olivo Barbieri e Daria Menozzi), L’ideogramma capovolto (1998, con Olivo Barbieri e Daria Menozzi), Il museo più veloce del mondo (1999-2000, con Carlo Laurenti), Bambini - Fiction Kids (1999-2000), Life is not easy (1999-2000), Pechino, un giorno (1999-2000, con Francesco Sisci) 59 PROPOSTE VIDEO FRANCESCO CONVERSANO - NENE GRIGNAFFINI MOSCA NON HA CUORE IL MONDO DI VLADIMIR SOROKIN Puntata di una serie Rai dedicata a giovani talenti della narrativa che parlano della loro città. An episode from a series dedicated to young writers talking about their cities. VHS fotografia/photography (col.): Paolo Santolini, Viktor Ivanov montaggio/editing: Stefano Barnaba suono/sound: Alessandro Pinto produzione/production: Rai Radiotelevisione Italiana, Movie Movie durata/running time: 51’ origine/country: Italia 2000 60 NELLA TERRA DEI DACI LIBERI Al confine tra la Romania e l’Ucraina, nella regione del Maramures, un piccolo villaggio chiamato Sapinta ospita uno dei più importanti gioielli della cultura romena: il suo cimitero. Stan Ion Patras, scultore e poeta, ha composto e realizzato nel cimitero Vesel centinaia di stele funerarie che ripercorrono e inquadrano la vita dei defunti in una sorta di Spoon River romeno. Sarà attraverso le stele funerarie di contadini, minatori, falegnami e massaie che entreremo nella vita, nelle abitudini e nelle tradizioni di gente semplice e ospitale, scoprendo una società contadina dove il tempo sembra essersi fermato decine di anni fa. Mini DV fotografia/photography (35mm, col.): Gheorghe Pop montaggio/editing: Paolo Mercadini post-produzione/post-poduction: Roberto Grassi consulente musicale/musical consultant: Luca Perini voci/voices: Teresa Piazza e Antonio Bonanotte produzione/production: Potlach Productions (via Gerace, 1B, 00100 Roma tel.: 06/70306930; e-mail: [email protected]) durata/running time: 45’ origine/country: Italia 2001 BIOGRAFIA Sergio Pelliccioni (Roma, 1970), si laurea con il Dipartimento di Tradizioni Popolari dell’Università di Roma La Sapienza dopo aver realizzato una ricerca antropologica di nove mesi in Romania e dopo aver seguito corsi di perfezionamento di antropologia visuale all’Università Saint Denis, Parigi 8. Collabora da tre anni con il progetto Teche Rai e realizza documentari e video per istituzioni pubbliche e istituti di ricerca. Silvia Lazzarini (Verona, 1971), si laurea all’Università di Roma La Sapienza in Storia del cinema nel 1997. Frequenta per un anno il dipartimento di cinema dell’Università di Paris 3 La Sorbonne Nouvelle a Parigi, corsi di realizzazione e montaggio video al Down Town Community Center di New York e alla Stadion Produzioni di Roma. Collabora da due anni al progetto Teche Rai. VIDEORITRATTI SERGIO PELLICCIONI - SILVIA LAZZARINI On the border between Rumania and the Ukraine, in the Maramures region, a small village named Sapinta contains one of the most important jewels of Romanian culture: its cemetery. In the Vesel cemetery, sculptor and poet Stan Ion Patras has created hundreds of funereal stele describing the lives of the deceased in a kind of Romanian Spoon River Anthology. We enter into the lives, habits and traditions of these simple and hospitable farmers, miners, woodworkers and housewives through the stele, to discover a farming community where time seems to have come to a standstill ten years ago. BIOGRAPHY Sergio Pelliccioni (Rome, 1970) got a degree in Popular Cultures from the University of Rome La Sapienza after having conducted anthropological research in Rumania for nine months and after having taking a specialisation course in visual anthropology at the University Saint Denis, Paris 8. He has been working on the Teche Rai project for three years and has made documentaries and videos for public and research institutions. Silvia Lazzarini (Verona, 1971) got a degree in Film History from the University of Rome La Sapienza in 1997. She attended the film school at the University of Paris 3 La Sorbonne Nouvelle for one year, and took editing courses at the Downtown Community Center in New York and at Stadion Produzioni in Rome. She has been working on the Teche Rai project for two years. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Nella terra dei Daci liberi (2001) 61 PROPOSTE VIDEO VILLI HERMANN LUIGI EINAUDI DIARIO DELL’ESILIO SVIZZERO L’8 settembre 1943 Luigi Einaudi, futuro primo presidente della Repubblica Italiana, abbandona Torino occupata dalla Wehrmacht e raggiunge la Svizzera. È la “fuga del popolo dinanzi al barbaro”, scrive Einaudi nel suo Diario dell’esilio. Utilizzando stralci del Diario, Villi Hermann dà la parola alle persone ancora in vita (svizzeri e italiani, militari e partigiani, ebrei respinti dalla svizzera e sopravvissuti alla Shoah) e delinea così un ritratto del periodo, visto da una prospettiva inedita. (Catalogo del Festival di Locarno 2000) BIOGRAFIA Villi Hermann è uno dei nomi più importanti della cinematografia svizzera. sceneggiatura/screenplay: Villi Hermann fotografia/photography (video, col.): Hans Stürm montaggio/editing: Gianni Schmidhauser musica/music: Ludovico Einaudi suono/sound: Villi Hermann produzione/production: Imagofilm SA distribuzione/distributed by: Imagofilm SA (viale Cassarate 4, CH-6900 Lugano; tel.: +41 91 9226831; fax: +41 91 9220688; e-mail: [email protected]) durata/running time: 73’ origine/country: Svizzera 2000 On the 8th of September 1943, Luigi Einaudi, future first president of the Italian Republic, abbandoned Turin, which was occupied by the Wehrmacht, and went to Switzerland. It was “the flight of the people in the face of the barbarians”, he wrote in his Diary of Exile. Taking this as a starting point, Villi Hermann interviews those individuals still alive (Swiss and Italian, soldiers and partisans, Jews who were denied entry to Switzerland and survived the Holocaust), who provide an account of this troubled period from an unusual perspective. (Locarno’s Festival 2000 catalogue) BIOGRAPHY Villi Hermann is one of the leading names in Swiss cinema. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY San Gottardo (1977), Matlosa (1981), Innocenza (1986), Bankomatt (1989), Tamaro (1999), Luigi Einaudi. Diario dell’esilio svizzero (2000) 62 LEONARDO SCIASCIA - AUTORITRATTO montaggio/editing: Mario di Chiara musica/music: Erik Satie produzione/production: Rai Educational durata/running time: 27’ origine/country: Italia 2000 VIDEORITRATTI VIDEO RITRATTI PASQUALE MISURACA VITTORIO DE SICA - AUTORITRATTO montaggio/editing: Andrea Spinella produzione/production: Rai Educational durata/running time: 27’ origine/country: Italia 2000 Interviste e filmati d’epoca della Rai in cui De Sica e Sciascia parlano della propria vita, del proprio lavoro, della società italiana. BIOGRAFIA Pasquale Misuraca è nato nel 1948 a Siderno, in riva al mar Ionio, e vive a Roma. Si è diplomato al Liceo Artistico e laureato in Sociologia. Insegna Educazione Artistica e Sociologia della conoscenza. Ha pubblicato articoli di carattere politico e culturale, saggi di genere letterario e critico, e il libro di scienza della storia e della politica Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci (1978). Interviews and clips from Rai in which De Sica and Sciascia speak about their lives, their work and Italian society. BIOGRAPHY Pasquale Misuraca was born in 1948 in Siderno, on the coast of the Ionic Sea, and now lives in Rome. He received a diploma from an artistic lyceum and a university degree in Sociology. He taught Art Education and Cognitive Sociology. He has published articles on politics and culture, literary and critical essays and a book on historical and political science entitled Sociology and Marxism in the Criticisms of Gramsci (1978). VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Angelus Novus (1987), I sofisti (1989), L’etica di Aristotele (1989), La bobina dell’occhio ferito (1990), Vita e morte di (1991), Non ho parole (1992), Le ceneri di Pasolini (1993), Vita all’incontrario di Mimmo Pesce (1994), Autoritratti vagabondi: Kafka - Gramsci - Hitchcock - Pasolini (1995), Ciprioti (1995), Amorosa Caterina (1995), Nostalgia delle città proibite (1996), Prima di cominciare (1997), Santarielli d’Amantea (1997), Al secolo Totò (1998), Fe y controversia en Yumbel (1999), San Sebastián en Yumbel (1999), Retrato del Padre Pedro Campos (1999), Retrato del Padre Esteban Gumucio (1999), Leonardo Sciascia - Autoritratto (2000), Vittorio De Sica - Autoritratto (2000), La vigilia (2001) 63 PROPOSTE VIDEO PASQUALE MISURACA LA VIGILIA Davanti alla videocamera una ragazza, dopo aver fallito l’esame a una scuola di teatro, dice addio ai genitori, al ragazzo, al mondo, alla vita. After having failed her theatre school exam, a young girl speaking into a video camera says goodbye to her parents, her boyfriends, the world, life. Perché ho chiesto di non proiettare i miei audiovideo sul grande schermo. di Pasquale Misuraca Why I asked that my audiovideos not be projected on the big screen. by Pasquale Misuraca Il cinema sta finendo, seconI believe that cinema is dying. do me. Voglio dire quella By that I mean the historic form forma storica dell’arte audioof audiovisual art that presupvisiva che suppone la pellicoposes film stock, the large thela, la grande sala, il grande atre, the big screen, the mass sceneggiatura/screenplay: Pasquale Misuraca schermo, il pubblico di public, and the circus: the cammontaggio/editing: Mario di Chiara massa, e il circo: la cinepresa era and cameraman, the lights musica/music: Claudio Barria Mancilla e l’operatore, le luci e il diretand the cinematographer, the interpreti/cast: Gayle Li Maxwell Ilabaca tore della fotografia, il carreldolly and the operator, the set produzione/production: ALFAZITA lo e il macchinista, la scenoand the artistic designer, the durata/running time: 29’ grafia e lo scenografo, i costumes and the costume origine/country: Italia 2000 costumi e il costumista, l’atdesigner, the actress and the trice e il truccatore e via enumake-up artist. The list of all the merando l’apparato che serviva per realizzarlo e che si devices needed to create film goes on, devices that up until yesfrapponeva fino a ieri necessariamente tra l’astante e l’eterday inevitably came between the onlooker and the event, the vento, lo spettatore e l’opera. Sta finendo perché sta spectator and the work. Cinema is dying because the historical finendo la forma storica di società che l’ha fatto nascere e social model that created it and kept it alive is dying: the socievivere: la società dei partiti politici, dei sindacati operai e ty of political parties, of labour and farm unions, of nationcontadini, degli stati nazionali, degli uomini-massa. Dalle states, of mass movements. From its ashes (still hot and full of sue ceneri (ancora calde e piene di tizzoni ardenti) sta burning embers) another society is growing, which is building nascendo un’altra società, la quale si sta costruendo una a different kind of audiovisual art from, the principal product of diversa forma storica dell’audiovisivo, il prodotto princiwhich is exactly the “audiovideo” that I am going to present. pe del quale è appunto l’audiovideo, che vado a presenNaturally, I am speaking about my audiovideos because, havtare. Naturalmente parlo dei miei audiovideo, perché li ing made them, I know them best, and because deep down a conosco meglio degli altri (avendoli fatti) e perché un director theorises about his work. So, let us set aside Leonardo autore sotto sotto teorizza sempre la sua opera. Allora, Sciascia Self-Portrait and Vittorio De Sica Self-Portrait, two lasciamo da parte Leonardo Sciascia - Autoritratto e Vittorio edited videos that I created for Italian television (Rai De Sica - Autoritratto, due video di montaggio che ho Educational) using only archival material, and let us examine costruito per la televisione italiana (Rai Educational) con La vigilia, an audiovideo that I shot (shot?) in Santiago de soli materiali d’archivio, e prendiamo in esame La vigilia, Chile and edited (edited?) in Rome, in the beginning of 2001. un audiovideo che ho girato (ho girato?) a Santiago del Between the spectator and the work there is no more circus: the Cile e montato (montato?) a Roma, in questo inizio del protagonist turns on the camera and records and is recorded. A 2001. Tra lo spettatore e l’opera non c’è più il circo: il prosubjective shot finally directed and justified. The first tagonista accende la telecamera e registra e si registra. audiovideo work was born: first person singular of the present Una soggettiva finalmente diretta e giustificata. È nata indicative. I audio and video for you, single subject spectator. l’opera audiovideo: prima persona singolare del presente This realism is different from New and True Realism, in which indicativo. Io audio e video per te, singolo soggetto spetone saw and heard through an invisible witness that, however, 64 substituted the circus; and different from “Nouvelle” and “Vague” Realism, with its ostentatious presentation of the circus in the frames and in the conspicuous editing. Yet this aspect of the audiovideo is not only a new technical possibility, a new material condition that is fundamental, however, for the very reason that the condition is essential to the endeavour itself. To quote Karl Marx (you remember his marvellous Preface to A Contribution to the Critique of Political Economy?): “Mankind always sets itself only such tasks as it can solve; since, looking at the matter more closely, it will always be found that the task itself arises only when the material conditions of its solution already exist or are at least in the process of formation”. The audiovideo is also a new category of linguistic effects, to practice and to theorise about: from the already established material conditions to the practical and theoretical initiatives that are possible and therefore necessary. Therefore, to get back to the screening, the watching and listening of audiovideo works should be done, for the love of clarity and with the art of consequence, with a video player and a television (“Everything that is excess comes from evil.”). In front of which are a handful of spectators who know and recognise each other, a handful of you. VIDEORITRATTI VIDEO RITRATTI tatore. Un realismo diverso dal Nuovo e Vero Realismo, nel quale si vedeva e si sentiva attraverso un testimone invisibile che supponeva però il circo, e diverso dal Nuovo e Vago Realismo, con la sua ostentazione del circo in campo e del montaggio visibile. Ma questa dell’audiovideo non è soltanto una nuova possibilità tecnica, una nuova condizione materiale, la quale però è fondamentale per la buona ragione che la condizione è sostanziale all’iniziativa. Per dirla con Karl Marx (vi ricordate la sua meravigliosa prefazione a Per la Critica dell’Economia Politica?): «L’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione». È anche, questa dell’audiovideo, una nuova effettualità linguistica, da praticare e da teorizzare. Dalle condizioni materiali ormai date alle iniziative pratiche e teoriche possibili e per ciò necessarie. Dunque, parlando di proiezione, la visione e l’ascolto delle opere audiovideo si dovrebbe realizzare, per amore di chiarezza e con l’arte della conseguenza, attraverso un registratore e un televisore («Il di più viene dal Maligno»). Di fronte al quale stiano un pugno di spettatori, che si conoscono e si riconoscono, un pugno di tu. 65 Nuove proposte video PLUMES (t.l. Piume) In un luogo mitico e fuori del tempo come un’isola, l’apparizione di una donna uccello diviene simbolo di una perduta età dell’oro. Plumes, liberamente ispirato alla commedia di Aristofane Gli uccelli, è una riflessione sul destino umano che attraversa, con una serie di citazioni e pratiche visive, le principali formulazioni artistiche novecentesche intorno ai temi concettuali di forma e movimento. In a mythical place that is beyond time, like an island, the apparition of a woman bird becomes a symbol of a lost golden age. Plumes, loosely inspired by Aristofanes’ The Birds, is a reflection on human destiny that develops through a series of quotes and visual experiences on the principle artistic formulations of conceptual themes of form and movement of the 1900s. NUOVE PROPOSTE VIDEO GIOVANNA AMARÙ fotografia/photography: Paolo Schembari montaggio/editing: Marco Sciveres musica/music: George Crumb, Claudio Monteverdi, Arvo Part interpreti/cast: Giovanna Amarù (danzatrice), Carlo Ferreri, Paolo Schembari voce/voice: Carlo Ferreri, Giovanna Amarù produzione/production: consorzi Oltremare durata/running time: 17’ origine/country: Italia 2000 67 PROPOSTE VIDEO MARCO AMORINI I AM AN EYE (t.l. Sono un occhio) “Philip K. Dick inizia il romanzo A Scanner Darkly con la frase: ‘I am an eye’ (‘Io sono un occhio’). Essere un occhio significa porre attenzione alle relazioni che viviamo con il mondo esterno, sul quotidiano e sulla minaccia che esso rappresenta attraverso il continuo ripetersi delle azioni.” (Marco Amorini) BIOGRAFIA Marco Amorini (Roma, 1961), artista, lavora con fotografia e video. Al centro della sua indagine ci sono i rapporti che si instaurano tra l’individuo e la metropoli. Le sue opere hanno fatto parte della rappresentanza italiana del Padiglione dell’Unione Europea ad Hannover per l’Expo 2000. “Philip K. Dick begins his novel A Scanner Darkly with the phrase: ‘I am an eye’. Being an eye means drawing attention to daily events and the threats they pose through the continual repetition of actions.” (Marco Amorini) Betacam SP fotografia/photography: Marco Amorini montaggio/editing: Roberto Grassi interpreti/cast: Debora Giannetti produzione/production: Marco Amorini durata/running time: 2’15’’ origine/country: Italia 2000 BIOGRAPHY Marco Amorini was born in Rome and is an artist who works with photography and video. Established relationships between the individual and the city are at the core of his investigations. His work was part of the Italian exhibition at the European Union Pavilion at Expo 2000 in Hannover. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Discensore (1998), Città continua (2000), I Am an Eye (2000), Città meccanica (2001) 68 THESE ARE NOT MY IMAGES (t.l. Queste non sono le mie immagini) Il viaggio in Oriente di una cineasta disillusa accompagnata da una guida semicieca. Un film che ripropone il tema dell’interrogazione dei limiti del documento filmato, di quanta realtà esso può conservare e nello stesso tempo a quale grado di manipolazione può essere sottoposto. BIOGRAFIA Irit Batsry, newyorkese, è un’artista di video e installazioni che ha ricevuto numerosceneggiatura/screenplay: Irit Batsry sissimi riconoscimenti in più fotografia/photography: Irit Batsry di 30 paesi. Tra questi si citano montaggio/editing: Irit Batsry quelli ricevuti nel l992 dalla suono/sound: Stuart Jones Guggenheim Foundation produzione/production: Academy of Media Arts (Colonia), Fellowship, e nel 1996, il La Sept/ARTE Grand Prix Video de Création durata/running time: 80’ origine/country: USA/Francia/Germania/Inghilterra 2000 della Société Civile des Auteurs Multimedia. È membro della commissione artistica dell’UNESCO. A disillusioned filmmaker travels to the Orient with a halfblind guide. A film that re-proposes the investigation of the limits of the filmed document in terms of how much reality it can preserve and at the same time how much manipulation it can be subjected to. NUOVE PROPOSTE VIDEO IRIT BATSRY BIOGRAPHY Irit Batsry, a New Yorker, is a video and installation artist who has won awards in over 30 countries, including the Guggenheim Foundation Fellowship in 1992 and the Grand Prix Video de Création from the Société Civile des Auteurs Multimedia in 1996. He is a member of the UNESCO artistic commission. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY I video di Irit Batsry hanno partecipato ripetutamente ai maggiori festival, tra i quali Berlino, Londra, Montreal e Locarno dove, nel 1995, ha vinto il primo premio. Slightly Less Than a Saint (1982), We Are All Civilized (1982), She Jumps Into the Water (1982), Preview (1983), Invitation For an Opening (1983), How Real Is Your Screen (1983), Neutral (1983), Fine Mechanics (1983), The Roman Wars: 1983 (1983), The Double Murder (1983), I Won’t, I Can’t, or I Won’t Love You When You’re Rich (1985), Animal (Loco)motion and (Dis)placements (1988), A Simple Case of Vision (1991), Passage to Utopia. Trilogy (1985-1993), Scale (1995) 69 PROPOSTE VIDEO ELENA BERNARDI SUDORE L’estate di un gruppo di giovani veneti tra senso di libertà e idiotismo, intimità e canzoni mentre dal tavolo di un bar un gruppo di “comari” fanno loro da contrappunto. BIOGRAFIA Dopo la laurea in Scienze Politiche all’università di Padova, Elena Bernardi ha perfezionato gli studi artistici in California dove attualmente risiede lavorando come allestitrice di set cinematografici e presso il gruppo teatrale Zoo District. Negli Stati Uniti ha scritto, diretto e prodotto tre pièce teatrali. It’s summer for a group of young inhabitants of Veneto, a time of freedom and idiocy, intimacy and song, while a group of gossiping women sitting around a table in a bar present a counterpoint to their lives. BIOGRAPHY After graduating in Political Science at the University of Padua, Elena Bernardi completed her artistic studies in California, where she currently resides and works as a stage manager on film sets and for the Zoo District theatre group. She has written, directed and produced three theatrical pieces in the U.S. fotografia/photography: Elena Bernardi montaggio/editing: Elena Bernardi durata/running time: 47’ origine/country: Italia 2001 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Sudore (2001) 70 CANDILLA Inquisita e sola come una Giovanna d’Arco postmoderna e metallica, Candilla scandisce il suo monologo: un delirio che contiene passato, presente e futuro. Condannata a una autodevastazione che la porterà letteralmente a svanire, risorgerà, un solo momento, donna. BIOGRAFIA Francesco Dominedò è un attore. Ha recitato in numerose produzioni cinematografiche e televisive. Inquisitive and alone like a post-modern and metallic Joan of Arc, Candilla delivers her monologue: a delirium of the past, present and future. Condemned to a selfdestruction that will make her literally disappear, she will be resurrected, for just one moment, as a woman. Betacam SP sceneggiatura/screenplay: Francesco Dominedò fotografia/photography: Joseph Arena montaggio/editing: Consuelo Catucci suono/sound: Consuelo Catucci scenografia/art direction: Francesco Dominedò interpreti/carachter: Mithrea voce/voice: Mia Benedetta produzione/production: XgonzoCrudox, Orange s.n.c. durata/running time: 4’17’’ origine/country: Italia 2001 NUOVE PROPOSTE VIDEO FRANCESCO DOMINEDÒ BIOGRAPHY Francesco Dominedò is an actor who has performed in numerous films and television productions. VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY S.C.T.M.V. (Sono come tu mi vuoi) (1999), Candilla (2001) 71 PROPOSTE VIDEO WALTER FASANO FINALE Ultimo episodio di una trilogia (D-Non puoi credere a tutto ciò che vedi; Tre Anni), ultime immagini di una storia privata. Aperte verso il finale. The last episode in a trilogy (DNon puoi credere a tutto ciò che vedi; Tre Anni), the last images of a private story that open up towards the end. BIOGRAFIA Walter Fasano (Bari, 1974). Deejay radiofonico. Lavora come montatore per Tonino De Bernardi, Luca Guadagnino, Theo Eshetu, Asia Argento, Beniamino Catena. Vive a Roma. BIOGRAPHY Walter Fasano was born in Bari in 1974. He is a radio DJ and has worked as an editor for Tonino De Bernardi, Luca Guadagnino, Theo Eshetu, Asia Argento and Beniamino Catena. He lives in Rome. Betacam SP fotografia/photography: Walter Fasano montaggio/editing: Walter Fasano musica/music: Nathalie Tanner produzione/production: Ibrahim Deep e Alberto Lucci per presentazioni Dalnegro durata/running time: 3’30’’ origine/country: Italia 2000 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Anime (1991), Devotion (1995), Edmondo (1997), Dialoghi con Edmondo (1998), D-Non puoi credere a tutto ciò che vedi (2000), Film Americano - Trailer (2000), Tre anni (2000), Touch (2000), Finale (2000), Quiet Boy (2001) 72 QUIET BOY (t.l. Ragazzo tranquillo) C’è una certa inclinazione della luce, nei pomeriggi estivi, che libera e opprime: peso leggero di un soffio di vento. Lieve ferita che lascia un segno, sospirosa gioia osservata dal cielo. (Ludovica Fanti) During summer afternoons the light has a certain tendency towards liberation and oppression: the effortless weight of a gust of wind; a slight wound that leaves a mark; plaintive joy as seen from the heavens. (Ludovica Fanti) NUOVE PROPOSTE VIDEO WALTER FASANO Betacam SP fotografia/photography: Walter Fasano montaggio/editing: Walter Fasano musica/music: Nathalie Tanner produzione/production: Milo Morris per presentazioni dalnegro durata/running time: 4’ origine/country: Italia 2001 73 PROPOSTE VIDEO EDGAR HONETSCHLÄGER COLORS (t.l. Colori) “Nel corso degli ultimi otto anni mi sono divertito a osservare la mia formazione culturale da lontano, da parti del mondo dove il Cristianesimo non ha mai messo piede e Sigmund Freud non è mai diventato un fattore di importanza vitale. Colors è un’archeologia dei dogmi eurocentrici in cui ‘outsiders’ della cultura e della religione riflettono su quello che non considerano loro proprietà e che non hanno assorbito dalla loro prima infanzia.” (Edgar Honetschläger) “Over the course of the last eight years I enjoyed viewing my own cultural background from a distance, from a part of the world, where Christianity never gained a foothold and Sigmund Freud never became a factor of importance. Colors is an archeology of eurocentristic dogmas, in which cultural/religious ‘outsiders’ reflect upon what they don’t call their own and which they have not imbibed from their earliest infancy.” (Edgar Honetschläger) Digi beta sceneggiatura/screenplay: Edgar Honetschläger fotografia/photography: Edgar Honetschläger montaggio/editing: Karina Ressler (The History of Chocolate), Thomas Woschitz (Masaccio), Petra Zöpnek (In Times of Emergency) interpreti/cast: Leo Ryo Kogai, Yukika Kudo, Serge Pinkus, Thomas Angus produzione/production: Edgar Honetschläger, Gabriele Kranzelbinder durata/running time: 33’ origine/country: Austria 2000 FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Edgar Honetschläger è un artista e filmmaker austriaco. Tra suoi lavori: Sequences (1992), Gadgets (1994), 97 - (13+1) (1997) Milk (1998), L+R (1999), Colors (2000), Das Bad in Tokyo (2000) 74 HOMO ERECTUS Un’ambiziosa parabola risolta come una coreografia che parte da una regione ancestrale dell’inconscio, anteriore quasi alla vita stessa, per confutare la tragicità di una guerra e i suoi inganni. An ambitious parable developed like a choreographed dance that stems from an ancestral region of the unconscious, even before life itself, to refute the tragic elements of war and its chicanery. NUOVE PROPOSTE VIDEO EMA KUGLER BIOGRAPHY Ema Kugler’s work, which has received widespread acclaim, is divided between video films, installations and performance art. BIOGRAFIA L’attività di Ema Kugler è divisa fra la realizzazione di video-film, installazioni e performance per le quali ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Betacam SP sceneggiatura/screenplay: Ema Kugler fotografia/photography: Izidor Fariã montaggio/editing: Ema Kugler interpreti/cast: Natasa Matjasec, Blaz Bertoncelj, Demeter Bitenc, Branko Miklavc, Tanja Zgonc suono/sound: Aldo Kumar musica/music: George Crumb costumi/costumes: Ema Kugler produzione/production: ZANK durata/running time: 44’ origine/country: Slovenia 2000 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Hydra (1993), The Visitor (1995), Taiga (1996), Station 25 (1997), Menhir (1999), Homo Erectus (2000) 75 PROPOSTE VIDEO MAURO SANTINI DI RITORNO Improvviso, il ricordo di una casa, abitata per un mese, un’estate… La voglia di partire, di ritrovare i luoghi, il viaggio di ritorno su un treno. Notte, volti aldilà del vetro. E infine la casa, un passato che non si può più afferrare se non nel ricordo di un dondolio, di una voce, di una finestra vuota. Suddenly, the memory of a house, lived in for one month, one summer… The desire to leave, to find those places once again, the train trip back. Nights, faces beyond the window. And finally the house: a past that cannot be grasped anymore other than in the memory of a swing, a voice, an empty window BIOGRAFIA Mario Santini è nato a Fano nel 1965. BIOGRAPHY Mario Santini was born in Fano in 1965. Betacam SP sceneggiatura/screenplay: Mauro Santini fotografia/photography (col.): Mauro Santini montaggio/editing: Mauro Santini musica/music: Mario Mariani suono/sound: Mario Mariani voce/voice: Mauro Santini produzione/production: Mauro Santini durata/running time: 12’ origine/country: Italia 2001 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY H (1991), Carie (1992), Come sei calzini a bagno in un catino di plastica rosa (1992), Come un dio americano (1992), Lorelai (1994), Lavorare stanca (co-regia: Fabrizio Bartolucci, 1996), Dove sono stato (2000), Di ritorno (2001) 76 D.D.T. / ABDUCTED 187 REMIX Come attraverso la visione angusta di una telecamera fissa che sorveglia un angolo qualsiasi di Little Italy, si apre la vita di una umanità che nella sua ritmica semplicità è una scacchiera di cromatismi simile alle composizioni che il jazz ha ispirato a Piet Mondrian. Humanity is revealed through the narrow window of a stationary video camera that monitors a random corner of Little Italy, and in its rhythmic simplicity is a checkerboard of chromaticisms similar to the jazz compositions that inspired Piet Mondrian. NUOVE PROPOSTE VIDEO CAROLA SPADONI BIOGRAPHY Carola Spadoni was born in BIOGRAFIA Rome in 1969 and has been Carola Spadoni (Roma, dividing her time between 1969). Da oltre dieci anni Rome and New York for over divide vita e professione tra ten years. She studied film in New York e Roma. Negli the U.S., at Brooklyn College, Dvideo, Betacam SP Stati Uniti ha studiato cineand began working there as an fotografia/photography: Carola Spadoni ma al Brooklyn College e ha assistant camera operator on computer work: Carola Spadoni iniziato ha lavorare come numerous independent producmontaggio/editing: Alessandro Cerquetti assistente operatrice in tions. She has directed several musica/music: DJ Soul Slinger, Abducted 187 remix numerose produzioni indifilms and her first feature film, produzione/production: Open Cine Roma pendenti. Ha realizzato Giravolte, is currently in postdurata/running time: 3’ diversi film come regista e production. She has written for origine/country: Italia 1999 attualmente sta lavorando the daily newspaper “il manialla post-produzione del suo festo” and was one of the primo lungometraggio in pellicola, Giravolte. Ha collabofounders of the Open Cine, an organisation that screens clasrato con il quotidiano “il manifesto” ed è stata una delle sic films in New York. fondatrici di Open Cine, organizzazione per la proiezione dei classici della cinematografia italiana a New York. (VIDEO)FILMOGRAFIA/(VIDEO)FILMOGRAPHY Video: Al confine tra il Missouri e la Garbatella - Freddy - Victor Blind Date (1997), Se il tuo occhi dà scandalo, cavalo (1997), Arthur Penn: the work (doc., 2001), DREDD: A drag king (reportage, 1997), Love-Life (video musicale, 1992). In pellicola: Make Believe a Conin (1992), Smileshyslide (1992), On the Way… by Night (1993), Tadpole’s Human Delusion (1993), Untitled (1995), Rolling (1996), Neighbors (1996), D.D.T. (1999), Symphonies of Memories (2001) 77 PROPOSTE VIDEO CAROLA SPADONI SYMPHONIES OF MEMORIES (t.l. Sinfonie di memorie) Manhattan e la cinta periferica con i suoi anonimi personaggi notturni, la giostra di infiniti e minuscoli bagliori, la forza di recitare per resistere dentro un mondo paradossale, diventano il regno di una memoria che corre lontana. Manhattan and its outlying areas with its nocturnal characters, the merry-go-round of tiny, infinite flashes of light, the strength to act in order to last in a paradoxical world: all these elements become the realm of a memory that goes back a long, long way. Betacam SP fotografia/photography: Carola Spadoni, Alfonsine Flower montaggio/editing: Cecilia Pagliarani effetti/digital effects: Alfonso Florio produzione/production: Freddy Specs per Podestal Gain Production durata/running time: 3’36’’ origine/country: USA 2001 78 SLIVERS (t.l. Schegge) La giornata di un gruppo di bambini moscoviti segnati dalla povertà e dall’abbandono. Nelle piazze e nei giardini una folla fa da sfondo anonimo e sfuggente ai loro giochi, alla loro fame, alla loro violenza A day in the life of a group of poverty-stricken and abandoned Muscovite children. An anonymous and passing crowd creates the background to their games, hunger and violence in various squares and parks. BIOGRAFIA Laureata in Giornalismo all’università di Mosca, Svetlana Stasenko ha studiato sceneggiatura e regia. Attualmente lavora presso uno studio televisivo. BIOGRAPHY Svetlana Stasenko graduated in Journalism at the University of Moscow and studied screenwriting and directing. She currently works for a television studio. NUOVE PROPOSTE VIDEO SVETLANA STASENKO Betacam SP sceneggiatura/screenplay: Svetlana Stasenko fotografia/photography: Vladimir Bashta, Vladimir Fastenko montaggio/editing: Svetlana Stasenko, Evgeny Smirnoff, Alexander Froloff suono/sound: Evgeny Smirnoff, Svetlana Stasenko produzione/production: Arnold Giskin durata/running time: 13’ origine/country: Russia 2000 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Radetel (1988), Zazoff (1988), Parabola (1992), Rolling Poet (1997), “There Is No Need to Take Pity on Us” (1998), The Space Pilgrim (2000), Alexander F. Sklyar. The Song (2000), Slivers (2000) 79 PROPOSTE VIDEO KRISTIINA SZABO DRAGONFLY (t.l. Volo del drago) Un videopoema. La storia favolosa dell’amicizia tra un dragone divenuto uomo e un uomo divenuto fragile. Consapevoli di non essere in ogni luogo a casa, dissolveranno nell’acqua la loro comune sventura. Tragicamente. A questa vicenda si interseca il flusso emotivo di una donna che ha visto perdere il suo unico amore BIOGRAFIA Kristiina Szabo è una giovane artista canadese. Pittrice, ha realizzato video musicali e installazioni dichiarando caparbiamente la sua volontà ad applicare la stessa energia espressiva, fatta di verità e sentimento, in ognuna di queste manifestazioni. A video poem. The fabled story of a friendship between a dragon that becomes a man and a man who becomes fragile. Aware of not feeling at home anywhere, they will dissolve their common misfortune in the water. Tragically. The emotional flux of a woman who has lost her only love crosses their path. BIOGRAPHY Kristiina Szabo is a young Canadian artist. A painter, she has made music videos and installations, wilfully declaring her desire to apply the same expressive energy, composed of truth and sentiment, in all of these areas. Betacam SP sceneggiatura/screenplay: Kristiina Szabo fotografia/photography: Sami Hajjar montaggio/editing: Chad Petherick suono/sound: Victor Szabo musica/music: Victor Szabo interpreti/cast: Jeremy Munce, Gabrielle Gillespie voce/voice: Allan Lee produzione/production: Mindcircus Production durata/running time: 9’40’’ origine/country: Canada 2000 VIDEOGRAFIA/VIDEOGRAPHY Dragonfly (2000) 80 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI ROJI-E / INTO THE ALLEY (t.l. Nel vicolo) Una docu-fiction sperimentale, Experimental, fictionalised romanzata, sullo scrittore giapdocumentary about the ponese Nakagami Kenji, morto Japanese writer Nakagami giovane nel 1992. Nakagami è Kenji, who died young in 1992. stato il cronista della città mariNakagami was the chronicler of na di Shingu. Molte storie racthe seaside town of Shingu. contate da Nakagami sono Many of Nakagami’s stories ambientate in un particolare are set in a specific alley in vicolo di Shingu. Un vicolo Shingu, an alley that is now ormai scomparso, ma che congone, but that lives on in the tinua a vivere nella narrativa di fiction of Nakagami. And also Nakagami. E anche sulla celluon celluloid, because the writer loide, perché lo scrittore ha filfilmed the alley before its demmato il vicolo prima che venisolition. In the film by Aoyama se demolito. Nel film di Shinji, the film-maker Izuchi Aoyama Shinji, il cineasta Kisshu goes in search of what sceneggiatura/screenplay: Aoyama Shinji Izuchi Kisshu va alla ricerca di is left of Nakagami’s alley. The fotografia/photography (35mm, col.): Tamura Masaki ciò che resta del vicolo di specific mood of the small harmontaggio/editing: Yamamoto Ako Nakagami. Tuttavia l’atmosfebour town however turns out musica/music: Sakamoto Ryuichi, Ohtomo Yodhihide ra peculiare della cittadina porto be difficult to find. In the suono/sound: Kikuchi Noboyuki tuale si rivela difficile da rinfilm, the film-maker reads the interpreti/cast: Izuchi Kishu tracciare. Nel film, il regista books of Nakagami out loud for produzione/production: Michio Koshikawa, Sato Kimiyoshi legge ad alta voce per noi i libri us at the locations where they per Slow Learner, Brandish di Nakagami nei luoghi in cui are set, but is difficult to distribuzione/distributed by: Slow Learner, Brandish (Slow sono ambientati, ma è difficile inwoke the magic. Time and Learner, Tokyo; tel.: +813 37703717; fax: +813 37703718) durata/running time: 64’ evocarne la magia. Di tanto in again, film-maker Aoyama origine/country: Giappone 2000 tanto, il regista Aoyama torna returns to the film images alle immagini girate da made by Nakagami, while the Nakagami, mentre il cineasta del film sembra cercare invano filmmaker in the film seems to search in vain in the present. nel presente. BIOGRAPHY BIOGRAFIA Aoyama Shinji (Kyushu, 1965) made his first 8mm film while still a student at Rikyo University, where he was profoundly Aoyama Shinji (Kyushu, 1965) fece i suoi primi film in 8mm influenced by his classes with film critic Hasumi Shigehiko. He mentre era studente all’università di Rikyo, dove fu profondabegan his film career as an assistant art director, then became mente influenzato dai corsi del critico cinematografico assistant director to Kurosawa Kiyoshi, Fridrik Thor Hasumi Shigehiko. Nell’industria cinematografica iniziò come Fridriksson, Daniel Schmid e Rijiu Go, among others. As a assistente scenografo, per poi diventare assistente alla regia critic, he contributes to several magazines, including “Le con, tra gli altri, Kurosawa Kiyoshi, Fridrik Thor Fridriksson, Cahiers du Cinéma Japon” and “Esquire Japan”. Daniel Schmid e Rijiu Go. Collabora come critico a varie riviste (“Le Cahiers du Cinéma Japon”, “Esquire Japan”). IL CINEMA GIAPPONESE OGGI AOYAMA SHINJI FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Hima tsubushi no onna (Time Killing Woman) (1988, Super8), Yoru made hitotabi (One Trip Til Night) (1989, Super8), Akai Muffler (The Red Muffler) (1991, Super8), Kyokasho ni nai! (It's Not in the Textbook!) (1995), Waga mune ni kyoki ari (There's a Gun in My Chest/A Weapon in My Heart/The Cop, the Bitch and the Killer) (1995), Helpless (1995-96), Chinpira (Two Punks) (1996), Wild Life (1997), Tsumetai chi (An Obsession) (1997), Shady Grove (1998-99), EM/Embalming (1999), June 12, 1998 - At the Edge of Chaos (2000, mm, Beta SP), Eureka (2000), Roji-e: Nakagami Kenji no nokoshita Film (Into the Alley) (2000, mm), Desert Moon (2001) 83 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI GO TAKAMINE TSURU-HENRY Tsuru Shimabukuru è una cantante folk a Okinawa. Un giorno le capita di trovare una sceneggiatura dello scrittore Mekaru. Decide di riportargliela, e sulla strada incontra strani personaggi come il suo vicino zio Coser e il pittore Yamagushiku. Nel frattempo Mekaru ha perso tutti i suoi soldi nelle slot machines e si è immerso nello studio delle formiche. Quando la cantante arriva a casa sua, lui è partito per Taiwan per cercare una donna. Tsuru decide di rimanere nell’appartamento con suo figlio Henry e filmare la sceneggiatura di Mekaru. Mentre realizzano il film, il figlio Henry non distingue più tra realtà e finzione. Video, col. sceneggiatura/screenplay: Go Takamine, Isao Nakazato montaggio/editing: Kunihiko Ukai musica/music: Koji Ueno scenografia/art direction: Manabu Muragishi interpreti/cast: Misako Oshiro, Katsuma Miyagi, Miezo Toma, Susumu Taira, Chusin Oyadomari, Chen Shaing Chyi produzione/production: Go Takamine distribuzione/distributed by: Go Takamine durata/running time: 85’ origine/country: Giappone 1998 Un film realistico girato in digital video che, come molti lavori di Go Takamine, è ambientato sull’isola di Okinawa. Lavora con attori locali e musicisti che parlano nella loro lingua e cantano. Con l’aiuto delle moderne attrezzature leggere, è stato possibile realizzare il film col realismo di un documentario. Questa tecnica, insieme all’impegno della gente di Okinawa, ha consentito di realizzare il film con un budget ridotto. BIOGRAFIA Go Takamine (Okinawa, 1948) iniziò a fare film mentre studiava alla scuola d’arte di Kyoto. Il suo primo lungometraggio fu proiettato al Festival di Berlino. Untamagiru, il suo secondo lungometraggio, vinse il Premio Caligari a Berlino nel 1989. Protagonist Tsuru Shimabukuru is a folk singer on Okinawa, who one day happens to find the film script Love’s Love by the writer Mekaru. She decides to give it back to him. On her way to see Mekaru she meets strange people like Uncle Coser, her neighbour and the painter Yamagushiku. In the meantime, Mekaru has lost all his money on one-armed bandits and has engrossed himself in studying ants. When the singer reaches his home, he has left for Taiwan to look for a woman. Tsuru decides to stay in the apartment with her son Henry and to film the script she founds. As they are making the film, the son Henry loses touch with the difference between fiction and fact. A realistic feature shot on digital video that, like much of the work of Go Takamine, is set on the island of Okinawa. He works with local actors and musicians who speak their own language and sing. With the aid of light modern equipment, it was possible to make the film with the realism of a documentary. This technique, combined with the dedication of the people of Okinawa, made a high budget unnecessary. BIOGRAPHY Go Takamine (Okinawa, 1948) started making films when he was studying at art school in Kyoto. His first feature was screened at the Berlin Festival. Untamagiru, his second feature, won the Caligari Award in 1989 in Berlin. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Okinawan chirudai (1979), Paradaisu byû (1985), Untamagiru (1989), Ryûkyû Mugen/Tsuru-Henry (1998) 84 NIJUSEIKI NOSTALGIA TWENTIETH-CENTURY NOSTALGIA (t.l. Nostalgia del XX Secolo) “A dir la verità, sono un’aliena”, dice Toru ad Anzu in un giorno d’estate. Lei frequenta l’ultimo anno di liceo, nella stessa scuola di Toru. Questi le dice che il suo corpo è stato preso in prestito da un alieno di nome Chunse, venuto sulla terra per indagare sul suo processo di distruzione. Stupita da questa confessione, si ritrova attratta dal misterioso personaggio e decide di prestare il proprio corpo a un altro alieno di nome Pouse. Anzu comincia a girare un film insieme a Toru. Il tema è: “Terrestri verso la distruzione”. Durante le riprese i due scoprono di provare un sentimento speciale l’uno per l’altra. 35mm, col. sceneggiatura/screenplay: Hara Masato, Nakajima Goro musica/music: Hara Masato interpreti/cast: Hirosue Ryoko, Marushima Tsutomu produzione/production: Daiei Co. Ltd. distribuzione/distributed by: Daiei Co. Ltd. (Tokuma, Tokyo; tel.: +813 35738716; fax: +813 35738720) durata/running time: 93’ origine/country: Giappone 1997 Il Giappone ha la più alta percentuale di cantanti pop per metro quadro sulla terra, e la canzone di J-Pop che fa da colonna sonora a un film spesso ha un impatto significativo sugli incassi, ma è davvero raro in un film giapponese vedere qualcuno mettersi di colpo a cantare, se non su un palco, o in un locale di karaoke, o in altri contesti «appropriati». Di qui la mia sorpresa nel vedere l’eroina adolescente di Nijuseiki Nostalgia, di Hara Masato, interpretata dal superidolo Hirosue Ryoko, mettersi a ballare spontaneamente e canticchiare spensieratamente davanti ai fondali postmoderni e alla moda della Baia di Tokyo. Ma l’effetto si avvicina di più ai film musicali della Bollywood indiana che alla Hollywood che ha prodotto Singin’ in the Rain. Il film, comunque, è la somma dei suoi spumeggianti interludi musicali. Personalità di spicco del cinema indipendente giapponese per quasi tre decenni, Hara ha creato, nel suo a lungo rimandato debutto cinematografico, un peana sull’amore giovanile che è a un tempo irreparabilmente stucchevole e intrigantemente penetrante. A differenza che nella maggior parte dei film giapponesi sull’adolescenza moderna, c’è qui la consapevolezza che mentre il passaggio dall’innocenza dell’infanzia alla sessualità adulta è accidentato come sempre, “To tell the truth, I am an alien”, said Toru to Anzu one summer day. She was a senior high student, going to the same school as Toru. Toru told her that he had his body borrowed by an alien named Chunse, who came over to the earth to investigate the process oh its destruction. Amazed at his confesion, she found herself attracted to his mysterious character. She decided to have her body lent to another alien named Pouse. Anzu began to make a film with Toru. The subject was: “Earthlings Toward Destruction”. While shooting, a special feeling grows between them. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI HARA MASATO Japan has the highest persquare-meter ratio of pop singers on earth and a film’s JPop theme song often has a significant impact on its box office, but it’s rare indeed to see anyone in a Japanese movie bursting into song anywhere but on a stage, in a karaoke club, or in other “proper” settings. Thus my surprise at seeing the teenage heroine of Hara Masato’s Nijuseiki Nostalgia, played by superidol Hirosue Ryoko, dance artlessly and trill ingenuously against trendy post-modern backdrops in Tokyo Bay. But the effect was closer to India’s tuneful Bollywood flicks than the Hollywood that produced Singin’ in the Rain. The film, however, is more than the sum of its frothy musical interludes. A prominent figure in Japan’s independent film scene for nearly three decades, Hara has created, in his long-delayed feature debut, a paean to young love that is at once irredeemably twee and intriguingly acurte. More than most Japanese films about modern adolescence, it is aware that while the transition from childhood innocence to adult sexuality is as bumpy as ever, teens raised in this media-saturated society can experience it at one remowe, as though it were a video whose images they can endlessly manipulate. (Mark Schilling, Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull 1999, p. 279) 85 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI gli adolescenti cresciuti in una società saturata dai media possono farne esperienza col telecomando, come se si trattasse di un video le cui immagini possono manipolare all’infinito. (Mark Schilling, Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull 1999, p. 279) BIOGRAFIA Hara Masato (1950) mentre era studente produsse il film in 16mm A Sad Yet Funny Ballad. Nel 1970 sceneggiò il film di Oshima The Man who Left his Will in Film, e nel 1973 completò, dopo tre anni di lavoro, The First Emperor. Alla fine degli anni ’70 iniziò a scrivere e dirigere video e lavori didattici e, a partire dagli anni ’80, si concentrò sui documentari per la televisione. BIOGRAPHY Hara Masato (1950) as a high school student produced the 16mm film A Sad Yet Funny Ballad. He scripted Oshima Nagisa’s film The Man who Left his Will in Film in 1970, and in 1973, after three years of work he completed The First Emperor. In the late 1970’s he began writing and directing videos, educational works and PR films, and beginning in the 1980’s, added a focus on documentaries for television FILMOGRAFIA (SELEZIONE)/FILMOGRAPHY (SELECTION) Okashisa ni irodorareta kanasimi no barado (A Sad Yet Funny Ballad, 1968, 16mm), Sogetsu (1968, 16mm), Hatsukuni shirasumera mikoto (The First Emperor, 1973, 16mm), Hatsukuni shirasumera mikoto - Refrain (The First Emperor - Refrain, 1975, 16mm), Hatsukuni shirasumera mikoto - Again (The First Emperor - Again, 1980, 16mm), Ningen zero sai no shuhen (1982), Hyakudai no kakyaku (1993), Hatsukuni shirasumera mikoto - 1994 nenban (The First Emperor - edizione 1994, 16mm), Nijuseiki nostalgia (Twentieth-Century Nostalgia, 1997), Road Movie - Ie no natsu (Never Ending Summer, 1997, 16mm, 8mm, video) 86 DISTANCE (t.l. Distanza) Giappone, pochi anni fa. I membri di una setta religiosa millenarista avvelenano oltre cento cittadini innocenti, intossicandone ancora di più, all’interno di una strategia di annientamento apocalittico che provoca rassegnati suicidi, omicidi d’avvertimento e fughe precipitose. Anni dopo alcuni protagonisti della storia, giovani parenti e amici degli assassini o dei carnefici, raggiungono la disagevole sede del Tempio della Verità e cercano di ricostruire, tra indizi e memoria, quella drammatica vicenda, anche perché intrappolati da un misterioso incidente che li costringe all’isolamento forzato. sceneggiatura/screenplay: Kore-eda Hirokazu fotografia/photography (35mm, col.): Yamazaki Yutaka montaggio/editing: Kore-eda Hirokazu scenografia/art direction: Isomi Toshihiro interpreti/cast: Iseya Yusuke, Asano Tadanobu, Natsukawa Yui, Arata, Terajima Susumu produzione/production: Distance Project Team, Tv Man Union distribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont d’Urville 47, 75016 Paris, France; tel.: 01 71.76.11.20; fax: 01 71.76.11.24; e-mail: [email protected]) durata/running time: 132’ origine/country: Giappone 2001 Un thriller in forma di puzzle, ma come potrebbe visualizzarlo un Tarkovskij meno angosciato o un RobbeGrillet meno estetizzante, se avessero avuto entrambi l’esattezza formale di Robert Bresson o lo humor di Kie¢lowski. Senza sviluppo, psicologie, scene madri, snodi o climax. Eppure il film si alimenta di una strana suspense. Dobbiamo, infatti, immaginare noi cosa successe tre anni fa tra quelle lontane, umide colline verde-nero, di fronte a un conturbante lago algido, striato da ombre di indizi, flashback, lunghi silenzi e canti d’invisibili uccelli. Perché si organizza, senza progetto, quella gita alla Blair Witch Project? Perché c’è un abisso spaventoso oggi tra giovane e vecchia generazione, uomini e donne, aristocratici valori e razza pagana col cellulare? Perché il cinema giapponese ha crescenti pulsioni anti-urbane, una voglia matta di campagna, verde e aria pulita? Insomma, un thriller, ma a distanza. (Roberto Silvestri, “il manifesto”, 11 maggio 2001) BIOGRAFIA Kore-eda Hirokazu (Tokyo, 1962), laureatosi all’università di Waseda, ha iniziato a lavorare per la compagnia TV Man Union, per la quale ha realizzato numerosi documentari. Japan, a few years ago. The members of a millenial religious sect kill over 100 innocent citizens, and poison even more, as part of a apocalyptic destruction that brings about mass suicides, warning murders and precipitous flights. Years later, some of the young friends and relatives of the murderers and torturers arrive at the out-of-the-way Temple of Truth and, using clues and their memory, try to reconstruct that dramatic event; also because they are trapped in a mysterious circumstances that physically force them into isolation. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI KORE-EDA HIROKAZU A thriller in the form of a puzzle, which a less anguished Tarkovskij or a less aesthetically-minded Robbe-Grillet could make, if they had the Robert Bresson’s formal exactitude or Kie¢lowski’s humor; without development, psychological analysis, crucial scenes, connecting scenes or a climax. And yet the film is fuelled by a strange kind of suspense. In fact, we have to imagine what happened three years ago, in those distant, humid blackgreen hills by that disquieting icy lake, filled with shadowy clues, flashbacks, long silences and the singing of invisible birds. Why is that Blair Witch Project-like trip, which has no real plan to it, organised? Why is there a frightening abyss today between the young and old generations, men and women, aristocratic values and the pagan race with their cell phones? Why does Japan cinema have growing anti-urban impulses? Does it come from a crazed desire for the countryside, green landscapes, clean air? Essentially, the film is a thriller, but at a distance. (Roberto Silvestri, “il manifesto”, 11th May 2001) BIOGRAPHY Kore-eda Hirokazu (Tokyo, 1962) after graduating from Waseda University, joined TV Man Unity company and made several documentaries for them. 87 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Shikashi... fukushi kirisute no jidai ni (However) (1991, mm, video), Mo hitotsu no kyoku - Ina shogakko haru gumi no kiroku (Lessons from a Calf) (1991, mm, video), Nihonjin ni naritakatta (I just Wanted to be Japanese) (1992, mm, video), Shinshu Sketch - Sorezono Miyazawa Kenji (1993), Eiga ga jidai o utsusutoki - Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993, mm, video), Kare no inai hachigatsu-ga - Aids o seigen shita Hirata Yutaka ninenkan no seikatsu kiroku (August without Him) (1994, video), Maboroshi no hikari (Maborosi) (1995), Utsushiyo (This World) (co-regia: Kawase Naomi, 1996, cm, Super8), Kioku-ga ushenawareta-toki (Without Memory) (1997, video), Wonderful Live (After Life) (1998), Distance (2001) 88 SORA NO ANA / HOLE IN THE SKY (t.l. Buco nel cielo) Hokkaido. Kinoshita Ichio è un trentacinquenne di buon cuore, single, che gestisce con l’eccentrico padre un piccolo ristoro sul margine della strada chiamato “Buco nel cielo”. Qualche volta passano pochi camionisti o viaggiatori. Ichio sta tutti i giorni dietro i fornelli senza particolare piacere. Si sente solo. Un giorno, arriva al ristorante una ragazza. Quando cerca di andarsene senza pagare, Ichio la ferma. Viene fuori che la ragazza è stata abbandonata dall’amante. Ichio le offre alloggio e lavoro. La loro vita insieme sembra durare per sempre, ma forse Ichio è un po’ troppo romantico. sceneggiatura/screenplay: Kumakiri Kazuyoshi fotografia/photography (35mm, col.): Ashimoto Kiyoaki musica/music: Mastumoto Akira suono/sound: Yoshida Noriyoshi scenografia/art direction: Nishimura Toru interpreti/cast: Terajimi Susumu, Kikuchi Yuriko, Tobayama Bunmei, Sawada Syunsuke, Gondo Syunsuke produzione/production: PIA Film Festival, Morimoto Hidetoshi, Amano Mayumi, Nakamura Kazuki distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075 Tokyo; tel.: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659) durata/running time: 127’ origine/country: Giappone 2001 “Non mi è mai venuto in mente di applicare al mio film il concetto o la categoria di ‘terapia’. La storia che volevo raccontare era quella di un uomo che si è completamente alienato dal proprio passato, ma che riuscirà a fare un passo in avanti solo riconoscendo e riappropriandosi dei suoi ricordi più dolorosi. Se questa si può definire terapia, allora ho realizzato un film terapeutico. Quando vediamo per la prima volta Ichio, il personaggio centrale del film, si è avvolto in un manto di cinismo e si è autoconvinto che una vita di clausura nella cucina del ristorante di suo padre può rappresentare una soluzione accettabile. Ma quando conosce Taeko, i suoi sentimenti per lei gli fanno provare un senso di disperazione, per la prima volta in tutta la sua vita. Mentre corteggia Taeko, si ritrova a riaprire gli scatoloni con i vestiti che sua madre si era lasciata alle spalle anni prima. Ichio aveva sempre incolpato dell’abbandono da parte di sua madre il padre, un uomo strambo e incapace di fare anche una sola cosa utile. Ma grazie al nuovo rapporto con Taeko, arriva alla dolorosa constatazione che sua madre ha abbandona- Hokkaido. Kinoshita Ichio is a good-hearted, single man aged 35 who runs a small roadside diner called “Hole in Heaven” with his eccentric father. Sometimes a few truckers or travellers pass. Ichio stands behind the stove everyday without much pleasure. He feels lonely. One day, a girl walks into the restaurant. She tries to leave again without paying, but Ichio stops her. It turns out that the girl has been deserted by her lover. Ichio offers her accommodation and a job in the restaurant. Their life together seems to last forever, but maybe Ichio is just a little too romantic. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI KUMAKIRI KAZUYOSHI “The concept of ‘therapy’ never really occurred to me, but the story I wanted to tell was of a man who had shut himself off from the past, who is able to move forward only by fully acknowledging his painful past. If that’s what you call tharapy, then I guess I’ve made a therapeutic film. When we meet the central character, Ichio, he’s cloaked himself in a veneer of cynicism, having convinced himself that being stuck cooking in his father’s roadside restaurant is an acceptable life. But when he meets Taeko, his feelings for her make him desperate for the first time in his life. As he looks after Taeko, he winds up unpacking the clothes his mother left behind years ago. Ichio had always dealt with his mother’s departure by blaming it on his ornery, useless father. But through his involvement with Taeko, he comes to the painful acknowledgement that his mother had abandoned him just as much as his father.” (Linda Hoaglund, interview with Kumakiri Kazuyoshi, Berlin’s Forum 2001 catalogue) 89 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI to lui tanto quanto ha abbandonato suo padre.” (Linda Hoaglund, intervista con Kumakiri Kazuyoshi, catalogo del Forum di Berlino 2001) BIOGRAFIA Kumakiri Kazuyoshi (Hokkaido, 1974) iniziò a fare film durante la scuola secondaria e vinse il suo primo premio all’età di 17 anni. Ha studiato cinema all’Art University di Osaka, dove si è laureato con Kichiku, che vinse il secondo premio al Pia Film Festival nel 1997 e fu distribuito con grande successo in Giappone. BIOGRAPHY Kumakiri Kazuyoshi (Hokkaido, 1974) started making films at secondary school and won his first prize at the age of 17. He studied film at Osaka Art University, where he gratuated with Kichiku, which in 1997 won second prize at the Pia Film Festival and was distributed in Japan with great success. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Kichiku (1997), Sora no Ana/Hole in the Sky (2001) 90 ZAWAZAWA SHIMOKITAZAWA “Shimokitazawa”, Setagayaku, Tokyo – una cittadina da paese delle meraviglie che somiglia a un villaggio. L’eroina, Yuki, è una ragazza di vent’anni, nata e cresciuta lì – che lavora part-time da KARASS: clienti abituali del locale sono Kyushiroh, presidente di “Oregonza”, e il suo fidanzato, Tatsuya. Yoki ama quella città, ma comincia a dubitare della sua atmosfera indifferente e dell’insoddisfacente rapporto con il fidanzato. Un giorno Yuki va a vedere Kyushiroh suonare con Yoko, il proprietario di KARASS. Che esperienza emozionante! Ora si sente incoraggiata a cambiare se stessa. Intanto Tatsuya è incapace di interrompere la sua relazione con una donna più vecchia. Eppure l’inverno sta per tornare nell’adorabile cittadina, dove troverà tutti gli abitanti in preda alla confusione. sceneggiatura/screenplay: Satoh Shinsuke fotografia/photography (35mm, col.): Tsutai Takahiro montaggio/editing: Sanjoh Tomoo musica/music: Shimizu Kazuo, Reichi suono/sound: Hashimoto Yasuo scenografia/art direction: Harada Mitsuo interpreti/cast: Lily, Hattanda Katsunari, Nakamura Yasushi, An Taeko, Tadano Miako, Watanabe Ken, Suzuki Kyoka, Tanaka Rena, Tanaka Yuko produzione/production: Pugpoint distribuzione/distributed by: Cinema Shimokitazawa durata/running time: 105’ origine/country: Giappone 2000 BIOGRAFIA Ichikawa Jun (Tokyo, 1948) iniziò a collaborare con la compagnia di produzione CF nel 1975. Dal 1981 lavora come regista free-lance per pubblicità, prima di passare alla regia cinematografica. Con Tokyo Lullaby ha vinto il premio come miglior regista al festival di Montreal. “Shimokitazawa”, Setagaya-ku, Tokyo – a little wonderland town like a village. The heroine, Yuki, is a 20-year-old girl, who was born and brought up there – a part-timer at KARASS: a coffee-shop whose regular customers are Kyushiroh, chairman of “Oregonza”, and her boyfriend, Tatsuya. Yuki loves this town, but starts feeling doubt for its lukewarm atmosphere and her boyfriend’s unsatisfactory relationship. One day, Yuki went to see Kyushiroh’s play with Yoko, is the KARASS’s owner. What a touching experience! Now she is encouraged to change herself. Meanwhile, Tatsuya is unable to cut off his relationship with an older woman. Still, a winter will come again to the loving town with everybody’s thoughts mingled. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI ICHIKAWA JUN BIOGRAPHY Ichikawa Jun (Tokyo, 1948) joined the Production Planning Department of the CF Production Company in 1975. In 1981 he started working as a freelance director for Japanese commercials as well as feature films. Tokyo Lullaby wins the prize for Best Director at Montreal Festival. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Bu-su (1987), Kaisha Monogatari (1988), No Life King (1989), Tsugumi (1990), Goa isatsu ‘Shisei-san’ (1991), Byoin de shinu to iu koto/Dying at the Hospital (1993), Kurepu (1993), Tokyo Kyodai (1995), Tokiwa-so no seishun/Tokiwa: The Manga Apartment (1997), Tokyo Yakyoku/Tokyo Lullaby (1997), Tadon to Chikuwa (1998), Osaka Story (1999), Zawazawa shimokitazawa (2000) 91 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI MANDA KUNITOSHI UNLOVED (t.l. Non amata) Mitsuko lavora in municipio. Non è ansiosa di passare l’esame di servizio civile per avanzare nella carriera. Mitsuko ama il suo lavoro perché le si adatta bene. Eji è impressionato dal lavoro di Mitsuko e le propone di unirsi a lui nella sua impresa in rapida espansione. Lui è divorziato da un anno e sogna di trovare la donna giusta. Quando Mitsuko rifiuta la sua offerta di lavoro, le chiede un appuntamento. Mitsuko works at city hall. She is not eager to take the civil service exam and advance her career. Mitsuko likes her job because it suits her. Eiji is impressed with Mitsuko’s work and asks her to join him at his rapidly expanding IT-company He is one year divorced and dreams of finding the right woman to be at his side. When Mitsuko refuses his offer of work, he asks her out on a date. Developing the character of “Sviluppando il personaggio Mitsuko with my wife, who codi Mitsuko con mia moglie, wote the screenplay, we resolved che ha collaborato alla scenegsceneggiatura/screenplay: Manda Kunitoshi, Manda Tamami fotografia/photography (35mm, col.): Ashizawa Akiko to depict an unusually strong giatura, abbiamo scelto di montaggio/editing: Kakesu Syuichi character. I believe that to live descrivere un carattere singomusica/music: Kawai Kenji strongly means to be content larmente forte. Credo che suono/sound: Hosoi Masaji with oneself without depending vivere con forza significa essescenografia/art direction: Gunji Hideo on the approval of others. It re soddisfatti di se stessi, interpreti/cast: Moriguchi Yoko Mitsuko, Nakamura Toru, might be said that Mitsuko senza dipendere dall’approMatusoka Shunsuke wages war against a society vazione degli altri. Si potrebbe produzione/production: Sento Takenori, Suncent where competition is the ultidire che Mitsuko conduca una Cinemaworks Production mate human activity and guerra con una società dove la distribuzione/distributed by: Media Luna Entertainment respect the ultimate goal. In competizione è la principale (Hochstadenstrasse 1-3, D-50674 Colonia, Germania; tel.: casting the part, I sought an attività e l’essere rispettati il +49 221 139 22 22; fax: +49 221 139 22 24) durata/running time: 117’ actress whose style and manner principale obiettivo. Ho cercaorigine/country: Giappone 2001 gives the impression that she to un’attrice le cui maniere never flatters men and is at the dessero l’impressione che non same time a totally natural person. Indeed, her strenght bewillusingasse mai gli uomini e al tempo stesso fosse una perders the men who get to know her. Mitsuko has absolute consona totalmente naturale. In effetti, la sua forza disorienta fidence in her own way of life; but that very confidence is the gli uomini che la conoscono. Mitsuko è assolutamente sodreason she is regarded as unloved. (Manda Kunitoshi) disfatta del suo stile di vita, ma è proprio per questa sicurezza che viene vista come una persona che non può essere amata.” (Manda Kunitoshi) BIOGRAPHY Manda Kunitoshi (Tokyo, 1956) directed several 8mm films BIOGRAFIA while studying at Rikkyo University. After school, he worked Manda Kunitoshi (Tokyo, 1956) ha diretto vari film in 8mm as a screenwriter and assistant director for Kurosawa Kiyoshi. mentre studiava alla Rikkyo University. Dopo la suola ha He also directed television dramas and industrial videos and lavorato come sceneggiatore e aiuto regista per Kurosawa has written film criticism for journals such as the Japanese Kiyoshi. Ha inoltre diretto sceneggiati televisivi e video monthly “Image Forum”. industriali, oltre a scrivere di cinema su riviste come il mensile giapponese “Image Forum”. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Yottsu Kazoero (1978, 8mm), School Sounds (1979, 8mm), Spaceship Remnant 6 (1996, mm), Unloved (2001) 92 ANNYON-KIMCHI “Il Kimchi è un piatto coreano “Kimchi is a traditional tradizionale. È una specie di Korean food. It’s a kind of pickgiardiniera. In tutti i ristoranti les. There are a few varieties of coreani vengono servite a ogni Kimchi served at every meal in pasto diverse varietà di Kimchi. every Korean home. [...] I […] Sono entrato all’Accademia entered the Japan Academy of cinematografica giapponese e Moving images, and I started ho cominciato a dire a tutti che to tell people that I was Korean. ero coreano. In quell’ambiente At that school, it was an intersi trattava di un argomento esting subject, and made me interessante, e rendeva interesseem interesting. Kind of a sante anche me. Una condizioconvenient status. Also that ne decisamente conveniente. Il must have been a reaction after fatto che lo dicessi a tutti not telling anybody for so long. dev’essere stato anche una I majored in documentary filmforma di reazione, dopo che per making. It was time to make a fotografia/photography (video, col.): Mogi Kazuki, Matsue tanto tempo non lo avevo mai thesis project. I chose the subTetsuaki accennato a nessuno. Mi sono ject of ‘Koreans in Japan’ that I montaggio/editing: Yoshida Hiraku, Seki Masanori diplomato nel settore del docuhad avoided all my life. It was musica/music: Okano Samu mentario cinematografico. Era the perfext time to do it. It was produzione/production: Yoshida Hiraku, Matsue Tetsuaki giunto il momento di presentathen or never. I would face per Japan Academy of Moving Images re un progetto per la tesi. Ho myself as a ‘Korean in Japan’ distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA scelto come soggetto ‘i coreani anf if I liked myself, that would Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075 in Giappone’, un tema che be good. If I didn’t, that would Tokyo; tel: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659) durata/running time: 52’ avevo ignorato per tutta la mia be that. An easygoing Korean origine/country: Giappone 1999 vita. Era il momento ideale per in Japan who hates Kimchi farlo. O allora, o mai più. Avrei with no hint of racial integrity. guardato a me stesso come a un ‘coreano in Giappone’, e se mi As a subject of documentary, it couldn’t be better. [...] fossi piaciuto, bene così. Altrimenti, pazienza. Un coreano Recently I have learnt thet ‘Annyon haseyo’ means both hello benestante in Giappone, che odia il Kimchi e non ha alcun and good bye. I chose the title ‘Annyon Kimchi’ for the irony senso di integrità razziale. Come soggetto per un documentait implies to my own existence. I wonder which way it will rio, non avrebbe potuto essere migliore. […] Recentemente ho turn eventually... ‘Hello, Korea’, or ‘Good bye, Korea’. The imparato che il termine ‘Annyon haseyo’ può voler dire tanto answer will be found as my life goes on. Hope it’s a good ‘buongiorno’ quanto ‘addio’. Ho scelto il titolo ‘Annyon one.”(Matsue Tetsuaki) Kimchi’ per il significato ironico che getta sulla mia stessa esistenza. Mi domando come andrà a finire… se sarà BIOGRAPHY ‘Buongiorno, Corea’ o ‘Addio, Corea’. La risposta la troverò Matsue Tetsuaki (Tokyo, 1977) entered the Japan Academy of man mano che la mia vita andrà avanti. E spero che sarà valiMoving Images in 1996. Annyon-Kimchi is his graduate studa.” (Matsue Tetsuaki) dent film. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI MATSUE TETSUAKI BIOGRAFIA Matsue Tetsuaki (Tokyo, 1977) è entrato nel 1996 alla Japan Academy of Moving Images. Annyon-Kimchi è il suo film di diploma. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Annyon-Kimchi (1999, doc., mm) 93 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI MOCHIZUKI ROKURO CHINPIRA Osamu, del clan yakuza Tsukishima, nasconde una donna in fuga da alcuni dei suoi confederati, ignaro che sia Keiko, l’amante del suo padrino. Venendo a sapere che Tsukishima la sta trasformando in una drogata, decide di aiutarla, una decisione con conseguenze inevitabili sulle relazioni con chiunque intorno a lui, compresa la fidanzata Arimi e il suo patrono nella gang, Funamizu. sceneggiatura/screenplay: Ishikawa Masaya, Hirayama Kohki dal manga di Tachihara Ayumi fotografia/photography (35mm, col.): Ishii Koichi montaggio/editing: Yafune Yosuke musica/music: Endo Koji scenografia/art direction: Ito Akio interpreti/cast: Kitamura Kazuki, Taguchi Tomorowo, Hoshi Yoko, Miyamae Kiyori, Nagato Hiroyuki, Takenaka Naoto, Oosugi Ren, Maro Akaji, Taka Gadarukanaru produzione/production: Groove Corporation, Excellent Film distribuzione/distributed by: Groove Corporation (1F, Myark Building, 10-16 Nihonbashi Tomizawa-cho, Chuouku, Tokyo; tel: (81-3) 36622971; fax: (81-3) 36623219) durata/running time: 109’ origine/country: Giappone 2001 “Ho avuto molte occasioni di fare film sui malviventi. Non che mi piacciano i malviventi, ma non intendo neanche trattare il tema in modo casuale, come se fosse ‘un lavoro come un altro’. Un film non è il luogo dove giudicare la gente: perciò ho sempre voluto stare dalla parte dei perdenti. Ho girato parecchi film che avevano come protagonisti dei perdenti, e si dà il caso che questo sia un non molto brillante giovanotto sulla ventina; l’unica virtù che gli si può riconoscere è la consapevolezza delle sue debolezze. Ma questo non gli impedisce di vivere alle spalle di altri. Kitamura Kazuki è apparso in quattro miei film, ma è la prima volta che interpreta il ruolo principale. Kitamura è un uomo coraggioso: riesce a interpretare un personaggio tutt’altro che affidabile e renderlo sexy.” (Mochizuki Rokuro) BIOGRAFIA Mochizuchi Rokuro (Tokyo, 1957) dopo un corso di sceneggiatura con Kaneko Masaru all’Image Forum, lavora come sceneggiatore e assistente regista con Nakamura Genji. Il suo film indipendente Skinless Night ottenne un grande successo in numerosi festival e iniziò a consacra- 94 Osamu, of the Tsukishima yakuza family, hides a woman running from some of his confederates, unaware that she is Keiko, the mistress of his Godfather. Learning that Mr. Tsukishima is turning her into a drug addict, he decides to help her, a decision with inevitable conseguences for his relationship with everyone around him including his girlfriend Arimi and Mr. Funamizu, his patron in the gang. “I have had many opportunities to make films about mobsters. It is not that I like mobsters, but neither do I intend to be casual about it, treating it as ‘just another job’. The thing about film is that it is not a venue for judging people; thus I always want to get behind the losers. I have made quite a nulber of films featuring losers, and this one happens o be a not-very-bright young man still in his twenties. The only virtue he may possess is that he is aware of his weaknesses. But that does not stop him from living at the expense of others. Kitamura Kazuki has been in four of my films, but this is the first time he has played the central character. Mr. Kitamura is blessed with courage. He can play a less-thantrustworthy character and make him sexy. (Mochizuki Rokuro) BIOGRAPHY Mochizuchi Rokuro (Tokyo, 1957) began working as a screenwriter and assistant director to Nakamura Genji after a screenwriting class with Kaneko Masaru at the Image Forum. His independent film Skinless Night achieved great success at numerous festivals and established his reputation both in and outside of Japan. A spe- cial tribute was held in his honour at the 1998 Rotterdam Film Festival. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI re la sua reputazione dentro e fuori il Giappone. Nel 1998 gli è stato dedicato un omaggio speciale al Festival di Rotterdam. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Honban Video: Hagu (Real Action Video: To Skin) (1985), Masturbating Girl (1985, mm), Aido ningyo: Ikasete (Love Slave Doll: Make Me Come) (1986), Skinless Night (1990-91), Gokudo kisha (Wicked Reporter) (1993), Gokudo kisha 2 (Wicked Reporter 2 Transmigration of a pari-mutuel ticket) (1994), Debeso de Strip (Apron Stage) (1995), Shin kanashiki Hitman (Another Lonely Hitman) (1995), Shin gokudo kisha - Niguema densetsu (Wicked Reporter 3 - The One that Got Away) (1996), Onibi (The Fire Within) (1996), Chi no shuseki - Mukokuseki no otoko (Pinocchio - A Man Without Nationality) (1997), Koi gokudo (A Yakuza in Love) (1997), Gokudo zange roku (Mobster's Confession) (1998), Gedo (The Outer Way) (1998), Minazuki (1999), Currency and Blonde (2000), Chinpira (2001), Flowergod (2001) 95 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI OKUHARA HIROSHI TIMELESS MELODY (t.l. Melodia senza tempo) Tamura, un accordatore di pianoforti, viene a sapere della morte del padre da una lettera inviata da uno sconosciuto. Il vecchio era scomparso anni prima in un incidente in mare, ma Tamura non l’aveva mai dato per morto. Ora, tuttavia, non ha scelta. Ubriaco, decide di guidare fino a Yokohama per occuparsi dei resti del padre, ma l’impiegato dell’autonoleggio lo manda via. Poi un uomo anziano e stranamente nervoso gli offre un passaggio. Tamura accetta e si imbarca in quello che potrebbe essere il viaggio più bizzarro della sua vita. sceneggiatura/screenplay: Okuhara Hiroshi fotografia/photography (35mm, col.): Fukumoto Jun montaggio/editing: Okuhara Hiroshi, Sento Takenori musica/music: Aoyagi Takuji suono/sound: Nishioka Masami, Fukuda Shin scenografia/art direction: Hayashi China interpreti/cast: Aoyagi Takuji, Ichikawa Mikako, Kondo Taro, Kimiko Yo, Wakamatsu Takeshi produzione/production: Yanai Hiroshi, Kai Maki, Hayashi Masaki, Amano Mayumi distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075 Tokyo; tel: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659) durata/running time: 95’ origine/country: Giappone 1999 Attualmente il minimalismo fa furore nei film indipendenti giapponesi, e la cosa non sorprende, giusto? Voglio dire, non è forse tipico della cultura tradizionale giapponese fare di più con meno? I giardini di pietra zen e tutto il resto? Ma proprio come la cultura tradizionale giapponese scivola di frequente nel mero formalismo, il minimalismo cinematografico giapponese spesso si risolve in una serie di trucchetti stilistici applicati in modo meccanico. Niente primi piani, prego, siamo giapponesi! Nel suo primo lungometraggio, Timeless Melody, Okuhara Hiroshi attraversa molte delle più comuni innovazioni del minimalismo, fra cui la scarsità dei tagli, le inquadrature lunghe, i piccoli movimenti di macchina, l’uso parco della musica, il dialogo ridotto all’osso e le emozioni dolorosamente soffocate. Ma mentre altri registi utilizzano questi elementi per provocare una leggera depressione, Okuhara crea un arazzo visivo ed emotivo usando un’immagine e una trama della vita al massimo della sua banalità e allegria. Anche se il materiale è ben noto – un quartetto di personaggi disparati alle prese con svolte decisive – Okuhara riesce a rinnovarlo, non grazie a un montaggio vistoso o al lavoro della cinepresa, ma 96 A piano tuner named Tamura learns of his father's death from a letter posted by a stranger. The old man went missing in a boat accident years ago, but Tamura never gave him up for dead. Now, however, he has no choice. Drunk, he decides to drive to Yokohama to attend to his father's remains, but the clerk at the rental car office turns him away. Then a strangely coiled older man offers him a ride. Tamura accepts and embarks on what may be the oddest journey of his life. Minimalism is all the rage now in Japanese indie movies, which sounds right doesn't it? I mean, isn't traditional Japanese culture about doing more with less? Zen rock gardens and all that? But just as traditional Japanese culture often lapses into mere formalism, Japanese cinematic minimalism often declines into a series of mechanically applied stylistic tricks. No close-ups, please, we're Japanese! In his first feature, Timeless Melody, Okuhara Hiroshi runs through many of the standard minimalist changes, including long cuts, long shots, little camera movement, little music, pared-down dialogue and painfully suppressed emotions. But while other directors use these elements to induce mild depression, Okuhara creates a visual and emotional tapestry with the look and texture of life at its most banal and beatific. Despite the familiarity of his material – a quartet of disparate characters facing important turning points – Okuhara manages to make it new, not with flashy editing or camerawork, but by keeping us ever so subtly off-balance, while steadily drawing us into his story. Like Ozu, he creates the illusion of naturalism through calculated, detailed artifice. Every gesture has its meaning, every cut, its logic. (Mark Schilling, “Japan Times”, 21th March 2000) BIOGRAPHY Okuhara Hiroshi (1968) first wanted to become a musician; his first short film, Picnic, won the audience award at the Pia Film Festival in 1993. Timeless Melody was made with the support of the Pia Film Festival. BIOGRAFIA Okuhara Hiroshi (1968) voleva in un primo momento diventare musicista. Il suo primo cortometraggio, Picnic, vinse il premio del pubblico al Pia Film Festival nel 1993. Timeless Melody è stato realizzato col supporto del Pia Film Festival. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI facendoci sempre impercettibilmente perdere l’equilibrio, mentre ci trascina con fermezza dentro la storia. Come Ozu, crea l’illusione del naturalismo attraverso un artificio calcolato e dettagliato. Ogni gesto ha il suo significato, ogni stacco la sua logica. (Mark Schilling, “Japan Times”, 21 marzo 2000) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Picnic (1993, cm), Kazhakh (1994, cm), Timeless Melody (1999) 97 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI SAKAMOTO JUNJI KAO / FACE (t.l. Faccia) Un dramma/avventura strappacuore su una ragazza, Yoshimura Masako, che non ne può più di tirarsi indietro. Ragazza innocente trasformatasi in criminale, comprende il significato della sua vita attraverso numerosi incontri col sesso opposto. Un tempo ragazza solitaria, la sua vita in fuga diviene un viaggio verso l’illuminazione. A heart-rending drama/ adventure about a girl, Yoshimura Masako, who gets sick and tired of holding back. An innocent girl turned criminal, she learns about the meaning of her life through several encounters with the opposite sex. Once a reclusive girl, a life on the run becomes a journey towards her own enlightenment. Face è il primo film di Sakamoto Junji in cui le donne sono i personaggi principali. Alla prima giapponese, il film ha attirato un numero impressionante di spettatori per un film indipendente. Tale successo può essere attribuito alla sottigliezza con cui Sakamoto ritrae la protagonista – una donna che fugge dopo aver commesso un delitto – ma dipende anche dal ritratto della solitudine di un individuo moderno che ci offre. Sin dal suo debutto nel 1989, Sakamoto è riuscito a tenersi a galla nel caotico mondo cinematografico giapponese degli anni novanta ritraendo esclusivamente personaggi maschili coinvolti in un qualche conflitto. Che la storia fosse ambientata nel mondo del pugilato, degli scacchi giapponesi o che parlasse di sequestratori e investigatori, di continuo nei suoi film mescolava brillantemente l’azione hard-boiled con l’umorismo benevolo. In Face ha reso più pungente questa idiosincrasia e ha anche fatto un passo avanti scegliendo soltanto personaggi femminili. Ciò rende Face sia un punto di svolta per lo stesso Sakamoto sia un metro di misura del livello raggiunto dai film giapponesi nell’ultimo decennio. (Yamane Sadao, catalogo del Festival di Rotterdam 2001) 98 Face is the first film by Sakamoto Junji in which women are the most important characters. The film attracted a striking number of visitors for an independent film at its Japanese première. This success can be attributed to the penetrating way in which Sakamoto portrays the protagonist – a woman who flees after committing a murder – while it also thanks to his portrayal of the loneliness of a modern individual. Since his début in 1989, Sakamoto has managed to keep his head above water in the chaotic film world of nineties Japan by only portraying male characters involved in some kind of conflict or other. Whether the story was set in the boxing world, the world of Japanese chess or whether it was about kidnappers or detectives, in his films he repeatedly combined hard-boiled action with good-natured humour in a superior way. In Face he sharpened this idiosyncrasy and also took a new step by choosing only female characters. This makes Face both a turning point for Sakamoto himself, and a measure of the level achieved by Japanese films in the past decade. (Yamane Sadao, Rotterdam Festival’s 2001 catalogue) sceneggiatura/screenplay: Sakamoto Junji fotografia/photography (35mm, col.): Kasamatsu Norimichi montaggio/editing: Fukano Toshihide musica/music: Coba suono/sound: Hashimoto Fumio scenografia/art direction: Harada Mitsuo interpreti/cast: Fujiyama Naomi, Nakamura Kankuro, Ookuso Michiyo, Kishibe Ittoku, Sato Koichi produzione/production: KNHO distribuzione/distributed by: Shochiku Co. Ltd. (1-13-5 Tsukiji, Chuo-ku, Tokyo; tel.: (81-3) 55501623; fax: (81-3) 55501643) durata/running time: 123’ origine/country: Giappone 1999 BIOGRAPHY Sakamoto Junji (Osaka, 1958) learned the craft with directors including Ishii Sogo, Kazayuki Izutsu and Tou Kawashima. In 1989 he made his début with the successful Knock Out!. Since then he has continued to surprise adiences with films including Tekken and Ote. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI BIOGRAFIA Sakamoto Junji (Osaka, 1958) ha imparato il mestiere con registi come Ishii Sogo, Kazayuki Izutsu e Tou Kawashima, prima di debuttare nel 1989 col fortunato Knock Out!, che l’ha rivelato come uno dei personaggi più interessanti del cinema indipendente giapponese. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Doitsutarunen (Knock Out!) (1989), Tekken (Iron Fist) (1990), Ote (Check Mate) (1991), Tokarev (1994), Boxer Joe (1995), Biliken (1996), Kizu darake no tenshi (Scarred Angels) (1997), Orokamono - Kizu darake no tenshi 2 (The Goofball - Scarred Angels 2) (1998), Kao (Face) (1999), Shin jingi naki tatakai (Another Battle) (2000) 99 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI SHIMIZU HIROSHI IKINAI Un gruppo di persone si imbarca su un autobus, partendo per un viaggio con l’intenzione di salvare i familiari dai debiti o altri problemi irresolvibili. Quando una ragazza si unisce a loro usando il biglietto delo zio, il viaggio prende una svolta inaspettata. A busload of people embark on a trip to end their lives with the intention of saving their families from their debts or other unresolvable problems. When a young girl joins them using her uncle’s ticket, their journey takes an unexpected twist. The title of Ikinai (literally, “Not to Live”) the debut feature Il titolo Ikinai (letteralmente, by Shimizu Hiroshi, may be a “Non vivere”), il lungomeplay on the title of the Kurosawa traggio con cui debutta Akira masterpiece Ikuru (To Shimizu Hiroshi, può essere Live), but Ikinai is a Kitano un gioco sul titolo del capoTakeshi film by proxy. This is not lavoro di Kurosawa Akira surprising: Shimizu worked as sceneggiatura/screenplay: Dankan Ikuru (Vivere), ma Ikinai è un Kitano’s first assistant director fotografia/photography (35mm, col.): Yanagishima Katsumi montaggio/editing: Ota Yoshinori film di Kitano Takeshi per on his last three films and Ikinai musica/music: Maya procura. Non sorprende: is the first non-Kitano film to be suono/sound: Take Susumu Shimizu ha lavorato come made by the director’s Office scenografia/art direction: Isoda Norihiro aiuto regista di Kitano nei Kitano production company. interpreti/cast: Dankan, Okouchi Nanano, Omi Toshinori, suoi ultimi tre film, e Ikinai è This is also nothing to be Soda Ippei, Nukumizu Youichi, Gidayu Great, Kishi il primo film non di Kitano a ashamed of. While recalling the Hiroyuki, Mitsuhashi Takashi, Togioka Mitsuo, Haruki essere realizzato dalla casa Kitano style in its puckish Misayo, Ogura Ichiro, Ishida Taro, Murano Takenori di produzione del regista. E deadpan humor, spare narraproduzione/production: Mori Masauyki per Office Kitano, non c’è nulla di cui vergotive structure, and shotmaking Bandai Visual, TBS, Tokyo FM, Nippon Herald gnarsi. Se nell’umorismo economy, Ikinai is not baldly distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams maligno da faccia di bronzo, imitative. I was reminded of durata/running time: 101’ origine/country: Giappone 1998 nella scarna struttura narraSuo Masayuki, another directiva e nell’economia insentor who learned his trade at the sata evoca lo stile di Kitano, feet of a master – in his case Ikinai non è sfacciatamente imitativo. Mi ha ricordato Itami Yuzo – but whose own films softened the harsher Suo Masayuki, un altro regista che ha imparato il aspects of his sensei’s style, including his strident grotesmestiere ai piedi di un maestro – nel suo caso Itami Yuzo querie. Ikinai is likewise Kitano without the rough edges, – ma i cui film addolcivano gli aspetti più aspri dello including the sadistic violence and bad-boy jokes about sex stile del sensei, compreso il suo stridente senso del grotand bodily functions. Shimizu also lacks Kitano’s talent for tesco. Ikinai somiglia a Kitano senza bordi scabrosi, tra shocking us into new ways of seeing and feeling, but has his cui la violenza sadica e le battute da ragazzaccio sul own knack for making his narrative points with the least possesso e le funzioni corporali. A Shimizu manca anche il sible fuss, much like the simple but evocative Peruvian flute talento che ha Kitano nel mostrarci attraverso uno shock music of Ikinai soundtrack composer Maya. His is a mininuovi modi di guardare e di provare emozioni, ma ha malism that, with its absence of directorial ego, is in some un’abilità tutta sua nel sostenere la narrazione con il ways more palatable than his master’s. (Mark Schilling, minimo di smancerie, come l’uso della semplice ma Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull evocativa musica per flauto peruviano, del compositore 1999, p. 211) Maya, che è la colonna sonora di Ikinai. Il suo è un minimalismo che, in assenza di un ego direttoriale, risulta in BIOGRAPHY un certo qual modo più piacevole di quello del suo maeAfter graduating from the Yokohama Film School, Shimizu 100 BIOGRAFIA Dopo essersi diplomato alla Yokohama Film School, Shimizu Hiroshi iniziò la sua carriera come aiuto regista. Nel 1993, con Sonatine, Shimizu diventa membro fisso della troupe di Kitano Takeshi, con cui lavora anche per Getting Any?, Kids Return e Hana-bi. Hiroshi launched his career as a free-assistant director. With Sonatine in 1993, Shimizu became an established member of Kitano Takeshi’s crew. From 1995 on, he worked as chief assistant director on Getting Any?, Kids Return and Hana-bi. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI stro. (Mark Schilling, Contemporary Japanese Film, Weatherhill, Trumbull 1999, p. 211) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Ikinai (1998) 101 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI LEE SANG-IL BLUE / CHONG (t.l. Blu) Yang Tesong trascorre i suoi anni di studi nelle vesti di allievo volenteroso in un liceo per immigrati coreani. Durante un’estate conosce un forte turbamento nel momento in cui la sua famiglia, i suoi amici e la vita scolastica acuiscono la sua consapevolezza di essere un immigrato coreano di terza generazione. Quell’estate, la squadra di baseball del suo liceo gioca per la prima volta una partita amichevole contro la squadra di un liceo giapponese. La sua squadra perde, e Yang prova una cocente delusione. Scosso da una reazione che gli sembra eccessiva, comincia a rivedere la sua vita da un punto di vista nuovo. sceneggiatura/screenplay: Lee Sang-il fotografia/photography (16mm, col.): Hayasaka Shin, Yamada Kosuke, Hashimoto Taro montaggio/editing: Takiguchi Chieko, Sato Tatsunori suono/sound: Igarashi Kei, Oishige Takashi scenografia/art direction: Matsuura Moto costumi/costumes: Mo Syu-ki interpreti/cast: Mashima Hidekazu, Yamamoto Takashi, Ariyama Takahiro, Takemoto Shino, Shimizu Yka, Nishikawa Masahiro, Kimura Ikuyo, Ogiso Reiichi, Fujiwara Takaya produzione/production: Japan Academy of Moving Images distribuzione/distributed by: PIA Film Festival (PIA Corporation, 5-19, Sanban-cho, Chiyoda-ku, 102-0075 Tokyo; tel.: (81-3) 32651425; fax: (81-3) 32655659) durata/running time: 54’ origine/country: Giappone 1999 “In un paese dove molti pensano che in Giappone vivano solo i giapponesi, non è facile venire a patti con la propria condizione di straniero, e questo vale tanto più per i coreani. Nei film giapponesi, i coreani venivano presentati di solito come poveri, puri e perfetti. Ma ora, a cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, questi slogan non funzionano più. I coreani che vivono nel Giappone di oggi, me compreso, sono come denti di leone, che fioriscono in qualsiasi parte del paese. […] Per una concomitanza di fattori, la situazione tra il Giappone e la penisola di Corea continua a ricordare quella di una spina di pesce che ti si sia messa di traverso in gola. I coreani che vivono in Giappone sono coinvolti a tutti gli effetti nel problema. In ogni caso, questo non è un film didascalico sull’Estremo Oriente, e sarei già felice se vi sedeste al vostro posto, vi rilassaste e ve lo godeste. Se poi il film dovesse suscitare il vostro interesse e una vostra attenzione ai problemi esistenti tra la penisola di Corea e il Giappone, andreb- 102 Yang Tesong is spending his school days as a wilful youth at a high school for Korean immigrants. One summer he becomes worried as his family, friends and school life make him become sharply aware that he is a third generation Korean immigrant. That summer, for the first time, his high school baseball team is pitted in a friendly game against the team from a Japanese high school. When his team loses, Tesong gets upset. Stirred by the disappointment he begins to take a second look at his life. “In a country where many people think that only Japanese live in Japan, it’s not easy to live as a foreigner, in particular a Korean. Koreans in Japanese film were also usually portrayed as pure, poor, and pretty. Now, however, 50 years after the Second World War, such slogans no longer function. The Koreans living in Japan today, including myself, are like dandelions blooming everywhere in Japan. […] Due to various factors, the situation between Japan and the Korean Peninsula continues to be a state like a sliver of fish bone stuck in the throat. Koreans living in Japan are apart of that bone. In any case, this film is not an educational film about the Far East region, so I would be happy if you just sit back, relax, and simply enjoy it. And if you become interested in the problems between the Korean Peninsula and Japan through this film, it would be more than I can hope for.” (Lee Sang-il) BIOGRAPHY Lee Sang-il (1974) was born in the Niigata Prefecture as a third generation Korean resident in Japan. After graduating from Kanagawa University, he entered the Japan Academy of Moving Images, Imamura Shohei’s film school. Blue/Chong is his graduate student film. BIOGRAFIA Lee Sang-il (1974) nasce nella Prefettura di Niigata da una famiglia coreana residente in Giappone. Dopo essersi laureato all’università di Kanagawa, è entrato alla Japan Academy of Moving Images, la scuola di cinema di Imamura Shohei. Blue/Chong è il suo film di diploma. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI be al di là delle mie più rosee speranze.” (Lee Sang-il) FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Blue/Chong (1999) 103 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI SUWA NOBUHIRO H-STORY (t.l. Storia H) Il regista Suwa Nobuhiro ha riunito il cast e la troupe nella sua città natale, Hiroshima, per realizzare un remake del classico di Alain Resnais Hiroshima, Mon Amour. L’attrice francese Béatrice Dalle, il direttore della fotografia Caroline Champetier e lo scrittore Kou Machida, un simbolo della letteratura giapponese contemporanea, si uniscono a Suwa nell’impegnativa impresa di reinterpretare emozioni complesse legate a un particolare tempo e luogo nel passato. Filmmaker Suwa Nobuhiro has gathered cast and crew in his native city, Hiroshima, to direct a re-make of the classic Alain Resnais film Hiroshima, Mon Amour. French actress Béatrice Dalle, cinematographer Caroline Champetier and writer Kou Machida, an emblem of contemporary Japanese literature, join Suwa in the challenging task of re-interpreting complex emotions linked to a singular time and place in the past. “With this film, as with my two earlier works, there is no scenario. My last film, M/Other is based on a very short synopsis. The scenario was developed through numerous discussions with the actors before and during the shoot. Dialogue is always improvised; and the story changes continually during the shoot. Even after the shoot, I find that images themselves have no sense. It is only during the editing process that I can discover the structure of the film. One might say the scenario is never really written at all until the end of the process. I was even stricter with myself in making H-Story. Nothing in the way of a synopsis was drafted; except that I knew the story would concern a man and a woman who come together and separate in Hiroshima today.” (Suwa Nobuhiro) fotografia/photography (35mm, col.): Caroline Champetier montaggio/editing: Oshige Yuji, Suwa Nobuhiro musica/music: Suzuki Haruyuki suono/sound: Kikuchi Noboyuki scenografia/art direction: Hayashi China interpreti/cast: Beatrice Dalle, Machida Kou, Umano Hiroaki, Suwa Nobuhiro, Caroline Champetier, Yoshitake Michiko, Suhama Motoko produzione/production: Suncent Cinemaworks Inc. distribuzione/distributed by: Wild Bunch (Rue Dumont D’urville 47, 75116 Parigi; 0153648555; fax: 0156692940; email: [email protected]) durata/running time: 112’ origine/country: Giappone 2001 “In questo film, come nei miei due precedenti, non c’è sceneggiatura. Il mio film precedente, M/Other, era basato su una sinossi molto breve. La sceneggiatura si sviluppava attraverso numerose discussioni con gli attori prima e durante le riprese. Il dialogo è sempre improvvisato e la storia cambia continuamente durante le riprese. Anche dopo le riprese, mi sembra che le immagini non hanno senso in se stesse. Solo durante il processo di montaggio scopro la struttura del film. Si potrebbe dire che la sceneggiatura non è mai realmente finita che al termine del processo. Sono stato ancor più rigoroso con me stesso nel fare H-Story. Niente che assomigliasse a una sinossi è stato steso, a parte il fatto che sapevo la storia avrebbe riguardato un uomo e una donna che si incontrano e separano a Hiroshima, oggi.” (Suwa Nobuhiro) BIOGRAFIA Suwa Nobuhiro (Hiroshima, 1961) iniziò la sua esperienza cinematografica come assistente di Nagasaki Shunichi, Yamamoto Masashi e Ishii Sogo. Nel 1990 ha iniziato a realizzare documentari televisivi. BIOGRAPHY Suwa Nobuhiro (Hiroshima, 1961) started his film career as assistent director with Nagasaki Shunichi, Yamamoto Masashi and Ishii Sogo. In 1990 he started making television documentaries. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY 2 Duo (1996), M/Other (1999), H-Story (2001) 104 MABUDACHI / BAD COMPANY (t.l. Cattiva compagnia) 1980. Sadamoto frequenta un istituto superiore di una cittadina. Il severo insegnante Kobayashi ha appeso in classe un “indice dell'umanità” diviso in “delinquenti”, “rifiuti” e “persone”. Un giorno Kobayashi scopre che Sadamoto e i suoi amici hanno rubato in un negozio per il puro gusto di farlo. Gli alunni devono scrivere un tema “autocritico”; Sadamoto consegna il suo intitolandolo “Io sono una cipolla”, e all'insegnante sembra di intravedere un primo segno di umanità. Da qui parte una situazione confusa nella quale diventa sempre più difficile, anche per gli alunni, distinguere tra verità e menzogne, tra autocritiche giustificate e meri atti di opportunismo. sceneggiatura/screenplay: Furumaya Tomoyuki fotografia/photography (35mm, col.): Inomoto Masami musica/music: Shigeno Masamichi suono/sound: Hata Kotaro scenografia/art direction: Suzaka Fumiaki interpreti/cast: Okitsu Yamato, Takahashi Ryosuke, Nakajima Yuta, Mitsuishi Ken, Yashiro Asako, Shimizu Mikio produzione/production: Suncent Cinemaworks Inc. distribuzione/distributed by: Suncent Cinemaworks Inc. (tel.: +813 57492461; fax: 57492341) durata/running time: 98’ origine/country: Giappone 2000 1980. Sadamoto is at a secondary school in a small town. The strict teacher Kobayashi has hung up a “humanity index” in the classroom, divided into the categories “delinquents”, “scum” and “people”. One day Kobayashi finds out that Sadamoto and his friends have stolen some things from a shop for fun. The children have to write a self-critical essay; Sadamoto writes a piece entitled “I am an onion”, in which the teacher thinks he can detect a first sign of humanity. This is the start of a confusing situation in which it gets hard to distinguish lies, truth, justified selfcriticism and opportunist wheeler dealing, even for the boys. Mabudachi, secondo film del giapponese Furuyama Tomoyuki, è un buon film sull’adolescenza e ha ricevuto uno dei tre premi del concorso. Ambientazione rurale. Tre ragazzini formano una banda affiatata e cercano di opporsi a una scuola in cui un professore tirannico li sottopone a vere e proprie torture fisiche e psicologiche. […] I tre si inventano prove per sopportare il dolore, come strigere una puntina in mano durante l’interrogazione e come passare il fiume camminando sulla spalletta del ponte. Ma le umiliazioni continuano e uno dei tre si lascia cadere dal ponte. Nessuno lo troverà più. Film lucido e senza concessioni; il percorso tra l’incomprensione e la ribellione, l’umiliazione e il senso di colpa è raccontato in maniera forte e sentita. Un regista da tenere d’occhio. (Bruno Fornara, Rotterdam: nella dispersione si salva il Giappone, “Cineforum”, n. 403, aprile 2001) Mabudachi, the second film by Japanese filmmaker Furuyama Tomoyuki, is a good film about adolescence, which received one of the competition prizes. The setting is rural. Three boys form a tight-knit group and try to stand up to a school at which a tyrannical professor subjects them to actual and real physical and psychological torture. [...] The three invent trials to withstand the pain, like squeezing a needle in their hand during the interrogation; and to defy risk, like passing over a river walking along the parapet of a bridge. But the humiliations continue and one of them throws himself off the bridge, never to be found again. A lucid film that makes no concessions, a journey between incomprehension and rebellion, humiliation and feelings of guilt, told in a strong and sincere fashion. A director worth keeping an eye on. (Bruno Fornara, Rotterdam: nella dispersione si salva il Giappone, “Cineforum”, n. 403, April 2001) BIOGRAFIA Furuyama Tomoyuki fece il suo debutto nel 1996 con This Window is Yours. Mabudachi è il suo secondo film. BIOGRAPHY Furuyama Tomoyuki made his debut in 1996 with This Window is Yours. Mabudachi is his second film. IL CINEMA GIAPPONESE OGGI FURUYAMA TOMOYUKI FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY This Window is Yours (1996), Mabudachi/Bad Company (2000) 105 Film sperimentali dall’Image Forum KAIDO-RYOKU REAL / SATISFACTION REAL (t.l. Reale soddisfazione) “Questo film condivide lo stesso tema con Satisfaction (1994), ma ho usato qui un approccio differente. Ho tentato di visualizzare l’energia dell’attività riproduttiva. Ho usato un computer per montare e creare fotogrammi compositi, sfondi in miniatura, nuvole disegnate al computer.” (Boda Katsushi, catalogo dell’Image Forum Festival 1998) BIOGRAFIA Boda Katsushi (1964) si è laureato alla Art University di Musashino nel 1987. Ha lavorato anche per la TV in opere d’animazione per bambini. I suoi lavori includono Pulsar (1990) e Form of Stress (1992). “This film shares the same theme with Satisfaction (1994) but I’ve used a different approach here. In this film I tried to visualize the energy of reproductive activity. I used a computer to edit and create composite frames out of the characters, miniature backgrounds, and computer graphically designed clouds.” (Boda Katsushi, Image Forum Festival’s 1998 catalogue) Video, b/n musica/music: Yamashita Naoki interpreti/cast: Horiguchi Megumi, Yanaka Masanori, Shimada Asuka durata/running time: 6’ origine/country: Giappone 1998 FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM BODA KATSUSHI BIOGRAPHY Boda Katsushi (1964). Graduated from Musashino Art University in 1987. Recently he made many animation and photo story works for children on TV. His independent works include Pulsar (1990), Form of Stress (1992). 107 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI 108 HARADA IPPEI OZ-MIX “Un tentativo di fare musica “An attempt to make music utilizzando immagini ma using images but unlike a non come in un video musimusic video or video jockey who cale o come fa un VJ che arranges images purely for the combina immagini solo per il sake of the music. Nor is it simgusto della musica. Neanche ilar to the visual music made by è simile alla musica visuale abstract images and animation fatta di immagini atratte e or computer graphic films animazione, o ai film in comwhere pictures and music are puter grafica dove immagini valued at the same level in order e musica sono valutate allo to make the images understandstesso livello in modo da renable. This film was born out of dere comprensibili le immathe desire to create a place where gini. Questo film è nato dal the picture recorded in the desiderio di creare un luogo frame including dialogue and dove l’immagine registrata sound effects, in other words, nel fotogramma includendo both the image aspect and the Video, b/n musica/music: Tanba Hiroyuki dialogo ed effetti sonori – in musical aspect (the rhythm of durata/running time: 5’ altrt parole sia l’aspetto visithe film), were treated equally.” origine/country: Giappone 1999 vo che quello musicale (il (Harada Ippei, Image Forum ritmo del film) – fossero tratFestival’s 1999 catalogue) tati allo stesso modo.” (Harada Ippei, catalogo dell’Image Forum Festival 1999) BIOGRAPHY Harada Ippei (Tokyo, 1960). Prizes: Honorable Mention at BIOGRAFIA Image Forum Festival 1987 (Continuous Rectangles). To Harada Ippei (Tokyo, 1960) è attivo come VJ. Ha ottenuSum Up (1996-’98) nominated for Dragons and Tigers Award to una menzione all’Image Forum Festival nel 1987 con in the 17th Vancouver International Film Festival. He is active Continuous Rectangles. To Sum Up è stato nominato per il as a VJ. premio Dragons and Tigers al Festival di Vancouver. GI-SOUCHI “M” / APPARATUS “M” Un lavoro prodotto per l’esibizione di Morimura Yasumasa allo Yokohama Museum of Art, dal 6 aprile al 9 giugno 1996. Fu proiettato in un cinema vecchio stile costruito nello spazio espositivo che comprendeva fotografie di Morimura nei panni di famose attrici giapponesi e straniere. Morimura Yasumasa è stata ripresa mentre interpretava Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza. Questo film visualizza un’immaginazione rispondente a parole chiave come sesso, morte, travestimento, ostentazione, Marilyn Monroe e Morimura Yasumasa. A work produced for the Morimura Yasumasa Exhibition at the Yokohama Museum of Art, April 6 to June 9, 1996. It was shown in an old-style theater constructed within the exhibit space that featured photographs of Morimura playing famous foreign and Japanese actresses. Morimura Yasumasa was filmed playing Marilyn Monroe from The Seven Year Itch. This is a film that visualizes an imagination responding to keywords like sex, death, masquerade, ostentation, Marilyn Monroe, and Morimura Yasumasa. FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM ITO TAKASHI BIOGRAPHY Ito Takashi (Furuoka, 1956), graduated from Kyushu BIOGRAFIA University of Arts and Design. In school, under professor Ito Takashi (Furuoka, 1956) si è laureato in Arte e design Matsumoto Toshio’s instruction, he studied experimental filmall’università di Kyushu, studiando cinema sperimentale making and began his own work in film. Recently, he has col professor Matsumoto turned his interest to “death”. 16mm, col. Toshio e iniziando a realizzaHe won a prize at 42nd interpreti/cast: Morimura Yasumasa re i propri film. È professore Oberhausen International Short produzione/production: Morimura Yasumasa associato al Kyoto College of Film Festival (Zone, 1995). He durata/running time: 6’ Art. Ha vinto un premio con is an associate professor of Kyoto origine/country: Giappone 1996 Zone (1995) al Festival del corCollege of Art. His works tometraggio di Oberhausen. I include: Spacy (1981), Box suoi lavori includono: Spacy (1981), Box (1982), Thunder (1982), Thunder (1982), Drill (1983), Ghost (1984), Grim (1982), Drill (1983), Ghost (1984), Grim (1985), Wall (1987), (1985), Wall (1987), Venus (1990), The Moon (1994). Venus (1990), The moon (1994). 109 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI ITO TAKASHI MONOCHROME HEAD (t.l. Testa monocromatica) “Un uomo ossessionato dal filmmaking tenta di fissare su pellicola tutto ciò che vede di fronte a se. Ma, quando la situazione trascende, la storia gli sfugge di mano, e nella sua angoscia l’uomo comincia a essere minacciato da un’immagine di morte. Ho tentato di mettere nel film le immagini che mi venivano in mente mentre cercavo di raccontare questa storia.” (Ito Takashi, catalogo dell’Image Forum Festival 1997) “A man obsessed with filmmaking tries to fix on film everything he sees before him. But, as the situation escalates, the story grows out of hand, and in his agony, the man begins to be menaced by an image of death. In my film, I have tried to put into film the images that come to my mind as I try to tell this story.” (Ito Takashi, Image Forum Festival’s 1997 catalogue) 16mm, col. suono/sound: Inagaki Takashi interpreti/cast: Yamanaka Ryuichi durata/running time: 10’ origine/country: Giappone 1997 110 MONGOLIAN PATY Da principio il film appare At first, the film seems like a semplice, costruito su una simple one constructed out of a serie di lunghi piani sequenseries of long one-shot takes, za, ma la seconda metà è but the second half is shot with girata chiudendo manuala manual shutter release that mente il diaframma e così subtly alters the shooting alterando sottilmente la velospeed. This form of shooting cità delle riprese. Questo makes one think, for example, of modo di girare fa pensare, ad the changing speed of hand esempio, alle diverse velocità movements during a music dei movimenti di una mano recital. The effect of this style is durante un concerto musicaa transfiguration of Mongolia’s le. L’effetto di questo stile è la natural wonders into a persontrasfigurazione delle meraviified landscape, and a humorglie naturali della Mongolia ous portrayal of things moving in un paesaggio personificaever so lightly (flowers, clouds, 8mm, col. to, insieme a un ritratto animals, exercising women). interpreti/cast: fiori, cielo, cavalli, capre e cammelli in divertente di oggetti che si The title “paty” is a variation of Mongolia muovono con estrema legge“party”; by leaving out one letdurata/running time: 19’ rezza (fiori, nuvole, animali, ter and by recording the title in origine/country: Giappone 1996 donne che si allenano). Il titoa personalized style, the direclo “paty” è una variante di tor claims a broad array of “party”; secondo il regista, eliminando una lettera e meanings becomes possible. This is a piece in the director’s riportando il titolo in uno stile personale ci si apre a una series “Film as Dance”. larga schiera di significati. Il film fa parte della serie “Film as Dance”, dello stesso regista. “Shooting for this film was done in July 1995 in Mongolia (the Southern Gobi and elsewhere). Besides conventional shooting, “Le riprese sono state girate nel luglio del 1995 in I also used single-frame shots and manually advanced time Mongolia (Gobi meridionale e in altri luoghi). Oltre a exposures. The film was edited and completed in September riprese convenzionali, ho utilizzato anche singoli frame e 1996.” (Manjome Jun, Image Forum Festival’s 1997 catalogue) tempi d’esposizione regolati manualmente. Il film è stato montato e completato nel settembre 1996.” (Manjome Jun, BIOGRAPHY catalogo dell’Image Forum Festival 1997) Since 1989, Manjome Jun has worked on the series “Film as dance” which takes as its topics “film and corporeality”. At the BIOGRAFIA same time, he has continued his involvement as a performance Manjome Jun ha lavorato dal 1989 alla serie “Film as artist with a focus on dance. His films include: The Animal Dance”. Allo stesso tempo ha continuato il suo lavoro Named Dance (1990), Seraphita (1993), Nul (1995), AKB come performance artist. Le sue opere includono The (1996). Animal Named Dance (1990), Seraphita (1993), Nul (1995), AKB (1996). FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM MANJOME JUN 111 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI MURAKAMI KENJI NATSU NI UNARERU / TEL-CLUB Nell’estate del 1998, il cineasta è tornato nella sua città natia, Takasaki, per filmare la nascita del figlio di suo fratello e di sua cognata. Passano i giorni e il bambino ancora non nasce. Con molto tempo libero a disposizione e nessuno con cui parlare, il regista trova il numero di un club per appuntamenti telefonici, e chiama mosso dall’urgenza di un solo desiderio: parlare con una ragazza. Pur seguendo le convenzioni del film-diario, in alcuni punti il cineasta precipita in un tunnel temporale, costellato di falsi ricordi. (Catalogo dell’Image Forum Festival 1999) Video, col. montaggio/editing: Shorao Kazuhiro musica/music: Yajima Satoshi interpreti/cast: Uematsu Rie, Shimada Yukiyasu, Kuribayashi Shinobu durata/running time: 76’ origine/country: Giappone 1998 BIOGRAFIA Murakami Kenji (1970) ha avuto una menzione all’Image Forum nel 1995 con Bye-Bye Original Colour e un Gran premio al Festival di Yubari del 1999 con Tel-Club. 112 In the summer of 1998, the filmmaker went home to Takasaki to film the birth of his brother and sister-in-law’s child. Days go by and the child is still to be born. With time on his hands and no one to talk to, the filmmaker finds the phone number for a telephone date club, and calls up with an earnest desire: I’d like to talk to a girl. While following the conventions of film-diary form, at some point the filmmaker falls into a time tunnel of false memory. (Image Forum Festival’s 1999 catalogue) BIOGRAPHY Murakami Kenji (1970). Prizes: Honorable Mention at Image Forum estival 1995 (Bye-Bye Original Colour), Grand Prize at Yubari International Fantastic Adventure Film Festival 1999 Off-Theater Competition (TelClub). CROSSING (t.l. Attraversamento) “In linea generale, tendiamo a “Generally speaking, we tend to percepire gli oggetti che vediafeel that the objects we see and mo e tocchiamo come immutouch are immutable in our tabili. Tuttavia, questi materiaworld. However, these materials li fatti di pietra o di metallo which are made of stone or metpotrebbero rivelare, almeno a als might have potential to tell livello potenziale, una loro these intention or to move. If mobilità e mutevolezza. Se a once these objects started movun certo punto questi oggetti ing around and communicatcominciassero a muoversi ing, the world supposed to be tutto intorno e a comunicare, il immutable will be changed and mondo che si credeva immuat the same time people’s mind tabile cambierebbe completaand consciousness will be also mente, e lo stesso accadrebbe changed. Changing the view alla mente e alla coscienza point might be close to these della gente. Cambiare contithings. Whenever I create visunuamente punto di vista al works, I am hoping to express musica/music: Planet 3 durata/running time: 3’ potrebbe produrre un effetto these feelings through my origine/country: Giappone 1996 molto simile. Ogni volta che works.”(Nakahishi Yoshihisa) creo un’opera di arte visiva, sono questi i sentimenti e gli BIOGRAPHY stati d’animo che tento di esprimere.” (Nakahishi Yoshihisa) Nakanishi Yoshihisa (Tokyo, 1965) graduated from Musashino Art College. He has continued creating works free of any kind BIOGRAFIA of expressive forms. He also works on illustrations, objects, Nakanishi Yoshihisa (Tokyo, 1965) si è laureato all’Art installations and design. In 1992, he began editing and working College di Musashino. Lavora su illustrazioni, oggetti, as art director of the street culture magazine “Rojyo”. Since installazioni, design. Dal 1992 si occupa della direzione 1993 he has been producing live events in collaboration with artistica della rivista di cultura di strada “Rojyo”. Dal other artistic groups. Selected visual works: Flying Off (1988), 1993 produce eventi artistici collaborando con altri grupBattle Town (1988), Metro Coaster (1991), Zone (1995), pi artistici. Tra i suoi lavori visuali: Flying Off (1988), Battle Crossing (1996), Roundscape Mix (1997), Carve Man Town (1988), Metro Coaster (1991), Zone (1995), Crossing (1998). (1996), Roundscape (1997), Carve Man (1998). FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM NAKANISHI YOSHIHISA 113 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI 114 NAKANISHI YOSHIHISA ROUNDSCAPE MIX “Avevo appena visto un pae“I had just seen a wonderful saggio meraviglioso: mi senlandscape; I felt great. I wanttivo benissimo. Volevo traed to turn that beautiful feelmutare quella bella sensazioing into a film. I found a nice ne in un film. Ho trovato uno view, while walking around scorcio carino, mentre pasthe neighbourhood, and seggiavo per il quartiere e observed the scene from up osservavo la scena dall’alto, above, in the park. There was a nel parco. C’era una certa kind of nostalgia and a sense of nostalgia e un senso d’affetto. affection. I tried to record the Nel film ho cercato di mantememory of that vision. The nere il ricordo di quella visiomeans for expressing this film ne. Il mezzo per esprimere were the use of a device and a questo film è stato l’uso di high speed motion control uno stratagemma e una tecnitechnique. This way I could ca di controllo del movimengive you the sensation of flyVideo, col. to ad alta velocità. Così poteing, a mysterious sensation. musica/music: Rie Furuya vo darvi la sensazione di This film wanted to use sight durata/running time: 5’ volare, una sensazione misteto create entertainment. The origine/country: Giappone 1997 riosa. Questo film voleva theme of this film is that we usare la vista per fare spettahave various perspectives in colo. Il tema di questo film è che nella vita quotidiana noi our daily lives, and that we are free from prejudice and conabbiamo varie visioni, e che siamo liberi dal pregiudizio e crete idea.” (Nakanishi Yoshihisa) dall’idea di concretezza.” (Nakanishi Yoshihisa) SLIDE (t.l. Scorrere) La sensazione del movimento in avanti è qualcosa che noi umani prendiamo ormai praticamente per assodata. Invece la sensazione di movimento laterale è storicamente un fenomeno decisamente più recente, reso possibile dalle invenzioni della nostra epoca meccanica. Dalle portantine ai carretti tirati dai cavalli, fino ai treni e alle automobili, la nostra percezione della velocità è cresciuta sempre più rapidamente. Ora che l’informatizzazione delle immagini ha assunto il controllo grazie a computer sempre più potenti, ha inizio uno strano spettacolo. (Catalogo dell’Image Forum Festival 2000) Video, col. durata/running time: 7’ origine/country: Giappone 1999 BIOGRAFIA Sato Yoshinao si è laureato all’università di Tsukuba. Ha lavorato recentemente ad animazioni fotografiche. Con Papers (1994) vinse un premio al Philip Morris Art Award nel 1996, con Variation for Movements (1996), il Premio Speciale della Giuria al Festival di Yubari nel 1998, con Trucks (1999), un Gran Premio al III Japan Digital Art Contest. The sensation of forward movement is something that we walking humans pretty much take for granted these days. The sense of lateral motion, however, is historically a rather more recent phenomenon, made possible by the inventions of our mechanical age. From palanquins and horse-drawn carts to trains and cars, our perception of speed has grown increasingly faster. Now with visual information taken over by increasingly powerful computers, a strange spectacle arises. (Image Forum’s 2000 catalogue) FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM SATO YOSHINAO BIOGRAPHY Sato Yoshinao graduated from University of Tsukuba/Master’s Program in Art and design. Recently, he has been working on photographic animations. Papers (1994) won a prize at Philip Morris Art Award 1996. Variation for Movements (1996) won Special Jury Prize at Yubari International Fantastic Adventure Film Festival 1998. Trucks (1999) won Grand Prize at 3rd Japan Digital Art Contest. 115 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI SERIZAWA YOICHIRO SATSUJIN CAMERA / KILLER CAMERA (t.l. Telecamera assassina) “Chi è più forte, l’aggressore o la vittima? Chi è più grande, il regista o l’oggetto filmato? Quali sono corrette, le vere immagini documentaristiche o quelle messe in scena? E se io sono al centro del mondo, allora dove può mai essere il centro del film? Perciò, dopo essersi conquistata sia l’amore del mio consigliere tecnico, Mr. Hiruma, che la mia malevolenza, la mia Fran-kenprinter comincia a mettersi in azione. E se avete un film che non vi piace proprio, portatemelo. Questa macchina lo ridurrà a brandelli.” (Serizawa Yoichiro, catalogo dell’Image Forum Festival 1997) 16mm, col. interpreti/cast: Kikuchi Toshiaki durata/running time: 3’ origine/country: Giappone 1996 BIOGRAFIA Serizawa Yoichiro (1963) si è laureato all’Istituto dell’Image Forum nel 1988. Ha vinto premi al PIA Film Festival nel 1981 con Really? e all’Image Forum Festival nel 1990 con Between Man. I suoi film includono: Light My Fire (1985), Freeze! (1988), I Like Traveling (1991), Synthetic Person (1993), Direct Light (1995). 116 “Who is stronger, the aggressor or the victim? Who is greater, the filmmaker or the filmed object? Which are correct, actual documentary imeges or composed images? And if I am at the center of the world, then where on earth is the center of film? And so, my Frankenprinter having won both the love of my technical adviser, Mr. Hiruma, and my own malice starts to operate. And, if you have a film you don’t quite like, then bring it along. This machine will rip it to shreds.” (Serizawa Yoichiro, Image Forum Festival’s 1997 catalogue) BIOGRAPHY Serizawa Yoichiro (1963) graduated from the Image Forum Institute of Moving Image in 1988. Prizes: at PIA Film Festival 198 (Really?), Image Forum 1990 (Between Man). His films include: Light My Fire (1985), Freeze! (1988), I Like Traveling (1991), Synthetic Person (1993), Direct Light (1995). HIDARI CHOKYO DISCIPLINE FOR LEFT-HANDED (t.l. Disciplina per mancini) Un film basato sulle memorie di essere stati “corretti” con la forza dalla propria natura di mancini. In una stanza spoglia con nient’altro che i ritratti dei genitori su un tavolo. Niente altro che una tempesta a soffiare in uno spazio che inizia e termina nelle tenebre. BIOGRAFIA Shirakawa Koji (Miyazaki, 1967) ha studiato cinematografia all’Image Forum Institute of Moving Image. Il suo primo film è Ishiki saezuri (The Site Behind the Bandaged Eye), Hidari chokyo il secondo. Entrambi incorporano elementi digitali e mirano a nuovi “modi di racconto”. A film based on memories of having left-handedness corrected by force by one’s parents. In a stark room with nothing but portraits of parents on a table. It is only a storm, blowing in a space that begins and ends in darkness. Super8, col. interpreti/cast: Shirakawa Toshiko, Joichi Akira, Ishii Kenichiro, Shinohara Ryuichi, Matsubara Toyo, Murayama Kiyomi durata/running time: 57’ origine/country: Giappone 1999 FILM SPERIMENTALI DALL’IMAGE FORUM SHIRAKAWA KOJI BIOGRAPHY Shirakawa Koji (Miyazaki, 1967) studied filmmaking at Image Forum Institute of Moving Image. His first film is Ishiki saezuri (The Site Behind the Bandaged Eye). Hidari chokyo is his second film. Both works incorporate digital elements into the film, and aim for new “ways of telling”. 117 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI WADA YUNKO MOMOIRO BABY OIL / PEACH BABY OIL (t.l. Olio per bambini alla pesca) “Che cosa farò quando sarò grande?” Uno strano spazio solo pochi metri sopra il mio monolocale. La nostra eroina, vent’anni, sogna di restare una “ragazzina”… La narrazione dolce e irreale, e le immagini erotiche e provocatorie, producono sul pubblico un strano effetto raggelante eppure affascinante. Wada afferma: “Quando diventa grande il mio corpo, il mio cucciolo di coccodrillo, il mio monolocale? A vent’anni mi comportavo come una bambina in lotta con se stessa, ma ero già troppo vecchia e troppo grossa.” (Catalogo dell’Image Forum Festival 1996) sceneggiatura/screenplay: Wada Yunko fotografia/photography (8mm, col.): Wada Yunko montaggio/editing: Wada Yunko interpreti/cast: Aoyama Reiko, Yogo Misako durata/running time: 16’ origine/country: Giappone 1995 BIOGRAFIA Wada Yunko (Prefettura di Aomori, 1973) si è laureata all’Istituto dell’Image Forum nel 1996. Ha vinto un premio all’Image Forum Festival nel 1994 con Claustromania. Tra i suoi altri lavori: Ice Cream 38° C (1994), Papaya-Coconut Passion (1995), Exercise March (1995), A Lesson in Boy’s Love (1996). 118 “What should I do when I grow up?” A strange space only several inches above my one room apartment. Our twenty year old heroine dreams of staying as a “girl”… The sweet unreal narration and the provocative, erotic images produce a strange chilling yet enthralling effect on the audience. Wada claims, “When will my body, when will my pet crocodile, when will my one bedroom apartment grow larger? At twenty I was acting like a child at odds with herself, but I was already too old and large.” (Image Forum Festival’s 1996 catalogue) BIOGRAPHY Wada Yunko (Aomori Prefecture, 1973) graduated from the Image Forum Institute of Moving Image in 1996. Prizes: Image Forum Festival 1994 (Claustromania). Her films and video include: Ice Cream 38° C (1994), Papaya-Coconut Passion (1995), Exercise March (1995), A Lesson in Boy’s Love (1996). In Occidente i pink eiga sono prevalentemente noti come film porno, ma tale denominazione è fuorviante poiché in questi film non si vedono né organi genitali, né atti sessuali espliciti e il confine con l’hard core non viene mai superato. Le scene hard core non solo infrangerebbero le leggi della commissione sull’etica cinematografica (eiga rinri kitei iinkai, in breve: EIRIN, l’organo volontario di autocontrollo dell’industria cinematografica), la cui autorizzazione in Giappone è necessaria affinché i film possano essere presentati in pubblico, ma entrerebbero anche in conflitto con il comma 175 del codice penale giapponese, che vieta la distribuzione e l’esposizione di rappresentazioni oscene. In generale le scene di sesso sono girate in modo che si capisca bene ciò che succede sullo schermo, ma quel che succede non è visibile in modo esplicito. Organi genitali e peli pubici vengono elegantemente evitati oppure resi irriconoscibili attraverso “sfumature”, i cosiddetti bokashi. La maggior parte dei pink eiga vengono girati ancora oggi con macchine da presa a 35mm o Super16. A differenza che in Europa e in America, in Giappone il cinema erotico ha conservato un mercato indipendente. I pink eiga, quindi, si distinguono dai loro omologhi europei per il fatto di essere stati girati in primo luogo per il cinema, il che naturalmente non esclude una successiva utilizzazione sul mercato del video e della televisione (via cavo o satellite). I pink eiga vengono presentati in sale cinematografiche specializzate, prevalentemente di piccole dimensioni. Una volta esistevano centinaia di cinema di questo tipo, oggi, in tutto il Giappone, sono appena centotrenta le sale che offrono regolarmente dei pink eiga. Due fra i pink eiga più straordinari degli ultimi anni sono stati OL no Love Juice (1999) di Tajiri Yuji e Sex Friend (1999) di Sakamoto Rei. Entrambi documentano i mutamenti nel rapporto fra i sessi: OL no Love Juice è la storia di una donna sui trent’anni che avvia una relazione con uno studente più giovane di sette anni, al quale però non riesce ad aprirsi emotivamente. La comunicazione fra i due si svolge quasi esclusivamente attraverso la sessualità, che viene rappresentata con una sensibilità rara nel pink eiga. Anche in Sex Friend di Sakamoto Rei viene mostrato un cambiamento nel modo di rapportarsi con la sessualità, che qui viene trattata quasi in modo pudico. (Roland Domenig) PINK EIGA PINK EIGA In the west, pink eiga films are mostly known as porn films, but such a label is misleading because no genital organs or explicit sex scenes are shown in the films, and the boundary with hard core pornography is never crossed. Hard core scenes would not only infringe upon the laws of the Aesthetics in Film Commission (eiga rinri kitei iinkai; in short, EIRIN, the film industry’s voluntary organ of self-control), whose authorisation in Japan is necessary in order for a film to be presented publicly; they would also come into conflict with article 175 of the Japanese penal code, that prohibits the distribution and exhibition of obscene material. Generally, the sex scenes are shot in such a way to make it what is happening on the screen apparent without, however, making the action either visible or explicit. Genital organs and pubic hairs are elegantly avoided or else rendered unrecognisable through “nuances”, the so-called bokashi. The majority of pink eiga films are still shot today with 35mm or Super16mm cameras and, unlike in Europe or American, erotic films have maintained an independent market in Japan. Thus, the pink eiga films differ from their European counterparts in that, in the first place, they were shot for the cinema, which naturally does not exclude subsequent distribution on the video or television (cable or satellite) markets. The pink eiga films are shown in specialised cinemas, which are usually small. Hundreds of these kinds of cinemas used to exist, but today there are barely 130 that regularly show pink eiga films. Two of the most extraordinary pink eiga films of recent years are Tajiri Yuji’s OL no Love Juice (1999) and Sex Friend (1999) by Sakamoto Rei. Both document the changes in a relationship between the sexes. OL no Love Juice is the story of a 30 year-old woman that begins a relationship with a student who is seven years younger, to whom she cannot manage to open up however. Communication between the two takes place almost exclusively through sex, which is presented with a sensitivity that is rare for a pink eiga film. In Sakamoto Rei’s Sex Friend, the changes in ways of relating through sex are also depicted, but this time in an almost shy manner. (Roland Domenig) 119 IL CINEMA GIAPPONESE OGGI SAKAMOTO REI SEX FRIEND NUREZAKARI / A 3-1 COUNT Mika e Daisuke vivono insieme in un piccolo appartamento e non si preoccupano del futuro. Un giorno Tsutomu, un ex compagno di classe di Daisuke, si intromette nella loro casa e passa la notte lì. Il giorno dopo se n’è andato. Mika e Daisuke decidono di visitare in campagna i genitori di Tsutomu per riportargli il cellulare che ha dimenticato. Durante il viaggio incontrano un altro compagno di scuola con la sua ragazza che si uniscono a loro. Mika and Daisuke live together in a small apartment and don’t worry about their future. One day Tsutomu, a former classmate of Daisuke, intrudes their apartment and spends the night there. The next day he is gone. Mika and Daisuke decide to visit Tsutomu’s parents at the countryside to bring them the mobile telephone Tsutomu has left. On their way they meet another classmate with his girlfriend who joins them. BIOGRAPHY Sakamoto Rei (Tokyo, 1973). In 1994, while still studying at the Nikkatsu Art School, he encounters the films of the shitenno directors and decides to enter the pink eiga world. After several years as assistant director to Zeze Takahisa, Sato Toshiki and others, in 1999 he directs his debut film Sex Friend nurezakari. BIOGRAFIA Sakamoto Rei (Tokyo, 1973) nel 1994, mentre studiava alla Nikkatsu Art School, conosce i film dei registi shitenno e decide di entrare nel mondo del pink eiga. Dopo alcuni anni come aiuto regista per Zeze Takaisha, Sato Toshiki e altri, nel 1999 debutta alla regia con Sex sceneggiatura/screenplay: Sakamoto Rei, Imaoka Shinji, Zeze Takahisa Friend nurezakari. fotografia/photography (35mm, col.): Kagami Sachi montaggio/editing: Sakai Syoji interpreti/cast: Sato Kinako, Sawa Tetsuji, Sakai Kuniyuki, Ito Kiyomi produzione/production: KOKUEI Co. Ltd. durata/running time: 65’ origine/country: Giappone 1999 FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Sex Friend nurezakari (1999), 18-sai. Shitagi no uzuki (2001) 120 OL NO LOVE JUICE / RUSTLING IN BED Tomomi ha 28 anni e lavora come impiegata in una piccola compagnia. È stata scaricata dal ragazzo e passa le serate a ubriacarsi in un bar. Tornando a casa in treno incontra Takao, di otto anni più giovane, ancora studente. Finiscono a letto insieme e iniziano una relazione che sembra perfetta per entrambi. Tomomi, comunque, capisce presto che il loro rapporto è perfetto solo dal punto di vista fisico, e che a livello emotivo Takao è meno coinvolto di quanto lei sperasse. PINK EIGA TAJIRI YUJI Tomomi is 28 and works as an office employee at a small company. She was dumped by her boyfriend and spends the evening drinking at a bar. On her way back home on the train she encounters Takao, 8 years younger than Tomomi and still a student. They end up in bed together and begin a relationship, that seems perfect for both of them. Tomomi however, very soon realizes, that their relationship is perfect only on a physical level and that emotionally Takao is less committed than she had hoped. BIOGRAFIA BIOGRAPHY Tajiri Yuji (Hokkaido, 1968) dopo essersi laureato alla Tajiri Yuji (Hokkaido, 1968). After graduating from Teikyo Teikyo University entra nella compagnia di produzione University he entered the pink eiga production company di pink eiga Shishi Pro e lavora come aiuto regista per Sato Shishi Pro and worked as assistant director to Sato Hisayasu, Hisayasu, Zeze Takahisa e altri. Col suo secondo film OL Zeze Takahisa and other directors. His second film OL no Love no Love Juice ottiene ricoJuice won him wide acclaim also noscimenti anche al di outside of the pink eiga world. sceneggiatura/screenplay: Takeda Kousuke fuori del mondo dei pink fotografia/photography (35mm, col.): Iioka Masahide eiga. montaggio/editing: Sakai Syoji interpreti/cast: Kubota Azumi, Sato Mikio, Hayashi Yumika, Sawayama Yuji produzione/production: KOKUEI Co. Ltd. durata/running time: 58’ origine/country: Giappone 1999 FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Ikeike densha - Hamete ikasete yamenaide (1997), OL no Love Juice (1999), Nopan chikan densha - Miechatta! (2000), Mirai H nikki (2001, video) 121 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 (CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA”) PARIS VU PAR… (t.l. Parigi vista da…) Una sorta di manifesto programmatico della Nouvelle Vague: i quartieri di Parigi in sei storie realizzate da alcuni dei principali esponenti del movimento. A kind of programmatic manifesto of the New Wave: the neighbourhoods of Paris in six stories made by some of the leading members of the movement. “Les Films du Losange”, fondata all’inizio del 1964, è più “Les Films du Losange”, founded in 1964, is more than a prodi una società di produzione. Si pone come un moviduction company. It presents itself as an aesthetic movement mento estetico legato a determinate concezioni economiconnected to certain economic concessions. Paris vu par’s che. L’ambizione di Paris vu par… è di esserne il manifeambition… is to be the manifesto […]. It is the same as for pubsto […]. È come per le case editrici e per le gallerie d’arlishing companies and art galleries: what counts is choosing an te: quel che conta è di scegliere una linea e di attenervisi. artistic course and sticking to it. We are certain that the public Noi siamo certi che alla lunga il pubblico seguirà – una will follow in the long run – a part of the public, at least, the parte, almeno, quella che ci interessa. Non è il regno di part that interests us. We do not want to establish a sterile un’“avanguardia” sterile quello che vogliamo instaurare “avant-garde” kingdom (imited by theatre or painting, (imitata dal teatro o dalla pittura, distaccata dalla realtà detached from present-day reality), but an “avant-garde” of the attuale), ma piuttosto quello degli autori. Tutto il cinema authors themselves. All of modern cinema is “auteur” cinema. moderno è un cinema di But the truly modern cinema, of autori. Ma il cinema autentitomorrow, that we can glimpse regia/direction: Claude Chabrol (ep. La Muette), Jean camente moderno, quello di and want to help exhibit, will Douchet (ep. Saint-Germain-des-Prés), Jean-Luc Godard (ep. Montparnasse-Levallois), Jean-Daniel Pollet (ep. Rue domani, che noi intravedianot be a cinema created by direcSaint-Denis), Eric Rohmer (ep. Place de l’Étoile), Jean mo e che vogliamo contritors incapable of depicting conRouch (ep. Gare du Nord) buire a rivelarsi, non sarà temporary and future reality or sceneggiatura/screenplay: Claude Chabrol (ep. La Muette), quello dei registi incapaci di freeing themselves from the Jean Douchet (ep. Saint-Germain-des-Pres), Jean-Luc mostrare la realtà attuale e weight of their obsessions, to tell Godard (ep. Montparnasse-Levallois), Georges Keller (ep. futura, di liberarsi dal peso a story. […] What seems to be Saint Germain-des-Pres), Jean-Daniel Pollet (ep. Rue Saintdelle loro ossessioni, di racemanating from Paris vu par… Deni), Eric Rohmer (ep. Place de l’Etoile), Jean Rouch (ep. contare una storia. […]. Quel is a new aesthetic of realism. In Gare du Nord) che pare sprigionarsi da all of these instances, and fotografia/photography (35mm, col.): Néstor Almendros (ep. Paris vu par… è una nuova despite each director’s profound Saint Germain-des-Pres e Place de l’Etoile), Étienne Becker estetica del realismo. Vi è, in originality, there is a common (ep. Gare du Nord e Place de l’Etoile), Alain Levent (ep. Rue Saint Denis), Albert Maysles (ep. Montparnasse-Levallois), tutti questi episodi, malgradesire: to reclaim environments, Jean Rabier (ep. La Muette) do la profonda originalità di social classes and characters montaggio/editing: Jacquie Raynal ogni regista, una volontà without weighing them down interpreti/cast: Jean-Pierre Andréani, Stéphane Audran, comune: restituire gli with pre-established meanings; Nadine Ballot, Georges Bez, Claude Chabrol, Jeanambienti, le classi sociali, i to see beyond the preconcepFrançois Chappey, Gilles Chusseau, Serge Davri, personaggi, senza appesantions. […] The respect for the Micheline Dax, Jean Douchet, Marcel Gallon, Sarah tirli di significati prestabiliti, aforementioned issues can be Georges-Picot, Philippe Hiquilly, Maya Josse, Claude vedere le cose al di là dei attested in the use of live sound Melki, Gilles Quéant, Jean-Michel Rouzière preconcetti. […]. Di questo and colour, which we would like produzione/production: Barbet Schroeder, Patrick Bauchau rispetto per le cose è testimoto lay down increasingly more per Les Filmes du Cyprès, Les Films du Losange ne l’uso del suono in presa often as the general rule; as well durata/running time: 95’ origine/country: Francia 1965 diretta e del colore, che vorin the technique that will come, remmo sempre più imporre that is already coming, to econocome regola. È la tecnica che my’s aid. Thus, 16mm (which verrà, che già viene, in aiuto all’economia. Così il 16mm television rendered a professional format) allows one to save (di cui la televisione ha fatto un formato professionale) tremendously on the shooting costs (and not only on the price consente di risparmiare notevolmente sui costi delle of film stock, which is of negligible importance in a film’s budgriprese (e non solo sul prezzo della pellicola, avendo et). This allows for increased freedom for the camera and elimquesta un peso trascurabile nel budget di un film). Esso inates all the inconveniences that hinder filming in natural CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” AA.VV. 125 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 126 permette una maggiore libertà della macchina da presa ed elimina tutti gli inconvenienti che ostacolavano le riprese in ambiente naturale. Esteticamente, d’altronde, gli episodi di Godard e Rouch propongono nuove forme, assolutamente impensabili in 35mm. Quel che conta è dotarci dei mezzi per fare film con più facilità e con costi minori. […]. Non ci si può attenere alla “politica del rischio”. Un film d’autore da 50 milioni è ancora troppo caro. Soluzione: ridurre il prezzo e aumentare la quantità dei film prodotti. Così il successo di un solo film potrebbe recuperare le spese di quattro. E comunque un buon film, se ha costi minimi, sempre di più trova un suo pubblico. (Barbet Schroeder, Six Paris contés, “Cahiers du Cinéma”, n. 171, ottobre 1965) surroundings. Aesthetically, on the other hand, Godard and Rouch propose new forms, that are absolutely unthinkable in 35mm. That which counts is equipping ourselves with the means to make films with greater ease and lower costs. […] We cannot concern ourselves with the “politics of risk”. An “auteur” film that costs 50 million is still too expensive. The solution: reduce the costs and increase the number of films produced. This way, the earnings of one successful film could make up the cost of four films. And a good film, if it has minimum costs, will have even greater success in finding its public. (Barbet Schroeder, Six Paris contés, in “Cahiers du Cinéma”, n. 171, October 1965) LOIN DU VIETNAM (t.l. Lontano dal Vietnam) Otto registi per un documentario che esprime la cattiva coscienza dell’Occidente nei confronti della guerra del Vietnam. Eight directors in one documentary try and explain the West’s dirty conscience in regards to the Vietnam War. “None of us felt capable of “Nessuno di noi si sentiva resolving the Vietnamese probcapace di risolvere da solo il lem on our own; our position on problema vietnamita; la Vietnam came as a result of connostra attitudine nei confrontinuous discussions and continti del Vietnam è il risultato di uous research. For all of those discussioni continue e di who took part in it, this work continue ricerche. Per tutti was profoundly enriching. coloro che ci hanno preso Godard and Resnais took charge parte, questo lavoro è stato of the scenes shot in France. un arricchimento profondo. Resnais preferred the monoGodard e Resnais si sono logue and chose this “genre” to incaricati delle scene girate precisely state the position of in Francia. Resnais ha prefethe leftist intellectual. To sum rito il monologo, e ha scelto up this man, to define him questo “genere” per precisaexactly, he made an actor say re la posizione dell’intelletthe written text instead of, as tuale di “sinistra”. Per fare la one would expect, recording it sintesi di questo uomo, per indirectly as an interview. And definirlo esattamente, ha it is the only moment in the film fatto dire da un attore un in which a fictional form was testo scritto, invece di procechosen. For Jean-Luc Godard, regia/direction: Jean-Luc Godard, Joris Ivens, William dere, come si sarebbe portati the film was a kind of “confesKlein, Claude Lelouch, Chris Marker, Alain Resnais, a credere, a una registrazione sion” into which he threw himAgnès Varda, Michelle Ray indiretta di un’intervista. Ed self with much enthusiasm. He sceneggiatura/screenplay: Jean-Luc Godard, Chris Marker è il solo momento in cui, nel had the lucidity to himself comfotografia/photography (35mm, col.): Ghislain Cloquet film, si è scelta la forma della ment on his soul-searching. montaggio/editing: Jacques Meppiel finzione. Per Godard il film è And this was seen as a provocainterpreti/cast: Anne Bellec, Karen Blanguernon, Bernard stato una specie di “confestion. The more candid and modFresson, Maurice Garrel, Valérie Mayoux produzione/production: Chris Marker, Societé pour le sione” nella quale si è gettato est he was in describing his Lancement des Œuvres Nouvelles con molto entusiasmo. Ha interior conflicts, the more he durata/running time: 120’ avuto la lucidità di commenwas accused of being vain.” origine/country: Francia 1967 tare lui stesso il suo esame di (Chris Marker, Cinemacoscienza. E questo è stato sessantotto, by Riccardo accolto come una provocazione. Più è stato franco e Rosetti, Quaderni di “Filmcritica”, n. 6, Bulzoni, Roma 1978) modesto descrivendo i suoi conflitti interiori, più è stato accusato di essere vanitoso.” (Chris Marker, Cinemasessantotto, a cura di Riccardo Rosetti, Quaderni di “Filmcritica”, n. 6, Bulzoni, Roma 1978) CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” AA.VV. 127 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 MONTE HELLMAN THE SHOOTING (t.l. La sparatoria) Un ex cacciatore di taglie accetta di fare da guida, con un compagno, a una donna che vuole attraversare il deserto con un killer per ammazzare un uomo. La vittima designata è il fratello del nostro, che tenta inutilmente di evitare l’assassinio. A woman who wants to cross the desert with a killer to murder a man hires an ex-bounty hunter as a guide, along with his friend. The designated victim is the bounty hunter’s brother, who futilely tries to escape death. And now a surprise: The E ora una sorpresa: The Shooting by Monte Hellmann Shooting di Monte Hellmann (who also made Ride the (autore anche di Ride the Whirlwind, which I haven’t Whirlwind che non ho visto), seen), the first western from the primo western del giovane young US independent cinema. cinema indipendente USA. Ci We were expecting an intellecsceneggiatura/screenplay: Carole Eastman (Adrien Joyce) aspettavamo un western tual western. We got it, in a fotografia/photography (35mm, col.): Gregory Sandor intellettuale. Lo abbiamo sense, but only to discover that montaggio/editing: Monte Hellman avuto, in un certo senso, ma an ethnological kind of intellecmusica/music: Richard Markowitz per scoprire come un intellettualism has forced itself upon scenografia/art direction: Wally Moon tualismo di tipo etnologico si the traditional standards of the interpreti/cast: Will Hutchins, Millie Perkins, Jack è sforzato di ancorare i tipi west (seeing as how the film Nicholson, Warren Oates, Charles Eastman, Guy El tradizionali del West (poiché captures them without cheating) Tsosie, Brandon Carroll, B.J. Merholz, Wally Moon, il film li riprende senza barain the linguistic and rural rusWilliam Mackleprang, James Campbell re) nella rusticità linguistica e ticity of its contemporary inhabproduzione/production: Monte Hellman, Jack Nicholson per Proteus Films, Santa Clara Productions contadina dei suoi attuali abiitants. The problem was that, durata/running time: 82’ tanti. Il problema è stato che, not understanding the dialect origine/country: USA 1967 non comprendendo bene il well (it wasn’t subtitled), I diddialetto (non c’erano sottotin’t follow the film very well, but toli), non ho seguito molto bene, ma il film si è imposto it made itself understood nonetheless. Especially the end, a dracomunque. Soprattutto la fine, gag drammatica a più matic, fantastical gag that works on several levels and smacks livelli, di tipo para fantastico, tocco originale e peccato oriboth of an original touch and original sin: after an hour and a ginale: dopo un’ora e mezza la cultura riprende i suoi half, culture takes back its rights. (Michel Delahaye, “Cahiers diritti. (Michel Delahaye, “Cahiers du Cinéma”, n. 178) du Cinéma”, n. 178) BIOGRAFIA Monte Hellman (Long Island, 1932) dopo varie esperienze teatrali inizia a lavorare a Hollywood come assistente al montaggio, prima alla televisione, poi al cinema, per entrare successivamente nella factory di Roger Corman, con cui realizza i suoi primi film. BIOGRAPHY Monte Hellman (Long Island, 1932) began working in Hollywood as an assistant editor (after having worked extensively in the theatre), first in television then in cinema, before entering the Roger Corman factory and making his first films with them. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Beast from Haunted Cave (1959), Ski Troop Attack (1960, minutaggio aumentato per la Tv), The Terror (1963) (non accreditato), Flight to Fury (1964), Back Door to Hell (1964), Ride in the Whirlwind (1965), The Shooting (1967), Two-Lane Blacktop (1971), Shatter (1974) (non accreditato), Cockfighter (1974), Baretta (1975, Tv), The Greatest (1977) (subentrato dopo il decesso di Tom Gries), China 9, Liberty 37 (1978), Avalanche Express (1979), Inside the Coppola Personality (1981), Iguana (1988), Silent Night, Deadly Night 3: Better Watch Out! (1989) 128 APRILI (t.l. Aprile) Un ragazzo e una ragazza si rincorrono per le strade di Tblisi, intralciati da numerosi uomini che trasportano mobili senza sosta. I due si stabiliscono in un appartamento cercando un po’ d’intimità. La comparsa di luce, acqua e gas è seguita da quella di un uomo che istruisce silenziosamente i giovani sulle norme della vita privata. Presto la loro casa viene invasa dai mobili con il consenso degli abitanti del palazzo. Non c’è più spazio per il loro amore, tutto è custodito dalla presenza ingombrante di un lucchetto. sceneggiatura/screenplay: Erlom Achvlediani, Otar Ioseliani fotografia/photography (35mm, b/n): Jurij Fedven musica/music: Natela Ioseliani, Sulchan Nasidze suono/sound: V. Machaidze scenografia/art direction: E. Lapkovski interpreti/cast: Ghia Cirakadze, Tatiana Canturia, Alexsandr Cikvaidze, A. Giorbenadze, V. Maisuradze produzione/production: G. Shariqadze, Gruzjia Film, Kartuli Filmi durata/running time: 50’ origine/country: URSS 1962 Il soggetto di Aprili era molto semplice: si trattava di tagliare un bosco per farne dei mobili e invadere con essi un appartamento. In una giovane coppia in cui non c’era più posto per la leggerezza e per l’amore, non c’era spazio che per i mobili. C’era, però, anche una questione di lucchetti e catenacci, riguardante l’ossessione di chiudere ogni bene dietro le porte. Si trattava di un piccolo modello di umanità che non riusciva a vivere, perché invasa da cose inutili. Al posto degli alberi e della foresta, restavano i ceppi… Il simbolismo può essere inteso come volete, ma non c’erano proprio tracce di una critica concreta alla società. Ero un regista molto giovane che non pensava per niente alla politica. Ma in seguito divenni, tanto per il pubblico quanto per le autorità, qualcuno che proponeva una critica della società totalitaria: e questo mi faceva ridere, perché io volevo solo raccontare una favola tragica, sul principio della stupidità che domina la nostra vita su questa terra; in ogni luogo. Kruscëv a quell’epoca aveva già intrapreso una lotta contro l’astrattismo e il cosmopolitismo. Veniva considerato un atteggiamento cosmopolita il non raccontare una storia concreta; era l’opposto del neorealismo. (Da Ioseliani secondo Ioseliani - Addio terraferma, a cura di Luciano A young man and woman chase each other through the streets of Tbilisi, obstructed by numerous men moving furniture ceaselessly. The two move into an apartment, searching for some privacy. The arrival of electricity, water and gas is followed by the arrival of a man who silently instructs the young couple on the rules of private life. Soon, their place is overrun by furniture, with the permission of the building’s inhabitants. There is no more space for their love; everything is guarded over by the cumbersome presence of a padlock. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” OTAR IOSELIANI The theme of Aprili was very simple: it was about cutting down a forest in order to make furniture with which to overload an apartment. For a young couple in which there was no more space for lightness and love, there was no more space for furniture. There was also, however, the question of padlocks and bolts, regarding the obsession to lock up all possessions. It was about a small model of humanity that could not manage to live, because it was overrun by useless things. Instead of the trees and the forest, all that remained were stumps… The symbolism can be interpreted as one wishes, but there was truly no trace of concrete social criticism in the film. I was a very young director who did not think at all about politics. But afterwards I became – as much for the public as for the authorities – someone who criticised totalitarian society. This made me laugh, because I only wanted to tell a tragic fairy tale, about the principle of stupidity that dominates our life on this earth, in every place. At that time, Kruschev had already undertaken a fight against abstraction and cosmopolitanism. It was considered cosmopolitan to not tell a concrete story; it was the opposite of neorealism. (From Ioseliani secondo Ioseliani - Addio terraferma, by Luciano Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa, Ubulibri, Milano 1999, p. 43) 129 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa, Ubulibri, Milano 1999, p. 43) BIOGRAFIA Otar Ioseliani (Tblisi, 1934) studia con Aleksandr Dovzenko e Michail Ciaureli al VGIK di Mosca, e lavora agli studi Gruzija-fil’m come aiuto regista, montatore e quindi nella sezione documentari. Nel 1961 si diploma in regia ma dopo che il suo primo mediometraggio non ottiene il permesso di essere distribuito nelle sale abbandona per qualche anno il cinema, ritornandovi nel 1966 col suo primo lungometraggio, Girgobistve. BIOGRAPHY Otar Ioseliani (Tblisi, 1934) studied with Aleksandr Dovzenko and Michail Ciaureli at the VGIK in Moscow and worked at the Gruzija-fil’m studios as an assistant director, editor and, later, in the documentary department. He graduated in directing in 1961 but after his first medium-length film was granted permission to be distributed in cinemas, he left film for a few years, returning in 1966 with his first feature, Girgobistve. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Akvarel’ (1958, cm, Tv), Sapovnela (1959, cm), Aprili (1962, mm), Tudhzi (1964, cm, doc.), Girgobistve (1966), Dzveli qartuli simgera (1969, cm, doc.), Iko shashvi mgalobeli (1971), Pastorali (1976), Lettre d’un cineaste (1982, cm, Tv), Sept pièces pour cinéma noir et blanc (1983), Eukzadi été 1982 (1983, mm, doc.), Les Favoris de la lune (1984), Un petit monastère en Toscane (1988, mm, doc.), Et la lumière fut (1989), Homage to Hubert Bals (1989, ep. di In Memoriam Hubert Bals), La Chasse aux papillons (1992), Seule, Georgie (1994, Tv), Brigands, chapitre VII (1996), Adieu, plancher des vaches! (1999) 130 DEMANTY NOCI (t.l. Diamanti della notte) Seconda guerra mondiale. Due ragazzi saltano da un treno che trasporta gli ebrei verso i campi di sterminio. Le guardie della Gestapo danno loro la caccia ma i ragazzi riescono a fuggire. Camminano per giorni, quando incontrano una donna che porta il cibo al marito che lavora nei campi. Tirano a sorte chi dovrà andarle a chiedere il cibo e poi ucciderla perché non li tradisca. Il designato ottiene il cibo ma non ha il coraggio di uccidere la donna, che li denuncia. I due sono fatti ancora prigionieri, ma riescono di nuovo a fuggire, sperando di raggiungere la loro casa. sceneggiatura/screenplay: Arnost Lustig, Jan Nemec dal racconto omonimo di Arnost Lustig fotografia/photography (35mm, b/n): Jaroslav Kucera, Miroslav Ondrícek musica/music: Vlastimil Hála, Jan Rychlík suono/sound: Frantisek Cerny scenografia/art direction: Oldrich Bosák costumi/costumes: Ester Krumbachová, Zdena Snajdarová interpreti/cast: Ivan Asic, August Bischof, Irma Bischofova, Ladislav Jánsky, Josef Koblizek, Josef Koggel, Josef Kubat, Antonín Kumbera, Rudolf Lukásek, Bohumil Moudry, Karel Navratil, Evzen Pichl, Frantisek Procházka, Jan Riha, Anton Schich, Rudolf Stolle, Frantisek Vrana produzione/production: Ceskostovensky Filmexport durata/running time: 63’ origine/country: Cecoslovacchia 1964 Un estetismo molto controllato, quello di Demanty Noci, trappola per critici che si è già sbafato due premi. Su due adolescenti che fuggono davanti all’occupante tedesco, dunque sulla sofferenza umana durante la guerra, il ceco Jan Nemec ha realizzato un esercizio di stile privo di qualsiasi valore umano. I flashback sempre uguali di una Praga sovraesposta, che fanno di questa pellicola di 1 ora e 10 minuti un brutto cortometraggio di 5 minuti ricopiato 15 volte, sembrano trasformarla in un film sulla coscienza dei protagonisti, un Marienbad di Marianské-Lazné. In realtà, tali coscienze sono le coscienze puramente animali di una coppia di idioti che non sanno neanche respirare correndo, si fanno prendere per stupidaggine, cercano solo di appagare i loro rari istinti, hanno due o tre idee, pensieri o ricordi ricorrenti, e la cui idiozia non è mai denunciata: è una cosa naturale o una conseguenza della guerra? Nemec non si è posto il problema, perché il tutto è solo un pretesto per un estetismo muto che risale al cinema centroeuropeo d’anteguerra, dalla fotografia meno elaborata, ma meno brutta. Il film inizia con un’inquadratura in movi- World War II. Two young men hop on a train transporting Jews to death camps. The Gestapo guards on board chase them but the two manage to escape. They walk for days until they meet a woman taking food to her husband who is working in the fields. They draw names to see who will ask the woman for food and then kill her so that she will not give them away. The loser gets the food but does not have the courage to kill the woman, who turns them in. The two are imprisoned again but, like before, manage to escape, in the hopes of reaching their homes. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” JAN NEMEC The aestheticism of Demanty Noci is very controlled and presents a trap for critics as the film scooped up two prizes. In this film about two adolescents fleeing from the German occupier – and thus a film on human suffering during the war – Czech filmmaker Jan Nemec has created an exercise in style devoid of any human content. The flashbacks of an overexposed Prague – that turn this 1 hour and 10 minute film into an ugly 5 minute short repeated 15 times – seem to transform Demanty Noci into a film about the characters’ consciences, a Marienbad of Marianské-Lazné. Actually, the consciences are purely animal. They are the those of a pair of idiots who do not even know how to breathe correctly; who lose themselves in trivialities; who are only looking to satisfy their rare instincts; who have only two or three recurring ideas, thoughts or memories in their heads; and whose idiocy is never exposed. It this natural or a consequence of war? Nemec does not pose this question because everything here is just pretence for a silent aestheticism that dates back to post-war European cinema, from the less elaborated, and thus less ugly, photography. The film begins with a surprising tracking shot. For 8-10 seconds one appreciates the audacity, but after 25-30 seconds of the same exact sequence one understands that the film will repeat itself end- 131 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 mento sorprendente. Per 8-10 secondi se ne apprezza l’audacia, ma la corsa continua identica e, dopo 25-30 secondi, si capisce che il film si ripeterà continuamente. Nessuna spontaneità giovanile, dunque. (Luc Moullet, “Cahiers du Cinéma”, n. 166) BIOGRAFIA Jan Nemec (Praga, 1936) ha studiato alla scuola di cinema di Praga terminando i corsi con Sausto, mediometraggio premiato al Festival di Oberhausen. Ottiene il successo internazionale con Demanty noci, ma dopo le manifestazioni del ’68 praghese (che filma per il documentario Oratorium for Prague) rimane per anni senza lavoro e negli anni ’70 emigra, prima in Francia e Germania, poi negli Stati Uniti. Solo con la caduta del regime comunista può tornare a girare in patria. lessly. Thus, there is no youthful spontaneity. (Luc Moullet, “Cahiers du Cinéma”, n. 166) BIOGRAPHY Jan Nemec (Prague, 1936) studied at the cinema school in Prague, where as his final project he produced Sausto, a medium-length film which was awarded at the Oberhausen Days of Short Films Festival. He gained international success with Demanty noci, but after the Prague demonstrations of 1968 (which he filmed for the documentary Oratorium for Prague) he was unable to work and in the 1970s he emigrated to France and Germany, then the United States. Only after the fall of the Communist regime was he able to return to his country to make films. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Sausto (1960, mm), Pamet naseho dne (1963, doc., mm), Demanty noci (1964, mm), Podnodnici (ep. di Perlicky na dne, 1965), O slavnosti a hostech (1966), Mucedníci lásky (1967), Matka a syn – Mutter und Sohn (1967, mm), Oratorium for Prague (1968, doc.), Návrat (1968) Náhrdelník melancholie (1968,Tv), Cas slunce a ruzí (1968, Tv), Das Rückendekolleté (1975), Metamorphosis (1975), The Czech Connection (1975, Tv), True Stories: Peace in Our Time? (1988, Tv), The Poet Remembers (1989, Tv), V záru královské lásky (1990), Strahovská demonstrace (1990), Jmeno kodu: Rubin (1997), Nocní hovory s matkou (2000) 132 MAHLZEITEN (t.l. Pasti) La studentessa di fotografia Elisabeth, a photography stuElisabeth incontra e frequenta dent, meets and starts dating lo studente di medicina Rolf: medical student Rolf: together insieme discutono di problethey discuss aesthetic problems mi estetici e si entusiasmano and engage in lively discussions con gli amici in vivaci discuswith their friends. Rolf is an idesioni. Rolf è un idealista e i alist and his studies are not suoi studi non procedono con going well. When Elisabeth gets successo. Quando Elisabeth è pregnant they marry and set up incinta si sposano e mettono a home and she continues to su casa, mentre lei continua a forcefully steer Rolf’s interests forzare gli interessi di lui towards art and literature, surverso l’arte e la letteratura, rounding herself with a literary riunendo attorno a se un circircle of friends. After the birth colo letterario. Alla nascita of their third child, Rolf leaves del terzo figlio, Rolf lascia gli medical school and, in order to sceneggiatura/screenplay: Edgar Reitz studi di medicina e per ritrofind himself, leaves Elisabeth for fotografia/photography (35mm, b/n): Thomas Mauch vare se stesso lascia per un a while; she loses their fourth montaggio/editing: Anni Geise, Maxi Mainka, Beate po’ Elisabeth, che perde il child. Elisabeth gets depressed Mainka-Jellinghaus, Elisabeth Orlov quarto figlio. Lei dapprima and wants to leave her husband, musica/music: Maurice Ravel vuole lasciare il marito, poi si but eventually makes up with suono/sound: Herbert Prasch, Hansjörg Wicha riconcilia con lui; è incinta per him. She becomes pregnant with interpreti/cast: Heidi Stroh, Georg Hauke, Nina Frank, la quinta volta, mentre Rolf fa a fifth child and Rolf becomes a Ruth Von Zerboni, Ilona Schütze, Peter Hohberger, Dirk il rappresentante di cosmetici cosmetics salesman. Elisabeth Borchert, Klaus Lackschewitz, Edgar Reitz (commento off) Apassionatasi alla religione becomes inspired by the produzione/production: Edgar Reitz Film, Kuratorium mormone, convince Rolf a Mormon religion and convinces Junger Deutscher Film durata/running time: 90’ seguirne il rito; poco dopo Rolf to take part in one of the ritorigine/country: RFT 1966 Rolf si toglie la vita. Elisabeth uals; shortly afterwards, Rolf non capisce la morte del takes his life. Elisabeth does not marito, e quando conosce un americano di dieci anni più understand her husband’s death and, when she meets an giovane di lei lo sposa e lo segue in America. American ten years her senior, she marries him and follows him to America. Edgar Reitz ha girato una storia d’amore, un film sulla felicità in due che rapidamente diventa una famiglia di Edgar Reitz has created a love story, a film about happiness sette persone. Una grande parte del film, quasi la metà, between two people that quickly become a family of seven. A illustra quel tipo di amore che distrugge chi ama passilarge part of the film, almost half of it, shows the type of love vamente: incontri dei due nella brughiera, nella natura, in that destroys those who love passively. There are scenes of rencui Elisabeth dice di “prosperare” particolarmente bene; dezvous in fields, in nature, in which Elisabeth claims to scene d’amore sul grande divano-letto, che Elisabeth ha “flourish” particularly well; love scenes on the large sofa-bed, proclamato il mobile più importante del piccolo appartawhich Elisabeth declares the most important piece of furniture mento; sguardi silenziosi e teneri, dialoghi, parole “gocin the small apartment; silent and tender looks and dialogue ciolanti” davanti alla finestra chiara; visite di amici, and words “trickled” in front of a clear window; friend’s visits; chiacchiere alle feste, si sta accoccolati per terra, Elisabeth chats at parties; the couple embracing on the ground. Elisabeth rende pubblica la propria felicità: “Lo si sente nel cuore, makes her happiness public: “It can be felt in the heart, in the nell’anima, ci si sente liberi, felici, si è semplicemente felisoul, it makes us free, happy, we are simply happy… Happiness ci… La felicità sarà compiuta soltanto quando ci sarà will be achieved only when there will be pain as well. We need anche un dolore. Lo si vorrebbe avere più spesso”. Il film more of that more often”. The film does not criticise anything, non critica nulla, mostra soltanto la vorace felicità di it only shows Elisabeth’s voracious happiness and its conse- CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” EDGAR REITZ 133 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 Elisabeth e le sue conseguenze. Osserva il modo in cui recita, il suo modo di muoversi e di compromettersi e di essere libera e ingenua, e di non riflettere sulle esperienze, raccontandole ingenuamente e traducendole in luoghi comuni. […] Il film, mostrando le immagini del suo amore e del suo matrimonio, descrive la coscienza di una donna il cui desiderio eteronomo di essere se stessa e di diventare “più ricca” attraverso le esperienze, coincide idealmente con l’immagine imposta alla donna dalla società. L’irrealtà del suo modo di amare e del suo amore per la vita dimostra l’irrealtà dei desideri indotti dalla società, che hanno prodotto proprio quel modo di amare e quell’amore per la vita. (Ernst Wendt, “Film”, n. 3, 1967) BIOGRAFIA Edgar Reitz (Morbach, 1932) ha studiato giornalismo, storia della letteratura e del teatro e contemporaneamente ha preso lezioni di recitazione. Direttore artistico, cameraman, montatore, firmatario del “Manifesto di Oberhausen”, ha fondato insieme a Alexander Kluge l’Istituto di Composizione Cinematografica alla “Hochschule für Gestaltubg” di Ulm dove è stato docente di direzione artistica, fotografia e montaggio. Dal 1959 autore di cortometraggi e film industriali. quences. Observe the way in which she acts, her way of moving and compromising herself, her freedom and ingenuousness, her lack of reflection on her experiences, which she recounts naively and translates into clichés. […] The film, depicting the images of her love and her marriage, describes the conscience of a woman whose heteronomous desire to be herself and to become “enriched” through experience coincides ideally with the image of woman imposed by society. Her unrealistic manner of loving and love for life demonstrate the unrealistic wishes induced by a society which has produced exactly that manner of loving and that kind of love for life. (Ernst Wendt, “Film”, n. 3, 1967) BIOGRAPHY Edgar Reitz (Morbach, 1932) studied journalism, literary and theatre history, while simultaneously taking acting lessons. An artistic director, cameraman, editor, and one of the writers of “Oberhausener Manifest”, Reitz founded the Institute of Cinematographic Composition with Alexander Kluge at the Ulm “Hochschule für Gestaltubg”. At the institute, he taught artistic direction, photography and editing. He has been making short and industrial films since 1959. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Auf offener Bühne (co-regia: Bernhard Dörries, Stefan Meuschel, 1954, cm), Gesicht einer Residenz (co-regia: B. Dörries, S. Meuschel, 1954), Schicksal einer Oper (co-regia: B. Dörries, 1958, cm), Baumwolle (1959, doc., mm), Krebsforschung I und II (1960, doc., cm), Yucatan (1961, cm), Kommunikation (1961, cm), Post und Technik (1961, doc., cm), Ärztekonfress (1961, doc., cm), Moltoproben 1-4 (1961, doc.), Gechwindigkeit (1963, cm), VariaVision (multiproiezione, 1965, cm), Binnenschiffahrt (1965, cm), Die Kinder (1966, cm), Mahlzeiten (1966), Füssnoten (1967), Uxmal (1968, incompiuto), Filmstunde (1968, doc.), Cardillac (1969), Geschichten von Kübelkind (co-regia: Ula Stöckl, 1970), Kino Zwei (1971, Tv), Das Goldene Ding (co-regia: Alf Brustellin, Ula Stöckl, Nikos Pierakis, 1972), Die Reise nach Wien (1973), Im Gefahr und grosster Not bringt der Mittelweg den Tod (co-regia: Alexander Kluge, 1974), Alstadt-Lebensstadt (1975, doc., cm), Wir Gehen wohnen (1975, doc., cm), 7 Jahre - 70 Jahre (1975, cm), Stunde Null (1976), Deutschland im Herbst (ep. Grenzstation, 1978), Der Schneider von Ulm (1978), Susanne tanzt (1979, cm), Geschichten aus den Hunsrückdörfer (1981, doc.), Biermann - Film (co-regia: Alexander Kluge, 1983, cm), Heimat - Eine deutsche Chronik (1984), Die Zweite Heimat - Chronik einer Jugend (1992), Die Nacht der Regisseure (1995) 134 O DESAFIO (t.l. La sfida) L’azione si svolge poco prima dell’aprile del 1964, quando venne deposto il presidente del Brasile João Goulart. Marcelo, giornalista e romanziere, attraversa una fortissima crisi, vedendo i suoi amici in carcere. Ha una relazione con Ada, una giovane ragazza della ricca borghesia carioca, sposata con un industriale. Fra di loro c’è una vera affinità e sono entrambi intellettuali e progressisti. Ma lei non lascerà mai il marito e i figli. Marcelo prende coscienza della sua incapacità di agire, del fatto che anche il suo amore può diventare una pura e semplice evasione, un modo per non impegnarsi in cause più serie. Dopo un’ultima discussione con un vecchio intellettuale disilluso e fallito, Marcelo capisce che è arrivato il momento di agire. sceneggiatura/screenplay: Paulo César Saraceni fotografia/photography (35mm, b/n): Guido Cosulich montaggio/editing: Ismar Porto musica/music: Mozart, Villa-Lobos, Vinicius de Moraes, Zé Keti, Edu Lobo, Caetano Veloso, Carlos Lira, J. De Paula interpreti/cast: Oduvaldo Vianna Filho, Isabela, Sérgio Brito, Luiz Linhares, Joel Barcellos, Hugo Carvana, Gianina Singulani, Marilu Fiorani, Renata Graça, Couto Filho, Zé Keti, Maria Betania produzione/production: Mário Fiorani, Produtora Cinematografica Imago, Mapa, Sérgio Saraceni durata/running time: 90’ origine/country: Brasile 1965 Molto complesso a livello di pensiero, il film parte da fatti reali che non si discutono, come non si discutono i dogmi cattolici o marxisti. La crisi dei sentimenti è motivata da una crisi morale e politica che il film non spiega, dandola piuttosto come dimostrata dall’inizio. La scrittura del dialogo è molto astratta, molto concettuale, anche se resa in uno spirito molto “cinema direct”. Nessuno può farci niente: un intellettuale, anche quando si lava i denti fa della letteratura. Si parla molto nel film, si parla di tutto: politica, amore, poesia, musica popolare, soldi ecc. Ci sono anche dei grandi silenzi… Canzoni commentano l’azione (nuovo omaggio a Brecht). La lotta di classe esplode nell’amore e la dialettica dei sentimenti si sostituisce alla progressione drammatica. Tra la donna e l’impegno sociale, il giovane intellettuale sceglie la seconda, incapace di conciliare i due poli della sua attività. Se egli dimostra da un lato un’incapacità di vivere, propria all’adolescente, dall’altra va fino alla fine delle sue responsabilità e resta solo con il suo dolore. Più che un film moderno, un film contempo- The action takes place a little bit before April 1964, when the President of Brazil, João Goulart, was overthrown. Marcelo, a Journalist and novelist, goes through a very deep crisis when he sees his friends in prison. He has a relationship with Ada, a young woman from the rich bourgeoisie who has married a businessman. There is a real affinity between them since they are both intellectuals and progressives. However, she will never leave her husband and children. Marcelo becomes aware that he is incapable of acting, and that his love affair could become a pure and simple evasive action, a way of not committing himself in more serious causes. After his latest discussion with an old, disillusioned and failed intellectual, Marcelo understands that now is the time to take action. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” PAULO CÉSAR SARACENI Highly complex on the philosophical level, the film is based on true facts that are never discussed, just as Catholic and Marxist dogmas are not discussed. The emotional crisis is spurred by a moral and political crisis that the film does not explain and leaves dangling from the beginning. The dialogue is very abstract, very conceptual, even if it is presented in a very “direct cinema” fashion. Nothing can be done: an intellectual, even when brushing his teeth, creates literature. There is a lot of talking in the film, about everything: politics, love, poetry, pop music, money, etc. There are also long silences… Songs comment on the action (a new homage to Brecht). The class struggle explodes into love and the emotional dialectic becomes dramatic progression. Having to choose between the woman and social activism, the young intellectual chooses the latter, incapable of reconciling the two extremes in his life. If on the one hand he demonstrates an inability to live, as an adolescent, on the other he sees his responsibilities through to the end and ends up alone with his pain. More than a modern or contemporary film, as P. E. Sales Gomes defined it, it is fictional reportage, like Rome Open City or L’Espoir, and was shot 135 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 raneo, come lo ha definito P. E. Sales Gomes, fiction reportage, come Roma città aperta o L’Espoir, è stato girato mentre gli avvenimenti che descriveva erano ancora in corso, senza nascondere un’opposizione a coloro che occupano il potere. (Louis Marcorelles, “Cahiers du Cinéma”, n. 172) BIOGRAFIA Paulo César Saraceni (Rio de Janeiro, 1933) a 21 anni è critico cinematografico, oltre che attore e regista teatrale. Frequenta nel 1961 il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Dopo un paio di cortometraggi debutta nel lungo l’anno successivo con Porto das Caixas, dove è evidente l’influenza del neorealismo. while the events which it depicts were still happening, without hiding its opposition to those in power. (Louis Marcorelles, “Cahiers du Cinéma”, n. 172) BIOGRAPHY At the age of 21, Paulo César Saraceni (Rio de Janeiro, 1933) worked as a film critic, as well as an actor and theatre director. He attended the Centro Sperimentale di Cinematografia in Rome in 1961. After completing a couple of short films he debuted the following year with his first feature, Porto das Caixas, in which the influence of neorealism on his work was obvious. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Arraial do Cabo (1960), Porto das Caixas (1962), Integração Racial (1964), O Desafio (1965), Capitu (1968), A Casa Assassinada (1971), Amor, Carnaval e Sonhos (1972), Anchieta, José do Brasil (1977), Ao Sul do Meu Corpo (1982), Bahia de Todos os Sambas (1983, doc.), Natal de Portela (1988), O Viajante (1999) 136 WALKOVER (t.l. Vittoria facile) Andrzej incontra per caso su un treno Teresa, studentessa che tempo prima aveva provocato la sua espulsione dall’università. Ora ingegnere, sta per presentare un progetto. Andrzej la accompagna, conosce un allenatore di pugilato e accetta di partecipare a un match, che vince. Ritenendo un secondo match troppo difficile, decide di ripartire con Teresa, ma all’ultimo momento viene convinto a tornare indietro. Andrzej vince per walkover. L’avversario non si è presentato ma lo attende nella sala ormai vuota: non ha disputato la gara perché corrotto dall’allenatore, e ora pretende la sua parte di premio. Andrzej rifiuta, accetta la sfida e cade a terra sconfitto. sceneggiatura/screenplay: Jerzy Skolimowski fotografia/photography (35mm, b/n) Antoni Nurzynski montaggio/editing: Alina Faflik, Jerzy Skolimowski musica/music: Andrzej Trzaskowski suono/sound: Mikolaj Kompa-Altman scenografia/art direction: Zdzislaw Kielanowski interpreti/cast: Krzysztof Chamiec, Andrzej Herder, Henryk Kluba, Tadeusz Kondrat, Franciszek Pieczka, Jerzy Skolimowski, Stanislaw Tym, Stanislaw Zaczyk, Aleksandra Zawieruszanka produzione/production: Syrena durata/running time: 76’ origine/country: Polonia 1965 I due lungometraggi di Skolimowski manifestano la stessa intenzione di percorrere da cima a fondo un tragitto difficilmente individuabile e irriducibile alle denominazioni accettate di situazione, svolgimento o esplorazione. In Rysopis o Walkover, l’assenza di raggruppamento, di raccolta, è l’unica costante. Certo, i temi si intrecciano da un film all’altro, paralleli o convergenti. Ma, invece di sviluppare, variare o approfondire il loro movimento, lo neutralizzano, lo confondono. La corsa di un solitario e il paesaggio urbano, termini apparentemente identici nei due film, sono forzatamente staccati, isolati in un altro spazio e in un altro tempo, senza alcuna possibilità di somiglianza. Perché la somiglianza si fonda sull’identità, la caratterizzazione, il dettaglio, e sembra che niente possa permettere una pretesa individualizzazione, una qualsiasi distinzione, un riconoscimento approssimativo nell’universo di Skolimowski. Il personaggio non possiede nulla di proprio e non presenta nessuna particolarità, nessun segno rivelatore. E ciò che gli accade non è molto più determinante. Fatti e atti, parole e gesti, appaiono così come sono, sprovvisti di qualsiasi motivazione, di Andrzej accidentally runs into Teresa on a train; during their student days she was the cause of his expulsion from university. She is now an engineer and is on her way to make a project presentation. He accompanies her, meets a boxing trainer and accepts to fight a match, which he wins. Believing a second match to be too difficult, he decides to leave with Teresa but at the last moment is persuaded to stay and fight. Andrzej wins on a walkover because the opponent does not show up. However, the latter is waiting for Andrzej in the deserted arena afterwards: he threw the match because he has been corrupted by his trainer, and now demands that Andrzej give him his take of the prize money. Andrzej refuses and instead accepts the other man’s challenge to a fight, which Andrzej loses when he is knocked out. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” JERZY SKOLIMOWSKI Skolimowski’s two feature films manifest the same intention to cover a journey from beginning to end, a journey that can hardly be singled out and confirmed for its acceptable situations, developments or explorations. The absence of a group, of a gathering, is the only constant Rysopis or Walkover. Certainly, the themes intertwine from one film to the next; they are either parallel or converging. However, instead of developing, altering or studying their movement more deeply, he neutralises and confuses them. The path of the lone individual and the urban landscape – elements that are apparently identical in the two films – are forcefully detached, isolated in another space and another time, without any possibility of resembling each other. Because resemblance is based on identity, characterisation, detail, and it would seem that nothing could permit so-called individualisation, a distinction of any kind, or approximate recognition in Skolimowski’s universe. The character owns nothing of his own and demonstrates no distinguishing mark, no telltale sign. And that which happens to him is not any more conclusive. Facts and actions, words and gestures, appear just as they are (lacking any moti- 137 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 qualsiasi riferimento a un passato noto, di qualsiasi implicazione con un progetto imperativo, incolori e come privi di qualità. Ogni cosa si trova a essere allora parassitaria, esistendo solo per perpetuare l’uniformità minacciata (l’uniformità esclude riassorbendola qualsiasi somiglianza). (André Téchiné, “Cahiers du Cinéma”, n. 178) vation or allusion to a known past, or any implication of an imperative plan), colourless and seemingly devoid of features. Each thing seems to be parasitic, and exists only to perpetuate the threatened uniformity (uniformity excludes reabsorbing any kind of resemblance). (André Téchiné, “Cahiers du Cinéma”, n. 178) BIOGRAFIA Jerzy Skolimowski (Lodz, 1938) si laurea in etnologia, letteratura e storia all’Università di Varsavia nel 1959 e in regia all’Accademia cinematografica di Lodz nel 1962. Dopo aver lavorato come sceneggiatore e attore per Roman Polanski e Andrzej Wajda, debutta nel lungometraggio con Rysopis. In seguito alla censura per Rece do góry abbandona la Polonia per lavorare in Inghilterra, Australia, Italia e USA. BIOGRAPHY Jerzy Skolimowski (Lodz, 1938) graduated in ethnology, literature and history from the University of Warsaw in 1959 and in directing from the Film Academy in Lodz in 1962. After having worked as a screenwriter and actor for Roman Polanski and Andrzej Wajda, he debuted as a director with the feature film Rysopis. After his film Rece do góry was censored, he left Poland to work in England, Australia, Italy and the US. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Oko wykol (1960, cm), Hamles (1960, cm), Erotyk (1960, cm), Pienadze albo zycie (1961, cm), Boks (1961, cm), Akt (1962, cm), Rysopis (1964), Walkover (1965), Bariera (1966), Le départ (1967), Rece do góry (prima versione, 1967), Dialóg 20-40-60 (primo episodio, Dvadsat’ rocni, 1968), The Adventures of Gerard (1970), Deep End (1970), King, Queen, Knave (1972), The Shout (1978), Rece do góry (seconda versione, 1981), Moonlighting (1982), Success Is the Best Revenge (1984), The Lightship (1985), Acque di primavera (1989), Ferdydurke (1992) 138 DER BRÄUTIGAM, DIE KOMÖDIANTIN UND DER ZUHÄLTER (t.l. Il fidanzato, la commediante e il ruffiano) Un triangolo tra il marito, un’attrice e il suo protettore. Nella prima parte l’attrice uccide il protettore. La seconda parte mostra (concentrati in 10 minuti) tre atti della pièce di Ferdinand Bruckner. Dopo una scena nuziale, l’attrice torna a casa e recita affacciata alla finestra poesie d’amore del mistico Juan de la Cruz. A triangle between an actress, her husband and her pimp. In the first part the actress kills the pimp. The second part (which is condensed in 10 minutes) shows three acts from the work by Ferdinand Bruckner. After the nuptial scene, the actress returns home and, with her face against the window, recites love poems by the mystic Juan de la Cruz. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” JEAN-MARIE STRAUB - DANIÈLE HUILLET It is not a political film, if “politNon è un film politico, se per ical” implies a film about politi“politico” si intende un film cal affairs. It is a film about love, sugli affari della politica. È if by “love” one does not mean un film sull’amore, se per the transactions of love and sceneggiatura/screenplay: Danièle Huillet, Jean-Marie “amore” non si intendono gli using love that the film deals Straub dal testo teatrale Krankheit der Jugend di affari dell’amore e con l’amowith. The first sequence (over 7 Ferdinand Bruckner re di cui tratta il film. La minutes long) is a tracking shot fotografia/photography (35mm, b/n): Hubertus Hagen, prima sequenza (più di 7 along a street at night: there are Niklaus Schilling minuti) è una carrellata chewing gum, petrol, and people montaggio/editing: Danièle Huillet, Jean-Marie Straub musica/music: Johan Sebastian Bach lungo una strada, di notte: for sale. Only the billboards are suono/sound: Peter Lutz sono in vendita gomma da lighted; the people (the hookers, interpreti/cast: Rudolf Waldemar Brem, Rainer Werner masticare, benzina, persone. the clients) seem to belong to the Fassbinder, Irm Hermann, Kristin Peterson, Jimmy Soltanto i cartelloni pubblicishadows. They appear in the Powell, Peer Raben, Hanna Schygulla, Lilith Ungerer tari sono illuminati; le persolight creating a stylised and lapproduzione/production: Klaus Hellwig, Janus Film und ne (le puttane, i clienti) semidary theatrical performance, Fernsehen, Straub-Huillet brano appartenere al regno speaking schematically of the durata/running time: 23’ delle ombre. Si affacciano violent “social games” of an origine/country: RFT 1968 alla luce per una rappresenimpoverished class […] Here the tazione teatrale, stilizzata e magic (the elevation and catharlapidaria, in cui si parla in modo schematico dei violenti sis of man through art) becomes a cartoon. It disturbs the exter“giochi di società” di una classe decaduta. […] Qui la nal reality even further: the street noise penetrates the theatrimagia (elevamento e catarsi dell’uomo attraverso l’arte) cal performance. During the funeral the magic (the elevation diventa fumetto; inoltre disturba la realtà esterna: il and catharsis of man through religion) still works. But even rumore della strada penetra nella rappresentazione teahere there is an element of disturbance: the husband is black trale. Nel funerale la magia (elevamento e catarsi dell’uoand is being persecuted. In the exclusiveness of the religious mo attraverso la religione) funziona ancora. Ma anche qui ritual the existence of racism is pointed out (through the camc’è un elemento di disturbo: il marito è un negro ed è perera’s positioning), and it is more violent than the attempts of seguitato. Qui nell’esclusività del rituale religioso, si avverthe pimp (who symbolises society) to break off the relationship te l’esistenza del razzismo (attraverso la posizione della between the white girl and the black man. The film ends with a cinepresa) più intensamente di quanto avvenga nei violenbeautiful, sad and Utopian sequence: the man and woman ti tentativi del protettore (simbolo di una società) di irromspeak to one another reciting verses by the Spanish poet Juan de pere nell’amore tra la ragazza bianca e l’uomo negro. Il film la Cruz, a 16th century mystic. It is difficult to catch their finisce con una sequenza bella, triste e utopica: la coppia words; once again, the action is essential. The poetic introspec- 139 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 si parla citando versi del poeta spagnolo Juan de la Cruz, un mistico del XVI secolo. È difficile afferrarne le parole; ancora una volta, è essenziale l’azione. L’introspezione poetica ha a che fare con la speranza, ma anche con l’abbandono. (Alf Brustellin, “Süddeutsche Zeitung”, 9 aprile 1969) BIOGRAFIA Jean-Marie Straub (Metz, 1933) si trasferisce a Parigi nel 1954 e incontra Danièle Huillet (Parigi, 1936). Lasciano la Francia nel 1958 per Amsterdam, quindi si trasferiscono in Germania. Straub viene condannato in contumacia a un anno di prigione per essersi rifiutato di fare il servizio militare in Algeria (amnistiato nel 1971). Nel 1969 si trasferiscono ancora, da Monaco a Roma. tion represents hope, but also abandonment. (Alf Brustellin, “Süddeutsche Zeitung”, 9th April 1969) BIOGRAPHY Jean-Marie Straub (Metz, 1933) moved to Paris in 1954, where he met Danièle Huillet (Paris, 1936). In 1958, they left Paris for Amsterdam and later moved to Germany. Straub was sentenced in absentia to a year in prison for having refused to serve a military term in Algeria (but granted amnesty in 1971). In 1969 they moved again, from Munich to Rome. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Machorka-Muff (1963, cm), Nicht versöhnt oder es hilft nur Gewalt wo Gewalt herrscht (1965, mm), Chronik der Anna Magdalena Bach (1968), Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter (1968, cm), Othon (1969), Einleitung zu Arnold Schenbergs Begleitmusik zu einer Lichtspielscene (1972, cm), Geschichtsunterricht (1973), Moses und Aron (1974), Fortini/Cani (1976), Toute révolution est un coup de dés (1977, cm), Dalla Nube alla Resistenza (1979), Trop tot, trop tard (1981), En rachachant (1982), Klassenverhältnisse (1984), Der Tod des Empedokles (1987), Schwarze Sünde (1989, mm), Cézanne: Conversation avec Joachim Gasquet (1989, mm), Antigone (1992), Lothringen! (1994, cm), Von heute auf morgen (1997), Sicilia! (1999), Operai, contadini (2001) 140 SUNA NO ONNA (La donna di sabbia) Sulle coste giapponesi un entomologo viene ospitato per la notte da una donna che vive in fondo a un burrone e combatte contro l’avanzata della sabbia del deserto. L’uomo rimane intrappolato, e tra i due inizia una strana relazione. Along the Japanese coast, a woman who lives in the bottom of a ravine and is fighting against the advancing desert sand takes in an entomologist for the night. The man ends up trapped there, and a strange relationship develops between the two of them. Symbols are beginning to lose ground, and I simboli stanno perdendo terreno e l’ostithe obstinate tendency to see them in every nata tendenza a vederne in ogni film film is beginning to show signs of fatigue. comincia a indebolirsi. […] A proposito di […] As far as Suna no onna is concerned, Suna no onna, la critica è stata quasi unathe critics were unanimous in declaring that nime nel dichiarare che il film non contiethe film does not contain symbols, or at least ne simboli, o perlomeno che il simbolismo that the symbolism is secondary. A Kafkavi è secondario. Film kafkiano, beckettiaesque, Beckett-esque, Camus-esque film, it is no, camusiano, illustrazione del destino an illustration of the absurd fate assurdo dell’uomo sottoposto a sceneggiatura/screenplay: Abe Kôbô dal suo romanzo of man, who is subjected to a un compito infinito, dramma fotografia/photography (35mm, col.): Segawa Hiroshi never-ending task. An intellectudell’intellettuale che si confronmontaggio/editing: Shuzui Fusako al drama that confronts the practa con i problemi della vita pramusica/music: Takemitsu Toru tical problems of life, a parable on tica, parabola sullo sfruttameninterpreti/cast: Okada Eiji, Kishida Kyôko, Ito Hiroko, the exploitation of farmers by the to dei contadini da parte dei Mitsui Koji, Yano Sen, Sekiguchi Kinzo labour unions or even a discovery sindacati o anche scoperta dei produzione/production: Teshigahara Productions, Toho of true values in isolation and in valori autentici nell’isolamento durata/running time: 127’ work, values that contradict an e nel lavoro, valori che si origine/country: Giappone 1964 illusory freedom. All of this is of oppongono a una illusoria little importance as the form unifies everything. The strength of libertà: tutto questo non ha più importanza poiché la forma the mise-en-scène reabsorbs the multiplicity of the contents. The unifica tutto. La forza della messa in scena riassorbe la molteonly visible reality substitutes the common support of the various plicità dei contenuti, l’unica realtà visibile sostituisce il supporpossible implications; the clarity, the evidence, the unalterability of to comune dalle varie implicazioni possibili, la chiarezza, l’evithe imagery withstands the abundancy of meanings. This would denza, l’inalterabilità dell’immagine resiste alla prolificazione satisfy us if Teshigahara had not included a third character besides dei significati. Questo basterebbe se il film non comprendesse the man and woman, as the title indicates: the sand. This is the un terzo protagonista oltre all’uomo e alla donna, come indica most awful, the most ambiguous and the least loyal of all the il titolo: la sabbia. Tra tutti i materiali filmabili è il più perfido, filmable material. Its polymorphous state, its varying depending il più ambiguo e il meno fedele. E il suo essere polimorfo, il on the lighting, the distance and the situation, singularly comprovariare a seconda dell’illuminazione, della distanza, dell’ammises the deliberate realism of the beginning. (Jean Narboni, biente, compromettono in modo singolare il partito preso rea“Cahiers du Cinéma”, n. 163) lista dell’inizio. (Jean Narboni, “Cahiers du Cinéma”, n. 163) BIOGRAFIA Teshigahara Hiroshi (1927-2001) era il figlio di Teshigahara Sofu, il fondatore della scuola di Ikebana di Sogetsu. Si diploma in pittura a olio all’Università di Musica e Belle Arti di Tokyo nel 1950. Dal 1958 è stato direttore del Sogetsu Art Center, e ha svolto un ruolo importante in attività di avanguardia in tutti i campi artistici. CINQUANTENARIO DEI “CAHIERS DU CINÉMA” TESHIGAHARA HIROSHI BIOGRAPHY Teshigahara Hiroshi (1927-2001) was the son of Teshigahara Sofu, the founder of the Ikebana School in Sogetsu. In 1950 he graduated from the Tokyo National University of Fine Arts and Music in oil painting. In 1958 he became the director of the Sogetsu Art Centre and took on a leading role in avant-garde activities in all the artistic fields. FILMOGRAFIA/FIMOGRAPHY Otoshiana (1962), Kashi to kodomo (1962), Suna no onna (1964), Ako (ep. di La Fleur de l'âge, 1964), Tanin no kao (1966), Bakuso (1967), Moetsukita chizu (1968), Summer Soldiers (1972), Antonio Gaudí (1984, doc.), Rikyu (1989), Goh-hime (1992) 141 IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 EDGARDO COZARINSKY LE CINÉMA DES “CAHIERS” CINQUANTE ANS D’HISTOIRE D’AMOUR DU CINÉMA (t.l. Il cinema dei “Cahiers” Cinquant’anni di storia d’amore per il cinema) Ben prima di festeggiare, nel 2001, il loro mezzo secolo, i Well before celebrating its half-century anniversary in 2001, “Cahiers du Cinéma” sono diventati una rivista mitica nel “Cahiers du Cinéma” had already become a legendary magazine mondo. E con ragione: è lì che hanno cominciato a pubblithroughout the world. And with reason: this is where the first care i loro testi (più che “critiche”) i registi che, intorno al texts (which were more than just criticisms) were published by 1959, dovevano imporre il loro talento individuale e al the directors who, around 1959, felt compelled to impose their tempo stesso la nozione di “film d’autore” e una rilettura individual talent and, at the same time, the notion of “auteur” della storia del cinema. I films and a re-reading of the his“cahiers gialli” del primo tory of film. The “yellow Betacam SP periodo hanno conosciuto cahiers” of the first period lived sceneggiatura/screenplay: Edgardo Cozarinsky numerose metamorfosi: all’ethrough many metamorphoses. fotografia/photography (col.): Jacques Bouquin, Ned Burgess stetismo rohmeriano, esploraFrom a Rohmerian aestheticism, montaggio/editing: Martine Bouquin zione della tradizione classica an exploration of the classical suono/sound: Olivier Schwob, Olivier Le Vacon, André americana così come di artisti American tradition by artists Rigaud produzione/production: Canal +, Les Films d’Ici, Le Fresnoy, come Murnau o Rossellini, such as Murnau and Rossellini Studio national des arts contemporains succederà, sotto l’egida di that led to the spreading of ideas durata/running time: 88’ Jacques Rivette, un’apertura that shook up the Parisian intelorigine/country: Francia 2001 alle idee che agitano il mondo lectual world of the 1960s took intellettuale parigino degli place under the protection of anni ’60. La politicizzazione portata dal ’68 conduce all’imJacques Rivette. The politicisation of 1968 led to a militant passe militante, a ignorare i film che non corrispondono impasse, to ignoring films that did not correspond to a way of alla linea considerata rivoluzionaria, a riscoprire l’eresia thinking considered revolutionary, to the rediscovery of iconoiconoclasta. Il ritorno al cinema nel suo farsi, all’industria e clastic heresy. Film went back to being made, to industry and all’artigianato, cioè alla vita. È stato il periodo più difficile craftsmanship; that is, to life. It was the most difficult and e più esigente per i giovani redattori, tavolta schiacciati dal demanding period for the young editors, who were occasionally prestigio di un nome: i “Cahiers du Cinéma”. Il film intencrushed by the prestige of one name: “Cahiers du Cinéma”. The de tracciare una cronaca di più generazioni, di guerre famifilm means to retrace the story of a generation, of family wars, liari, di eredità dilapidate o venerate, di padri assassinati, of dilapidated or venerated legacies, of assassinated fathers, but ma anche di amore per il cinema, ambizione di farlo in peralso of a love of cinema, the ambition to create it personally, and sona, desiderio di appartenere a un mondo. Il metodo? the desire to belong to a world. The approach? A “dialogued” Una “messa in dialogo” di archivi e testimonianze, di citaaccount of archives and testimonies, of film citations and new zioni di film e di nuove immagini, di coincidenze e conimages, of coincidences and contradictions. A film whose screentraddizioni. Un film la cui sceneggiatura ha preso forma play took place as editing went along. Its ambition: to seize the con il procedere del montaggio. La sua ambizione: coglieunseizable. In this case, the passing of time that marks faces, re l’inafferrabile, in questo caso il trascorrere del tempo che devaluates ideas and rediscovers certain irreducible emotions segna i volti, svaluta le idee e ritrova sotto nomi diversi hidden under different names. (Edgardo Cozarinsky) alcuni sentimenti irriducibili. (Edgardo Cozarinsky) 142 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR Romuald Karmakar A STRONG BOND WITH THE WORK di Alexander Kluge by Alexander Kluge Dedicato a Romuald Karmakar Dedicated to Romuald Karmakar I l proiezionista Sigrist aveva tratto le sue conclusioni poco dopo l’inizio della discussione che lo aveva trattenuto, poiché l’ultimo spettacolo ritardava per questa ragione: gli spettatori che prendevano la parola non parlavano per comunicare qualcosa ma per fare bella figura davanti al famoso ospite. Questi, a sua volta, parlava o rispondeva per affermare la sua bravura davanti agli spettatori. A Sigrist tutto ciò sembrava superfluo come “attendere l’aurora”. Conosceva un insegnante che si alzava di proposito alle tre del mattino per “assistere all’aurora”. Ciò doveva servire a mettere gli allievi, che associavano la parola “aurora” presente in un verso poetico a un concetto generico, a confronto con conoscenze concrete. Nulla al mondo avrebbe potuto costringerli ad alzarsi alle tre del mattino in piena estate per studiare le condizioni di luce nell’arco di tempo che precede il sorgere del sole. Non erano curiosi. Così era l’insegnante a farlo per loro. Gli era però impossibile parlare agli allievi dell’aurora alla quale aveva assistito poiché, verso le otto, questa si era già dissolta. Restavano solo le parole del suo racconto che per gli studenti, ancora assonnati e disinteressati, non avevano alcun significato. In considerazione degli sforzi del loro insegnante, che aveva dato prova di sé con la sua levataccia, gli studenti tentavano di fare bella figura ascoltandolo con gli occhi spalancati. T Il proiezionista, dal canto suo, conosceva l’aurora grazie a un film australiano girato in Sudafrica. Lì il sole sorgeva verso le 4.30: si imponeva dalle regioni asiatiche che si affacciavano sul mare, dall’India sulle vette rocciose della costa, di fronte alla quale, con le spalle rivolte a occidente, sedevano sulle sedie del caffè 1 due uomini condannati ingiustamente a morte. Il plotone, disposto a oriente, abbatté i prigionieri con tutte le sedie. La pellicola aveva però dei graffi. Era stata inviata al cinema per una svista. Il proiezionista avrebbe avuto il tempo e la capacità di restaurare la copia. Sarebbe stato pronto a trattare le rigature che si trovavano sul lato lucido e di riprodurre, da una copia graffiata, un’aurora di prim’ordine e senza graffi, quella delle 4.30 del mattino. Ma non volle farlo, soltanto perché un proiezionista incapace di un’altra sala vi avrebbe potuto produrre ulteriori graffi (magari in altri punti della pellicola). Lo avrebbe fatto solo se in seguito avesse potuto esser lui l’unico a proiettare sullo schermo quell’alba perfetta. Ciò avrebbe però violato l’ordine gerarchico poiché la pellicola, prima di arrivare in questa sala cinematografica di categoria B 2, doveva essere proiettata in una sala di categoria A. The projectionist, for his part, knew the sunrise thanks to an Australian film shot in South Africa. The sun rose there around 4:30 in the morning: from the Asiatic regions which faced the sea, from the rocky coastal peaks of India, in front of which, with their backs turned to the west, two men unjustly condemned to death sat in café chairs 1. With their backs to the east, the firing squad shot up the men and the chairs. The film, however, was scratched, and had been sent to the cinema by mistake. The projectionist would have had the time and capacity to restore the copy. He could have treated the streaks on the glossy side of the film and reproduced, from a scratched copy, a first rate sunrise without scratches, the sunrise of 4:30 in the morning. But he did not want to do it, only because another, incompetent projectionist from another cinema would have caused other scratches (perhaps on another part of the film). He would have repaired the film only if, from then on, he could have been the only one to project that perfect dawn onto the screen. That is, he would have violated the hierarchical order since the film, before arriving in that B level cinema, first had to be screened in an A level cinema. Il proiezionista era spiacente per la durata della discussione che bloccava la sala cinematografica. Non si trattava assolutamente di cose evidenti come “il sorgere del sole” o The projectionist was sorry about the duration of the discussion that was holding up the movie house. The discussion was not about things as obvious as “the sunrise” or the he projectionist Sigrist reached his conclusions shortly after the beginning of the discussion that had held him up, as the last showing had been late for the following reason: the spectators who spoke did not do so to communicate anything, but to impress the famous guest. The guest, in turn, spoke or replied in order to assert his expertise in front of the audience. To Sigrist, all of this seemed as superfluous as “waiting for the sun to rise”. He knew a teacher who woke up every morning at three o’clock in order to watch the sun rise. That is, the endeavour was something that should have made the students, who associated the word “sunrise” from a poetic verse with a generic concept, compare it to their concrete experience of the event. However, nothing in the world could have made them get up at three in the morning in the middle of summer to study the light conditions in the moments before the rising of the sun. They were not curious. Thus, the teacher did it for them. It was impossible for him, however, to speak to his students about the sunrise he witnessed as it had already faded away by eight o’clock. All that remained were the words to his story that to his still sleepy and uninterested students had no meaning. Out of consideration for the efforts of their teacher, who had proved himself with his early rising, the students tried to make a good impression, listening to him goggle-eyed. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR UN FORTE LEGAME CON IL LAVORO 145 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR “rigature”. Non gli restava altro da fare se non attendere passivamente. La discussione procedeva a suo discapito, poiché sarebbe andato a letto tre quarti d’ora più tardi del solito. Avrebbe potuto giustificare questa perdita di tempo solo per la proiezione di una qualunque pellicola purché assolutamente priva di graffi. Sigrist era considerato un pignolo per ciò che riguardava la qualità dei film. Non dovevano presentare giuntaggi o lesioni della superficie. Dal momento che non esistevano praticamente copie così perfette, Sigrist trovava un orrore il contenuto dei film e la sempre più diffusa abitudine dei dibattiti in sala a favore o contro il film stesso. Sapeva che una macchina del tempo come il film non poteva recuperare il tempo che si era perso in discussioni (come un macchinista di una locomotiva recupera il ritardo) e vendicava il disappunto accumulato, che provava per l’uso diverso che veniva fatto della sala di proiezione, tagliando – durante l’ultimo spettacolo – la quarta e la quinta scena del film giallo. L’azione, infatti, faceva un salto in avanti che, secondo Sigrist, migliorava notevolmente il film. Avrebbe accettato volentieri di migliorare i film usando questa tecnica; si rendeva tuttavia conto che per far ciò avrebbe dovuto tagliare le pellicole. Il problema non era sempre tralasciare intere scene 3. Ne sarebbero seguiti poi dei giuntaggi che avrebbero dato origine a orrendi rumori anche nel caso in cui avesse ritoccato la colonna sonora con l’inchiostro di china. Non era disposto ad accettare imperfezioni nella copia, neanche in cambio di un contenuto migliore. Infine, Sigrist pensava che il contenuto fosse irrilevante, mentre la qualità della copia è la strada sulla quale tutti i contenuti, intercambiabili o no, si muovevano. Non era disposto né a cedere su questa questione radicale, né a trascorrere la notte in bianco per qualcosa di relativo (=mediocre). Alla fine della proiezione, dopo aver riavvolto la pellicola dell’ultimo film e averla preparata per il trasporto, prese la sua borsa. Si stupì molto del fatto che le pellicole non fossero foderate con una protezione. NOTE 1 Le sedie del caffè erano state date in prestito dal plotone di esecuzione. 2 A partire dagli anni ’30, in Germania, i cinema sono suddivisi in categorie. Un film deve essere proiettato in sale di categoria superiore, prima che il distributore possa noleggiarlo a sale di categorie inferiori. 3 Un lungometraggio è composto generalmente da dieci rulli; due rulli contengono cinque scene. 146 “streaks”. There was nothing else for him to do but wait passively. The discussion went on and on, to its own detriment, and he would have to go to bed 45 minutes later than usual. He could only justify this waste of time for the screening of a film, any film, provided that it was free of scratches. Sigrist was considered pedantic in regards to everything that concerned the quality of the films: there should be no splices or cracks on the film’s surfaces. From the moment that copies this perfect practically ceased to exist, Sigrist found their content atrocious, as well as the increasingly popular habit of arguing for or against the films themselves in the movie house. He knew that even a time machine like film could not make up for the time lost in discussions (like a train engine driver makes up for a delay) so he avenged his built up disappointment over the contrary use that was made of the cinema by cutting – during the last showing – the fourth and fifth scene of the mystery. To Sigrist, this act was, in fact, a considerable step forward in improving the film. He would have gladly accepted to improve all the films using this technique; nevertheless, he recognised that doing so would have meant editing the films. The problem was not always leaving out entire scenes 2: splices would have arisen that would have created horrible noises, even if he were to retouch the soundtrack with China ink. He was not able to accept imperfections in the copies, not even in exchange for improved content. In the end, Sigrist believed that the content was irrelevant, while the quality of the copy was the path down which all content, interchangeable or not, travelled. He was unwilling to budge from this radical idea, or stay up all night pondering something so relative (=mediocre). At the end of the screening, after having rewound the reels of the last film and prepared them for transport, he grabbed his bag. He was astounded by the fact that the reels were not protected by any kind of lining. NOTES 1 The café chairs had been loaned to the firing squad. 2 A feature film is usually made up of ten reels; two reels contain five scenes. BANG-BANG Incontri con Romuald Karmakar e i suoi film Encounters with Romuald Karmakar and his films di Alexander Horwath by Alexander Horwath Q W uando verso la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 si esordiva dicendo: “Il film tedesco…” vi era sempre tra gli interlocutori e gli astanti del momento qualcuno che sogghignava, ridacchiava oppure prorompeva in una sonora risata. Essi non erano invero così pochi e si doveva per lo più troncare la frase anche subitaneamente (a causa dell’incresciosa sensazione oppure per il sopraggiunto riso dello stesso relatore). Naturalmente tutto ciò avveniva immeritatamente. Nondimeno rispecchiava la fruizione del film tedesco tra la critica, inoltrandosi sino agli ambienti specialistici. L’autoqualifica di “cinema tedesco”, cosí come essa veniva brandita tra le associazioni, tra i promotori del cinema e altri portavoce del settore, era cioè evidentemente inconsistente e anche un poco risibile. Codesti portavoce non sapevano bene se, come già negli anni ’70, dovessero porre in rilievo la valenza universale degli autori del cinema tedesco oppure se fosse preferibile sottolineare la recente volontà di mercato nazionale, che si veniva manifestando in una corrente di successo contro i film e le commedie d’autore. Quella valenza universale era già una chimera intorno al 1990 e la volontà di mercato produsse soprattutto cattivi film, a mala pena esportabili. Le reali energie del cinema narrativo di questo periodo – i film di Michael Klier, Uwe Schrader, Dominik Graf – passarono sotto silenzio (per lo meno in ambito internazionale e nell’autorappresentazione retorica della cultura nazionale) tanto quanto la coerente prosecuzione dell’attività della precedente e più energica generazione: Wohin e Hades di Achternbusch, Empedokles e Antigone di Straub/Huillet oppure i film d’essai di Hartmut Bitomsky e Harun Farocki. Ancor meno fu presa in considerazione l’ultima generazione, che a metà degli anni ’80 cominciò a riappropriarsi di concetti caduti nel discredito negli ambienti della cultura cinematografica – quali politica, storia, realtà –, per proseguire (in stile punk) là dove la scomparsa di Fassbinder (1982), il lungo congedo di Kluge dal cinema (durato sino al 1986) e il neoconservatore “argomento Kohl” avevano lasciato dietro di sé sensibili discrasie. Menziono soltanto due rappresentanti, ma probabilmente quelli decisivi di questa generazione: Christoph Schlingensief e Romuald Karmakar. Ciò che quindici anni più tardi possiederà forza argomentativa, precisione, intelligenza analitica e/o autentica capacità di suscitare entusiasmo nella produzione dell’odierno lungometraggio tedesco, è quasi esclusivamente in relazione agli artisti di questa generazione, nati tra il 1959 e il 1965: Das Himmler-Projekt e Manila di Karmakar (entrambi del 2000), Die Unberührbare (2000) di Oskar Roehler, Die innere Sicherheit (2000) di Christian Petzold, Dealer (1998) e Der schöne Tag (2001) di Thomas Arslan, nonché degli esempi “commerciali” quali 23 (1998) di Hans-Christian Schmid, Lola rennt di Tom Tykwer (1998) oppure Sonnenallee di Leander hen one began a sentence with “German cinema…” towards the end of the 80s and the beginning of the 90s, there was always someone among the listeners and onlookers that would sneer, giggle or burst out laughing. There were indeed more than a few of these people and one had to usually break off the sentence abruptly (due to the awkwardness of the situation or even because of the speaker’s own laughter). Naturally, all of that was undeserved. Nevertheless, it reflected what critics thought of German cinema, and even seeped into specialised circles. The self-labelling of “German cinema”, as it was brandished among the associations, promoters and other cinema spokespeople, was rather evidently inconsistent and even somewhat laughable. These spokespeople didn’t know whether to emphasise the universal value of the German auteurs or whether it was preferable to stress the latest will of the international market, which was being manifested in a wave of success against auteur films and comedies. That universal value was already a chimera around 1990 and the desires of the market produced, above all, bad films that were hardly exportable. The real forces of narrative cinema of this period – the films of Michael Klier, Uwe Schrader, Dominik Graf – passed by unnoticed (at least on the international level and in the selfrepresentational rhetoric of national culture), in much the same way that the coherent continuation of the films of the earlier and more active generation had passed. Films such as Wohin and Hades by Achternbusch, Straub/Huillet’s Empedokles and Antigone, or even the more arthouse films of Hartmut Bitomsky and Harun Farocki. The later generation was taken even less seriously and during the mid-80s it began to re-appropriate the concepts of cinema culture that had been discredited – such as politics, history, reality – to carry on (in the Punk style) where Fassbinder’s death (1982), Kluge’s long absence from cinema (which has lasted since 1986) and the neo-conservative “Kohl Argument” had left off and left behind gaps of sensitivity. I cite only two representatives, but they are probably the crucial names of this generation: Christoph Schlingensief and Romuald Karmakar. That which fifteen years later possesses argumentative force, precision, analytical intelligence and/or the authentic capacity to arouse enthusiasm in the production of today’s German feature film is almost exclusively related to the artists of this generation, born between 1959 and 1965. For example: Das Himmler-Projekt and Manila by Karmakar (both made in 2000), Oskar Roehler’s Die Unberührbare (2000), Christian Petzold’s Die innere Sicherheit (2000), Dealer (1998) and Der schöne Tag (2001) by Thomas Arslan; as well “commercial” examples such as Hans-Christian Schmid’s 23 (1998), Lola rennt by Tom Tykwer (1998) or Sonnenallee by Leander Haußmann (1999). Even Christoph PERSONALE ROMUALD KARMAKAR BANG-BANG 147 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR 148 Haußmann (1999). Lo stesso Christoph Schlingensief continua a fare del “cinema”, propriamente dal 1997, sia nello spazio televisivo, teatrale, politico, sia in quello reale. Si tratta nel complesso di un vero e proprio “film sulla contemporaneità”, che negli anni ’80 è alimentato bensì dai sentimenti di rottura con il passato e di transizione verso un nuovo futuro, ma anche dalla successiva, problematica esperienza della svolta e dell’unità nazionale. Esso trae alimento dalla nuova realtà del métissage, del sincretismo culturale per lo più turco-tedesco, ma anche dalle nuove energie (con molto Super8 ed egocentrismo), che attorno al 1985 furono dissipate dai “folli” come Karmakar e Schlingensief. Certo non è un caso che Alexander Kluge, da quando è passato all’autonoma attività televisiva, abbia realizzato diverse avvincenti trasmissioni proprio con questi due giovani. Schlingensief has continued to make “cinema”, particularly since 1997, be it in television, theatrical, political or real spaces. On the whole, it is a question of a real and honest “film about contemporaneity”, that in the 1980s fed not only on the emotions of a break with the past and the transition towards a new future, but also on the subsequent problematic experience of a turning point and national unity. This fed on the new reality of métissage, mostly on the Turkish-German cultural fusion, but also on the new forces (with a lot of Super8 and egotism) that were dissipated by “madmen” like Karmakar and Schlingensief around 1985. It is certainly no accident that Alexander Kluge, since beginning his independent work in television, has created various engrossing programmes on these two young directors. Mercenaries e Mavericks 1 Mercenaries and Mavericks Ho fatto la prima esperienza “dal vivo” di Romuald Karmakar nell’ottobre del 1993. Con il suo film Warheads (1992) era ospite della Viennale, il festival cinematografico internazionale di Vienna, che allora dirigevo insieme a Wolfgang Ainberger. Durante quei giorni viennesi egli era membro di una “cricca” di quattro giovani registi tedeschi, che si sentivano uniti gli uni agli altri nel loro ruolo ufficiale di agents provocateurs nonché attraverso una certa rabbia nei confronti dell’apparato della cinematografia tedesca. Oltre a Karmakar il gruppo comprendeva Wienfried Bonengel (rappresentato al festival dal film Beruf Neonazi), Christoph Schlingensief (Terror 2000 – coautore: Oskar Roehler) e Jörg Buttgereit (Der Todesking e Schramm – protagonista: Florian Koerner von Gustorf, piú tardi produttore di Die innere Sicherheit). Di tutti gli altri ospiti del festival i due autonomi “artisti-outsider” Dario Argento e Terrence Malick erano i più affascinati da loro. Nell’ambito di una veemente tavola rotonda sul film documentario e la rappresentazione del “male” sia Bonengel che Karmakar vennero posti a confronto nel dubbio sulla legittimità della loro opera ritrattistica: “Avete dimostrato distanza a sufficienza? Non vi siete per caso lasciati sedurre dai vostri protagonisti, dai ‘nemici’? In breve: non risultano il neonazista (in Bonengel) e il sicario mercenario (in Karmakar) troppo ‘simpatici’?” La notizia che la ZDF e la fondazione cinematografica Nordrhein-Westfalen avevano ricusato Warheads, perché considerato “militarista” ed “esaltatore della violenza”, contribuì a infiammare il dibattito. Warheads, un film epico (che Karmakar rielaborò in seguito su CD in forma di radiodramma e di “oratorio“), ruota attorno a due mercenari: il tedesco, ex arruolato nella legione straniera, Günther Aschenbrenner e il più giovane Karl, soldato di ventura proveniente dall’Inghilterra. Essi non sono i soldati “regolari” dell’esercito, bensì i “liberi imprenditori” nel mondo dei conflitti armati, le cui biografie ed esistenze sono qui da essi stessi esposte. Nel ricordo di Warheads e della tavola rotonda viennese mi sorge chiaro in che cosa consiste lo “scandalo” di Karmakar: I had my first “live” experience with Romuald Karmakar in October of 1993. He was a guest at the Viennale – the international cinema festival in Vienna that I co-directed with Wolfgang Ainberger at the time – with his film Warheads (1992). During those Viennese days he was a member of a “gang” of four young German directors, who felt connected to one another in their official roles as agents provocateurs, as well as in their rage against the German film system. Besides Karmakar, the group was made up of Wienfried Bonengel (whose film Beruf Neonazi was shown at the festival), Christoph Schlingensief (Terror 2000; co-author: Oskar Roehler) and Jörg Buttgereit (Der Todesking e Schramm; main characters: Florian Koerner von Gustorf, as well as the late producers of Die innere Sicherheit). Of all the other guests at the festival, the two autonomous “outsider artists” Dario Argento and Terrence Malick were the most fascinated by them. During a heated round table on documentary films and the depiction of “evil” both Bonengel and Karmakar were questioned regarding doubts of the legitimacy of their “portraiture” work: “Did you maintain enough of a distance? Didn’t you accidentally allow yourselves to be seduced by your characters, by the ‘enemies’? In short, don’t the neo-Nazi (in Bonengal’s film) and the mercenary assassin (in Karmakar’s) come across as too ‘sympathetic’?” The news that the ZDF and the Nordrhein-Westfalen film fund had rejected Warheads, because they felt that [Karmakar] was “militaristic” and “glorified violence”, only succeeded in inflaming the debate. Warheads, an epic film that Karmakar later reworked onto CD in the form of a radio play and “oratory”, revolves around two mercenaries: the German Günther Aschenbrenner, an ex-Foreign Legion recruit, and the younger Karl, an English soldier of fortune. They are not “regular” army soldiers, but rather “freelancers” in the world of armed conflicts, whose biographies and existence are exposed here by the men themselves. The reason behind Karmakar’s “scandal” stands out clearly in my memory of Warheads and of the round table in Vienna: the men that he films are not pigeonholed at first sight (nor later), or scrupulously classified in moral or political categories. He does not filter his characters and their stories through a convenient set-up (attitude), but rather as a director he always chooses the correct set-up (camera angle). This is exactly the same problem that plagues any pedagogical idea in cinema asserted by all those artists who once and for all opened their eyes onto the world; who allow themselves to be literally seduced, even if not by evil, than by the contradictions and fullness of a “different” life and philosophy that is not pedagogically respectable. In Warheads a mercenary-instructor says to the group of actors during a demonstration on the use of tear gas: “This stinks to the point where even you will feel it.” Then he turns and says to his volunteer adventurer students in his training camp: “You can stand it. It will sting you, but you can do it.” These words seem to be spoken as if they were also directed at the overly worried film audience. His attitude deep down – his genuine interest in “intolerable” men as well as different lifestyles – unites Karmakar with certain American directors, among them, for example, Peckinpah, Monte Hellman and even John Cassavetes. Moreover, these directors were even considered mavericks that rarely loved subjugating themselves to the rules of the film market. Karmakar follows in their footsteps even in this aspect. Among his short documentaries there is a video-interview about Cassavetes (Sam Shaw on John Cassavetes, 1990) and one with Monte Hellman (Hellman Rider, 1988, made together with Ulrich von Berg). Hellman’s masterpiece, Cockfighter (1974), was based on the eponymous novel about a cockfighting trainer by the US writer Charles Willeford, who was also a maverick. Karmakar dedicated his own film on cockfighting, Gallodrome (1988), to him. The relatively rough video, Hellman Rider, is the obvious product of a fan. Karmakar did the filming while Ulrich von Berg asked the questions. Nevertheless, at a certain point, when the setting sun reflected against the car window onto Hellman’s face, Karmakar begins to speak: “You look good with sunglasses.” And Hellman responds: “I can certainly see better with them.” This fleeting moment, which is also a good pun on seeing and appearing, calls to mind the classic cinephile student-teacher relationship, like what once existed between John Ford and Peter Bogdanovich or between Fritz Lang and Jean-Luc Godard: the (wise) dinosaur and the (enthusiastic) infant. The mavericks stand out for their ability to pick themselves up again despite the world’s hostility, despite the rejections and humiliations, and for knowing how to find renewed energy because of them. For which other German artist’s character growth has the experience of rejection and hostility towards his work been so crucial? The tense relationships that have existed since Karmakar’ debut, the “friction” between his films and the various cinema promotion or television broadcast circles are part of Karmakar’s modus operandi. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR gli uomini, che egli riprende, non appaiono di primo acchito (e neanche in seguito) “incasellati”, scrupolosamente classificati in categorie morali o politiche. Egli non filtra i suoi personaggi e le loro storie attraverso una conveniente messa a punto (atteggiamento), benché in quanto regista egli scelga sempre la corretta messa a punto (posizione della macchina da presa). Questo è esattamente il problema che possiede un’idea pedagogica nel campo del cinema per tutti quegli artisti che una buona volta hanno aperto gli occhi sul mondo, che si lasciano letteralmente sedurre, anche se non dal male, bensì dalla contraddittorietà e pienezza di una vita “altra” e di un pensiero che si trova al di fuori della rispettabilità pedagogica. In Warheads dice un mercenario-istruttore al complesso degli attori durante la dimostrazione sull’uso del lacrimogeno: “Questo puzza al punto che ce ne sarà anche un po’ per voi”. Poi si volge verso i suoi volenterosi allievi avventurieri nel suo campo di esercitazione: “You can stand it. It will sting you, but you can do it” 2. Queste parole sembrano un po’ essere proferite come se fossero altresì rivolte al sin troppo preoccupato pubblico del cinema. Il suo atteggiamento di fondo – il genuino interesse nei confronti di uomini “intollerabili” nonché verso determinati modi di vivere – congiunge Karmakar a certi registi americani quali ad esempio Sam Peckinpah, Monte Hellman oppure John Cassavetes. Questi registi erano per di più considerati dei “Maverick” che non sempre amavano assoggettarsi alle regole del mercato del cinema. Anche sotto questo aspetto Karmakar procede sulle loro tracce. Tra i suoi più brevi film documentari vi è una video-intervista su Cassavetes (Sam Shaw on John Cassavetes, 1990) e una su Monte Hellman (Hellman Rider, 1988, insieme a Ulrich von Berg). Il capolavoro di Hellman, Cockfighter (1974), si fondava sull’omonimo romanzo di un preparatore di galli da combattimento dell’autore statunitense Charles Willeford, anch’egli un Maverick. A lui Karmakar ha dedicato il suo personale film sul combattimento di galli, Gallodrome (1988). Il video abbastanza grossolano Hellman Rider, è l’evidente prodotto di un fan. Karmakar si occupa della ripresa, mentre Ulrich von Berg pone le domande. Tuttavia a un certo momento, allorché il sole al tramonto riverbera attraverso il finestrino della vettura sul volto di Hellman, Karmakar prende la parola: “You look good with sunglasses” 3. Allora Hellman risponde: “I can certainly see better with them” 4. Questo fugace istante, che tra l’altro è una bella trovata sul vedere e l’apparire, richiama la classica relazione cinefila allievo-insegnante, cosí come essa è esistita un tempo tra John Ford e Peter Bogdanovich oppure tra Fritz Lang e JeanLuc Godard: il (saggio) dinosauro e l’(entusiasta) infante. I Maverick si distinguono tra l’altro per la capacità di risollevarsi dalle ostilità del mondo, da rifiuti e umiliazioni, sapendone trarre rinnovate energie. Per la maturazione dell’identità di Karmakar, quale artista del cinema in Germania, si è rivelata decisiva, insieme ad altri fattori, l’esperienza di rifiuto e di ostilità nei confronti della sua opera. I rapporti tesi sin dagli esordi, le “frizioni” tra i suoi film e i diversi ambienti di promozione cinematografica o trasmissioni televisive sono parte del suo modus operandi. I first heard about Karmakar in 1989. People talked with raised eyebrows about the fact that Enno Patalas was holding 149 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR 150 Ho sentito parlare di Karmakar per la prima volta nel 1989. Ci si raccontava a sopracciglia increspate che nel famoso museo del cinema di Monaco Enno Patalas avesse offerto a un ignoto regista ventiquattrenne una retrospettiva globale. Nello stesso anno Kluge realizzò la prima trasmissione su Karmakar. La sua opera era nel complesso esigua e Karmakar fu inequivocabilmente reputato sino ad allora dalla maggior parte dei critici un “documentarista nato”. In effetti i cortometraggi documentari Gallodrome e Coup de Boule (1987, inerenti alla violenza e alla prevaricazione dei comandanti) come anche il mediometraggio Hunde aus Samt und Stahl (1989, sui pit bull terrier e i loro padroni) sono già gravidi di “anticipazioni” su una concezione globale del cinema, che poco si cura dei tradizionali confini del genere. Attraverso un’opera di profonda astrazione nell’organizzazione delle immagini e dell’audio e nel loro montaggio scevro da commenti, ma con l’impiego di mezzi quali la reiterazione e la dilatazione (l’indugiare sul climax dopo che esso è trascorso), quella stessa organizzazione tecnica sottesa ai suoi film viene esibita senza veli. Ciò va detto anche per le successive opere documentarie e narrative: si avverte a ogni piè sospinto la “costruzione”, ma attraverso di essa s’intensifica paradossalmente il turbine, l’azione vorticosa degli eventi e delle storie presentate. Per quanto con Gallodrome venga fatto di pensare di primo acchito al classico di Georges Franju Le Sang des Bêtes, altro è qui tuttavia l’impeto. Non si tratta di sangue di animali e della dialettica della civiltà “in sé”. Spinto da una curiosità – a tutta prima apparentemente gelida – verso i giochi logoranti con gli animali e con il corpo umano, Karmakar s’interessa a come siano esattamente questi combattimenti, ma mostra altresì un vivo interesse per ciò che a loro conduce e per ciò che successivamente ne rimane. Ai colpi di testa dei soldati francesi, ai combattimenti di galli e agli appassionati di pit bull si associano più tardi l’action artist Flatz (Demontage IX, 1991: “Il corpo nudo e pencolante di Flatz ‘suona’ come una campana tra due lastre d’acciaio”.) e i pugili dilettanti in Infight (1994). Nell’ultimo film menzionato, il modello prima/durante/dopo il combattimento si rivela particolarmente interessante da studiare. Qui (persino nel caso di una vittoria sul ring) non vi sono trionfi da annunciare, viceversa vengono consentiti sguardi in quei punti deboli o “folli”, che nelle migliori storie maschili sono in aperto contrasto con l’ideale esteriore (ovvero l’immagine di sé) dell’uomo duro e razionale. I giochi di combattimento in Monte Hellman, ad esempio la corsa automobilistica di TwoLane Blacktop oppure i combattimenti di galli di Cockfighter, hanno la funzione tra l’altro di mostrare gli uomini interpretati da Warren Oates non del tutto “induriti”, di fronteggiare la loro assurda voglia di vincere mettendo a nudo la goffaggine, la tristezza, le ferite nella loro corazza. In Manfred Zapatka, figura di macho nel film Manila, si avverte ancora un’eco intensa di tale prospettiva. Allorché egli racconta di avere assistito una volta a un’esecuzione capitale in Arabia Saudita, cosa che in seguito gli procurerà difficoltà sessuali, cita un altro gioco violento con gli animali: era “come nella corrida quando la cosa si fa seria”. a complete retrospective of an unknown, 24 year-old director’s work at the famous film museum in Munich. In that same year Kluge produced his first broadcast on Karmakar. His body of work was on the whole scant but Karmakar was at the time declared, by the majority of critics, a “born documentary filmmaker”. Indeed, the short documentaries Gallodrome and Coup de boule (1987, on the violence and abuse of power of the commanders) – just like the mediumlength film Hunde aus Samt und Stahl (1989, on pitbull terriers and their owners) – are already full of “foreshadowing signs…” of a global concession of cinema, that does not pay much attention to the traditional confines of the genre. Through the use of deep abstraction in the organisation of the images and the sound, and in an editing devoid of commentary, but with the use of means such as repetition and dilatation (in lingering over the climax after it has taken place), that same organisational technique that runs through his films is exhibited without any masks. The same can be said for his subsequent narrative and documentary works as well: it is felt at every turn, but through it the whirlwind and the whirling action of the events and the presented stories is paradoxically intensified. Although Gallodrome at first glance makes one of think of Georges Franju’s classic Le Sang des Bêtes, anything else here is nevertheless impetuous. [Gallodrome] does not deal with animal blood or the dialectic of civilisation “in and of itself”. Propelled by a curiosity – which at first seems cold – for the exhausting games, the animals and the human body, Karmakar, however, is not only interested in how these fights really are, but also shows a lively interest in that which drives them and in that which remains afterwards. Only later does one associate him with the action artist Flatz (Demontage IX, 1991: “Flatz’s naked and swinging body ‘rings’ like a bell between two slabs of steel.”) with the headbutts of the French soldiers, the cockfights, the pitbull enthusiasts and the amateur boxers in Infight (1994). In this last film, the before/during/after the fight model is particularly interesting to study. Here (even in the case of a victory in the ring) there are no triumphs to declare; vice versa, those weak and “crazy” details are looked at, which in the best masculine stories are in blatant contrast to the exterior ideal (or selfimage) of the rational and tough male. For example, the battle games in Monte Hellman, the car race in Two-Lane Blacktop or even the cockfights in Cockfighter serve, among other things, to show the not so complete “toughness” of the men described by Warren Oates, and to confront their absurd desire to win, exposing the awkwardness, the sadness and the wounds in their protective armour. A strong echo of that notion can also be sensed in the macho figure of Manfred Zapatka in the film Manila. When he tells of having once witnessed a capital execution in Saudi Arabia, which later caused him to have sexual problems, he also cites another violent game with animals: “it was like the running of the bulls when it is done seriously”. Starting with Infight one could say that Karmakar’s work does not reach conclusions – as it has been said at times – of “martiality” or of “the myth of the unbreakable man”, so much as stimulate the observation of defeat and the analysis L’ecoscandaglio Nell’ottobre del 1995 Romuald Karmakar fu ospite della Viennale per la seconda volta. Il suo film di debutto, Der Totmacher (1995), con Götz George nel ruolo del serial killer Fritz Haarmann, aveva da poco suscitato scandalo alla Biennale di Venezia. George, figlio di un famoso mimo al tempo del nazionalsocialismo, stella di prima grandezza del cinema tedesco e dalla fine degli anni ’50 – sulla strada del superamento di ogni frattura con il passato – fattore emblematico di continuità, era stato insignito della Coppa Volpi quale miglior interprete: il suo primo riconoscimento in campo internazionale. Al festival di Vienna George non giunse tanto con Karmakar, quanto contro di lui. Ciò si poteva già chiaramente percepire nel viaggio dall’aeroporto all’hotel. Durante l’incontro precedente alla presentazione del film e successivamente in scena, durante il discorso rivolto al pubblico, gli attriti continuarono affatto apertamente. Dietro a questo conflitto si celava la domanda su chi fosse il vero autore del film ovvero del successo di critica e di pubblico. George avvertiva se stesso come l’artista principale e considerava il suo regista una sorta di apprendista che avesse il permesso di stare a guardare (e sistemare l’attrezzatura di scena), mentre un testo “ammantato di storia”, uno spazio immutato e un interprete virtuoso si incensavano reciprocamente. Tuttavia il metodo che innanzitutto si rivela in Totmacher – e in molti altri film di Karmakar – non è quello dell’attore. È il metodo di una lettura vigile, della scelta, dello scandaglio, della rielaborazione e della costruzione scenica delle tracce testuali esistenti, dei reali “ruoli parlati” e del materiale storico ai fini del loro “compimento con il presente”. George voleva invece salvare, si può presumere, di contro al concetto di storia di Walter Benjamin, quello di storicismo: l’ingannevole storico, capace d’empatia, che viene a mimare di nuovo un passato apparentemente omogeneo quanto armonioso. Da questo contrasto di metodo tra protagonista e regista nasce una certa contraddizione interna, che mai può o vuole fare di Totmacher una totalità. La rielaborazione e la depurazione degli strati che si sono formati attorno ai testi (documentari) e ai loro contesti, è un importante elemento del cinema di Karmakar. Egli trasceglie e depura: i verbali della visita psichiatrica preliminare al processo di Gottinga a carico di Fritz Haarmann, che è servito da modello al ruolo interpretato da Peter Lorre in M (Der Totmacher) 6; il discorso di più di tre ore, tenuto da Heinrich Himmler davanti ai generali delle SS a Poznan, che, divenuto famoso stante la sua evidenza omicida, viene of the missing acts. To indulge in the language of the boxing film: Karmakar shows moments of that truth “when we were NOT kings.” The Sonic Probe In October of 1995 Romuald Karmakar was a guest at the Viennale for the second time. His debut feature, Der Totmacher (1995), with Götz George in the role of serial killer Fritz Haarmann, had recently provoked a scandal at the Venice Biennale. George, the son of a famous mime during the times of national-socialism, a first class star of German cinema since the 50s – on the road to getting over every break with the past – and an emblematic factor of continuity, was bestowed the Coppa Volpi for best actor. It was the first international recognition he had ever received. George did not arrive at the Vienna festival with Karmakar so much as against him. That could be plainly felt during the trip from the airport to the hotel. During the encounter before the film’s screening, and later during the film and the meeting and talk with the public, the disagreements continued openly. Behind this antagonism was the question of who was the real author of the film, and the one responsible for the critical and audience success. George saw himself as the principal artist and he considered his director a kind of apprentice who had permission to stand and watch (and adjust the equipment) while a text “cloaked in history”, an unaltered space and a virtuoso actor were mutually flattering one another. Nevertheless, the method that is revealed above all in Totmacher – and in many of Karmakar’s other films – is not that of the actor. It is the method of a vigilant reading, of a probe, of a re-elaboration and scenic construction of the existing textual signs, of the real “speaking roles” and the historical material reaching its goal of “concluding with the present”. However, George wanted, one can presume, to save a concept of historicism that is the antithesis of Walter Benjamin’s concept of history: the deceptive historian, capable of empathy, who once again mimes a past that seems as homogenous as it is harmonious. A certain internal contradiction also arises from this contrast in methodology between actor and director, a contradiction that does not and cannot make something whole of Totmacher. The re-elaboration and filtering of the layers that have been created around the (documentary) texts and their contexts is an important element in Karmakar’s cinema. He selects and filters: the proceedings from the psychiatric visit prior to Fritz Haarmann’s trial in Gottingen, modelled after Peter Lorre’s role in M (Der Totmacher) 1; a speech over three hours long held by Heinrich Himmler in front of SS generals in Poznan, which became famous because of its homicidal evidence, is nevertheless only partially recreated (Das HimmlerProjekt); the correspondence between Friedrich Nietzsche and his mother shortly before Nietzsche “lost his lucidity” (Der Tyrann von Turin, 1989-’94). Karmakar invents and filters: a false document, the presumed story of one of Hitler’s PERSONALE ROMUALD KARMAKAR A partire da Infight si potrebbe dire che l’opera di Karmakar non giunga a delle conclusioni – come qualche volta è stato affermato – con “fare marziale” oppure con il “mito dell’uomo infrangibile”, bensì stimolando l’osservazione della sconfitta e l’analisi degli atti mancati. Per indulgere nella lingua del film di pugilato: Karmakar mostra gli istanti di quella verità “when we were NOT king” 5. 151 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR nondimeno citato solo in modo assai lacunoso (Das Himmler-Projekt); il carteggio tra Friedrich Nietzsche e la madre poco prima dell’“ottenebramento” dello stesso Nietzsche (Der Tyrann von Turin, 1989-’94). Karmakar inventa e depura: un documento contraffatto, il presunto racconto di un amico monacense di Hitler sul selvaggio periodo degli anni ’20, gravido di esperienze comuni (Eine Freundschaft in Deutschland, 1985). Trova e depura: testi letterari quali il radiodramma di Jörg Fauser Für eine Mark und acht, che è servito di fondamento per il bel mediometraggio televisivo, parimenti girato in una sola località, Frankfurter Kreuz (1997). Persino la realizzazione della sceneggiatura di Manila, elaborata insieme allo scrittore Bodo Kirchhoff, possiede il carattere di una simile analisi stratificata. Nei film di Karmakar l’attore è una sorta di ecoscandaglio (lo dice Kluge di Manfred Zapatka, inteso quale “oracolo del cielo“); una sonda che, inoltrata nel testo, vi viene “lasciata penetrare”, per indurre questo a parlare. Ciò richiede una problematica forma di rappresentazione a metà realistica e a metà oltre la verosimiglianza (oppure sotto di essa), che deve corrispondere anche all’artificiosità del testo-verità oppure alla sua condensazione letteraria (in Fauser e Kirchhoff). A questo riguardo l’ideale interprete di Karmakar è probabilmente Manfred Zapatka (come Warren Oates per Hellman) – da me conosciuto sino a quel momento solo attraverso la sua assidua frequentazione di serie televisive –, che in Frankfurter Kreuz, Himmler Projekt e Manila sviluppa un’incredibile, ma sempre trasparente intensità. Non solo attraverso Zapatka si può supporre, a cominciare da questi film, che Karmakar veneri e in un certo senso desideri i suoi attori-scandaglio (“You complete me” verrebbe fatto di dire a questo punto in un film d’amore). Il “rifiuto” di Götz George, successivo alle riprese di Der Totmacher, non dimostra pertanto necessariamente da parte di Karmakar un’eccezione alla regola, ma piuttosto un classico caso di lotta per l’egemonia nell’industria dell’identità: un attore voleva assolutamente rimanere il re, non “completare” alcuno e comunque essere non il messaggero, ma il messaggio stesso. Al principio dell’opera in Super8 di Karmakar Eine Freundschaft in Deutschland si trova una semplice frase, che può essere applicata all’intera produzione del regista: “Tutto l’apparato documentario di questo film è reale e la finzione non è necessariamente fittizia”. Non ancora ventenne, Karmakar interpreta qui Adolf Hitler in riprese amatoriali fittizie, che il suo “amico” narrante fuori campo rincorre con il proiettore. D’altronde anche Christoph Schlingensief ha girato alcuni anni più tardi un film su Hitler (100 Jahre Adolf Hitler - die letzte Stunde im Führerbunker, 1989) nonché un impetuoso remake del film di Veit-Harlan Opfergang (Mutters Maske, 1988). “Dobbiamo cambiare la storia per giungere a un altro materiale”, dice la voce di Alexander Kluge nel suo film Die Patriotin. Per di più si ha a volte l’impressione che Karmakar e Schlingensief avessero preso sul serio questa frase più di qualsiasi altro. (Provenendo da un’altra direzione, anche Herbert Achternbusch presentò nel 1985 un 152 friends in Munich during the wild 1920s, full of common experiences (Eine Freundschaft in Deutschland, 1985). He finds and filters: literary texts like Jörg Fauser’s radio play Für eine Mark und acht, which served as the basis of the television feature Frankfurter Kreuz (1997), which was also shot in just one location. Even the creation of the screenplay for Manila, worked on with the writer Bodo Kirchhoff, possesses the quality of a similar layered analysis. In Karmakar’s films, the actor is a kind of sonic probe (Kluge says that of Manfred Zapatka, meaning an “oracle from heaven”); a probe that, late in the text, is allowed to “penetrate”, to induce him to talk. This requires a problematic form of representation that is halfway realistic and halfway beyond realism (or perhaps under it), that has to also correspond with the truth-text or with the literary condensation (in Fauser and Kirchhoff). In this sense, Karmakar’s ideal actor is probably Manfred Zapatka (like Warren Oates for Hellman) – whom I knew up until then only through his professional persistence in television series – who, in Frankfurter Kreuz, Himmler Projekt and Manila develops an increasingly transparent intensity. Not only through Zapatka can one presume, beginning with these films, that Karmakar venerates and in a certain sense desires his actorprobes (“You complete me” would be said at this point if it were a romantic film). Götz George’s “rejection”, after the filming of Der Totmacher, does not prove that Karmakar is an exception to the rule, but rather a classic case of a fight for superiority in the industry of identity. An actor absolutely wanted to be king, and not “complete” someone; therefore, not to be the messenger but the message itself. At the beginning of Karmakar’s Super8 film Eine Freundschaft in Deutschland there is a simple phrase, that can be applied to all of the director’s work: “All of the documentary material in this film is real and the fiction is not necessarily fictitious”. Not yet twenty, Karmakar here plays Adolf Hitler in an amateurish and fictitious film, whom his narrator and off screen “friend” chases with a spotlight. On the other hand, even Christoph Schlingensief shot a film about Hitler several years later (100 Jahre Adolf Hitler - die letzte Stunde im Führerbunker, 1989) itself an impetuous remake of the VeitHarlan’s film, Opfergang (Mutters Maske, 1988). “We have to change history to arrive at other material”, says Alexander Kluge in his film Die Patriotin. What is more, one has the impression at times that Karmakar and Schlingensief took this phrase more seriously than any other. (Coming from another direction, even Herbert Achternbusch presented his film on Hitler, Heilt Hitler, in 1985. That happened at the beginning of his creative phase with the Super8 camera. Three years later he recruited Karmakar as assistant director on Mixwix.) Punk represents the second attitude present in these films. The Super8 camera as the appropriate medium – just like in the New York and Berlin scenes – marked a cheap liberation from the historical-political relationships considered, up until then, to be aesthetically and/or intellectually “correct”. Mercy in Manila Nella tarda estate del 1999 ebbi l’occasione di vedere un abbozzo del montaggio di Manila, che doveva essere com- Asked thus what led him to become a self-taught filmmaker, Karmakar responded: “Punk, football, and the film museum of Munich.” When at the end of Warheads he uses a sloweddown version of Iggy Pop’s rowdy hymn “Bang-Bang! (Vukovar)” one can still sense an echo of this declaration. Besides the fictionalised text and the fictionalised amateurish scenes, the documentary aspect of Eine Freundschaft in Deutschland is likewise just as important: stationary shots of places Hitler used to visit in Munich, everyday town squares and houses, just as they appear today (1985). The same approach was later adopted by Karmakar in Tyrann von Turin: Super8 images of Turin, shot in November of 1989 (the director was invited to the local “Youth Cinema” film festival) are superimposed by Nietzsche’s letters from and about Turin at the end of 1888 and the beginning of 1889. We can follow the discourse with our eyes, even when we are transported to a marvellous street on the banks of the Po River; or to the diffused autumn light of Turin coloured in reds and golds, even though it has been shot in a “slowed down” version 100 years later. Karmakar’s images evoke the spirits of Hitler and Nietzsche, to make them daily figures in a daily world: “After a film on Adi, now a film on Fritz”. At times completely cynical, at times almost loveable, these titans become “an acoustic effect and an optical movement” (Olaf Möller) and as such are recognisable as milestones for multiple thematic constructions: a historic-media Lego block. From the perspective of expanding these strategies within the realm of document re-elaboration, Karmakar is not only interested in the “present” of a specific time period they allude to, but also in that which they indirectly say of the “after”. The Himmler-Projekt, he says, is “actually a film about the Bonn Republic” – since the SS generals who listened to Himmler’s speak passed it down “in silence”, together with their successful biographies, until well after WWII, until the 1980s. In Warheads, a young girl from Munich, who in 1991 had returned to her country of origin, a Croatia ready for war, says of her fellow soldiers: “There are maniacs who go to sleep with their guns. What will they do after the war? I’m more afraid of what will come later than the present. This will not end quickly”. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR film su Hitler: Heilt Hitler. Ciò avvenne all’inizio della sua fase creativa con il Super8; tre anni più tardi ingaggiò Karmakar in qualità di assistente alla regia in Mixwix). Quello punk rappresenta il secondo atteggiamento sotteso a queste pellicole; con il Super8 quale medium adeguato, il quale – come anche sulla scena newyorkese e berlinese – segnala una liberazione a buon mercato da relazioni storico-politiche sino ad allora esteticamente e/o intellettualmente “corrette”. Consultato quindi su cosa lo abbia condotto da autodidatta al cinema, Karmakar risponde: “Il punk, il calcio, il museo del cinema di Monaco”. Quando alla fine di Warheads impiega la versione mitigata di un inno facinoroso di Iggy Pop – “Bang-Bang! (Vukovar)” –, si può ancora avvertire un’eco di questa dichiarazione. Oltre al testo fittizio e ai fittizi filmati amatoriali, l’aspetto documentario di Eine Freundschaft in Deutschland risulta essere parimenti importante: immobili riprese di luoghi frequentati da Hitler a Monaco, piazze e case di tutti i giorni, cosí come appaiono oggi (1985). Lo stesso approccio è successivamente adottato da Karmakar in Tyrann von Turin: immagini in Super8 di Torino, girate nel novembre del 1989 (il regista fu ospite del locale festival “Cinema Giovani“), sovrapposte ai testi delle lettere di Nietzsche da e su Torino della fine del 1888 e gli inizi del 1889. Noi possiamo seguire con gli occhi il discorso, anche quando siamo trasportati su un meraviglioso viale sulla sponda del Po oppure sul lucore autunnale di Torino dalle colorazioni rosse e dorate, benché tutto ciò sia stato riportato da una “versione mitigata” di 100 anni dopo. La storia non viene ricostruita, non “rifatta daccapo”, ma prospettata in una contemporaneità di frammenti bio-topografici di oggi e di ieri. Le immagini di Karmakar evocano gli spiriti di Hitler e di Nietzsche, per farne figure della quotidianità in un mondo della quotidianità: “Dopo il film su Adi ora il film su Fritz”. Talvolta affatto cinici, talaltra quasi amabili, titani di tale fatta divengono “un effetto acustico e un movimento ottico” (Olaf Möller) e come tali riconoscibili quali pietre miliari per molteplici costruzioni discorsive: un lego storico-mediatico. Nella prospettiva di un ampliamento di queste strategie nell’ambito della rielaborazione di documenti importa a Karmakar non solo il loro presente di un tempo, bensì anche ciò che essi indirettamente raccontano del dopo. Das HimmlerProjekt, egli dice, è “invero un film sulla repubblica di Bonn” – perché i generali delle SS che avevano ascoltato il discorso di Himmler lo tramandarono “sotto silenzio” assieme alle loro biografie di successo sino al dopoguerra inoltrato, sino agli anni ’80. In Warheads una giovane monacense, che alla fine del 1991 aveva fatto ritorno al suo paese d’origine, una Croazia pronta alla guerra, dice dei suoi commilitoni al fronte: “Ci sono dei pazzi che vanno a dormire con il loro fucile. Che cosa faranno quelli dopo la guerra? Ho più paura per il tempo a venire che per il presente. Non può finire tutto tanto in fretta”. Mercy in Manila In the late summer of 1991 I had the opportunity to see a rough-cut of Manila, which was not to be completed before 2000. How much the film would be discussed in Germany was not yet predictable, nor examine-able. In my opinion, as much then as today, the film’s beauty is simple and moving. Manila will be a success. After the screening, Karmakar and the writer, Bodo Kirchhoff, told me how the film was born in an outdoor beer hall in Munich; how expensive and difficult it was to create an airport waiting room (the only scenography in Manila) in a film studio; who the characters were and how they were based on real interpersonal travel relationships; who the 153 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR piuto non prima del 2000. In quale misura esso sarebbe stato discusso in Germania non era ancora prevedibile (e neanche esaminabile); nella mia percezione tanto di allora quanto di oggi è di una semplice, sconvolgente bellezza. Manila si affermerà. Dopo la proiezione Karmakar e l’autore, Bodo Kirchoff, raccontarono della nascita del film in una birreria all’aperto di Monaco: di quanto fosse costosa e difficile da realizzare in uno studio cinematografico la costruzione di una sala d’attesa in un aeroporto (la sola scenografia di Manila); dei personaggi, che si fondano su reali relazioni interpersonali di viaggio; del complesso degli attori di spicco, da Margit Castensen sino a Sky Dumont, da Elizabeth McGovern sino a Manfred Zapatka; infine dell’infinito turbine del coro finale, diretto e cantato dai passeggeri. È il coro dei prigionieri del Nabucco verdiano, ma con un nuovo testo in tedesco: “Polizeistunde kennen wir nicht” 7, condotto con moto via via più retrogrado. Kirchhoff raccontò che anche questa scena si fondava su di un’osservazione tratta dalla realtà: sul lago di Garda egli fece una volta l’esperienza di un gruppo di viaggiatori tedeschi che verso la fine di un party urlarono a squarciagola proprio questo coro con esattamente lo stesso testo. Il prodigio della relativa scena cinematografica è la sua perdurante ambivalenza, che al contempo si volge in bellezza, tormento, passione e abominio. Karmakar si trova qui lontano più che mai dallo stereotipo emozionale, morale o nazionale. Cantare e ballare in un film rende possibili tali esperienze che irritano lo spettatore, oscillando tra utopia e ideologia (e il cinema tedesco ha a questo riguardo una tradizione particolarmente lunga: le canzoni strampalate nell’opera di Peer Raben/Rainer Werner Fassbinder). La durata di queste scene non dev’essere considerata troppo esigua: ad esempio in Warheads, allorché, in un incontro di ex arruolati della legione straniera presso un banco di mescita nella Guyana francese, viene intonata ogni singola strofa del canto nazista: “In einem Polenstädchen, da wohnte einst ein Mädchen…” 8, oppure al termine della notte in Frankfurter Kreuz, quando in un’osteria senza tavoli a sedere un’imprevista coppia d’innamorati si dondola con interminabile spensieratezza al ritmo di una musica pop dell’epoca; infine ancora in Manila, quando alla radio viene suonato un successo locale e con vaga minaccia il giovane redditiere Franz si esibisce in un inaspettato ballo nel corridoio del bagno con la donna filippina addetta alle pulizie. Il rapporto di Karmakar con la Germania, il suo coerente “lavorare alle cose tedesche” è improntato da un forte, quasi irritato senso di estraneità – e nello stesso tempo da una severa esigenza di verità, da un sapere meticoloso dei dettagli e da una volontà di articolarsi autonomamente in questo “Whirlpool”. Lo si avverte tanto nei film quanto nel discorso. Io penso che Karmakar, che ha trascorso gli anni di scuola al ginnasio tedesco di Atene e il servizio militare nell’esercito francese, si senta di appartenere a un mondo di legionari e di esuli nel bel mezzo della Germania. In lui giacciono i frammenti delle più svariate biografie dell’estraneità. Forse i frammenti dell’esistenza di Christa Päffgen, figlia di 154 prominent actors were, from Margit Castensen to Sky Dumont, from Elizabeth McGovern to Manfred Zapatka. And, finally, they told me about the endless whirlwind of the final chorus, directed and sung by the passengers. It is the prisoners’ chorus from Verdi’s Nabucco, but with a new text in German – “Polizeistunde kennen wir nicht” 2 – conducted in a rhythm that increasingly slows down as it goes along. Kirchhoff said that even this scene was based on an observation taken from reality: on Garda Lake he once met of a group of Germans who, at the end of a party, began screaming this music with these exact words at the top of their lungs. The beauty of the aforementioned cinematic scene is its persistent ambivalence, which in the meantime turns into beauty, torment, passion and outrage. Here, Karmakar finds himself further away than ever from emotional, moral or national stereotypes. Singing and dancing in a film render possible experiences that irritate the viewer, oscillating between utopia and ideology. (And German cinema has a particularly long tradition in this area: the nonsensical songs in the work of Peer Raben/Rainer Werner Fassbinder). The length of these [following] scenes must not be considered too slight. For example, in Warheads, when in an encounter between ex-Foreign Legion soldiers at a bar counter in French Guyana, every single verse of the Nazi song is sung: “In einem Polenstädchen, da wohnte einst ein Mädchen…” 3. Or at the end of the night in Frankfurter Kreuz, when in a table-less tavern young couple in love suddenly begins swaying cheerfully to the rhythm of pop music from that period. Or finally in Manila, when a local hit comes on the radio and, with vague menace, Franz begins an unexpected dance in the bathroom hallway with the Filipino cleaning woman. Karmakar’s relationship with Germany, his coherent “work on German subjects”, is marked by a strong, almost irritating sense of “foreign-ness” – and at the same time a rigorous need for the truth, for a meticulous knowledge of details and a desire to articulate himself independently in this “Whirlpool”. This is sensed in his films as much as in his discourse. I think that Karmakar, who went to a German high school in Athens and did his military service in the French army, feels like he belongs to a world of legionnaires and exiles smack dab in the middle of Germany. Fragments of the most diverse and extrinsic biographies lie within him. Perhaps the fragments of the life of Christa Päffgen, the daughter of a soldier killed by Nazi euthanasia; an inimitable star in Berlin, Paris, Rome, who sang with Warhol and the Velvet Underground under the name Nico, and later, with her drug music and death, became the Marlene Dietrich of post-1968. Or fragments of Günther Aschenbrenner, the “hero” of Warheads, the son of a family of Nazis, who joined the Foreign Legion at a young age and became a hired soldier in other people’s wars. Or perhaps fragments of the world of Peter Lorre, and old-fashioned Austrian who experienced Berlin theatre and film as well a Hollywood exile and who returned to Germany in 1951 to direct and star in his last “foreign” film: Der Verlorene. Naturally, all of these are also constructions, but a radical construction is, in a final analysis, the point that Karmakar’s work – besides the “seduction” and the “probing” – revealed and reached. The characters in Manila are constructed, written, layered Germans who, far from their homeland, live out the harshness and mercy of their artifice through song, stress, self-observation and other people’s images. They also present once and for (also thanks to the actor’s artistry) the real man, even though they do not follow their paths “improvising” or under the guise of a documentary. They are “complete fragments”, like those condensed and constructed without haste, that Romuald Karmakar attempts to articulate in front of Kluge’s camera, in the private conversation or in front of a cinema audience. When, for example, Christoph Schlingensief scientifically loses control to generate new situations, Karmakar leans towards concentration and control of his thesis (cinematic and verbal). There, new aggregates of thoughts and sound/images are born. Both of these methods generate misunderstandings, controversies and spontaneous rifts in the moments when they mainly contain the “imprecision”. (For example, during discussions with the public after the screenings.) Nevertheless, in our peaceful and commodity driven culture of experts these situations still emerge all too rarely. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR un soldato ucciso dall’eutanasia nazista, inimitabile star a Berlino, Parigi, Roma, cantante di Warhol e dei Velvets con il nome di Nico, successivamente divenuta con la sua musica di droga e morte la Marlene Dietrich dell’era post-sessantottesca. Oppure frammenti del mondo di Günther Aschenbrenner, dell’“eroe” di Warheads, figlio di una famiglia di nazisti, che andò presto nella legione straniera e divenne militare assoldato nelle guerre degli altri. Oppure frammenti del mondo di Peter Lorre, austriaco di vecchio stampo, che attraverso la Berlino del teatro e del film M nonché attraverso l’esilio di Hollywood fece ritorno in Germania nel 1951, per girare in veste di regista e di protagonista l’ultimo film dell’estraneità: Der Verlorene. Tutte queste sono naturalmente anche delle costruzioni, ma una costruzione radicale è in ultima analisi il punto che l’opera di Karmakar – oltre il “lasciar sedurre” e lo “scandagliare” – ha rilevato e raggiunto. I personaggi di Manila sono tedeschi costruiti, scritti, stratificati, che, lontani dalla patria, esperiscono la durezza e la clemenza del loro artefice attraverso il canto, lo stress, l’osservazione di sé e dell’immagine altrui. Essi raccontano una volta per tutte (anche grazie all’arte dell’attore) l’uomo reale, benché essi non percorrano la loro strada “improvvisati” oppure a guisa di “documentario”. Essi sono “frasi complete”, come quelle condensate e costruite senza precipitazione che Romuald Karmakar tenta di proferire davanti alla macchina da presa di Kluge, nella conversazione privata oppure davanti al pubblico del cinema. Quando ad esempio Christoph Schlingensief perde scientemente il controllo per generare nuove situazioni, Karmakar tende alla concentrazione e al controllo del suo discorso (cinematografico e verbale). Ne nascono nuovi aggregati di pensieri e di suoni/immagini. Entrambi i metodi possono ingenerare fraintendimenti, controversie o spontanee spaccature in momenti nei quali essi contengono principalmente l’“imprecisione” (ad esempio nelle discussioni con il pubblico dopo la proiezione). Tuttavia nella nostra pacifica e merceologica cultura da intenditori tali situazioni emergono comunque sin troppo di rado. NOTES The title of Karmakar’s film, Der Totmacher, literally “The Murderer”, evokes the title of the famous 1931 film starring Peter Lorre, M, in which the letter stood for “murderer.” [T.N.] 2 “We never close up shop.” [T.N.] 3 “Once upon a time a girl lived in a Polish town…” [T.N.] 1 NOTE Mercenari e indipendenti. [N.d.T.] “Riuscirete a sopportarlo. Vi tormenterà, ma ce la farete.”[N.d.T.] 3 “Hai un bell’aspetto con gli occhiali da sole.” [N.d.T.] 4 “Con quelli posso vederci sicuramente meglio.” [N.d.T.] 5 “Quando NON eravamo dei re.” [N.d.T.] 6 Il titolo del film di Karmakar, Der Totmacher, letteralmente “L’omicida”, riecheggia il titolo del famoso film interpretatoto da Peter Lorre nel 1931, M, iniziale della parola “Mörder”, assassino. [N.d.T.] 7 “Non conosciamo orario di chiusura.” [N.d.T.] 8 “In una cittadina polacca viveva una volta una ragazza…” [N.d.T.] 1 2 155 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR IL CINEMA È CINEMA CINEMA IS CINEMA Una conversazione con Romuald Karmakar A conversation with Romuald Karmakar di Rolf Aurich by Rolf Aurich […] Più o meno ai tempi della maturità dovrebbe risalire Eine Freundschaft in Deutschland, il film su Hitler. […] It was more or less during your final school exam that Eine Freundschaft in Deutschland, the film about Hitler must have come about. La maturità è in estate, prima c’era stato il carnevale, a febbraio. È stato allora che ho avuto l’idea di andare tutti insieme alla Lövenbräukeller. Io mi sono mascherato da Hitler, mi sono coperto la barba e tutti insieme ci siamo ritrovati nel bel mezzo della sala, che era tutta addobbata per carnevale. Poi la cosa è rimasta ferma per un po’, solo più tardi ho cominciato a pensarci seriamente. Nel frattempo ho preso il diploma. Tra l’estate ’84 e il febbraio ’85 abbiamo girato diverse parti, nei fine settimana. Il materiale a colori lo abbiamo girato all’inizio dell’85 e poi lo abbiamo montato. Quindi le prime riprese sono state quelle di carnevale. Sono nate già con l’idea di farci un film, oppure era solo un gioco? Ormai non saprei più come rispondere. Credo che le cose siano andate così: in aprile insieme agli amici del Werkstattkino avevamo pensato di comprare una cinepresa, così ci siamo messi in cinque e abbiamo raccolto 1500 marchi, che per noi erano una bella cifra. Abbiamo comprato una cinepresa Braun Nizo Super8 e ci siamo detti: bene, adesso facciamo il cinema. Io ho fatto il mio film su Hitler e anche gli altri hanno girato qualcosa; nel marzo ’85 tutto il materiale è andato in proiezione per dieci giorni al Werkstattkino. È cominciata così, e io sono l’unico che ancora si occupa di queste cose. A quei tempi c’era anche un altro gruppetto che si riuniva attorno al Werkstattkino. Hai lavorato anche con loro? No, con loro giocavo a calcio. Ci eravamo incontrati anche nei circoli punk, nell’82, quando sono arrivato a Monaco. Con loro però non ho mai lavorato. La sequenza è stata questa: punk - calcio - cinema. Niente male come titolo. Per il film su Hitler, che per così dire è nato nell’arco di un anno, ogni settimana ti trovavi a dover “mobilitare” gli altri. Non era una cosa complicata? No, la cosa ci prendeva molto. C’era per esempio Anatol Nitschke che era tutto fiero di interpretare il miglior amico di Hitler, e anche quello che faceva Heinrich Hoffmann… trovavamo fosse una bella cosa, e ci divertivamo tutti. Il sabato mattina ci si trovava in quattro o cinque e si andava fino a Berchtesgaden, si girava qualche scena e si rientrava a casa il sabato pomeriggio. Lo stesso abbiamo fatto durante la Oktoberfest. Non era difficile motivare i ragazzi. L’idea di base del film è scritta all’inizio, anche se sulla videocassetta si legge a stento: “In questo film tutto ciò che 156 The exam is in the summer, before it there was Carnival, in February. That was when I had the idea to work with Lövenbräukeller. I dressed up as Hitler, I covered up my beard and we found ourselves together smack dab in the middle of the hall, which was decorated for Carnival. The film went nowhere for a while, I only started thinking about it seriously later. In the meantime, I got my degree. We shot different parts of it between the summer of ’84 and February of ’85, during the weekends. We shot the colour material in the beginning of ’85 and edited it later. So the first shots were filmed during Carnival. Did the idea to make a film come about then or was it just for fun? I couldn’t really tell you at this point. I think it went like this: in April my friends from the Werkstattkino and I decided to buy a movie camera, so five of us raised 1,500 marks, which was a considerable sum for us. We bought a Braun Nizo Super8 camera and said to ourselves: All right, now we’re going to make movies. I made my film about Hitler, the others shot something as well. The material was shown at the Werkstattkino in March of ’85. That’s how it began, and I am only one still doing these things. At that time there was also another, smaller group hanging around the Werkstattkino. Did you work with them as well? No, I played football with them. We met on the punk scene, in ’82, when I got to Munich. I never worked with them, however. The sequence was the following: punk - football cinema. Not bad as a title. As for the film on Hitler, which was more or less made over a year, you had to “mobilise” the others every weekend. Wasn’t that complicated? No, we were all very taken with the film. For example, there was Anatol Nitschke, who was very proud to play Hitler’s best friend, as well as the guy who played Heinrich Hoffmann… It was a great experience for us, and we all had a lot of fun. Five or six of us would get together Saturday morning and go all the way to Berchtesgaden, shoot a scene or two, then go home in the afternoon. We did the same thing during Octoberfest. It wasn’t difficult to motivate the group. The underlying idea for the film is written at the beginning of the film, even though it is barely legible on the videocassette: “In this film, everything that is a documentary is real, and not everything that is fiction necessarily has to be fake”. The fiction naturally refers to all the black and white shots. These sequences were elaborations of photographs that I had seen, that were printed in a number of volumes by Heinrich Hoffmann, Hitler’s personal photographer. Among them I remember, for example, a picture of Hitler sitting on a sled. I also knew from other sources that Hitler had settled down in Berchtesgaden through a Mister Dietrich Eckart, who had a small house and came to play chess with him here in Schellingstrasse. Then there is a photo of Hitler, as a guest of Goebbels’ I believe, eating soup. There is an enormous pot with a crown of laurel around it, and that’s all there is to the photo. Using the picture as a starting point, I shot the scene with all the people who were with him. This is how the black and white sequences came about. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR è documentario è reale, e non tutto ciò che è finzione dev’essere necessariamente falso”. La finzione si riferisce naturalmente a tutte le sequenze in bianco e nero. Queste sequenze sono elaborazioni di fotografie che avevo visto e che sono state pubblicate in parecchi volumi da Heinrich Hoffmann, il fotografo personale di Hitler. Ricordo tra le altre, ad esempio una foto di Hitler seduto nella slitta. E poi sapevo anche da altre fonti che Hitler si era stabilito a Berchtesgaden attraverso questo signor Dietrich Eckart, che aveva lì una casetta e veniva a giocare a scacchi con lui qui in Schellingstrasse. Poi c’è una foto dove si vede Hitler ospite credo di Goebbels che mangia il minestrone. C’è un pentolone enorme con intorno una corona d’alloro, e la foto è tutta qui. Prendendo spunto da questa foto ho girato la scena con tutte le persone che erano là con lui. Così sono nate le sequenze in bianco e nero. Le fotografie le hai scelte a caso dai libri? Did you choose the photos from the books randomly? Non per caso, ho fatto molte ricerche. Ho studiato i luoghi dove le scene si erano svolte sui documenti dell’Archivio di Stato e della Biblioteca Nazionale. Stavo diventando l’ennesimo ricercatore che si occupava di Hitler. Poi però ho lasciato stare, perché la gente cominciava a diventare sospettosa, aveva un’aria del tipo “ma questo qui cosa avrà a che fare con quelle storie, che cosa cerca ?”. Nessuno sapeva cosa avrei fatto del materiale che raccoglievo. C’era un tale che si chiamava Ottmar Katz e aveva scritto una biografia di Theo Morell, il medico personale di Hitler. Questo biografo viveva qui a Monaco, e io ho passato ore e ore a parlare con lui. La ricerca dei luoghi storici reali, che riguarda tutta la parte a colori, si basa su informazioni raccolte presso i biografi di diversi personaggi e dagli elenchi dell’Archivio di Stato. Poi sono andato a trovare anche il figlio di Heinrich Hoffmann, che mi ha fatto uno schizzo dello studio di suo padre in Schellingstraße, dove più tardi avrebbero messo gli uffici della NSDAP. […] Quindi ci sono due componenti che derivano dal materiale disponibile: da una parte le foto, che tu hai sviluppato nelle sequenze in bianco e nero, dall’altra quei fatti che si possono ricostruire cercando negli archivi e nelle biblioteche. Oltre a queste due tracce ce n’è poi una terza di grandissima importanza, la voce fuori campo. Da dove vengono le sue parole, chi le ha scritte? Le ho scritte io. Le ho messe insieme come un puzzle da biografie e autobiografie di vari personaggi. C’è il libro di Hanfstaengl, c’è quello di Heinrich Hoffmann, poi ci sono diversi libri di autori francesi su Eva Braun e su Hitler e le donne, libri che parlano soltanto di questo. Io ho preso tutto e l’ho messo in questa persona. Una persona che si trovava sempre con lui – e che in realtà non è mai esistita. […] Not randomly, I did a lot of research. I studied the places where the scenes took place in the documents of the National Archives and the National Library. I was becoming one of an endless number of researchers studying Hitler. Then I dropped it because people were beginning to get suspicious, they were acting like, “What does this guy have to do with these stories? What is he looking for?” Nobody knew what I was going to do with the material I was collecting. There was a man named Ottmar Katz who had written a biography on Theo Morell, Hitler’s personal doctor. This biographer lived in Munich and I spent hours and hours talking to him. The research on the real historical places, that has to do with all the places in colour, is based on information that I gathered from the biographers of various people and from the catalogues in the National Archives. Then I even went to visit Heinrich Hoffmann’s son, who drew me a sketch of his father’s office in Schellingstraße, where they later put the NSDAP offices. […] Thus, there are two components derived from the available material: on the one hand, the photos, which you then elaborated in the black and white scenes; on the other hand, the facts which can be reconstructed from the archives and libraries. Other than these two elements there is a third of great importance: the off-camera voice. Where did his words come from, who wrote them? I wrote them. I put them together like a puzzle from various people’s biographies and autobiographies. There is Heinrich Hoffmann’s book, then there are several books by French authors on Eva Braun and on Hitler and women, books that deal only with that. I took all of that and put it into this person. A person who was always with him – and who actually did not exist. Cosa c’è stato dopo il film su Hitler? What came after the film on Hitler? Dopo ho scritto due sceneggiature, che non mi hanno fruttato nemmeno un soldo. Una si intitolava Deutschland über Afterwards, I wrote two screenplays, which did not earn me 157 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR dem Meere ed era la riduzione cinematografica di un romanzo di Bodo Kirchhoff, Zwiefalt; l’idea era stata del produttore e direttore della fotografia Horst Schier, la sceneggiatura l’abbiamo scritta a quattro mani io e Thomas Schamoni. Ho lavorato spesso con lui, è stato lui ad “avvicinarmi” alla sceneggiatura. La cosa però non andò in porto. La seconda sceneggiatura era tutta mia, la protagonista doveva essere Anne Bennent e Jörg Schmidt-Reitwein avrebbe curato la fotografia. L’ho presentata al Kuratorium ma ancora una volta senza successo. Come ti è venuta l’idea di girare un film sotto le armi? How did you get the idea to shoot a film while in the army? Questo “coup de boule” [lett. “colpo di testa”, N.d.T.] è una cosa comunissima in Francia, lo fanno tutti. Lo facevano anche in caserma, così per divertimento. Lo vedi e subito ti viene da pensare: ok, adesso faccio un film. Una volta che ero stato in licenza mi ero riportato da casa la cinepresa Super8, e quando smontavo dal servizio me ne tornavo in camerata e giravo. La cosa è andata avanti per diversi giorni, e ne è nato un film in Super8 che poi ho fatto gonfiare in 16mm. Stavi dicendo che il “coup de boule” è una cosa comune in Francia… Sì, anche da borghesi, per esempio in discoteca, se due tipi cominciano a beccarsi e c’è di mezzo una donna, puoi star sicuro che prima o poi si arriva a qualcosa del genere. Non puoi difenderti, il movimento è troppo rapido e rabbioso, ti ritrovi subito il naso rotto. I francesi lo fanno anche nel calcio: c’era quel difensore, Amoros, che ancora adesso gioca in nazionale, in una partita aveva subito un’infinità di falli, poi a un certo punto, al centesimo fallo, ha rifilato al suo avversario un “coup de boule” e l’ha pure passata liscia, non si è nemmeno beccato il cartellino rosso. Da militare in ogni modo devi vederla in maniera molto semplice: è un passatempo, uno sfogo, una soddisfazione, è forte – ognuno può pensarne quello che vuole, non mi interessa più di tanto. Si fa e basta, non importa se hai problemi di donne oppure no. È stato divertente anche girare il film. I ragazzi la trovavano una cosa eccitante, “ecco, ora siamo tante star”, dicevano. La cinepresa li affascinava, a uno ho dato da tenere il microfono, e quando si girava la camerata era sempre piena. Per loro era semplicemente qualcosa di diverso invece di sedersi all’osteria a bere birra. […] Il film porta una dedica “a tutti i commilitoni”. Sono tutti quelli che hanno partecipato? Sì. Ognuno di loro ha avuto noie dal capitano nella propria compagnia. Quei capitani il film non l’avevano mai visto, ma per loro era lo stesso qualcosa di sovversivo, e io ero un “sinistroide”, un sovversivo. Un capitano mi aveva addirittura proibito di passare davanti al suo acquartieramento. Lui voleva mettere a posto anche gli altri che avevano partecipato, ma loro erano rimasti dalla mia parte, avevano spiegato che “pur di andare in scena alla Berlinale lo 158 a cent. One was titled Deutschland über dem Meere and was the film version of a book by Bodo Kirchhoff, Zwiefalt. The idea [for the screenplay] was producer and cinematographer Horst Schier’s. I wrote the screenplay together with Thomas Schamoni. I often worked with him, he was the one who “brought me closer” to the screenplay. The project, however, went nowhere. The second screenplay was all mine. The lead was supposed to be played by Anne Bennent and Jörg Schmidt-Reitwein was going to be the director of photography. I presented it at the Kuratorium but, once again, without any success. This “coup de boule” [head-butt] is a very common thing in France, everyone does it. They even used to do it in the barracks, for fun. You see it and you immediately think: “OK, now I’ll make a film”. Once when I was on leave I brought back a Super8 camera from home and when I would come off duty I would go back to barracks and film. This went on for several days and a Super8 film was born, which I later blew up into 16mm. You were saying that the head-butt is a common thing in France… Yes, even among the middle class. For example, if two men start going at each other in a disco, and there is a woman involved, you can be sure that sooner or later something to that effect will happen. You can’t defend yourself, the movement is too quick and violent, you immediately end up with a broken nose. The French even do it in football. There was that defender, Amoros, who still plays for the national team. He had sustained a countless number of fouls, then at a certain point, after the hundredth foul, he gave his opponent a “coup de boule” and he got away with it without even getting a red card. As a soldier you have to look at it very simply: it’s a diversion, a way to vent, to feel satisfaction, it’s tough – everyone can think whatever they want, I’m not very interested in that. It’s done and that’s all there is to it, it doesn’t matter if you have problems with women or not. It was fun just making the film. The guys found it exciting: “Now we’re big stars,” they used to say. The movie camera fascinated them, and I let one of them hold the microphone. The barracks were always full when we would film. To them it was simply something different than sitting in a bar and drinking beer. […] The film is dedicated “to all the comrades-at-arms”. Are those all the people who participated in the filming? Yes. Each one of them had trouble from their company captains. Those captains never even saw the film, but for them it was nevertheless subversive, and I was a “leftoid”, a subversive. One captain had even forbid me from passing in front of his quarters. He wanted to put the others who had participated in their place as well, but they stayed on my side, explaining that, “To get the film shown at the Berlinale, we still would have done it, even at the expense of being confined for a week”. That’s why I dedicated it to them. Si conosce l’origine del “coup de boule“? Are the origins of the head-butt known? In Germania si chiama “testata” o anche “danese”, dal gergo marinaresco credo, sembra che la cosa l’abbiano inventata i marinai danesi. Non ne so molto di più. In Germany it’s called a head-butt or else a “Danish”, in sailor lingo I believe. It seems that Danish sailors invented it. I don’t know much more than that. In Coup de boule fai vedere che non sei entrato nell’esercito per fare un film, ma ti ci sei trovato e hai osservato qualcosa di interessante, che potevi anche filmare. È stato così anche per il successivo, Gallodrome, anche qui hai trovato il soggetto per caso? In Coup de boule you show that you did not go into the army to make a film, but that you observed something interested while you were there, that you could also film. Was it the same for your next film, Gallodrome, as well? Did you find that subject by accident? È andata così: nella nostra camerata c’era una rivista porno, una rivista francese che si chiama “Newlook” e contiene accanto a immagini pornografiche molto hard anche reportage fotografici di grande qualità, ad esempio sugli attacchi dei pescecani, sulle corse dei carri o anche sull‘“uomo più grande del mondo”, insomma c’è sempre qualcosa che colpisce. Quella volta c’era un articolo sui combattimenti dei galli, che mi sono anche ritagliato. In questo reportage, che è uscito anche su “Geo”, si citava il nome di un piccolo villaggio che si trova a pochi chilometri da Lille. Quasi tutti in caserma erano di quelle parti, eppure nessuno ne aveva sentito parlare. Dopo il congedo ho chiamato al telefono il sindaco di quel paesino e gli ho chiesto se i combattimenti si svolgevano ancora, dato che la rivista era dell’83. Lui mi ha dato un nome e io ho chiamato quel nome. Poco dopo ho ricevuto un manifesto con le date delle riunioni e nel fine settimana me ne sono andato laggiù con un operatore e dell’equipaggiamento cinematografico rubato. Nel pomeriggio abbiamo ripreso gli incontri di allenamento, il giorno dopo, domenica, il combattimento vero e proprio. Sono stato il primo ad avere il permesso di filmare i combattimenti, che sono chiaramente vietati. Da quelle parti li tollerano come reliquie culturali, resti di una vecchia tradizione. Soltanto non li si può pubblicizzare. Comunque abbiamo potuto riprenderli in maniera del tutto legale, poi nel pomeriggio seguente siamo tornati a casa. Mille chilometri all’andata, altri mille al ritorno, girati 30 minuti di pellicola. […] Quanto può durare un combattimento fra galli? Il tempo massimo è fissato a sei minuti, poi naturalmente se uno dei due vince al primo minuto si interrompe. Però può succedere anche che dopo sei minuti entrambi i contendenti siano ancora in piedi. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR avremmo fatto comunque, anche al prezzo di una settimana di consegna”. Per questo l’ho dedicato a loro. This is how it went: there was a porn magazine in our barracks, a French magazine called “Newlook” that carries good quality photographic reportage, along with the very hard pornographic images, on, for example, shark attacks, cart races or on the “Biggest man in the world.” In other words, there is always something noteworthy. This time there was an article on cockfighting that I even cut out. In this story, which came out in “Geo” as well, they cited the name of a small village just a few kilometres from Lille. Almost everyone in the camp was from that area, but no one had ever heard about it. After I was discharged I called the mayor of that town and asked him if they still held the cockfights, since the magazine was from ’83. He gave me a name and I called that name. Shortly afterwards I received a notice with the dates and over the weekend I went down there with down there with a cameraman and some stolen film equipment. In the afternoon we shot the training meetings/sessions and the next day, Sunday, the actual fights. I was the first to be given permission to shoot the fights, which are forbidden. They are tolerated in that area as a cultural relic, the remains of an old tradition, they just cannot be advertised. In any case, our filming of them was entirely legal, then in the afternoon we went home. A thousand kilometres there, a thousand kilometres back, just to shoot thirty minutes of film. […] How long can a fight between two roosters last? The maximum amount of time is set at six minutes but, naturally, if one of the two wins after the first minute the fight is interrupted. However, it can happen that even after six minutes both of the contenders are still on their feet. This film required a lot of editing. Questo film ha richiesto un gran lavoro di montaggio. Approximately 130 cuts in 12 minutes. Circa 130 tagli in 12 minuti. Did you expect that from the beginning? Era una cosa prevista già all’inizio? No. […] No. […] Can you tell me something about Charles Willeford’s book, Cockfighter, and about the film that Monte 159 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR Puoi dirmi qualcosa sul libro di Charles Willeford, Cockfighter, e sul film che ne ha tratto Monte Hellman: queste opere hanno qualche rapporto col tuo film? Conoscevo il romanzo di Willeford, Gallodrome in realtà è dedicato a lui. Sapevo anche che Monte Hellman aveva fatto quel film, ma non l’avevo ancora visto, sono riuscito a vederlo soltanto più tardi, al festival di Amiens. Dunque il tuo film è da ricondurre soltanto all’articolo su quella rivista porno, oppure alla stessa situazione che aveva prodotto anche il tuo secondo film, Coup de boule. Come sei arrivato invece ai pitbull e al successivo film, Hunde aus Samt und Stahl [Cani di velluto e d’acciaio]? È stato come un seguito del precedente. Avevo visto i combattimenti fra galli e sapevo che esistevano anche quelli fra cani. L’idea di fondo era quella di filmare due generi di incontri tra animali, uno legale e l’altro illegale. Ad Amburgo conoscevo una donna che a sua volta era in contatto con un proprietario di pit bull, che ho successivamente incontrato alla Reeperbahn. Abbiamo parlato un po’ e ci siamo rivisti altre volte, poi però ho accantonato l’idea dei combattimenti di cani. Questi combattimenti esistono, filmarli però non è possibile. Mi sono affidato invece al ben noto “sistema della palla di neve“: incontri uno che ti esamina, arrivi al famoso contatto visivo eccetera, poi quello ti dice: “Ok, ora ti porto da un amico e ti presento”. Questo amico era “il forzuto”, ci ho parlato e anche per lui era ok. Il giorno dopo sono andato a far visita al “Legionario”, dato che il suo cane, Apollo, è figlio di Toya. Gli ho fatto vedere Coup de boule, per dargli un’idea di quello che avevo intenzione di fare. Allora lui ha detto: “Sì, qui c’ero anch’io, però stavo dall’altra parte”, e mi ha raccontato che era stato nella Legione Straniera. Così quando ha saputo che ero francese e avevo prestato servizio nell’esercito francese ha detto che andava bene. Questo è successo nell’agosto dell’88. Avevo con me sempre lo stesso operatore, che aveva portato la sua m.d.p. personale. In ottobre siamo andati ad Amburgo. […] Tu giri in ambienti marginali, nelle zone grigie. Ad Amburgo sei stato solo alla Reeperbahn? Era Kiez. L’ex legionario è uno che vorrebbe sempre stare da quelle parti, non solo a Reeperbahn-Kiez, ma anche a St. Georg. Il tipo che si vede all’inizio prima aveva un bordello, adesso però si è fatto troppo vecchio per queste cose. Il forzuto, che si vede in fondo nel film, gira in Mercedes e ha un signor negozio in Herbertstraße, poi gestisce un bordello a Brema e un altro a Oldenburg e un paio di birrerie in Gerhardstraße. Quello con i capelli lunghi è un ragazzo di strada, il proprietario dello “Shiva”. Prima di girare il film avevi avuto modo di occuparti di questi cani e delle loro caratteristiche? Sapevi qualcosa sul loro conto? Qui non puoi documentarti come faresti per girare un film 160 Hellman made about it: do these films have anything to do with yours? I knew Willeford’s book and Gallodrome is actually dedicated to him. I also knew that Monte Hellman had made that film, but I only managed to see it later, at the Amiens festival. So, your film can be traced back just to the article in that porn magazine, to the same situation that produced your second film as well, Coup de boule. How did you arrive instead at the pitbulls of your following film, Hunde aus Samt und Stahl? It was like the follow-up to the previous film. I had seen the cockfights and I knew that fights between dogs existed as well. The basic idea was to film two types of encounters between animals, one legal and the other illegal. I knew a woman in Hamburg that was once in contact with an owner of a pitbull, who I subsequently met at the Reeperbahn. We spoke and then saw each other again other times then, however, I got the idea for the dogfights. These fights exist, but it’s not possible to film them. So I trusted the well-known “snowball effect system”: you meet someone who checks you out, you make the infamous eye contact etc., then he tells you: “OK, now I can take you to friend I’ll introduce you to.” This friend is the “the tough guy”, I talked to him and it was all right with him as well. The next I went to see the “Legionnaire,” since his dog, Apollo, is Toya’s son. I showed him Coup de boule, to give him an idea of what I wanted to do. Then he said, “Yes, I was there, but I was on the other side”. And he told me that he had been in the Foreign Legion. Then when he found out I was French and had served in the French army he said it was all right. That happened in August of ’88. I had the same cameraman with me, who had brought his personal movie camera. In October we went to Hamburg. You shoot in borderline environments, in grey zones. Were you alone at the Reeperbahn in Hamburg? It was Kiez. The ex-Legionnaire is someone who always wants to stay near that area, not just at Reeperbahn-Kiez, but also at St. Georg. The man you see at the beginning had a brothel, but is now too old for those things. The tough guy, who you see in the background of the film, goes around in a Mercedes and has a classy boutique in Herbertstraße. He also runs one brothel in Brema and another in Oldenburg, and a couple of beer houses in Gerhardstraße. The man with the long hair is a street kid, and the owner of the “Shiva”. Before shooting the film did you have any way of familiarising yourself with these dogs and their characteristics? Did you know anything about them? You can’t do the same kind of documentation as when you are making a film about a director, where you can find critical literature and see all his films and so on. It’s not the same with Nel film sui cani c’è una scena, quella in cui un uomo vende vitamine e altri preparati, dove a un certo punto compare un braccio che mette a posto qualcosa in campo. Avresti potuto tagliarla, mi è piaciuto il fatto che sia rimasta. Lì ero io a prendere il sonoro, dato che non avevamo un tecnico del suono. Così è capitato che finissi in scena, allora l’operatore ha cercato di tenere fuori campo il microfono, ma non si è accorto che così facendo entrava lui in campo. Cose del genere non mi danno fastidio, perché tanto non le posso cambiare. Sopporto volentieri una sfocatura o uno strappo all’estetica dell’immagine, se il contenuto se ne avvantaggia. Lì non si poteva certo tagliare: il soggetto iniziava a raccontare… […] Gli ultimi tre film sembrano produrre una certa concordanza fra loro. Poi arriva il film su Cassavetes, Sam Shaw on Cassavetes. Quello però io non lo conto tra i film. Quando vado a un festival mi porto sempre la videocamera, e questo film è nato così. Fai un film quando giri intenzionalmente, altrimenti se è soltanto una cosa incidentale, come il Sam Shaw o il Monte Hellman, non la puoi considerare cinema. Se i due non fossero stati entrambi presenti quegli incontri non sarebbero mai avvenuti, io questo non lo sapevo prima di andare. fighting dogs, you can’t read about what they do anywhere. The only book I read in which it appears is Jack London’s Call of the Wild, which talks about a man who organises matches between dogs. Beyond this, however, I was not able to prepare myself, because there is nothing. This is the problem with this kind of film: you find yourself in front of these people, who you have never seen before, and they tell you that in half an hour they have to leave again. How can you manage to get anything done with them? It was much better when I could spend more time with someone like, for example, the ex-Legionnaire. […] In the film about dogs there is a scene, the one in which the man is selling vitamins and other substances, where at a certain point an arm appears that fixes something in the frame. You could have cut that, but I liked the fact that it remained. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR su un regista, dove puoi trovare la letteratura critica e vederti tutti i suoi film e così via. Con i cani da lotta non è così, quello che viene descritto non lo puoi leggere da nessuna parte. L’unico libro che ho letto è stato quello di Jack London, Il richiamo della foresta, là si parla di un tale che organizza incontri tra cani. Oltre questo purtroppo non ho potuto prepararmi, perché non c’è nulla. È qui il problema con questo genere di film: ti ritrovi davanti a questi personaggi che non hai mai visto prima, e che ti dicono che entro mezz’ora devono andarsene via di nuovo. Cosa puoi riuscire a concludere con loro? Andava meglio quando potevo rimanere con qualcuno un po’ più a lungo, come per esempio con l’ex legionario. […] I was doing the sound there, since we didn’t have a sound technician, and I ended up in the scene, The cameraman tried to keep the microphone out of the frame but didn’t realise that in doing so he ended up being in the frame. Things like this don’t bother me, because in any case you can’t change them. I wholeheartedly support a blurring or a scratch of the aesthetics of the image, if the content benefits from it. There I couldn’t cut: the subject had started telling a story … […] The last three films seem to have a certain consistency among them. Then we come to the film on Cassavetes, Sam Shaw on Cassavetes. I don’t count that one, however, among the films. I always take my video camera with me when I go to a festival, and that is how that film was born. You make a film when you shoot in intentionally, otherwise it’s just something accidental, like with Sam Shaw or Monte Hellman, and you can’t consider it cinema. If the two of them hadn’t been present these meetings would never have taken place, and I didn’t know this beforehand. So you went to Barcelona in response to an invitation. Quindi sei andato al festival di Barcellona per rispondere a un invito. Mi avevano invitato per Gallodrome e per il film sui cani. Lì poi ho potuto vedere la mostra allestita dal festival con le foto di Sam Shaw, e ho saputo che c’era anche lui in persona. Così gli ho chiesto se voleva venire con me alla mostra per parlare di Cassavetes. Non aveva nulla in contrario, quindi dovevo solo cercare qualcuno che tenesse il microfono. Questo qualcuno fu Timothy Neal, un regista scozzese che aveva fatto con me il tragitto dall’aeroporto. Proprio Timothy Neal, che aveva girato Play Me Something, avrebbe poi vinto il primo premio. Il festival di Barcellona mette in palio un premio di 40.000 marchi, da assegnare esclusivamente a un’opera nuova. Così sono andate le cose. […] Puoi dirmi qualcosa anche sull’aiuto che ti ha dato Alexander They invited me for Gallodrome and for the film about dogs. I saw an exhibition of Sam Shaw’s photos there, organised by the festival, and I found out that he was there in person. So I asked him if he wanted to come with me to the festival to speak about Cassavetes. He had nothing against that, so I just had to find someone to hold the microphone. That someone was Timothy Neal, a Scottish director who had made the trip from the airport with me. Timothy Neal, who shot Play Me Something, ended up winning the festival prize. The Barcelona festival offers a prize of 40,000 marks, to be given exclusively to a new work. That’s how it happened. […] Can you tell me something about how Alexander Kluge helped you and how the two of you met? I had sent him a package with the videocassettes of the film 161 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR Kluge e su come vi siete conosciuti? Io gli avevo mandato un pacchetto con le videocassette del film su Hitler e di Coup de boule; dopo una settimana lui mi ha chiamato e mi ha chiesto: “Chi è lei? Da dove viene? Cosa sta facendo? Cosa intende fare?” Diceva che voleva assolutamente mandare Coup de boule in televisione. Mi ha portato con sé alla Arri, dove montavano il suo programma. Allo stesso modo ha usato anche Gallodrome e il film sui cani per i suoi programmi. Quando lo chiamo mi risponde sempre: “Compagno Karmakar, che c’è?” […] Come sei arrivato al tema dei mercenari? È andata così: in quanto alleati degli americani, i militari francesi di stanza in Germania possono fare acquisti dutyfree ai magazzini PX delle guarnigioni. Lì si trova anche la rivista “Soldier of Fortune”. In un numero ho trovato la presentazione di un grande raduno che questa rivista organizza ogni anno a Las Vegas: la gente si riunisce in un grandissimo albergo, si tengono seminari e si organizza un’enorme mostra di armi, alla quale partecipano anche ditte tedesche. Parallelamente fuori città si svolgono gare di tiro, dove puoi sparare con ogni genere immaginabile di armi automatiche. Per partecipare basta pagare la quota. Così mi è venuta l’idea di andare a filmare questo raduno, per vedere di cosa si tratta. Sono stato da loro lo scorso agosto, abbiamo parlato e la cosa gli è andata a genio, poi però non ho ricevuto i fondi per girare in settembre, ed è slittato tutto. Questi seminari sono una cosa particolarmente interessante. Viene ad esempio l’attaché militare dell’ambasciata del Sudafrica e presenta un “Situation Report: Southern Africa”. L’ospite d’onore era un membro del Congresso che si vantava di aver fatto arrivare ai ribelli afghani dei missili antiaerei tipo “Stinger”, con i quali hanno potuto colpire i russi, e dal punto di vista militare questo era secondo lui uno dei motivi per cui i russi si erano ritirati dall’Afghanistan. C’era un altro seminario che si intitolava “Duff Matson - The Devil’s Bodyguard”. Questo Duff Matson è un vecchio, credo un ex berretto verde, che è morto da poco e che era l’unico superstite della “sporca dozzina”, quella che ha ispirato il film di Robert Aldrich. lo avevano invitato a raccontare la sua vita davanti a tutta quella gente in uniforme. Poi c’erano dei campi per i quali si trovavano gli annunci su “Soldier of Fortune”. Ho chiamato e ho raccontato che stavo girando un film su un tedesco che era stato per 20 anni nella Legione Straniera. Volevo vedere se in questo modo potevo riuscire a entrare in uno di questi campi. Il tedesco mi serviva prima di tutto per dare al film un filo conduttore, poi per avere un legame con la Germania e infine anche per avere una figura con la quale poter entrare in scena. Certo quando parli a questa gente di un film su qualcuno che ha fatto per vent’anni il legionario, per loro da un punto di vista militare è il massimo che si possa avere. Per una cosa del genere anche gli americani diventano tutt’orecchi. A Monaco e ad Amburgo intanto ho fatto il mio casting, vale a dire che ho messo 162 about Hitler and Coup de boule. A week later he called me and asked me: “Who are you? Where do you come from? What are you doing? What do you want to do?” He said he absolutely wanted to broadcast Coup de boule on television. He took me with him to Arri, where they were editing his programme. He used Gallodrome and the film about the dogs in the same way. When I call him he always answers, “What is it Comrade Karmakar?” […] How did you come to the theme of mercenaries? This is how it happened: since they are allied with the Americans, the French military personnel stationed in Germany can buy duty-free in the garrison’s PX department stores. There you can also find the magazine “Soldier of Fortune”. In one issue I saw an ad for a large convention that this magazine organises every year in Las Vegas. The people meet in a huge hotel, they hold seminars and they organise an enormous weapons fair, in which German companies also take part. At the same time, they hold shooting contests outside the city, where you can shoot any kind of automatic weapon imaginable. All you need is to do is pay the entrance fee to participate. So I got the idea to go and film this convention, to see what it was about. I went to see them last August, we talked and the idea appealed to them, but then, however, I didn’t receive funding in order to be able to film in September and everything had to be postponed. These seminars are particularly interesting. The military attaché from the South African embassy comes, for example, and presents a “Situation Report: Southern Africa”. The guest of honour was a member of Congress who boasted about having supplied the Afghan rebels with anti-aircraft missiles like “Stinger”, with which they were able to strike the Russians, and from a military point of view this was one of the reasons why the Russians pulled out of Afghanistan. There was another seminar titled “Duff Matson - The Devil’s Bodyguard”. This Duff Matson was an old man, an ex-Green Beret I believe, who died recently, and who was the only surviving member of the “Dirty Dozen” that inspired Robert Aldrich’s film. They had invited him to tell his life story in front of all those people in uniform. Then there were the camps for which you can find advertisements in “Soldier of Fortune”. I called and told them I was shooting a film about a German who had been in the Foreign Legion for twenty years. I wanted to see if in this way I could manage to get into one of these camps. I needed the German, above all, to give the film its underlying theme, then to have a connection with Germany and, finally, in order to have a person with whom to enter into the scene. Naturally, when you talk to these people about a film on someone who spent twenty years in the Foreign Legion, from a military point of view for them it’s the utmost that one could have. Even the Americans become all ears over something like this. In the meantime, I did my casting in Munich and Hamburg, meaning that I placed announcements saying I was looking for an exLegionnaire or ex-mercenary for a film. This is how I met Günter Aschenbrenner. Then with this character I dedicated myself to the magazine and to the boot camp, and everything went as it should have. I can move freely throughout the camp and shoot whatever I want. They have already called me to find out if I really will come and bring this guy. This was the basic idea. Later, however, I improved it a bit, and I made a strategic plan. Alongside Aschenbrenner’s life, and with the help of the magazine and the camp, I would like to go to a crisis zone. I’m not interested in the convention anymore, but a crisis zone could be a counterbalance to the camp school, which is in a sense “child’s play”, even though obviously not in real life. Working on these two planes you can work on all the different aspects of a mercenary’s life. In fact, this vein exists in Aschenbrenner, in the Legionnaire who has a respectable military career behind him, but on the other hand whose history as a mercenary represents a dirty and irregular military life. In the regular army there are many officers for whom the mercenaries would be best off in Hell. This is the idea I have right now, which is still in some way connected to the army. […] (From “Filmwärts”, n. 17, Summer 1990) PERSONALE ROMUALD KARMAKAR degli annunci nei quali cercavo per un film un ex legionario o un ex mercenario. È stato così che ho conosciuto Günter Aschenbrenner. Poi con questo personaggio mi sono dedicato alla rivista e al campo di addestramento, e tutto è andato come doveva. Posso muovermi liberamente nel campo e filmare quello che voglio, già mi hanno chiamato per sapere se davvero andrò da loro e se porterò il tipo. Questa era l’idea di base; in seguito l’ho un po’ arricchita, mi sono fatto un piano strategico: parallelamente alla vita di Aschenbrenner e con l’aiuto della rivista e del campo vorrei andare in una zona di crisi. Il raduno non mi interessa più, invece la zona di crisi potrebbe fare da contrappeso alla scuola del campo, che in un certo senso è un “gioco da bambini”, anche se naturalmente non nella realtà. Attraverso questi due piani hai la possibilità di lavorare su tutti i diversi aspetti della vita del mercenario. Infatti da una parte c’è questo filone su Aschenbrenner, sul legionario che in fondo ha alle spalle una rispettabile carriera militare, e dall’altra parte quelle storie di mercenari che rappresentano una vita militare sporca e irregolare. Negli eserciti regolari ci sono parecchi ufficiali per cui i mercenari starebbero bene soltanto all’inferno. Questa è l’idea che ho adesso, ancora legata in qualche modo all’esercito. […] (Da “Filmwärts”, n. 17, estate 1990) 163 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR DA “WARHEADS” A “DAS HIMMLER-PROJEKT” FROM “WARHEADS” TO “DAS HIMMLER-PROJEKT” Intervista con Romuald Karmakar Interview with Romuald Karmakar di Rainer Rothe by Rainer Rothe Nell’intervista con Rolf Aurich per “Filmwärts” hai detto che a lavorare a Warheads eravate un gruppo molto piccolo; è stato così anche per la parte girata nei Balcani? In the interview with Rolf Aurich for “Filmwärts” you said that a very small group of you worked on Warheads. Was that also the case for the parts shot in the Balkans? Lì eravamo veramente pochissimi, oltre a me soltanto un tecnico del suono e un operatore. Questo era tutto il team. Carl aveva raggiunto Zagabria da Monaco in treno con gli altri mercenari per la prima volta poco dopo lo scoppio della guerra, nel giugno o luglio 1991. Poi erano andati un’altra volta in ottobre, quando ho girato anche un’intervista con Carl nella mia cucina. Poco dopo mi hanno fatto sapere che si potevano iniziare le riprese, e allora mi sono messo a cercare la troupe. Non era una cosa facile, dato che allora esisteva ancora una “hit-list” di giornalisti, nel senso di una lista di giornalisti “to be hit”, da colpire. Inoltre eravamo sotto Natale, e nessuno moriva dalla voglia di andare a girare un film da quelle parti, tantomeno di preoccuparsi della qualità del sonoro. Ricordo bene che all’inizio Christoph Schlingensief voleva occuparsi delle riprese. Io ho pensato: benissimo, questo qui lo farà sul serio, è abbastanza matto da farlo per davvero. Poi però lui si trovava in Austria e lì a Vienna gli è capitato di leggere un titolo sulla guerra. Certo Vienna era più vicina di Monaco ai Balcani, anche sul piano emotivo. A quel punto Schlingensief ha detto che non era più disposto a farlo, che era troppo pericoloso. Allora ho chiamato al telefono Pierre Schoendorfer e Raoul Coutard e ho chiesto se potevano aiutarmi. Coutard mi ha dato il numero del suo assistente, io l’ho chiamato e visto che ci trovavamo in difficoltà con i tempi lui è venuto subito da me. Il giorno dopo abbiamo preso una BMW usata e siamo partiti. La macchina l’avevo avuta da un amico che ha un’officina a Passau. Gli avevo telefonato per dirgli che mi serviva un’auto per il viaggio di andata, un’auto che probabilmente laggiù sarebbe stata ridotta a un colabrodo e noi avremmo trovato un altro modo per tornare indietro. Così l’indomani sono partito per Zagabria con un operatore che non conoscevo. Abbiamo fatto conoscenza percorrendo l’autostrada. In un albergo di Zagabria avevamo invece l’appuntamento con il fonico, che avevo trovato attraverso un’agenzia stampa di Monaco specializzata in notizie dall’Europa orientale. Il fonico era di Budapest, con lui non avevo mai parlato prima. Il bello è che nessuno mi aveva detto che non parlava lingue straniere, soltanto ungherese. Questa è davvero grossa… Eppure era proprio così. Quindi avevo un operatore francese che non parlava volentieri in inglese, e un fonico ungherese che da parte sua si era portato un dizionario tascabile 164 There were truly just a few of us there. Besides me, there was only a sound technician and a cameraman. This was the entire team. Carl came to Zagreb from Munich by train with the other mercenaries, for the first time since the war had broken out in June or July of 1991. They went once again in October, which was also when I shot the interview with Carl in my kitchen. Shortly thereafter they let me know that I could begin shooting, so I started looking for a crew. It wasn’t easy since at that time there was still a “hit list” of journalists; that is, a list of journalists “to be hit.” Plus it was during Christmas, and no one wanted to go shoot a film in that area, much less to take care of the sound quality. I remember well that in the beginning Christoph Schlingensief wanted to operate the camera. I thought, “Great, he’s crazy enough to really do it, and he’ll do it seriously”. But then he went to Austria and in Vienna read a book about the war. Sure, Vienna was closer than Munich was to the Balkans, even on an emotional level. At that point Schlingensief said he wouldn’t do it anymore, that it was too dangerous. So I telephoned Pierre Schoendorfer and Raoul Coutard and asked them if they could help me. Coutard gave me the number of one of his assistants, and I called him and because we were in a tight spot time-wise he immediately came out to where I was. The next day we got a used BMW and left. We got the car from a friend who has a garage in Passau. I called to tell him I needed a car for the trip out there, a car that would probably end up riddled with holes down there, which we wouldn’t be able to bring back. So the next day I left for Zagreb with a cameraman that I didn’t know. We got to know each other driving down the highway. In a hotel in Zagreb we met the sound technician, who I found through a press agency in Munich that specialised in Eastern Europe. The sound engineer, with whom I had never spoken, was in Budapest. The best thing was that no one had told me he didn’t speak any foreign languages, just Hungarian. That really is too much… Yet that’s exactly how it was. I had a French cameraman who wouldn’t willingly speak English, and a Hungarian sound engineer who, for his part, had brought a Hungarian-English dictionary. I also had the feeling that they hadn’t explained to the Hungarian sound engineer exactly where we wanted to go, so I told him we were going “where they were making bang-bang”. This didn’t bother him, so the next day we left for Dove avevate preso il materiale? La m.d.p. e il Nagra ce li ha forniti la WDR, anche se chiedere il materiale era come chiedere un’auto in prestito. Ci siamo riusciti soltanto perché Werner Dütsch ci ha appoggiati in modo deciso. Un tizio alla WDR ha detto che se la cinepresa non tornava indietro potevamo fare a meno di tornare anche noi (ride). Warheads è stato un grande successo, anche se contestato. Ti ha procurato noie? Questo film è stato per loro semplicemente una conferma lunga tre ore dell’opinione che si erano formati delle mie opere precedenti, l’espressione in grande scala di qualcosa che in generale già non gli piaceva. Poi però nel 1993 è passato alla Berlinale, e la presentazione al Forum ha segnato la sua vera data di nascita. In quell’occasione Wolfgang Werner lo ha fatto conoscere alla stampa, e la reazione favorevole ci ha colti di sorpresa, è stato come uno choc. Personalmente io ricordo Warheads soprattutto come il film che mi ha permesso di finanziare Der Totmacher, è così che l’ho sempre visto. Come è nato il progetto di Der Totmacher? Avevo sempre voluto girare film a soggetto. Poi però quando le mie prime sceneggiature non hanno trovato finanziatori, a ragione o a torto, ho deciso che avrei girato documentari finché non mi fossi convinto di essere in grado di fare un film a soggetto e non avessi trovato qualcuno disposto a investire soldi per farmelo realizzare. Un giorno Michael Farin mi ha dato da leggere i verbali dei suoi colloqui con Haarmann, credo 100 delle 400 pagine complessive. Quella lettura mi ha infiammato all’istante: ecco, mi sono detto, questo è il mio film, il film che voglio fare. Quando hai deciso le scene e le posizioni della macchina da presa? Nel corso delle prove, che sono durate circa dieci giorni, c’era un canovaccio per le scene, inoltre avevo già un modello, quindi conoscevo la disposizione del tavolo e il resto. Avevo sistemato per le prove uno spazio direi quasi a grandezza naturale. In quel momento però non avevamo ancora preso lo stenografo, lo abbiamo arruolato soltanto a prove già iniziate. All’inizio era previsto che fosse Joachim Krol, che però un giorno mi ha detto che aveva l’impressione che non ne sarebbe venuto fuori nulla, e un paio di giorni prima delle prove ha rinunciato. Pierre Franckh è Gospic where, because there were no hotels, we stayed with Carl and another mercenary, and we even shot with them. Where did you get the equipment? The WDR supplied us with the camera and the Nagra, even though asking them for equipment was like asking to borrow a car. We managed to get it only because Werner Dütsch firmly backed us. A guy from the WDR said that if we didn’t bring the camera we shouldn’t bother coming back ourselves (laughs). Warheads was a great success, even if it was opposed. Did it get you in trouble? PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ungherese-inglese. Avevo anche la sensazione che non gli avessero spiegato esattamente dove volevamo andare, così gli ho detto che si andava “dove facevano bang-bang”. La cosa comunque non gli ha dato fastidio, così il giorno dopo siamo partiti per Gospic, dove non essendoci alberghi abbiamo alloggiato in una casa con Carl e con un altro mercenario, e lì abbiamo anche girato con loro. To them, the film was simply three hours of proof of the opinions they had already formed about my earlier works, a largescale demonstration of something they didn’t like in general. Then, however, in 1993 it went to the Berlinale, and the screening at the Forum marked its real birthdate. On that occasion Wolfgang Werner introduced it to the press, and the positive reaction caught us by surprise. It was a shock. Personally, I remember Warheads above all as the film that allowed me to finance Der Totmacher, and that’s how I’ve always seen it. How did the Der Totmacher project come about? I had always wanted to shoot a feature film. Then, however, when my first screenplays did not find any funding, rightly or wrongly, I decided that I would have kept making documentaries until I was convinced that I was able to make a feature film and to find someone willing to invest money to help me make it. One day Michael Farin let me read the proceedings from his interviews with Haarmann, approximately 100 of the 400 pages in total. I was immediately excited by what I read. This is it, I said myself, this is my film, the film I want to make. When did you decide the scenes and the camera positions? During the rehearsals, which lasted about ten days. There was an outline for the scenes, and I also had a model, so I already knew how the table and the rest would be placed. I had arranged an almost full-scale space for the rehearsals. We still hadn’t got the stenographer; we only recruited him after the rehearsals started. In the beginning we thought it would be Joachim Krol, but one day he said he had the feeling nothing would come of it, and he quit a few days before rehearsals began. Pierre Franckh only came into the picture towards the end of the rehearsals. He flew into Berlin from Munich, someone stuck the screenplay in his hand, and he immediately wanted to leave again, seeing as how in the entire screenplay… …he doesn’t say one word… 165 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR entrato in gioco soltanto verso la fine delle prove. Era arrivato a Berlino con un volo da Monaco, dove qualcuno gli aveva messo in mano la sceneggiatura. Appena arrivato a Berlino voleva subito ripartire, dato che in tutta la sceneggiatura… …non aveva nemmeno una frase… (Laughs) Exactly! But then he said to himself, Seeing as how I’m already in Berlin, I may as well think about it. So I showed him the videotape of the rehearsals. It was Fred’s idea to tape the rehearsals, and he joined us towards the end of the rehearsal period. So I showed him the tape and I explained to him that it would be impossible not to see him in a film in which there were three people in only one room. (Ride) Esattamente! Poi però si è detto: ormai che sono qui a Berlino, posso anche passarci sopra. Allora gli ho fatto vedere il video delle prove. Era stata un’idea di Fred Schuler, che aveva potuto raggiungerci verso la fine delle prove e aveva suggerito di mettere una videocamera e riprendere quello che succedeva. Così ho mostrato il nastro a Pierre Franckh e gli ho spiegato che in un film dove ci sono solo tre persone in un’unica stanza era impossibile che lui non si vedesse. Did you take a lot of takes? Avete fatto molti takes? Is the following film, Frankfurter Kreuz, still similar to Der Totmacher, stylistically speaking? Non saprei dirlo con precisione. Ricordo una scena di circa sei minuti e mezzo con la macchina da presa che si muove attorno a Haarmann e al professore mentre Haarmann parla dei dieci comandamenti: quella scena l’abbiamo girata sei o sette volte. In ogni caso giravamo a gran ritmo, tanto che credo che Götz alla fine fosse completamente esaurito. È stata una cosa veramente stressante. […] Il successivo Frankfurter Kreuz è ancora vicino a Der Totmacher da un punto di vista stilistico? Sì, è una prosecuzione. Invece Manila rappresenta un salto? No, per me anche quello prosegue sulla stessa strada. In Der Totmacher c’era una stanza di sette metri per nove, in Frankfurter Kreuz lo spazio era più piccolo ma c’era anche una finestra che dava sulla strada, quindi il film era una combinazione di interni ed esterni, il che rappresenta un problema difficile da risolvere. Inoltre non avevo una sola figura centrale ma molte. Questo rappresenta uno sviluppo rispetto a Der Totmacher e una preparazione a Manila, con cinque grossi spazi, parecchie figure di primo piano e una numerosa folla sullo sfondo. Curiosamente c’è stato qualcuno all’estero che lo ha visto così, come uno sviluppo ulteriore; qui da noi invece nessuno. Da noi semmai lo hanno considerato un passo indietro. Con Manila ho aggiunto un altro strato alla domanda che mi faccio spesso: che cosa ha visto realmente la gente nei miei film per tutti questi anni? Quanto è stata stretta la collaborazione con Bodo Kirchoff nella composizione della sceneggiatura di Manila? I couldn’t really tell you. I remember one scene that was about six and a half minutes long, during which the camera circles around Haarmann and the professor while Haarmann talks about the ten commandments. We shot that scene about six or seven times. In any case, we shot so quickly that I think Götz was completely exhausted in the end. It was a truly stressful experience. […] Yes, it’s a continuation. Manila, however, represents a change? No, it continues along the same path for me. In Der Totmacher there was a room that was seven by nine metres, in Frankfurter Kreuz the space was even smaller but there was a window that opened up onto the street, so the film was a combination of interiors and exteriors, which presents a difficult problem to resolve. Besides, I didn’t have one main character, but many. This is a development in respect to Der Totmacher, and a preparation for Manila, with five large spaces, many people in close-up and a large crowd in the background. Curiously, some people abroad saw it this way, as an ulterior development; here, however, no one did. If anything, local critics considered it a step backwards. With Manila I added another layer to the question I often ask myself: What have people actually been seeing in my films all these years? How closely did you collaborate with Bodo Kirchoff in writing the screenplay for Manila? That was a great experience. For Der Totmacher we had the proceedings as a starting point, for Frankfurter Kreuz there was a radio play, but here we had carte blanche. We agreed upon the people that interested us in a first treatment. Working together was new for both of us; later Kirchoff continued working on the material we had developed during the five or six times we locked ourselves away to read the texts and to imagine the answers our characters would have given. When did the idea of the closing chorus come about? Quella è stata una grande esperienza. Per Der Totmacher avevamo i verbali come traccia, per Frankfurter Kreuz c’era un radiodramma, qui invece avevamo carta bianca. Ci 166 It was one of the first ideas we came up with. We wrote the first treatment in March of 1996. The original idea was to Quando è nata l’idea del coro di chiusura? È stata una delle prime. Nel marzo 1996 abbiamo scritto il primo treatment. L’idea iniziale era di avere un coro nel quale turisti tedeschi e GI e uomini d’affari americani si rispondevano a vicenda. Poi abbiamo lasciare cadere l’idea, dopo che Bodo, che si trovava sul lago di Garda a letto con l’influenza, aveva sentito sotto le sue finestre italiani e tedeschi cantare insieme Polizeistunde kenne wir nicht, in tedesco e ripetendo sempre questo solo verso. Gli ho chiesto se veramente cantavano un solo verso – se fosse vero o no non lo so ora e non lo saprò mai. Lui comunque afferma che si trattava di quell’unico verso. È stato lo stesso anche per il Nabucco? Già, anche il Nabucco viene da lì, da una straordinaria osservazione di Bodo Kirchoff. Poi ti sei rifugiato nell’Himmler? La postproduzione di Manila è stata tremenda, un orrore, con la regolazione della luce, le copie e tutto il resto, è durata fin troppo a lungo. Poi il film è stato anche respinto dalla Berlinale. Io però volevo andare a tutti i costi alla Berlinale 2000, così ho deciso di fare un altro film. Il 27 novembre 1999 abbiamo girato questo Himmler-Projekt. Il 3 gennaio ho consegnato il film, e il 20 febbraio c’è stata la première. Ma erano cominciate anche le polemiche, già dal “Forum” Christoph Terhechte mi aveva detto che su nessun altro film si era discusso tanto nella commissione di selezione. C’era stata un maggioranza che voleva proiettare il film e una minoranza… have a chorus in which German tourists, GI’s and American businessmen answered in turn. Then we dropped the idea after Bodo, who happened to be at Garda Lake and in bed with the flu, overheard a group of Italians and Germans singing Polizeistunde kenne wir nicht under his window, in German, and repeating just that one verse. I asked him if they were really singing just one verse – if this true or not I don’t know, and I’ll never know. In any case, he claims that they were singing just one verse. Was the same true for Nabucco as well? Yeah, even Nabucco comes from there, from an extraordinary observation made by Bodo Kirchoff. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR siamo messi d’accordo in un primo treatment sulla scelta delle figure che ci interessavano. Il lavoro in comune era una cosa nuova per entrambi, più tardi Kirchoff ha continuato a lavorare sul materiale che avevamo sviluppato nelle cinque o sei volte in cui ci eravamo rinchiusi insieme per leggerci i testi e immaginare le risposte che i nostri personaggi avrebbero dato. Then you sought refuge in Himmler? Post-production on Manila was awful, horrible, with the lighting adjustments, the copies and all the rest, and it lasted far too long. Then the film was also rejected by the Berlin Film Festival. However, I wanted to go the Berlinale 2000 at all costs, so I decided to make another film. On November 27 1999 we shot this Himmler-Projekt. I delivered the film on January 3, on February 20 it had its premiere. But the controversy had begun, already from the “Forum”. Christoph Terhechte told me that no other film had provoked as much discussion among the selection committee. The majority wanted to screen the film and a minority… A “qualified minority”? …a “qualified minority” wanted to reject it. At that point, however, it all rested upon the democratic majority, as it were. In any case, the film was screened on the second to last day, after all the journalists had already left, and during a special five-hour session, three hours of which were dedicated to the film and two to the discussion. They could just as easily shown the film on the first day; they could have foreseen an interesting debate. Instead, they screened it at the end because they wanted to avoid the debate. What is a festival for then? (Berlin, April 2001) Una “minoranza qualificata“? … una “minoranza qualificata” che lo voleva respingere. A quel punto tuttavia si è imposta per così dire la maggioranza democratica. Comunque il film sarebbe stato proiettato soltanto il penultimo giorno, con tutti i giornalisti già ripartiti e nel contesto di una sessione speciale di cinque ore, tre dedicate al film e due alla discussione. Si sarebbe potuto anche far vedere il film già il primo giorno, prevedendo un dibattito interessante, invece lo hanno proiettato alla fine perché quello che volevano evitare era proprio il dibattito. Ma allora il festival che ci sta a fare? (Berlino, aprile 2001) 167 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR BIOGRAFIA Romuald Karmakar (Wiesbaden, 1965) dopo la maturità, ottenuta nel 1985, decide di diventare regista, ma senza frequentare scuole di cinema, e realizza il suo primo documentario nel 1985. I temi dei suoi documentari Hitler, combattimenti di galli e cani, pugili, militari. Il suo primo film è Der Totmacher, presentato in concorso al Festival di Venezia del 1995, seguito da Manila, presentato al Festival di Locarno nel 2000. BIOGRAPHY Romuald Karmakar (Wiesbaden, 1965) decided he wanted to become a filmmaker after his baccalaureat in 1985. Without attending film schools, he made his first documentary in 1985. He went on to make a series of documentaries exploring a wide range of subject matters including Hitler, boxers, soldiers, dogs and cock fighting. His first feature, Der Totmacher (1995), screened in competition at Venice. Manila was presented at the Locarno Film Festival in 2000. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Candy Girl (1984, cm), Gehirne schwerfälliger Bauern (1984, cm), Eine Freundschaft in Deutschland (1985; una parte è stata anche editata col titolo Im zeichen gewaltsamkeit 4), Coup de boule (1987, doc., cm), Gallodrome (1988, doc., cm), Hellman Rider (co-regia: Ulrich von Berg, 1988, doc., mm), Hunde aus Samt und Stahl (1989, doc., mm), Sam Shaw on John Cassavetes (1990, doc., cm), Demontage IX, Unternehmen Stahlglocke (1991, doc., cm), Warheads (1992, doc.), Infight (1994, doc., mm), Der Tyrann von Turin (1989-1994, incompiuto), Der Totmacher (1995), Das Frankfurter Kreuz (1997), Manila (1999), Das Himmler-Projekt (2000, video) PROGETTI/PROJECTS Der Pantegan (sceneggiatura dal racconto omonimo di Victor Hadwiger), Schwarz und Wolf (sceneggiatura del 1986), Der Mantel des Konsuls o Deutschland über dem Meere (sceneggiatura – realizzata con Thomas Schamoni – da Zwiefalten di Bodo Kirchoff 1986), Combatdrome (progetto di documentario, 1988) 168 CANDY GIRL Una perla primigenia, un A primitive pearl, a pornosceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar Godard porno, perché “un graphic Godard, because “a film fotografia/photography (Super8, col., monocromo): Romuald film è una ragazza e una is a girl with a gun”. An afterKarmakar montaggio/editing: Romuald Karmakar pistola”. Un pomeriggio, noon, perhaps. A symbol of produzione/production: Romuald Karmakar forse. Una giovane icona in youth in a room: she shoots a durata/running time: 15’ una stanza: spara con una gun, she reads Asterix, Lucky origine/country: RFT 1984 pistola, legge Asterix, Lucky Lucke, a film club programme, Lucke, un programma di she goes around on rollerskates, cineclub, va sui pattini a rotelle, si masturba con vari she masturbates with various lollipops. Poetry of reality and lecca lecca. Poesia del reale e della finzione, colpi di pistofiction, gunshots that are dubbed and rattling gunshots recordla doppiati e crepitii del suono in presa diretta, graffi e ed live, scratches and flashes on the film, raw power and reflecflash sulla pellicola, cruda forza e riflessiva tenerezza. tive tenderness. (Olaf Möller) (Olaf Möller) PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR GEHIRNE SCHWERFÄLLIGER BAUERN (t.l. Cervelli di contadini tardi) Lo stesso Romuald Karmakar non sa esattamente cosa voleva fare con questo film. Si ricorda che una volta aveva filmato la Giornata dei cattolici tedeschi, e che aveva fatto delle riprese del padre. Forse da tutto ciò è uscito questo film. (Olaf Möller) sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (Super8, col.): Romuald Karmakar montaggio/editing: Romuald Karmakar produzione/production: Romuald Karmakar durata/running time: 6’ origine/country: RFT 1984 Romauld Karmakar himself does not know what he wanted to do with his film. He remembers that he once filmed German Catholics Day, and that he shot some footage of his father. Perhaps a film came out of all of this. (Olaf Möller) 169 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR EINE FREUNDSCHAFT IN DEUTSCHLAND (t.l. Un gruppo di amici in Germania) Dopo i diari di Hitler, gli After Hitler’s diaries, Hitler’s sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar home movies su Hitler: menhome movies: Hitler taking a fotografia/photography (Super8, b/n, col.): Florian Süßmayr, tre fa il bagno, mentre mangia bath, eating soup, taking a walk Doris Kuhn, Anatol Nitschke, Olaf Schönwolf, Reinhard la minestra, mentre fa una or sledding, at Carnival and Eggersdorfer montaggio/editing: Romuald Karmakar passeggiata e su una slitta, a Octoberfest. One of his old musica/music: Lorenz Lorenz, Florian Süßmayr carnevale e all’Oktoberfest. neighbours sings into the faded suono/sound: Romuald Karmakar Un vicino di allora ci rende Super 8 camera and lets us in interpreti/cast: Romuald Karmakar, Anatol Nitschke, oggi partecipi, dal suo sogon Hitler’s “petit-bourgeois” Werner Wohlrab, Regina Huber, Joachim Hoh, Marina giorno bavarese e piccolo-borsojourn in Bavaria. He met Bierlein, Gunther Weckherlin, Manuela Hartmann, ghese, cantando alla m.d.p. su Hitler in 1920, when he was Andrea Hagen, Wolfgang Flatz un Super8 sbiadito. Nel 1920 living in a neighbour’s sublet. produzione/production: Romuald Karmakar conobbe Hitler, quando abitaA friendship was born when durata/running time: 75’ va in subaffitto dai vicini, they exchanged pornographic origine/country: RFT 1985 scambiandosi giornaletti pormagazines, and they remained nografici nacque un’amicizia, faithful companions until 1933, e rimasero buoni compagni fino al 1933, quando “Adi” when “Adi” decided to begin a new life in Berlin. Fifty years decise di cominciare una nuova vita a Berlino. later we see the films shot then, and full of youthful pride, he Cinquant’anni dopo ci mostra i film girati allora e, pieno takes us to the historical sites, along Munich’s streets and d’orgoglio gioviale, ci conduce nei luoghi storici, sulle strasquares. From the present-day places a story arises that is de e piazze di Monaco, e dai luoghi odierni racconta una wholly innocent and different from that which one expects the storia del tutto innocente e diversa che instaura una tenspectator to know. (“Tagesspiegel”, 18th August 1991) sione con quello che si suppone sappia lo spettatore. (“Tagesspiegel”, 18 agosto 1991) COUP DE BOULE (t.l. Colpo di testa) Coup de boule: colpire con la fronte qualcuno in piena faccia. Forte, veloce, duro – come un pallone. Soldati francesi che sbattono la fronte contro gli armadietti, contro le porte di legno – per ridere, per i loro compagni. La porta si rompe? No. La loro testa? Neanche. E allora? Niente. 170 sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (16mm, col.): Romuald Karmakar montaggio/editing: Romuald Karmakar musica/music: Romuald Karmakar suono/sound: Romuald Karmakar produzione/production: Romuald Karmakar durata/running time: 8’ origine/country: RFT 1987 Coup de boule: butting someone in the face with your forehead. Forceful, fast, hard – like football. French soldiers with their foreheads against their lockers, the wooden doors – for a laugh, for their mates. Does the door fall apart? No Their heads? No. What then? Nothing. GALLODROME Un combattimento di galli nella Francia del Nord in commemorazione della festa nazionale. A cockfight in northern France in commemoration of the national holiday. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer montaggio/editing: Romuald Karmakar, Birgit Lorenz produzione/production: Exocet-Film Romuald Karmakar durata/running time: 12’ origine/country: RFT 1988 HELLMAN RIDER Video intervista di Karmakar e Ulrich von Berg al mitico regista indipendente americano Monte Hellman, l’autore di The Shooting e Cockfighter. sceneggiatura/screenplay: Ulrich von Berg (anche co-regia), Romuald Karmakar fotografia/photography (Super8, col.): Florian Süssmayr, Erich von Wagner montaggio/editing: Jürgen Reichenmeier suono/sound: Romuald Karmakar durata/running time: 42’ origine/country: RFT 1988 A video interview by Karmakar and Ulrich von Berg of the legendary American independent director Monte Hellman, the creator of The Shooting and Cockfighter. 171 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR HUNDE AUS SAMT UND STAHL (t.l. Cani di velluto e acciaio) Il pit bull. Una razza di cani da combattimento, importata dall’America. Arrivata in Germania soltanto da pochi anni. Amburgo la sua roccaforte. Cani straordinari con nomi divini. Cani divini per tipi speciali. Tipi speciali con storie personali. The pit bull. A breed of fighting dog imported from America, which arrived in Germany only a few years earlier. Hamburg is the stronghold. Extraordinary dogs with godlike names. Godlike dogs for special people. Special people with personal stories. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer montaggio/editing: Birgit Lorenz suono/sound: Carol Schneeweiß, Klaus Rosentreter produzione/production: Exocet-Film Romuald Karmakar durata/running time: 54’ origine/country: RFT 1989 ROMUALD KARMAKAR DER TYRANN VON TURIN (t.l. Il tiranno di Torino) Der Tyrann von Turin non Der Tyrann von Turin does durata/running time: 25’ consiste altro che in immaginot exist except in images of origine/country: Germania 1989-1994 ni della Torino autunnale Turin in the autumn of 1989. dell’anno 1989. La maggior Most of the footage was shot in parte di esse sono state riprese nei luoghi citati nelle letplaces mentioned in Nietzsche’s letters to his mother. The tere di Nietzsche a sua madre, di cui alcune vengono mother of the actor who provides Nietzsche’s voice reads some lette, risposte incluse. Vengono lette dalla madre dell’atof the letters and their replies. Unlike Eine Freundschaft in tore che dà la voce a Nietzsche: al contrario di Eine Deutschland, there are no acted scenes. The relationship Freundschaft in Deutschland non ci sono scene recitate, il between the two films thus illustrates the development of rapporto fra i due film illustra perciò anche lo sviluppo recorded cinema of everyday facts to their dramatic re-enactdel cinema dalla registrazione di fatti quotidiani alla loro ments. (Olaf Möller, “Filmwärts”, n. 4/94) recitazione. (Olaf Möller, “Filmwärts”, n. 4/94) 172 SAM SHAW ON JOHN CASSAVETES (t.l. Sam Shaw su John Cassavetes) Intervista al produttore Sam Shaw: i suoi ricordi dell’amico John Cassavetes. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (video, col.): Romuald Karmakar montaggio/editing: Igor Patalas, Romuald Karmakar produzione/production: Exocet-Film durata/running time: 23’ origine/country: Germania 1990 An interview with producer Sam Shaw on his memories of his friend John Cassavetes. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR DEMONTAGE IX UNTERNEHMEN STAHLGLOCKE (t.l. Demontage IX Operazione campana d’acciaio) Demontage IX is the filming of a performance by the Austrian artist Flatz, who for five minutes is swung to and fro by a bell-ringer between two steelplates fixed to the ceiling. Afterwards, a couple dances the waltz “The Blue Danube”. Demontage IX è la ripresa di uno spettacolo dell’artista austriaco Flatz, che per cinque minuti viene fatto oscillare avanti e indietro come una campana tra due lastre di metallo fissate al soffitto. Poi, una coppia danza sulle note del “Bel Danubio blu”. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (16mm, col.): Bernd Neubauer montaggio/editing: Brigit Lorenz suono/sound: Klaus-Peter Kaiser interpreti/cast: Flatz, Asis e Iran Khadjeh-Nouri, Koka Ramischwilli produzione/production: Romuald Karmakar Filmproduktion distribuzione/distributed by: Ex Picturis (Fidicinstrasse 40, 1000 Berlin 61; tel.: 30-6916008; telex 186794; fax: 306929575) durata/running time: 24’ origine/country: Germania 1991 173 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR WARHEADS (t.l. Teste di guerra) Warheads presenta le vite dell’ex legionario Günther Aschenbrenner e del mercenario inglese Carl in tre ore di documentario. Si passa da un campo di addestramento di una “Special Assault School” per chi vuole giocare alla guerriglia, situato a Jackson nello stato del Mississippi, poi un fortino della Legione Straniera nella Guyana francese e infine la cittadina croata di Gospic, segnata dalla guerra civile. Warheads presents the lives of ex-legionnaire Günther Aschenbrenner and English mercenary Carl in a three-hour documentary. It begins in the training camp of a “Special Assault School” in Jackson, Mississippi (USA), for those who want to play at being guerrillas, then travels to a Foreign Legion outpost in French Guyana and finally to the Croatian city Gospic, besieged by civil war. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (16mm, col.): Michael Teutsch, Klaus Merkel, Reiner Lauter, Bruno Affret montaggio/editing: Katja Dringenberg suono/sound: Klaus-Peter Kaiser, Norbert Werner, Eckard Kuchenbecker, Istvan Kerenyi produzione/production: Max Film, Eurocréation Productions, WDR distribuzione/distributed by: Ex picturis (Fidicinstrasse 40, 1000 Berlin 61; tel.: 30-6916008; telex 186794; fax: 306929575) durata/running time: 182’ origine/country: Germania/Francia 1992 174 INFIGHT (t.l. Lotta interna) Un gruppo di pugili tedeschi: estenuanti allenamenti in palestra, interviste e, finalmente, il ring. A group of German boxers: exhausting training sessions in the gym, interviews and, finally, the ring. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar fotografia/photography (video, col.): Klaus Müller-Laue montaggio/editing: Uwe Klimmeck suono/sound: Eckhard Kuchenbecker produzione/production: Pantera Film, ZDF durata/running time: 47’ origine/country: Germania 1994 175 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR DER TOTMACHER (t.l. L’assassino) 1924. Fritz Haarmann, commesso viaggiatore, confessa di aver ucciso e smembrato i corpi di 24 giovani. Il professor Ernst Schultze riceve l’incarico di preparare una relazione psichiatrica che stabilisca la sanità mentale dell’accusato. Ad agosto, in una clinica di Göttingen, hanno inizio le sei settimane di esame. Le conversazioni, stenografate da una segretaria, costituiscono la base del film. I testi sono stati riprodotti nella loro autenticità: tutto il film si svolge nello studio del professor Schultze. 1924. Salesman Fritz Haarmann admittes to having killed and dismembered the bodies of 24 young men. Professor Ernst Schultze is commissioned to prepare a psychiatric report determining the soundness of the accused’s mental state. The six-week examination began at a clinic in Göttingen in August. The conversations which were documented in shorthand by a secretary form the basis of the film. The texts have been reproduced authentically. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Michael Farin fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler montaggio/editing: Peter Przygodda suono/sound: Robi Güver scenografia/art direction: Toni Lüdi costumi/costumes: Peri de Bragança interpreti/cast: Götz George, Jürgen Hentsch, Pierre Franckh, Hans-Michael Rehberg, Matthias Fuchs, Marek Harloff, Christian Honhold, Rainer Feisthorn produzione/production: Thomas Schühly, Pantera Film Produktion distribuzione/distributed by: Deutscher Verleih Warner Bros. Film (GmbH Hans-Henny-Jahnn-Weg 35, d-22085 hamburg; tel.: (040) 22650221; fax: (040) 22650229) durata/running time: 114’ origine/country: Germania 1995 In questa indagine dello scatenamento freddo dei sensi in direzione del dolore, in questa anticipazione a posteriori della disumanità nazista (si veda la meticolosità con cui il commerciante Haarmann racconta di aver scomposto e riciclato i corpi delle sue vittime), in questo “kammerspielfilm” sonoro, girato tutto in una stanza, in quel concentrato di parole, emozioni, espressioni del corpo e del viso (del magnifico Götz George), c’è un riflesso del lavoro sull’attore fatto da Cassavetes (anche se qui il testo è molto più scritto della “improvvisazione” del regista americano, essendo costituito dai veri verbali della polizia psichiatrica eseguita su Haarmann dal professor Ernst Schultze). E c’è soprattutto una certa pietà per l’essere umano, che “nonostante tutto” Haarmann continua a essere. Un non allinearsi di Karmakar con la freddezza clinica dell’indagatore-burocrate, che si compie in quella spirale sempre più stretta con cui la macchina da presa gira intorno ai due protagonisti, fino al secco abbraccio finale. (Luciano Barisone, “Cineforum”, n. 348, ottobre 1995) 176 In this inquiry into the outbreak of cold indifference to pain; in this anticipation of the hindsight of Nazi inhumanity (depicted in the salesman Haarmann’s meticulous descriptions of how he dismembered and recycled his victim’s bodies); in this resounding “kammerspielfilm”, shot entirely in one room; in this concentration of words, emotions, facial and bodily expressions (of the magnificent Götz George); there is a reflection of Cassavetes’ work with the actor. (Yet this text is much more written than the American director’s “improvisations”, having been constructed on the verbal truths of the psychiatric police that are exacted on Haarmaan by professor Ernst Schultze.) Above all, however, there is pity for the human being which, “despite everything”, Haarmann continues to be. A non-alignment by Karmakar with the coldness of the investigator-bureaucrat, which is achieved in that ever-narrowing spiral created as the camera encircles the two main characters, up to the final, dry embrace. (Luciano Barisone, “Cineforum”, n. 348, October 1995) DAS FRANKFURTER KREUZ (t.l. La croce di Francoforte) La “Frankfurt junction” di Walter è un chiosco di ristoro con la licenza per vendere alcolici e un forno a microonde. 31 dicembre 1999: per Walter e i suoi clienti questo è un giorno come tutti gli altri. Troppo presi dalla propria vita, non credono più ai miracoli. Harry, per esempio, conosce tutti i pub della zona ma si sente a casa solo da Walter, cosa che a quest’ultimo non sempre fa piacere. Mannie, di nuovo senza lavoro, non ha fortuna neanche con Roswita. Mr. Faltermann cerca di sfuggire alla claustrofobia domestica. E la dottoressa che si avvia al turno di notte non capisce proprio cosa ci sia da festeggiare. Sebbene nessuno di loro sembri voler avere qualcosa a che fare con la vigilia del millennio, alla fine succede tutto – il miracolo. Ma chiunque finisca al “Frankfurt junction” non sa davvero che cosa lo aspetta. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Michael Farin dalla pièce radiofonica di Jörg Fauser Für eine mark und acht fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler montaggio/editing: Juliane Lorenz, Margarete Rose suono/sound: Martin Müller scenografia/art direction: Tony Lüdi costumi/costumes: Ute Pallendorf interpreti/cast: Michael Degen, Manfred Zapatka, Jochen Nickel, Kajsa Reingardt Dagmar Manzel, Christina Kruse, Ulrich von Dobscütz, Birol Ünel, Pierre Franckh, Mattias Fuchs, Katharina Müller-Elmau, Hans-Michael Rehberg, Helmut Semmet, Stefan Vogel, Susanne Roher produzione/production: La Sept ARTE, Die Zweite Hauskunst, Aut et Court, WDR distribuzione/distributed by: Celluloid Dreams (Rue Lamartine 24, F-75009 Parigi; tel.: (1-49) 700370; fax: (1-49) 700371) durata/running time: 55’ origine/country: Germania 1997 Walter’s “Frankfurt Junction” is a refreshment stand with an alcohol license and microwave cuisine. December 31st, 1999: for Walter and his guests this is a day like any other. Too caught up with their own lives, they no longer believe in miracles. Harry for example, knows all the pubs in the area but feels at home only at Walter’s, which does not always suit Walter. Mannie, out of work again, is also out of luck with Roswita. Mr. Faltermann is fleeing domestic claustrophobia. The doctor on the way to her nightshift doesn’t really know what there is to celebrate anyway. Although not one of them seems to want anything to do with the eve of the millenium, it does happen in the end – the miracle. But anyone who ends up at the “Frankfurt Junction” doesn’t know what he is getting himself into. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR 177 PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR MANILA In una sala d’attesa nell’aeroporto di Manila alcuni viaggiatori sperano da ore di poter prendere l’aereo che li porterà in Germania. Ammazzano il tempo raccontando aneddoti accaduti loro all’estero, come nel caso dei Görler, una coppia di insegnanti della Germania dell’Est. Walter si è recato in Asia accompagnato dalla moglie filippina per riportare in Germania il corpo di un amico morto di Aids. Rudi, soldato della Bundeswehr, racconta l’eperienza traumatica di un’operazione militare in Somalia. Una giornalista registra ogni sua minima parola: da un ventina d’anni scrive esclusivamente articoli sui tedeschi all’estero. Franz racconta che ha due amiche filippine: “onora” la prima in inverno e la seconda in estate. Quanto a Cora, filippina, vuole andare in Europa per prostituirsi. L’attesa diventa fastidiosa, alcuni viaggiatori cominciano a perdere la pazienza. sceneggiatura/screenplay: Bodo Kirchhoff, Romuald Karmakar fotografia/photography (35mm, col.): Fred Schuler montaggio/editing: Peter Przygodda musica/music: Ric Manrique Jr. suono/sound: Martin Muller scenografia/art direction: Rolf Zehetbauer interpreti/cast: Chin-Chin Gutierrez, Manfred Zapatka, Michael Degen, Jürgen Vogel, Elizabeth McGovern, Martin Semmelrogge, Eddi Arent, Ana Capri, Margit Castersen produzione/production: Pantera Film GmbH, Romuald Karmakar, Renate Seefeld distribuzione/distributed by: Bavaria Film International (Bavariafilmplatz 8, D-82031 Geiselgasteig; tel.: (49-89) 64992686; fax.: (49-89) 64993720) durata/running time: 113’ origine/country: Germania 1999 Nel concepire Manila non ci siamo detti che ci occorrevano un omosessuale, un impiegato di banca e via di seguito, in modo da fornire un campionario rappresentativo. Ci siamo semplicemente domandati quali fossero i personaggi che ci interessavano. Mi viene spesso chiesto in che misura amo i miei personaggi e devo confessare che è una domanda che non capisco. È evidente che amo i miei personaggi. In primo luogo sono stato io a crearli. C’è stato quindi, in precedenza, un processo di elaborazione. In secondo luogo, non parlo mai della mia vita privata: invento figure che mi piacerebbe vedere sullo schermo. E infine trovo sia mio dovere, come regista, tentare di rappresentare i personaggi; con la collaborazione degli altri membri della troupe e degli attori, nel modo più interessante e complesso possibile. (Romuald Karmakar) 178 A group of travellers find themselves thrown together in the Manila airport waiting lounge. Taking their cue from the Görlers, an East German teaching couple, they recount their travel adventures to kill time. Walter, meanwhile, came to Asia with his Filipino wife to repatriate the body of a friend who has died of AIDS. Rudi, a soldier in the German army, tells of his traumatic experiences participating in military operations in Somalia. A journalist coldly notes his every word. For the past 20 years, she has written exclusively about Germans abroad. Franz, meanwhile, tells anyone that he has two Filipino girlfriends. He “honours” the first in the winter and the second in the summer. Cora, the Filipino woman, is going to Germany to become a prostitute. The wait becomes irritating, some passengers begin to lose patience. When we were developing Manila, we didn’t say we need a homosexual character, a bank employee and a… in order to give a representative cross-section of society. We simply asked ourselves which characters interested us. I’m often asked how much do I like my characters. I have admit I don’t really understand this question. Of course I like my characters: I created them. They take some time and effort to evolve. I never delve into my private life; instead, I invent characters I would like to see on the screen. Then, as a director I have to try them out. With the help of the other members of the crew and actors, I flesh out the characters so that they become as interesting and complex as possible. (Romuald Karmakar) DAS HIMMLER-PROJEKT (t.l. Il progetto Himmler) Dopo essere entrato nella After exploring Adolf Hitler’s vita privata di Hitler con Eine private life in Eine FreunFreundschaft in Deutschland, dschaft in Deutschland, Romuald Karmakar focalizza Romuald Karmakar focuses his la sua attenzione su Heinrich attention on the Nazi leader Himmler. Nella sua ricostruHeinrich Himmler. For this zione il regista filma un disreconstruction, he films a secret corso segreto di tre ore e three and a half hour speech that mezzo che Himmler, allora Himmler, then the Third Reich’s ministro degli Interni del Minister of the Interior and Terzo Reich e Capo delle SS, Chief Commandant of the SS, pronunciò il 4 ottobre 1943 gave to 92 of his generals on the davanti a 92 generali. 4th October, 1943. Taking a conBasandosi su una registratemporary recording as a basis zione audio dell’epoca, for the film, Karmakar shot it in Karmakar gira il film in un a day, with four digital cameras. sceneggiatura/screenplay: Romuald Karmakar, Stefan giorno con quattro macchine Das Himmler-Projekt has only Eberlein da presa digitali. Das 50 cuts over its three hour runfotografia/photography (video, col.): Bernd Neubauer, Himmler-Projekt presenterà ning time. The “Posen Speech” Werner Penzel, Florian Süssmayer alla fine solo 50 tagli per una justifies the extermination of the montaggio/editing: Nicholas Goodwin durata di tre ore. Il “discorso “Slavs”, and is a horrifying suono/sound: Klaus-Peter Kaiser di Posen” giustifica lo sterapologia for Nazi frenzy. interpreti/cast: Manfred Zapatka minio degli ebrei e lo sfruttaHimmler sketches out his future produzione/production: Pantera Film GmbH, Romuald mento e lo sterminio degli projects: the SS has the duty to Karmakar “slavi” e intesse l’apologia establish itself as a key organisadurata/running time: 182’ del furore nazista in tutto il tion in Europe, guarantor of the origine/country: Germania 2000 suo orrore. Himmler vi illu“Germanic” Empire which will stra anche i suoi progetti per l’avvenire: le SS hanno il extend as far as the Urals, “and one day much further”. dovere di affermarsi come un’organizzazione chiave in Europa, a garanzia dei confini dell’Impero “germanico” che si estenderanno sino agli Urali “e un giorno anche molto oltre”. PERSONALE ROMUALD KARMAKAR ROMUALD KARMAKAR 179 I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT ANATOMIES OF THE IMAGE di Serafino Murri by Serafino Murri Il lavoro su immagini e sonoro del britannico Chris Petit si pone sotto il segno, sempre più raro, di una rivoltosa inafferrabilità. Critico cinematografico per “Time Out” negli anni ’70, è passato dietro alla macchina da presa (come uno tra gli ultimi mohicani della Nouvelle Vague europea) con un’ellittica versione del road-movie alla Hellman negli anni del tatcherismo trionfante (Radio On, 1979), per poi spingersi, col sostegno della Road Movies di Wenders, verso un’inquietante e ironica commistione di generi “minori” ad alto tasso di thriller e noir (la stessa che più tardi, abbandonata la “fiction” cinematografica, ha sviluppato come scrittore, in romanzi come The Psalm Killer e Back from the Grave). Negli anni ’90, infine, Petit ha mutato radicalmente le proporzioni tra gli ingredienti del suo cinema, e grazie all’incontro creativo (in forma di beffardo complotto) con uno scrittore del calibro di Iain Sinclair (tra i pochi assieme a Ballard in grado di dare nuova linfa a un genere reso esangue proprio dal cinema come la science fiction), ha raggiunto il vertice del suo talento visionario mettendo a punto un registro espressivo ibrido, di mistificazione/esplorazione del reale, una specie di mockumentary drammatico che ha poche pietre di paragone nel panorama del film-making attuale. Come se lo spirito di Sans Soleil e La Jetée di Marker si fosse reincarnato nella tecnologia più avanzata, la stessa del videoclip e dello spot, in un’eclettica commistione tra formati, tecniche e soluzioni di ripresa, per tornare a mettere in discussione con poesia e disincanto la verità del mondo trasformato in immagine di se stesso. A fare da collante narrativo e background climatico ai film realizzati nell’ultimo decennio con Sinclair è uno scenario iperrealista, con suggestioni a cavallo tra science fiction e fake di wellesiana memoria, in cui vengono dissezionati e rielaborati gli stilemi del mezzo che più di tutti è responsabile del degradante buonsenso dell’ultimo scorcio di secolo: quello televisivo. Il risultato, soprattutto negli ultimi due atti della “trilogia” Petit-Sinclair costituita da The Cardinal and the Corpse (1992), The Falconer (1998) e Asylum or The Final Commision (2000), è la descrizione di mondi possibili sulla soglia tra presente e futuro, attraversati da un senso di mistero e da una contro-logica che corrodono le apodittiche certezze della nostra civiltà, svelandone sul piano visivo la loro traballante assurdità. Nonostante la singolarità del suo codice, però, sarebbe fuori tiro definire Petit cineasta “underground”: per cogliere il suo attentato alla logica corrente, non va dimenticato che questi film nascono come exploitation dei fondi produttivi di canali televisivi come Channel Four, la stessa committenza delle tante commediole di buon gusto (“sociale” o no) che ingolfano tristemente l’attuale scena cinematografica britannica. Inserendosi con causti- English filmmaker Chris Petit’s work on image and sound falls under the increasingly rare category of rebellious elusiveness. A film critic for “Time Out” during the 1970s, he moved behind the camera (like one of the last of the Mohicans of the European New Wave) with the elliptical version of a road movie, à la Hellman, during the triumphant Thatcher years (Radio On, 1979), only to then push himself, with the support of Wenders’ Road Movies, towards a disquieting and ironic blend of “lesser” genres like the thriller and noir. (The same genres which, after having abandoned in his cinematic “fiction”, he developed as a writer in novels such as The Psalm Killer and Back from the Grave). In the 90s, Petit finally radically mutated the proportions of the ingredients of his filmmaking, thanks to the creative encounter (in the form of scornful conspiracy) with the highly talented writer Iain Sinclair (one of the few, along with Ballard, who is capable of giving new life to a genre like science fiction that has been rendered lifeless by film itself). Petit reached the height of his visionary talent honing a hybrid expressive voice of mystification/exploration of the real, a kind of dramatic mockumentary that has few elements to which it can be compared in contemporary filmmaking. It is as if the spirit of Marker’s Sans Soleil and La Jetée were reincarnated with more advanced technology, the same technology of music videos and advertisements – in an eclectic mix of formats, techniques and filming solutions – to return to discussing, with poetry and disenchantment, the world’s truth transformed into images of itself. The narrative glue and climactic background to the films made in the last decade with Sinclair is the hyper-realistic scenery, which evokes something between science fiction and the “fake” of Wellesian memory; in which the stylistic features of the medium most responsible for the degrading common sense at the close of the last century – television – are dissected and re-elaborated. The result, especially in the last two acts of the Petit-Sinclair “trilogy”, made up of The Cardinal and the Corpse (1992), The Falconer (1998) and Asylum or The Final Commission (2000), is the description of possible worlds on the threshold between the present and the future, with a sense of mystery and counter-logic running through them that corrode the apodictic certainties of our culture, revealing their unsteady absurdities on the visual plane. Despite his uniqueness, however, it would be wrong to call Petit an “underground” filmmaker. To understand his attack of the current way of thinking one must not forget that these films arise as an exploitation of production funds of television channels like Channel Four, the same producers who commissioned light, tasteful comedies (“social” or otherwise) that sadly glut the British film scene. With caustic lucidity, Petit inserted himself clandestinely in the “banality factory”, with his non-stories between documentary and fiction, between electronic over-refinement and analogical tribalism. He turns the narrative idea on its head with an aesthetic I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT ANATOMIE DELL’IMMAGINE 183 I VIDEO DI CHRIS PETIT 184 ca lucidità, da clandestino, nella fabbrica della banalità, Petit, con le sue non-storie tra documento e fiction, tra calligrafismo elettronico e tribalismo analogico, ribalta con un surplus estetico l’idea di narratività, e ne amplia il senso inserendo al suo interno inquietanti fusioni del rimosso sociale, biografie immaginarie, vita in presa diretta ricostruita: movimenti fumogeni che animano un clima intravisto nell’episodio “fantascientifico” che apre Lo stato delle cose del padre putativo Wenders, ma con un’attrazione morbosa per la morte e la degenerazione, la metastasi e la malattia, sintomi del processo di erosione di una civiltà e dei suoi modi di vita, che ha pari solo nel lavoro di un altro inquieto conterraneo, il non meno eclettico artista della visione Peter Greenaway. Verità e invenzione, vita vissuta e fiction, diventano elementi indistinti e alla pari, confluiscono assieme a brani di opere altrui utilizzati alla maniera del found-footage in un unico tessuto, per suscitare una casuale spontaneità espressiva, la stessa della vita che scivola davanti alla telecamera di un negozio: ogni brano di film si porge come bandolo di una matassa inestricabile a cui è legato tutto il resto del mondo, nella sua ragnatela di tempo, spazio e caso. Le suggestioni frammentarie che Petit utilizza per mettere in scena oscure vite d’artista off (The Falconer) e malattie virali della tele-visione (Asylum), con il loro procedimento indiziario, innescano nella narrazione una trama di evocazioni incontrollate, esplosioni a catena e connessioni “a domino” tra gli oggetti della visione, che generano una moltiplicazione dimensionale delle immagini. A sfondare il limite delle due dimensioni è il tempo come terza dimensione visibile: un tempo suddiviso, corrotto, che scorre nei suoi diversi gradi simultaneamente nello spazio visivo. Il ricordo e la fantasmagoria si compenetrano all’attualità: il baricentro del tempo fluttua, la crono-logica diviene una variante tra le altre che l’immagine, con i suoi processi raffigurativi, muove in avanti e indietro a suo piacimento. Un fattore di caos semiotico ancor più marcato dall’uso della parola, che entra prepotentemente nello spazio visivo in tutte le sue forme (scritta, detta, vista), e che ha la proprietà di interagire con la visione fino a provocarle degli shock percettivi. Spesso asincrona rispetto all’immagine, la parola nelle ultime opere di Petit si fa testimone della scissione tra espressione e verità, tra apparenza ed essenza. Le zone dell’immagine invase dalle parole scritte, mentre enfatizzano e rendono permanenti con velocità stocastica brani vocali transeunti nella dimensione cronologica lineare, coniugano la grammatica del videoclip a quella del libro e dell’articolo di giornale, fondono la definitezza di una lettera privata alla mano furtiva di un graffitista sul muro della città. Come spiega lo stesso regista, si tratta di “convertire la scrittura in immagini, e non di filmare dei libri”. Dunque, con Petit e Sinclair ci troviamo di fronte al ribaltamento della “caméra-stylo” della Nouvelle Vague: non la macchina da presa usata come una penna, ma una scrittura fatta di immagini che come geroglifici designa- surplus, and expands its meaning by inserting a disturbing fusion of social repression, imaginary biographies, and reconstructed “live” lives into it. Smoky movements that bring to life an ambience half-glimpsed in the science-fictional episode that opens The State of Things by the putative father Wenders, but with a morbid attraction for death and degeneration, metastasis and sickness, symptoms of the erosive process of a civilisation and its ways of life, which is matched only by the work of another disquieting fellow countryman of Petit’s, the no less eclectic visual artist Peter Greenaway. Truth and invention, real lives and fiction, become indistinct and equal elements, merging with other people’s work in the found-footage style into a single fabric, to create a random spontaneous expressiveness, not unlike the life that slides by in front of a shop video camera. Each piece of film presents a clue to a inextricable tangle to which everything in the world is connected in its spider web of time, space and chance. The fragmented intimations (and their circumstantial methods) that Petit uses to put obscure lives of an “off” artist (The Falconer) and viral diseases of television (Asylum) onto film, trigger a plot of uncontrolled evocations, chain reaction explosions and domino connections between the visual objects in the narration that generate a dimensional multiplication of images. Time breaks through the limits of the two dimensions as a visible third dimension: a subdivided, corrupt time that passes by simultaneously at its different levels in visual space. The memory and phantasmagoria are interpenetrated with current events: the barycentre of time fluctuates, the chrono-logic becomes a variant like any other that the image, with its representational processes, moves forward and backwards as it pleases. A factor of semiotic chaos even more marked by the use of language, which enters domineeringly into the visual space in all of its forms (written, spoken, seen) and that has the ability to interact with the vision up until the point of even provoking in it perceptive shocks. Often asynchronous in respect to the image, the language in Petit’s latest works bears testament to the fission between expression and truth, appearance and essence. The image zones are invaded by the written words, which emphasise and render permanent the ephemeral vocal fragments with stochastic speed in the linear chronological dimension, joining the syntax of the music video with that of the book and newspaper article, establishing the tangibility of a private letter in the hands of a furtive graffiti artist on a city wall. As the director himself explains it, it is a question of “converting the writing into images, and not filming books”. Therefore, with Petit and Sinclair we found ourselves in front of an upheaval of the “camera-pen” of the New Wave. The camera is not used like a pen; rather the writing is made up of images that, like hieroglyphics, cryptically design the meanings, submitting them to continuous reinterpretation. All of the phases of the image, from the design to the photograph to the film frame, work together, flow into each other, contaminate one another. In Asylum, the same images shot several times wear themselves out, until their progressive blurring achieves in denying the tightness and “objective” independence of the image-form (one of the cornerstones of television ideology that determines the visible and true). The visible is subjectified in a dimension that is intraocular, mental, an active (and not descriptive) mimesis of the processes of memory and association. The merging of refined gestures that appear random in the flow of a life filmed live – with writings, maps and animated designs in what is a masterpiece in its genre in all respects, The Falconer (1998) – create a superimposition and audio-visual coexistence of the foundations of an attack against narrative violence as a movement that flattens any individuality and difference of what exists in a linear story which, unlike when it happens in a real life experience, becomes universally “understandable”. The same idea of documenting an irregular life like that of Peter Whitehead’s (flaneur, filmmaker, counter-culture torchbearer of the “swinging London” years, mythomaniac and alleged lover of numerous female celebrities) erases the boundary between character and reality, and recreates a truth accentuating the pertinent outlines in light of a global sentiment, of an objectified emotion. Just as in Ciprì and Maresco’s work on idiots and the marginalised (or in Herzog’s work with Bruno S. in Every Man For Himself and God Against All), the aim is to push reality to become even more real that it is. Whitehead is all of those things (poetic and nefarious) that are attributed to him, and of which he speaks in the interviews gathered by the two writer/filmmakers. But his prestige, for better or for worse, is elevated to the utmost power of aesthetic superfetation, which reflects the absurd occultist story to which the film’s title refers. It is not surprising then that the real Whitehead, who even played along with the macabre joke in which he is seen as a superstitious ritualist and disturbed sexual maniac on the verge of death after a serious heart attack, felt hurt by the finished work, to the point of turning against its creators publicly. His life, rather than being rendered coherent in a story, was exploded into a thousand pieces, atomised, penetrated down to the most intimate nucleus of individuality. In other words, sweetly and deliberately desecrated, irreversibly bared in the might of the visible. Just like the written bodies that inhabit the film, and the faces that are designed and then disappear by the stroke of a pencil that would like to affix them, or the figures that dissolve, devoured by the blinding light of superimposition, Whitehead’s life becomes a crystalline indication of the anti-method used by Petit and Sinclair: an anatomy of the image that is resolved in a process of dissolution, that repeats the game of death at work, lurking in the deepest manifestations of life. The images that run on many levels through The Falconer not only echo a Godard-esque knocking down of absoluteness of point of view, but lead to a definitive unveiling of iconic illusion. When an image appears on a screen and a second image, which is a back-lit or animated human profile, surrounds and contrasts the first fictitious “image” with its presumed greater reality, that which differentiates the image from the concrete presence is rendered palpable in a game of Chinese boxes (which ends only with the out-of-frame, with that which is around and outside the television screen). What is “shown” is the invisibility of the point of view, which vanishes in a perceptive, frame-less flood. The images orchestrated by Petit assault and condemn point of view; render the frame a dramatic element; pass by modifying themselves through countless systems of ref- I VIDEO DI CHRIS PETIT no cripticamente il senso, e senza mai rifletterlo realisticamente, ne metamorfizzano costantemente i significati deferendoli a una continua reinterpretazione. Tutti gli stadi dell’immagine, dal disegno alla fotografia al fotogramma, co-agiscono, scorrono l’uno nell’altro, si contaminano. In Asylum le stesse immagini riprese più volte si sfibrano, finché la loro sgranatura progressiva giunge a negare la compattezza e l’indipendenza “oggettiva” della forma-immagine (uno dei cardini dell’ideologia televisiva, che identifica visibile e vero): il visibile viene soggettivizzato in una dimensione infraoculare, mentale, mimesi attiva (e non descrittiva) dei processi della memoria e dell’associazione. Il fondersi di gesti colti con parvenza di casualità nel flusso della vita in presa diretta con scritte, mappe e disegni animati di quello che a tutti gli effetti è un capolavoro nel suo genere, The Falconer (1998), fa della sovrapposizione e della coesistenza audiovisiva i cardini di un attentato alla violenza della narrazione come movimento che appiattisce ogni unicità e differenza dell’esistente in una storia lineare, che al contrario di quanto accade nell’esperienza vissuta in prima persona, diventa universalmente “comprensibile”. L’idea stessa di documentare una vita irregolare come quella di Peter Whitehead, flaneur, filmmaker, alfiere della contro-cultura negli anni della “swinging London”, mitomane e presunto amante di star, cancella il confine tra personaggio e realtà, e ri-crea una verità accentuandone i tratti pertinenti alla luce di un sentimento del mondo, di un’emozione oggettivata. Come nel lavoro sugli idioti e gli emarginati di Ciprì e Maresco (o di Herzog con Bruno S. in L’Enigma di Kaspar Hauser), l’obiettivo è spingere la realtà a diventare più reale di se stessa: Whitehead è anche tutte le cose (poetiche e nefande) che gli si ascrivono, e di cui parla nelle interviste raccolte dai due scrittori/filmmaker, ma la sua statura, nel bene e nel male, è elevata all’ennesima potenza dalla superfetazione estetica, che riflette l’assurda storia occultistica a cui fa riferimento il titolo del film. Non stupisce dunque che il vero Whitehead, che pure si è prestato al macabro scherzo che lo vede superstizioso ritualista e torbido sessuomane in aria di morte dopo un grave infarto, di fronte all’opera compiuta si sia sentito ferito, al punto da rivoltarsi pubblicamente contro i suoi autori: la sua vita, piuttosto che essere resa coerente in un racconto, è stata fatta esplodere in mille frammenti, atomizzata, penetrata nelle sue linee di forza fin nel nucleo più intimo dell’individualità. In altri termini, volutamente e dolcemente profanata, irreversibilmente sciolta nella forza del visibile. Così come i corpi scritti che abitano il film, e i volti che si disegnano e sfuggono al tratto di matita che li vorrebbe fissare, o le figure che svaniscono divorate dalla luce accecante della sovraesposizione, la vita di Whitehead diventa un indizio cristallino dell’antimetodo usato da Petit e Sinclair: un’anatomia delle immagini che si risolve in un processo di dissoluzione, che bissa il gioco della morte al lavoro annidato nel più profondo manifestarsi della vita. Le immagini che scorrono su più piani in The Falconer non 185 I VIDEO DI CHRIS PETIT 186 riecheggiano solo un godardiano abbattimento dell’assolutezza del punto di vista, ma conducono fino al disvelamento definitivo dell’illusione iconica. Quando un’immagine scorre su uno schermo e una seconda immagine, che sia un profilo umano in controluce o un’animazione, circonda e rende la prima “immagine” fittizia in opposizione a una presunta maggiore realtà, si rende palpabile in un gioco di scatole cinesi (che termina solo con il fuori quadro, con quel che sta intorno e fuori dello schermo televisivo) quel che differenzia l’immagine dalla presenza concreta: l’invisibilità del punto di vista, che scompare in un flusso percettivo senza cornice. Le immagini orchestrate da Petit aggrediscono e denunciano il punto di vista, rendono la cornice un elemento drammatico, passano modificandosi attraverso innumerevoli sistemi di riferimento e di registrazione, occhi, apparecchi e prospettive che svelano continuamente il “di più” dello strumento, e distruggono alle fondamenta l’illusione di una realtà assoluta, astratta e indifferente allo sguardo che la fonda. Numeri e lettere, voci e disegni animati, attraversano la piatta freddezza del digitale, rendono inquietanti e misteriose persino le cose più ovvie, la camminata di una ragazza tra la folla o la più abusata e ingenua delle immagini di passaggio dello stile documentario: il camera-car fuori del finestrino di un’automobile. Allo stesso modo il lavoro sul suono, la compenetrazione musicale e rumoristica delle immagini, si svolge da un lato come una partitura autonoma che solo a tratti coincide con il flusso e lo svolgimento delle immagini: dall’altro, la distinzione tra suono e luce che la scissione percettiva rende evidente, finisce per rimarcare le differenti velocità della materia, la lentezza cronologicamente compromessa del suono, e la velocità inafferrabile e traditrice della luce come dato visivo che compone l’immagine. L’alterazione della visione è usata dunque da Petit in senso espressionista, come portato di una forza psichica sottesa allo sguardo, con una conseguente moltiplicazione dei livelli di interpretazione. Non c’è immagine di videocamera che non sia manipolata, corrotta e amplificata in segnicità e significazione da un profluvio di codici inafferrabili, numerici e alfabetici, che creano mistero, attrazione semantica, e irretiscono con la calligrafica bellezza del gesto di assemblaggio spazzando via ogni residuo di naturalismo della narrazione. C’è sempre qualcosa di poco decifrabile e incontestabilmente bello ad aggiungere un senso interrogativo a queste immagini, a negare la letteralità del significato. Bianchi e neri colorati, saturazioni cromatiche, polarizzazioni, sfocature, tutto l’armamentario dei più prosaici effetti a disposizione di ogni semplice handycam, assume qui una funzione demiurgica e stilistica precisa, quanto i found-footage televisivi, veri e simulati, mescolati con le animazioni e le manipolazioni grafiche delle immagini. Luoghi estetici complessi e anarcoidi, che si spiegano solo alla luce radiante del procedimento di antinarrazione. Giocando con la realtà anagrafica dell’uomo-Whitehead, Petit e Sinclair mettono in corto circuito la presunta veri- erences and recording – eyes, instruments and perspectives that continually unveil the “most” of the instrument, and destroy at its foundations the illusion of an absolute, abstract and indifferent reality of the person constructing it. Numbers and letters, voices and animal designs, pass through the flat coldness of the digital medium, and make even the obvious seem disturbing and mysterious: a girl walking through a crowd or the most overused and ingenuous of the documentary-style travelling images – the car-camera outside the window of an automobile. In the same way, the use of sound – the deep permeation of music and noise in the images – on the one hand seems to be an independent score that only occasionally coincides with the flow and sequence of the images. On the other hand, the distinction between sound and light which the perceptive division renders evident, serves to enumerate the different speeds of the material, the slowness chronologically compromised by the sound, and the elusive and traitorous speed of the light as a visual given that constitutes the image. The alteration of the vision is thus used by Petit in an expressive fashion, as the outcome of the mental force of the gaze, with a subsequent multiplication of the levels of interpretation. There is no video camera image that is not manipulated, corrupted and amplified in “sign-ness” and meaning by a stream of elusive codes, numerical and alphabetical, that create mystery, semantic attraction and inveigle one with the over-refined beauty of assemblage, sweeping away any remnant of narrative naturalism. There is always something barely decipherable and indisputably beautiful in adding an interrogative sense to these images, in denying the literalness of the meaning. Coloured blacks and whites, chromatic saturations, polarisations, blurring, the entire arsenal of the most prosaic effects at the disposal of any simple handycam, here play a role that is demiurgic and stylistically precise; just like the found-footage television clips, real and simulated, mixed with animation and the graphic manipulations of the images. Complex and anarchical aesthetic places, which are explained only in light of the progress of the anti-narrative. Playing with the reality of the personal information of the man Whitehead, Petit and Sinclair create a short circuit in the presumed documentary truth of The Falconer, rendering tangible the creative process of the legend and character in the moment of his creation. With his narcissistic plots running counterpart to the visual, acoustic and content-related metamorphic “exaggerations” staged by the filmmakers, Whitehead embodies a culture (and a generation) that has lived creating and destroying people like abstractions created by life, personifications of attitudes, radicalisations in standard images of behaviours mutated into attitudes, transforming the spontaneity into a language of gesture and the idiosyncrasies into distinctive outlines. Whitehead’s meditation on death and the soul through the mythical figure of the falcon, and his black magic rituals for confronting the dark force of imminent death, that function as a mysterious contextual glue in the narrative, are parallel attempts by the filmmakers to surprise and to capture the process of agony and relaxation in an existential moment when vital energy is being dissipated as is it returning to the ecological pyramid that has always contained only one form of energy in constant flux. The character’s heavy box/dark object of desire, which we are told contains his soul and the falcon’s mummified spirit, is used as a metaphor for life as it is seen and represented in Petit and Sinclair’s narrative mode. It exemplifies the contrast between interior energy and the casing that entraps it in time; that accumulation of impressions that functions from infancy to old age to form the sense of self. Accompanying and helping a man recover and open the box of life means rendering the synapses and connections of memory and perception once again available; putting back into play that complex and multi-form process from which the constellations of impressions we call our ideas take shape. In the trilogy produced by Channel Four, the language of the video clips that merge persuasively on a daily basis with the uninterrupted flood of media language – from the rhythmic cadence of “live” television from which direction as “live editing” emerges, to the “real” and squandered time of “homemade” clips, to the animation and sensationalism of advertisements – are newly split, distinguished and charged with meaning. The specificities of the filming medium pour into the creation of the message based on the Marshall McLuhan’s age-old formula, to the point where even Whitehead’s face in The Falconer is charged with “private” emotions if shot with a handycam in a private house, and with “public” emotions and attitudes when shot with public television means. The image mutates into an anatomy of the body, into exploration and amplification of the visible surfaces. Bodies that can be sensual or deathly, repellent or seductive, constantly change meaning and function, making the inherent contradictions in every form of life (or potential death) apparent. The changes that the person undergoes at the hands of the medium that engulfs or records him are unveiled. The object of the fictional investigation is not so much the life of a man in a comprehensive and chronological sense, but in the contextual and simultaneous sense; his being as many lives as there are means to capture and record parts of his “life time”. And yet, the body alone is not enough for Petit’s vampirism: the interior life is the goal. This is depicted in the more visionary moments, those (splendid) moments of animation, that mould the visual material into thought incarnate. Emotions are no longer depicted through correlative objectives, but directly. The kiss that the angel-batwoman gives Peter Whitehead during an interview in a dilapidated post-modern television studio turns the realism into something unreal and artificial. It invades the image, and solidifies the mood of the character cut off from his composed image according to the “official” codes of broadcasting. It is one of those strokes of genius, those epigrammatic devices of a way of making films that capture, in a single gesture and in a few moments, the entire spirit of the work: its aesthetics-leaning stimmung and nostalgia of desires that the music and writing and suspended gestures accompany in the background, like abstract dances, throughout the narration of the time of the vision. A clearly spelled out aesthetic discussion is present even in the short film Dead Tv, the story of the last days of “televisional” humanity. The film is superimposed by a “Real Tv” made up of the alchemist aesthetics with which Petit treats the authentic, that even photograph the mechanics of the cathode tube on the canvas of the screen like brush strokes of an arcane I VIDEO DI CHRIS PETIT tà documentaria di The Falconer, rendendo tangibile il processo di creazione del mito e del personaggio nel momento della sua genesi. Con le sue narcisistiche affabulazioni parallele alle metamorfiche “esagerazioni” visive, acustiche e contenutistiche inscenate dagli autori, Whitehead incarna una civiltà (e una generazione) che ha vissuto creando e distruggendo personaggi come astrazioni compiute sulla vita, personificazioni di attitudini, radicalizzazioni in immagini standard di comportamenti mutati in atteggiamenti, trasformando la spontaneità in una grammatica del gesto e le idiosincrasie in tratti distintivi. Le meditazioni di Whitehead sulla morte e sull’anima attraverso la figura mitica del falco e i suoi rituali di magia nera per affrontare la forza oscura della morte imminente, che fanno da misterioso collante contenutistico alla narrazione, sono paralleli al tentativo degli autori di sorprendere e catturare il processo di agonia e rilassamento nel momento esiziale in cui l’energia vitale si disperde, tornando equamente distribuita nella piramide ecologica che contiene da sempre un’unica energia in costante mutazione. La pesante scatola-oscuro oggetto del desiderio del protagonista, che ci si dice contenere la sua anima o lo spirito mummificato del falco, si fa metafora della vita come viene vista e rappresentata nel modo narrativo di Petit e Sinclair: esemplifica il contrasto tra l’energia interiore e l’involucro che la intrappola nel tempo, quell’accumulo di impressioni che dall’infanzia procedono fino alla vecchiaia a formare il senso del sé. Accompagnare un uomo a recuperare e ad aprire la scatola della vita significa rendere di nuovo disponibili le sinapsi e le connessioni della memoria e della percezione, rimettere in gioco quel processo multiforme e complesso per cui le costellazioni di impressioni che chiamiamo le nostre idee, prendono forma. Nella trilogia prodotta da Channel Four, le lingue della ripresa video che ogni giorno confluiscono persuasivamente nel flusso ininterrotto dei linguaggi mediatici, dalla cadenza ritmata della “diretta” televisiva da cui traspare la regia come “montaggio in diretta”, al “tempo reale” e sperperato dalle riprese “casalinghe”, fino all’animazione e all’effettistica da spot, vengono nuovamente scisse, distinte, e caricate di senso. Le specificità del mezzo di ripresa affluiscono alla creazione del messaggio secondo l’antica formula di Marshall McLuhan, al punto che lo stesso volto di Whitehead in The Falconer si carica di emozioni “private” se ripreso con una handycam in una casa privata, e di atteggiamenti ed emozioni “pubbliche” quando ripreso con i mezzi della televisione pubblica. L’immagine si muta in anatomia del corpo, esplorazione e amplificazione della superficie visibile: corpi che possono essere sensuali o mortuari, repellenti o seduttivi, cambiano continuamente senso e funzione, facendo sentire la contraddittorietà insita in ogni forma di vita (o di morte potenziale). Le modificazioni che la persona subisce a opera del mezzo che la fagocita e la connota, vengono svelate: l’oggetto dell’investigazione di finzione non è tanto la vita dell’uomo in un senso com- 187 I VIDEO DI CHRIS PETIT 188 plessivo e cronologico, ma contestuale e simultaneo, il suo essere tante vite quanti sono i mezzi che riescono ad afferrare e registrare parti del suo tempo vitale. Eppure, al vampirismo dell’immagine di Petit, il solo corpo non basta. È l’interiorità l’obiettivo: lo dimostrano i momenti più visionari, quelli (splendidi) delle animazioni, che plasmano la materia visiva in pensiero incarnato, emozione raffigurata non più tramite correlativi oggettivi, ma in maniera diretta. Il bacio che l’angelo-donna-pipistrello dà a Peter Whitehead intervistato in uno squinternato studio televisivo postmoderno, rende il realismo qualcosa di irreale e posticcio, invade l’immagine, e concretizza lo stato d’animo del personaggio scisso dalla sua immagine composta secondo i codici “ufficiali” della messa in onda. Si tratta di uno di quei colpi di genio, di quelle figure epigrammatiche di un modo di fare cinema che rendono conto, in un solo gesto e in pochi istanti, dell’intero spirito dell’opera, della sua stimmung estetizzante, nostalgia dei desideri che musica e scritte e gesti sospesi nel tempo della narrazione come danze astratte da uno scopo accompagnano in sottofondo nel tempo della visione. Un discorso estetico ripreso a chiare lettere anche nel cortometraggio Dead Tv, storia degli ultimi giorni dell’umanità televisiva, a cui viene sovrapposta una “Real Tv” fatta delle alchimie estetiche con cui Petit tratta il reale, che vanno a fotografare addirittura lo stendersi dei punti del tubo catodico sulla tela dello schermo come pennellate di un linguaggio arcano, interamente artificiale, impossibile da riferire a una realtà preesistente: a essere narrato è di nuovo il mezzo, non una storia. La “Real Tv” del clandestino Petit è un’aggressione visiva ai danni delle tante “Junk”, “Cheap” o “Laugh” Tv che hanno la funzione di intorpidire e irreggimentare le coscienze: analizzare tecnicamente e scindere molecolarmente le immagini, come direbbe Fassbinder, “libera il cervello”. Che il materiale di lavoro di Petit sia l’immagine come mezzo e come oggetto puro e autonomo, ancor prima che quel che essa raffigura, appare con evidenza anche nel doveroso tributo a uno dei geni più misconosciuti della critica cinematografica del ’900, il pittore americano Manny Farber, dal titolo Negative Space. L’idea che anima questo atipico documento è la suggestiva concretizzazione di un’intuizione di Farber: l’esistenza di uno “spazio negativo” dove le immagini emergono dal nulla, da una sorta di buco nero dove navigano scisse per sempre dalla loro matrice originaria, la vita. L’America come industria dell’immaginario è la porta aperta su questo buco nero inafferrabile. Il sonoro del film è un profluvio di reminescenze filmiche, musiche e dialoghi che circondano, in uno spazio avvertito ma invisibile, dei quadri-polaroid, al cui interno lo spazio della visione si trasforma: brani di film rallentati, alterati, sfibrati, movimento senza realtà catturato nei film storici, sindoni di una vita mai stata e imperitura. A esso fa da contrappeso l’attraversamento coast to coast dell’America, il paese del Buco Nero. È un certo modo di disegnare il movimento a dare un’anima alle immagini: per Farber, come per Wenders e Petit, il rap- language, entirely artificial and impossible to connect with a pre-existing reality. What is narrated is once again the medium, and not a story. The “Real Tv” of the “clandestine” Petit is a visual aggression against the damage done by the many “Junk”, “Cheap” or “Laugh” Tv programmes whose sole function is to numb and regiment the conscience. It technically analysed and molecularly took apart the images to, as Fassbinder would say, “free the brain”. That Petit’s working material is the image as the means and as a pure and independent object, even before that which it represents, is made evident even in the reverential tribute to one of the most misunderstood geniuses of film criticism in the 1900s – the American painter Manny Farber – in the film Negative Space. The idea that inspired this atypical document is the fascinating proof of Farber’s intuition: the existence of a “negative space” where the images emerge from nothing, from a kind of black hole where they navigate, forever cut off from their original matrix – life. America as the industry of the imaginary is the open door into this incomprehensible black hole. The film’s soundtrack is a stream of memories of surrounding film, music and dialogues, in a perceived but invisible space. Of Polaroidpaintings inside which the space of vision is transformed: fragments of films that are slowed down, altered, unwoven; movement without reality captured in historical films, cerements of an everlasting life that never was. A coast to coast trip across America, the country of the Black Hole, creates a counterbalance to all of this. It is a certain way of designing the movement to give life to the images. For Farber, like for Wenders and Petit, the relationship between movies and to move is essential. Negative Space is a Personal Voyage through American cinema that depicts, even more radically than the film by devoted cinephile Martin Scorsese, Farber’s axiom that what counts in a film is not a film but several singular moments with which it guides, as it progresses, the more often than not prosaic narrative that we most regularly forget about: the “negative space” of the few moments that are alive. Negative Space gathers and re-works together the moments chosen by Farber: simple milieus, gestures, spaces and expressions, not made to be extraordinary or narrative, but fragments of truth captured despite the fiction. When the critic appears in the film to explain his “sentimental” idea, mixing together moments of noir classics – from Godard, Rossellini, Fassbinder, and up to the paradox of Michael Snow’s Wavelength – what is seen is the most essential of film’s proprieties, that of cutting a space and filling it with life. The game of rediscovering the moment in the Black Hole goes on until the image is blown-up and decentralised so much so as to capture its background fragments. Where that which passes behind the objects brought to our attention (for example, Ingrid Bergman’s in a camera-car inside the car in Voyage to Italy) bears testimony to the existence of countless other invisible films within every film; to the imprisoned life that waits in a state of patient suspension to be freed from the fog of negative space. The trip is a trap then. But if the film image is a trap with a beginning and an end, that nevertheless provides an exit, the television image is a blind alley of experience. And this is what Asylum confirms, with its emblematic title that simultaneous- ly means shelter/refuge as well as mental hospital/constraint. A place where it is necessary to stay, out of one’s own or someone else’s will, from which, once entered, one cannot leave as one pleases. The point of no return is television, the means of Debordian fragmentation of life, which enchants and devours the personality, where there is no possible chance of reconstruction. The necrophiliac-like vitality of The Falconer is reversed in Asylum, where there is a search for life in a kingdom of death. It takes place in a viral era that is dominated by a television that is infected and invaded by inexplicable factions, survivors of a catastrophe of the senses. Petit and Sinclair’s development in Asylum can be categorised as iconic regression with its pattern of the electronic writing on the television screen that brings back an intricate and ancient dimension of sign violation reminiscent of Godard in Ici et Ailleurs. The image is dissolved and atomised into its fundamental impulses, and the interruption, the drop, the low definition and even the involuntary blurring of the camera’s automatic focus all make up the expressive material. A sense of mystery emanates from the extreme enlargement of the magnetic image, that returns to its chaotic state of atomic composition in evolution, so different from that indefinable body of light, yet inseparable and caged in the film. Off camera voices guide the spectator in a journey through unidentified fragments. It is almost impossible to reconstruct the past meanings. They are almost always loops, false movements created with the indefinite repetitions of a rediscovered moment, that allude to a life in which it was still possible to understand and explain. It is visual degeneration. And parallel to it, we follow the images of a woman that, like the sound technician in Wenders’ Lisbon Story, crosses the post-viral world to record the sounds of reality, trying to capture in the ether the waves that still travel freely, without any instruments forcing her to use an infected method. The film is an after-flood that pitilessly mirrors our age of semiotic confusion; where there is virtual expressive freedom but a substantial servile dictatorship by those who produce images and meanings. The “viral” distortions that slowly overwhelm the film – disturbances that are irritating, not in the least bit aesthetic, that seem indomitable and disorganised, even damaged – in the end debase even the slightest possibility of visual pleasure. They slap the spectator-voyeur in the face, frustrating his or her ravenous indifference. And the disheartened image, in all its essence and falsity, irretrievably flutters before his or her eyes like a bag carried by the wind, that appears in the visual space at a certain point. The same bag whose unbearable beauty the boy in English director Sam Mendes’ American Beauty praises for it harmonic, free fortuity. I VIDEO DI CHRIS PETIT porto tra movies e to move è essenziale. Negative Space è un Viaggio Personale nel cinema americano, che ancor più radicalmente di quello del devoto cinefilo Martin Scorsese, dimostra l’assioma di Farber per cui a contare in un film non è il film, ma alcuni singoli momenti a cui esso conduce con il suo sviluppo, narrazione il più delle volte prosaica di cui dimentichiamo gran parte, “spazio negativo” dei pochi momenti vivi. Negative Space raccoglie e rifonde insieme momenti scelti da Farber, semplici climi, gesti, spazi ed espressioni, non fatti eclatanti e narrativi, ma brani di verità catturata nonostante la finzione. Quando il critico appare nel film a spiegare la sua idea “sentimentale” mescolando momenti tolti dai classici noir, da Godard, Rossellini, Fassbinder, fino al paradosso di Michael Snow di Wavelength, ad andare in scena è la proprietà più essenziale della forma filmica, quella di tagliare uno spazio e riempirlo di vita. Il gioco della riscoperta dell’attimo nel Buco Nero, va avanti fino ad approdare al blow-up e al decentramento dell’immagine, e afferra brani di sfondo, dove quel che passa dietro gli oggetti deputati della nostra attenzione (ad esempio, il volto di Ingrid Bergman in un camera-car dall’interno dell’automobile del Viaggio in Italia), diventa la testimonianza dell’esistenza di innumerevoli altri film quasi invisibili in ogni film, di una vita imprigionata che attende paziente e sospesa di essere liberata dalle nebbie dello spazio negativo. L’immagine è una trappola, dunque. Ma se l’immagine cinematografica è una trappola con un inizio e una fine, e prevede dunque una via d’uscita, quella televisiva è il vicolo cieco dell’esperienza. È quel che afferma Asylum, un titolo emblematico, che significa allo stesso tempo rifugio, ricovero, ma anche manicomio e costrizione: un posto in cui è necessario restare, per volontà propria o volontà altrui, da cui, una volta entrati, non si può uscire a proprio piacimento. Il luogo del non ritorno è la televisione, mezzo di debordiana frammentazione della vita, che incanta e divora la personalità, dove nessuna possibilità di ricostruzione è più possibile. La necrofila vitalità di The Falconer si ribalta in Asylum in una ricerca della vita in un regno di morti, effettuata in un’epoca virale, dominata da una Tv infetta e invasa da frammenti inspiegabili, sopravvissuti a una catastrofe del senso. Il procedere di Petit e Sinclair in Asylum è sotto il segno della regressione iconica: il pattern della scritta elettronica sullo schermo televisivo riporta a una dimensione involuta e annosa dell’infrazione segnica, che ricorda il Godard di Ici et Ailleurs. L’immagine viene dissolta e atomizzata nei suoi impulsi fondamentali, e l’interruzione, il drop, la bassa definizione e persino le sfocature involontarie del fuoco automatico della telecamera entrano a far parte della materia espressiva. Un senso di mistero emana dall’estremo ingrandimento dell’immagine magnetica, che ritorna al suo caotico stato di composizione atomica di punti in evoluzione, così diversa da quel corpo di luce umbratile ma inscindibile che è ingabbiato nella pellicola. Voci fuori campo accompagnano lo spettatore in un viaggio attra- 189 I VIDEO DI CHRIS PETIT 190 verso brani non identificati e quasi impossibili da ricostruire di significati passati, quasi sempre loop, falsi movimenti creati con la ripetizione indefinita di un attimo ritrovato, che alludono a una vita in cui era ancora possibile capire e spiegare. È la de-generazione visiva. E parallelamente a essa, seguiamo le immagini di una donna che, come il tecnico del suono di Lisbon Story di Wenders, attraversa il mondo post-virale per registrare il suono della realtà, cercando di catturare nell’etere onde che viaggiano ancora libere in assenza di strumenti che le costringano in una forma infetta. Un dopo diluvio che rispecchia impietosamente la nostra era di confusione semiotica, virtuale libertà espressiva ma sostanziale dittatura strisciante di chi produce immagini e sensi. Le distorsioni “virali” che a poco a poco prendono il sopravvento sul film, disturbi che non hanno nulla di estetico, irritanti, che sanno di non dominato e non amministrato, di guasto, mortificano alla fine anche la minima possibilità di un godimento scopico: schiaffeggiano il voyeur-spettatore, frustrano la sua famelica indifferenza. E l’immagine avvilita, in tutta la sua inessenza e la sua falsità, fluttua irrecuperabile davanti ai suoi occhi come la busta in volo trasportata dal vento, che a un certo punto appare nello spazio visivo: la stessa busta di cui il ragazzo di American Beauty dell’inglese Sam Mendes canta la bellezza quasi insostenibile, nella sua armonica, libera casualità. PICTURES BY NUMBERS di Chris Petit by Chris Petit D D igitale, analogico, 35mm, 16mm, Super8, alla fine è sempre cinema. Certo, si può rimanere abbagliati dalla luminosità del 35mm, ma i miei ricordi di quando facevo film a soggetto rimandano a un sistema incredibilmente antiquato, quasi vittoriano nel metodo, con macchinari ingombranti. Se da un lato era un privilegio lavorare con un procedimento rimasto sostanzialmente immutato dai giorni di Stroheim o Griffith, da un altro lato era anche una seccatura. Tutto richiedeva troppo tempo. Lo sceneggiatore Rudy Wurlitzer ha detto una volta che fare film si riduce in genere a un’attesa: attesa di una risposta sulla sceneggiatura, attesa di un produttore, attesa di un’attrice. E anche quando finalmente si ottengono i finanziamenti, si continua ad aspettare – che il set sia pronto o che smetta di piovere. Ovviamente il corollario dell’attesa dovrebbe essere il meeting ma, come sottolinea ancora Wurlitzer, questo è spesso erroneamente interpretato come fine dell’attesa: in realtà, nella maggior parte dei casi, altro non è che un mezzo formale per annunciare un ulteriore rinvio. Io sono stato fortunato perché, fra il 1979 e il 1984, sono riuscito a realizzare quattro lungometraggi in 35mm, che in retrospettiva sembrano fare una buona media, anche se all’epoca tendevo a considerarmi più come disoccupato che a riposo. Ciò che è rimasto maggiormente impresso nella mia memoria è quanto fossero improbabili le cose che venivano realizzate. Così ho abbandonato il cinema prima che lui abbandonasse me. Tutto qui. Non ero una solida prospettiva commerciale, e non avevo grandi ambizioni artistiche. In parte ho lasciato perdere perché tutto richiedeva troppo tempo. Io bramavo la velocità, una carriera segnata da quantità e soldi, in cui i progetti realizzati si rincorressero uno dietro l’altro. Volevo lavorare più velocemente di quanto non lo permettesse il sistema, ai ritmi raggiunti da Godard o da Fassbinder, ma mi mancava il fisico, la droga, o i fondi, o magari il coraggio, e forse mi trovavo nel paese sbagliato. La rapidità è raramente possibile quando si fanno film in Gran Bretagna, e le carriere inglesi si notano per le lacune che presentano: Michael Powell ne è un esempio lampante. All’epoca in cui ho lasciato, Loach riusciva a malapena a trovare lavoro, e lo stesso vale per Lindsay Anderson. Poi ho capito che il ritmo di lavoro che avrei voluto veniva raggiunto in televisione da un regista come il defunto Alan Clarke (Elephant, The Firm, Road), ma all’epoca quello della fiction televisiva era un mondo impenetrabile per gli outsider, soggetto a regole oscure e perciò difficile da avvicinare anche per chi aveva già diretto dei film. Nell’arco di diversi anni non ho fatto altro che un episodio di Miss Marple di Agatha Christie per la BBC, che ho accettato perché volevo fare l’esperienza di lavorare in una struttura che somigliasse almeno approssimativamente allo studio system di una volta. (Per di più, è stato un sollievo venire assunto piuttosto che iniziare a scrivere, trovare un pro- igital, analog, 35mm, 16mm, Super8: it’s all pictures in the end. You can get misty-eyed about 35mm in terms of luminosity if you want, but my memories of making feature films were of an incredibly antiquated system, almost Victorian in its method, involving cumbersome machinery. Though it was a privilege to work with a process that hadn’t changed substantially since the days of Stroheim or Griffith, it was also a drag. Everything took too long. Screenwriter Rudy Wurlitzer once said the process of filmmaking usually comes down to waiting. You’re waiting for an answer on your script, waiting for a producer, waiting for an actress. Even when you get the money you’re still waiting – for the setup or the rain to stop. The corollary of waiting is, of course, supposed to be the meeting; except Wurlitzer pointed out that the meeting is widely misunderstood as an end to waiting when, more often than not, it’s merely a formal device for announcing a further postponement. I was lucky in that I managed to make four 35mm feature films between 1979 and 1984, which in retrospect seems productive enough, though at the time I considered myself to be mostly out of work rather than resting. My main memory was of the unlikelihood of things getting made. I gave up on movies before they gave up on me. Just. I wasn’t a reliable commercial prospect, nor was I arty enough for the other circuit. I gave up partly because everything took too long. I craved speed, a career of quantity and economy where the project in hand was buffered by the next already lined up. I wanted to work faster than the system allowed, at the pace achieved by Godard or Fassbinder, but I lacked the constitution, the drugs, or the funding, perhaps the courage, and possibly the right country. Speed is rarely possible when you’re making movies in Britain, and British careers are notable for their hiatuses, Michael Powell being the obvious example. At the time I quit, Loach could barely get work, and the same goes for Lindsay Anderson. I can see now that the work rate I wanted was being achieved in Tv by a director like the late Alan Clarke (Elephant, The Firm, Road), but Tv drama was pretty much a closed shop to outsiders then, dependent on obscure rules of grace and favor, and therefore hard to break into even if you had directed movies. For several years I didn’t make anything apart form an Agatha Christie Miss Marple episode for the BBC, which I did for the experience of working within something that still approximated the old studio system. (It was a relief to get hired – as opposed to initiating, writing, finding a producer, and raising money, then conducting gloomy postmortems at various film festivals.) In 1989 the BBC was still a monolithic organization with its own studio – previously belonging to Ealing Films – full-time crews and a virtual repertory of actors, mostly hammy. In terms of organization the BBC was very vertical and paternalistic, rather cozy and seething with I VIDEO DI CHRIS PETIT PICTURES BY NUMBERS 191 I VIDEO DI CHRIS PETIT 192 duttore, raccogliere i fondi e poi assistere a lugubri esequie ai vari festival del cinema). Nel 1989 la BBC era ancora un’organizzazione monolitica, con gli studios – quelli che appartenevano alla Ealing – le troupe a tempo pieno e un intero parco di attori, gran parte dei quali improvvisati. Dal punto di vista dell’organizzazione, la BBC era molto verticale, paternalistica, abbastanza confortevole; e trasudava risentimento. Tutto dava l’idea dell’isolamento e, sebbene non ci fosse una vera e propria discriminazione, la vita assumeva un carattere insulare e irreale che la faceva assomigliare al regime di semi-apartheid delle colonie inglesi. Miss Marple è stato girato in 16mm. A me non importava niente, ma per la troupe di macho degradata dal 35mm era quasi insopportabile. Il risultato è che sul set erano tutti di malumore (“Il signore vuole la macchina da presa in quella posizione”) con tutti gli screzi del caso fra i vari reparti e alleanze fra altri, facilitati in questo dal codificato linguaggio massonico dell’ambiente del cinema. Per un periodo ho anche avuto una specie di agente che mi pubblicizzava come un genio, ma non è mai riuscito a farmi avere un ingaggio. È passato un anno prima che riuscissi a rimediare uno speciale Tv di dieci minuti sullo scrittore J. G. Ballard e ne sono stato contento. Nel frattempo avevo cominciato a interessarmi di quella che si potrebbe definire la trasposizione istantanea di immagini. Mi piacevano gli schermi delle telecamere a circuito chiuso che cominciavano a fare la loro comparsa nelle stazioni di servizio, perché mostravano il luogo dove si era appena passati, immagini quotidiane imbrattate, dalla qualità piacevolmente dislocata. Ho iniziato anche a scattare un sacco di Polaroid perché davano la sensazione di catturare l’istante. Erano addirittura migliori della pellicola classica nel catalogare il marginale, aspetto dal quale ero sempre più attratto. Agli inizi degli anni ’90 ho iniziato a dedicarmi ai documentari e sono passato dalla pellicola al video – anche se molti documentari venivano ancora girati su pellicola – perché il procedimento era più semplice e veloce, e non bisognava aspettare che tornasse dal laboratorio. Il passaggio da pellicola a video era anche dovuto alla possibilità di vedere i film in cassetta. Il videoregistratore – insieme con l’ATM – è stato la grande rivoluzione degli anni ’80, perché ha letteralmente cambiato il modo di guardare i film: andare avanti e dietro, rivedere, esaminare il montaggio – e poi decostruire e ricostruire. Il cinema non era più subordinato ai 24 fotogrammi al secondo o a una memoria inaffidabile. Ho scoperto che l’esperienza di vedere i film in sala non mi mancava poi tanto. Spielberg e Wenders potevano pure continuare a ribadire la sacralità della sala buia e dell’esperienza accomunante del sogno condiviso ma, sebbene ci sia una parte di verità, tutto ciò si applicava a un determinato periodo in cui l’architettura, l’industria cinematografica, la tecnologia e i costumi sessuali convergevano. Spielberg può aver guardato la luce, ma la vera essenza del cinema era fondamentalmente in ciò che accadeva al buio. L’estasi di un’esperienza visiva non può essere raggiunta in una multisala. Inoltre, nella Gran Bretagna provinciale del dopoguerra, la realtà era spesso tutt’altro che trascendenta- resentment. Everything felt segregated, and though there was no discrimination as such, life took on a strangely insular and unreal quality akin to the quasi-apartheid of life in the British colonies. Miss Marple was shot in 16mm. I couldn’t have cared less, but for the macho camera crew who had failed to graduate to 35mm it was almost unbearable, and they were as chippy as anything as a result (“Sir wants the camera over there”). Plus the usual turf wars broke out between departments, and loose alliances were forged between others, aided by the encoded Masonic language of the film floor. For a while I even had a fancy agent at ICM, who pronounced me a cult but conspicuously failed to find any follow-up work. A year passed before I managed to scrounge a ten-minute Tv job on the writer J. G. Ballard and was grateful for the work. During this hiatus I became interested in what could be called the instant translation of images: I liked the surveillance screens that were starting to appear in gas stations, showing the forecourt you had just been standing in, smeary everyday images that had a pleasantly dislocated quality. I also started taking a lot of Polaroids because of the instant hit they gave. They also seemed better than regular film at cataloguing the peripheral, to which I found myself increasingly drawn. In the early nineties I turned to documentaries, and switched from film to tape, even though most documentaries were still shot on film, because the process was quieter and faster, and you didn’t have to wait for it to come back from the lab. The switch also had to do with the accessibility of watching movies on tape. The VCR – along with the ATM – was the big revolution of the eighties. It radically altered the way we could watch movies: shuttle back and forward, review, examine cuts – and both deconstruct and reconstruct. Film was no longer conditioned by 24 frames a second, or unreliable memory. I found that I didn’t much miss the experience of seeing films projected. Spielberg and Wenders might have gone on about the sanctity of the darkened cinema and the communal experience of the shared dream, and though there is something to that, it applied to a specific period when architecture, industry, technology, and sexual mores converged. Spielberg may have been gazing at the light, but a large part of what cinemas were about was what went on in the dark. The ecstasy of the viewing experience is not readily achieved in a multiplex. Besides, in postwar provincial British cinemas the reality was often less than transcendental – ancient faded prints that were full of scratches, soft-focus projection, reels shown in the wrong order, bad dubbing, hairs in the gate, snoring in the auditorium, and a vague smell of toilets throughout the film, and restless smoking (remember smoking?). Once or twice I’ve been to conferences on digital technology, and i have never really understood them because they always seem to focus on aesthetics, which is to miss the point. The technology is a given, so discussions about image quality have always seemed irrelevant, and part of a standard argument that revolves around any replacement of one technology by another. (Tv’s not as good as film, 16’s not as good as 35, CDs aren’t as good as vinyl, blah blah.) The point worth making (although it usually never is) is that the digital revolution is a temporal one. Video and digital technology is principally about time. To take an obvious example, round-the-clock news channels dissolve previously rigid time zones. Satellite Tv gives 24-hour access to a multiplicity of channels. Television in a Holiday Inn in Cairo is virtually identical to television in Kuala Lumpur or Atlanta, and previously remote communities can now access dozen of channels. Television’s worldwide countdown to millennium 2000 was entirely about this technology in relation to time, and endorsed Paul Virilio’s observation that we’ve “passed from the extended time of centuries and from the chronology of history to a time that will continue to grow ever more intensive; we live in a world of intensely tiny units of time. The real world and our image of the world no longer coincide.” The digital process also speeds up production, and cuts costs, for the first time placing a professional standard within individual reach, making it possible to work without commercial funding. Professional-level editing programs, which used to be the prohibitively expensive factor in the equation, are now down to domestic budget prices and desktop size. Seven years ago I was still having to edit tape by the incredibly laborious offline process, which had no cut-and-paste facilities, meaning that any insert resulted in the whole tape having to be relaid from the point of insert. This editing was followed by an expensive online process that involved a qualified technician wrestling with a set of controls complicated enough to launch the film into space. Today the PC that sits downstairs at home effortlessly reproduces effects you previously had to go to a post-production house for: split screen, opticals, captions. The editing software I bought a year ago for about $1,500 now costs half that, and the new Purple editing system costs around $8,000 and rivals professional systems that a few years ago costs $75,000. But there are drawbacks compared to the old method of film cutting. If linear (film) editing is analogous to writing on a typewriter – the mistakes take longer to undo – non-linear editing is more like writing on a computer: everything comes up clean. The messiness of the creative process is eliminated, and because of that you can be fooled into thinking what you’re doing is better than it is. Another problem is that non-linear editing is often too quick. With linear editing there was a sense of a cut being arrived at. Editors worked physically with film reels that in the end became the film’s final cut. Because non-linear editing is so fast and easy, it’s possible to miss the cut and carry on with endless and pointless tinkering. This happens more and more, in British television anyway, thanks to a glut of note-taking middle-management executives who view programs and demand instant alterations; the old expression “to lock off” is now virtually forgotten. Another real problem with post-production has to do with time in relation to money. Unscrupulous production companies, keen to increase narrow profit margins, now often prepare two budgets: a padded one presented to the Tv companies and a lower one applied to the production. A shoot budgeted for fourteen days might really take ten. Post-production usually gets squeezed hardest. Programs that used to take eight I VIDEO DI CHRIS PETIT le – vecchie copie sbiadite tutte graffiate, proiezioni sfocate, bobine proiettate nell’ordine sbagliato, cattiva sincronizzazione, peletti nella finestra d’esposizione, gente che russava in sala, un vago odore di cesso per tutto il film, e fumo ininterrottamente (ve lo ricordate il fumo?). Una o due volte sono stato a qualche conferenza sulla tecnologia digitale e non le ho mai realmente capite perché si dedicano sempre all’estetica, ma non colgono il senso. La tecnologia è un dato di fatto, perciò le discussioni sulla qualità dell’immagine sono sempre state non pertinenti e fanno parte del solito discorso sulla sostituzione di una tecnologia con un’altra (la televisione non è come il cinema, il 35mm è meglio del 16, i CD non sono come il vinile, bla bla bla). Ciò che invece è importante ribadire (che di solito non viene fatto) è che quella digitale è una rivoluzione temporale. La tecnologia video e digitale è legata alla questione del tempo. Per fare un esempio ovvio, i canali che fanno informazione 24 ore su 24 dissolvono i fusi orari. La televisione satellitare fornisce un accesso ininterrotto a una molteplicità di canali. La Tv in un Holiday Inn al Cairo è virtualmente identica alla televisione di Kuala Lumpur o di Atlanta, e comunità un tempo isolate hanno oggi accesso a dozzine di canali. Il conto alla rovescia in occasione del 2000, evento seguito in contemporanea dalle televisioni di tutto il mondo, è emblematico di questo rapporto tecnologia-tempo, e ha legittimato l’osservazione di Paul Virilio per cui “siamo passati dal tempo esteso dei secoli e dalla cronologia della storia a un tempo sempre più intenso; abitiamo in un mondo caratterizzato da unità temporali minuscole. Il mondo reale e la nostra immagine del mondo non coincidono più”. Il processo digitale accelera anche la produzione, tagliando i costi, mettendo per la prima volta alla portata di tutti uno standard professionale e permettendo di lavorare anche senza finanziamenti commerciali. Programmi di montaggio professionali, che un tempo costituivano il fattore proibitivamente costoso dell’equazione, hanno ora costi accessibilissimi e sono grandi quanto una scrivania. Sette anni fa dovevo ancora montare i video off-line, un procedimento incredibilmente laborioso che non permetteva il taglia-e-incolla, con il risultato che per ciascun inserto bisognava riassemblare l’intero nastro a partire da quel punto. Questo montaggio era seguito da un costoso procedimento on-line, che prevedeva un tecnico specializzato alle prese con una serie di comandi così complicati da poter lanciare il film nello spazio. Oggi, il PC permette di realizzare tranquillamente da casa effetti come split screen, effetti ottici speciali e didascalie per i quali un tempo bisognava rivolgersi a una società di post-produzione. Il software per montaggio che ho acquistato un anno fa a circa 1500 dollari ora costa la metà, e il nuovo sistema Purple costa circa 8000 dollari e può competere con sistemi professionali che solo qualche anno fa costavano 75.000 dollari. Tuttavia, ci sono anche degli inconvenienti rispetto ai vecchi metodi di montaggio in pellicola. Se il montaggio lineare è analogo allo scrivere con una macchina da scrivere – ci vuole più tempo per correggere gli errori – il montaggio non lineare è simile allo scrivere al computer, è tutto facile e veloce. Viene così eliminata la confusione del processo creativo, ma 193 I VIDEO DI CHRIS PETIT 194 questo può portare all’errata percezione che ciò che si sta facendo è migliore di quanto non lo sia realmente. Un altro problema è che il montaggio non lineare è spesso troppo rapido. Con il metodo tradizionale si aveva l’impressione di costruire il montaggio: i montatori lavoravano fisicamente con bobine di pellicola che poi diventavano la versione definitiva del film. Al contrario, poiché il montaggio non lineare è così facile e veloce, è facile perdere il punto e andare avanti per ore cercando di rattoppare alla meglio. Questo accade sempre più spesso, almeno nella televisione inglese, dove una massa di funzionari medi armati di taccuino visionano i programmi chiedendo modifiche istantanee. L’antica espressione “bloccare” è ormai praticamente superata. C’è un altro problema nella post-produzione, legato al denaro in relazione al tempo. Oggi accade spesso che società di produzione senza scrupoli, desiderose di aumentare i ristretti margini di profitto, preparino due preventivi: uno “gonfiato” che presentano alle società televisive e uno più ridotto che applicano alla produzione. Un budget per quattordici giorni di riprese potrebbe in realtà valere per dieci; la post-produzione viene in genere compressa al massimo. Programmi che un tempo richiedevano otto settimane per il montaggio vengono ora realizzati in quattro o cinque settimane. Molte società di produzione offrono agevolazioni e condizioni di lavoro che sono al limite dello sfruttamento. Oggi il montaggio, che un tempo era considerato opera di artigianato, è visto semplicemente come abilità al computer, quasi l’equivalente di un lavoro di segreteria, lontano anni luce dal mio ultimo montatore, Herr Alfred Srp, che era vecchio abbastanza da aver visto Fritz Lang all’opera ai tempi di Berlino, e che rifiniva il montaggio al tatto, facendo scorrere le bobine fra le dita inguantate di bianco, “sentendone” il ritmo. Ma con il montaggio digitale, che richiede così poco tempo, i programmi spesso rimangono assemblaggi più che prodotti finiti. […] Questa nuova tecnologia costituisce una rivoluzione anche dal punto di vista del peso, soprattutto se pensiamo alle mini-DV. In generale, i vantaggi per la mobilità sono impressionanti. Le riprese in movimento come le facevo io 20 anni fa significavano una preparazione infinita e l’allestimento di impalcature complicate per poter avere la luminosità necessaria e assicurare il peso considerevole di una macchina da presa 35mm. Oggi posso fare la stessa ripresa, con una qualità dell’immagine altrettanto buona, utilizzando una m.d.p. che sta in una mano mentre con l’altra guido. Una m.d.p. tradizionale non si può muovere facilmente; ciò che m’interessa maggiormente dei film di Hitchcock, ad esempio, è la velocità che hanno rispetto al peso enorme dell’equipaggiamento. Offrono cioè la dimostrazione estrema di quanto il cinema in pellicola sia una forma premeditata a priori più del cinema in video. Un film digitale come Festen è l’esatto opposto di Hitchcock: l’apparente eliminazione di una sembianza di prove, l’offuscamento della classica sensazione di distanza e di barriera fra il pubblico e lo schermo, per non parlare dell’apparente superfluità. Un’altra caratteristica del video, forse ovvia ma che vale la pena sottolineare, è che suono e immagine non sono più separati come avviene nella pellicola. Uno degli svantaggi è che la weeks to cut are now done in four or five. Many production companies offer facilities and working conditions that are no better than those in sweatshops. Editing, which was once regarded as a craft, is now barely treated as a keyboard skill. It is today’s equivalent of secretarial work, and light-years away from my last actual film editor, Herr Alfred Srp, who was old enough to have seen Fritz Lang in his Berlin studio days, and who did his fine-cutting by touch, running reels backwards between white-gloved fingers, feeling for the rhythm of the cuts. With so much less time given to non-linear editing, programs often remain assemblies rather than final cuts. […] This new technology is also a revolution in weight, particularly as seen in the newest mini-DV cameras. The general gains in mobility are astonishing. Driving shots I did 20 years ago involved a huge amount of preparation and complicated rigging to secure the lighting and the considerable weight of a 35mm camera. Today I can make the same shot, of comparable image quality, using a camera small enough to hold in one hand while driving with the other. A movie camera is not moved lightly (can’t be): what interests me most about Hitchcock’s films, for instance, is their momentum in relation to the enormous weight of the equipment involved. They offer the ultimate demonstration of how films as a form is a priori more premeditated than tape. A taped film like The Celebration seems the exact opposite of Hitchcock: the apparent elimination of any appearance of rehearsal, a blurring of the usual sense of distance and barrier between audience and screen, and a sense of weightlessness. Another obvious point about tape, but worth noting, is that sound and image are no longer separate, as in film. One disadvantage of this is that the concentration of the film take, cued by the clapper board – that precise moment when sound and picture marry – can be replaced by something much less focused. But it was only after i started using tape that I felt more confident about experimenting with random sound and overriding the recorded track; the marrying of sound and image in film editing always made it hard to contemplate further tampering – for me at any rate. Even in the early editing stages film always felt much more finished than tape. I started out by arguing that there is little or no difference between film and tape, and will now contradict myself. There is, of course, a huge difference. Film still retains a magical property, as the primary form of moving representation. The early films of the Lumière brothers have in some ways never superseded, just added to – that initial surprise of the moving image. Movies were and are aspirational – the dream factory after all – and the bottom line is you’re supposed to come out feeling better than before you went in, or at least distracted. Tape, which is more encompassing and has more to do with control (security, surveillance, speed traps), marks a fundamental shift in the level and type of voyeurism. Film can also be ascribed alchemical qualities. Although a mechanical process, film has a potential luminosity that tape doesn’t naturally have, in a way that relates more to painting. Film framing is also closer to painting than tape, which is Ho iniziato col sostenere che c’è poca o nessuna differenza fra video e pellicola, e ora sto per contraddirmi. Infatti c’è una differenza enorme. La pellicola rimane ancora qualcosa di magico, in quanto forma primaria della rappresentazione in movimento. I primi film dei fratelli Lumière, in un certo senso, non sono mai stati superati – si è solo aggiunto qualcosa alla sorpresa iniziale delle immagini in movimento. I film avevano e hanno a che fare con le aspirazioni – è la fabbrica dei sogni dopo tutto – e alla fine dei conti dovrebbero far sentire meglio le persone rispetto a quando sono entrate nel cinema, o almeno distrarle. Il video, che racchiude più cose ed è più legato al controllo (sicurezza, vigilanza, autovelox), segna un cambiamento fondamentale a livello e tipo di voyeurismo. Alla pellicola possono essere attribuite anche qualità alchemiche. Pur dipendendo da un processo meccanico, la pellicola ha una potenziale luminosità che il nastro non ha per natura, e che ricorda la pittura. Anche la composizione dell’immagine nel cinema in pellicola è più vicina alla pittura che non al video, molto più casuale e versatile. In Moving Pictures Anne Hollander fa notare che “la somiglianza fra un’inquadratura presa da un qualsiasi film commerciale americano e un Vermeer va intesa… come esempio di continuità culturale, di tradizione pittorica che viene interiorizzata e naturalizzata, come è sempre stato, solo che questa volta accade grazie al balzo tecnologico fatto dalla fotografia al volgere del secolo”. Con il video spesso non c’è una composizione dell’immagine, che viene semplicemente centrata, poiché l’atto dell’inquadrare è meno ineteressato a scegliere l’inquadratura e la posizione della m.d.p. e più al rapporto con le immagini che vengono prima e dopo. Gli spot pubblicitari e i video musicali favoriscono questo approccio per ovvie ragioni; velocità, risparmio, messaggio e stimoli. In genere il video è più veloce, più uniforme e più regolare, e più difficile da illuminare, che è il problema principale. Ma è lì, pronto per giocarci. Può essere forzato più della pellicola, e reagisce bene anche se trattato con noncuranza. Come le Polaroid, risponde meglio della pellicola alle cattive inquadrature. La pellicola somiglia a qualcos’altro, il video somiglia a se stesso. Va bene con ciò che è familiare: ha più dell’istantanea che della fotografia professionale. Le immagini video di Godard con i bambini che si sporgono da una finestra o con la sponda del lago e il cielo azzurro rimangono scolpite nella memoria proprio come alcune delle sue immagini in 35mm più studiate e riprese con la luce naturale, in film come Slow Motion o Passion. Tanto migliore è la rappresentazione – maggior fedeltà, much more casual and accommodating. Anne Hollander’s Moving Pictures notes that “a resemblance between a frame from an ordinary commercial American film and a Vermeer may be understood… as an example of cultural continuity, of pictorial tradition becoming internalized and naturalized, as it always has, only this time by means of the great leaps made by phototechnology at the turn of the century.” With video the image often isn’t framed, but merely centered, the framing less to do with lining up the shot than its relation to shots before and after. Commercials and music videos favor this approach, for obvious reasons: speed, economy, message, and stimulation. Tape is generally faster, flatter, and cleaner, and harder to light, which is the biggest problem. But it’s there to be messed about with. It can be pushed harder than film and it responds well to being handled badly. Like Polaroids, it copes better than film with awkward framing. Film looks like something else. Tape looks like itself. It’s good with the familiar: more snapshot than professional photograph. Godard’s video images of kids hanging out of a window or a lakeside and blue sky stick in the mind just as long as some of his more studied 35mm images shot with a natural light in films like Slow Motion or Passion. The better representation gets – higher fidelity, improved image resolution, with digital tape now capable of shooting at such low light levels that it makes Barry Lyndon look overlit – the more I find myself impatient to move into something more expressionistic or impressionistic, to something beyond a literal representation. I never really had any aspirations to shoot my own material, ad I always felt self-conscious looking through a director’s viewfinder. That changed with the introduction of Sharp’s novelty Hi-8 camera, the Viewcam, which had the then-rare option of an LCD screen, cutting out the need for a regular eyepiece. The process came to have as much to do with the hands as with the eye, especially as the Viewcam had several features that let you physically manipulate the tape during shooting. As someone who had done a lot of writing, I felt comfortable with this and didn’t feel as though I was competing with professionals whose eyes were more trained than mine. I also realized instinctively that this form was the next paradigm shift, the start of a process as revolutionary in its way as the beginning of cinema. If my films became more experimental, it had to do with suddenly having instant access, which allowed for a sense of work-in-progress, work that could be more sketch-like, with an opportunity to try things out and make mistakes. It became liberating. Increasingly in commercial cinema, filmmakers are not allowed to make mistakes, although arguably most developments come about as the result of errors. For the first time I didn’t have to think, “I’m shooting this story,” or “I’m shooting a documentary”, the subtext of which was “I may never work again.” Form, content, and process became indistinguishable. One of the few remarks by filmmakers that have struck me as useful is Godard’s observation that in the earliest days of cinema they started by just filming. Scripts came later, an inven- I VIDEO DI CHRIS PETIT concentrazione che scattava con il ciak – quel preciso momento in cui suono e immagine si congiungono – può essere sostituito da qualcosa di molto più vago. Ma solo dopo aver iniziato a usare il video mi sono sentito pronto a fare esperimenti con suoni casuali, senza tenere in conto la colonna sonora. Nel montaggio la fusione di suono e immagine ha sempre lasciato poco spazio a qualsiasi ulteriore manipolazione – almeno per quanto mi riguarda. Anche nelle primissime fasi del montaggio la pellicola sembra più “finita” del video. 195 I VIDEO DI CHRIS PETIT 196 migliore definizione dell’immagine, con il digitale che oggi è in grado di fare riprese a livelli di luminosità così bassi da far apparire Barry Lyndon troppo illuminato – quanto più cresce la mia impazienza di andare verso qualcosa di più espressionistico o impressionistico, qualcosa al di là della rappresentazione letterale. In realtà, non ho mai avuto l’aspirazione a girare materiale mio, e sono sempre stato troppo consapevole di me stesso guardando attraverso il mirino del regista. Le cose sono cambiate con l’arrivo della novità Sharp, la Hi-8 o Viewcam, dotata di quello che all’epoca era un optional raro, lo schermo LCD che eliminava il classico oculare. Il procedimento era così legato tanto alle mani quanto agli occhi, soprattutto visto che la Viewcam aveva funzioni che permettevano di manipolare fisicamente il nastro durante le riprese. Avendo io scritto molto, mi sono trovato perfettamente a mio agio e non avevo più la sensazione di essere in competizione con professionisti i cui occhi erano più esercitati dei miei. Mi sono anche istintivamente accorto che questa forma avrebbe costituito un mutamento paradigmatico, l’inizio di un processo rivoluzionario almeno quanto l’invenzione del cinema. Se i miei film diventavano più sperimentali era dovuto al fatto di avere improvvisamente l’accessibilità istantanea, che dava quella sensazione di work in progress, di opera in forma di schizzo, con la possibilità di provare e di fare errori. È diventato liberatorio. Sempre più, nel cinema commerciale, ai registi non è permesso commettere errori, nonostante spesso l’evoluzione ne sia il frutto. Per la prima volta non dovevo pensare “sto girando questa storia”, oppure “sto girando un documentario”, con il sottotesto che faceva “potrebbe essere il mio ultimo lavoro”. Forma, contenuto e procedimento erano diventati un tutt’uno. Una delle poche affermazioni fatte da un regista che mi abbiano colpito e mi siano tornate utili è stata l’osservazione di Godard per cui agli albori del cinema si è cominciato con il puro filmare. Le sceneggiature sono arrivate dopo, sono state un’invenzione delle case di produzione per suddividere e specificare i costi. Per sfuggire alle sceneggiature ho fatto documentari Tv in video. Ho anche girato un paio di programmi – London Labyrinth e Surveillance – utilizzando found footage per aggirare la fase delle riprese. L’accumularsi di immagini ha raggiunto il livello in cui il riciclaggio diventa possibile, persino inevitabile e necessario: si ha la sensazione concreta che sia stato girato tutto fino alla morte. Un’eccezione a questo marasma d’immagini è il lavoro di Chris Marker, che per un certo periodo mi ha colpito per il metodo, la forma e la fatica solitaria, e soprattutto per l’attenzione che Marker rivolgeva al periodo in cui stava lavorando. Da un punto di vista pratico, m’interessava il suo modo di ignorare il procedimento di produzione convenzionale. C’era anche un che di evasivo nelle sue opere che mi attraeva. Non si riusciva mai a capire appieno come era riuscito a metterle insieme, come era riuscito a far funzionare il montaggio. Se consideriamo le circostanze e il tempo trascorso da allora, le sue avventure hanno anticipato le possibilità più flessibili e nascoste della rivoluzione digitale. […] tion of production companies, as a way of breaking down and itemizing costs. I did Tv documentaries on tape as a way of escaping scripts. I also made a couple of programs – London Labyrinth and Surveillance – using found footage as a way of circumventing the shooting process. The accumulation of images had reached the stage where recycling became possible, even inevitable and necessary: there is a very real sense that too much has been shot to death. An exception to this glut of images is Chris Marker’s work, which for some time has struck me as increasingly important, for its method, form, and solitary endeavor, above all for the way Marker stayed alert to the time in which he was working. From a practical angle, he interested me for the way he seemed to avoid the conventional production process; there was also something intriguingly elusive about his work. You couldn’t quite figure out how they have been put together, how he had gotten the cuts to work. In the ground gone over and the distances involved, his travels anticipated the more flexible and solitary possibilities of the digital revolution. […] Bresson’s notes on cinema quote a French general on how all great battles are waged in the interstices of the map. That’s what’s happening in popular culture today. Music has fragmented and much of it has gone back underground. The Internet allows for loose, widespread affiliations of cultish enthusiasms and discoveries. A corollary to celebrity (one of the worst diseases of this and the last century) is a growing move toward invisibility, of a sense of worthwhile work being done in lab-like conditions, with few in the know. We’re just at the beginning of the breakdown of an old industrial process, which make things interesting. Perhaps new kinds of guerrilla filmmaking will emerge. Tomorrow’s Sam Fuller or Edgar G. Ulmer won’t emerge via Sundance: he/she will be getting their hand in shooting porn in Rio or Rotterdam for some obscure satellite channel. The opportunities are there for bizarre J.G. Ballards-like mutations to emerge – radical forms/challenging content – intimate questionnaires, suburban pornography, salvaged test footage, reports from the black economy; who knows, perhaps even scripts that don’t insult our intelligence, that don’t adhere to lottery-winning formulas. (As Cristopher said in The Sopranos: “I’d like to know what the fucking arc of my life is!”) Dream on. The downside of all this is that the notion of a maverick or alternative cinema is hijacked by the corporates the moment it appears. So advertising is currently a form of radical filmmaking, unfortunately. The notion of making films for little or no money is mocked by these guys who use the same technology to make these cheap-looking, street-funky films that are of course incredibly expensive. (“Film Comment”, February 2001) I VIDEO DI CHRIS PETIT Negli scritti di Bresson sul cinema viene citato un generale francese che sosteneva che le grandi battaglie vengono negoziate fra gli interstizi della mappa. Ed è proprio quello che sta accadendo oggi nella cultura popolare. La musica si è frammentata e molta di questa è tornata nella clandestinità. Internet dà libero spazio ad ampie affiliazioni di entusiasmi e scoperte di pseudo-culto. Un corollario della celebrità (una delle peggiori malattie di questo e dello scorso secolo) è il crescendo verso l’invisibilità, la sensazione che il lavoro meritevole sia fatto in condizioni difficili e quasi nell’anonimato. Siamo solo all’inizio del crollo di un vecchio processo industriale, che rende le cose interessanti. Forse emergeranno nuovi modi rivoluzionari di fare cinema. I Sam Fuller o gli Edgar G. Ulmer non verranno certo fuori dal Sundance: lui o lei si faranno le ossa girando film porno a Rio o a Rotterdam per qualche oscuro canale satellitare. È lì che possono avvenire mutazioni ballardiane – forme radicali/contenuti provocatori – questionari intimi, pornografia da periferia, provini recuperati, rapporti dall’economia sommersa; chissà, magari anche sceneggiature che non insultino la nostra intelligenza, che non aderiscano alle formule che vincono alla lotteria. (Come diceva Christopher in The Sopranos: “Mi piacerebbe sapere, quale diavolo sarà il corso della mia vita?”). Continua a sognare. Il rovescio di tutta la medaglia è che la nozione di cinema indipendente o alternativo viene scippata dalle multinazionali nel momento stesso in cui appare. Tanto che la pubblicità è una forma di cinema radicale, purtroppo. L’idea di fare film in cambio di poco o nulla è derisa da questa gente che utilizza la stessa tecnologia per realizzare pellicole ambientate in strada e girate apparentemente con pochi mezzi, ma che naturalmente sono in realtà incredibilmente costose. (“Film Comment”, febbraio 2001) 197 I VIDEO DI CHRIS PETIT BIOGRAFIA Chris Petit (1949) si laurea in Letteratura inglese all’università di Bristol. Si avvicina al cinema come critico cinematografico della rivista “Time Out”. Ammiratore del cinema e delle teorie di Wenders, è proprio da lui che trova sostegno e finanziamento per esordire nella regia, nel 1979, con Radio On, prodotto dal BFI con la casa di produzione del regista tedesco, la Road Movies Film Produktion. Ha pubblicato vari romanzi e racconti. BIOGRAPHY Chris Petit (1949) got his degree in English Literature at the University of Bristol. His first step toward cinema was as film critic for “Time Out” magazine. A follower of cinema and of Wim Wenders’ theories, it was Wenders who offered him support and financing for his 1979 directorial debut, Radio On, which was produced by BFI and the German director’s production company, Road Movies Film Produktion. He has published several novels and short stories. FILMOGRAFIA/FILMOGRAPHY Radio On (1979), An Unsuitable Job for a Woman (1981), Flying Fish Over Hollywood: Profile of Wim Wenders (1981, doc.), Fluchtpunkt Berlin (1983), Chinese Boxes (1984), A Caribbean Mystery (1989, Tv), J. G. Ballard (1990, Tv), Suburbs in the Sky (1991, Tv), Weather (1992, Tv), London Labyrinth (1992, Tv), The Cardinal and the Corpse (1992, Tv), Surveillance (1993, Tv), Thriller (1993, Tv), Rudy Wurlitzer (1994, Tv), Death of a Bank Manager (1995, Tv), The Disappearance of Kathleen Waugh (1997, Tv), The Falconer (co-regia: Iain Sinclair, 1998, Tv), Radio On Remix (1998, Tv), Dead Tv (1999, Tv), Negative Space (1999, Tv), Asylum (co-regia: Iain Sinclair, 2000, Tv), The Carfax Fragment (2001, Tv) TESTI LETTERARI/LITTERARY TESTS Robinson (Jonathan Cape, 1993; Viking US, 1994), Newman Passage or J. Maclaren-Ross and The Case of the Vanishing Authors (The Time Out Book of Short Stories, 1993), The Psalm Killer (Macmillan, 1996; Knopf, 1997), The Hard Shoulder (It’s Dark in London, Serpent’s Tail, 1996), Back From the Dead (Macmillan, 1999; Knopf, 2000) PRESENTAZIONI SU NASTRO/TAPE PRESENTATIONS The Slaughterhouse Tape (1997), River 1 and 2 (per Iain Sinclair, 1997), Suburbs 1 and 2 (per Iain Sinclair, 1998), To the West (per Iain Sinclair, 1998), Walking Rodinsky: Dagenham Purgatorio (per Iain Sinclair, 1999), Walking Rodinsky: London Paradiso (per Iain Sinclair, 1999) 198 J. G. BALLARD Eccentrico, provocatorio, bizzarro: una gemma. Il film di Petit è un saggio eccitante e illuminante, disciplinato, sovversivo e coerente. (“The Guardian”) Idyosyncratic, challenging, very quirky: a gem. Chris Petit’s film is an exciting window-opening essay, disciplined, subversive and coherent. (“The Guardian”) I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT durata/running time: 12’ origine/country: Gran Bretagna 1990 WEATHER (t.l. Tempo) Petit usa lo stesso modo di rendere estranee le cose più familiari che è tipico di Wim Wenders: è come se il cane nero della melanconia si aggirasse per i suburbi, costringendo i fobici a letto, in preda alle loro paure più inconfessabili. Alla fine, ci si domanda se la tipica atmosfera inglese, tetra e piovosa, non sia solo una sorta di gigantesco transfert delle nostre passioni. (“Indipendent on Sunday”) Petit has Wim Wenders’s trick of making the familiar alien: his suburbia felt as though a black dog of melancholy were snuffling round it, keeping phobics in bed with nameless fears. By the end, you wondered whether the Great British weather weren’t just some giant displacement of our passions. (“Indipendent on Sunday”) fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench montaggio/editing: Robert Hargreaves durata/running time: 40’ origine/country: Gran Bretagna 1992 199 I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT LONDON LABYRINTH (t.l. Labirinto londinese) Petit ha scritto un pezzo per Petit wrote a piece for “Sight montaggio/editing: Robert Hargreaves “Sight and Sound” intitolato and Sound” called Flickers. It durata/running time: 50’ origine/country: Gran Bretagna 1992 Flickers. Consisteva interaconsisted entirely of presentmente in immagini al presentense images from favourite te tratte dai film preferiti: un’epopea di frammenti, dissolfilms: an epic of fragments, arbitrary dissolves. London venze arbitrarie. London Labyrinth era così: home movie, Labyrinth was just like that: home movies, John Betjeman, John Betjeman, centauri alla Ken Loach, periferie, treni Ken Loach bikers, suburbs, underground trains, clips from della metropolitana, scarti di pellicole, spogliarelliste palliplays, pale strippers auditioning, Fu Manchu riverside conde al provino, complotti alla Fu Manchu lungo il fiume. spiracies. Cinema in meltdown. The end of the night. An abdiCinema al tracollo. Il termine della notte. Un’abdicazione cation of involvement. Robinson in his cutting room – like Dr. al coinvolgimento. Robinson nella sua sala di montaggio – Mabuse – recomposing History from endless reels of docucome il Dr. Mabuse – che ricompone la Storia da intermimentation and fantasy. (Iain Sinclair, Lights Out for the nabili bobine di documentazione e fantasia. (Iain Sinclair, Territory) Lights Out for the Territory) London Labyrinth conceives of a city of memory shards, an London Labyrinth proietta una città di schegge di memoria, accumulation from theatrical and documentary sources. accumulando fonti teatrali e documentarie. Modernismo Pathological modernism: the art of the dustbin, the skip thief. patologico: l’arte della pattumiera, il ladro di rifiuti. (“Sight and Sound”) (“Sight and Sound”) THE CARDINAL AND THE CORPSE (t.l. Il cardinale e il cadavere) Scrittori e librerie, mercatini di libri usati e cacciatori di volumi introvabili, pub e periferie inglesi, facciate e copertine. La prima collaborazione di Petit con lo scrittore Iain Sinclair. Writers and bookshops, used book markets and hunters of rare volumes, pubs and the English suburbs, facades and book covers. Petit’s first collaboration with the writer Iain Sinclair. sceneggiatura/screenplay: Iain Sinclair fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench montaggio/editing: Robert Hargreaves musica/music: Martin Stone e Almost Presley suono/sound: Rudy Buckle produzione/production: Janine Marmot per Koninck Projects, Channel Four Television durata/running time: 38’ origine/country: Gran Bretagna 1992 200 SURVEILLANCE (t.l. Sorveglianza) “Oggi queste telecamere sono dappertutto, installate così gradualmente che quasi non ce ne siamo accorti. Ma è difficile capire da dove cominciare, perché fare un film su queste immagini significa rinnegarne il senso. Discrete. Strategiche. Controllo invisibile. Sicurezza 24 ore su 24. L’idea che qualcosa venga guardato per 24 ore rende queste immagini uniche. Si snodano in un tempo non montato, e questo le rende radicalmente diverse dal tempo compresso del cinema e della televisione.” (Chris Petit, maggio 1993) durata/running time: 11’ origine/country: Gran Bretagna 1993 Il solo cinema appropriato per questa Londra è il cinema della sorveglianza. Non montato, muto, fluviale; minaccioso nella sua noia. Un cinema che non richiede spettatori. (“Sight and Sound”) “Now of course these cameras are everywhere, installed so gradually that we hardly noticed. But it’s hard to know where to begin, because to make a film about these images is to deny their point. Discreet. Strategic. Invisible monitoring. Round the clock security. The idea of something being watched for 24 hours makes these images unlike any others. They deal in unedited time, and this makes them radically different from the compressed time of cinema and television.” (Chris Petit, May 1993) I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT The only cinema appropriate to this London is the cinema of surveillance. Unedited, mute, riverine; menacing in its boredom. A cinema that requires no audience. (“Sight and Sound”) THRILLER Petrolio. Pistole. Denaro. Droga. Un’indagine sul mestiere di scrivere thriller (e sulla tecnologia cinematografica in evoluzione). Con un piccolo aiuto da parte di suo figlio, che all’epoca aveva sette anni, Thriller mostra un Petit sempre più insofferente nei confronti dei modi tradizionali di fare documentari, con quelle distinzioni spesso spurie tra fatto e finzione. Thriller segna inoltre un momento importante nel sempre più evidente allontanamento di Petit dalle regole della produzione. È stato l’ultimo film nel quale abbia lavorato con qualcosa che somigliasse a una normale troupe. fotografia/photography (video, col.): Simon Ffrench montaggio/editing: Robert Hargreaves interpreti/cast: Michael Dibdin, Frank Kippax, Leslie Waller durata/running time: 40’ origine/country: Gran Bretagna 1993 Oil. Guns. Money. Drugs. An investigation into the business of writing thrillers (and into the changing technology of filmmaking). With some help from his then seven-year-old son, Thriller shows Petit’s increasing impatience with the conventional forms of documentary film-making, with its often spurious distinctions between fact and fiction. Thriller also marks an important step in Petit’s increasing departure from production norms. It was the last film on which he worked with anything like a normal crew. 201 I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT RUDY WURLITZER Un profilo particolarmente acuto del romanziere e sceneggiatore fuorilegge. A characteristically sharp-eyed profile of the outlaw novelist and screenwriter. fotografia/photography (video, col.): Chris Petit montaggio/editing: Matthew Reinders durata/running time: 12’ origine/country: Gran Bretagna 1994 RADIO ON REMIX Twenty years after having filmed them, Petit took the black and white images of his first feature-length film, Radio On, manipulated them electronically in his style and mixed them with images of the same places shot contemporarily. Vent’anni dopo, Petit prende le immagini in bianco e nero del suo primo lungometraggio, Radio On, le manipola elettronicamente alla sua maniera e le mixa con riprese girate oggi sugli stessi luoghi. sceneggiatura/screenplay: Chris Petit montaggio/editing: Emma Matthews suono/sound: Bruce Gilbert produzione/production: Keith Griffiths per Illumination Films distribuzione/distributed by: Illumination Films durata/running time: 24’ origine/country: Gran Bretagna 1998 202 THE FALCONER (t.l. Il falconiere) Un’inchiesta fittizia sulle vite e le carriere di Peter Lorrimer Whitehead (1937-1997). Un film in cui niente è vero e tutto è permesso. A fictional investigation into the lives and careers of Peter Lorrimer Whitehead (1937-1997). A film in which nothing is true and everything is permitted. Sul regista e sciamano degli anni ’60 Peter Whitehead potrebbe essere facilmente realizzato un documentario tanto affascinante quanto convenzionale. Ma The Falconer è più simile a un collage frammentario di tutti i film su Whitehead che, in un mondo mentalmente sano, sarebbe impossibile realizzasceneggiatura/screenplay: Chris Petit, Iain Sinclair re. Whitehead ha espresso fotografia/photography (video, col.): Chris Petit, Iain Sinclair pubblicamente il suo sdegno montaggio/editing: Emma Matthews suono/sound: Bruce Gilbert e la sua contrarietà al film, elaborazioni digitali/digital artist: Dave McKean una bizzarra narrazione speinterpreti/cast: Kathy Acker, Steven Dilworth, Stewart culativa del narratore e poeta Home, Francoise Lacroix, Howard Marks, David Rodifer, Iain Sinclair e del cineasta Peter Whitehead Chris Petit; ma se si conduproduzione/production: Keith Griffiths, Illumination Films cono le premesse paranoiche durata/running time: 55’ di The Falconer alla loro logiorigine/country: Gran Bretagna 1998 ca conclusione, non si può fare a meno di domandarsi se Whitehead non sia anch’egli complice delle mistificazioni di cui il film è tanto ricco. (Jonathan Romney, “The Guardian”, 21 agosto 1998) A fascinating conventional documentary could be made about sixties film-maker and shaman figure Peter Whitehead. But The Falconer is more like a fragmented compilation of all the films that, in a sane world, it would be impossible to make about him. Whitehead has pubbicly expressed his outrage at the film, a bizarre speculative fiction by novelist/poet Iain Sinclair and filmmaker Chris Petit; but, if you take The Falconer’s paranoid premise to its logical conclusion, you can’t help wondering how Whitehead is complicit with their mistifications. (Jonathan Romney, “The Guardian”, 21th August 1998) I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT - IAIN SINCLAIR 203 I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT DEAD TV (t.l. Tv morta) Immagini televisive (ingrandite, deformate, rallentate, bloccate) per raccontare la morte della televisione. Television images (enlarged, distorted, slowed down, paused) that recount the death of television. sceneggiatura/screenplay: Christopher Petit fotografia/photography (video, col.): Christopher Petit produzione/production: Illuminations Television durata/running time: 10’ origine/country: Gran Bretagna 1999 THE CARFAX FRAGMENT (t.l. Il frammento di carfax) Per il suo video-diario Petit voleva andare in una sorta di cimitero di navi presso Bombay, in India. Questo si è dimostrato produttivamente impossibile, ma vicino casa, a Londra, Petit ha trovato alcune intriganti location lungo il corso del Tamigi, come Tilbury, dove i prigionieri venivano imbarcati per l’Australia, che è anche vicino a Purfleet, dove il conte Dracula mise piede in Inghilterra. For his video-diary, Chris Petit really wanted to go to a kind of ships’ graveyard near Bombay in India. However that proved productionally impossible. But closer to his home in London, Petit also found some intriguing places along the Thames. Such as Tilbury, from whence prisoners were shipped to Australia and that is also close to Purfleet, where Count Dracula set foot on land. fotografia/photography (video, col.): Chris Petit montaggio/editing: Emma Matthews musica/music: Bruce Gilbert produzione/production: De Productie, IFFR distribuzione/distributed by: IFFR durata/running time: 15’ origine/country: Olanda 2001 204 NEGATIVE SPACE (t.l. Spazio negativo) Viaggio on the road sulle highway statunitensi intervallato da spezzoni di cinema classico e moderno (da Rossellini a Godard, da Tourneur a Fassbinder, da Hawks a Michael Snow) e da interviste con i critici Manny Farber e David Hickey. I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT A road trip on US highways alternated with clips from modern and classic cinema (from Rossellini to Godard, from Tourneur to Fassbinder, from Hawks to Michael Snow) and interviews with critics Manny Farber and David Hickey. There aren’t many films or Non ci sono molti film o videos about criticism, especialvideo dedicati alla critica, e ly ones that perform the work of in particolare alla critica cinefilm criticism. An interesting matografica. Un’eccezione and ambitious exception is particolarmente interessante Chris Petit’s Negative Space, e ambiziosa è quella di an experimental 39 minute sceneggiatura/screenplay: Chris Petit Negative Space, di Chris Petit, video made for BBC Tv […] fotografia/photography (video, col.): Chris Petit un video sperimentale di 39 Named after the only book by montaggio/editing: Emma Matthews, Chris Petit minuti realizzato per la BBC. film critic, painter, and teacher suono/sound: Emma Matthews […] Il video di Petit, che Manny Farber, Petit’s video produzione/production: Keith Griffiths, Illuminations prende il nome dall’unico wrestles with American landTelevision libro del critico cinematograscape and culture, irony, memodurata/running time: 39’ fico, pittore e insegnante ry, Las Vegas, the beginning of origine/country: Gran Bretagna 1999 Manny Farber, tratta del paea new millenium, death, desert, saggio e della cultura amerifilm versus video, J.M.W. cani, dell’ironia, della memoria, di Las Vegas, dell’inizio Turner’s painting, several movies, as well as two critics, Faber del nuovo millennio, della morte, del deserto, del rapand Dave Hickey. (Jonathan Rosenbaum, American beauty, porto tra film e video, della pittura di J.M.W. Turner, di “Chicago Reader”, 12th May 2000) diversi film e di due critici, Farber e Dave Hickey. (Jonathan Rosenbaum, American beauty, “Chicago Reader”, 12 maggio 2000) 205 I VIDEO DI CHRIS PETIT CHRIS PETIT - IAIN SINCLAIR ASYLUM (t.l. Rifugio) Alla fine del XX secolo, un virus ha distrutto tutte le immagini televisive. Lo scienziato Kaper ha ricostruito le vicende legate a un progetto, chiamato “La recinzione perimetrale”, partorito da un misterioso “broker dell’informazione”, che utilizzava delle donne per raccogliere immagini e suoni. Questo film sulla memoria, l’esilio e la follia utilizza un’ampia selezione di materiali visivi e sonori per parlare del presente dalla prospettiva del futuro prossimo. At the end of the twentieth century, a virus destroyed all Tv pictures. Scientist Kaper reconstructed a project, called “The Perimeter Fence”, which was the brainchild of a mysterious “information broker” who employed women to collect images and sounds. This film about memory, exile and madness uses a wide ange of visual and sound materia to say something about the present from the near future. Il vero scopo di Asylum è richiamare alla nostra mente un progetto di avanguardia ormai dimenticato, un’utopia amorfa in cui tutto esplode in un caos che va oltre qualsiasi connotazione di genere riconoscibile – in questo caso, un caos che sfugge alle griglie e alle regole in base alle quali le televisioni commissionano i film d’arte. Asylum è ossessionato dall’idea che con ogni probabilità nessun dirigente di una Tv britannica sarà più disposto a finanziare un progetto del genere, anche se la certezza del proprio disperato eroismo, di cui il film quasi si fregia, subirebbe un duro colpo, nel caso in cui i veri boss del mondo televisivo dovessero decidere che questo è proprio il tipo di prodotto che avrebbero sempre voluto commissionare per la programmazione in seconda serata. (Jonathan Romney, Reality remixed, “The Guardian”, 14 giugno 2000) 206 Asylum’s serious proposition is to remind us of a forgotten avant-garde project, an amorphous utopia in which everything explodes into a chaos beyond recognisable genre – in this case, a chaos that evades the grids and menus of Tv arts commissioning. Asylum is haunted by the improbability that anyone in British Tv would ever fund something like this again, altough the film’s sense of its own desperado heroism would be confounded if arts bosses suddenly decided that this was just the sort of stuff they wanted to commission for late nights. (Jonathan Romney, Reality remixed, “The Guardian”, 14th June 2000) sceneggiatura/screenplay: Chris Petit, Iain Sinclair fotografia/photography (video, b/n e col.): Chris Petit, Iain Sinclair montaggio/editing: Emma Matthews suono/sound: Emma Matthews, Bruce Gilbert elaborazioni digitali/digital artist: Dave McKean interpreti/cast: Michael Moorcock, Ed Dorn, James Sallis, Marina Warner, Francoise Lacroix, David Seabrook, Michelle Lacroix, Susan Stenger (voce over) produzione/production: Keith Griffiths, Illuminations Films/Koninck distribuzione/distributed by: Illuminations Films/Koninck durata/running time: 56’ origine/country: Gran Bretagna 2000 INDICI INDICE DEI FILM E DEI VIDEO A Annyon-Kimchi, 93 Aprili, 129 As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty, 33 Asylum, 206 B Blue/Chong, 102 C Candilla, 71 Candy Girl, 169 Ce vieux rêve qui bouge, 46 Chinpira, 94 Colors, 74 Coup de boule, 170 Crossing, 113 D Danach hätte es schön sein müssen, 47 Das Frankfurter Kreuz, 177 Das Himmler-Projekt, 179 D.D.T./Abducted 187 Remix, 77 Dead Tv, 204 Demanty noci, 131 Demontage IX, Unternehmen Stahlglocke, 173 Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter, 139 Der schöne Tag, 42 Der Totmacher, 176 Der Tyrann von Turin, 172 Di ritorno, 76 Distance, 87 Dragonfly, 80 E Eine Freundschaft in Deutschland, 170 Eisenstein, 14 Éloge de l’amour, 29 F Finale, 72 Flanders eu gae/Barking Dogs Never Bite, 18 G Gallodrome, 171 Gehirne schwerfälliger Bauern, 169 Gi-souchi “M”/Apparatus “M”, 109 H Hellman Rider, 171 Hidari chokyo/Discipline for Left-Handed, 117 Homo Erectus, 75 H-Story, 104 Hunde aus Samt und Stahl, 172 I I Am an Eye, 68 Ikinai, 100 Il museo più veloce del mondo, 59 I Love Beijing, 24 I Love the Sound of the Kalachnikov, It Reminds Me of Tchaikovsky, 49 Infight, 175 I.T. (Immatriculation temporaire), 44 Italiensk for Begyndere, 21 P Paris vu par…, 125 Pattiyude divasam, 50 Plumes, 67 Q Quiet Boy, 73 R Radio On Remix, 202 Roji-e/Into the Alley, 83 Roundscape Mix, 114 Rudy Wurlitzer, 202 J Jalla! Jalla!, 16 Jam Session - The Official Bootleg of S Kikujiro, 56 Sam Shaw on John Cassavetes, 173 Japop!, 57 Satsujin camera/Killer Camera, 116 J.G. Ballard, 199 Sex Friend nurezakari/A 3-1 Count, 120 Slide, 115 K Slivers, 79 Kaido-ryoku real/Satisfaction Real, 107 Sora no Ana/Hole in the Sky, 89 Kao/Face, 98 Speriamo che sia femmina, 25 Sudore, 70 L Suna no onna, 141 La libertad, 41 Surveillance, 201 La vigilia, 64 Le Cinéma des “Cahiers”. Cinquante ans Symphonies of Memories, 78 d’histoire d’amour du cinéma, 142 T Leonardo Sciascia - Autoritratto, 63 Takeshi Kitano l’imprévisble, 55 Loin du Vietnam, 127 The Cardinal and the Corpse, 200 London Labyrinth, 200 Luigi Einaudi. Diario dell’esilio svizzero, 62 The Carfax Fragment, 204 The Falconer, 203 There is No City That Does Not Dream, 17 M These Are Not My Images, 69 Mabudachi/Bad Company, 105 The Shooting, 128 Mahlzeiten, 133 Thriller, 201 Manila, 178 Timeless Melody, 96 Momoiro baby oil/Peach Baby Oil, 118 Tribute to Alfred Lepetit, 20 Mongolian Paty, 111 Tsuru-Henry, 84 Monochrome Head, 110 N Natsu ni unareru/Tel-Club, 112 Negative Space, 205 Nella terra dei Daci liberi, 61 Nijuseiki nostalgia/Twentieth-Century Nostalgia, 85 Ninja bugeicho, 34 No Man’s Land, 22 U Unagi, 31 Una noche con Sabrina Love, 13 Unloved, 92 O O Desafio, 135 OL no Love Juice/Rustling in Bed, 121 Operai, contadini, 36 Oshima ’99, 54 Oz-mix, 108 W Wakamono: i giovani di Tokyo, 58 Walkover, 137 Warheads, 174 Weather, 199 V Vittorio De Sica - Autoritratto, 63 Z Zawazawa shimokitazawa, 91 INDICE DEI NOMI A AGRESTI Alejandro, 13 ALONSO Lisandro, 41 AMARÙ Giovanna, 67 AMORINI Marco, 68 AOYAMA Shinji, 83 ARSLAN Thomas, 42 B BARTLETT Renny, 14 BATSRY Irit, 69 BERNARDI Elena, 70 BODA Katsushi, 107 BONG Joon-ho, 18 C CAVAZZUTI Andrea, 59 CONVERSANO Francesco, 60 COZARINSKY Edgardo, 142 D DE VITO Mirco, 58 DI FELICE Massimo, 57 DOMINEDÒ Francesco, 71 F FARES Josef, 16 FASANO Walter, 72-73 FITZGERALD Lara, 17 FOFANA Gahité, 44 FURUYAMA Tomoyuki, 105 G GIANNETTI Alessandra, 58 GODARD Jean-Luc, 29 GO Takamine, 84 GOZU Naoe, 54 GRIGNAFFINI Nene, 60 GUIRAUDIE Alain, 46 H HARADA Ippei, 108 HARA Masato, 85 HELLMAN Monte, 128 HERMANN Villi, 62 HONETSCHLÄGER Edgar, 74 HUILLET Danièle, 36, 139 I ICHIKAWA Jun, 91 IMAMURA Shohei, 31 IOSELIANI Otar, 129 ITO Takashi, 109-110 J JURSCHICK Karin, 47 K KARMAKAR Romuald, 169-179 KHAZARIAN Philippe Vartan, 49 KORE-EDA Hirokazu, 87 KUGLER Ema, 75 KUMAKIRI Kazuyoshi, 89 L LAURENTI Carlo, 59 LAZZARINI Silvia, 61 LEE Sang-il, 102 LIMOSIN Jean-Pierre, 55 M MANDA Kunitoshi, 92 MANJOME Jun, 111 MATSUE Tetsuaki, 93 MEKAS Jonas, 33 MISURACA Pasquale, 63-64 MOCHIZUKI Rokuro, 94 MONICELLI Mario, 25 MURAKAMI Kenji, 112 N NAIR Murali, 50 NAGASAWA Ai, 58 NAKANISHI Yoshihisa, 113-114 NEMEC Jan, 131 NING Ying, 24 O OKUHARA Hiroshi, 96 OSHIMA Nagisa, 34 P PELLICCIONI Sergio, 61 PETIT Chris, 199-206 R REITZ Edgar, 133 ROUSSELOT Jean, 20 S SAKAMOTO Junji, 98 SAKAMOTO Rei, 120 SANTINI Mauro, 76 SARACENI Paulo César, 135 SATO Yoshinao, 115 SCHERFIG Lone, 21 SERIZAWA Yoichiro, 116 SHIMIZU Hiroshi, 100 SHINOZAKI Makoto, 56 SHIRAKAWA Koji, 117 SKOLIMOWSKI Jerzy, 137 SPADONI Carola, 77-78 STASENKO Svetlana, 79 STRAUB Jean-Marie, 36, 139 SUWA Nobuhiro, 104 SZABO Kristiina, 80 T TAJIRI Yuji, 121 TANOVIC Danis, 22 TESHIGAHARA Hiroshi, 141 W WADA Yunko, 118