6a domenica di Pasqua – 9 maggio 2010
«I giusti camminano, i sapienti corrono,
gli innamorati volano»
At 15,1-2.22-29 È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo
al di fuori di queste cose necessarie.
Ap 21,10-14.22-23
L’angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo.
Gv 14,23-29
Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
1. COMMENTO AL VANGELO (p. Alberto Maggi, osm – trascrizione da conversazione)
Le parole di Gesù, che adesso stiamo per commentare, sono di estrema importanza. Se comprese, cambiano radicalmente il nostro rapporto con Dio e, di conseguenza, con i fratelli. Vediamole. Gesù sta rispondendo (vedi il precedente versetto 22) a Giuda non l’Iscariota, che gli ha chiesto “come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. Giuda si rivolge a Gesù come i suoi fratelli che dicevano: “Se fai queste cose manifesta te stesso al mondo”; non capiscono come mai Gesù non si manifesti alla gente in maniera straordinaria e spettacolare. Ed ecco l’importante risposta di Gesù, “«Se uno mi ama, osserverà la mia parola»”, osservare la parola di Gesù significa aver riconosciuto in questa parola la forza creatrice di Dio e, in questa parola, la risposta di Dio al desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro. Come risposta di Dio a questa adesione a Gesù, “«Il Padre mio lo amerà»”, ed ecco la novità straordinaria, “«e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»”. Il Dio di Gesù non è un Dio che assorbe l’uomo per sé, ma è il Dio che lo potenzia; è un Dio talmente innamorato degli uomini, che chiede di essere accolto nella loro vita per fondersi con loro e potenziarne, dilatarne, la loro capacità d’amore. L’uomo non va in cielo, ma è il cielo che viene ad abitare nell’uomo e rende ogni uomo, ogni comunità, l’unico vero santuario nel quale si manifesta l’amore di Dio per tutta l’umanità. L’evangelista qui sta ricordando quanto già aveva scritto all’inizio del suo Vangelo, nel Prologo, “Dio ha posto la sua tenda fra noi”. Ogni creatura, ogni persona, è questo santuario. Questa non è una promessa per l’aldilà, ma una risposta del Padre a quanti accolgono Gesù. Chi non lo ama non osserva le sue parole perché non riconosce in queste parole la forza creatrice e “«la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.»”, assicura Gesù. Il Padre di Gesù continua la sua stessa azione creatrice, attraverso opere che comunicano vita all’uomo. E poi ecco la promessa di Gesù, la promessa della venuta del Paràclito, termine greco che indica colui che aiuta, colui che va in soccorso, ed è l’attività dello Spirito Santo, Spirito che viene chiamato “Santo”, non tanto per la qualità, quanto per la sua attività, che è quella di santificare, cioè separare le persone dalla sfera del male. L’azione dello Spirito nel credente e nella comunità, qual è? «Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»”. La parola di Gesù e il suo messaggio sono talmente grandi, talmente enormi, che l’uomo con i suoi limiti non può comprenderli in una sola volta, in una sola esperienza, ma, man mano che accoglie questa parola e la traduce in opere che comunicano vita agli altri, si allarga, si dilata la sua capacità d’amore e permette a questa parola di essere sempre più compresa. Gesù assicura che la funzione dello Spirito nella sua comunità non è quella di annunziare un nuovo messaggio, ma di ricordare e di far prendere coscienza della potenza di questo messaggio. Gesù assicura che, di fronte ai nuovi bisogni, alle nuove situazioni, alle nuove emergenze che avverranno nella sua comunità, lo Spirito Santo saprà dare sempre nuove risposte ai nuovi bisogni. Poi Gesù conclude dicendo “«Vi lascio la pace, vi do la mia pace»”, era il saluto abituale, “«non come la dà il mondo»”, cioè nel mondo si dava questo saluto, si salutava così chi partiva, invece è Gesù che parte che dà questa felicità ai suoi e chiede di non avere timore, di lasciar spazio all’amore, che prenda il posto del timore. Perché? Perché dice, “«Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre»”. Gesù non pensa alle sue sofferenze, ma al bene dei suoi. Pensa già al bene che verrà dalla sua morte, dal dono della sua vita e dalla comunicazione dello Spirito ai suoi. E poi, ecco l’avvertimento finale. “«Ve l’ho detto ora prima che avvenga»”. Che avvenga cosa? Il momento drammatico della cattura di Gesù, catturato come un bandito, come un malfattore, il momento drammatico del suo processo, condannato come un bestemmiatore; il momento drammatico della sua esecuzione, ucciso come un criminale, come un maledetto da Dio. Ebbene Gesù dice: “«Vi dico tutto questo prima che avvenga perché, quando avverrà, voi crediate»”, cioè continuiate a credere in Gesù, il figlio di Dio. Credendo in Gesù la smetteranno di credere nel sommo sacerdote, credendo in Gesù la smetteranno di credere nell’istituzione religiosa e potranno aprirsi a questa grande realtà di un Dio che non è lontano, non è separato, ma chiede di abitare negli uomini; un Dio che non chiede più di vivere per lui, ma di vivere di lui, con lui e come lui. 2. RISONANZE
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Che lo Spirito non abiti accanto alla Parola, ma in essa, Giovanni l’ha sottolineato con forza quando ha designato la memoria come l’attività propria dello Spirito nella storia. Lo Spirito santo non parla da se stesso, ma di ciò che è mio dice Gesù (cfr Gv 16, 14). Egli si riconosce per la sua fedeltà alla Parola, una volta pronunciata. Giovanni ha costruito la sua cristologia e la sua dottrina dello Spirito in modo rigorosamente parallelo. Anche il Cristo si caratterizza infatti per il fatto che può dire: la mia dottrina non è mia (Gv 7,16). È questa dimenticanza di sé che lo contraddistingue (…). La natura dello spirito santo, unità del Padre e del Figlio, è la dimenticanza di sé; in questo consiste la memoria. È l’autentico rinnovamento. Una Chiesa pneumatica è una Chiesa che ricordando penetra più profondamente nella Parola, divenendo così più viva e più ricca (J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo pp. 118‐20). La pace non si impone: Non ve la do come la da il mondo; la pace si offre: lascio a voi la pace. Essa è il primo frutto di quel comandamento sempre nuovo che la germina e la custodisce: Vi do un comandamento nuovo: amatevi l’un l’altro (Gv 13,34). Nella verità del nuovo comandamento, commisurato sull’esempio di Cristo – come io ho amato voi ‐ ‘tu non uccidere’ non sopporta restrizioni o accomodamenti giuridici di nessun genere. Cadono quindi le distinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. O si condannano tutte le guerre, anche quelle difensive e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un’eccezione, per lasciar passare tutti i crimini (P. Mazzolari, Tu non uccidere pp. 114‐5). •
Se uno mi ama. Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante e dirompente del mondo umano: l'amore. Entra nella nostra parte più intima e profonda, ma con estrema delicatezza. Tutto poggia sulla prima parola «se», «se tu ami». Un fondamento così umile, così libero, così fragile, così puro, così paziente. «Se mi ami osserverai la mia parola» e non esprime un ordine, non formula un comando, ma apre una possibilità; non un verbo all'imperativo, ma al futuro e che esprime il rispetto emozionante di Dio, che bussa alla porta del cuore e attende: se ami, farai. E subito rovescia il nostro modo di pensare. Noi avremmo detto: se osservi la mia parola arriverai ad amarmi, senza avvertire che questa logica capovolge il Vangelo, perché vede Dio come uno specchio su cui far rimbalzare i propri meriti, Dio della legge e non della grazia. Un detto medioevale afferma: «I giusti camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano». L'amore mette una energia, una luce, un calore, una gioia in tutto ciò che fai, e ti pare di volare. Volare a osservare la sua Parola, così è scritto, e noi invece abbiamo subito capito male come se Gesù avesse detto: a osservare i miei comandamenti. E invece no, la Parola non coincide con i comandamenti, è molto di più. La Parola salva, illumina, traccia strade, consola. La Parola fa vivere, semina i campi della vita, ti incalza, porta Dio in te. Solo se la ami, la Parola si accende, porta pane, soffia nelle vele. Solo se hai scoperto la bellezza di Cristo partirà la spinta a vivere il suo Vangelo. Perché la nostra vita non avanza per colpi di volontà ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza. In me l'amore per Gesù sgorga dalla bellezza che ho intuito in lui, dalla sua vita buona, bella e beata. Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Una passione di unirsi abita la storia di Dio e dell'uomo, così che Dio per millenni ha cercato un popolo e profeti di fuoco, re e mendicanti, e infine una donna di Nazaret per entrare in comunione con l'umanità. Tommaso d'Aquino diceva che l'amore è passione di unirsi alla persona amata. Dio è amore, passione di unirsi all'umanità. Verremo. Bellissimo questo venire di Dio, il suo nome è Colui‐che‐viene, colui che ama la vicinanza, che abbrevia instancabilmente le distanze. E prenderemo dimora presso di lui. In me il Misericordioso senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora; forse solo un povero riparo, non ho virtù o meriti particolari, non ricchezze spirituali, ma una cosa sola Lui mi domanda: essere un minimo frammento di cosmo ospitale verso l'avvento di Dio. Dio prende dimora dentro: ma se non pensi a lui, se non gli parli dentro, se non lo ascolti nel segreto, se non sosti dentro di te, nel silenzio, accanto a lui, forse la casa è vuota, non sei ancora dimora di Dio. Se non c'è rito nel cuore, se non c'è una liturgia nel cuore, tutte le nostre liturgie ecclesiastiche, anche le più imponenti, sono maschere del nulla, suonano vuote. Custodisci i riti del cuore (A. Casati). Due sono i doni del Risorto: la pace e lo Spirito. Pace, miracolo fragile infinitamente infranto. Che si custodisce solo insieme, condividendolo. E lo Spirito, che è accensione del cuore, incandescenza e dinamismo, che è vento e non ama le porte chiuse. Lo Spirito ci fa innamorare di un cristianesimo che sia visione, incantamento, fervore, poesia, testimonianza viva. E vi riporterà al cuore tutto ciò che io vi ho detto. Lo Spirito dialoga con noi senza pausa. Consolatore è il suo nome, e non perché esorcizza solitudini, lacrime o fallimenti, guaritore delle mie paure di vivere, ma perché è il maestro della strada verso il tempio del cuore, verso la liturgia del cuore; perché ci salva da una vita senza cuore, da azioni e parole senza cuore. Perché è il sovvertitore di tutte le false paci, di quella quiete che è in realtà vita spenta. E soprattutto perché riporta al centro la Parola, che è la nuova dimora di Dio presso gli uomini. Così lo Spirito continua a nominare Cristo nel cuore, e nominare Cristo equivale a confortare la vita. Allora la vita riprende a sedurci. E noi a rendere ragione della nostra speranza, di ciò che sogniamo per questo mondo, per questo uomo: tutto ciò che possiamo mettere dentro la parola pace, dentro la parola vita. (p. Ermes Ronchi, osm) 3. UNA TESTIMONIANZA
La pace è in qualche modo legata alla venuta del Consolatore, alla “consolazione” dell’uomo. La pace del mondo è una pace armata, una tregua tra conflitti, forse la massima pace che il mondo può offrire è la morte. La pace di Cristo, invece, è la fine di ogni paura, la fine di ogni tentennamento, la fine di ogni illusione di pace effimera, la fine della morte, la pacata certezza che la nostra fragilità e la nostra solitudine possono essere riscattate, che finalmente potremo vedere con chiarezza fin nel profondo del nostro cuore. La pace di Gesù è la città che ha sostituito il tempio in muratura con Dio Padre, Spirito e Figlio (Ap 21,22), è l’uomo i cui bisogni sono saziati alla radice, la comunità che ha un solo riferimento, la società che ha eliminato ogni paura, che ha superato in sé la divisione tra popoli, gli aspetti della legge che sono di ostacolo alla diffusione più piena della verità di Cristo (At 15,28‐ss). Un’ultima osservazione sulla paura della morte e il Consolatore. Il momento in cui dovremo andare al Padre a volte ci spaventa, a volte ci attira. Abbiamo un forte desiderio di vedere la morte non come la violenza che alcuni di noi hanno compiuto, né come il frutto della disperazione che altri di noi decidono troppo spesso di cogliere, ma in un rapporto allo stesso tempo doloroso e sereno; nel rapporto con la morte si gioca senza dubbio una fetta significativa della nostra fede (Gruppo di reclusi dell’Ospedale Psichiatrico‐
Giudiziario di Reggio Emilia). 
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