NEL REGNO DEL CAPRICORNO DEL VIVER TUO FRA ACQUA E VENTO INDICE appari FESTA Non m'e' piu' dolce il colore Lasciatemi con lei Dischiuse le labbra Striata di grigi Assorti in fitti conversari Quando Le tue parole La tua avventura Quella strada RICORRENZA I. La vela tesa dei silenzi II. E' gia' sghemba la luna III. Sciaborda il mare sue rime ORAZIONE FUNEBRE MORTE DELL'IDEA
* appari come sprazzo improvviso sul bordo tumefatto d'un nembo procelloso e rassereni e plachi... indugi se te ne vai come raggio di luna in lizza con la nube che passa...
FESTA (Schostakowicz, Valzer n.2) Camminare vorrei sulle mani figure intrecciare eleganti nell'aria con i piedi... danzare vorrei sapere stretto alla donna amata una polca dannata poi un valzer campestre struggente come destino e l'organino suonare in coppia
con la bella chitarra formosa e girare, girare grasso budda di giada che gira sulla pancia tremolante beato quel ritmo accennante nel volto indecifrabile e delizioso bimbo undicenne che recita Rilke con un'erre blesa di morbidezza tutto questo vorrei, per dire: vi amo ! ma non avevo che questa poesia e non l'ho detta.
* Non m'e' piu' dolce il colore dei tardi meriggi ne' caro il guizzo del rondone alla soglia dell'autunno, quando il campo abbrunato e la pigra spirale dei fumi di foschie ha velato e di mestizie la sera. Come fanciullo ho gioito dalla cresta del mio tempo degli aerei vapori di malva e pallidissimo oltremare e lo struggente livore dell'ultimo indaco. E quel sussulto di rondine quasi un trasalimento quasi rimprovero amico ha accompagnato i miei troppi rimorsi e dato forza di riprovare. Or viene un tempo solitario ­ amaro, amaro farsene ragione ­ non vi sara' per chi gioire, a chi affidar la pena, chi nello spazio d'una pupilla racchiudere, iridescente di predilezione. Equorei turchesi e cobalti senza fondo intirizziscono gia' le mie sere, avvizziscono le passioni e in quel punto fermano lo sguardo lontano dove sgorga quel ricordo che ti reclina il capo... potra' appassire l'ultimo eppur antico amore ? O chi dara' vigore al passo nel buio residuo tratto
or che s'e' ritratta la rondinella nel suo notturno manto spaurita al buco della prima stella.
* Lasciatemi con lei sottovoce conversare. Altro e' lo spazio dell'idea: qui non ho da scavare nell'ossessione mia d'un'alchimia che sfugge agli artigli della ragione; non v'e' da vociare qui: altro lo spazio per andare a mutar il mondo affianco all'amico col tormento di non aver saputo il mondo forse mutare. Non ripiego come foglia appassita: no, qui relitto abbarbicato sullo scoglio dove fiaccato errante ho naufragato, pazientemente, alla riva le magre cose raccolgo disseminate nello squasso della mia vita.
* Dischiuse le labbra, di schiuma appena afre di bruciata arsura, il sospiro che ti solleva e s'alza, tenue muggiolare ancora, il gemito d'una sorpresa mai pienamente intesa e l'urlo che attraversa il cielo, afrodisia, e chiama le fucine della specie. Recondita terra, varcata terra elisia. Offerte le labbra, astarte, nell'ascolto di cio' che accade una pupilla che s'arrovescia, decifrazione trasognata, una gemma illanguidita, mia stessa parte.
* Pesante s'arrotola pigramente una nube piu' minacciosa e nera, balugina dietro la quinta e s'oscura piu' secco il prato all'estrema luce della sera; nel saettare d'un cane guizza la saetta e l'impietrisce un istante, in un livido arabesco cinereo. Ancora lontano il brontolio del tuono, ansioso un richiamo e l'uggiolio e poi secco lo schianto che tutto irrigidisce nel riarso erbaio. Spazza, foriera, la radura deserta una folata di polverio tenebrante che d'ansie turba e mulinare di rifiuti e follemente altalena il cono fioco d'un lampione. Striata di grigi, rievocata scende ­ alle labbra il dito ­ assorta, su quello spiazzo di smemorato oblio, la donna­bambina che il segno porta dell'amor costante; con lei vien giu' settembre pensoso e le scalmane d'agosto spazza via.
* Assorti in fitti conversari la folla fendiamo a lunghi passi, protervi di superba intimita'; vetrine ci sfuggon di lato e squisite eleganze senz'alcuna curiosita' son fermate un istante nello specchio distratto dell'iride forme ch'esplodono davanti col suono dei clacson, increspati filamenti di frasi che dileguano spezzati stirpi di trampolieri occhieggiano su alti sgabelli di caffe'; incastonate fra bassi braccioli, strategiche vedette d'una guerra di boriosi sussieghi scrutano la nostra rapita cecita'.
* Quando, lontani profondi cobalti, un teso azzurro arieggia e spira tra veleggianti cumuli sospinti, che passano fugaci rabbruscando il campo, e quando sul sasso impietrita la salamandra maculosa ed enfia ad intanarsi e' pronta, finita e' allora l'estate di San Martino e lievitante ai tramonti smisurato il disco si disfa di verderame nel pulviscolo galleggiante. Infreddolito risalgo il mio cammino ed anche le case in schiera tutte da quel lato rischiarate sembran quasi intirizzite; un rintocco oltre il vetro s'indovina ed altra la scansione del tempo. Distesa e piatta la coltre dei grigi, sull'orizzonte rimboccata, di cinabro gli orli infiamma: un melograno che si spegne in nanfe stille e citrine e pallidi rosa ed ancor piu' desolanti lascia i cilestrini intorno e mesto il mio vagare; ma, ove di seppia striata sopra squarci intensi oltremarini, inquieti desideri accende: disponibile torna il domani. Piove dove appena il gasometro si staglia,
s'acquatta verso il mare la citta': a dire m'arrovello quel che gia' comincia a finire.
* Le tue parole... palpabili cose rimaste fra te e me, sul cruccio modulate, antico, che scosse quel tempo che doveva esserti benigno ed ha lasciato, invece, accorata e roca, lunghissima l'eco che mi chiama, ora, pensoso e attento, ad ascoltare... aulodie flautate, seducenti, ed eolie carezze ai miei sconforti, un petulante tocco di mandolini quando a mezza voce annunci ironiche segrete maldicenze, chitarra pensosa degli armonici in ascolto, e di liuti il pianto e sottili concitate trombe, argentine sulla mia pochezza fra te e me rimaste, quel sentiero han segnato che mi fa sollevare il capo, e guardare improvvisamente intento.
* (Rossigna la carpinella sopra l'orto, intente gallinelle alla ritorta pompa del fontanile e la faraona accovacciata; paupula il pavone dalla ruota polverosa sulla piazza abbacinata nella sosta meridiana.) Riprendera' la corsa la corriera, non ora: e quell'angolo lascera' di tempo, neppur ricordo, e gia' ­ graffito sul muretto ­ di te qualcosa... ai lidi m'avvicinera' che bambina t'han visto e non conosco, dove fremere e fiottar di vele bordate in aperto mare sa del viver tuo fra acqua e vento. Ed al vento si distende il mio gabbiano e sull'onda che sciaborda, radente dietro la tua chiglia, fra gli spruzzi di salsedine, dietro alla tua avventura.
* Quella strada che finisce sul porto (una stretta sull'amplesso del mare) quel vicolo ritorto nel lontano ricordo, viscido d'alga e di salso, dove macera l'aringa nella botte crepata di sole e la memoria s'estenua... quella brama neghittosa che spira dal largo, la pigrizia che ti consuma, quella bava marina sulla pietra corrosa del tuo segreto, dove l'angue corrompe, erosa spirale di vento e ­ documento racchiuso ­ un nastro, un seme, e' rimasto, un astuccio ritrovato e si dilegua, a parlarne, ogni cosa.
RICORRENZA Talvolta il tuo nome che mi trabocca io grido ma se lo riprende il vento o uno sbigottito silenzio. Talvolta il volto tuo struggente io vedo ma sfugge e si sottrae conteso dalle cose intorno. La trasparenza dei tuoi occhi allora ho tatuato e la fragilita' del dorso, l'abbandono del pianto, che' non li si porti via; ed un fatale patto ho stretto: la mia passione per sempre sia.
I. La vela tesa dei silenzi fra mare e Apennino... ed i fischi garruli delle locomotive sono occhiate oltre lo squarcio; schianti di sportelli alla testa del convoglio a ridosso del monte, trasalimenti di solitudine nel flusso dell'evocazione... smeraldo nella sera, il semaforo che da' la via scioglie il mio nodo: ritornare ancora potrei e gia' mi tiene Palmi di Calabria.
II.
E' gia' sghemba la luna sulla linea di sassi e di cacti, obliqua sullo sguincio, sul quadrello che ospita sonni senza conforto, sulla bianca parete claustrale dove ferve ­ arabesco di sole ombre ­ un rito iniziatorio... sotto la volta a crociera vergini giaciono dagli occhi chiusi, s'attorciglia il saettone nella cripta di pietra columbro d'Esculapio, custode della casa e nume: ama l'ombra del meriggio e la fronda del fico, ma ora una visitazione s'appresta e selenia luce genera l'inversione negativa dei bianchi e del nero... ora e' discesa, la luna ma qual'effetto aveva, quale intesa, se non era quella dei Pierrot ?
III. Sciaborda il mare sue rime sospese... pesanti barche, immote alla pesca: emerge ansante dall'acque, pensosa si scuote i veli dell'alba, Sicilia.
ORAZIONE FUNEBRE (in morte di Renato Guttuso) Oh, se tu, maestro di Bagheria, non temessi l'ombra che sul tuo cielo s'addensa e illividisce i colori amati e dei compagni le voci care, nel limpido ragionare profondo, impallidisce e le bandiere e il suono di quella tromba e il sangue raggela le lotte disfacendo ­ come tu l'hai viste ­ rutilanti perfezioni di prospettica geometria, novello Uccello. Quel nembo oscura la carezza dei meriggi spossati che il calore della tua terra esala, estasi solari di tripudi e baccanali, per selve di noccioli e d'ombrosi sogni. Ma se io fossi accanto a te, diletto maestro, anch'io direi: 'anche la morte con la tua morte muore' e, se 'non v'e' salvezza ai sensi', sull'orizzonte delle imprese tue e' la memoria che torreggia: e' solo l'assenza tua che vera morte porta. Io non nego che tu possa il volto aver amato, che non si disvela il volto, che solo Orfeo ­ per amore ­ volle vedere, Galileo d'amore... discutere con te vorrei, tu che gigante t'ergi, colonna d'Ercole sull'aperto mare del segno visionario, tu che sai la storia e delle streghe i roghi, terror di donne, e l'inquisire
che l'arco perfetto spezza della ragione e le due chiavi e le due spade e la doppia verita' e il terrificar del dogma. Pur se quel volto s'e' fatto storia, non posso amarla: ho da sapere come un grande muore, per morire senza timore.
MORTE DELL'IDEA Nettuno impallidisce ormai ­ notturna, raccolta nel segno del pesce ­ siderale lontananza di Sirio ! cede la breve notte finito il refrigerio del sogno... la piastra rovente ha traboccato dalla buia terra, liquefatta, e scivola dal colle assetando il fianco striscia nella forra serpeggia all'estremo bordo metropolitano ­ nel cantiere gia' operoso s'acceca il riflettore ­ e torrido grava il presagio del tradimento che si deve consumare. Era solo inerme parola ? Promessa di cristallina geometria dove s'ordiva il delitto; felice proiezione di solari argomenti a fugare fanatiche adunanze; misura assoluta, che rasserena l'offuscamento della follia e scioglie il grumo infetto della credulita'. Areopago d'un'altra Atene che cancella Treblinka e Guernica ed il rogo d'Hiroshima e una gravosa catena di montaggio. Delusione soltanto o l'impossibile ? Ma quella parola ruzzolata e sghemba non era cosi' nel nostro sguardo fin dal suo primo istante ? Sale allo Zenith la ruota d'Alsvidh e dall'oriente dilaga l'insidia col suo getto rovente; funesto tempo dell'inganno ! si snoda, tormentosa arsura delle cose
che screpola la radice nel fossato assetato col suo artiglio di rabbia; ora devasta nel profondo ­ eretto appena, il seme si piega nell'alito di ferocia che soffoca e asciuga: feronia incatenata ­ oh disteso giorno sinistro senza promesse... Sotto il suo peso il tradimento si consuma. Ora si sa: non ha avvenire il giorno; consumato e' il tradimento e Chimaira lambisce la terra di fantasticherie viscose, phix la sfinge, che tien bordone, propone enigmi che non hanno soluzione e la bestia che si rinnova, echidna generatrice, non cambiera' la pelle. Come poterlo dire ? a chi ? dove nessuno ha piu' la forza d'immaginare incagliato ai fondali del presente, corallino groviglio di maneggi. Non sapevano del gioco infame quando sulle strade della disperazione cadevano alle porte di Madrid l'occhio riverso nel sogno che strugge ! Passa lo Zenith e si distende obliquo il disco di rame e si placa sull'orizzonte stravolto; declina il giorno dell'ira diventa sera... lingue d'ombra s'arrampicano malandrine, arrotolata nelle sacche buie ogni cosa; in alto abbrunano ancora un gioco di vapore. Tutto inghiotte la tenebra senza sogno solo Sirio siderea solitaria resta ­ nel cantiere operoso s'accende un riflettore ­
Non vi sara' refrigerio nella lunga notte. Son caduti, lo sguardo riverso sulle porte dei giardini dell'Atlantide, alle fontane dove sorge ­ con un giro di vertigine ­ l'arcobaleno presso la fronda dove il flauto non irretisce, dove esatta e' la parola e calda. Una striscia obliqua s'e' messa di sbieco, alla terra ha tolto il colore e una gravosa catena e' rimasta di disperazione. Come poterlo dire, a loro, che vinsero il sentimento con la ragione ? Ora, come un passero ferito teniamo nel palmo trepidante la sconfitta: oh non per quel che sara', ma per quel ch'e' stato !
PAROLE LEGGERE COME ALITI DI VENTO
INDICE Al flutto che spazza PRELUDES I. Danseuses de Delphes II. Voiles III. Le vent dans la plaine IV. Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir V. Les collines d'Anacapri VI. Des pas sur la neige VIII.La fille aux cheveux de lin X. La Cath‚drale engloutie XI. La danse de Puck Kindertotenlieder In pigri mattini NOVEMBRE ACCIDIA Affiorare, sull'orlo FAVOLA EGIZIA STRASSBURG MORTE DEL CENTAURO
* Al flutto che spazza, nel mare aperto, navicella fedele ai bassi fondali, non ho visto nell'iride segnata la tua rotta ma un freddo inverno scendere sulla prua la tristezza del viaggio infinita e l'amaro segno che scava sull'angolo e raccoglierti a cercar riparo intirizzito guscio: racimolare ricordi sbattuti al vento, la storia ricostruire che andava in pezzi...
PRELUDES I. Danseuses de Delphes. Indolenti, il gesto (nel sole, torpido, dei templi) che si ripete, sazio orrore dell'evento che ancora, nella memoria accaduto, alle cose non appartiene una mano, sopra arcipelaghi sonnolenti, che si tende ­ nei funebri giochi ­ a scongiurare il dio sacrilego del segreto che alla terra ha preso lo sguardo, dietro sbracciati ulivi, che sprofonda ­ a ghermire il caso ­ immoto eppure ambiguo, nello stupore delle sorti trascritte nel volo degli uccelli Neghittose a divinare segni del prodigio lingue e scintille e ciotole dai sordidi fondi... ondeggiando, dagli altari calcinati nel bagliore dei cieli troppo profondi di presagi scendono in funeree danze Al treppiede sacro siede
colei che sa la legge delle ore da stirpi appresa, nate nella terra dei venti ed un'estate abbacinata ha visto venire, portata col canto della cicala che dissipa ­ immemore ­ l'ore.
II. Voiles. Arrendevole, carezza la chiglia le rade e lascia flottando la baia, le rande bordate ed i fiocchi alle brezze, oltre il faro dove largo e' il vento. Cedono al mare lungo e grave volubili inconsistenze di farfalle scie spumeggianti gonfie tele luminose e s'abbandonano diffidenti. Spiegate in bilico contro vento procellarie o vele gementi tirate, al mare traverso del maestrale contendono una rada. Avanti i livori del mare alto s'avvistano diafane trasparenze: punta alla proda il gabbiano.
III. Le vent dans la plaine. Sciolti i nodi d'erba fugge e s'alza il vento e fertile corre sulle piane, madre del grano e lupo e capra, le traversa e piega in gorghi di rame che s'oscura in bronzo. Selvaggio si fa il cavallo alla vertigine del lino che incurva i campi spruzzati d'azzurro fiordaliso; insemina il toro dall'occhio divino. L'uccello delle piogge sopra la serpe nello stagno volteggia, uccello di tuono, a piombo sulla quercia, uccello di pietra. Nell'ora degl'incantesimi che fermano i tramonti, indifferente si spegne il sole; bambini allora spargono chicchi, i fuochi sotto il frutteto: dispersi nei campi, in fumi sottili s'unisce alla notte cenere di falo'. Finalmente, sulla terra bruciata, uggioso, il pianto del cielo. Sull'uscio cercano nei granai le donne incinte di dar quiete al vento che insegue l'ombre. Nell'acqua di ghiacci ruscelli fuggono le nuvole fosche: vento di malaugurio, dissipazione, vento di disperazione. Ma veglia il gallo, in attesa dell'alba.
IV. Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir. Le braccia aperte ­ gabbiano nel passo che precede il volo ­ a fior di labbra tubi fervidamente dietro ombre che mai prenderanno forma; un solo passo intento ­ negli occhi chiusi ­ al giro che la primavera stringe di vertigine nel grappolo di biancospino ed un giardino pervade di angoli muscosi dove ingrassa il lombrico e di slentate corde che trasalgono al tocco inesperto: serenate di viole inconsistenti serenita' traspirazioni come lievi trasparenze linde di desiderio e portano l'odor del pane. Lontano il mare alto turchino, oh, non temere. Solo una luna di velluto e' vicina cantaride verde a cui donare giochi. Attendi, attendi il bacio guaritore.
V. Les collines d'Anacapri. Consumata nel barbaglio del sole che svuota la sua ombra come umide viscere, trasparente controluce discende mille gradini gettati nel vuoto, sfavillante nell'aria e risuona come corda, lontana in un frastuono di luce: soltanto echi che sembrano ricordi giu' per sentieri di capra ogni salto che affonda verso l'abisso azzurro di mare che circonda con gesto regale l'intreccio confuso dell'incontro. Tace di silenzio canicolare il richiamo stordito, un'onda di note che si spezza in sussurro serioso. Riflessive meditazioni e poi vien giu', a precipizio, cieca verso arrivi luminosi.
VI. Des pas sur la neige. Un cerchio senza echi ottuso di silenzio che dilata in immobili indifferenze, lo schianto del ramo che subito si spegne in una vampa di ghiaccio, spolverio di scintille, e distoglie con un soprassalto dal flusso che opprime: si stringe l'orizzonte, di nuovo reale. Il passo che affonda e preme cristalli acquosi scioglie in azzurra luce dove affiora tumida la terra e macera il rigagnolo sporco: orma muta, presenza ormai trascorsa. Di fradicio, distesa, nell'odore pungente si affida nero alle ali il corvo, come un varo di nave: lentissimo ruotare quasi sospeso che disegna una torpida inerzia; distanze cosi' estese al passo sommerso ! ghiacciata triste estensione. Vaporoso di nebbie, evanescente emerge dissolto il disco esangue d'un lontanissimo sole e ancor piu' freddo. E vapore d'affanno arse labbra ... cedo alla pigrizia dei soffici suoni al dormiveglia che annebbia
l'eco delle senzazioni a quest'odore che brucia e scava nella memoria le tracce d'un ricordo che non affiora a quest'unico colore che sfuma e poi cancella i segni della passione.
VIII. La fille aux cheveux de lin. Il fiore tuo matura in acerba estate ma dall'autunno vieni: opulento, novembre ti porta, pieno d'ombre e sotto un segno di devozione. In un magico sonno sei caduta quando il sole invertiva il corso: l'Armenia ed il Caucaso lontano hai negli occhi e siedi dietro un vetro dai tramonti abbagliato: inaccessibile isola, cornice all'onda trasparente e lieve che disegna ogni alito del vento fra capelli di lino, criniera dolcemente espressiva che vola in un sogno leggero di cavallina. Quando l'eta' venne felice della creazione delle donne, Pirra la fulva dall'Asia generata e dalla fatale donna capelli concepi' color del lino, che ora intrecci come il cordaio la corda per farne ceste; filatrice di corimbi di celesti fiori, ricami desideri amorosi color zafferano, estatiche follie della profondita' di viole. Ma non cardare, fanciulla, il tuo lino nella notte, fuor della casa non raccogliere nodi: minaccia al marinaio fratello tuo e' la pioggia e la tempesta; nascondi la treccia, ne' sole ne' luna vi splenda, le tue ciocche cela, in salvo porta: scatoline di sandalo, di raso rivestite, affida
al corso d'un ruscello e barchette di carta.
X. La Cathédrale engloutie. Striscia via la luce, corrotta, dove riposa il volo delle rondini ed il raggio si nasconde sviato da superfici corrose. Lasciata a rotte cieche bagnata di brume, nave che vide i porti dello scisma inghiottita in un muto naufragio di fantastiche coffe dove tessono intese arcangeli e colombe: affondano le filigrane tese dei rosoni in un appassire di vele che scendono nell'acque, tra figure di pietra dai gesti gloriosi ed immobili uccelli, nel palpito d'una sorpresa senza fine. Grava e si dissolve la facciata in estremi pennoni. Dietro portali senza speranza acquasantiere effondono effluvi di cenere. Gli stendardi eretti svaniscono nell'altalenare di turibili e lampade votive. Fra canne d'organo annegano i sudari al nasale fiotto d'un oboe d'amore: una carcassa d'ancestrali diluvi riemerge fra icebergs di nebbie. Porta l'eco lontana dei rintocchi di funzioni un lamento di cantorie.
XI. La danse de Puck. Sghimbescio saltelli sul piede caprino signore, bieco di follia obliquo re del bosco e grottesca mestizia corruga un volto fosco di cartapesta: a spallucciate e' finita, carriera di gloria e dissipazione, re della festa. Sei messo a morte leccapiede di Saturno e simula dolore il popolino. Dicembre si raccoglie ed ora lussurie oscure raduna dopo un tempo di semine, passioni custodisce nell'ombra sotto grinze di creta e nella sua notte si stringe ­ finito il taglio della vite ­ attorno ad altari bagnati dai banchetti di sangue. Si concentra il tempo; resta l'attesa nel regno del capricorno.
Kindertotenlieder. Esile suono sottile, adunco ferro piantato nello sconforto ­ struggente al gracile scialbore che avanza dalle fessure della notte, che basse il giorno disserrano che viene, ad altri tetramente eguale ­ un gemito, lunghissimo, al tormento s'arrende; piaga lacerante di stridenti ottoni non si ritrae la pena ai cigolanti legni, rintocca di ricordi un'infelicita' che s'alza e tre volte tracolla la speranza. Lunga notte... nelle sue sacche cieche i giochi ha fermato del sogno felici e della ragione, che imperiosa afferra: l'infanzia ha soffocato, tranelli ordito per portar lontano, impervio ormai, l'amore... dolcissime corde arpeggiano desideri di vibrare ancora; smorzano ottoni sotterranei clangori... solerti fiati ricurvi hanno spento i timbri: trasmuta l'argento in funereo piombo; non c'e' ritorno ne' arpa che consoli. Legni arcani... avidi s'insinuano, si fan vicino ­ passi che scricchiolano ­ sussurrano le intime presenze ripetono: presto, troppo presto s'e' fatto buio. Riflessivi, a ricordi affidati al confine dell'oblio, per tornare eravamo andati, ancor bambini;
troppo tardi l'angoscia ripiega rassegnata: non e' piu' tempo d'interrogare, non i rimorsi: altissimo solo resta un lamento. Frugato nel sopravvenire crudele, in esausto stupore si placa il cruccio ­ in amaro meditare ­ si piega infine il capo, si da' pace; l'illusione cede del ritorno cede il metallo a rasserenati archi: felice, dolcissima morte viene.
* In pigri mattini assonnati ancora, domeniche solive di fantasia smagliante, lucenti mattini senza memoria: sopraffatto presente luminoso non ancora trapuntato di frotte brulicanti ­ rari cani soltanto ad annusar le poste e figure, sfreccianti nel coltivare il corpo ­ qui, assorti in giornali odorosi a scandagliare notizie in un azzurro barbaglio che intenerisce il verde, nel tuo alito di cioccolato (le tue domande la tua fiducia...) pensieri trasparenti !
NOVEMBRE Aura veloce mormora il suo tormento ed Orione in eterno fuggira' Scorpione. S'alzano venti che portano i morti e van perdendo.
ACCIDIA Ottobre mi trova ancora a futili giochi incline nell'ombra polverosa di desideri trasognati e gia' trascolora il rovere in ocre e marce terre, abbrividisce l'acqua nelle pozze dove specchiano piovane trasparenze d'aria; un'inquietudine che scava nell'ordine delle cose riflessa in umori che mi consumano: quale strada ancora ? dorme, dorme la mia sagacia ed ora che l'aria intirizzisce cosa resta dei giorni, cosa, degli anni che sfogliano e divagano ? il colore sospeso d'una citta' ­ fra barlumi ostinati di luce artificiale e striature di nubi che si spengono in foschi violetti ­ gli odori che m'assalgono (singulto di solitudine) nello spazio d'una vetrina, una donna, che mi accompagna tutta la vita.
* Affiorare, sull'orlo della tua memoria ordita di silenzi intensi di sofferenza, e dipanare fili d'angoscia che ti guidino fuori dai labirinti; nei tuoi sogni entrare e restare ancora a te vicino, cavaliere d'una favola.
FAVOLA EGIZIA Nel muschio degli occhi tuoi svogliate malinconie vorrei sommerse e trasmutate, nel fiore d'un'acacia vorrei racchiuso il cuore, serbato nell'ipnosi dell'estivo ronzio d'un'ape egizia, finche' tu lo trovassi, per posarlo nella coppa di limpide acque: e ancora a te rinascere.
STRASSBURG Ed un nome soltanto basto' e ci strinse d'angoscia. Strassburg era terra di confini che soffocava parole leggere come aliti di vento soffiate per scavare nella pietra d'un introverso amore: suoni, incrinati di turbamento; un tempo era, che, alta sulla fronte, nessuna mano pote' fermare. Qui, fanciulli solari (oh giuramenti focosi !), i giochi davvero finiti, ci siamo staccati tu per l'Anglia piovosa io fra germani rimasto. Fu come un'eclisse.
MORTE DEL CENTAURO Fantasia d'invenzioni inconsistente dinamica di contorni corrosi di velocita' fragoroso immaginario ombra iridescente due volte irreale tu voli folle sul proposito immediato. Nel lucido motore di bielle sincroniche dalla tuta che crepita nel vento sul casco, riflesso un tracciato geometrico di proiettili che urlano accanto, cresce l'ombra che t'incrocera' ora in uno scatto infinitesimale istante improvviso di tuono e schianto carne che scoppia come lo sparo d'un razzo artificiale. Sei stato non eri che nel gioco paziente della formica intenta. Esplosa con te l'agonia lunga di chi senza sapere ha procacciato un appuntamento col vuoto. Gioca questa vescica intorno, ci sfiora e quando detonera' nei nostri occhi ?
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