Teoria del Prospetto Nelle precedenti lezioni abbiamo visto che nell’analisi del comportamento umano il paradigma standard ASSUME (in modo un po' eroico, ma per fini normativi) che l’homo economicus (walrasiano) sia caratterizzato, tra l’altro, da: 1) Auto interesse: non interagiamo (i.e. no preferenze sociali, no altruismo,…). 2) Razionalità ottimizzante: non commettiamo errori sistematici. 3) Preferenze esogene e costanti: le nostre preferenze (cioè il movente delle nostre azioni/scelte/comportamenti) sono assolute, cioè sono indipendenti dal contesto nel quale si fanno le scelte: no tentazione, no avversione alle perdite, no effetto dotazione... Errori e Scelte: Informazioni e capacità cognitive perfette: normativamente dovremmo fare errori nulli (=scelte giuste). Però il Mondo è incerto e complesso: normativamente dovremmo fare errori “oggettivamente” minimi (=scelte razionali). Però l’Uomo è fallibile: errori “oggettivamente” minimi < errori umani (=scelte umane) Studiando la violazione degli assiomi di razionalità, Kahneman e Tversky hanno proposto un modello volto a descrivere in modo più accurato le scelte reali delle persone. Alla fine, essi sono giunti alla cosiddetta Teoria del Prospetto (TP) che, in particolare, mostra che le preferenze non sono esogene ma dipendono dal contesto. M. Bovi Pag. 1 Kahneman è stato Premio Nobel per l’Economia nel 2002 “per avere integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza”. Tversky morì nel 1996. Prospetto vuol dire guardare avanti e, in questa teoria, si può intendere come “farsi un’idea in anticipo”. Il termine “prospetto” sostituisce il termine economico di “lotteria”, ma è stato scelto per sottolineare il carattere fortemente introspettivo con cui le alternative vengono immaginate e analizzate dagli agenti. La TP non è in contraddizione con la Teoria dell’Utilità Attesa, ma punta ad integrarla: La Teoria dell’Utilità Attesa fornisce un modello teorico relativo al modo in cui le persone dovrebbero comportarsi per prendere decisioni ottimali. La Teoria del Prospetto fornisce un modello teorico relativo ai processi decisionali reali che inducono le persone a prendere decisioni sub-ottimali. Di fatto, nel modello di Kahneman e Tversky la Teoria dell’Utilità Attesa diviene il benchmark rispetto al quale giudicare la bontà delle scelte operate dalle persone. Tuttavia molto, troppo, spesso non si riesce a battere il benchmark. Un conto è “come dovrebbe essere”, un altro è “com’è”. E’ la consueta abilità normativa dei modelli standard che, però, sono poco realistici. Detto ciò però, come visto nello studio dell'evasione fiscale, i modelli normativi danno comunque spunti interpretativi e consentono anche interessanti ipotesi di politica economica. M. Bovi Pag. 2 Il maggiore contributo della TP è di tenere conto di quattro aspetti della scelta che NON sono trattati in modo appropriato nel paradigma comportamentale convenzionale. 1. Il primo è il problema per cui le persone non valutano le decisioni di rischio secondo l’ipotesi dell’utilità attesa: sopravvalutiamo l’importanza di eventi improbabili. 2. Il secondo riguarda la considerazione dell’inquadramento (framing), cioè il fatto che risultati equivalenti siano trattati differentemente a seconda del modo in cui sono descritti o del contesto della decisione. 3. Il terzo è la reintroduzione di una misura concreta: l’utilità edonistica realmente provata (actually experienced hedonic utility), che riprende un aspetto dell’utilitarismo classico di Bentham. 4. Il quarto è lo sviluppo da parte della TP di una cornice concettuale per trattare la dipendenza dei comportamenti alle situazioni (situation-dependent behaviors). UN ALTRO ELEMENTO DI “ROTTURA” DELLA TP CON L’ANALISI STANDARD E’ DI NATORA METODOLOGICA: Analisi standard: dagli assiomi alla funzione di utilità (o CI) Analisi del Prospetto: dagli esperimenti alla funzione del valore D’altronde, i proponenti della TP sono psicologi comportamentali e non economisti. M. Bovi Pag. 3 DIFETTI DELLA TP Un difetto di questa letteratura, svelato dall’interpretazione in termini di avversione al rischio del problema dei rendimenti delle azioni, è che la dipendenza dal contesto è una rappresentazione incompleta delle preferenze: non spiega come evolvono le preferenze, ovvero come le preferenze si adattano dinamicamente alle nuove situazioni. Gli esperimenti mostrano che le situazioni inducono le preferenze (che, quindi, non sono un concetto primitivo); ma ci dicono poco sul processo di adattamento comportamentale ad una nuova situazione. Ad esempio, come ci si adatta a situazioni “nuove” del tipo: ingenti perdite sul mercato azionario? grosse vincite/eredità inattese? perdita della vista? nascita di un figlio? ... Noi ci occuperemo solo della teoria del prospetto e non dell’evoluzione delle preferenze. Ma è bene saperlo. M. Bovi Pag. 4 MA, INSOMMA, COME PRENDIAMO LE NOSTRE DECISIONI IN REALTA’? La teoria del prospetto dice che nelle scelte in condizioni di incertezza le persone hanno la tendenza a semplificare il più possibile la scelta in modo tale da risparmiare energie cognitive. In altre parole, le limitazioni cognitive (di memoria e di attenzione) rendono molto difficile fare le complesse operazioni necessarie per calcolare l’utilità attesa. Un prospetto è la combinazione di tutti i possibili esiti di un’alternativa e delle probabilità ad essi legate. Qualche definizione formale (notate la somiglianza con il modello dell’UA): Prospetto X: (x1, p1; ... ; xn, pn) dove p1 + ... + pn = 1 Esempio: Prospetto X: (€100, 0.75; - €200, 0.25) Prospetto X: (vinco €100 con prob. 0.75; perdo €200 con prob. 0.25) Il prospetto privo di rischio che offre la certezza di ottenere x si indica con (x). Cioè, la probabilità pari a 1 non si scrive. M. Bovi Pag. 5 Le due fasi del processo decisionale La Teoria del Prospetto distingue due fasi del processo di scelta: Fase di «Editing» Si tratta di un’analisi preliminare delle alternative che porta ad una visione semplificata dei prospetti disponibili. Fase di «Valutazione» Le versioni semplificate dei prospetti che emergono dalla fase di editing vengono valutati e viene scelto quello con il valore più elevato. Da qui in poi vi offro le evidenze, robuste, risultanti da numerosi e ripetuti esperimenti. M. Bovi Pag. 6 La fase di «Editing» L’analisi preliminare dei prospetti viene fatta, per lo più, a livello inconsapevole e utilizza una gamma piuttosto ampia di operazioni mentali di semplificazione. Le principali operazioni di editing sono le seguenti: Codifica Combinazione Cancellazione Semplificazione Riconoscimento della Dominanza M. Bovi Pag. 7 1. Codifica I risultati offerti da un prospetto vengono codificati in base ad un punto di riferimento («ne stanno sopra? Bene, sono positivi...!»; «stanno al di sotto? Allora sono negativi...»). Le persone si rappresentano gli esiti offerti da un prospetto in termini di guadagni o perdite rispetto alla loro condizione al momento della decisione (oppure rispetto a qualche altro benchmark che vorrebbero raggiungere). Da un punto di vista economico un investitore dovrebbe sempre considerare un guadagno di €3000 come positivo. In realtà: un guadagno di €3000 poterebbe essere considerato come un risultato negativo se l’obiettivo (punto di riferimento) era quello di ottenere €4000. M. Bovi Pag. 8 2. Combinazione Analisi di un singolo prospetto. Utilizzando questa operazione l’agente combina esiti che sono tra loro identici come entità, ma differenti in termini di probabilità di realizzarsi. Esempio: Prospetto Y: (€100, 0.25; - €200, 0.3; €100, 0.45) L’esito 100€ potrebbe essere combinato come nel seguente che è “mentalmente” più semplice: Prospetto Y’: (€100, 0.7; - €200, 0.3) Problema: certe volte il prospetto filtrato dalla nostra mente potrebbe non essere identico a quello oggettivamente propostoci. Un esempio di filtro distorsivo lo riporto parlando di cancellazione. M. Bovi Pag. 9 3. Cancellazione Confronto tra più prospetti. Per semplificare la scelta tra più prospetti i decisori potrebbero cancellare le componenti che sono comuni a tutti i prospetti: Esempio, se la scelta è tra i prospetti A e B: Prospetto A: (€1000, 0.25; - €100, 0.75) Prospetto B: (€1000, 0.1; €500, 0.4; - €200, 0.5) La scelta potrebbe essere semplificata nel modo seguente (si sottrae la prob. di 1000€): Prospetto A’: (€1000, 0.15; - €100, 0.75) Prospetto B’: (€500, 0.4; - €200, 0.5) Entrambi i prospetti hanno ora il 90% di probabilità totale. Ma quelli prima e dopo l'intervento “mentale” non sono la stessa cosa. M. Bovi Pag. 10 4. Semplificazione Spesso i decisori semplificano gli elementi meno agevoli da valutare di un prospetto. Ad esempio, un tipo di semplificazione è quello di arrotondare il valore degli esiti e delle probabilità ad essi associate: Prospetto X: (€199, 0.49; - €201, 0.49; - €100, 0.02) potrebbe essere semplificato/arrotondato come segue: Prospetto X’: (€200, 0.5; - €200, 0.5) In questo modo, però, un prospetto che inizialmente era oggettivamente, ancorché leggermente, svantaggioso viene ora psicologicamente percepito come neutrale: VA di X’ = 0 > VA di X = -2.98 Ricordate nella Teoria dell’UA? La psiche può distorcere una situazione lineare. Quello sopra riportato è un esempio di filtro psicologico distorsivo, però al di fuori dell’UA (poiché nell’UA il soggetto è assunto coerente e con preferenze esogene e indipendenti dal contesto). M. Bovi Pag. 11 5. Riconoscimento della Dominanza Questi concetti li studieremo meglio nelle lezioni sulla TdG. Principio di Dominanza (D): D_1) Un giocatore non dovrebbe mai scegliere una strategia dominata (i.e. una mossa che non gli garantisce un risultato migliore rispetto a quello di tutte le altre mosse) da qualche altra sua strategia. D_2) Quindi, se un giocatore ha una strategia dominante (i.e. una mossa che gli garantisce un risultato migliore rispetto a quello di tutte le altre mosse), questa è la sua strategia ottimale. In base a (D_2), se un giocatore dispone di una strategia dominante allora dovrebbe adottarla, indipendentemente dalle sue opinioni su quello che farà l’altro giocatore. In realtà siamo spesso ingannati dal modo in cui ci presentano le alternative: il nodo sta nel modo. Esempio tratto da Kanheman e Tverski: M. Bovi Pag. 12 Dobbiamo scegliere tra due lotterie: LOTTERIA A non vincere niente con il 90% di probabilità; vincere 45 euro con il 6% di probabilità; vincere 30 euro con l' 1% di probabilità; perdere 15 euro con il 3% di probabilità. Calcolate il VA. LOTTERIA B non vincere niente con il 90% di probabilità; vincere 45 euro con il 7% di probabilità; perdere 10 euro con l' 1% di probabilità; perdere 15 euro con il 2% di probabilità. Calcolate il VA. Si dovrebbe scegliere la lotteria B poiché ha un valore atteso (VA) pari a 2.65 che è superiore al valore atteso di A (che è pari a 2.55). Però nell'esperimento condotto da Tversky e Kahneman la maggioranza degli intervistati ha scelto la lotteria A. Perché? Perché psicologicamente si tende a dare più valore al fatto che nella lotteria A c’è un numero maggiore di esiti positivi (due) rispetto che nella lotteria B (uno). Noi riconosciamo i rapporti di dominanza solamente quando sono espressi in modo esplicito: L’apparenza inganna; la Forma certe volte ha la meglio sulla Sostanza. M. Bovi Pag. 13 Fase di Editing: Considerazioni Conclusive Le operazioni di semplificazione possono essere applicate senza un ordine preciso a seconda delle informazioni su cui si concentra ogni decisore. Ciò crea un problema per la prevedibilità delle valutazioni (e conseguenti scelte) delle persone perché: L’uso di una determinata azione di semplificazione potrebbe precludere l’uso di un’altra operazione di conseguenza l’ordine con cui vengono utilizzate diventa fondamentale. Questo problema si presenta anche quando si propongono questionari alle persone: identiche domande possono dare risposte differenti semplicemente cambiando l’ordine delle domande. Prima delle elezioni del 2008 sui giornali si leggeva: Sullo scandalo delle schede elettorali che portano gli elettori a sbagliare il voto, sollevato da Di Pietro e Berlusconi, Amato continua a dire: ''è tutto secondo la legge'', ''è tutto secondo la legge''. Da questo punto di vista la fase di editing è il momento fondamentale del processo di decisione. Molte delle strategie di ragionamento intuitivo nascono dall’uso delle operazioni di semplificazione. In merito, però, la Teoria degli errori da scorciatoia (heuristics=scorciatoia and bias=errore) ci informa che le scorciatoie mentali – i.e. le semplificazioni – rendono gli errori inevitabili e persistenti. Questa Teoria – elaborata anch’essa da Kahneman e Tversky - merita qualche riga. M. Bovi Pag. 14 Teoria degli errori da scorciatoia (heuristics and bias) Piuttosto che accumulare un insieme ottimo di dati, gli individui spesso accettano acriticamente le informazioni che confermano le loro convinzioni e rifiutano di considerare quelle ad esse contrarie (hindsight bias, confirmation bias). Gli individui si fidano eccessivamente dei loro giudizi e tendono a basare questi ultimi su informazioni facilmente memorizzabili, senza considerare se le notizie disponibili siano effettivamente accurate (availability bias). L’uso di particolari heuristics – o “scorciatoie mentali” o “metodi naif” o “regole del pollice” sono abbastanza efficaci in qualche occasione ma, dicono Kahneman e Tversky, queste scorciatoie producono delle distorsioni che fanno prendere decisioni sistematicamente sbagliate (biased=distorte). Il problema di procedere tramite heuristics è che: 1) Gli heuristics – e quindi gli errori - sono persistenti. Gli individui possono persistere nei loro errori perché si auto convincono di essere nel giusto e/o perché non sono consapevoli di essere in errore. In ogni caso, il punto è che è inutile e fuorviante attendersi che le persone cambino idea sulla base del fatto che sbagliando si paga un prezzo. Le scorciatoie limitano il learning by doing. 2) Gli heuristics sono fenomeni diffusissimi. Cioè non sono escamotages isolati e infrequenti, ma piuttosto il loro uso è un “modus pensandi” radicalmente diffuso tra le persone. L’errore è la regola, non l’eccezione. 3) Gli heuristics sono applicati spessissimo. Si cercano scorciatoie anche per problemi previsivo/decisionali assolutamente normali e non solo quando i problemi sono particolarmente complessi e/o quando la base informativa deve essere necessariamente molto ampia. M. Bovi Pag. 15 La Fase di Valutazione Detto della fase di Editing, veniamo alla seconda fase del nostro processo decisionale come scoperto empiricamente dalla TP, quella della Valutazione. Nella fase di valutazione vengono messe a confronto le forme dei prospetti come precedentemente semplificate nella fase di Editing. La fase di valutazione si basa su due funzioni che le persone utilizzano per valutare, in modo soggettivo, gli esiti e le probabilità ad essi associate. 1. La funzione di Ponderazione delle Probabilità. 2. La funzione del Valore. M. Bovi Pag. 16 1. La funzione di Ponderazione La funzione di ponderazione (peso/filtro soggettivo) mette in luce due aspetti fondamentali relativi alla percezione soggettiva delle probabilità: Le probabilità più basse vengono sopravvalutate (curva soggettiva>linea 45° oggettiva). Le probabilità medio-alte vengono sottovalutate (curva soggettiva<linea 45° oggettiva). Come già fatto nella Teoria dell’UA, notate la distorsione psicologica della realtà. Qualunque sia il calcolo oggettivo, dal grafico delle probabilità si vede anche che: Esiti poco probabili sono sopravvalutati rispetto alla certezza di non ottenerli. Esiti molto probabili sono sottovalutati rispetto alla certezza di ottenerli. Questo fatto spiega l’effetto certezza: M. Bovi Pag. 17 Siamo nel punto più alto della linea a 45° e supponiamo che una vincita certa diventa una vincita quasi certa (es. 98%). Dal grafico si vede che riduciamo in modo eccessivo (rispetto al comportamento normativo) la nostra preferenza per l’alternativa diventata semplicemente “quasi” certa: la probabilità elevata viene sottovalutata rispetto a calcoli oggettivi. Per dire: passando dal 100% al 98% di vincere non dovrebbe farci concludere che la probabilità di vincere è scemata più del 2%. Siamo nel punto più basso della linea a 45° e supponiamo che una perdita certa diventa una perdita quasi certa. Dal grafico si vede che aumentiamo in modo eccessivo (rispetto al comportamento oggettivo) la nostra preferenza per l’alternativa divenuta un po’ meno negativa: la ridotta probabilità di evitare la perdita viene sopravvalutata rispetto a calcoli oggettivi. Per dire: passando dal 100% di perdere al 98% non dovrebbe farci concludere che il pericolo si è ridotto di più del 2%. Eppure gli esperimenti dimostrano che ragioniamo proprio così. M. Bovi Pag. 18 2. La funzione del Valore Come anticipato, la teoria del prospetto differisce dalla teoria dell’utilità attesa anche per il fatto che nella formulazione della teoria, il concetto di “valore” sostituisce la nozione di “utilità”. Non è solo un cambio di termini, è un vero e proprio cambiamento di prospettiva nella determinazione della base per il giudizio di scelta: l’utilità è tradizionalmente considerata “benessere in termini assoluti“, il valore è invece definito in termini di guadagni o di perdite, ovvero di scarti con segno positivo o negativo, rispetto ad una posizione neutra assunta come punto di riferimento. Un esempio chiarirà meglio il concetto e ciò che esso implica a livello di comportamento individuale. Supponiamo che uno di noi tornando a casa dall’Università trovi per terra 100€ ma, all’arrivo a casa, trovi anche una multa inattesa. Insomma: 100€ in regalo (evento A) 80€ di multa (evento B). M. Bovi Pag. 19 Secondo il modello di comportamento razionale, si dovrebbe essere contenti, poiché l’effetto combinato di A (guadagno di 100€) e B (spesa di 80€), fa salire la ricchezza complessiva a M0 + 20, dove M0 è il livello di ricchezza iniziale: si dovrebbero valutare “algebricamente” singoli eventi o insiemi di eventi, secondo il loro effetto cumulato sulla ricchezza complessiva. Poiché l’utilità è una funzione crescente della ricchezza totale, i due eventi, considerati insieme, portano ad un aumento del livello di utilità da U0 a U1, come si vede in figura. Più in generale, secondo il modello standard qualsiasi combinazione di eventi che faccia aumentare la ricchezza complessiva fa anche aumentare l’utilità totale: più è meglio (cfr. le mie slides in materia). Kahneman e Tversky sostengono invece che, spesso, le alternative possibili vengono valutate non con la usuale funzione di utilità, ma con una funzione di valore che non è riferita alla posizione finale del soggetto, ma alle variazioni della sua ricchezza. Ciò vuol dire che tendiamo a soppesare i due eventi separatamente: valutiamo come migliore la situazione di trovare 20€ senza multa piuttosto che quella di trovare 100€ e poi la multa di 80€. Eppure l’entità “oggettiva” è sempre 20€ M. Bovi Pag. 20 Ma quel che è ancor più degno di nota è che diamo molta meno importanza al guadagno rispetto alla perdita, il che spiega la caratteristica peculiare della funzione di valore rispetto alla funzione di utilità: l’asimmetria. Asimmetria vuol dire che perdere e guadagnare 500€ è percepito soggettivamente in modo diverso da quanto dovremmo fare oggettivamente. L’asimmetria implica che la: funzione che si riferisce alle perdite è una curva convessa relativamente più ripida, funzione che si riferisce ai guadagni è una curva concava dall’andamento meno ripida Già dal grafico si vede l’effetto dell’avversione alle perdite. Ma proseguiamo con ordine, sottolineando ancora che l’approccio metodologico non è standard: la funzione di valore deriva da, quindi si basa su, prove di laboratorio. Non discende da assiomi. M. Bovi Pag. 21 La funzione del valore proposta da Kahneman e Tversky ha tre caratteristiche fondamentali: Gli esiti vengono valutati in relazione ad un punto di riferimento (status quo) e sono categorizzati come guadagni o perdite. In entrambi i quadranti (guadagni e perdite) la funzione è caratterizzata da una diminuzione della sensibilità ai cambiamenti. Nel quadrante delle perdite la funzione è più ripida che nel quadrante dei guadagni. L’asimmetria della funzione implica che, posti di fronte ad una possibilità di scelta, rifiutiamo combinazioni di eventi che, sommati, porterebbero renderci più ricchi! L’idea centrale di questa fondamentale riformulazione è che se la funzione di utilità deve spiegare il comportamento “come è”, i suoi argomenti dovrebbero essere i cambiamenti negli stati o eventi e non semplicemente gli stati: dato che è importante il cambiamento, allora il valore che gli individui attribuiscono agli stati dipende dalla relazione dello stato con lo status quo. Il valore, cioè, dipende dal punto di partenza da cui mi muovo a causa del cambiamento(=variazione). NB 1) proprio come nel modello dell’UA, anche nella TP ciò che importa NON è il denaro in sé, quanto il benessere/sofferenza che ci procura averlo/perderlo. Cioè, c’è un filtro psicologico che trasforma (è una funzione) il bene in utilità o, in questo caso, in valore. 2) le distorsioni psicologiche non solo fanno incurvare la realtà (come di solito), qui addirittura la piegano fino a renderla a forma di “S”. M. Bovi Pag. 22 Le tre caratteristiche ora viste della funzione del valore sono alla base di una serie di comportamenti irrazionali sistematici scoperti con numerosi esperimenti (e non assunti a priori): 1. Avversione alla perdita 2. Punto di riferimento 3. Effetto framing 4. Status quo bias La figura precedente è “disegnata” proprio sulla base dei quattro citati comportamenti. Vediamoli uno alla volta. M. Bovi Pag. 23 1. Avversione alla Perdita Dal momento che la curva è più ripida nel quadrante delle perdite rispetto al quadrante dei guadagni le persone hanno una percezione asimmetrica di esiti che cadono sopra o sotto il punto di riferimento. Le perdite creano un dolore circa doppio rispetto al piacere che suscitano le vincite. Da un punto di vista psicologico, una vincita ed una perdita di uguale entità NON si annullano. L’individuo percepisce il risultato finale netto come una perdita. Per questo motivo le persone sono poco propense ad accettare una scommessa come la seguente: 50% di probabilità di vincere €1000 e 50% di probabilità di perdere €1000. Il peso psicologico della possibile perdita supera quello della possibile vincita e la scommessa viene percepita come iniqua. L’avversione alla perdita spiega, almeno in parte, perché non si esce da un investimento in perdita neanche quando sarebbe oggettivamente giusto farlo. Questo principio è stato verificato con una serie di esperimenti condotti da Kahneman e Tversky. Di seguito vi riporto un esperimento tipico. Osservate fin d’ora che il già incontrato gioco “Affari tuoi” segue schemi simili (infatti ve l’ho proposto nelle slides sulla UA di cui la TP è un’evoluzione). Potete dunque verificare se e quanto Kahneman e Tversky hanno ragione. M. Bovi Pag. 24 Si dà a dei soggetti la possibilità di scegliere tra: a) vincere una somma di 100.000€ con il 50% di probabilità, oppure non vincere nulla. b) vincere sicuramente una somma di 50.000€. La maggioranza dimostra di preferire b) ad a). La teoria statistica del valore atteso imporrebbe, invece, di rimanere perfettamente indifferenti tra le due opzioni, essendo i loro valori attesi (VA) perfettamente identici. Infatti: VAa = 0.5*(100.000) + 0.5*(0) = 50.000 = VAb = 1*(50.000) Ma non finisce qui! Le preferenze risultano ribaltate quando si chiede di scegliere tra: c) perdere una somma di 100.000€ con il 50% di probabilità, oppure non perdere nulla. d) perdere sicuramente una somma di 50.000€ La maggioranza ora dimostra di preferire c) a d). Anche qui la speranza matematica suggerirebbe un atteggiamento di indifferenza. Perché tutto ciò? Risposta, perché: nel primo test, dove la scommessa è presentata in termini di guadagno, la tendenza dei soggetti sarà quella di preferire l’opzione sicura, dimostrando di voler evitare il rischio, nel secondo test, dove la scommessa è presentata in termini di perdita, i soggetti tendono a preferire l’opzione rischiosa mostrando così un comportamento - opposto al precedente - di amore per il rischio. Notate quanto siamo poco lineari: L’avversione alla perdita, invece di renderci avversi al rischio, ci rende amanti del rischio. M. Bovi Pag. 25 2. Punto di riferimento A causa dell’avversione alla perdita e della tendenza a codificare gli esiti in guadagni e perdite, le persone sono più abili a fare valutazioni comparative piuttosto che assolute: Tra due esiti positivi di valore assoluto differente si preferisce l’esito inferiore, purché sia migliore rispetto a quello ottenuto da altre persone. Questo comportamento è chiaramente non standard, poiché da un punto di vista oggettivo si dovrebbe sempre ambire a ottenere l’esito più elevato possibile senza considerare gli “altri” (R. Crusoè). Tuttavia, in molti casi, la sensazione “psichica” di essere migliori degli altri appaga più del risultato “fisico” che si ottiene. Ci sono molti casi in cui sopravvalutiamo le nostre capacità relative (es. illusione del controllo). Ecco dei dati che ritengo “devastanti” per l’approccio standard e che ci dicono che, in media, siamo incapaci di valutare oggettivamente le realtà (anche se difficilmente lo confessiamo): M. Bovi Pag. 26 Ogni mese a partire da gennaio 1985 e per sempre (=> dataset incredibilmente informativo) si domanda a 2000 italiani (rappresentativi del cittadino medio): come pensi andrà la tua situazione economica nel prossimo anno? come pensi andrà la situazione economica in Italia nel prossimo anno? Gli intervistati possono rispondere che dovrebbe: LB) nettamente migliorare B) lievemente migliorare E) rimanere stazionaria W) lievemente peggiorare LW) nettamente peggiorare N) non so E’ chiaro che l’Italia non può andare sistematicamente meglio o peggio dei suoi abitanti. Il PIL è la somma oggettiva di tutti i redditi individuali! Ecco le risposte calcolate come media di circa 350 risposte mensili (1985M1-2014M10): M. Bovi Pag. 27 IO L’ITALIA(=NOI) Osservate e riflettete: 1) Istogrammi diversi: (somma degli io) ≠ noi; 2) (W_io+LW_io)<(B_io+LB_io): io me la cavo; 3) (W_noi+LW_noi) > (B_io+LB_io): voi no! M. Bovi Pag. 28 3. Framing Il framing, cioè il “modo di proporre/inquadrare”, riguarda le scelte prese in contesti in cui le alternative sono descritte come guadagni oppure come perdite. Problemi sostanzialmente identici, ma descritti in modo differente, inducono le persone a fare scelte differenti. Esempio: Ipotizziamo che l’Italia si stia preparando per affrontare l’arrivo del virus Ebola che, ci dicono in modo convincente, dovrebbe uccidere 600 persone. Per debellare questa malattia sono stati proposti 2 coppie di programmi di intervento che hanno le seguenti conseguenze (stimate in modo scientificamente preciso): PRIMO FRAME Programma A: 200 persone saranno salvate. Programma B: c’è 1/3 di probabilità che 600 persone si salvino e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi. SECONDO FRAME Programma C: 400 persone moriranno. Programma D: c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che 600 persone muoiano. M. Bovi Pag. 29 Normalmente le persone preferiscono: il Programma A nel primo caso (200 persone saranno salvate); il Programma D nel secondo caso (33% che nessuno muoia, 67% che 600 persone muoiano). Nel primo caso si preferisce un esito certo, Nel secondo si preferisce un’alternativa incerta Questo avviene nonostante che, oggettivamente: il Programma C sia uguale al Programma A il Programma D sia uguale al B. Infatti, OGGETTIVAMENTE (sapendo che verranno contagiate 600 persone): Programma A = 200 si salvano (cioè 400 muoiono = Programma C). D’altronde, i programmi B (33% che 600 persone si salvino, 67% che nessuno si salvi) e D (33% che nessuno muoia, 67% che 600 persone muoiano) non sono altro che la stessa descrizione espressa in termini positivi o negativi. Però, SOGGETTIVAMENTE, sentirsi dire che… …probabilità che si salvano…(A) …probabilità che moriranno…(C) ci fa “interpretare/valutare” prospetti uguali in modo differente. M. Bovi Pag. 30 Insomma, si parla di framing quando varia la descrizione (cornice) del problema, ma restano invariati gli esiti finali. Da un punto di vista economico classico, se non cambiano gli esiti finali, allora non dovrebbero cambiare nemmeno le scelte. Dal punto di vista delle politiche, conoscere come le persone valutano le situazioni è fondamentale. ESEMPIO. Le politiche dovrebbero tener conto che una campagna anti-fumo potrebbe avere una diversa efficacia se si descrivono i rischi legati al fumo piuttosto che i benefici derivanti dal NON fumare. Sui pacchetti delle sigarette, cioè, invece di scrivere: “il fumo uccide” bisognerebbe scrivere: “non fumare, starai meglio” M. Bovi Pag. 31 4. Status quo bias Quando una decisione impone incertezza riguardo agli esiti possibili, possiamo decidere di “non decidere” e rimanere nello status quo, i.e. nella condizione in cui si trovano (ricordate la storia dell’asino di Buridano?). Ciò avviene per diversi motivi: Inerzia e procrastinazione: per modificare lo stato delle cose si deve compiere un’azione che richiede impegno, tempo, denaro. Incertezza: modificare lo stato delle cose può costringere il decisore ad affrontare una situazione che può dare risultati positivi o negativi. Inesperienza: spesso non si cambia una situazione, ancorché poco soddisfacente, se non si conosce l’effetto delle proprie azioni. “Sai che cosa lasci, ma non sai che cosa trovi”… Esempio dal mondo reale: L’assicurazione auto in New Jersey e in Pennsylvania. In questi due Stati nei primi anni ’90 sono state modificate le leggi sull’assicurazione auto. Per ridurre i costi fu introdotta una polizza base che escludeva furto e incendio e copriva solo i danni a terzi. Tuttavia: In New Jersey, i nuovi automobilisti avevano 1. come soluzione iniziale l’assicurazione di base e 2. POI potevano acquistare l’assicurazione completa. In Pennsylvania, i nuovi automobilisti avevano 1. come soluzione iniziale l’assicurazione completa e 2. POI potevano decidere di passare a quella base. M. Bovi Pag. 32 Un’analisi delle scelte degli automobilisti nei due stati ha mostrato che la soluzione di partenza ha un effetto notevole sulle scelte relative all’assicurazione auto: Soltanto il 20% degli automobilisti del New Jersey ha POI deciso di comprare attivamente l’assicurazione completa. Invece il 75% degli automobilisti della Pennsylvania ha deciso tenersi l’assicurazione completa. Grazie allo status quo bias negli Stati Uniti, ma anche da noi, il tasso di adesione ai fondi pensione è stato aumentato con la soluzione silenzio-assenso. Negli USA, in precedenza, il tasso era minore poiché era il lavoratore a dover attivamente decidere se partecipare alla pensione integrativa o meno. Un intervento simile è stato implementato con successo nei paesi del nord Europa nel caso della donazione degli organi. M. Bovi Pag. 33 Esempio tra di noi: Andrea possiede un investimento di €10.000 nell’azienda A. Durante l’ultimo anno ha pensato di spostare i suoi soldi e di investire nell’azienda B, ma alla fine ha deciso di non modificare il suo investimento. Ora ha scoperto che se avesse cambiato investimento avrebbe guadagnato €5.000. Giovanni possedeva un investimento di €10.000 nell’azienda B. Durante l’ultimo anno ha deciso di spostare i suoi soldi e di investire nell’azienda A. Ora ha scoperto che se non avesse cambiato investimento avrebbe guadagnato €5.000. Secondo voi: è più dispiaciuto Andrea o Giovanni? M. Bovi Pag. 34 Gli esperimenti di questo tipo solitamente confermano che la maggioranza delle persone sostiene che Giovanni dovrebbe sentirsi più dispiaciuto nonostante i due protagonisti abbiano ottenuto esattamente lo stesso risultato economico. Ciò dipende dal fatto che Giovanni sbaglia facendo, Andrea sbaglia NON facendo: Non modificare lo status quo nel quale ci si trova di solito ha anche l’effetto di farci sentire meno in colpa (meno dispiaciuti) se qualcosa va storto. M. Bovi Pag. 35