dottrina
di giurispr udenza
di Ugo Terracciano*
L’agente di polizia
municipale fuori servizio
non perde la qualifica
di polizia giudiziaria
Foto Blaco
L
ʼagente di polizia municipale è in servizio ventiquattro
su ventiquattro: le sue funzioni di polizia giudiziaria,
infatti, non si interrompono timbrando il cartellino
dʼuscita e riponendo la divisa nellʼarmadietto. Davanti ad
un reato, dunque, ben venga il suo intervento anche fuori dal
servizio. Eʼ una notizia, questa arrivata tramite unʼarticolata
sentenza, gradita tanto ai cittadini alla ricerca di una sempre
maggiore vigilanza quanto a coloro che, appartenenti alla
stessa polizia locale, chiedono da tempo di vedere meglio
definiti i confini del proprio campo dʼazione. Sta di fatto
che ora, il Tribunale di Forlì, con la decisione n. 238/08 del
21 maggio 2008, nel condannare un cittadino iracheno a sei
anni di reclusione per tentato omicidio, violenza e resistenza
a pubblico ufficiale, ha finalmente gettato un poʼ di luce sulla
questione. Anzi, la sentenza, sul punto del riconoscimento
delle funzioni investigative agli agenti della polizia locale,
può essere definita un giudicato da manuale data la penuria
di precedenti giurisprudenziali in materia. Teatro dei fatti,
il centro storico del capoluogo romagnolo. Una vigilessa
libera dal servizio è a passeggio con unʼamica quando la sua
attenzione viene richiamata dalle urla provenienti da una casa
poco distante. Avvicinatasi, dalla porta semiaperta assiste
sullʼuscio ad una lite furibonda tra un uomo ed altre persone
tra cui due donne a dir poco atterrite dalla paura. Qualcuno
lo sta trattenendo con la forza, ma è piuttosto evidente che
la cosa va degenerando. Così, armata semplicemente di
tutto il suo coraggio, la vigilessa, bussa, entra e cerca di
ristabilire la pace. Lʼuomo si ammansisce e liberato dalla
presa si profonde in una sorta di giaculatoria indirizzata
alla ragazza intervenuta, che ancora non sa essere una
appartenente alla polizia municipale. Le frasi pronunciate
non sono molto comprensibili, il comportamento poco
orientato ma lʼuomo pare aver oramai esaurito tutta la sua
carica di violenza. Quindi la vigilessa per dare un senso
compiuto al suo intervento si qualifica e chiede allʼuomo
di riferirle le sue generalità. La cosa ha lo stesso effetto di
una scintilla in una polveriera: in un crescendo di violenza
lʼuomo (poi identificato per un iraniano), offende e minaccia
lʼagente, le sferra un pugno al petto, lʼagguanta al collo per
strangolarla. Siamo al limite del soffocamento, quando un
passante interviene e blocca lʼenergumeno. Se non fosse stato
per questa provvidenziale presenza – come confermeranno
le successive perizie – lʼavrebbe uccisa: la forte pressione
sullʼarteria giugulare, esercitata con una tecnica tipica delle
arti marziali, le sarebbe stata letale. Lʼamica intanto era corsa
al Comando di Polizia Municipale, distante un centinaio
di metri per avvisare i colleghi, prontamente intervenuti in
forze. Lʼiracheno viene arrestato. Sul tentato omicidio non ci
sono dubbi, tanto che, per fruire di un considerevole sconto
di pena, lʼimputato sceglie il rito abbreviato. Al processo,
però, la difesa avanza rilevanti dubbi in merito al possesso
da parte della vittima della qualifica di agente di polizia: in
gioco cʼè la possibilità di evitare un ulteriore aggravio di pena
per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale.
Lʼagente di polizia locale – sostiene in sostanza la difesa
– svolge funzioni di polizia giudiziaria solo nel territorio
Comunale e durante lʼorario di servizio. Una volta lasciato
il lavoro insieme alla divisa lascia in caserma anche ogni
prerogativa pubblica. Pertanto – sempre secondo la difesa
- non si trattò di violenza e resistenza a pubblico ufficiale
ma di “minaccia e violenza privata per difetto di qualifica
soggettiva della parte offesa e difetto del compimento
dellʼatto dʼufficio”. In altre parole, la cosa andrebbe
considerata come se ad intervenire fosse stato un qualsiasi
cittadino di buona volontà. La questione presenta una certa
importanza, anche per il fatto che sul punto non si è mai
formata una giurisprudenza tanto vasta. Qualche decisione,
per esempio, si è occupata del perimetro disegnato dal
legislatore intorno alla competenza per materia della polizia
locale. Così, per la Cassazione penale “legittimamente
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può procedere a sequestro ai sensi dellʼart. 354 c.p.p. il
comandante della Polizia municipale atteso che costui ha
la qualità di ufficiale di Polizia giudiziaria; infatti a norma
dellʼart. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 il personale
che svolge servizio di polizia municipale nellʼambito del
territorio dellʼente di appartenenza e nei limiti delle proprie
attribuzioni esercita anche funzioni di polizia giudiziaria,
rivestendo poi la qualità di ufficiale di polizia giudiziaria
il responsabile del servizio o del Corpo e gli addetti al
coordinamento ed al controllo”(Cass. Pen. Sez. I, 13 gennaio
1993, n. 4466). Questo però riguardava lʼoperato di un
Comandante nellʼordinario orario di servizio. La stessa
Corte ha poi aggiunto che “dallʼart. 57 cpp non si evince
che lʼattività di agenti di Polizia giudiziaria attribuita ai
vigili urbani debba essere limitata ai soli reati che ledano
interessi comunali. La dizione della norma, infatti, ha
carattere generale e la disposizione è confermativa di
quella contenuta nellʼart. 5, comma 1, lettera a) della
legge 7 marzo 1986, n. 65 sullʼordinamento della polizia
municipale” (Cass. Pen. Sez. V, 8 febbraio 1993 n. 1869).
Sempre sullʼestensione dei poteri di accertamento anche
a reati non di stretta attinenza con le funzioni di polizia
amministrativa locale sono intervenute altre decisioni da
cui traspare, anche se solo tra le righe, che i compiti di
polizia giudiziaria sono riconosciuti a prescindere. “Ai sensi
dellʼart. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 e dellʼart. 57,
comma secondo, lett. b), cod. proc. pen. la qualità di agenti
di Polizia giudiziaria è espressamente attribuita alle guardie
dei Comuni, alle quali è riconosciuto il potere dʼintervento
nellʼambito territoriale dellʼente di appartenenza e nei
limiti delle proprie attribuzioni, tra le quali rientra lo
svolgimento di funzioni attinenti allʼaccertamento di reati di
qualsiasi genere, che si siano verificati in loro presenza, e che
richieda un pronto intervento anche al fine di acquisizione
probatoria” (Cass. Pen. Sez. I, sent. n. 1193 del 26 aprile
1999). A metà degli anni ʼ90, quando ancora le politiche di
sicurezza urbana erano in embrione e la partecipazione della
polizia locale ai piani di controllo del territorio piuttosto
timida, giunge la prima decisione di netta chiusura rispetto
al riconoscimento della qualifica di polizia giudiziaria
fuori dal servizio. A norma dellʼart. 57, comma 2, lett. b)
cpp, - stabilisce la suprema Corte - sono agenti di Polizia
giudiziaria, nellʼambito territoriale dellʼente di appartenenza,
le guardie delle Province e dei Comuni quando sono in
servizio. “Consegue che la qualifica di agenti di Polizia
giudiziaria attribuita ai vigili urbani è limitata nel tempo
(“quando sono in servizio”) e nello spazio (“nellʼambito
territoriale dellʼente di appartenenza”), a differenza di altri
corpi (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, ecc.)
i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale
e sono sempre in servizio. Ne deriva la regolarità della
costituzione della Corte dʼAssise della cui giuria popolare
faccia parte un Vigile Urbano atteso che lo stesso, non
essendo in servizio durante lʼespletamento delle funzioni di
giudice popolare, non riveste in tale circostanza la qualifica
di agente di Polizia giudiziaria” (Cass. Pen. Sez. I, sent. n.
8281 del 22luglio 1995). Non passa un anno, però, che la
stessa Corte corregge il tiro dicendo: “a norma dellʼart. 5
della legge 65/1986, n. 65, primo comma, lett. a) e c) , recante
lʼordinamento della Polizia municipale, le guardie delle
Province e dei Comuni, nellʼambito territoriale dellʼente di
appartenenza e nei limiti delle loro attribuzioni, esercitano
anche funzioni di Polizia giudiziaria, nonché funzioni
ausiliarie di pubblica sicurezza. A tal fine, come dispone il
quinto comma dello stesso articolo, il personale di cui sopra
è autorizzato a portare, senza licenza, le armi in dotazione,
anche fuori servizio (Cass. Pen. Sez. I, sent. del 18 gennaio
1996, n. 553). Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto
legittima la detenzione dellʼarma di ordinanza da parte di
un Vigile urbano il quale, fuori dal territorio del Comune
di appartenenza, era di scorta al proprio Sindaco il quale
rientrava nella sua abitazione dopo un comizio tenuto in un
Comune vicino. Proprio a questʼultima decisione si riconduce
il Tribunale di Forlì, secondo cui non è plausibile la tesi
che lʼart. 57 cpp delimiterebbe lʼattività di agenti di polizia
giudiziaria dei vigili urbani nel senso temporale ovvero
oggettivo (ad esempio stabilendo che tale qualifica spetti
solo a fronte di reati che ledano interessi comunali), essendo
evidente come tale prerogativa, prevista legislativamente, non
possa incontrare limiti laddove accada di dover fronteggiare
situazioni di potenziale pericolo per la sicurezza pubblica.
Come dire che davanti ad un reato flagrante o ad un pericolo
per la sicurezza lʼagente di polizia locale, anche se libero
dal servizio, ha il potere di intervenire e di utilizzare tutti
gli strumenti che lʼordinamento gli conferisce nellʼorari
dʼobbligo.
* Funzionario della Polizia di Stato e Docente di Politiche
della Sicurezza Presso lʼUniversità di Bologna
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