20 aprile 2015 USURA BANCARIA: PRINCIPI APPLICATIVI E CRITERI DI VALUTAZIONE. Indicazioni della Procura di Torino: riflessioni e osservazioni. Sommario. 1. Premessa: dal principio ‘in dubio pro reo’ al principio ‘in dubio contra reum’. 2. Le indicazioni della Banca d’Italia e le valutazioni della Suprema Corte. pag. 4; 3. Le indicazioni della Banca d’Italia e il trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG. pag. 36. 4. Conclusioni: i criteri di valutazione a raffronto. pag. 47. 1. PREMESSA: dal principio ‘in dubio pro reo’ al principio ‘in dubio contra reum’. Al fine di assicurare una omogeneità di interpretazione dei criteri di valutazione del reato di usura, è stato predisposto dalla Procura della Repubblica di Torino un documento1 riportante indicazioni per i consulenti incaricati di verificare il rispetto delle soglie d’usura2. 1 ‘Principi interpretativi e criteri di valutazione in funzione dell’accertamento del reato di usura.’, in assoctu.it. 2 Il perito e il consulente tecnico sono chiamati ad affiancare il pubblico ministero prestando le proprie specifiche competenze, volte ad arricchire il patrimonio cognitivo del magistrato. A differenza degli ufficiali di polizia giudiziaria, ad essi è richiesta non solo un’attività materiale caratterizzata da un qualificato grado di capacità tecnica, ma anche e soprattutto una motivata valutazione critica dei risultati di detta attività: l’incarico non si esaurisce in semplici ‘rilievi’ ma si estende ad elaborazioni critiche che configurano veri e propri ‘accertamenti’ tecnico-scientifici. Come precisato da Cass. Pen., sez. I, sent. 14/03/90 n. 301 (ud. del 09/02/90), Duraccio (r.v. 183648): “… la nozione di “accertamento” riguarda non la constatazione o la raccolta di dati materiali pertinenti al reato ed alla sua prova, che si esauriscono nei semplici rilievi, ma il loro studio e la relativa elaborazione critica, necessariamente soggettivi e per lo più su base tecnicoscientifica; la distinzione trova testuale conferma normativa in ripetute disposizioni del nuovo codice (ad es., negli artt. 354, 359, 360) che menzionano separatamente i termini “rilievi” e “accertamenti”, con implicita assunzione, per ciascuno, del significato specifico precedentemente delineato“. Cfr. anche Cass. Sez. II, 14/05/92. 1 Ripercorrendo le argomentazioni sviluppate nel documento predisposto dalla Procura di Torino emergono con particolare evidenza le criticità con le quali ci si confronta se si applicano i criteri indicati dalla Banca d’Italia nella verifica dell’usura, per le discrasie che si incontrano con gli inderogabili principi normativi posti a presidio dell’usura stessa. Dalle riflessioni e considerazioni sviluppate in un documento coevo3 risulta emergere chiaramente che le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia assumono un valido e riconosciuto riferimento tecnico, solo nella misura in cui risultino coerente con il dettato dell’art. 644 c.p.: ove emerga una dissonanza che possa configurare un ragionevole dubbio, il riferimento non può che essere ricondotto alla norma di legge. La misura del ragionevole dubbio sulla liceità dell’azione riveste una funzione di estrema delicatezza nei risvolti penali dell’usura bancaria, dovendosi infatti accertare se le circostanze nelle quali si è commesso il reato, potevano configurare – nella valutazione di un operatore professionale – elementi di incertezza sufficienti ad indurlo dall’astenersi dal compiere l’azione rivelatasi illecita. Si rende infatti necessario integrare e conciliare due distinti principi. Da un lato occorre considerare che ‘Attraverso l’art. 533 c.p.p.- inserito dall’art. 5, l. 20 febbraio 2006, n. 46 – il legislatore ha dato (…) dignità normativa al principio dell’in dubio pro reo, che era già stato fatto proprio, peraltro, dal diritto vivente. Pertanto, non può essere trascurato che adesso, sul piano positivo, l’applicazione dello I margini di valutazione rimessi al consulente costituiscono l’aspetto di maggiore delicatezza e professionalità: l’“incompetenza” del giudice impone il ricorso al tecnico, che è chiamato a colmare le lacune conoscitive del giudice. Né dalle valutazioni possono escludersi interpretazioni giuridiche: “appare sfornita di qualsivoglia fondamento la censura relativa al fatto che ai consulenti nominati dal Pubblico Ministero sia stato affidato l'inammissibile compito di interpretazione delle norme giuridiche: risulta infatti che a questi siano stati affidati precisi quesiti attinenti questioni di fatto, che naturalmente possono presupporre una certa interpretazione delle norme di legge che regolano tali materie, senza per questo dover ritenere che vi sia stata una "sostituzione" nella attività finale di interpretazione, che è riservata al giudice” (Cass. Pen. Sez. VI, 2/10/06, n. 2818). Da qui la necessità, da parte del consulente, di rendere conto compiutamente dei principi giuridici e criteri tecnici che guidano e presiedono i calcoli e le valutazioni a cui è pervenuto. Così che il giudice possa consapevolmente giudicare, più che i calcoli ai quali per “incompetenza” non ha accesso, le basi giuridiche e i risvolti tecnici posti a fondamento della consulenza, sui quali, invece, può maturare un proprio giudizio. 3 R. Marcelli, Il mercato del credito e le soglie d’usura. La riserva di legge e il paradosso della riserva della Banca d’Italia, 2015, in assoctu.it. 2 standard probatorio del ragionevole dubbio non è più rimesso alla prudentia del giudice, ma ha un’immediata portata normativa. Attraverso tale disposizione il sistema penale stabilisce quale sia il grado di conferma che la prova del dolo deve ricevere per giustificare un’affermazione di responsabilità. Solo il raggiungimento di tale certezza consente di ribaltare la presunzione costituzionale di innocenza, mentre qualora le prove presentate dall’organo requirente non permettano di giungere ad un convincimento pieno, l’organo giudicante sarà tenuto a non emettere sentenza di condanna. Diversamente ragionando, infatti, risulterebbe violati i principi informatori dell’ordinamento sostanziale e processuale penale (art. 27, comma 1, Cost.); il principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.) e il principio della presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.) (F. Arnone, Riflessioni penalistiche in tema di commissioni di massimo scoperto e usura, in Riv. Trim. dir. Pen. Econ. 1-2/2011). Per contro non si può trascurare che “… il ragionevole dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (cfr. in tal senso Sez. 6, Sentenza n. 6175 del 27/03/1995 Ud. (dep. 27/05/1005) Rv. 201518).” (Cassazione Pen. II Sez., n. 46669/11). I due principi, quando vengono congiunti, lasciano ristretti spazi di giustificazione all’operatore professionale: il livello di certezza imposto dal principio dell’in dubio pro reo, viene traslato dall’illecito all’incertezza sulla liceità; ma questo, per un operatore professionale al quale è precluso ogni aspetto di ignoranza, porta a capovolgere il principio ‘in dubio pro reo’ nel principio ‘in dubio contra reum’. Nella circostanza della verifica dell’usura, non occorre attendere che la Cassazione dirimi tutti i dubbi che insorgono nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia. Nel dubbio, purché esteso entro un ragionevole margine, il comportamento dell’operatore creditizio deve essere necessariamente informato ad una condotta cauta e prudente che si mantenga, non solo entro i limiti ‘laschi’ rivenienti dalla ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, ma anche entro i limiti più ristretti di un rigido rispetto del portato letterale dell’art. 644 c.p. Il margine di incertezza per divenire ragionevole ha un percorso assai breve: come ribadisce la Cassazione, il calcolo previsto dal 644 c.p. ‘non presenta in sé particolari difficoltà”. 3 Da un accurato esame della rigorosa ermeneutica, puntualmente circostanziata e compiutamente sviluppata nella pronuncia della Cassazione n. 46669/11, possono trarsi i principi guida ai quali informare i criteri di verifica del rispetto delle soglie d’usura, operando una distinzione, opportuna e necessaria, fra piano civile e piano penale, fra accadimenti pregressi e accadimenti successivi alle precisazioni apportate dalla Cassazione. 2. LE INDICAZIONI DELLA BANCA D’ITALIA E LE VALUTAZIONI DELLA SUPREMA CORTE. La Corte costituzionale, attenta a presidiare compiutamente il principio di riserva di legge, ha previsto che ‘il nucleo fondante il contenuto illecito’ non può essere rimesso alla discrezionalità dell’Organo amministrativo: ‘la legge deve indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena’. (Corte Cost. 14 giugno 1990, n. 282; cfr. anche 23 marzo 1966, n. 26). Nel documento della Procura si rileva che la Suprema Corte, in più occasioni, nell’escludere ogni dubbio di incostituzionalità della norma penale dell’usura, ha circoscritto il ruolo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) - e con esso quello dell’ausilio prestato dalla Banca d’Italia – limitandolo alla rilevazione ‘fotografica’ dei tassi di mercato. La Cassazione, se da un lato riconosce che l’intervento di fotografare i tassi di mercato ‘postula delle scelte interpretative’, dall’altra qualifica tali scelte entro ‘rigorosi criteri tecnici’. D’altra parte il concetto meccanico di fotografia richiama direttamente l’automatismo implicito in una metodologia asseverata da ortodossi canoni matematici, coerenti con il disposto normativo4. I principi di tassatività e determinazione rimangono esaustivamente ed esclusivamente attestati nella legge: nessuna interferenza, discrezionalità o creatività può essere rimessa alle scelte dell’Organo amministrativo, al 4 Si è al riguardo osservato: ‘il passaggio dalla incontrollabile discrezionalità del giudice alla discrezionalità del potere esecutivo, che è pur sempre ancorata a parametri oggettivi come quelli alla base del decreto del Ministero del Tesoro, segna (…) un notevole passo in avanti nel terreno del rispetto della riserva di legge, sotto il profilo della precisione del precetto’ (Magri, I delitti contro il patrimonio mediante frode, in Trattato di diritto penale – parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, Padova 2007. 4 di fuori degli oggettivi criteri tecnici previsti dalla scienza della finanza e usualmente praticati sul mercato5. La determinazione del costo del credito è una e non presenta, in sé, alcun margine di incertezza, di interpretazione o di scelta: nella matematica non alberga l’opinione, la scienza è esatta. Diversa è la circostanza di una rilevazione statistica del tasso medio di mercato, rivolta a cogliere – nel preciso senso di ‘stimare’ – il tasso che ordinariamente e fisiologicamente viene praticato per una determinata tipologia di credito. In questo caso la metodologia comporta una scelta di criteri che investono sia le modalità di rilevazione sia i criteri matematici di sintesi del dato raccolto, che devono comunque essere informati a ortodossi principi scientifici, funzionali all’obiettivo al quale è rivolta la rilevazione stessa. Le criticità della norma subordinata, predisposta dal MEF e dalla Banca d’Italia, si presentano su entrambe i distinti fronti menzionati. Da un lato insorgono diffuse perplessità nei principi di rilevazione adottati dalla Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM. Nella definizione delle categorie di credito, nella formula di calcolo, nei criteri di inclusione degli oneri e spese, riportati nelle ‘Istruzioni’ e, a partire dal ’09, anche nelle FAQ di spiegazione, la Banca d’Italia si è avvalsa di ampi margini di soggettività che in più aspetti - oltre che discostarsi da ortodossi ed oggettivi canoni metodologici di rilevazione statistica - si contrappongono agli stessi principi fissati dalla norma di legge Dall’altro, con un atto che vorrebbe esautorare il disposto legislativo, i decreti del MEF prescrivono che quegli stessi criteri discrezionali impiegati dalla Banca d’Italia per la determinazione del tasso di mercato, vengano altresì impiegati per la verifica dell’usura; la discrezionalità impiegata dalla Banca d’Italia nei ‘criteri di calcolo’ e nei ‘criteri di inclusione’, verrebbe in tal modo trasposta dal processo di rilevazione statistica al 5 “Ebbene, basta poco per avvedersi di come il delitto di usura, quale definito a seguito dell’intervento novellistico operato dalla legge n. 108/96, non riservi affatto – come pretenderebbe il ricorrente – compiti ‘creativi’ alla pubblica amministrazione, affidando a questa margini di discrezionalità che invaderebbero direttamente l’area penale riservata alla legge ordinaria. Come già ampiamente sottolineato anche dai giudici di merito, infatti, il legislatore si è fatto carico di introdurre e delineare una rigida ‘griglia’ di previsioni e di principi, affidando alla formazione secondaria null’altro che un compito di ‘registrazione’ ed elaborazione tecnica di risultanze, al di fuori di qualsiasi margine di discrezionalità.” (Cassazione penale, Sez. II, 18/3/03, n. 20148). 5 processo di verifica, con il paradossale riflesso che la riserva di legge passerebbe alla Banca d’Italia 6. ‘In questo duplice uso delle ‘Istruzioni’ si annida il germe di un fraintendimento. (…) E che quindi le ‘Istruzioni’ comandino e orientino anche la verifica (giudiziale) della legalità del contratto di credito sub specie di rispetto del tasso soglia. In termini ancor più netti: ’quel che non entra nel TEGM, non può entrare neppure nella verifica giudiziale del tasso soglia’ perché le ‘Istruzioni’ (amplius il compendio delle fonti secondarie) sono ‘norme tecniche autorizzate’, previste dalla normativa primaria, necessarie per dare 6 Consequenzialmente le decisioni dell’ABF – troppo spesso all’unisono con gli orientamenti della Banca d’Italia – pervengono all’aberrante conclusione di accertare l’’usura sopravvenuta’ nella modifica delle ‘Istruzioni’ dell’Organo di Vigilanza, che ha ricompreso, a partire dal ’10, le spese di assicurazione obbligatorie nel calcolo del TEG. ‘ In più di una occasione l’Arbitro bancario finanziario ha considerato rilevante ipotesi di usura – e di usura sopravvenuta, in particolare – quella che viene a prodursi a seguito di modifiche delle Istruzioni emanate della Banca d’Italia che sopravvengono durante il corso di svolgimento del rapporto tra le parti. Si vedano così, tra le altre, di recente la decisione del Collegio Roma, 11 gennaio 2013, n. 174 (carico considerato comprensivo anche delle spese di assicurazione a far data dall’1 gennaio 2010 e da lì ritenuto usurario); quella del Collegio Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796 (commissione di massimo scoperto); quella del Collegio Roma, 25 luglio 2013, n. 4036 (spese per assicurazione); nonché quella Collegio Roma qui pubblicata, n. 4374/2013 (sempre spese di assicurazione; in via incidentale la decisione sottolinea come gli oneri «estremamente elevati» del finanziamento abbiano comportato – una volta inserita la voce assicurativa – che il costo relativo ha finito per «risulta[re] sempre superiore al tasso soglia dell’usura»). Ora, nei confronti di questo tipo di soluzione – così come astrattamente considerata – non mi pare vi sia nulla da obiettare. Sennonché, a guardare bene le fattispecie concrete, che sono state giudicate, si scopre che ci si trova di fronte (= che ci si può trovare di fronte, rectius) a ipotesi in cui la sopravvenuta modifica delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia altro non è che un (tardivo) adeguamento della Vigilanza a indirizzi interpretativi della legge antiusura già fatti propri dalla giurisprudenza (di legittimità e/o di merito). Per queste ipotesi - e così, dunque, per la decisione qui annotata, per l’appunto concentrata sulla voce economica relativa alla polizza assicurativa a servizio del credito - si può molto dubitare, a me pare, che la soluzione dell’usura sopravvenuta sia davvero corretta: qui, piuttosto, la fattispecie rinvia diretta alla figura dell’usura originaria. Detto in altri termini: un conto è che la Banca d’Italia modifichi il proprio orientamento entro il segno della discrezionalità che la legge n. 108/1996 le consente (come quando rimodula le categorie di operazioni sulle quali ordinare i diversi TEGM, rispettando appieno le prescrizioni di legge al riguardo); un altro conto, e diverso assai, è quando la (precedente) interpretazione della Vigilanza si pone in contrasto con le indicazioni fornite dalla legge (specie se pure avallate dall’autorità della lettura giurisprudenziale). Come spesso vengono a ricordare le sentenze dei giudici (e ormai non solo più di quelle di Supremo Collegio), in effetti, le «direttive e le istruzioni della Banca d’Italia … non sono vincolanti per gli organi giurisdizionali, non essendo fonti normative’ (Dolmetta, Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria, in diritto bancario.it, febbraio 2014). 6 uniforme applicazione all’art. 644 c.p. e pertanto cogenti (Trib. Milano 3/6/14 e 21/10/14; conformi Trib. Ferrara 2/7/14; più recenti Trib. Avezzano 21/1/15). Questo fraintendimento s’è esercitato in modo eclatante su CMS (‘rilevate separatamente’ fino all’agosto 2009 e quindi in tesi non rilevante ai fini del rispetto del tasso soglia) e tasso di mora (non rilevato su base sistematica neppure oggi e quindi in tesi estraneo alla verifica di usurarietà).’7. 7 ‘Neppure si può dire che la fonte ministeriale sia delegata dalla norma primaria a individuare le voci di costo rilevanti ai fini della verifica di legalità del tasso. L’art. 644 co. 4 prevede che ‘per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese’ senza far rinvio a un aggregato di costi predeterminato dai d.m.: criterio funzionale e autosufficiente (Il nomen juris è espressamente tenuto per irrilevante, visto che la remunerazione entra nel calcolo del tasso usurario ‘a qualsiasi titolo’ (art. 644) e ‘comunque denominato’ (art. 2-bis comma 2 del dl 185/08), purché sia onere funzionalmente collegato all’erogazione del credito). L’art. 2 legge 108/96 seppure prescrive alla fonte secondaria di considerare ‘interessi commissioni spese’ inerenti la concessione del credito, tuttavia riguarda la rilevazione statistica e non la verifica di legalità. E’ questo il punto. (…) Nessuna norma primaria stabilisce un raccordo tra le ‘Istruzioni’ (valide ai fini statistici) e il TEG così da circoscrivere il perimetro dei costi rilevanti a quelli soli considerati ai fini del TEGM. (…) E’ l’art. 3 d.m. che ha la pretesa di chiudere il cerchio TEGM-TEG prescrivendo alle banche di verificare la legittimità del tasso utilizzando le Istruzioni della Banca d’Italia. E’ sufficiente dire che questa norma, se ha per effetto di restringere il perimetro di rilevanza dei ‘costi inerenti’ viene a trovarsi ion conflitto con l’art. 644 c.p. Quindi l’art. 644 c.p. è bensì norma penale in bianco, ma soltanto nel senso che non può operare senza la pubblicazione in d.m. del TEGM da cui rilevare il tasso soglia. Il tasso medio pubblicato vale però in quanto tale e non in funzione dell’aggregato di costi contemplato dalla Banca d’Italia e sintetizzato in quel dato. (…) Il d.m. non è un listino prezzi, come i vecchi provvedimenti del C.I.P. anni ’70, organizzato per voci di costo. Del lavoro di elaborazione dei dati ciò che l’art. 644 c.p. recupera e recepisce è il risultato di sintesi, il numero finale che esprime il costo medio. Nel fuoco di questa sintesi si consumano e perdono di rilevanza le singole voci. (…) TEGM e TEG sono dunque omogenei, ma soltanto nel senso che unico è il criterio normativamente previsto di rilevanza, ossia l’inerenza alla concessione del credito.(…) Siamo d’accordo che la Banca d’italia esercita discrezionalità tecnica. Ma il punto è precisamente un altro, qual è l’oggetto su cui questa discrezionalità deve esercitarsi. L’art. 2 co. 1 è chiarissimo: si tratta della rilevazione del TEGM e non c’è una cinghia di trasmissione normativa che dia a Banca d’Italia il potere di fissare i ‘costi inerenti’ con determinazioni di inclusione/esclusione (in tesi) vincolanti per il giudice.(…) In conclusione. E’ indubbio l’imbarazzo dell’interprete di fronte all’evidente disallineamento tra la verifica empirica dell’inerenza al credito e le Istruzioni. Non sorprende che in una fase di tardo capitalismo finanziario e tecnocrazia si manifesti un’incertezza nel sistema delle fonti del diritto: seguire la legge oppure le Istruzioni del Banca d’Italia? Quell’incertezza è la spia della distanza trala Costituzione scritta e quella che Carl Schmitt chiamava Costituzione materiale. Comunque sia, il giurista positivo non può che risolvere il dilemma prendendo atto che il nodo esiste e non può essere sciolto: deve essere invece tagliato d’autorità disapplicando perché in violazione di legge l’art. 3 d.m. nella parte in cui prescrive alle banche di verificare il TEG utilizzando le Istruzioni della Banca d’Italia. (E. Astuni, Convegno ‘L’usura bancaria nel conto corrente e nel mutuo’, Milano 27/3/15). 7 Se la metodologia di rilevazione del tasso medio di mercato, adottata dalla Banca d’Italia, è complessa, articolata e mutevole nel tempo8, la norma che regola l’usura rimane immutabile sino a nuova determinazione legislativa ed è chiara, semplice, di immediata comprensione ed applicazione: “(…) non è scusabile l’errore riferibile al calcolo dell’ammontare degli interessi usurari, (…) trattandosi di interpretazione che, oltre ad essere nota all’ambiente del commercio, non presenta in sé particolari difficoltà” (Cass. 226911/03). Il riferimento della Cassazione (ripreso dalla successiva Cass. N. 46669/11) non può che essere ricondotto alla formula del TAEG, l’unico corretto metro, tradizionalmente impiegato dal mercato finanziario per misurare il costo del credito: ogni altro metro distorce la valutazione del costo e nella distorsione si creano spazi dove si annida l’elusione. Se si riconduce la verifica dell’usura alla singolare formula e agli articolati criteri delle ‘Istruzioni’ e delle FAQ si introduce una opacità e discrezionalità che viene sostanzialmente a compromettere determinatezza e tassatività della norma penale. Un tale percorso logico non può sortire altra soluzione che quella adottata dal Tribunale di Caltagirone (dott. M. Gennaro, sentenza 21/6/12), il quale, discostandosi dalla Cassazione n. 46669/11, non ha ritenuto di procedere non ‘perché il fatto non costituisce reato’, bensì ‘per insussistenza dei fatti’. Nella circostanza, il Gip – nel considerare le incertezze e le diverse metodologie di inserimento delle CMS - ha ritenuto che “non si vede in quale modo sia possibile, in un sistema siffatto, tener conto ‘a posteriori’ della CMS nel calcolo del tasso usurario senza violare irrimediabilmente il principio di tassatività dell’illecito penale, principio com’è noto direttamente ritraibile dall’art. 25 Cost.” 9. 8 Sul piano tecnico-scientifico si possono elaborare più metodologie ed algoritmi per conseguire una corretta rilevazione del valore medio di mercato, in relazione alla funzione che la media stessa deve assolvere nel tempo, coerentemente con l’evoluzione del mercato; ad esempio, se si fosse adottata le media ponderata con i valori del credito erogato, il TEGM sarebbe risultato apprezzabilmente più basso, più accostato al valore accertato sulla diversa rilevazione effettuata sui crediti della Centrale dei Rischi. Al contrario la rilevazione del costo del credito, nel chiaro ambito normativo disposto dall’art. 644 c.p., non lascia spazio a formule diverse da quella tradizionalmente impiegata. Le due distinte prospettazioni presentano notevoli ambiti di prossimità, che tuttavia non si risolvono in una piena identità. 9 Non si può trascurare che la ‘Babele’ giuridica che si è venuta a determinare, nonostante la posizione assunta dalla Cassazione, possa essere proprio la risultante di una sostanziale carenza dei principi costituzionali che presiedono la portata applicativa della norma penale. “ (…) non può sfuggire che la fonte primaria non determina i modelli matematici (la formula) da 8 D’altra parte appare palese che estendendo i criteri di calcolo ed inclusione delle ‘Istruzioni’ anche alla verifica, si viene a rimettere l’applicazione della legge alla storica variabilità delle determinazioni degli atti dell'amministrazione (…) Il totale rinvio al regolamento od all'atto amministrativo subordinato, da parte della legge penale (…) nella persistenza del potere dell'amministrazione di modificare l'atto stesso, equivale a rinvio, da parte della legge, al potere subordinato ed è, pertanto, chiaramente violativo della riserva di legge ex art. 25, secondo comma, Cost. Ma d’altro canto la Cassazione ha reiteratamente chiarito che non vi è alcun contrasto con l’art. 25 Cost. in quanto il principio di riserva di legge è rispettato dalla legge 108/96 che indica analiticamente il procedimento per la determinazione del tasso soglia, anche se postula delle scelte interpretative da parte dell’Organo di vigilanza in sede di rilevazione statistica dei tassi medi effettivamente praticati nel trimestre10. utilizzare per il computo della ‘media’ e che, ovviamente, a criteri di calcolo diversi corrispondono soluzioni diverse ovverosia ‘soglie’ differenti. (…) Inoltre la classificazione delle operazioni - adempimento annuale che consente l’operatività in concreto della fattispecie incriminatrice, dal momento che alla singola classe corrisponde un determinato tasso soglia – è demandata alla scelta del tutto discrezionale dell’autorità amministrativa; autorità alla quale viene, peraltro, riconosciuto il potere di procedere alla classificazione secondo criteri del tutto indeterminati e privi di reale contenuto, almeno fintanto che vengano apprezzati in linea teorico-astratta quali parametri ‘la natura’, ‘l’importo e la durata’ del finanziamento ovvero il beneficiario e le garanzie da questi prestate in ragione del ‘rischio’ dell’operazione, criteri che, al contempo, concorrono a formare i ‘dati’ sulla base dei quali vengono effettuate le rilevazioni che conducono alla individuazione del tasso effettivo medio globale. E, per giunta, la articolazione interna di simili classi (di operazioni) per ‘categorie omogenee’ non è minimamente pre-determinata, in modo che si finisce per affidare (addirittura) all’interpreteoperatore giudiziario il compito di qualificare il negozio intercorso fra le parti e, quindi, collocare l’operazione in una, piuttosto che in altra, categoria tipologica; (…) Ora è a tutti nota la posizione da tempo assunta in materia da parte della Corte costituzionale: oltre la determinazione della pena va riservata alla legge ‘la sufficiente specificazione del fatto’ ovvero la determinazione del ‘contenuto politico essenziale’ del divieto. Il rinvio ad un atto sublegislativo (peraltro, preesistente) risulta in tale ottica conforme ai principi di riserva di legge e di determinatezza nella misura in cui non ‘perduri la facoltà dell’amministrazione di mutare, sostituire o abrogare l’atto stesso’ e sempre che consista nella pura e semplice attività di specificazione di meri elementi tecnici da effettuare sulla scorta dei criteri indicati dalla legge in modo preciso, così da non creare inammissibili ‘incertezze sul contenuto essenziale dell’illecito penale” (R. Rampioni, La fattispecie di usura presunta nel crogiolo della pratica applicativa. Il ‘nodo’ della commissione di massimo scoperto mette a nudo il non sense della delega politica ad organi tecnici. Cassazione penale, 2012). 10 “Proprio il rilievo che assume la procedura amministrativa per l’integrazione del reato ha fatto sorgere dei dubbi di costituzionalità della norma. Sul punto è intervenuta questa Sezione che ha statuito che: “In tema di usura è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità 9 La Cassazione n. 46669/11, chiamata a dirimere la ‘difformità’ rilevata per l’esclusione della CMS dalla rilevazione del TEGM, non ha ravvisato alcuna violazione dell’art. 25 Cost. ostativa dell’applicazione della norma, a seguito del comportamento ‘difforme’ della Banca d’Italia, puntualizzando tuttavia principi che più in generale investono ‘a tutto tondo’ l’intervento dell’Organo amministrativo nel ruolo di integrazione e completamento allo stesso assegnato dalla legge. D’altra parte perplessità, analoghe a del combinato disposto degli artt. 644, terzo comma cod. pen. e 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108 per contrasto con l’art. 25 Cost., sotto il profilo che le predette norme, nel rimettere la determinazione del “tasso soglia”, oltre il quale si configura uno degli elementi oggettivi del delitto di usura, ad organi amministrativi, determinerebbero una violazione del principio della riserva di legge in materia penale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20148 del 18/03/2003 Ud. Rv. 226037). Con tale pronunzia la Corte ha osservato che il principio della riserva di legge è rispettato in quanto la suddetta legge indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministro del tesoro solo il limitato ruolo di “fotografare”, secondo rigorosi criteri tecnici, l’andamento dei tassi finanziari. Non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari. Questo percorso postula l’intervento della Banca d’Italia che nella sua qualità di Organo di vigilanza deve fornire le dovute istruzioni alle banche ed agli operatori finanziari autorizzati per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi praticati dal sistema bancario e finanziario in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie. E tuttavia questo intervento tecnico per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari postula comunque delle scelte interpretative da parte dell’Organo di vigilanza tanto in merito alla classificazione delle operazioni omogenee rispetto alle quali effettuare la rilevazione dei tassi medi effettivamente praticati nel trimestre, quanto in merito all’individuazione “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese (…) collegate all’erogazione del credito”, che devono essere incluse nelle rilevazioni statistiche, quanto delle voci che devono essere escluse, in quanto imposte o tasse, ovvero oneri non collegati all’erogazione del credito. (Cassazione, 19/2/10, n.12028). Al riguardo A. Cugini, nel commentare la sentenza, riporta: “ L’arresto della Suprema Corte fornisce anche una riposta alla possibilità vagheggiata dalla giurisprudenza di merito di fare applicazione nel caso di specie del potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, come statuisce la l. 2248/1965 e ricorda la stessa giurisprudenza di legittimità (Sez. V, 12 gennaio 1996, n. 3455, in www.lex24.it). I giudici del Supremo Collegio hanno evidentemente ritenuto di non configurare nel caso di specie un’ipotesi di illegittimità dell’atto amministrativo (quale potrebbe derivare, in astratto, solo dal mancato rispetto della lettera dell’art. 644, co. 4 c.p. nella parte in cui impone alla fonte secondaria di includere le “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese” sostenute da chi si vede erogato il credito), da ciò pacificamente derivando il difetto di presupposto onde procedere all’esplicazione del potere giudiziale. Del resto, come ricordato in dottrina, il panorama giuridico attuale non coinvolge più tanto il sindacato giudiziale dell’atto amministrativo, quanto l’esercizio in sé del potere giudiziario e la funzione di supplenza a questo attribuito (sul punto MANES, L’eterointegrazione della fattispecie penale mediante fonti subordinate, tra riserva “politica” e specificazione “tecnica”, in Riv. it. dir. pen. proc., 2010, p. 112). (A. Cugini, La valutazione del carattere usurario del tasso di interesse praticato dagli istituti di credito, in Cassazione Penale, 2010, n12) 10 quelle sollevate per le CMS, si pongono per le altre spese, in particolare quelle di assicurazione, prima escluse e successivamente, con le ‘Istruzioni’ ’09, incluse nel TEG e ancora per il criterio di calcolo che sino al ’09 non prevedeva l’annualizzazione, poi prevista, con le ‘Istruzioni’ ’09 per gli oneri e spese non occasionali, e subito dopo modificata con le successive FAQ del ‘1011. Se si seguono i mutevoli ‘umori’ metodologici della Banca d’Italia – con gli alterni e significativi risvolti di calcolo impiegati – si introducono elementi di opacità che vanificano il presidio di legge, pervenendo inevitabilmente alle menzionate conclusioni del giudice di Caltagirone. Con i reiterati rinvii alla norma di legge e il perentorio ridimensionamento delle valutazioni espresse dalla Banca d’Italia nelle ‘circolari’, ‘direttive’ ed ‘istruzioni’, la Cassazione n. 46669/11 ha ripristinato la gerarchia delle fonti normative: rimane ormai del tutto inoperante e altresì fuorviante la menzionata prescrizione in tema di verifica dell’usura, che continua ad essere riportata all’art. 3, comma 2, dei decreti del MEF12. Si rinvia ad un precedente lavoro per una più diffusa illustrazione delle molteplici discrepanze fra le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia e i principi fissati dalla norma, nonché delle ragioni per le quali risulta pretestuoso sollevare un principio di non contraddizione per pretendere la perfetta omogeneità fra criteri rivolti a finalità diverse 13: i criteri di rilevazione statistica del tasso medio devono rimanere accostati al criterio di verifica 11 Con le FAQ il concetto di ‘evento occasionale’ non ripetibile delle ‘Istruzioni’ viene rimosso e sostituito con il concetto di ’evento non continuativo’, così che se l’onere addebitato, ancorché ricorrente in tutti i trimestri, è riferibile a scoperti non continuativi, va considerato solo nell’ultimo addebito, con esclusione quindi degli altri addebiti allo stesso titolo effettuati nell’anno. Una successione di sconfinamenti frazionati nel corso dell’anno, che hanno generato costi ripetitivi, ma riferiti ad uno sconfinamento non continuativo concorrerebbero solo per l’ultimo sconfinamento senza alcuna annualizzazione. Anche le spese ripetute nei trimestri, relative ad uno sconfinamento continuativo, se interrotto anche brevemente, prima del trimestre di rilevazione, egualmente non concorrerebbero nel calcolo del TEG. Una simile lettura delle ‘Istruzioni’ – disposta per altro con decorrenza, per la verifica dell’usura, dal 1 aprile ’11 – risulta ‘bislacca’, prima ancora che priva di fondamento logico-finanziario: rimuovendo nella circostanza l’annualizzazione, ha riflessi economici di dimensioni significative. 12 Nulla impedisce alle banche di adottare comportamenti rispettosi, allo stesso tempo, delle prescrizioni più ‘lasche’ del MEF e di quelle più stringenti dell’art. 644 c.p. Con questa incontrovertibile evidenza si scontrano quei comportamenti opportunistici degli intermediari, che ricercano ‘copertura’ nelle ambiguità insite nella norma amministrativa. 13 Cfr. R. Marcelli, L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità, 2014; R. Marcelli, ‘La soglia d’usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l’Euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura?’, 2013;, in www.assoctu.it. 11 dell’usura stabilito dalla legge, ma non possono sostituirsi a questo; né è previsto dalla legge alcun criterio di omogeneità, che risulterebbe una mera petizione di principio, impraticabile oltre che illogica, non potendosi né assimilare né condizionare le finalità dell’art. 644 c.p. alle finalità di rilevazione del TEGM. La Cassazione n. 46669/11 ha censurato il comportamento ‘difforme’ tenuto dalla Banca d’Italia, che si è tradotto ‘in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari’. L’aggiramento della norma penale è ricondotto alla determinazione del TEGM, non alla verifica del rispetto della soglia, né alcun riferimento a criteri di omogeneità viene palesato in sentenza: al contrario si precisa che le ‘circolari e le istruzioni non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi’. Non si vede come la Cassazione potesse affermare più chiaramente il principio: i termini e le espressioni impiegate – rivolte assai inusualmente ad una parte istituzionale appaiono relegare nella sfera di un mero pregiudizio ogni residuo dubbio e perplessità. La sentenza della Cassazione riconduce alla legge sia la determinazione della soglia che la verifica della stessa: “La materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge (art. 644, comma 4, c.p.) che disciplina la determinazione del tasso soglia che deve ricomprendere ‘la remunerazione a qualsiasi titolo’”. Appare, di riflesso, del tutto inconsistente che ‘Istruzioni’, con le peculiari e mutevoli caratteristiche proprie ad una rilevazione statistica che deve accompagnare la dinamica del mercato, possano estendere la loro applicazione ai criteri di verifica che ubbidiscono esclusivamente ed immutabilmente a quanto fissato dall’art. 644: ogni deviazione pregiudica la tassatività e determinatezza della norma, riconducendola, sotto le spoglie dell’omogeneità, a modalità concepite per una finalità diversa, la rilevazione del TEGM di mercato, accostata ma non identica alla modalità di verifica della soglia d’usura. Anche la Banca d’Italia, a seguito delle puntualizzazioni della Cassazione, sembra riconoscere la diversa prospettiva che guida la rilevazione dei tassi da quella che guida la verifica del rispetto della soglia quando, nella comunicazione del 3/7/13, precisa: ‘Le Istruzioni della Banca d’Italia sono costantemente aggiornate per tenere conto dell’evoluzione della normativa in tema di contratti bancari e dell’innovazione 12 finanziaria. Tali Istruzioni possono costituire una metodologia di riferimento per la valutazione dei casi concreti condotta dalla magistratura ma non ne vincolano le decisioni.’ Le scelte operate dalla Banca d’Italia risultano pervase da una diffusa discrezionalità tecnica che, nell’equivoco fra rilevazione statistica e verifica, appare rivolta, in più aspetti, a condizionare la rilevazione del TEGM ad esigenze di salvaguardare i comportamenti degli intermediari dai rischi d’usura, in una prospettiva paternalistica di gestione del credito. La richiamata sentenza n. 46669/11, dopo aver escluso la sussistenza del dolo nei comportamenti precedenti, ha altresì stabilito che ‘la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile, dovendosi limitare l’apprezzamento della condotta dolosa o colposa (poco importa tale distinzione ai fini civilistici), alla comparazione tra standards normativi – come nella fattispecie in cui viene in rilievo la violazione dell’art. 644 comma 4 c.p. – situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. ‘danni anonimi’, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile’. Con la sentenza n. 46669/11 la Cassazione viene a porre uno spartiacque fra i comportamenti degli intermediari finanziari pregressi e quelli successivi, operando una netta distinzione fra usura oggettiva e soggettiva. Per i comportamenti pregressi, che risultano uniformati alle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, anche quando si ravvisi l’usura secondo i rigorosi canoni di rispetto dell’art. 644 c.p., precisati dalla Cassazione, non si può configurare il dolo14. In assenza di pronunce di legittimità, né di orientamenti anche 14 Nel commentare la sentenza della Cassazione n. 46669/11, osserva D. Micheletti (in La Giustizia Penale, Parte Seconda, 2012, pag. 129): “Come che sia, la sentenza ora in oggetto ha evitato di affrontare in modo diretto il problema degli effetti nel tempo della norma interpretativa, preferendo arginarne in altro modo la potenziale retroattività. L’espediente non è per altro nuovo, venendo da tempo suggerito in dottrina proprio come equivalente funzionalistico del divieto di retroattività rispetto ai mutamenti interpretativi. Il riferimento va – come s’intuisce – alla disciplina dell’error iuris così come rimodellata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988: la quale rende scusabile il comportamento tenuto dal soggetto sulla base dell’affidamento da questi prestato su un giudizio di liceità formulato, all’epoca dei fatti, dai competenti organismi interpretativi (pubblica amministrazione e giurisprudenza), ancorché sia stato successivamente ribaltato dagli stessi organi o per mano del legislatore-interprete. E’ questa, a ben vedere, una delle figure sintomatiche di errore di diritto inevitabile censite dalla giurisprudenza costituzionale di legittimità: un’ipotesi che sembra per l’appunto adattarsi perfettamente alla rilevanza della commissione del massimo scoperto nell’usura, là dove si consideri che la sua esclusione dalla base di calcolo del tasso 13 contrastanti, nessun ragionevole dubbio sulla liceità della prassi bancaria, che dovesse indurre all’astensione dall’azione, può essere ascritto agli organi di vertice degli istituti bancari, in presenza di un formale rispetto, nella verifica dell’usura, dei criteri di calcolo e di inclusione riportati nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia volta per volta vigenti15. medio era stata esplicitamente dichiarata dalla Banca d’Italia all’indomani della nuova legge ed è stata sempre costantemente recepita dai decreti ministeriali di rilevamento. Vero ciò, si può anche criticare il fatto che un simile ‘equivoco’ sia stato alimento da un soggetto (la Banca d’Italia) totalmente di proprietà degli stessi operatori finanziari che ne hanno tratto vantaggio. Nondimeno, di fronte alla ratifica della scelta da parte del Ministero del Tesoro, non sembra imputabile ai singoli operatori l’avervi fatto affidamento. Né, in senso contrario, gioverebbe far leva sul fatto che, da sempre, il tenore letterale dell’art. 644, comma 4, c.p. impone un’interpretazione lata della base di calcolo del tasso medio, tale da ricomprendere tutte le commissioni, ivi incluse quelle di massimo scoperto. E’ ben vero infatti che, di fronte a tale ampiezza, nulla avrebbe impedito ai vertici degli istituti di credito di attenersi prudenzialmente alla definizione legislativa, anziché fare affidamento sulle circolari amministrative. Non averlo fatto non sembra tuttavia integrare gli estremi di un dolo eventuale di usura. Come ben osserva la sentenza in commento, all’epoca dei fatti, non esisteva una sola sentenza di legittimità, civile o penale, che imponesse di considerare la commissione di massimo scoperto nel calcolo del tasso usurario: sicché, di fronte a tale mancanza, non può nemmeno ritenersi esistente, negli operatori finanziari, quello stato di dubbio richiesto in termini logici per la configurazione dell’accettazione del rischio di usura. Da qui – si ribadisce – l’inesigibilità per gli operatori del comportamento conforme allo stato di diritto ancorché esso sia stato successivamente ‘confermato’ dalla norma interpretativa, in realtà dagli effetti ‘correttivi’.”. Si è ritenuto che nei fatti e circostanze determinatesi sino a tutto il ’09, si possano ravvisare elementi di configurabilità dell’errore di diritto scusabile. Tale giudizio è stato espresso da D. Gallo, estensore 15 della sentenza della Cassazione Pen. n. 12028/10, prima della successiva pronuncia n. 46669/11: “La nuova disciplina che ha innovato il reato di usura ancorando l’usurarietà degli interessi ad un dato oggettivo, frutto di indicatori elaborati dall’autorità amministrativa competente, presenta il vantaggio di aver eliminato la discrezionalità del giudice nel definire gli elementi essenziali del reato, ma, come rovescio della medaglia, presenta il grave inconveniente di una rigidità eccessiva che l’interprete non può correggere. Infatti è sufficiente che in una determinata relazione venga superata anche di un solo euro la soglia del tasso usurario perché venga integrato (almeno in senso oggettivo) il reato d’usura, con tutte le conseguenze che ciò normalmente comporta in termini di intervento della giurisdizione penale. L’ingresso del giudice penale, infatti, all’interno delle relazioni bancarie è un po’ come l’ingresso di un elefante in un negozio di cristalleria. Per questo andrebbe limitato ai casi di vera patologia. Per ovviare a tali inconvenienti – de iure condendo – bisognerebbe pensare a dei meccanismi di flessibilizzazione della condotta punibile come quelli introdotti con il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, di cui all’art. 316 ter c.p., che prevede che – permanendo l’illeceità del fatto – la sanzione penale scatta soltanto al di sopra di una certa soglia quantitativa. Non v’è dubbio, però, che qualora si sia in presenza di una minima esondazione degli interessi dalla soglia fissata dalla legge, l’irrilevanza del valore economico possa essere presa in considerazione dal giudice sotto il profilo della valutazione dell’elemento soggettivo, che nel 14 In prospettiva, nell’accertamento dell’usura soggettiva, dopo la menzionata pronuncia, il riferimento cardine rimane l’art. 644 c.p.: da tale riferimento, congiunto al disvalore espresso per le ‘circolari’ e le ‘istruzioni’ della Banca d’Italia, sembra discendere ineludibilmente il dubbio sulla liceità di ogni criterio di verifica che rigorosamente non includa, senza eccezione alcuna (salvo imposte e tasse), ogni tipologia di onere e spesa attinente al credito e non impieghi una corretta misura del costo del credito, univocamente reato di usura consiste nel dolo generico, vale a dire nella coscienza e volontà di applicare al mutuatario un tasso effettivo globale superiore alla soglia di legge. Quid iuris per la condotta di quegli intermediari finanziari che, nel periodo che va dal 2 aprile 1997 al 31 dicembre 2009 abbiano praticato alla clientela interessi che risultavano sotto soglia, se calcolati in conformità alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia e ai conseguenti decreti ministeriali (che escludevano le C.M.S.), ma che risultano extra soglia sulla base dell’interpretazione dell’art. 644 c.p., comma IV, fornita dalla Cassazione 12028/10? Orbene non può essere revocato in dubbio che – in tale fattispecie – difetta l’elemento soggettivo del reato in testa a quegli operatori finanziari che hanno praticato alla propria clientela un TEG che, escludendo le C.M.S., sia rimasto al di sotto della soglia legale d’usura, facendo affidamento sulle disposizioni dell’autorità amministrativa. Nel caso preso in esame dalla predetta sentenza della Cassazione, il giudice di merito (il Gup) aveva escluso la configurabilità dell’errore di diritto scusabile, ai sensi dell’art. 5 del codice penale, come modificato dalla sentenza n. 364/88 della Corte costituzionale, ciononostante aveva ritenuto insussistente l’elemento soggettivo, in testa ai funzionari di banca incriminati, osservando che ‘la minima entità dei superamenti del tasso soglia rispetto alle cifre movimentate nei conti, la episodicità dei superamenti stessi nel corso di rapporti bancari analizzati per un lungo lasso di tempo (ben sei anni), la presenza di normativa secondaria di settore, solo successivamente rivisitata dalla Banca d’Italia, la certezza rappresentata dalla controprova che, in applicazione della contraddittoria normativa secondaria di settore, non vi sono stati superamenti, costituiscono granitici indici fattuali che depongono per la certa insussistenza dell’elemento psicologico, non potendosi, in loro presenza, ragionevolmente ritenere la sussistenza della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria.’ La Cassazione, con la pronunzia in parola, ha confermato le conclusioni del Gup in ordine alla insussistenza dell’elemento soggettivo, tale essendo l’oggetto del giudizio, ma ciò non vuol dire che abbia escluso la configurabilità dell’errore di diritto scusabile nei limiti di cui all’art. 5 c.p.. Sul punto non è stata emessa alcuna pronunzia che abbia valore nomofilattico. Pertanto, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, rimane sempre valida – in astratto – la configurabilità dell’errore di diritto scusabile, istituto che appare particolarmente appropriato nella fattispecie in esame. Questo ci consente di concludere che – in base all’id quod plerumque accidit – malgrado l’indirizzo interpretativo fornito da Cassazione n.12028/10 in relazione alla necessità di includere la C.M.S. nel calcolo del TEG, non ci dovrebbero essere rischi di criminalizzazione di quei funzionari bancari o di altri enti che abbiano superato la soglia punibile, nei tassi praticati alla clientela, solo in virtù dell’applicazione della C.M.S..”. (Cons. Domenico Gallo, La sentenza Cass. N. 12028 del 26/3/10 ed il rischio di tassi usurari alla luce del calcolo del Tasso Effettivo Globale, Convegno su tema ‘Novità in tema di anatocismo e implicazioni per le banche’, Milano 5 aprile 2011). 15 espressa dalla tradizionale formula del rendimento effettivo (TAEG), ben ‘nota all’ambiente del commercio’16. D’altra parte appare evidente che nei casi, non così infrequenti, nei quali, ad esempio, ad un calcolo del TEG della Banca d’Italia del 10% si confronta un costo effettivo del credito (TAEG) del 20%, l’elusione dell’art. 644 c.p. più che collocarsi nel ‘ragionevole margine di dubbio’ si colloca nella ‘certezza’. Coerentemente con quanto in precedenza esposto, anche nel rispetto delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, se il dubbio assume consistenza e ragionevolezza, si potrà configurare l’usura soggettiva. In altri termini, una politica tariffaria dell’intermediario volta a cogliere, opportunisticamente per fini di bilancio, le discrasie esistenti fra le ‘Istruzioni’ e il dettato dell’art. 644 c.p., configura una condotta volontariamente e consapevolmente rivolta a realizzare un illecito profitto, trascurando quel ragionevole dubbio che tali discrasie sollevano e che impone di astenersi dal realizzare tale politica tariffaria. In questa chiave di lettura, la prova del dolo, che consente di ribaltare la presunzione costituzionale di innocenza ed acquisire, al di là del ragionevole dubbio previsto dall’art. 533 c.p.p., un convincimento pieno di responsabilità, va individuata per lo più trascendendo il caso singolo e valutando la condotta complessiva dell’intermediario, espressa nelle scelte aziendali di gestione dei tassi, commissioni e spese praticate 16 Un’attenzione particolare va prestata nelle azioni legali delle banche, promosse successivamente alla menzionata sentenza, volte al recupero del credito risultante dal saldo finale del conto, tenendo presente che il reato d’usura si consuma, oltre che nel ‘farsi promettere’, anche nel ‘farsi dare’. Gli interessi usurari addebitati in conto negli anni precedenti, qualora non coperti da rimesse di pagamento intervenute prima del 2010, e quindi ricompresi nel saldo reclamato in un decreto ingiuntivo, azione esecutiva o in un’insinuazione fallimentare, possono configurare un inescusabile reato d’usura, privo delle menzionate scusanti che, per gli anni pregressi, ne hanno delimitato gli effetti al campo civile. Con la consapevolezza acquisita dalla citata sentenza della Cassazione, un’ordinaria azione legale può, in talune circostanze, integrare il reato di estorsione. Infatti, nella circostanza in cui il saldo del conto reclamato nella richiesta o azione legale ricomprenda pregressi interessi usurari, annotati in conto ma ancora non pagati, il dolo non può essere evitato. Considerata la professionalità, preparazione, mezzi ed organizzazione di cui dispone l’intermediario bancario, non possono trovare giustificazione comportamenti che trascurano il momento nel quale gli interessi e competenze vengono richiesti e/o esatti, distinto dal momento nel quale sono stati annotati in conto. Gli interessi e competenze debordanti le soglie d’usura, annotati nel conto, se non risultano pagati in passato, dopo la menzionata pronuncia della Cassazione non possono essere pretesi o riscossi senza evitare la pregnante presenza dell’elemento soggettivo del reato. 16 nell’erogazione del credito e nei sistemi informatici di presidio posti in essere per evitare di praticare, anche incidentalmente, casi che possano configurare il mancato rispetto dell’art. 644 c.p.. Casi sporadici di debordi delle soglie – che siano o meno occasionali o ricorrenti, di importo modesto o significativo – non sembra possano, da soli, implicare risvolti penali se non si acquisisce il pieno convincimento che sia stato posta in essere una scelta di politica aziendale preordinata a tal fine o quanto meno significativamente carente dei presidi di tutela. In assenza di una tale intenzionalità, tali fatti assumono una veste di incidente ed errore, del tutto giustificabile in un’ampia platea di clientela, che trovano il loro naturale correttivo sul piano civile. Per contro, la pratica dell’usura nei rapporti di conto viene spesso assumendo, attraverso interpretazioni esasperate e comportamenti opportunistici, una configurazione polverizzata in piccoli importi ad applicazione diffusa. Con una platea estesa a milioni di correntisti, anche un modesto sforamento, se diffuso all’intera compagine, apporta al bilancio dell’intermediario importi significativi: in tali circostanze, l’elemento soggettivo, la volontà di praticare usura, come detto, trascende lo specifico rapporto di conto e va individuata nella politica tariffaria adottata, valutando la ricorrenza ed estensione del fenomeno e la sua incidenza e rilevanza nel bilancio dell’intermediario17. La Cassazione ha escluso il dolo per i comportamenti in usura pregressi che, uniformandosi alle indicazioni della Banca d’Italia, hanno disatteso il dettato dell’art. 644 17 Nella valutazione dell’elemento soggettivo le indicazioni della Procura di Torino richiamano il passaggio della sentenza della Cassazione 20148/10, nel quale si è valutato immune da vizi logico-giuridici le motivazioni con cui il giudice di merito aveva escluso l’elemento psicologico del reato sulla base, tra l’altro, delle seguenti circostanze: - minima entità dei superamenti del tasso soglia rispetto alle cifre movimentate nei conti; - episodicità dei superamenti della soglia nel corso di rapporti bancari lunghi. Nell’attenzione alla verifica del rispetto dell’art. 644 c.p. si ritiene occorra prestare comunque attenzione ai debordi occasionali e di scarso rilievo, controllando opportunamente che le circostanze riscontrate siano riconducibili a casi isolati ed errori accidentali, non seriali. Nella nota sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria (n. 10971/10), riesaminata dalla Cassazione Pen. n. 46669/11, non si sono ravvisate le condizioni del reato penale, mancando la consapevole volontà di praticare usura: gli sporadici e modesti debordi accertati dal consulente tecnico – secondo le Istruzioni della Banca d’Italia – sono stati attribuiti a negligenza. Non si è disposto tuttavia alcun accertamento sulla diffusione dell’illecito riscontrato, trascurando la circostanza che i tre istituti bancari coinvolti nel procedimento presentavano sportelli diffusi in tutto il territorio nazionale. 17 c.p., ma questo non esime l’intermediario dalla responsabilità civile, sollevando un problema di accertamento e quantificazione dell’usura oggettiva18. 18 ‘anni di incertezze interpretative sul punto non possono essere cancellati improvvisamente: la Corte ha pertanto riconosciuto un residuo spazio di operatività all’art. 5 c.p. per i fatti antecedenti l’intervento legislativo della legge 2/2009, che ha sancito con legge la doverosità dell’inserimento della commissione di massimo scoperto nel tasso soglia. Solo con la legge n. 185/08 e le nuove ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, rese applicative dall’1/1/10, si può dunque – secondo questo importante arresto giurisprudenziale - ritenere rimossa l’inevitabilità dell’errore indotta dalle ‘difformi’ indicazioni dell’organo amministrativo. Per il periodo precedente, ove si riscontri il rispetto delle soglie d’usura, secondo la metodologia di calcolo suggerita tempo per tempo dalla Banca d’Italia, non può essere ritenuto sussistente il dolo del reato e la conseguente responsabilità penale degli operatori bancari. Attualmente, dunque, le numerose denunce di usura che le Procure vengono esaminando, per fatti e circostanze precedenti il 2010 (che statisticamente sono ancora la maggior parte, attesa la lunga durata di questo tipo di contratti), frequentemente vengono archiviate in quanto, pur rilevando l’elemento oggettivo del reato, se risultano rispettate le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, viene riconosciuta la mancanza del dolo. (…) Ma le conseguenze della nuova impostazione rigoristica adottata dalla Corte di Cassazione vanno ancora oltre, poiché richiedono una ridefinizione immediata della condotta degli istituti di credito anche con riferimento ai crediti maturati anteriormente al 2011. E’ stato infatti rilevato che l’eventuale azione legale oggi intentata da una banca nei confronti di un cliente per il recupero di un credito anche se maturato anteriormente a tale periodo potrebbe rilevare come una vera e propria condotta illecita, perché nessun istituto di credito può più ignorare la illiceità della pretesa creditoria. In altri termini, atteso che non è più discutibile attualmente che il credito vantato in virtù di un tasso di interesse superiore al tasso soglia sia un credito usurario, e che non esiste più l’incertezza interpretativa che in passato ha comportato l’esonero dalla responsabilità penale per mancanza di dolo, intentare oggi un’azione legale (o insistere nelle azioni legali in corso) significa azionare un credito usurario con mezzi legali. Tale condotta, a determinate condizioni, potrebbe essa stessa essere considerata condotta di usura o configurare il delitto di estorsione, analogamente a quanto accade nei normali casi di usura (non bancari), ove spesso si contesta all’imputato l’usura consistita nell’aver preteso la corresponsione di interessi legali sia con mezzi violenti (minacce, lesioni) che azionando il credito con metodi legali al fine di aumentare la pressione sul debitore e costringerlo al pagamento. Si tratta, come è evidente, di situazioni – limite da valutarsi attentamente: tuttavia, è evidente che le conseguenze del nuovo corso intrapreso dalla giurisprudenza di legittimità aprono squarci fino a poco tempo fa impensabili e che, se ben metabolizzate dagli operatori del diritto, potrebbero portare ad un immediato “sdoganamento” del delitto di usura bancaria ed alla effettività della tutela giurisdizionale dei clienti danneggiati dalle condotte illecite dei responsabili delle banche.’ (C. De Robbio, Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura insieme all’ABI, Palazzo Altieri, 15/7/14). 18 In un rigoroso rispetto dei principi dettati dalla Cassazione n. 46669/11, appare pressoché consequenziale l’impiego del TAEG e lo stretto criterio di inclusione di ogni commissione, onere e spesa attinente l’erogazione del credito, senza alcun distinguo, né deroghe o limitazioni. Valutando al più se la buona fede che esclude la sanzione penale non possa rendere inapplicabile anche la sanzione civile prevista dal 2° comma dell’art. 1815 c.c., considerando e valorizzando, in questa particolare circostanza d’usura, la sopravvenuta precisazione della Cassazione, intervenuta solo a distanza di un lungo periodo nel quale l’adesione alle indicazioni della Banca d’Italia apparivano garantire la legittimità della condotta. Il TAEG, come tasso annuo onnicomprensivo, si attaglia perfettamente al concetto di interesse allargato espresso dall’art. 644 c.p., che non opera alcuna distinzione fra interesse in senso stretto e commissioni, oneri e spese19. Tuttavia tale formula di calcolo, nella rilevazione statistica di un valore medio di mercato, curata ex post, presenterebbe difficoltà applicative in presenza di costi fissi che vengono esatti a prescindere dall’importo del credito utilizzato. Per un utilizzo esiguo o nullo del credito, la presenza di un costo fisso conduce a valori del TAEG marcatamente elevati, tendenzialmente illimitati. Nelle Istruzioni per la rilevazione del valore medio di mercato, la Banca d’Italia, per evitare l’anomalia sopra menzionata, che avrebbe potuto rendere inconsistente e scarsamente significativo il valore del TEGM, ha adottato la menzionata formula di calcolo che introduce una correzione al tasso effettivo: gli interessi rimangono commisurati al credito, mentre gli oneri e spese vengono commisurati non al credito utilizzato, bensì al fido accordato o, in assenza di fido, al massimo scoperto. Con l’algoritmo proposto la presenza o meno dell’usura non viene a dipendere esclusivamente dall’entità di quanto richiesto per il credito erogato, ma anche dalla natura del titolo – se interessi o oneri – dell’addebito operato: uno stesso importo riconosciuto all’intermediario per il credito erogato, se addebitato interamente a titolo di interesse può risultare usurario e, al contrario, regolare (entro la soglia), se addebitato in parte come interessi e in parte come oneri e spese, ancor più se ‘non continuativi’20. 19 Nella circostanza il TAEG andrebbe calcolato al netto di imposte e tasse. 20 Cfr. R. Marcelli, Il mercato del credito e le soglie d’usura, febbraio ’15, in asso.ctu.it. 19 La formula del TEG adottata da ultimo nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia del ’09 di regola non si discosta sostanzialmente dalla formula del TAEG, salvo i casi particolari sopra menzionati. Considerata la tassatività della norma penale, non appare possibile prevedere delle deroghe che, in circostanze particolari, possano condurre il costo del credito a livelli illimitati21. Né appare opportuno recepire nella verifica del rispetto della soglia d’usura, con la formula del TEG della Banca d’Italia, le speciose e opache indicazioni sui criteri e modalità di inclusione, integrate nelle FAQ, che, possono forse risultare funzionali ad una rilevazione statistica, ma che inducono elementi di soggettività e, quindi, di pregnante pregiudizio alla stessa tassatività della norma. D’altra parte, tenendo distinta la rilevazione del tasso medio di mercato dalla verifica dell’usura, gli operatori bancari sono dotati di algoritmi informatici di ‘cimatura’ funzionali ad evitare, all’occorrenza, l’evenienza di un’anomala sproporzione delle commissioni ed oneri in rapporto al credito erogato22. Per la verifica dell’usura oggettiva relativa a circostanze precedenti il ‘10, adottare direttamente la formula delle ‘Istruzioni’ vigenti tempo per tempo ed integrare – come prospettato dalla Procura di Torino - il TEGM con la CMS media presenta serie incongruenze logiche e matematiche. L’integrazione della soglia, attraverso la somma con la CMS pubblicata nei decreti del MEF, risulterebbe, da un punto di vista matematicofinanziario, del tutto incongruente e quindi arbitraria: la metodologia di rilevazione statistica della CMS si discosta significativamente dalla rilevazione del TEG. Con un criterio alquanto singolare la Banca d’Italia non rilevava la media delle CMS applicate alla categoria di credito, ma più semplicemente la CMS media, quando applicata: in altri termini – come emerge nelle pieghe delle ‘Istruzioni’ - la media veniva calcolata soltanto sui rapporti che presentavano tale commissione. Le Istruzioni della Banca d’Italia, sino al ’09, prevedevano infatti che fosse calcolata la ‘media aritmetica semplice della percentuale della commissione di massimo scoperto, da calcolare, con le modalità indicate al punto C5 (sul massimo scoperto), nei casi in cui fosse stata effettivamente 21 In passato la rilevante asimmetria fra interessi in senso stretto e le altre voci di costo ha assecondato e favorito la rapida proliferazione di queste ultime, esasperando la discrasia fra le ‘Istruzioni’ e il dettato dell’art. 644 c.p. Pur considerando che il legislatore ha in parte regolamentato tali costi e che la Banca d’Italia ha rettificato la formula del TEG, permangono ancora margini di operatività che possono apprezzabilmente edulcorare il presidio d’usura. 22 L’anomalia si riscontra solo nella fase applicativa del contratto di credito. 20 applicata’23. In altri termini il valore della CMS – rilevato in un unico valore per le Categorie Apertura di credito, Anticipazione e Factoring – si riferiva ad un aggregato di operazioni diverso da quello impiegato per i rispettivi interessi, in quanto dal calcolo della media dell’aliquota delle Commissioni venivano escluse le operazioni della Categoria alle quali non era applicata la CMS. Di conseguenza, rispetto all’intera Categoria di credito, la media così rilevata viene a sovrastimare l’incidenza della CMS24. Per dirla con Trilussa: se su dieci soggetti, cinque mangiano un pollo e cinque non ne mangiano, per la statistica i soggetti censiti hanno mangiato mediamente mezzo pollo, per la Banca d’Italia hanno mangiato un pollo intero25. Se la CMS avesse assunto già nel ’96 una veste fisiologica – diffusamente ricorrente nelle operazioni di credito – si sarebbe dovuto più correttamente ricomprendere nella media delle CMS tutte le operazioni, comprese quelle con CMS nulla, per non 23 Al punto C5 si prevede: ‘Il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuato, per ogni singola posizione rientrante nelle Categorie 1 (Aperture di credito in c/c), 2 (Finanziamenti per anticipi su crediti) e 5 ((Factoring), rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata’. Nell’ambiguità dell’indicazione si è compreso solo successivamente nel tempo che si intendeva escludere le posizioni che non presentavano alcuna commissione. La circostanza è divenuta palese con la legge n. 2/09, quando buona parte degli operatori bancari avevano ormai sostituito la CMS con la commissione di affidamento e le rilevazioni della Banca d’Italia continuavano a riportare, nel corso del ’09, un valore della CMS su livelli analoghi a quelli rilevati in precedenza (0,65%), ma calcolati sulla sporadica compagine dei rapporti nei quali veniva ancora applicata. Se si considera che inizialmente la CMS non era applicata a tutti i rapporti della Categoria 1 (Aperture di credito in c/c) ed era pressoché assente nella Categoria 2 (Finanziamenti per anticipi su crediti) e nella Categoria 5 (factoring), sorge il plausibile pensiero che l’assetto normativo predisposto mirasse a precostituire una cuscinetto di flessibilità, vista anche la contrarietà, all’epoca della legge 108/96, espressa in sede di Commissione parlamentare, dal Governatore A. Fazio. 24 Escludere dal calcolo della media le operazioni nelle quali la Commissione non viene addebitata risulta matematicamente del tutto equivalente a comprenderle con CMS pari alla media stessa. 25 La rilevazione del valore del TEGM sull’intero aggregato delle operazioni delle Categorie e la rilevazione, a parte, della CMS media, limitatamente al sotto-aggregato delle operazioni che presentano un valore positivo della CMS stessa, rende del tutto incoerente, dal punto di vista logico e tecnico, anche l’algoritmo di calcolo proposto dalla Banca d’Italia con la Circolare del 2/12/05. Se la CMS e gli interessi non hanno la stessa base di riferimento, risultano prive di senso le forme di compensazione fra debordi della prima e margini dei secondi previste nella Circolare: avendo escluso le operazioni per le quali il costo della CMS è nullo, l’algoritmo proposto conduce ad un’impropria sopravvalutazione della soglia. 21 distorcere la finalità di rilevare il costo medio del credito; per altro, costretta entro la soglia, non avremmo assistito ad una sua esasperata espansione. La media impiegata per la CMS non indica il costo mediamente applicato alle Categorie interessate, bensì rileva un aspetto più particolare, cioè la CMS mediamente applicata alla sotto-Categoria delle operazioni alle quali è stata applicata la CMS, un indicatore impiegato in altre finalità statistiche, ma di scarsa utilità pratica ed informativa nell’ambito della rilevazione del TEGM. Così rilevata, l’aliquota media della CMS è risultata apprezzabilmente più alta dell’effettiva incidenza media sul credito compreso nella Categoria interessata. Adottare, per l’usura oggettiva relativa al periodo precedente il ’10, il valore del TEGM integrato con la CMS riportata nei decreti ministeriali induce un’indebita sopravvalutazione della soglia; per altro discriminerebbe questo costo dagli altri precedentemente esclusi, non fornendo una soluzione uniforme quando la soglia è superata, ad esempio, per la presenza di spese di assicurazione prima escluse. Ogni ulteriore dubbio viene rimosso da una lettura attenta della sentenza della Cassazione 12028/10. In questa sentenza oggetto della vertenza era l’imputazione di concorso in usura in riferimento a rapporti di conto relativi al periodo 1998 – 2003. Come si rileva in sentenza, il Gup aveva ritenuto integrato l’elemento obiettivo del reato di usura accertato utilizzando, dei quattro conteggi prospettati dal CTU, quello che includeva nel TEG la CMS, riscontrando tuttavia la carenza dell’elemento soggettivo, riconoscendo che i funzionari della banca avevano agito senza la coscienza e volontà di porre in essere una condotta usuraria. Nel ricorso in cassazione si denunciava la manifesta illogicità della sentenza che ‘deriverebbe dal fatto che il giudice ha messo a confronto il tasso soglia (TEGM), indicato nel D.M. sulla base delle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia, alla cui formazione non concorre la CMS, con il TEG praticato dalla Banca di Roma, per il calcolo del quale il CTU ha tenuto conto della CMS. A parere dei ricorrenti, qualora si volesse includere la CMS nel calcolo del tasso soglia, ove lo si consideri un costo che deve essere preso in considerazione per la determinazione del tasso di interesse usurario, non si potrebbe prendere in considerazione un tasso soglia che sia stato concretamente determinato senza prendere in considerazione la CMS. Ciò perché è evidente che, includendo tale onere (la CMS) nel calcolo degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari, si perverrebbe ad un risultato diverso da quello rilevato dalla Banca d’Italia ed utilizzato dal Ministero del Tesoro per la determinazione del limite oltre 22 il quale gli interessi son sempre usurari. (…) Pertanto la determinazione del tasso usurario non può essere rimessa all’interprete che non può forzare i metodi di calcolo demandati per legge alle autorità amministrative’. Nella circostanza la Cassazione ha ritenuto di non poter intravedere alcun vizio di illogicità o di contraddittorietà nella motivazione del Gup: ‘(…) non possono essere censurate le conclusioni, in punto di diritto, a cui è pervenuto il giudice di merito che ha interpretato l’art. 644 c.p., IV comma, c.p. nel senso che la Commissione di massimo scoperto rientra fra gli oneri che devono essere presi in considerazione per il calcolo del tasso effettivo globale riferito ai rapporti bancari oggetto del presente giudizio.’26. Si deve necessariamente riconoscere un’autonoma validità al TEGM pubblicato dal MEF. D’altra parte, come sottolinea anche la menzionata Cassazione, il riferimento di legge è tassativo: l’art. 2, comma 4 della legge 108/96 stabilisce: ‘il limite previsto dal 26 Nella più recente sentenza della Cassazione 46669/11 si è ritenuto invece ‘immune da vizi logici’ il criterio di confrontare la CMS praticata con quella pubblicata sul DM del MEF: “Incensurabile in questa sede, essendo immune da vizi logici, è la valutazione di entrambi i giudici di merito di far riferimento alla perizia del dott. (…) che ha seguito l’impostazione metodologica poi recepita in sentenza, scegliendo di utilizzare il criterio delle CMS soglia per accertare i casi di sforamento, individuandoli, in concreto, ogni volta che risulti superato il valore medio aumentato della metà”. Sul piano penale il rispetto, oltre che delle ‘Istruzioni’ anche della Circolare della Banca d’Italia del dicembre ’05, rafforza ulteriormente l’esclusione di ogni dubbio di commettere un atto illecito. Sul piano civile assume tuttavia rilievo la circostanza che la Circolare con la quale è stata introdotta la CMS soglia si colloca al di fuori della procedura amministrativa dettata dalla legge n. 108/96: nella previsione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 108/96 l’intervento della Banca d’Italia ha carattere consultivo, non attribuendogli il disposto legislativo un autonomo valore nella determinazione della fattispecie penale, che è esclusivamente riservata alla legge e, solo per il parametro tecnico di riferimento, delegata al MEF. La menzionata Circolare del 2/12/05, disposta dalla Banca d’Italia otto anni dopo il varo della legge, non viene menzionata nelle successive ‘Istruzioni’ disposte nei primi mesi del ’06 e non viene in alcun modo legittimata dai decreti ministeriali, ai quali la legge 108/96 delega la parte in bianco della norma. “(…) tale schema operativo non può essere assunto (almeno) agli effetti penali, trattandosi di normativa ‘extravagante’: la fattispecie di usura presunta si riempie delle determinazioni della Banca d’Italia solo attraverso la mediazione dei decreti ministeriali (art. 2, co. 1, l. 108: ‘Il ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Italia’), i quali, peraltro, successivamente alla pubblicazione del Bollettino 12/05, non ne hanno recepito le indicazioni; né, a ben vedere, avrebbero potuto, in quanto la legge deriva l’illiceità penale solo dal (superamento di oltre la metà del) TEGM e il principio di legalità preclude qualsiasi rilievo di una più comprensiva nozione di ‘usurarietà del rapporto’, nella quale far in qualche modo rientrare la CMS, che dal TEGM continui a rimanere esclusa.”. (P. Capoti, Usura presunta nel credito bancario e usura della legalità penale, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2007, 631 ss.; Il delitto di usura ‘bancaria’, Università degli Studi di Padova, 2009). 23 terzo comma dell’art. 644 c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito dal tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del comma primo, relativamente alla categoria di operazione in cui il credito è compreso, aumentato della metà.’. Il riferimento specifico indicato dalla legge è al dato oggettivo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, non alla rilevazione statistica della Banca d’Italia. Come rileva De Poli (Costo del denaro, commissioni di massimo scoperto ed usura, in Nuova giur. Civ. comm., 2008, UU, 53), il TEGM indicato dal Ministero competente, una volta che sia fatto oggetto di pubblicazione nella G.U., costituisce pienamente ed esclusivamente il necessario ed unico tertium comparationis per il giudice; secondo il menzionato autore ‘il giudice deve considerare quale misura di riferimento al fine di valutare l’usurarietà dell’agire bancario solo il TEGM, non essendo autorizzato ad effettuare altri confronti’.27 Non vi è 27 Il principio è altresì richiamato in una recente sentenza della Corte d’Appello di Torino la quale, con riferimento alle spese di assicurazione incluse nel TEG solo con le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia del ’09, ne prevede l’inclusione nella verifica del rispetto della soglia d’usura a prescindere dalle diverse indicazioni precedentemente fornite dalla Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM. “Come d’altra parte avvenuto per la commissione di massimo scoperto, per la quale in giurisprudenza erano sorti dubbi circa la conformità al dettato normativo legislativo del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d'Italia (e fatto proprio dal Ministro competente), anche in questo caso appare evidente che le Istruzioni della Banca d’Italia anteriori all’agosto 2009 non erano coerenti con la previsione di cui all’art. 644 c.p., escludendo appunto le spese della polizza dai costi da valutare ai fini del TEGM allorquando, come si è visto, tale norma ricomprendeva tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito escludendo unicamente quelli per imposte e tasse. Ed è altrettanto evidente che tale incoerenza si rifletteva in uno svantaggio per gli operatori finanziari, comportando la rilevazione di un TEGM probabilmente inferiore rispetto a quello che sarebbe stato rilevato se il costo della polizza fosse stato ricompreso, e dunque nella fissazione di un tasso soglia, ai fini dell’usura, inferiore. Tuttavia va rilevato che la usurarietà o meno di un TEG, da effettuarsi mediante il procedimento di comparazione con il tasso soglia di cui al D.M. relativo al periodo interessato, è strettamente ancorata ad un parametro di natura oggettiva, costituito appunto da quanto pubblicato con D.M. sulla Gazzetta ufficiale; in altre parole la norma integratrice della fattispecie penale di cui all’art. 644 c.p., con riflessi anche civilistici, è costituita dall’art. 2 della L. 108/1996 e quest’ultima fa esclusivo riferimento al dato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale per il periodo di riferimento a cura del Ministero . Stabilisce infatti detto art. 2 che “Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall'Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d'Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali 24 alcuna liaison diretta fra la norma e le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia: la norma è completata esclusivamente dal valore del TEGM pubblicato nei decreti del MEF. Le ‘Istruzioni’ assumono un valenza di normativa di settore, esclusivamente per gli intermediari chiamati a trasmettere il dato statistico necessario alla determinazione del TEGM; il privato, persona fisica o giuridica, che volesse occasionalmente finanziare un terzo, non risulta tenuto a conoscerle, né tanto meno a rispettarle: unico elemento di riferimento normativo rimane la categoria e l’aliquota media di mercato, pubblicati dal MEF. La CMS - come le spese di assicurazione e le altre spese escluse dal calcolo del TEGM - se correttamente, ricomprese, avrebbero comportato un valore del TEGM più alto ma di una misura assai più moderata di quella riscontrata nella pratica. Infatti tali spese, come la CMS, se contingentate entro la soglia, invece di un libero quanto anomalo innalzamento, avrebbero avuto un’evoluzione più contenuta; in particolare la CMS, variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”. Dunque il procedimento per pervenire alla fissazione del tasso soglia trimestrale con D.M. del Tesoro, non prevede l’automatica assunzione dei dati rilevati dalla Banca d’Italia, la quale ha funzione semplicemente consultiva al pari dell’U.I.C., ed inoltre stabilisce anche un correttivo, riferito al tasso ufficiale di sconto, per pervenire alla indicazione del tasso soglia. Non può dunque effettuarsi una automatica equiparazione fra le risultanze della rilevazioni della Banca d’Italia e il TEGM, sia dal punto di vista formale, atteso che quest’ultimo è stabilito con D.M. del Tesoro solo “sentita la Banca d’Italia”, sia dal punto di vista sostanziale perché la norma prevede comunque ipotesi di correttivi da apportarsi dal ministero competente. Non può quindi ritenersi corretto il rilievo dell’appellante circa il fatto che la comparazione, ai fini dell’accertamento del superamento del tasso soglia, debba essere effettuata fra il TEG e il TEGM rilevato dalla Banca d’Italia; la comparazione va invece condotta fra il TEG e il tasso soglia fissato per il periodo indicato con D.M. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, alla cui determinazione certo concorrono le rilevazioni della Banca d’Italia ma che non costituiscono esse stesse il “secondo termine di paragone”, con conseguente irrilevanza del loro eventualmente illegittimo procedimento di formazione. (…) In ogni caso l’integrazione dell’art. 644 c.p. – norma penale in bianco – non viene effettuata certamente, ai sensi della L. 108/1996, dalle Istruzioni della Banca d’Italia via via emanate nel tempo ma , per il tramite dell’art. 2 della citata legge, dalla rilevazione pubblicata trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale con D.M. del Ministero del tesoro; l’art. 2 stabilisce infatti che “ Il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”. (Corte d’Appello di Torino, Pres. L. Grimaldi, Cons. est. F. La Marca, 20/12/13, Cfr. anche Tribunale Brindisi 9/8/12, Tribunale Pordenone 7/3/12, Tribunale Roma 23/1/14, Corte Appello Cagliari 26-31 marzo 2014). 25 mediata su tutti i conti della categoria, anziché su quelli che presentavano tale costo, avrebbe avuto un’incidenza di partenza risibile e non avrebbe potuto affatto decuplicarsi. L’esubero dalle soglie riconducibile all’inclusione di tali commissioni ed oneri, può trovare una corretta considerazione nella valutazione del dolo, ma rimane incontrovertibile l’usura oggettiva se con tali spese si è superato il limite di legge tempo per tempo riportato nei decreti ministeriali. La sentenza della Cassazione n.46669/11 precisa: “… anche la CMS deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l’utente sopporta in relazione all’utilizzo del credito, indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d’Italia ...”. Il termine ‘indipendentemente’ lascia trasparire chiaramente la distinzione e separazione della ‘verifica’ dell’usura dalla ‘rilevazione’ statistica del tasso medio di mercato. Anche per la mora è ormai da tempo assodato che, ancorché non concorra a determinare il TEGM, rimane soggetta al rispetto delle soglie d’usura28. Il principio è stato 28 “Non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale “gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (Cassazione n. 5286/00). L’art. 1, comma 1, D.L. 394/00, di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., riconduce alla nozione di interessi usurari quelli convenuti ‘a qualsiasi titolo’ e la relazione governativa che accompagna il decreto fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, ‘sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio’. La Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla legge n. 24/01 (Interpretazione autentica della legge 108/96), ha precisato, in un obiter dictum, che: “ Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.” (Corte Cost. n. 29/02). Da ultimo, anche l’art. 2 bis del D.L. 29/11/08, n. 185 convertito in legge 28/1/09 n.2 non opera alcuna distinzione con riferimento alla natura degli interessi quando, al comma 2, prevede: “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque 26 più recentemente ribadito dalla Cassazione Sez. I, n. 350/13 che ha precisato che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c. comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalle legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori.”. Per gli interessi di mora si è creata una situazione simile a quella determinatasi per la CMS prima del ‘10, escluse dal TEG e menzionate a parte nei decreti ministeriali29. Nell’ambito della rilevazione del tasso medio di mercato, ai fini dell’individuazione delle soglie d’usura, il tasso di mora non viene ricompreso nel calcolo, né costituisce una Categoria a sé, distinta dalle altre che caratterizzano il panorama del credito: la legge consente la distinzione in categorie per le operazioni di credito, non per la natura degli interessi, e la rilevazione del TEGM è rivolta a cogliere la fisiologia, non la patologia del fenomeno. Tuttavia da oltre un decennio i decreti ministeriali, nella medesima opacità che ha contraddistinto l’evidenza a latere delle CMS30, continuano a menzionare l’indagine campionaria, curata dalla Banca d’Italia nel 2001, che aveva accertato per la mora un tasso collocato 2,1 punti al di sopra del tasso medio corrispettivo rilevato per il complesso del campione esaminato. L’ABI, dopo l’indagine sui tassi mora richiamata dal decreto ministeriale, in una lettera circolare indirizzata alle associate (n. 4681/2003), sulla base di ‘prime autorevoli interpretazioni della dottrina’31, aveva suggerito, per la mora, l’adozione di un sofisticato denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile, dell'articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”. 29 Pur nella sostanziale differenza riconducibile alla circostanza che la CMS avrebbe dovuto essere ricompresa nel calcolo del TEG, risultando onere ricorrente che si aggiunge ordinariamente agli interessi, mentre la mora, facendo riferimento ad una fase patologica del rapporto, non può essere ricompresa nel calcolo del TEG funzionale alla rilevazione del tasso medio fisiologico di mercato. 30 La giustificazione a suo tempo espressa dalla Banca d’Italia nella Circolare n. 47429 del 1/10/96 appare alquanto anodina: ‘analogamente a quanto avviene in Francia, ove vige una normativa sull’usura che ha ispirato la legge 108/96, la commissione di massimo scoperto è oggetto di autonoma rilevazione’. 31 Il riferimento è al parere della prof.ssa Severino di Benedetto che non ha incontrato alcun seguito in dottrina. In tale parere viene affrontata anche l’eventualità che la maggiorazione della mora superi il valore di 2,1 punti maggiorato del 50%, cioè 3,15 punti, e si sostiene che la circostanza non è sufficiente a configurare l’usura se l’interesse corrispettivo, incrementato 27 criterio, successivamente mutuato dalla Banca d’Italia per la CMS con la Circolare del 2/12/05: soglia per la mora pari alla somma del tasso medio di mercato, individuato dalla Banca d’Italia per gli interessi corrispettivi, e della maggiorazione di 2,1 punti percentuali, il tutto aumentato del 50% (ora 25% + 4 punti). Questo criterio ha ora incontrato l’avallo della Banca d’Italia, la quale solo ora, con la comunicazione del 3 luglio 2013, ha espresso chiaramente le finalità implicite della rilevazione campionaria della mora, riportata sistematicamente, negli ultimi dieci anni, in tutti i decreti ministeriali di pubblicazione delle soglie d’usura. L’indicazione dell’ABI, accolta all’unisono dalla Banca d’Italia, non risulta essere stata adottata dagli intermediari più prudenti, che hanno prestato maggiore attenzione alle pronunce nel frattempo espresse dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale. Valutando opportunamente il rischio legale che ne può derivare, gli intermediari, per lo più, mantengono la mora entro la soglie pubblicate dal MEF per le distinte Categorie di credito, senza alcuna maggiorazione32. del maggior margine di mora, rimane comunque inferiore alla soglia d’usura maggiorata di 3,15 punti. Tale costrutto verrà integralmente ripreso e proposto dalla Banca d’Italia per le CMS nella Circolare 2/12/05, svelando lo spirito con il quale vengono gestite le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia: “L’atteggiamento manifestato appare conforme alla tradizionale propensione della Banca d’Italia a trovare elementi di giustificazione ed eventualmente di razionalizzazione delle prassi – troppo spesso unilateralmente applicate dagli istituti di credito – piuttosto che a contrastare pratiche contrattuali talora dissonanti con la disciplina dei contratti bancari. E per la verità è singolare che la Banca d’Italia nell’affrontare in modo diretto la questione della CMS, non prenda posizione, nemmeno di sfuggita, sul primo problema che la legge n. 108/96 (alla quale costantemente si richiama alla lettera) pone quale profilo prioritario, e cioè che questa commissione di massimo scoperto costituisce, in realtà, una remunerazione del credito concesso al cliente della banca.”. (P. Dagna, Profili civilistici dell’usura, pag. 403, CEDAM, 2008). 32 Nel prevedere tassi di mora compresi entro i limiti d’usura pubblicati per la Categoria di appartenenza, vengono altresì incluse, in particolare per i mutui, clausole di salvaguardia che mantengono comunque la misura degli interessi di mora entro i limiti fissati dalla legge 108/96. “Né appare fondata la richiesta di sospensione, per quanto concerne il dedotto superamento del tasso soglia, atteso che il contratto di mutuo che disciplina il rapporto tra le parti esplicitamente, sul punto, all’art. 4 contiene che ‘ la misura di tali interessi non potrà mai essere superiore al limite fissato ai sensi dell’art. 2 co. 4 della l. 7/3/96 n. 108, dovendosi intendere, in caso di teorico superamento di detto limite, che la loro misura sia pari al limite medesimo’.” (Tribunale Napoli, M. Cacace,8/1/14). Un atteggiamento analogo tengono le banche, nel richiedere un tasso di mora non superiore alla soglia pubblicata, nella precisazione del credito delle procedure esecutive e concorsuali. ‘La professionalità delle banche e gli interventi dei relativi servizi di compliance non possono ignorare il carattere quasi «istituzionale» della divergenza tra le indicazioni della Banca d’Italia e gli orientamenti della Corte di Cassazione e 28 Non si vede come possa prevedersi una specifica soglia per gli interessi di mora senza porsi in contrasto con il dettato normativo che dispone la soglia per il tasso di interesse, a qualunque titolo convenuto, sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio: come detto, la diversificazione del tasso soglia, prevista dalla legge per le differenti categorie, è riferita alla natura del credito, non dell’interesse, e alla fisiologia, non alla patologia, del fenomeno. Non potrebbe essere diversamente si si considera che storicamente l’usura si configura prevalentemente proprio in situazioni di morosità. D’altra parte, lo spread dal tasso medio di mercato rilevato dalla Banca d’Italia – ancor più nel valore ampliato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge 106/11 – nello spirito della legge, è volto a coprire le componenti di patologia del rapporto creditizio. L’intermediario bancario, con il tasso minimo praticato copre i costi di raccolta, struttura ed organizzazione, con il differenziale fra il valore minimo del tasso fisiologico e il margine superiore della soglia d’usura può compiutamente ammortizzare sofferenze e dubbi esiti del credito accordato. In condizioni di solvibilità ordinaria l’applicazione di tassi prossimi alla soglia d’usura costituisce una distorsione del mercato del credito: favorendo comportamenti derogatori dal valore medio rilevato, si innesca, attraverso il meccanismo endogeno di determinazione della soglia, in presenza di un’endemica carenza di concorrenza, un’ascesa in una continua rincorsa dei tassi praticati (noto nella letteratura come effetto dell’’échelle de perroquet’). Né la rilevazione campionaria del ‘01 sugli interessi di mora può essere intesa come un’integrazione per ricondurre i criteri tecnici di verifica a quelli di rilevazione statistica, trascurando che i primi, quelli di verifica, ubbidiscono ai principi fissati dall’art. 644 c.p. e spetta eventualmente ai secondi omogenizzarsi ai primi: il viceversa configurerebbe un ulteriore aspetto di gestione amministrativa dell’usura. Banca d’Italia (che finisce per rappresentare, anzi, il punto saliente che il diritto vivente viene a presentare in materia di usura), come anche la forte ampiezza dei filoni interpretativi emergenti, su più e più punti della materia, a livello di giurisprudenza di merito. Non possiede nulla di paradossale, anzi, l’affermazione che - circa il riscontro di eventuale usurarietà dei contratti concretamente posti in essere (e a differenza, ovviamente, dalle indicazione per le rilevazioni trimestrali, su cui v. sopra, la nota 5) - le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia finiscano ormai per porsi come strumento decisamente secondario di consultazione e orientamento delle banche.’ (A.A. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo, Studi in onore di De Nova, in assoctu.it.). 29 Creando – con il riferimento ad una generica rilevazione campionaria, non prevista da alcuna norma di legge – un ulteriore spread di penalizzazione entro una diversa e più elevata soglia, ancor prima di ravvisare la ricorrenza dell’usura concreta33, si verrebbe a contraddire la logica della rilevazione del valore medio fisiologico del credito come punto di riferimento al quale ancorare lo spread di variazione consentito dalla legge stessa. Il criterio di ‘media’ impiegato dalla Banca d’Italia nella rilevazione del TEGM di mercato è volto correttamente ad escludere dalla rilevazione ogni espressione del fenomeno che esuli dall’ordinario: se si inseguono i diversi gradi di patologia con differenti tassi soglia si innesca un’ascesa che vanifica lo spirito stesso della legge. La Banca d’Italia con le sue indicazioni, che esondano l’ambito proprio della funzione che solo indirettamente le viene assegnata, e che vengono passivamente recepite nei decreti del MEF, presta forme di soccorso agli intermediari che si pongono in contraddizione con la legge 108/96 e le pronunce della Suprema Corte, contribuendo a creare quelle zone grigie che, prima della sentenza della Cassazione Pen. n. 46669/11, 33 Nella fattispecie considerata il maggior tasso risulterebbe di fatto subito: la situazione di difficoltà economica che si configura nella circostanza, incide sulla libera determinazione a contrarre e condiziona l’accettazione della sproporzione delle prestazioni del cliente: “Per quel che concerne la tutela penale, la pattuizione strumentale di interessi moratori di importo elevato può rientrare nell’ambito della fattispecie di usura prevista dal 3° comma dell’art. 644 c.p. (la c.d. “usura residuale) che in questo caso potrebbe trovare applicazione molto più frequentemente di quanto si è ipotizzato all’atto della sua introduzione (…) l’interpretazione logica conduce a ritenere che la norma debba applicarsi anche ad ipotesi in cui il tasso fissato dai contraenti è superiore al limite di legge. Il caso degli interessi moratori pattuiti ad un tasso eccessivo ed altresì superiori ad un determinato tasso-soglia si attaglia perfettamente a questa eventualità, proprio perché si è visto come gli interessi moratori esulino tendenzialmente dal sistema delle rilevazioni trimestrali” (Giudice Fabrizio Vanorio della Procura della Repubblica di Palermo, Atti della relazione, I reati dell’usura: la struttura della fattispecie, le tecniche d’indagine ed i rapporti fra autorità inquirenti e le banche, tenuto al Seminario organizzato da ABI e Consiglio Superiore della Magistratura in Roma nei giorni 1-2 marzo 2005). D’altra parte la norma non esprime un principio dicotomico assoluto condizionato al TEGM di rilevazione. “Di suo, il TEGM propone un alto grado di rigidità: come ha rilevato dottrina autorevole, ‘non può approvarsi che, se … il tasso c.d. soglia è del 20%, chi ha pattuito un interesse del 20,01% perde tutto e chi ha pattuito un interesse del 19,90% possa conservalo tutto’. Da quest’angolo visuale, l’articolazione complessiva del sistema vigente si preoccupa di colmare il gap: più il carico economico si avvicina alla linea di confine e meno occorrono ulteriori elementi di fattispecie perché la sproporzione risulti in concreto rilevante. In un certo senso, il nostro sistema attuale propone un continuum: la prossimità alla soglia propone il rischio dell’operazione” (A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Ed. Zanichelli, 2013). 30 hanno seriamente pregiudicato la determinatezza e tassatività della norma34. Gli stessi controlli di vigilanza curati dagli ispettori della Banca d’Italia presso le banche risultano di fatto edulcorati, risultando informati alle indicazioni dell’Istituto in luogo di quelle rivenienti dalla Suprema Corte35. La Banca d’Italia sembra restia ad uniformarsi al disposto di legge se, dopo la creazione della ‘CMS soglia’, nonostante il richiamo della Cassazione Pen. n. 46669/11, torna a proporre una ‘Mora soglia’, determinata attraverso un’identica metodologia36. Il principio di astensione nelle circostanze di ragionevole dubbio, ribadito dalla Cassazione ultima, avrebbe dovuto essere ossequiosamente rispettato anche dalla Banca d’Italia, continuando quanto meno a mantenere il velato silenzio sulle finalità ed impiego 34 Come già menzionato, il Gip del Tribunale di Caltagirone (dott. M. Gennaro, sentenza 21/6/12), posto di fronte alle carenze di determinatezza e tassatività, non ha ritenuto di procedere ‘per insussistenza dei fatti’. 35 Nella comunicazione del 3/7/13 la Banca d’Italia riporta: ‘In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.’. 36 ‘La clausola che prevede l’applicazione degli interessi moratori deve essere, si badi bene, inclusa nel calcolo in quanto tale, cioè per il semplice fatto di essere stata prevista, non occorrendo che si sia verificato il fatto dell’inadempimento del debitore nella restituzione che determina la mora. L’ultima pronuncia in tal senso è la n. 350 del 2013, che ha affermato che “ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”. La soluzione positiva che la pronuncia n. 350/2013 dà al problema del computo degli interessi moratori tra le voci rilevanti per il riscontro di usurarietà è indiscussa. La Banca d’Italia ha sempre avuto un atteggiamento opposto, emanando diverse Istruzioni in cui ha decisamente smentito la riconducibilità degli interessi moratori al tasso di interesse da calcolare per la il superamento del tasso soglia. In particolare, in una nota diramata proprio qualche giorno dopo la sentenza Cass. 350-13, l’Istituto di Vigilanza ha specificato che dal tasso soglia vanno sempre esclusi gli interessi moratori in quanto futuri ed eventuali. Tale decisa presa di posizione, in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale ricordato, è stata vivacemente criticata in dottrina, poiché espressione di una volontà da parte di un organo amministrativo, per quanto altamente qualificato, di ergersi ad interprete della legge, compito che spetta in via esclusiva all’autorità giudiziaria. Su tali conclusioni non si può non essere d’accordo, essendo evidente che la Banca d’Italia non ha il potere di interpretare una norma, compito che è invece demandato al potere giudiziario’ (C. De Robbio, Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura insieme all’ABI, Palazzo Altieri, 15/7/14). 31 della rilevazione del tasso mora del 2001, come fatto del resto da oltre dieci anni, anziché prospettare, nella comunicazione del 3/7/13, una soglia della mora e adottare tale principio nei controlli sulle procedure degli intermediari. Appare non trascurabile la responsabilità che si é assunta la Banca d’Italia, per i debiti riflessi di emulazione indotti nei comportamenti bancari37. La Cassazione n. 46669/11 ha stabilito che nessuna censura di mancanza di doverosa prudenza poteva essere ascritta agli organi di vertice della banche che, con riferimento alle CMS, si erano adeguati alle indicazioni ‘difformi’ della Banca d’Italia, senza tuttavia pronunciarsi sulle circostanze regolate dall’art. 48 c.p. relative alla responsabilità del c.d. autore mediato che ha indotto in errore38. Nella problematica della mora, una corretta impostazione della verifica dell’usura e della correlata non debenza degli interessi prevista dall’art. 1815 c.c., coordinata con l’art. 1419 c.c., non può trascurare che l’art. 644 c.p. coglie il momento della pattuizione ed è riferito al credito erogato. Il D.L. 394/00 di interpretazione della legge 108/96 riporta 37 Anche se è comunque evidente che il servizio di compliance , di cui oggi dispongono le imprese bancarie, non può non conoscere la sussistenza di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione e che di tanto lo stesso deve fare conto necessario e adeguato. Salvo altrimenti accettare senza riserve il «rischio legale» e il «rischio reputazionale» che derivano dall’ignorarlo (consapevolmente o meno). Talvolta si legge – in funzione di legittimazione di comportamenti bancari sulla linea della Vigilanza, seppur contrari agli indirizzi della giurisprudenza, e proprio in materia di usura – che le banche ‘debbono strutturare la propria attività in osservazione delle disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza’ (…) E’ sicuro, d’altronde, che la Banca d’Italia non ha vietato alle imprese bancarie la possibilità di tenere comportamenti più prudenti di quelli dalla stessa indicati; né, del resto, lo potrebbe mai fare vista se non altro la regola della ‘sana e prudente gestione’. (A. A. Dolmetta, Op. cit.) 38 ‘Ma le eventuali colpe dei regolatori possono determinare un ristoro a favore dei risparmiatori che ne hanno subito le conseguenze? A certe condizioni la risposta è positiva. Infatti, il nostro ordinamento ha previsto con l’art. 6-bis della L. 262/2005, introdotto dall’art. 4 co. 3 lett. d) del D. Lgs. 303/2006, una responsabilità per dolo o colpa grave per gli atti compiuti dai componenti degli Organi di vigilanza, tra cui Banca d’Italia e Consob, e dai loro dipendenti, che abbiano cagionato danni a terzi. La giurisprudenza ha riconosciuto che la domanda di risarcimento del danno proposta dai risparmiatori nei confronti della Consob per violazione degli obblighi di vigilanza sul credito e sul mercato mobiliare è devoluta al giudice ordinario, anche in base al regime di riparto della giurisdizione introdotto dall’art. 7 della L. 21.7.2000 n. 205, il quale ha sostituito, fra l’altro, gli artt. 33 e 35 del D. Lgs. 31.3.98 n. 80. Invero, si è detto, i risparmiatori vantano una posizione di diritto soggettivo, che determina appunto l’accesso alla giurisdizione ordinaria, in quanto soggetti ‘tutelati’ dall’ordinamento; il che peraltro non escluderebbe in radice la giurisdizione amministrativa ove ricorresse un caso di giurisdizione esclusiva da tipizzare legislativamente. (Cass. SS.UU. 2.5.2003 n. 6719; Cass. SS.UU. 29.7.2005 n. 15916)’. (V. Pacileo, I derivati, Eutekne, 2015). 32 chiaramente: “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, 2° comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualsiasi titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”39. Di riflesso la verifica dell’usura dovrà essere effettuata con riferimento alle condizioni contrattuali e all’entità del credito erogato disposte inizialmente; alla scadenza, nella rata rimasta impagata, non si configura alcuna nuova pattuizione né alcuna erogazione. Occorre inoltre osservare che, per qualsiasi finanziamento il parametro che compiutamente esprime il costo per il mutuatario e il ricavo per il mutuante è il rendimento effettivo annuo. Con tale parametro viene usualmente misurato dall’intermediario il costo della provvista. Allo stesso parametro è riferita la soglia d’usura nei termini e modalità fissati dalla legge 108/96. Ne deriva che gli interessi di mora non possono essere enucleati e rapportati all’importo eventualmente insoluto, ma congiuntamente agli interessi corrispettivi vanno riferiti al capitale di credito previsto contrattualmente, secondo il piano di ammortamento che risulta modificato dall’eventuale inadempimento della rata o del capitale a scadenza. Nella verifica dell’usura, con riferimento al capitale pattuito ed erogato, occorre calcolare il tasso effettivo annuale, richiamato espressamente dalla legge 108/96, sia nella più ricorrente eventualità di un corretto rispetto delle scadenze contrattuali, sia nelle eventualità in cui si attivano le condizioni sospensive previste in contratto. La mora, pur essendo riferita alla rata scaduta, va comunque ricompresa nella complessiva verifica dell’usura del credito concesso: nell’evento di morosità la rata scaduta e impagata non configura una nuova erogazione, ma più semplicemente una modifica del piano di rimborso, a condizioni di tasso modificate. Con la previsione delle condizioni di mora il mutuante offre al mutuatario, di fatto, piani di ammortamento alternativi di ripianamento del finanziamento, che necessariamente devono sottostare al rispetto delle soglie d’usura. La circostanza che la mora sia eventuale - connessa per altro ad una difficolta finanziaria del mutuatario – non esclude che possa configurare a tutti gli effetti un’offerta pattizia. 39 Assai labile appare l’argomentazione che l’applicazione di interessi debordanti la soglia dipenderebbe in ultima analisi dal comportamento del creditore; come dire che l’illecita cattura del coniglio selvatico dipenderebbe non dalla trappola appostata, ma dal particolare percorso seguito dal coniglio, limitandosi il cacciatore unicamente a posare in terra la trappola. 33 Il tasso di mora non è un tasso effettivo, è un tasso semplice che integra il tasso corrispettivo, come riflesso del mutamento determinatosi nel piano di ammortamento. La verifica dell’usura non può essere esperita sul rapporto fra interessi di mora e ammontare della rata scaduta ma va ricondotta al costo complessivo che il credito concesso subisce a seguito dell’eventuale morosità che possa intervenire in una o più rate e/o nel capitale a scadenza. Nell’usura il presidio penale è rafforzato: colpisce sia il momento pattizio che quello della dazione. Il carattere eventuale della dazione della mora non la esclude dal rispetto del limite nel momento pattizio40. Il debordo della soglia da parte del tasso di mora applicato alle rate e/o al capitale insoluto alla scadenza non comporta necessariamente un tasso effettivo annuo in usura. Si determineranno circostanze di usurarietà pattizia se, per una delle possibili eventualità che comportano una modifica delle scadenze del piano di ammortamento convenuto, gli interessi di mora previsti in contratto, fondendosi agli interessi corrispettivi, condurranno ad un tasso annuo effettivo dell’intero prestito debordante la soglia vigente alla data di stipula del contratto. La verifica va effettuata sulle condizioni convenute in contratto e riferita al tasso soglia del momento, sviluppando i calcoli sui possibili scenari nei quali si può evolvere il rapporto; successivamente, con riferimento ai mutamenti della soglia, tutto ciò che interviene alle singole scadenze, attiene all’usura sopravvenuta per la quale assumono rilevanza criteri similari ma effetti diversi. Ponendo il rispetto della soglia d’usura nei termini sopra illustrati, ne risulta pregiudicata l’autonomia della clausola di mora: l’usurarietà viene a dipendere dall’intero costo del credito concesso, ivi compresi gli interessi corrispettivi. Non ha alcun senso il semplice confronto della mora con la soglia d’usura. Il tasso di mora costituisce un tasso semplice, riferito alla rata e/o al capitale scaduto, mentre 40 Un’analoga considerazione si rende applicabile al costo di estinzione. La clausola di estinzione anticipata costituisce una forma assicurativa che può essere assimilata ad un’operazione put; tuttavia, viene corrisposta solo nel caso in cui viene richiesta l’estinzione anticipata. “Ora la censura relativa all’usurarietà dei tassi è fondata su un unico e assorbente argomento, rappresentato dal fatto che sarebbe stata pattuita una promessa usuraria al momento della stipula del contratto, laddove vengono fatti rientrare, tanto i costi certi tanto i costi potenziali del finanziamento (ossia i costi per l’estinzione anticipata).(Trib. Pescara, 28/11/14). 34 quello che, al momento pattizio, occorre riferire alla soglia è il tasso effettivo annuo del credito erogato, sia nello scenario ordinario, di un pieno rispetto del piano di ammortamento convenuto, sia nello scenario alternativo prospettato in contratto, nel quale, a seguito dell’inadempimento ad una o più scadenze, si conviene l’applicazione del maggiore interesse di mora e il mutamento del piano di rimborso, modificando conseguentemente il tasso effettivo annuo del credito erogato. Di conseguenza, è il tasso di rendimento effettivo, che risulta dalla combinazione del tasso corrispettivo e del tasso di mora, che deve essere compreso entro la soglia d’usura. La mora, che non si cumula nel tempo in capitalizzazione composta, può ben estendersi – entro margini moderati - oltre il tasso soglia senza pregiudicare il fermo presidio della soglia d’usura, posto al rendimento effettivo del credito concesso, comprensivo sia degli interessi corrispettivi sia degli eventuali interessi moratori nei quali può incorrere il mutuatario nel piano di rimborso del finanziamento ricevuto41. La previsione di un tasso di mora debordante la soglia non implica necessariamente una pattuizione usuraria se il costo complessivo del credito non deborda la soglia. Il costo del credito, nel completo aggregato degli interessi, oneri e spese che lo compongono – nel piano di ammortamento previsto nel contratto e nelle eventuali modifiche che possono intervenire nel piano stesso in conseguenza delle condizioni sospensive previste - nella sua unitarietà, va misurato nel tasso effettivo annuo, previsto nella usuale formula di calcolo, che misura l’effettivo costo del credito stabilito dalla legge 108/96. Considerato che nel tasso effettivo si vengono sostanzialmente a fondere sia il tasso corrispettivo che quello moratorio, non vi è dubbio alcuno che, più che l’Ordinanza del Tribunale di Milano, che limita l’applicazione dell’art. 1815 c.c., 2° comma, alla clausola di mora, appare corretta la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia che fa discendere dall’usurarietà degli interessi la nullità e, tout court, la non debenza di alcun interesse, sia esso corrispettivo che moratorio. 41 Per un’esemplificazione si veda: R. Marcelli, ‘La mora e l’usura: criteri di verifica.’, giugno 2014, in assoctu.it. 35 3. LE INDICAZIONI DELLA BANCA D’ITALIA E IL TRATTAMENTO DEGLI ONERI E DELLE SPESE NEL CALCOLO DEL TEG. Il documento della Procura di Torino richiama il passaggio delle ‘Istruzioni’ nel quale si riporta: ‘Gli interessi sono dati dalle competenze di pertinenza del trimestre di riferimento ivi incluse quelle derivanti da maggiorazioni di tasso applicate in occasioni di sconfinamenti rispetto al fido accordato (…)’. Al riguardo occorre valutare due sostanziali problemi che si pongono con riferimento al fido accordato e al suo sconfinamento. Come menzionato in precedenza, al fido accordato risultano connesse commissioni, oneri e spese poste nella seconda frazione della formula del TEG riportata nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia. Di norma il credito utilizzato è inferiore al credito affidato: si crea di conseguenza una discrasia non trascurabile fra il disposto normativo che fa riferimento al credito erogato e la formula del TEG impiegata per la rilevazione del TEGM che, per commissioni, oneri e spese è riferita invece al credito affidato. A questo si aggiunge un problema nel problema: il credito affidato indicato nel TEG viene inteso dalla Banca d’Italia come ‘affidato operativo’, definito come il fido utilizzabile dal cliente in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace42. Per contro nelle anticipazioni di carta commerciale, si riscontra sistematicamente che l’intermediario, nel deliberare l’affidamento, si riserva di valutare la carta commerciale presentata con formule contrattuali del tipo: : ‘ le singole richieste di anticipo saranno soggette di volta in volta alla valutazione del merito di creditizio da parte della Banca, restando quindi nella sua discrezionalità l’accoglimento o meno delle stesse.’. Ancorché le segnalazioni degli intermediari facciano esclusivo riferimento al fido deliberato, nelle circostanze sopra indicate, configurandosi di fatto una clausola potestativa, si dovrebbero ritenere ‘perfetti ed efficaci’ solamente gli accordi esecutivi relativi alle singole partite 43. Ma questo 42 Un negozio giuridico è perfetto quando si è ultimato il processo di formazione e ricorrono tutti gli elementi essenziali. Diviene anche efficace se non vi sono impedimenti o condizioni sospensive che impediscano la produzione degli effetti. 43 Si riscontra spesso da parte dell’intermediario una significativa vischiosità e ritrosia ad una formalizzazione completa del fido, sia per il più significativo contenuto degli obblighi assunti dalla banca sia per l’impegno del capitale di vigilanza; mentre una distinta e impregiudicata revocabilità unilaterale ed immediata del fido, congiuntamente allo jus variandi, ha tutelato maggiormente l’intermediario, sia dal rischio di inesigibilità del credito, sia dal rischio di ascesa dei tassi. Indicative al riguardo sono le considerazioni espresse da P. Ferro-Luzzi: “Il sistema 36 generalmente non si riscontra nella pratica operativa nella quale risulta il sistematico riferimento al fido accordato nella delibera. Un altro problema si pone, inoltre, nelle pregiudizievoli e poco trasparenti circostanze nelle quali la banca acconsente affinché il fido concesso venga sistematicamente e costantemente sconfinato, applicando condizioni di tasso, commissioni e spese più esose44. bancario si è sempre mostrato molto riluttante alla determinazione precisa degli obblighi della banca e dei diritti del cliente in ordine alla ‘disponibilità’, sfumando più possibile il contenuto e la portata del diritto del cliente. Al proposito le vecchie N.B.U., vado a memoria ma non credo di sbagliare di molto, per quanto riguardava il recesso della banca dall’apertura di credito stabilivano: ‘La banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con una comunicazione verbale, dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al cliente, con lettera raccomandata un preavviso non inferiore a 1 giorno’. La formula oggi è probabilmente diversa, e non è questa la sede per criticarla, mostra però all’evidenza la riluttanza a considerare la disponibilità come un ‘dovere di dare’ giuridicamente rilevante della banca. Conferma questa impressione la circostanza, vado ancora a memoria, che nei bilanci delle banche se viene registrata l’entità dell’utilizzato, l’entità dell’affidato, se appare, appare invece ‘sotto la linea’, come semplice impegno (c.d. ‘margine disponibile’); del resto l’‘affidato’, se non accompagnato da clausole di ‘irrevocabilità’, ben rare, non ha come tale un suo rilievo, un suo peso nella determinazione dell’impegno del patrimonio a fini di vigilanza. Si è in realtà in presenza di uno dei tanti, purtroppo frequenti, ‘disallineamenti’ tra operatività bancaria e disciplina giuridica; in effetti se è sicuro che il cliente non ha un ‘diritto di credito’ sull’affidato (come, con costante insuccesso, si è talora tentato di sostenere), è altrettanto vero che qualche profilo di ‘giuridicità’ la posizione del cliente affidato deve pur averlo; le banche tentano di sfumarlo al massimo (revocabilità in qualunque momento, anche nei contratti a tempo determinato, anche con comunicazione verbale e senza prevedere, diciamo, spiegazioni), ma, ripeto, che qualche profilo di rilevanza giuridica vi debba essere, e vi sia, lo dimostrano gli interventi, giurisprudenziali soprattutto, in punto di condizioni di liceità del recesso.” (Paolo Ferro-Luzzi, Ci risiamo. A proposito dell’usura e delle commissioni di massimo scoperto, Giur. Comm. 2006). 44 Lo sconfinamento dal fido è stato più recentemente definito dal D. Lgs. 141/10, nell’ambito del credito al consumo, come “l’utilizzo da parte del consumatore di fondi concessi dal finanziatore in eccedenza rispetto al saldo del conto corrente in assenza di apertura di credito ovvero rispetto all’importo dell’apertura di credito concessa” e viene regolato nell’art. 125 octies. Lo sconfinamento si configura come una ‘tolleranza’ della banca che acconsente, in via temporanea e precaria, al di fuori dell’apertura di credito e per il quale permane il diritto di esigere l’immediato rimborso. Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, pur potendo stipularsi la convenzione di concessione di credito per facta concludentia (v. Cass. 01/07/05 n. 14470; Cass. 15/09/06 n. 19941), la tolleranza dell’intermediario che consenta ripetuti sconfinamenti del conto, ovvero il ripetuto utilizzo del credito in eccesso al fido accordato, non costituisce di per sé prova dell’avvenuta stipula di una convenzione di concessione di credito o di aumento del credito già accordato (così Arbitro Bancario e Finanziario, Coll. Roma decisione n. 42/10 del 12/02/10), 37 In generale, se, nel medesimo trimestre, sono convenute condizioni e tassi distinti, per separate linee di credito, ancorché relative alla medesima categoria e insistenti sul medesimo conto, non appare rispondente al dettato normativo operare un’aggregazione degli interessi ed oneri trimestrali e determinare in tal modo un tasso unico, risultante dalla media dei valori applicati. Analogamente, nel momento in cui la Banca acconsente, in momenti diversi, a pagamenti oltre il fido concesso, sui quali di norma applica tassi e condizioni diversi, di fatto risulterebbe accordare un ulteriore finanziamento, giuridicamente distinto dal fido accordato. Non sembra propriamente configurarsi un’estensione del finanziamento in essere. Anche quando la banca prevede in contratto tassi e condizioni distinte per la parte compresa entro il fido e per l’eventuale extra-fido, non appare corretto, nella verifica d’usura, calcolare il complessivo costo del credito nel trimestre sommando gli interessi, spese ed oneri applicati entro il fido con quelli più elevati praticati per l’extra-fido. 45 Tale criterio risulterebbe disattendere lo spirito della norma che espressamente punisce “chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi pur potendo tale reiterata condotta, nel concorrere di ulteriori requisiti, assumere rilievo a tal fine (in tema, si veda ad. es. Cass. 8/01/03 n. 58). Può pertanto ritenersi che, in difetto di una pluralità di indici di una diversa volontà delle parti, la concessione di sconfinamenti, ancorché ripetuti, non sia da ricondursi alla tipologia dei c.d. “fidi di fatto”. “La tolleranza degli sconfinamenti da parte della banca non integra una manifestazione di volontà idonea a superare le clausole pattuite dalle parti perché l’aspettativa originaria del fatto che l’istituto di credito paghi assegni anche quando l’esposizione creditoria superi il limite di fido concesso non è di diritto, ma di fatto, priva di giuridica rilevanza; pertanto il mancato pagamento di assegni emessi da un correntista su un conto che presenta uno scoperto superiore a quello consentito e il conseguente protesto di tali titoli non costituisce lesione di interesse riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico.”. (Cass. Civ. Sez. I, 10/2/04 n. 2477). 45 Un sintomo di disfunzione è rappresentato dagli sconfinamenti sui fidi bancari, un fenomeno che si colloca su livelli particolarmente elevati in talune regioni meridionali. La prassi degli sconfinamenti può dipendere da carenze organizzative delle banche. Essa influisce pesantemente sul costo effettivo del denaro, per effetto delle maggiorazioni di tasso e delle commissioni di massimo scoperto. E’ indicativa di comportamenti non trasparenti: la banca accorda un fido inferiore a quello che serve al cliente, rendendosi peraltro disponibile a mantenerlo di fatto al di sopra dell’accordato; il cliente dal canto suo accetta questa impostazione, che lo pone in una situazione di debolezza nei rapporti quotidiani con la banca. (G. Berionne, Consiglio Superiore della Magistratura, incontro di studio sul tema: ‘Usura e disciplina penale del credito’, Frascati 1997). 38 usurari” 46. Il disposto normativo non sanziona la previsione e l’applicazione di tassi mediamente usurari, ma più semplicemente la previsione e l’applicazione di tassi usurari47. Qualora la banca abbia praticato, anche per la sola parte di credito in extra-fido, condizioni di tasso, spese ed oneri superiori alla soglia d’usura, sembrerebbe corretto 46 La Cassazione penale, seppur in circostanze diverse, ha chiarito la necessità di riferire la verifica del rispetto della soglia d’usura ai distinti finanziamenti. In una prima occasione (Cass. Pen. Sez. II, n. 745/05) si afferma: “Non giova, perciò, richiamarsi al complesso dei rapporti economici esistenti tra l’imputato e la parte lesa per un conteggio globale degli interessi da quest’ultima dovuti, interessi che, in tal modo valutati e conteggiati, non supererebbero, a quanto si assume, la soglia legale. Quel che rileva è che in alcuni rapporti (quelli, appunto, per cui vi è contestazione), quella soglia è stata largamente superata, integrandosi in ciò il reato d’usura continuata addebitato.”. Più recentemente (Cass. Pen. Sez. III, n. 43840/09) viene ribadito: “(…) per l’individuazione della natura usuraria degli interessi, nel caso in cui tra il soggetto agente e la vittima intercorra un complesso rapporto economico, occorre avere riguardo ai singoli episodi di finanziamento e quindi alle specifiche dazioni o promesse, non potendosi procedere al calcolo globale degli interessi dovuti in virtù della pluralità dei prestiti.”. 47 Le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia riportano: “Se si registrano utilizzi superiori al fido accordato la classe di importo rimane determinata in base all’ammontare del fido accordato”. Nei chiarimenti forniti dalla Banca d’Italia, alla domanda: “In quale categoria devono essere segnalati gli sconfinamenti rispetto al fido accordato sui conti correnti affidati?”, viene fornita la risposta: “Gli sconfinamenti rispetto al fido accordato rientrano tra le aperture di credito in conto corrente (Cat. 1.a o 1.b) sia ai fini della segnalazione sia per la verifica dell’eventuale usurarietà delle condizioni applicate.”. Dalla domanda e dalla risposta si può evincere che lo sconfinamento sia oggetto di un’apposita segnalazione, distinta da quella relativa all’affidamento concesso. Questo sembrerebbe ulteriormente avvalorato dalla risposta fornita alla domanda successiva: “In un finanziamento revolving su carta di credito può verificarsi un’estensione del credito attraverso la concessione di ulteriori linee di finanziamento. E’ ammessa una segnalazione unica nella categoria 9 (Credito revolving)”, alla quale viene fornita la risposta: “Sì, in caso di mera estensione del credito con le stesse caratteristiche del finanziamento revolving in essere può essere prodotta una segnalazione unitaria.”. Sembrerebbe evincersi che la condizione per un’unitaria segnalazione sia l’applicazione delle medesime condizioni, desumendo, a contrario e più in generale, che l’estensione di ogni finanziamento, intervenuta a condizioni e caratteristiche diverse, debba essere assoggettata a specifica e distinta segnalazione: nella circostanza tale estensione, non definita contrattualmente, andrebbe rapportata alla connessa massima variazione intervenuta nel trimestre. In altro punto delle risposte ai quesiti, tuttavia, in merito alla variazione in via temporanea dell’accordato, si precisa che, se formalizzata, vanno tenute distinte le segnalazioni dei due contratti, prima e dopo la variazione. Se non formalizzata, la segnalazione rimane unica, ma non si fa riferimento ad una uniformità di condizioni. Una situazione analoga si riscontra nella circostanza di fidi, scaduti ma non revocati, che, protraendosi nel tempo, con la lievitazione degli interessi, oneri e spese sconfinano e, con il riferimento all’ultimo fido accordato, vengono ad esorbitare le soglie d’usura. 39 ritenere che questa non possa essere elusa con una metodologia di verifica che, fondendo tassi più alti con tassi più bassi, riconduca il valore medio al di sotto della soglia48. La sentenza della Cassazione, II Sez. Penale n. 46669/11, con una formulazione per il vero poco trasparente, sembra esprimere un avviso conforme: “Né possono avere rilievo le differenziazioni del tasso operato in caso di conto corrente non affidato – in cui il credito erogato è superiore al fido concesso, rispetto al conto corrente affidato – in cui l’utilizzo avvenga regolarmente nei limiti del fido, dovendo, comunque, la banca non superare il tasso soglia normativamente previsto indipendentemente dalla circostanza che nel caso di conto corrente non affidato la banca debba fronteggiare un inatteso e irregolare utilizzo del credito da parte del cliente, che, pur rappresentando un costo per l’eventuale scorretto comportamento del cliente, non può comunque giustificare il superamento del tasso soglia, trattandosi di un costo collegato all’erogazione del credito che ricorre ogni qualvolta il cliente utilizza lo scoperto di conto corrente e funge da corrispettivo dell’onere, per la banca, di procurarsi e tenere a disposizione del cliente la necessaria provvista di liquidità”. Nelle indicazioni della Procura di Torino si osserva che, ancorché la legge n. 2/09 sia entrata in vigore il 29 gennaio ’09 con adeguamento dei contratti a partire dal 1 luglio ’09, la Banca d’Italia, con riferimento specifico alla verifica dell’usura, ha disposto diversamente. Infatti, nelle ‘Istruzioni’ dell’agosto ’09, al punto D1 Periodo transitorio (1 luglio – 31 dicembre 2009) si specifica: “Fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della Banca d’Italia e dell’UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006. 48 Un avviso contrario ha espresso il G.u.p. A. Panichi nella sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, n. 117 del 9/07/09, depositata il 23/7/09 – esaminata dalla Cassazione nella famosa sentenza 12028/10 – nella quale si è ritenuto che “in relazione alla necessità di elaborare distinti conteggi in funzione delle diverse condizioni contrattuali, non si potesse accedere alla richiesta (del CTP), in quanto l’erogazione del credito concesso dalla Banca si inquadra nell’ambito di un rapporto unitario; diversamente opinando si sarebbe infatti introdotto il concetto nuovo di ‘usura marginale’, che riguarda cioè soltanto la parte dell’affidamento che eccede il limite di fido concesso (o lo scaglione contrattuale) con la conseguenza che tale criterio di calcolo non sarebbe stato coerente con il quadro normativo di riferimento.” 40 Nel periodo transitorio restano pertanto esclusi dal calcolo del TEG per la verifica del limite di cui al punto precedente (ma vanno inclusi nel TEG per l’invio delle segnalazioni alla Banca d’Italia): - la CMS e gli oneri applicati in sostituzione della stessa, come previsto dalla legge n. 2 del ’09; - gli oneri applicati alla clientela per i passaggi a debito di conti non affidati, fino a concorrenza delle spese addebitate ai clienti per la liquidazione trimestrale dei conti affidati; - gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (anche per il tramite dell’intermediario).” Pur riconoscendo l’esigenza di conciliare le modifiche e le precisazioni interpretative della legge n. 2/09 con la supervisione e gestione del credito attribuita istituzionalmente alla Banca d’Italia, balza agli occhi la rilevante interferenza e contrasto con la norma di legge. L’indifferenza per il dettato legislativo, grazie al presidio penale, non ha trovato nella circostanza l’usuale e uniforme adesione degli intermediari. Risulta che buona parte delle banche, dimostrando una maggiore avvedutezza e cautela di quanto suggerito dalla Banca d’Itala, abbiano adottato, anche per il periodo transitorio, comportamenti più coerenti con il disposto di legge. La Banca d’Italia ha preso lo spunto dalla modifica introdotta dalla legge n. 2/09 per correggere le più rilevanti discrasie insite nelle ‘Istruzioni’: è stato ampliato l’aggregato degli oneri e spese inclusi nel calcolo del TEG ed è stata corretta la formula di calcolo; rimangono tuttavia apprezzabili discrasie che si sono estese dalla formula di calcolo, alle FAQ di spiegazione e alla definizione delle categorie delle operazioni di credito. Appare illegittimo un qualunque riflesso nella verifica dell’usura: come sottolineato in precedenza, ogni interferenza degli atti amministrativi con la verifica dell’usura, verrebbe a configurare quel rinvio della legge penale al potere subordinato, violativo della riserva di legge ex art. 25 della Costituzione. Le modifiche apportate alla rilevazione statistica condurranno a valori diversi del TEGM pubblicato periodicamente, ma lasciano immutata la verifica dell’usura stabilita dall’art. 644 c.p. Nelle indicazioni della Procura di Torino si rileva altresì l’opportunità di accertare che spese e oneri attinenti al credito, non vengano, sotto altra denominazione, trasmutati su servizi diversi dal credito stesso. Questo potrebbe essere accertato verificando che il piano tariffario dell’intermediario sia diversificato in funzione dei servizi prestati, non 41 della natura dei rapporti di conto: lo stesso servizio, prestato ad un conto affidato o non affidato, deve presentare lo stesso costo. Per quanto concerne l’anatocismo, le indicazioni della Procura di Torino ritengono corretto, così come ha chiarito la Banca d’Italia, che occorra basarsi sui numeri debitori rinvenienti dall’estratto conto scalare, ‘in cui i capitali sono comprensivi degli interessi e delle spese addebitate trimestralmente’ (Cfr. FAQ novembre ’10). Tale aspetto risulterebbe giustificato dalla circostanza che la capitalizzazione trimestrale, successivamente alla Delibera CICR 9/2/00, risulta legittimata e pertanto, come riportato anche nella sentenza del Tribunale di Torino49, con l’annotazione trimestrale degli interessi si viene a mutare il regime giuridico degli stessi, da obbligazione accessoria a obbligazione principale. Parallelamente nella verifica dell’usura, per ciascun trimestre occorre rapportare gli interessi al capitale comprensivo dei precedenti interessi capitalizzati e quindi i numeri debitori corrispondono esattamente a quelli indicati dalla banca nell’estratto conto scalare. Il 1° comma dell’art. 2 della Delibera C.I.C.R. sembra legittimare il pagamento degli interessi con l’addebito degli stessi in conto: l’obbligazione accessoria da interessi, contestualmente all’addebito, muterebbe in obbligazione principale per sorte capitale. Di riflesso, ove applicabile la Delibera CICR, si verrebbe a derogare ai principi stabiliti dalla Cassazione S.U. n. 24418/10: a partire dalla Delibera stessa per gli interessi si prescinderebbe dalle rimesse e la stessa registrazione in conto verrebbe ad assolvere la funzione di pagamento degli stessi, decurtando di fatto e di diritto le disponibilità di 49 “Si ritiene in fatti che la capitalizzazione degli interessi passivi non possa essere considerata ai fini del computo del tasso soglia e ciò perché mediante tale capitalizzazione (come già detto, legittima successivamente alla delibera CICR del 2000), il debito da interessi passivi viene conglobato nel capitale così mutando di regime giuridico, da obbligazione accessoria d’interessi a obbligazione principale per sorte capitale. (…) Va al riguardo sottolineato che anatocismo e capitalizzazione non costituiscono concetti equivalenti: mentre il primo designa la speciale attitudine degli interessi a produrre, a loro volta, interessi, la seconda indica il fenomeno in forza del quale una certa misura d’interessi viene tramutata in sorte capitale, con conseguente trasformazione di un’obbligazione accessoria in principale. Da ciò consegue che solo quest’ultima – non l’anatocismo di per sé – conduce al mutamento del regime giuridico dell’obbligazione d’interessi, solamente alla quale sono applicabili, per esempio, speciali norme in materia d’imputazione del pagamento (art. 1194 c.c.), quietanza (art. 1199 c.c.), cessione del credito (art. 1263 c.c.), privilegio (art. 2749 c.c.), pegno (art. 2788 c.c.), ipoteca (art. 2855 c.c.), prescrizione (art. 2948 c.c.). L’assorbimento dell’interesse passivo nel capitale esclude la computabilità dello stesso fra le voci di costo periodico del finanziamento, appunto perché, una volta capitalizzato, l’interesse non è più tale.” (Tribunale Torino, B. Conca, 5292/12) 42 credito preesistenti. Con la registrazione in conto verrebbe riconosciuto il trasferimento patrimoniale con un effetto di capitalizzazione. Tuttavia, in una diversa lettura del 1° comma dell’art. 2 della menzionata Delibera, gli interessi conservano la loro distinta natura, ancorché si consenta loro di produrre ulteriori interessi. La formulazione del testo del 2° comma dell’art. 120 T.U.B. sembra confermare questa seconda lettura: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, …”. Con l’annotazione sorgerebbe il credito per interessi verso il cliente che tuttavia troverebbe estinzione solo alla prima rimessa solutoria; gli interessi non verrebbero capitalizzati, ancorché suscettibili di produrre nuovi interessi. Il capitale erogato dalla banca rimarrebbe invariato, ma risulterebbe gravato, oltre che dai relativi interessi, anche dagli interessi maturati sui precedenti interessi annotati. Per completezza della problematica dell’anatocismo, occorre altresì considerare, alcune ulteriori precisazioni. Una prima precisazione concerne i rapporti preesistenti alla Delibera CICR 9/2/00, che non hanno trovato una formale regolarizzazione del nuovo regime, con la specifica sottoscrizione del correntista. Come è noto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 425, intervenuta il 17 ottobre ’00, successivamente alla menzionata Delibera CICR, dichiarava l’illegittimità del 3 comma dell’art. 25 D. Lgs. 342/99: conseguentemente veniva meno il presupposto legittimante l’art. 7 della Delibera CICR 9/2/00, finalizzato a disciplinare i rapporti in essere al momento dell’entrata in vigore della Delibera stessa50. Di riflesso, per 50 L’art. 25 del D. Lgs. 342/99 stabiliva una sanatoria delle clausole anatocistiche stipulate sino a quel momento e l’adeguamento di una pari periodicità degli interessi a debito e a credito. Più in articolare, con l’art. 25 in parola si è intervenuti sull’art. 120 del T.U.B.: ▪ modificando, con il comma 1, la rubrica; ▪ aggiungendo, con il comma 2, un secondo comma all’art. 120 che prevede l’anatocismo nel rispetto della pari periodicità; ▪ prevedendo, con il comma 3, la disciplina transitoria e di sanatoria. In quest’ultimo comma si disponevano, per i contratti in essere, due distinti interventi: i) la validità ed efficacia delle clausole fino all’entrata in vigore della Delibera CICR; ii) la previsione delle modalità e tempi di adeguamento. Ancorché le argomentazioni avanzate dalla Corte Costituzionale fossero incentrate sulla riconduzione a validità delle clausole anatocistiche bancarie contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della prevista deliberazione, l’intero terzo comma dell’art. 25 è stato dichiarato incostituzionale. “Chiaramente, venendo meno l’art. 25 comma 3 del D.Lgs. 342/1999 – atto di normazione primaria - è venuto meno anche il fondamento legittimante l’art. 7 della Delibera CICR 9/2/2000 – atto di normazione secondario - finalizzato ad attuarlo, le cui “Disposizioni transitorie” quindi hanno perso ogni 43 i rapporti precedenti, si rendeva necessario, per le nuove clausole di capitalizzazione, l’approvazione scritta del cliente, non bastando l’adeguamento in via generale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e la comunicazione per iscritto alla clientela. L’art. 7 della Delibera CICR 9/2/00 non è stato oggetto di alcuna formale abrogazione ma, seppur con estrema gradualità, la generalità dei Tribunali sono venuti disapplicando la Delibera stessa ai rapporti preesistenti.51 Per i conti preesistenti la Delibera, gli intermediari hanno continuato a praticare l’anatocismo trimestrale: solo per la clientela che procede ad avviare un ricorso giudiziario, in rispetto dell’art. 1283 c.c., si enuclea l’illegittimo anatocismo, curando la capitalizzazione semplice al termine del rapporto. Finanche la Banca d’Italia, nel rispondere agli esposti precisa: “ .. a partire dall’entrata in vigore della citata delibera, è legittima la produzione di interessi su interessi qualora, fermi restando i predetti obblighi di trasparenza e pari periodicità, la relativa clausola sia espressamente pattuita nel contratto di conto corrente e specificatamente approvata per iscritto dal cliente. Il regime dei rapporti anteriori alla delibera CICR del 9/2/00 è rimesso alle valutazioni dei singoli giudici eventualmente investiti delle controversie da parte della clientela, posto che le clausole sono disciplinate dalla normativa precedentemente in vigore.”. efficacia e possibilità di applicazione. I restanti sette articoli della delibera, invece, continuano ad avere applicazione in quanto emanati in attuazione dell’art. 25 comma 2 del D.Lgs. 342/1999, non coinvolto dalla declaratoria di incostituzionalità. Quindi l’anatocismo bancario sulla base di clausole preventive è divenuto legittimo a decorrere dal 22/4/2000 e, per essere efficace tra le parti, è necessario che le clausole di capitalizzazione, aventi il contenuto su indicato, siano state oggetto di approvazione specifica per iscritto da parte del cliente, non bastando a tal fine che l’adeguamento in via generale delle nuove clausole alla nuova normativa sia stato pubblicizzato sulla Gazzetta Ufficiale e/o comunicato per iscritto alla clientela.” (F. Cusani, intervento al Convegno “Anatocismo, Ius variandi e Usura nei rapporti bancari”, ASSOCTU, Centro Congressi dell’Università “Sapienza”, 24 febbraio 2012). 51 Cfr. Venezia, 22/01/07, G. M. A. Maiolino; Torino, n. 6204 del 5/10/07, G. Rizzi; Benevento, n. 252 del 18/02/08; Chieti, 23/04/08; Mantova, 12/07/08, G. Aliprandi; Orvieto, n. 166 del 30/07/05, G. Baglioni; Pescara, n. 722 del 30/03/06, G. Falco; Torino n. 5480 del 4/07/05 e n. 6204/07, G. Rapelli; Teramo n. 1071 dell’11/12/06, G. Marcheggiani; Crotone, 11/7/07, M. Sessa; Mondovì, 10/02/09, G. Demarchi; Teramo, n. 84 del 18/01/10; Pordenone, n. 543 del 16/6/10, G. L. Dall’Armellina; Lecce, Sez. Campi Salentina, n. 23 del 7/02/11, G. De Pasquale; Treviso (Conegliano), n. 73 dell’1/03/11; Nola, 20/12/11, F. Maffei; Pordenone 745/12; Milano, L. Cosentini, n. 6072 del 23/5/12; Taranto, n. 1418 del 28/06/12, G. Coccioli; Lecce, n. 2523 del 13/11/12, A. Ferraro; Novara 1/10/12, S. Gambacorta; Messina, n. 618 del 21/03/13, C. Madia; C. Appello Milano n. 1796 del 22/05/12; Treviso, Menegazzi 10/6/13; Chieti n. 496 del 13/6/13, L. Luciotti; Venezia n. 518/14; Sassari, Lampus 9/8/14; Piacenza, Picciau, 27/10/14. Cfr. anche ABF Roma n. 1008/11, n. 1012/11; Milano n. 346/10; Napoli n. 23/12. 44 Pertanto, soltanto per i rapporti precedenti formalmente regolarizzati e per quelli posti in essere successivamente alla menzionata Delibera, per il calcolo dell’anatocismo si pone preliminarmente la problematica se gli interessi annotati in conto si mutano in capitale o conservano la propria natura pur producendo altri interessi. Per tutto i rapporti precedenti la menzionata Delibera CICR e non regolarizzati, risultando nulle le clausole anatocistiche previste nei relativi contratti, si impone, a norma della sentenza della Cassazione n. 24418/10, la capitalizzazione semplice sino alla regolarizzazione o sino alla chiusura. Di riflesso, anche nella verifica dell’usura, i numeri debitori andranno depurati completamente dell’anatocismo via via capitalizzato illegittimamente dall’inizio del rapporto. Sul piano penale possono insorgere perplessità che nella circostanza si possa ravvisare elementi di dolo – ancorché il diffuso dispiegamento di sentenze prodotte dai Tribunali sollevano più che un ragionevole dubbio sulla liceità dell’anatocismo in tali circostanze - mentre sul piano civile appare pacifico che si possano determinare pregnanti elementi di usura, con connotazioni proprie all’usura originaria52. 52 Si osserva per altro che, in presenza di un formale affidamento, non sembra affatto pacifica ed assodata l’estensione all’apertura di credito dell’applicazione della Delibera C.I.C.R. 9/2/00, riferita dalla stessa al contratto di conto corrente. In una stretta applicazione della norma, che conservi e rispetti la diversa natura del rapporto di conto e del rapporto di apertura di credito, sulla quale la pronuncia n. 24418/10 delle Sezioni Unite fonda il criterio di imputazione delle rimesse di pagamento, il dettato dell’articolo 2 della Delibera CICR sembra riguardare esclusivamente il richiamato rapporto di conto corrente, riferendo il vincolo della pari periodicità agli interessi a credito e a quelli a debito che intervengono nello scoperto di conto previsto dagli artt. 4 e 6 delle norme uniforme bancarie, che contemplano la possibilità di un’elasticità di cassa, non configurabile come un’apertura di credito. Né l’art. 1 della Delibera sembra consentire, di per sé, una lettura che estenda la produzione degli interessi sugli interessi ad ogni forma di rapporto di affidamento regolato in conto corrente. Infatti l’art. 1 della Delibera C.I.C.R. 9/2/00 prevede: (Ambito di applicazione) “Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono.”. Gli articoli che seguono trattano esclusivamente il conto corrente e i finanziamenti con piano di rimborso rateale. Per i finanziamenti con rimborso rateale, si è avvertita l’esigenza di prevedere esplicitamente, all’art. 3 della Delibera C.I.C.R., la produzione di interessi, in capitalizzazione semplice, sulle rate scadute (compresa quindi la quota interessi). Mancando un’esplicita previsione, ciò induce ad escludere, per i finanziamenti a scadenza, la produzione di interessi su interessi prima della scadenza stessa. In una non recente sentenza del Tribunale di Milano (6 settembre ‘06, Vanoni) si è ritenuto che solo ricorrendo un’unitarietà della causa si possa giustificare un’interferenza delle discipline, estendendo all’apertura di credito le clausole espressamente stabilite per il conto corrente: “Allorquando tra la banca ed il cliente sia stato sottoscritto un unico contratto avente ad oggetto un rapporto di conto corrente “affidato” (da apertura di credito), è possibile estendere all’apertura di credito sullo stesso concessa, le clausole normative relative agli interessi 45 Una seconda precisazione concerne il periodo successivo al 1/1/14. Come riportato nel documento della Procura la legge 147/13, nel modificare l’art. 120 del TUB, ha ripristinato l’inderogabilità dell’art. 1283 c.c.. Conseguentemente, a partire dal 1/1/14, l’anatocismo che gli intermediari bancari hanno sistematicamente continuato ad applicare ai rapporti di conto, dovrà propriamente essere ricompreso nella verifica di rispetto delle soglie d’usura53. Gli estratti conto, trasmessi sino ad oggi alla clientela, risultano in palese contrasto con l’art. 1283 c.c.: la decisione assunta dagli intermediari bancari di attendere la Delibera CICR prevista dal nuovo art. 120 TUB ha di fatto precluso alla clientela di usufruire dei ultralegali ed alla capitalizzazione trimestrale espressamente previste nel contratto di conto corrente”. Nella sentenza si è ravvisata, nei tempi e modalità di formazione, una manifestazione negoziale configurante un unico contratto, definito “conto corrente affidato”, giustificando in tal modo l’estensione all’apertura di credito della disciplina applicabile al conto corrente. Nel commentare la sentenza ( Banca e Borsa – Parte II – 2008) Mercedes Guarini osserva: “Un attento esame della giurisprudenza sembrerebbe confermare che solo l’“unitarietà” della causa può giustificare l’integrazione del regolamento negoziale, dettato per l’apertura di credito, con clausole negoziali espressamente pattuite per il solo conto corrente; e viceversa, in presenza di più contratti che, seppur collegati, mantengono una loro “autonomia” sotto il profilo “strutturale”, è da escludere ogni possibile interferenza circa la disciplina applicabile. (…) L’idea di fondo è dunque incentrata sul rilievo che la qualificazione della fattispecie non possa essere fatta a priori, analizzando gli schemi negoziali tipici, ma debba essere fatta a posteriori, attraverso l’esame dell’intero regolamento negoziale posto in essere dalle parti, nonché nell’assunto che, in presenza di più contratti che mantengono la propria “individualità”, ciascuno rimane assoggettato alla disciplina del tipo corrispondente”. La Cassazione si è più volte occupata del collegamento fra le due tipologie di negozi: “I due contratti (quello di conto corrente e quello diretto alla creazione della disponibilità) sono strutturalmente autonomi, benché funzionalmente collegati. Il conto corrente di corrispondenza ha natura di contratto misto, alla cui costituzione concorrono, insieme coi principi del mandato, che hanno una posizione preminente nella sua struttura e disciplina, anche elementi di altri negozi” (Cass. Civ. n. 3637/68). Anche volendo accogliere la distinzione, curata in dottrina, fra contratti collegati e contratti misti, per questi ultimi recenti sentenze delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 26298 e n. 11656/08) hanno ribadito che “per stabilire la disciplina applicabile al contratto di specie, deve individuarsi quale tra i vari elementi causali prevalga sugli altri (secondo la nota teoria della prevalenza, appunto, o dell’assorbimento), fatta salva l’applicabilità della disciplina prevista per gli altri elementi, in quanto compatibile; ovvero della disciplina che risulta dalla sintesi di tutti gli elementi (teoria della combinazione) qualora nessuno di essi possa dirsi prevalere sugli altri”. Nel conto corrente affidato, più che al criterio di prevalenza, che implicherebbe un’analisi minuta della genesi e funzionamento dei rapporti, e spesso condurrebbe all’apertura di credito piuttosto che al conto corrente, si potrebbe preferire il criterio della combinazione che forse si attaglia meglio alle fattispecie in esame, non ravvisandosi per altro particolari incompatibilità dalla contemporanea applicazione delle norme proprie a ciascun contratto. 53 Cfr. R. Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2/00, dicembre ’14, in assoctu.it. 46 benefici disposti dalla legge, presentando aspetti di particolare criticità, anche penale per quei rapporti di credito con tassi prossimi alle soglie d’usura che - per l’ormai illegittima capitalizzazione degli interessi, che si riflette nei ‘Numeri’ al denominatore del TEG potrebbero presentare livelli di tasso debordanti la soglia fissata trimestralmente dal Ministero dell’Economia e Finanze. Nella circostanza, il ragionevole dubbio sulla liceità del comportamento adottato, avrebbero dovuto suggerire quanto meno di impiegare, nei processi di cimatura dei tassi, di cui sono dotati i sistemi informativi delle banche, una formula del TEG che ricomprenda l’anatocismo oramai divenuto illegittimo54. Da ultimo una precisazione non di poco conto in quanto spesso trascurata. Qualora nell’accertamento del rispetto delle soglie d’usura si venga a riscontrare uno o più trimestri in usura, i relativi interessi o la quota in esubero dalla soglia – a seconda che si ravvisi un’usura originaria o sopravvenuta – dovranno essere decurtati dalla capitalizzazione indotta nei trimestri successivi. Al riguardo la Cassazione n. 33331/11 ha precisato: : “… non può accogliersi la tesi difensiva sulla legittimità della capitalizzazione annuale degli interessi operata con la scrittura del 4 gennaio 2001, sia perché la giurisprudenza civile considera l’art. 1283 c.c. ostativo alla previsione negoziale di capitalizzazione annuale degli interessi (Sez. u, n. 24418 del 2/12/10, Rv. 615490) sia soprattutto perché non può certo consentirsi la capitalizzazione di interessi usurari, che, in quanto illeciti, renderebbero nulla qualsiasi pattuizione di capitalizzazione, dalla quale, anzi, potrebbe emergere proprio la usurarietà del tasso applicato.” Pertanto laddove si riscontri un debordo della soglia d’usura in anni precedenti, si rende necessario procedere a rideterminare l’effettivo capitale erogato, depurando i numeri dalla lievitazione indotta dall’illegittimo anatocismo prodotto dagli interessi usurari. 4. CONCLUSIONI: I CRITERI DI VALUTAZIONE E RAFFRONTO. Nel documento della Procura di Torino la parte delle conclusioni appare poco chiara. Cogliendo correttamente le argomentazioni riportate, si mira ad individuare: 54 In un precedente lavoro si è stimato, limitatamente al credito in conto, in circa € 2,0 mil.di l’impatto economico dell’anatocismo consentito annualmente dalla Delibera CICR 9/2/00. Cfr. R. Marcelli, ‘La ripetizione dell’indebito bancario: dimensione del fenomeno e problematiche applicative’, pag.9, Roma 12 aprile 2013, in assoctu.it. 47 da un lato l’usura oggettiva, applicando, anche per il periodo precedente il 31 dicembre ’09, la formula del TEG riportata nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia ’09; T.E.G. = Interessi x 36.500 numeri debitori Oneri (comprese CMS) annualizzati x 100 + accordato (o max scoperto) (formula 'Istruzioni' Banca d'Italia 2009) dall’altro l’usura soggettiva, applicando, per tutto il periodo, le ‘Istruzioni’ volta per volta vigenti55. T.E.G. = Interessi x 36.500 numeri debitori Oneri x 100 + accordato (o max scoperto) (formula 'Istruzioni' Banca d'Italia volta per volta vigenti) Le conclusioni alle quali perviene la Procura di Torino risultano, nell’accertamento dell’elemento soggettivo dell’usura, del tutto coerenti con la sentenza della Cassazione n. 46669/11. Per l’usura oggettiva l’indicazione della Procura costituisce, sul piano operativo, nella generalità dei casi un significativo discrimine, risultando il nuovo TEG della Banca d’Italia, nei casi ordinari, assai accostato al TAEG, che esprime l’effettivo costo del credito56. Tuttavia continuando a privilegiare, nella verifica dell’usura, al fermo dettato 55 Un criterio del tutto identico (integrato dalla Circolare del dicembre ’05 della Banca d’Italia) è stato ritenuto ‘immune da vizi logici’ dalla menzionata Cassazione n. 46669/11: “Incensurabile in questa sede, essendo immune da vizi logici, è la valutazione di entrambi i giudici di merito di far riferimento alla perizia del dott. (…) che ha seguito l’impostazione metodologica poi recepita in sentenza, scegliendo di utilizzare il criterio delle CMS soglia per accertare i casi di sforamento, individuandoli, in concreto, ogni volta che risulti superato il valore medio aumentato della metà”. 56 A tale formula fa riferimento la direttiva 2008/48/CE che all’art. 19, 2° e 3° paragrafo stabilisce: ‘2. Al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito e delle spese, diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all’atto dell’acquisto, in contanti o a credito, di merci o di servizi’.’ 3. Il calcolo del tasso annuo effettivo globale è fondato sull’ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il creditore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito’. 48 dell’art. 644 c.p., le indicazioni della Banca d’Italia, non si pone un argine sufficientemente rigido e tassativo ai comportamenti ‘deviati’ che si alimentano nelle opache quanto confuse pieghe delle ‘Istruzioni’ e delle FAQ; l’apprezzabile rilievo economico che ne deriva nei bilanci degli intermediari, come si è visto in passato, non può che favorire strategie tariffarie volte a cogliere compiutamente tali opportunità. La Cassazione, in più sentenze aventi ad oggetto CMS, mora, anatocismo, sembra aver reiteratamente espresso con riferimento all’usura, una posizione ispirata ad un estremo rigore, non lasciando spazio alcuno a deroghe, limitazioni o edulcorazioni rivenienti dall’organo amministrativo e/o dalla prassi di mercato. Non si ravvisa nelle citate pronunce alcun aspetto nel quale si possa cogliere una sfumatura di mediazione con la quale giustificare, seppur in casi speciali e particolari, un costo del credito sopra la soglia (TAEG), con un TEG entro la soglia. Le commissioni, oneri e spese, ancorché previste e regolamentate da norme di legge, non sembrano poter consentire, nei casi di modesto utilizzo del credito in rapporto all’accordato, un costo usurario: in tali circostanze il TEG esprime una misura del costo distorta, priva di significato finanziario. Commissioni, oneri e spese, certe od eventuali, possono ben essere contemplate in contratto, in coerenza con il quadro normativo di riferimento, ma nella fase operativa, quale che siano le circostanze eventuali, particolari o occasionali che intervengono, l’impiego dei sistemi informatici di cimatura deve poter assicurare l’assoluto rispetto del limite d’usura. Questo sembra emergere nelle parole, oltre che nei toni, impiegati dalla Cassazione nell’ergere un rigoroso presidio, scevro da ogni cedimento o deroga, sia alle soglie d’usura, sia alla riserva di legge, sia alla tassatività della norma. Si ritiene che, considerate le ricorrenti discrasie che continuano a insorgere sul piano operativo, gli operatori bancari non sembrano aver colto compiutamente il fermo La Direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori riferisce il TAEG agli aspetti informativi che devono essere riportati in contratto e correttamente indica il costo del credito (TAEG) – comprensivo per altro delle imposte - che ordinariamente verrà posto a carico del consumatore e, distintamente, il tasso degli interessi in caso di ritardi di pagamento e le eventuali penali. La Direttiva regola circostanze e finalità rivolte a fornire ex ante una corretta rappresentazione dei costi fisiologici e, distintamente, di patologia. Appare coerente e sintonico impiegare un’analoga formula ex-post, che colga, con modalità finanziariamente analoghe, l’intero aggregato dei costi subiti, sottoponendoli ai limiti fissati dall’art. 644 c.p. Appare incongruente, scorretto e poco trasparente, che il consumatore si veda ex-ante comunicare un tasso annuo effettivo globale e poi ex-post, ai fini del rispetto dei limiti d’usura - anche in circostanze fisiologiche - un diverso tasso, anche apprezzabilmente discosto da quello previamente comunicato. 49 monito espresso dalla Cassazione. Appare maturo, indispensabile e urgente che la Suprema Corte, nella più autorevole espressione delle Sezioni Unite, torni ad occuparsi della materia, fugando i residui equivoci, dubbi e perplessità, offrendo in tal modo un quadro chiaro, trasparente e definito, che consolidi la tassatività e riserva di legge, senza margini di zone grigie che possano alimentare comportamenti opportunistici, controlli difformi ed incertezze di giudizio sul piano civile e penale. Anche gli intermediari più attenti incontrano apprezzabili disagi nell’individuare, nelle difformi indicazioni, un comportamento univocamente determinato, che li ponga al riparo dai rischi d’usura, senza costringerli tuttavia a subire la concorrenza abusiva praticata dagli intermediari più aggressivi. Anche nel mercato del credito il profitto ha la meglio sulla virtù: in un regime di concorrenza, il mercato sortirebbe un calmiere ai prezzi, premiando l’intermediario più virtuoso, ma in un regime di oligopolio gli obiettivi di profitto relegano ai margini del mercato ogni forma di impresa virtuosa, prudentemente attenta al ‘ragionevole dubbio’. L’indicazione della Procura di Torino appare condivisibile per la generalità dei casi, ma crea delle zone di incertezza giuridica nei casi nei quali le pieghe delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia e le relative FAQ di integrazione liberano spazi di flessibilità che consentono all’intermediario di modificare il costo del credito lasciando invariato il valore del TEG rilevato con l’inusuale metro di misura ed i criteri di inclusione concepiti dalla Banca d’Italia. Ciò determina circostanze di elusione che, sotto il formale rispetto delle indicazioni della Banca d’Italia, possono discostarsi anche significativamente dal dettato dell’art. 644 c.p. Per tali situazioni si ripropone la medesima ambiguità che per oltre quindici anni ha pregiudicato la tassatività della norma, rendendo inefficace il presidio penale57. 57 Comportamenti opportunistici che tendono a conseguire benefici economici, travisando lo spirito della norma espresso dall’art. 644 c.p., ancorché nella forma risultino coerenti con le ‘Istruzioni’ e/o con le successive FAQ di chiarimento espresse dalla Banca d’Italia, non esimono l’intermediario dal reato d’usura. A questi comportamenti appare collegarsi il menzionato passaggio della Cassazione n. 46669/11 dove si riporta “Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari …”. Nella circostanza prospettata, è illegittimo il comportamento dell’intermediario che, utilizzando il fianco offerto da ‘circolari o direttive’ più o meno coerenti con l’art. 644 c.p., modifica in modo ‘acconcio’ l’assetto delle condizioni praticate, per rientrare formalmente nei parametri stabiliti dalle ‘Istruzioni’ e dalle ‘interpretazioni’ offerte dalle FAQ e disattendere sostanzialmente il portato normativo dell’art. 644 c.p. 50 Colmata la lacuna amministrativa delle CMS e delle spese ‘escluse’ – che per lungo tempo ha coperto ricorrenti comportamenti opportunistici dell’intermediario – si vengono delineando nuovi varchi interpretativi, che reiterano incongruenze ed incertezze, frapponendosi alla tassatività della norma. Dopo gli interventi di censura della Cassazione Penale ai criteri di inclusione degli oneri, in parte corretti nelle nuove ‘Istruzioni’, le criticità di applicazione della normativa sull’usura si accentrano sulla classificazione del credito58 e la corretta misurazione del costo. Come si é rilevato negli ultimi vent’anni, dopo la radicale trasformazione dell’assetto bancario e del mercato creditizio, nei comportamenti in materia d’usura assume spesso rilievo discriminante il rapporto costi/benefici dove, per il primo termine del rapporto, il rilievo economico è assai modesto (spese di causa, sanzioni Banca d’Italia, danno di immagine) in rapporto ai benefici che si possono conseguire su un’ampia platea di clienti. Più che depenalizzare il reato d’usura, come sostenuto da talune parti, al presidio penale occorre accompagnare un riferimento amministrativo di integrazione che, colmando i margini di discrezionalità, lo renda più oggettivo e determinato, escludendo, al contempo, ogni forma di interferenza con il chiaro, semplice ed ineludibile dettato dell’art. 644 c.p. Conseguito uno stringente livello di tassatività e determinazione della norma penale, un naturale rafforzamento sinergico può essere individuato nella proposta di legge, più volte avanzata ma mai portata a conclusione, che prevede l’inserimento dell’usura tra i reati presupposto per l’accertamento della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex D. Lgs. 231/01: i risvolti di deterrenza di una tale inclusione 58 A partire dal I trimestre ’10, si è assunta a ‘Categoria’ una forma di credito che dovrebbe ricoprire un ruolo marginale e che ha una scarsa connotazione fisiologica di ordinarietà. Lo ‘scoperto’ non è una tipologia di credito ordinario, è uno stato del rapporto che per altro dovrebbe avere una natura di occasionalità e temporaneità: gli intermediari, collocando il credito nella nuova Categoria degli ‘Scoperti senza affidamento’, possono maggiorare i tassi corrispettivi del 30% ed oltre, nel rispetto della più alta soglia prevista per questa nuova Categoria di credito. Lo scoperto quando si protrae nel tempo con il consenso della banca viene a costituire un affidamento di fatto. Rimane difficile riscontrare per tali forme di affidamento implicito una diversa natura che ne giustifichi un’apposita Categoria con soglie d’usura maggiorate di un terzo. Anche in questa circostanza le ‘Istruzioni’, alle quali vengono accompagnate FAQ confuse e incongruenti, offrono una equivoca e opaca copertura e gli intermediari ne vengono cogliendo il lato opportunistico. Se si rimette alla discrezionalità dell’intermediario la concessione del credito nella Categoria degli affidamenti o degli scoperti, si vengono a depotenziare in larga misura i vincoli d’usura. (Cfr.: R. Marcelli, L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità, in assoctu.it). 51 sarebbero presumibilmente in grado di meglio arginare i frequenti comportamenti ‘deviati’ che hanno per lungo tempo interessato il mercato del credito59. 59 ‘Rispetto alla attribuibilità del fatto alla impresa bancaria, pur nella impossibilità di riconoscere la responsabilità in capo a determinate persone fisiche investite di compiti di amministrazione e rappresentanza, la Cassazione, nella sentenza commentata nr.46669 del 2011, ha fatto salvi i profili risarcitori evocando istituti e figure giurisprudenziali del codice civile. In tal caso appare evidente ed apprezzabile l’intento di rimediare ad una incredibile lacuna del sistema che, inspiegabilmente, si protrae da almeno 11 anni. Ci si riferisce alla mancata previsione del delitto di usura nell’elenco dei reati idonei a consentire la contestazione dell’illecito amministrativo alla persona giuridica ai sensi del Dlvo 231/01- nel tempo estesosi sempre più fino a ricomprendere un reato odioso, ma certamente di non frequente commissione quale la pratica della mutilazione degli organi genitali femminili (articolo 25 quater1). La lacuna nel sistema è vistosa e- a distanza di anni- sempre più inaccettabile. Non v’è dubbio, infatti, che la persona fisica agisca- nell’ambito della impresa bancaria nell’interesse esclusivo di quest’ultima, così come richiesta dall’articolo 5 del Dlvo 231/01.Anzi tale argomento- l’aver agito senza perseguire un vantaggio patrimoniale diretto e personale- ha costituito nell’ambito della esperienza professionale maturata- l’argomento difensivo più abusato dalle difese di amministratori di banche tratti a giudizio. Va ricordato, al fine di comprendere a pieno, la gravità del vuoto normativo che, ai sensi dell’articolo 8 del Dlvo 231/01 la responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) L’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; b) Il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia. Ad avvalorare la portata della lettera b), va senz’altro richiamato l’articolo 22 comma IV secondo cui: “se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”, il quale, evidentemente- richiamando un principio civilisticopone al riparo l’illecito amministrativo da ogni rischio di estinzione (sempre incombente, pur con l’innalzamento del limite edittale introdotto nel 2005, particolarmente nei gradi del processo successivi al primo). L’eventuale ed auspicabile inclusione del delitto di usura fra i reati che possono sorreggere l’illecito amministrativo della persona giuridica consentirebbe di applicare alla usura bancaria: 1) strumenti di cautela molto efficaci (si pensi alla nomina di un commissario giudiziale); 2) il regime del sequestro del profitto finalizzato alla confisca su altri beni nella disponibilità dell’azienda per importo equivalente (in tal modo ampliando la cautela prevista nell’articolo 644 comma VI cp); 3) il particolare e speciale regime sanzionatorio premiale previsto dagli articoli 12, 17 e, in sede cautelare dall’articolo 49 e dall’articolo 50, che prevede, in generale, una rilevante attenuazione delle conseguenze restrittive, collegate a provvedimenti di condanna o di sequestro, in presenza: a) dell’integrale risarcimento del danno da parte dell’ente e della eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; b) della eliminazione delle carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione dei modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi; c) la messa disposizione da parte dell’ente del profitto conseguito ai fini della confisca.’ 52 . Senza un efficiente presidio penale, si continuerà ad assistere a comportamenti opportunistici posti nelle pieghe di opacità dell’atto amministrativo integrante la norma di legge: senza un rigoroso riferimento all’effettivo costo del credito, un esclusivo riferimento al disposto di legge e una rilevazione statistica scevra da intenti diversi da un’oggettiva ‘fotografia’ del mercato, la determinatezza e tassatività della norma troverà ampi margini di pregiudizio in zone d’ombra dove si possono annidare comportamenti degenerativi dell’attività creditizia. Se la diffusa e continua disattenzione del portato letterale dell’art. 644 c.p., nella confusione normativa che ha accompagnato il fenomeno sino al 2010, ha reso necessaria, per i comportamenti passati, una forma di sanatoria penale, appare inevitabile dopo le puntuali e circostanziate precisazioni fornite dalla Suprema Corte un atteggiamento di maggior rigore per i comportamenti che nel proseguo possano disattendere i limiti posti al costo del credito. I rischi penali di usura, apprezzabilmente lievitati negli ultimi tempi, vengono destando serie preoccupazioni nella compagine di vertice delle strutture bancarie, che la recente Cassazione Pen. n. 46669/11 – quale che sia la distribuzione organizzativa delle deleghe - ha individuato come presidio primario, al quale non è consentita alcuna negligenza, omissione organizzativa o carenza professionale. dott. Roberto Marcelli (V. Senatore, ‘La sentenza n. 46669/11, V Sezione Corte di Cassazione, Convegno ‘Anatocismo ius variandi e usura nei rapporti bancari’, Roma 24/2/12, in asso.ctu.it.). 53