LE RADICI DEL PRESENTE
On line
p. 162, vol. 1
Il personaggio dell’anno:
Madre Teresa di Calcutta
La piccola Agnes
Agnes Boyaxiu nacque nel 1910 in una famiglia albanese cattolica di Skopje, città che divenne jugoslava.
Crebbe serenamente con un fratello e una sorella; il padre era mercante imprenditore e seguiva molto i figli,
insieme alla mamma Drana che trasmise loro una fede
profonda. La prematura scomparsa del padre portò
con sé anche la povertà. Drana esortò più volte Agnes:
– Sii tutta e solamente per Dio.
Si occupava dei poveri e raccomandava ai figli “di non
mangiare mai un solo boccone senza farne parte anche gli altri…”.
Crescendo, Agnes entrò in un gruppo giovanile cristiano il cui assistente era un giovane gesuita, in contatto
con alcuni missionari che lavoravano nei pressi di Calcutta, in India. Le lettere che descrivevano le loro difficoltà e le sofferenze degli abitanti dello slum (baraccopoli) colpirono la dodicenne Agnes, che cominciò a pensare a se stessa come a una possibile
futura missionaria. Il suo confessore, a 18 anni, le suggerì il “test della gioia”.
Ha domandato al suo confessore: «Come posso sapere se Dio mi chiama?». Si è sentita rispondere: «Attraverso la gioia. Se il pensiero di dedicare la vita a Lui e ai fratelli suscita gioia e pace,
una gioia profonda e rasserenante, esistono valide ragioni per ritenere che Dio chiami. La gioia
profonda ha funzione di bussola, anche se indicasse la rotta che appare più dura, più difficile».
Quella piccola ragazza dai lineamenti marcati e dalle mani grandi provava un senso di pace
all’idea di partire, di adoperarsi per gli ultimi della Terra. La futura Madre Teresa aveva un gran
senso pratico e un notevole senso dell’umorismo; aveva una gran forza di volontà, capacità organizzative; sapeva comprendere fino in fondo chiunque le si avvicinasse, ma soprattutto possedeva una fede tale da non aver praticamente paura di nulla.
Un paese con grandi problemi
Agnes entrò tra le “Suore di Loreto”, un ordine irlandese con molte missioni in India. Dopo una
sosta in Irlanda per impadronirsi dei primi rudimenti della lingua inglese, Madre Teresa (aveva
assunto il nome dell’umile santa francese Teresa di Lisieux, che sapeva incontrare Dio attraverso
le piccole cose) divenne insegnante di storia e geografia e in seguito direttrice alla St. Mary High
School di Calcutta. L’istituto accoglieva ragazze indiane di buona famiglia che venivano sensibilizzate perché si aprissero a nuove idee di giustizia sociale, in un’India che ne aveva un estremo
bisogno.
Unità 4 Colui che abitò tra noi
T. Chiamberlando, Lo specchio dei cieli © SEI 2011
Il test della gioia
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Un clima spietato, segnato dall’alternarsi di siccità e stagione delle piogge, condiziona pesantemente l’agricoltura dell’immenso Paese, già economicamente bloccato e spogliato di materie
prime (ad esempio, i minerali preziosi) al tempo del colonialismo (= azione di conquista messa
in atto dalle potenze occidentali, con il conseguente sfruttamento delle risorse dei paesi occupati) inglese. Calamità naturali (terremoti, inondazioni) infieriscono da sempre sull’immensa popolazione, spesso decimata anche da scontri politico-religiosi tra indù e musulmani estremisti
per il controllo dei territori…
India povera, perché?
 La miseria dell’India si può ben simboleggiare nelle immagini di Calcutta: centinaia di migliaia di persone vivono ai bordi delle
strade, in ricoveri di fortuna, esposti alla fame e alle malattie. Morendo a migliaia ogni giorno.
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Dalle campagne si rovesciano nelle città famiglie disperate che non riescono a vivere di agricoltura, alla vana ricerca di casa e lavoro. A Calcutta, la cosiddetta “città bianca” degli uffici e degli
alberghi di lusso rappresenta un altro mondo in confronto alla “città nera”, l’agglomerato di
baracche in lamiera e cartone, lo slum che accoglie ogni giorno troppi disperati senza risorse. In
esso si concentrano fino a sessantamila persone in un chilometro quadrato, senz’acqua corrente
né luce; chi non trova materiali per farsi la casa si accontenta, con i figli e gli animali domestici,
di un pezzetto di marciapiede; chi non possiede un secchio è ancora più povero degli altri poveri
che, con la dignitosa accettazione del destino propria dell’indù, fanno la coda alle fontanelle
pubbliche anche per lavarsi: la denutrizione espone a terribili malattie, prima fra tutte la lebbra.
Nello slum, la disperazione può fare emergere la parte migliore della persona, il desiderio di condivisione e solidarietà: il pugno di riso avventurosamente ottenuto da una famiglia viene spesso
condiviso immediatamente con la famiglia della baracca vicina. Ci sono però casi, purtroppo, in
cui ogni senso di umanità sembra scomparire: padri e madri vendono i loro figli a sfruttatori o
malviventi condannandoli così allo sfruttamento in fabbriche malsane o addirittura nel giro della
prostituzione minorile.
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La svolta
Nel 1943, si abbatté sul Bengala una terribile carestia, provocata dalla siccità. Madre Teresa sentì
che doveva lasciare il convento e aiutare i poveri vivendo con loro. Era un ordine. Venirne meno
sarebbe equivalso a mancare alla parola data!
«La chiamata di Dio a essere una Missionaria della Carità – ebbe a confidare una volta – è per
me il tesoro nascosto, quello per comprare il quale ho venduto tutto il resto. Ricordate il Vangelo, ciò che fece quell’uomo quando trovò il tesoro nascosto: lo nascose di nuovo. Questo è
ciò che io voglio fare per Dio» (in K. Spink, Madre Teresa. Una vita straordinaria, Piemme, Casale
Monferrato).
Il Cristo dei poveri
L’inizio della sua grande opera
Come cominciò la sua opera nella baraccopoli?
«Dopo una sommaria preparazione medica presso l’ospedale delle missionarie-medico americane, iniziò la sua missione radunando i primi bambini abbandonati che incontrò: insegnò loro
a lavarsi; poi non avendo una lavagna, cominciò a insegnare a leggere e scrivere tracciando segni
per terra» (in T. Bosco, Madre Teresa di Calcutta, Elledici, Cascine Vica-Rivoli).
Con l’aiuto di persone un po’ meno ammalate e di qualche famiglia, Madre Teresa incominciò
a raccogliere neonati e anziani malati, buttati nella spazzatura e sui marciapiedi: «Avevo un disperato bisogno di locali, medicine, cibo e aiuto». Si preoccupò, ma solo fino a un certo punto.
Avrebbe sempre mantenuto una capacità stupefacente di vivere nel momento presente, dando il
massimo e affidando a Dio qualsiasi risultato.
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Nel 1948, Madre Teresa ricevette dal papa Pio XII
il permesso di uscire dal convento e di immergersi nel mondo dei poveri. Andò nello slum
con poche rupie in tasca, sandali ai piedi, un
sari bianco (il “sari” è l’abito tradizionale indiano, senza cuciture né bottoni) bordato di
azzurro (un colore che Madre Teresa collegava con la Madre di Gesù). Da chi cominciare? Qualcuno la guardava con diffidenza, con
ostilità, cosa voleva da loro? Altri l’accolsero
subito, come il bimbo il cui padre macinava
canne da zucchero, che riuscì a portargliene
una tazzina in segno di benvenuto. Guardando i lebbrosi abbandonati a morire sul marciapiede, Madre Teresa sperimentò il panico.
«Ho l’impressione di naufragare in un oceano di dolore», scrisse; la fede, come sempre
 Bambini indiani che vivono in assoluta povertà nella
nella sua vita, la salvò e le permise di ricavare
periferia di Calcutta.
un immenso coraggio dalla certezza di “incontrare Dio negli altri”.
Ritrovare Gesù sofferente nel mendicante ridotto a uno scheletro, nel bimbo morente per la
fame consentiva a Madre Teresa di curare le piaghe più repellenti con la massima calma e il
sorriso sulle labbra.
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Le Missionarie della Carità
«Sono troppo piccola per pensare al domani;
ieri è andata, il domani deve ancora arrivare».
«A ogni giorno basta il suo affanno», afferma
Gesù nel Vangelo: è positivo fare progetti, ma
è anche positivo non pretendere di controllare
i risultati, certi di lavorare con chi sa utilizzare
ogni nostro sforzo. Inaspettatamente, un funzionario governativo, Michael Gomez, offrì a
Madre Teresa due stanze della sua casa, che lei
riempì di malati; denaro, riso, olio e farina iniziarono ad arrivare dalle sue ex-allieve di buona
famiglia, finché la diciannovenne Subashini Das
buttò via il sari di seta colorata e ne indossò uno
simile a quello di Madre Teresa: erano nate le
Missionarie della Carità, che oggi sono migliaia,
di ogni nazionalità, sparse in tutto il mondo.
Occorreva lavorare a tre livelli: medico, scolastico e per il recupero di ogni persona dal baratro
dell’abbandono. Madre Teresa ha sempre sostenuto come la mancanza di amore sia un male
presente forse soprattutto nella ricca società
occidentale: è il male più terribile del iii millennio. L’anziana donna abbandonata dal proprio
figlio, il bambino incapace di parlare a causa
dello choc dell’abbandono hanno il diritto fondamentale di ritrovare in qualcuno l’amore di
cui sono stati brutalmente privati.
Nel tempio della dea Kali, il Kalighat, due vaste sale destinate a ospitare i pellegrini erano
quasi sempre vuote. Le autorità di Calcutta le
concessero a Madre Teresa per farne l’ospedale
dei morenti, inizialmente dotato solo di qualche brandina e di pochissime attrezzature. Molti
indù non vedevano di buon occhio la presenza di una suora cattolica nel tempio, ma si ricredettero ben presto. «Vorrei che ogni indù fosse un indù migliore, ogni musulmano un musulmano
migliore, e ogni cristiano un cristiano migliore»: Madre Teresa rispettava il cammino spirituale,
la fede di ogni uomo; parlava di Gesù a chi le chiedeva quali fossero le origini del suo amore per
gli altri, senza però “forzare la mano”.
L’ospedale dei morenti, il Nirmal Hriday, ospita i malati in condizioni disperate anche perché
generalmente soli: lebbrosi all’ultimo stadio, mendicanti colpiti dalle più terribili infezioni, con
piaghe infestate da insetti. Molti guariscono, moltissimi vengono aiutati a morire con affetto e
attenzione tali da rendere la morte il momento più sereno della loro vita, confortati anche dai
riti della loro fede: l’acqua del Gange sulle labbra per l’indù, la lettura di un brano di Corano per
il musulmano.
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Nel tempio di Kali
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 Le suore di Madre Teresa assistono
le persone ricoverate nella Casa dei
moribondi, fondata da Madre Teresa
di Calcutta.
Una matita nelle mani di Dio
In età avanzata, Madre Teresa aveva un volto pieno di rughe, ma i suoi occhi erano giovani, il suo
sorriso contagioso. Era felice della sua vita, divisa tra preghiera e lavoro ininterrotti.
«Sono solo una matita nelle mani di Dio», diceva di sé, contenta di essere uno strumento utile
dell’Amore e assolutamente indifferente a premi e riconoscimenti, totalmente libera da ambizioni personali. Nel 1979 avrebbe ricevuto il premio Nobel per la pace e con il denaro avrebbe
aperto 200 case per lebbrosi.
Nessun potente la intimidiva: incontrò i capi di stato come incontrava i suoi bambini, semplice e
accogliente ma all’occorrenza dura, perché abituata a una totale schiettezza. Quando fu insignita del premio Nobel, chiese senza tanti complimenti che fosse eliminato il sontuoso banchetto
d’uso, perché il denaro destinato a realizzarlo andasse ai poveri. Fu accontentata. La preghiera
era il suo carburante: “Senza la preghiera, tutta la nostra vita sarebbe insopportabile”, affermava: a Calcutta, pregava prima di andare in strada e pregava di sera al ritorno, nella cappella della
povera Casa Madre nata ben presto grazie all’aiuto di un ricco musulmano.
Madre Teresa era in pratica continuamente in dialogo con Gesù, sia che lavorasse sia che si
fermasse; insegnava alle sue Missionarie questa “preghiera continua” che migliora la capacità
di amare, dà forza e incute calma, suggerisce le vie da imboccare. Madre Teresa non volle mai
promuovere raccolte di fondi a suo nome, ma i fondi arrivarono spontaneamente, nei modi più
incredibili, da tutto il mondo: il suo amore per gli altri, caparbio e senza limiti, attirava l’attenzione e toccava le coscienze degli stessi giornalisti
che la intervistavano, aveva il potere di turbare
profondamente in un mondo che non è più neanche capace di definire l’amore.
All’inizio, se mancavano olio e farina nella
Casa di Calcutta, strapiena di famiglie affamate, Madre Teresa, dopo aver fatto tutto
ciò che poteva, andava in cappella a pregare. Qualche cosa capitava, sempre: ora
era un ricco indù che si era svegliato con
l’ispirazione improvvisa di portare un po’
di viveri alle suore, ora un’idea luminosa
che appianava le difficoltà.
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In dialogo continuo con Gesù
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La casa per i bambini abbandonati
Appena radunate le prime suore indiane, Madre Teresa pensò ai bambini. Nacquero scuole materne ed elementari, in casupole o semplici capanne; sorsero centri di assistenza per i denutriti;
con furgoncini carichi del necessario, le cliniche mobili, si avviarono cure mediche e vaccinazioni
a domicilio, soprattutto per i bambini; per loro nacquero le Shishu Bhavans, “città per bambini”
malati, denutriti, handicappati da curare e accompagnare fino all’età adulta.
Moltissimi bambini abbandonati hanno trovato famiglie adottive grazie a Madre Teresa.
Il ramo maschile della comunità si occupa soprattutto dei lebbrosi e dei laboratori artigianali che
potranno salvare tanti adolescenti dallo slum; oggi, i ragazzi ospitati e istruiti sono più di 2500.
La nascita della Città della Pace
«A nord di Calcutta, vicino alla città di Asansol, sorge l’opera che fu più cara al cuore di Madre
Teresa. Si chiama Shanti Nagar: Città della Pace. È una vera cittadina, con le case, il laghetto, i
giardini, le scuole. Vi abitano duemila persone: c’è soltanto una differenza dalle altre cittadine,
qui gli abitanti sono lebbrosi. Questo male antico ha sempre suscitato ribrezzo. Anche se la
scienza ha dimostrato che la lebbra è meno infettiva di molte altre malattie, il lebbroso continua
a essere emarginato con violenza dalla società. Il bacillo della lebbra non intacca organi vitali,
ma corrode la pelle, imputridisce le dita, trasforma la faccia in un tragico mascherone. Il lebbroso, oltre che malato, si sente avvilito, rifiutato, umiliato.
Madre Teresa pensò: «Farò una città solo per loro, dove nessuno li umilierà. Li cureremo con i
farmaci nuovi inventati dalla scienza, i sulfoni. Non sono troppo costosi, è facile somministrarli,
e l’effetto è sicuro, se la cura è lunga e costante».
Il terreno per la Città della Pace (17 ettari) lo diede il ricco indù che comprò la Lincoln bianca di
papa Paolo VI. Il resto del prezzo servì per cominciare la costruzione delle case» (in T. Bosco,
op. cit.).
«Oggi la città ospita quattrocento famiglie
di lebbrosi. Un personale fisso di medici e
infermieri è a loro disposizione. Sono stati scavati quattordici pozzi, che danno acqua sorgiva all’ospedale e a tutte le case.
Sono in piena attività le scuole, una biblioteca, laboratori di tipografia, meccanica,
falegnameria, per fabbricare scarpe, filare
bende e intrecciare canestri. Giardini, orti,
frutteti, risaie, pollai rendono la città praticamente autosufficiente. Tutto intorno un
grande parco fascia di verde e di pace la
città.
 Missionaria della Carità, congregazione di Madre
Teresa, conforta un malato di lebbra, ricoverato nel centro
di accoglienza e cura per i lebbrosi a Titaghar, vicino
Calcutta.
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Un moderno villaggio
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Non è un grande convento governato dalle suore, ma un moderno villaggio indiano che si governa da sé secondo le antiche usanze dell’India: tutti eleggono i propri rappresentanti scegliendoli
tra gli anziani. I lebbrosi che guariscono tornano alla società con un lavoro che dà loro una buona possibilità di mantenere la famiglia» (in T. Bosco, op. cit.).
Totale dono di sé
Le Missionarie della Carità sono oggi affiancate da centinaia di volontari provenienti da ogni parte del mondo, attirati dalla prospettiva di lasciare tutto almeno per un po’ entrando in un’ottica
di totale dono di sé: sono medici che iniziano così la loro carriera, insegnanti, studenti.
Alle suore erano richieste da Madre Teresa precise caratteristiche: “Salute di mente e di corpo.
Capacità di imparare. Una gran dose di buon senso e un carattere allegro”, per non essere travolte dall’angoscia nell’assistere a situazioni di dolore terribili e per poter ridestare un po’ di gioia di
vivere nei sofferenti (“Noi tutti, se abbiamo Gesù in noi, dobbiamo portare la gioia come novità
al mondo”). Emesso insieme ai voti di castità e obbedienza, il voto di povertà riveste un’importanza particolare per le Missionarie.
Per amare e capire i poveri fino in fondo, secondo Madre Teresa, è necessario vivere come loro e
immedesimarsi radicalmente nella loro situazione; alla fine della sua esistenza, i suoi piedi erano deformati non solo per l’artrosi, ma anche per aver usato i sandali che, in Casa Madre, erano
stati lasciati in disparte dalle altre Suore e che non erano della sua misura.
Madre Teresa vedeva nei poveri dei profeti che insegnano, lottando per trovare l’essenziale che li
aiuti a sopravvivere, a ricercare soprattutto i valori importanti quanto il cibo e l’aria: fede, calore
umano, unità familiare.
A Calcutta nacquero 59 centri per malati di mente, talvolta resi tali da abbandono e denutrizione;
altre 30 opere assistenziali sorsero in altre località dell’India. In seguito, nel 1965, ecco le missionarie partire, in piccoli gruppi, per l’America Latina (Venezuela) per aiutare le donne di una
zona poverissima con piccole attività lavorative da gestire in casa, ad esempio tramite il cucito
o producendo oggetti tipici.
1967. Il governo buddhista di Ceylon aveva espulso da vent’anni quasi tutti i missionari cattolici.
Ora chiedeva a Madre Teresa di inviare nell’isola le sue Suore, perché organizzassero dispensari
per i più poveri tra i poveri, cliniche mobili, case per bambini abbandonati.
Nel 1968, ecco sette missionarie in Tanzania, per organizzare dispensari nelle baraccopoli; nel
1969, andarono tra gli aborigeni australiani… negli anni Settanta si recarono nello Yemen, invitate da un governo che da 800 anni non permetteva ai cristiani l’ingresso nel Paese; nell’Irlanda
del nord, terra di conflitti sanguinosi tra cattolici e protestanti; ad Harlem, quartiere di New York,
centro nevralgico di droga e malavita; anche a Roma, con i malati di aids.
«Sii una goccia trasparente perché gli altri vedano Dio».
Questa esortazione di Madre Teresa ispirò un immenso numero di persone di tutto il mondo.
Piccole cose con grande amore
I papi Paolo VI e Giovanni Paolo II stabilirono con la piccola suora un rapporto profondo; fioccarono premi e riconoscimenti, accettati per le somme di denaro che le consentivano di aiutare
nuove persone, ma fonti di vero tormento per la notorietà che tanto pesava a Madre Teresa. Accettava di parlare in pubblico unicamente “per far conoscer Gesù”; preparava qualsiasi discorso
unicamente con dieci minuti di preghiera.
Nel 1973, mentre Madre Teresa sognava di lasciare ad altri i compiti organizzativi e di tornare
a lavorare nella “Casa del morente” di Calcutta, le case delle Missionarie della Carità erano già
600, presenti in 85 nazioni, e le Suore 4500.
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Gocce trasparenti
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Fedele alla logica del “fare piccole cose con grande amore quando non si riescono a fare grandi
cose”, non si sentiva capace di prendere posizioni politiche, di giudicare le situazioni “a tavolino”, di proporre “soluzioni generali” di fronte, per esempio, alla fame: preferiva dar da mangiare
concretamente, nel frattempo, a un bambino in più.
La diffusione nel mondo
 Papa Giovanni Paolo II con Madre Teresa
di Calcutta.
Il ritorno a casa
Gli anni passarono: Madre Teresa dovette accettare l’idea di non poter più viaggiare ininterrottamente per il mondo. Quasi ottantenne, riuscì ancora ad assistere personalmente le persone
colpite dal terremoto al confine tra India e Nepal… “Ci sarà un sacco di tempo per riposarsi
nell’eternità, affermava, qui c’è così tanto da fare!”.
Nel 1992, le autorità di Baghdad le permisero di aprire una casa per soccorrere le vittime denutrite e ferite della Guerra del Golfo; anche i musulmani l’accolsero con entusiasmo.
Nel marzo 1997, sorella Nirmala, ex indù convertita al cristianesimo e da tanti anni al fianco
di Madre Teresa, divenne la nuova Superiora Generale della Congregazione. Il cuore stanco di
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Essere santi significava semplicemente, per Madre Teresa, mettere Gesù al primo posto, seguirlo
in ogni istante su qualsiasi strada.
Un lieve colpo apoplettico e un’affezione cardiaca minarono seriamente la salute della Madre
agli inizi degli anni Ottanta, ma lei continuò ad avviare nuove sedi, a mantenere collegamenti tra
le realtà missionarie di tutto il mondo, ad alimentarne la spiritualità, a farla conoscere. Giovanni
Paolo II, nel 1983, le telefonò preoccupato e la esortò al riposo; cedette per breve tempo.
Le Missionarie raggiunsero i paesi dell’Est, l’Unione Sovietica, l’Estremo oriente, Cuba, facendo
sciogliere come neve al sole l’ostilità delle autorità avverse al cristianesimo e ridestando anche
nuove speranze di libertà religiosa con la loro semplice presenza.
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LE RADICI DEL PRESENTE
Madre Teresa si fermò il 5 settembre 1997 a Calcutta, là dove tutto era iniziato; aveva sempre
considerato la morte come un festoso ritorno a casa. Ella aveva rappresentato, per il iii millennio, in un mondo materialista ed egocentrico, ciò che san Francesco era stato per il Medioevo:
una grande figura profetica e una grande figura di santa, un modello di vita cristiana vissuta al
massimo.
 Cerimonia per la
beatificazione di Madre
Teresa di Calcutta, 19 ottobre
2003, Città del Vaticano.
Mettiti alla prova
• Sintetizza la vicenda di Madre Teresa, preparando sul quaderno, con l’aiuto dell’insegnante, uno schema che comprenda due colonne: sulla prima scriverai gli avvenimenti fondamentali e, sulla seconda, alcune frasi significative pronunciate da
Madre Teresa. Per completare la seconda colonna, potrai ricorrere a Internet, ad
articoli e libri trovati a casa.
Lavoro a gruppi.
• L’insegnante dividerà la classe in gruppetti di due o tre allievi; ciascun gruppetto riceverà l’incarico
di raccontare un momento della vita di Madre Teresa: la giovinezza, l’insegnamento, l’arrivo nello
slum, le iniziative nei diversi settori. Si utilizzerà la tecnica del fumetto curando didascalie, immagini
e dialogo, con l’aiuto dell’insegnante di educazione artistica; ogni allievo si occuperà di una vignetta.
Il lavoro verrà suddiviso all’interno di ogni gruppetto: tre allievi che si occuperanno, per esempio,
delle prime iniziative sanitarie di Madre Teresa, prepareranno tre vignette sull’argomento, ben collegate tra loro e riguardanti l’ospedale per moribondi, le cliniche mobili e “le prime due stanze” di
Madre Teresa. Le vignette potranno essere colorate con la stessa tecnica (matite colorate, colori a
tempera ecc.) oppure trattate con il metodo del collage (con carta, stoffa ecc.); le baracche dello slum
potrebbero essere realizzate con carta da pacchi e stagnola. A lavoro ultimato, le vignette potranno
essere incollate in sequenza su cartelloni colorati ed esposte in classe, presentando la vita di Madre
Teresa interpretata dagli allievi.
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Prepara lo schema.
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