Manzoni Leopardi Pascoli Verga La mia sera Giovanni Pascoli nasce a S.Mauro di Romagna nel 1855. All'età di dodici anni perde il padre Nei successivi sette anni Pascoli perde la madre, una sorella e due fratelli. Nel 1882 si laurea in lettere. Insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno, cercando di riunire attorno a sè i resti della famiglia e pubblicando le prime raccolte di poesie: "L'ultima passeggiata" (1886) e "Myricae" (1891). L'anno seguente vince la prima delle sue 13 medaglie d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Dopo un breve soggiorno a Roma, va ad abitare a Castelvecchio con una sorella e passa all'insegnamento universitario, prima a Bologna, poi a Messina e a Pisa; pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche. La sua produzione poetica prosegue con i "Poemetti" (1897) e i "Canti di Castelvecchio" Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera. E`, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi, mia limpida sera! Don... Don... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera. LAVANDARE Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l’aratro in mezzo alla maggese Commento Lo scenario è la campagna autunnale con i suoi tristi colori e con gli echi della fatica umana:su tale scenario il poeta proietta il suo stato d'animo,smarrito e malinconico. Gli oggetti quotidiani si caricano di significati particolari:l'immagine dell'aratro in mezzo al campo,immagine con cui si apre e si chiude la lirica,diviene simbolo di abbandono e di tristezza. C'è nella poesia un senso di desolazione con cui il poeta esprime la pena del proprio cuore. Manzoni nacque a Milano nel 1785. La fede fu il centro della sua vita intellettuale e uno dei contenuti determinati della sua opera letteraria. Il suo capolavoro è il romanzo storico: I PROMESSI SPOSI, modello di opera narrativa e di prosa in lingua italiana leggibile e compreso da tutti. Manzoni e ritenuto il padre dell’italiano moderno. La storia e ambientata in Lombardia nel 1600 durante la dominazione spagnola in Italia. Si narra delle vicende di due fidanzati Renzo e Lucia, promessi sposi. Il loro matrimonio è ostacolato da don Rodrigo signorotto del paese, invaghitosi di Lucia. I due giovani sono costretti a scappare e si trovano ad affrontare ogni difficoltà. Manzoni, attraverso la psicologia dei personaggi, fa riflettere sul destino dell’uomo, sul senso della storia e sulla presenza della provvidenza divina Capitolo VIII. È il capitolo della «notte degli imbrogli», che comincia col fallimento del tentativo di matrimonio «a sorpresa»; don Abbondio, con furia inusitata, si libera degli intrusi e dà l'allarme: il campanaro Ambrogio, credendo la canonica invasa dai ladri, suona la campana a martello. Mentre il gruppo di Renzo cerca scampo per la campagna, altrettanto sorpresi dall'allarme sono i bravi in azione per rapire Lucia e che hanno trovato vuota la sua casa. E così anche un ragazzetto, Menico, che padre Cristoforo, avvertito dal vecchio servitore, ha mandato alla casa delle due donne a scongiurarle di correre da lui. Il ragazzo è bloccato dai bravi, che tuttavia, spaventati dalla campana, lo lasciano libero. Così Menico riesce a incontrare il gruppo di Renzo e ad avvertire i fuggitivi di recarsi al convento. Tra i due gruppi in fuga, s'inserisce l'agitazione del paese che, svegliato, non riesce a capire che cosa stia succedendo. Renzo e le due donne giungono al convento dove trovano già organizzata da padre Cristoforo la loro fuga dal paese, per sottrarsi alle minacce di don Rodrigo. Le due donne andranno a Monza, Renzo a Milano, muniti di lettere di presentazione per cappuccini, amici del padre. I fuggiaschi s'imbarcano e in piena notte attraversano il lago. Capitolo XXI. Il racconto che il Nibbio fa al padrone sul rapimento di Lucia scuote l'Innominato già da tempo scontento della sua vita; le lacrime di Lucia lo turbano. Durante la notte, mentre la ragazza fa voto di consacrarsi alla Madonna se verrà liberata, egli è assalito da una profonda crisi che lo spinge a meditare il suicidio. Ma all'alba sente suonare le campane nella valle e si alza con propositi nuovi. È questo il capitolo della giustamente famosa «conversione dell'Innominato». Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798 Leopardi si forma sotto la guida di precettori privati e come autodidatta nella biblioteca paterna. L'infinito è colpito da una grave malattia. Matura le proprie idee filosofiche allontanandosi dalla fede per arrivare a un totale pessimismo. Lavora a Roma, Firenze e Pisa restando una persona solitaria con difficili rapporti familiari e delusioni in amore. Trascorre l’ultimo periodo della sua vita a Recanti dove compose le più belle poesie. Leopardi morì nel 1837. Le sue opere principali sono: I Canti, una raccolta delle sue poesie, Le Operette Morali che raccolgono temi morali e filosofici, Lo Zibaldone raccolta di pensieri e riflessioni Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840. Fu sostenitore dell’unità di Italia. Dimorò a Milano, capitale della cultura e dell’industria editoriale dove pubblicò importanti romanzi di genere psicologico e sentimentale. Tra le opere più importanti ricordiamo: I Malavoglia, Novelle Rusticane, Mastro don Gesualdo. Verga ebbe una visione pessimistica della vita. Secondo Verga la vita è segnata dal dolore e dal fallimento, specialmente per chi tenta di cambiare in meglio la propria situazione.