I sacramenti di guarigione Piccola Casa della Divina Provvidenza, 26/01/2013 – RELATORE: Don Antonio Nora, S.S.C. SC 73: «L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, “Unzione degli infermi”, non è il Sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia a essere in pericolo di morte». La malattia nell’Antico Testamento malattia in relazione all’Alleanza malattia e peccato (cfr Dt 28,15ss1; 30,15ss; soprattutto Gen 3 con le sue immagini-simbolo) non sempre però la malattia colpisce i cattivi, e i buoni ne sono esenti: come spiegarlo? o la felicità dell’empio è soltanto apparente (Sal 732) o «I padri hanno mangiato l'uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati» (cfr Ez 18,1) 3. il libro di Giobbe (la sofferenza del giusto) o la soluzione degli amici o la sofferenza come “prova” (cap. 32-37) o invito alla fiducia e all’abbandono in Dio (parte poetica4, ma anche Sal 44 ed il Qoèlet) o il presentimento che un giorno verrà fatta giustizia (Gb 19,26s) la letteratura sapienziale e apocalittica (la retribuzione escatologica)5 – farisei e sadducei il Servo di Jahwè, in particolare Is 52,13-53,12 6 (il valore redentivo della sofferenza) Dio non sopporta la sofferenza – Dio sta con i sofferenti, ma non toglie la sofferenza La malattia nel Nuovo Testamento Mc 6,12s: «E partiti predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano» Gc 5,14s: v. 13 «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, salmeggi» «15Ma se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, se non cercherai di eseguire tutti i suoi comandi e tutte le sue leggi che oggi io ti prescrivo, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni: 16sarai maledetto nella città e maledetto nella campagna. […] 21Il Signore ti farà attaccare la peste, finché essa non ti abbia eliminato dal paese, di cui stai per entrare a prender possesso. 22Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con l’arsura, con la siccità, il carbonchio e la ruggine, che ti perseguiteranno finché tu non sia perito. […] 27Il Signore ti colpirà con le ulcere d’Egitto, con bubboni, scabbia e prurigine, da cui non potrai guarire. 28Il Signore ti colpirà di delirio, di cecità e di pazzia, 29così che andrai brancolando in pieno giorno come il cieco brancola nel buio». 2 15 « Se avessi detto: “Parlerò come loro”, avrei tradito la generazione dei tuoi figli. 16Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei, 17 finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine. 18Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina…». 3 Contro questa logica però si ribellano i grandi profeti: «Ognuno morirà per la propria iniquità» (Ger 31, 29-30; cfr Ez 18,2). 4 Cfr Gb 42,4: «Io ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono»; Gb 1,21; 2,10b: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore, così è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» (Lettura breve alle lodi del mercoledì della III settimana del salterio). 5 Cfr CCC 992: «Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: “Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (2Mac 7,9). “È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati” (2Mac 7,14)». 6 È il quarto canto del servo del Signore: «Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori». 1 v. 14 «Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore» v. 15 «E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» v. 16 «... pregate gli uni con gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza» Parte storica lettera di Papa Innocenzo I a Decenzio, vescovo di Gubbio, dell'anno 416 (DH 216) il Concilio di Firenze del 1439 (DH 1324s) il decreto del Concilio di Trento (DH 1694-1700/1716-1719) – la parte sugli effetti7 il Concilio Vaticano II (SC 73 e 74) Parte sistematica sacramentalità dell’Unzione il destinatario (a chi amministrarla – a chi non amministrarla – i bambini8 – nel dubbio) il ministro i tre elementi dell’unzione sacramentale: o la comunità intorno al malato o la preghiera per il malato (il nuovo rito e la forma ottativa) o l’unzione con l’olio la Confessione 9 la Confessione in pericolo di morte e il rito continuo10 o nell’imminenza della morte o le facoltà del cappellano o i casi più difficili (coloro che hanno vissuto in modo disordinato, eretici o scismatici) la Comunione fuori della Messa (can. 917 e 921) i sacramenti agli orientali e dagli orientali (OE 27 – can. 844 §. 2s – Vademecum CEI 2010) il matrimonio in pericolo di morte (can. 1068 e 1079) l’aiuto dell’azione sacramentale: «la grazia speciale del sacramento dell'Unzione degli infermi ha come effetti: − l'unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa; − il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze della malattia o della vecchiaia; − il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il sacramento della Penitenza; − il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale; − la preparazione al passaggio alla vita eterna»11. 7 DH 1696: «Questo effetto è dunque la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i peccati, se ve ne fossero ancora da espiare, e ciò che resta del peccato; solleva e rafforza l'anima del malato [can. 2], suscitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L'infermo per il sollievo ricevuto sopporta più facilmente le sofferenze e le pene della malattia, resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calcagno [cfr Gen 3,15], e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell'anima, riacquista la salute del corpo». 8 Si amministri loro la cresima in pericolo di morte, dal momento che «la Chiesa […] vuole che nessuno dei suoi figli, anche se in tenerissima età, esca da questo mondo senza essere stato reso perfetto dallo Spirito Santo mediante il dono della pienezza di Cristo» (CCC 1314). 9 SUCPI 67: «Se il malato deve confessarsi, il sacerdote vi provveda possibilmente prima della celebrazione dell’Unzione. Nel caso che solo durante il rito della Unzione sia possibile al sacerdote ascoltare la confessione sacramentale dell’infermo, l’ascolti all’inizio del rito stesso, dopo il saluto e la monizione, e prima della lettura biblica. Quando durante il rito non c’è la confessione, è bene fare l’atto penitenziale». 10 Cfr M. CALVI, «Le disposizioni del fedele per il sacramento della penitenza», in E. MIRAGOLI, ed., Il sacramento della penitenza. Il ministero del confessore: indicazioni canoniche e pastorali, Percorsi di diritto ecclesiale, Milano 1999, 65s. 11 CCC 1532. I sacramenti di guarigione12 È un'usanza antichissima della Chiesa di pregare per un ammalato e di ungerlo con olio. Il senso dell'unzione degli infermi è stato chiarito al Concilio Vaticano II, nella precisione del nome stesso del sacramento. Mentre prima si parlava dell'estrema unzione, la Sacrosanctum concilium nel n. 73 precisa e dice: «L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, “Unzione degli infermi”, non è il Sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia a essere in pericolo di morte». L'espressione "Estrema unzione" dà al sacramento il significato di essere l'ultima unzione prima di morire. Essendo il battesimo la prima unzione della vita cristiana, l'estrema unzione sarebbe considerata come una preparazione alla morte, con un senso anche di dare pienezza alla vita cristiana. La storia della liturgia ha mostrato che questo senso del sacramento non corrisponde chiaramente a quello dell'origine. Nei primi secoli l’unzione era capita nel senso di un aiuto all'ammalato per superare la malattia. 1. Parte biblica 1.1 L'esperienza della malattia nell'Antico Testamento Per l’Antico Testamento la malattia rappresenta null'altro che un caso particolarmente visibile e difficile del mistero del male e della sofferenza 13. Alla base del discorso sulla malattia sta la consapevolezza d'Israele di essere il popolo eletto, con cui Dio ha fatto la sua alleanza. Se Israele è il popolo eletto può fidarsi delle promesse di Dio: l'osservanza dell'Alleanza porterà ogni bene. Sofferenza e malattia non dovrebbero esserci, sono realtà "fuori posto", scandalose, in contrasto con l'esperienza dell'Alleanza14. 1.1.1 Interpretazioni della malattia L'Antico Testamento come pure il Nuovo considera la malattia sempre nella prospettiva della relazione con l'Alleanza, ossia dal punto di vista religioso e così non solo per ragioni di dipendenza da un mondo e da una mentalità ormai superati, ma anche e soprattutto per una precisa scelta di fede che è tanto valida oggi come lo fu allora. L'Antico Testamento ha della malattia una concezione e una valutazione immediatamente e fermamente negative; questa concezione accompagna Israele durante tutta la sua storia e si rinforza nell'idea del legame della sofferenza col peccato15. 1.1.2 Il rapporto tra malattia e peccato La massima espressione della fede d'Israele è la lode di Dio che guida il suo popolo. Ma la malattia pone in questione l'oggetto stesso della lode: come capire insieme la sofferenza e la guida di Dio? La risposta più antica di Israele è: la malattia viene dal peccato, dall'infedeltà all'Alleanza. La malattia sarebbe la punizione della colpa, dovuta a un intervento punitivo di Dio (cfr Dt 28,15ss16; 30,15ss; soprattutto Gen 3 con le sue immagini-simbolo: le doglie del parto, spine e cardi, etc.). 12 Per questo studio, tranne che nelle integrazioni segnalate, si segue la dispensa di J.M. MILLÁS, Penitenza, Matrimonio, Ordine, Unzione degli Infermi, 240-256. 13 Gozzelino, 12s. 14 Gozzelino, 12-14. 15 Gozzelino, 14-17. 16 15 « Ma se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, se non cercherai di eseguire tutti i suoi comandi e tutte le sue leggi che oggi io ti prescrivo, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni: 16sarai maledetto nella città e maledetto nella campagna. […] 21Il Signore ti farà attaccare la peste, finché essa non ti abbia eliminato dal paese, di cui stai per entrare a prender possesso. 22Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con l’arsura, con la siccità, il carbonchio e la ruggine, che ti perseguiteranno finché tu non sia perito. […] 27Il Signore ti colpirà con le ulcere d’Egitto, con bubboni, scabbia e prurigine, da cui non potrai guarire. 28Il Si- L'Antico Testamento in alcuni testi stabilirà una precisa connessione tra peccato personale e malattia (1Sam 16,14 17). Ma la parola definitiva è parola di speranza, Jahwè è più forte del male (Gen 3,1518)19. 1.1.3 Difficoltà della connessione peccato-malattia Secondo la concezione indicata, la sofferenza e la malattia corrisponderebbero ai cattivi; i buoni ne sarebbero esenti. Invece, il più delle volte succede proprio il contrario (Gb 21); mentre i cattivi stanno bene, i buoni sono tormentati da mali senza fine. Come si spiega l'impunità dei malvagi e la sofferenza degli innocenti? In un primo momento l'Antico Testamento risponde d’accordo con lo schema della corrispondenza tra peccato e sofferenza: la felicità dell'empio è soltanto apparente, presto pagherà per il male che ha fatto (Sal 73 20). La risposta però è smentita dai fatti. La sofferenza del giusto è spiegata con la solidarietà: nessuno può svincolarsi dall'appartenenza ad una comunità di peccatori: i figli pagano la colpa dei padri. «I padri hanno mangiato l'uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati» (cfr Ez 18,1). Ma i profeti, Geremia ed Ezechiele vanno in profondità nei valori morali individuali, negando apertamente il principio indicato dal proverbio citato: «Ognuno morirà per la propria iniquità» (Ger 31, 29-30; cfr Ez 18,2). Il problema della sofferenza dell'innocente si manifesta di nuovo con tutta la sua forza21. 1.1.4 La sofferenza del giusto Il problema viene affrontato a fondo nel libro di Giobbe. Questa opera si pone il problema in tutta la sua crudezza. Probabilmente non considera il caso ipotetico di un individuo innocente, ma ha sotto gli occhi la sorte concreta di Israele sottoposto alla sofferenza delle persecuzioni in seguito alla propria fedeltà a Jahwè. Giobbe dice che la sofferenza e la morte sono entrate nel mondo col peccato; ma riferisce anche il fatto che non sempre la sofferenza è segno di peccati commessi da chi soffre. Infatti ci sono casi nei quali non c'è manifestamente una corrispondenza tra i peccati che possa aver fatto l'uomo e la sofferenza che deve soffrire. Esiste anche una sofferenza causata dall'inverso del peccato, ossia dalla fedeltà a Dio, per esempio, i profeti perseguitati. La sofferenza di Giobbe provoca un dibattito in cui si pongono a confronto tre concezioni diverse del senso della sofferenza: 1. La soluzione degli amici di Giobbe esprime la ragione della concezione tradizionale: la giustizia di Dio non può essere messa in discussione, dunque Giobbe non può essere innocente, giacché peccato e sofferenza sarebbero collegati. Ma l'esperienza resta esperienza: Giobbe riconosce che è un peccatore, ma afferma che non c'è corrispondenza tra il male e la malattia patiti e il suo peccato22. 2. Allora si fa strada una concezione nuova: la sofferenza come "prova" (cc. 32-37). La sofferenza del giusto sarebbe una prova della sua fede; una occasione per verificare la verità della sua ricerca di Jahwè, e del disinteresse del suo amore per Lui. Giobbe nel prologo, malgrado la sua gnore ti colpirà di delirio, di cecità e di pazzia, 29così che andrai brancolando in pieno giorno come il cieco brancola nel buio». 17 «Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul ed egli veniva atterrito da uno spirito cattivo, da parte del Signore». Il contesto è il rifiuto di Saul come re a seguito del suo peccato (aver risparmiato, contro il comando del Signore, nello sterminio di Amalèk il meglio del bestiame). 18 «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». 19 Gozzelino, 17-20. 20 15 « Se avessi detto: “Parlerò come loro”, avrei tradito la generazione dei tuoi figli. 16Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei, 17 finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine. 18Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina…». 21 Gozzelino, 20-22. 22 Ricordiamo che Giobbe prima perde il suo bestiame, poi tutti i figli per il crollo della casa (cfr Gb 1), quindi è colpito con una piaga maligna — dalla pianta dei piedi alla cima del capo — che gli procura molto dolore (cfr Gb 2). sofferenza benedice Dio anziché maledirlo. Questo porta il suo amore al massimo della concentrazione in Dio, liberandolo dal rischio permanente di preferire il dono al donatore. Non si negano né il dato di fede (Dio è giusto) né il fatto della innocenza del giusto che soffre. La sofferenza viene vista come un elemento di maturazione dei massimi valori dell'uomo, che sono la comunione e l'amore di Dio. Si suppone però che la prova non conduca a se stessa, ossia che da essa nasca presto la ricompensa. Cosa dire invece quando la prova pare che non porti ad alcuna ricompensa? Qui il problema diventa drammatico ed impone un nuovo corso di idee. 3. La terza concezione che appare nell'opera (nella parte poetica) non tenta più la razionalizzazione del problema ma accetta senza discussione la sua oscurità, e propone una soluzione che è insieme un rimando al mistero di Dio ed un invito pressante alla fiducia e all'abbandono in Dio. Sottomesso ad un dolore incomprensibile che non può ricondursi al peccato e al castigo e che sembra smentire l'amore di Dio, Giobbe è costretto a credere in un Dio "diverso", come era già stato suggerito dalla seconda soluzione; dovrà fidarsi di Dio e lasciare che egli abbia le sue vie e che queste vie siano ben altre da quelle degli uomini. Non dovrà discutere Dio, ma semplicemente accettarlo. La sofferenza dell'innocente assume i tratti di una via di comunione col mistero di Dio. Chi la percorre entra nell'intimità dì Dio: «Io ti conoscevo per sentito dire ma ora [dopo l’esperienza del dolore] i miei occhi ti vedono» (Gb 42,4) 23. Dì fronte al mistero della sua sofferenza (Dio la permette) il giusto agisce veramente da giusto se antepone al problema teorico la decisione pratica di mantenere la fede in Dio qualunque sia la situazione e l'esperienza e qualunque cosa gli possa costare (Gb 1,21; 2,10b: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore, così è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?») 24. L'esito di questa scelta è la vera conoscenza di Dio. Siccome Jahwè è il Dio vivente, questo esito cela anche una precisa speranza di vita. C'è nel libro di Giobbe il presentimento che un giorno gli verrà fatta giustizia (19,26-27). Non è ancora la fede nella risurrezione, ma un presagio fondato sulla consapevolezza della comunione con Dio che è il Dio dei viventi. Nella terza concezione indicata si muovono anche il Sal 44 ed il Qoèlet: affidarsi a Dio oltre il rigido schema peccato e sofferenza25. 1.1.5 Malattia e risurrezione La terza risposta significa il trasferimento definitivo e irreversibile della questione dal piano delle idee a quello degli atteggiamenti esistenziali e pratici. Sembra che non sia possibile proseguire il dibattito sul piano dottrinale. Invece, proprio la fiducia in Dio ed il senso della trascendenza supposto dal timore di lui aprono la strada ad un altro ordine di idee che alla fine risulterà tra i più decisivi: quello della retribuzione escatologica. Se Dio è tanto veritiero e le sue vie sono tanto diverse da quelle degli uomini, l'ultima parola non è ancora stata pronunciata. La fiducia ed il timore di Dio non devono orientare lo sguardo del credente verso il passato ma verso il futuro, da dove deve venire qualcosa di inedito e inaudito: una novità radicale. «Questa nuova prospettiva ha due linee di sviluppo, una generica, collegata alle attese messianiche e quindi abbastanza antica, ed un'altra specifica, molto tardiva e del tutto originale, consistente nella proposizione della risurrezione dei morti» 26. 23 Commenta p. Buschini: «Il senso ultimo del libro è la possibilità di approdare a Dio attraverso la strada drammatica della sofferenza. Giobbe, attraverso la via oscura del dolore, pur cogliendo l’aspetto scandaloso della sofferenza, è il modello del credente che accetta il Dio difficile che sta oltre le nostre spiegazioni e le nostre attese, che dice di amarci, ma che, poi, sembra smentire il suo amore. Soltanto quando l’uomo incontra il volto di questo Dio difficile (non del Dio che punisce l’uomo per i suoi errori, non del Dio che mette alla prova per misurare la fedeltà dell’uomo, non del Dio che fa i miracoli per liberare dalla sofferenza) solo allora l’uomo, come Giobbe, può dire di aver incontrato il vero Dio» (P. BUSCHINI, Dal dolore che salva alla misericordia, 55). 24 Lettura breve alle lodi del mercoledì della III settimana del salterio. 25 Gozzelino, 22-27. Vedi anche l’articolo di B. MAGGIONI, «Gesù e la Chiesa primitiva di fronte alla malattia». 26 Gozzelino, 28. La prima è piuttosto indeterminata ma molto radicata nel ricordo delle promesse di Jahwè. Nel giorno in cui le promesse avranno compimento la vittoria sul male raggiungerà la sua piena realizzazione; anche la malattia sarà superata per opera di Dio (Is 19,22; 57,18) e dal Messia (Is 53,4). La seconda linea di sviluppo si fonda sulla certezza che Dio è verace. La parola di Dio afferma che il giusto vivrà e Dio mantiene sempre ciò che promette. Poiché la promessa rivolta al giusto non s'avvera nel tempo presente, bisogna ammettere che Dio disponga di una possibilità di esistenza che va oltre l'esperienza attuale. Bisogna ammettere che per la potenza di Dio c'è la possibilità per l'uomo di un'altra vita, diversa da quella presente, nascosta ma reale, nella quale verrà fatta piena giustizia. La morte deve concludere non più in un "sheol" indeterminato, uguale per tutti, ma in una risurrezione. Queste conclusioni sono espresse in testi della apocalittica (Dan 12,1ss), della letteratura sapienziale (Sap 2–5) e della storia (2Mac 7,9-23; 12,43ss). La forza del ragionamento deriva dalla certezza della veracità di Dio, non da altro. L'escatologia ultraterrena non si fonda quindi sulla proiezione nell'aldilà della sete di vita e di felicità ma invece sulla fede e fiducia nel Dio dell'Alleanza; l'onnipotenza e veracità di Dio sono gli elementi decisivi27. [Il concetto di Alleanza è dunque il punto di partenza per una possibile apertura al tema della vita eterna. E non è escluso che l’antico Israele abbia vissuto a lungo con questa domanda inespressa: Dio ha assunto un impegno a favore del suo popolo; si limiterà a liberarlo dalla schiavitù d’Egitto, dai pericoli rappresentati di volta in volta dall’Assiria, dalla Babilonia, dalla Persia, dalla morte prematura? O vorrà tenerlo con sé per sempre? L’antico Israele coltiva questa speranza, ma umilmente rinuncia ad ogni ulteriore immaginazione. «A contatto con la cultura persiana, a partire dal tempo dell’esilio nel quinto secolo a.C., (gli ebrei) avevano elaborato l’idea della risurrezione dei giusti, soprattutto dei martiri uccisi a causa della loro fedeltà alla legge di Dio, collocandola nell’orizzonte della loro fede tradizionale: Dio, che ha creato il mondo con la forza della sua parola, farà risorgere dalla polvere della terra quelli che sono morti, reintegrandoli nella loro condizione di viventi» 28. Verso la fine del II sec. quest’idea si afferma 29. «I farisei (cfr At 23,6) e molti contemporanei del Signore (cfr Gv 11,24) speravano nella risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: “Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?” (Mc 12,24). La fede nella risurrezione riposa sulla fede in Dio che “non è un Dio dei morti, ma dei viventi!” (Mc 12,27). Ma c'è di più. Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell'ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui (cfr Gv 5,24s; 6,40) e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue (cfr Gv 6,54). Egli fin d'ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti (cfr Mc 5,21-42: Lc 7,1117; Gv 11), annunziando con ciò la sua stessa risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine» 30.] 1.1.6 Il valore redentivo della sofferenza Le concezioni che abbiamo visto fin qui riguardano esclusivamente la salvezza del giusto; la malattia è una prova per il giusto, che scomparirà definitivamente nella vita eterna. C'è però una tradizione che dice qualcosa di più. È abbozzata dalla preghiera di Mosè che offre la sua vita per salvare il popolo colpevole (Es 7,11ss; 32,30-33; Nm 11,1ss) ripresa poi da Geremia (Ger 8,18.21; 11,19; 15,18); ed infine sviluppata dal libretto del Servo di Jahwè, in particolare da Is 52,13-53,1231. 27 Gozzelino, 27-29. LCD II,7. 29 Cfr CCC 992: «Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: “Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (2Mac 7,9). “È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati” (2Mac 7,14)». 30 CCC 993s. 31 È il quarto canto del servo del Signore: «Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? 28 Questa concezione potrebbe essere descritta come rovesciamento al positivo della prospettiva della solidarietà nel peccato. Adesso la solidarietà non si attua in maniera che i peccati altrui escludano l'innocenza del singolo, bensì in maniera opposta: l'innocenza del singolo espia i peccati altrui. In questa nuova impostazione il giusto resta tale e paga per i peccatori. Di conseguenza alla sofferenza viene riconosciuto un valore di intercessione e di redenzione. L'applicazione concreta concerne propriamente solo quella parte di Israele che può dirsi giusta: il cosiddetto "resto di Israele"32. Questo resto, si dice, ha il compito di salvare il popolo, e lo farà mediante il sacrificio di sé. L'unità sofferenza-peccato è riaffermata solo per essere capovolta nella direzione dei termini. Qui la sofferenza da segno di peccato diventa segno di grazia. Non è più il peccato che genera la sofferenza ma la sofferenza (vissuta in un certo modo) che distrugge il peccato. Il principio del dolore come purificazione del giusto (sostenuto da Giobbe e Tobia33) fa capire però che la forza espiatrice della sofferenza comporta che ci sia accanto alla espiazione delle colpe altrui anche e sopratutto quella delle colpe proprie. La visione del valore redentivo della sofferenza si completa. La sofferenza è vista come strumento di salvezza per gli altri, per il sofferente innocente e per il sofferente peccatore. Per questo il dolore è come qualcosa che libera e nella quale si attua la correzione paterna di Dio che salva (Dt 8,5; Pr 3,11ss; 2Mac 6,12-17; 7,31-38). Ma la trasformazione del patire da segno di colpa a segno di salvezza avviene sempre e soltanto in chi si apre alla forza di Jahwè. L'elemento decisivo non sta nella sofferenza, che infatti non perde il suo carattere scandaloso, bensì nell'affidamento alla potenza di Dio 34. 1.1.7 Il mistero della condotta di Dio Queste conclusioni proiettano un po’ di luce sul mistero dell'incomprensibile condotta di Dio di fronte al dolore ed alla malattia. Per l'Antico Testamento è innegabile che Dio combatta l'uno e l'altra. È chiara la concezione che Dio non stia dalla parte della malattia (cfr Sal 6; 38; 41; 88). Piccole storie nell'Antico Testamento rivelano l'atteggiamento di Dio verso gli emarginati ed i sofferenti (cfr Gen 3,21; 4,15; 27,17-19). È come se Dio non sopportasse la sofferenza, neppure quella di coloro che non sono i suoi eletti. La predicazione dei profeti riflette questa sua sensibilità ribaltandola nel settore specifico delle ingiustizie sociali. Dio sta con i sofferenti, non con coloro che causano la sofferenza. Eppure, combattendola, Jahwè non toglie la sofferenza. Non perché non sia abbastanza forte per riuscirvi. La tradizione israelitica su questo punto non ha dubbi (cfr Am 3,16; Es 8,12-28; Is 7,18). Le cause del dolore sono molte. Però nessuna sfugge alla potenza di Dio, cosicché Dio stesso viene necessariamente implicato nel problema. Allora appare uno dei generi letterari più curiosi dell'AntiA chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. […] Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori». 32 Sono coloro che, rientrati da Babilonia dopo il periodo dell’esilio (587-538 a.C.), avevano in progetto di realizzare una società ideale (il “resto”) e si scontrano con quelli che, rimasti in Palestina, avevano continuato a corrompersi con le culture autoctone (gli empi). 33 Cfr Tb 2,10-23 (secondo come proposto nella Messa del martedì della IX settimana del tempo ordinario – anno dispari): «Un giorno Tobi, tornando a casa affaticato dalla sepoltura degli Israeliti uccisi, si distese accosto a un muro e si addormentò. Mentre dormiva, da un nido di rondini gli cadde sugli occhi dello sterco caldo, che lo rese cieco. Il Signore permise che lo colpisse questa prova, perché le generazioni future avessero in lui un esempio di pazienza come quello del santo Giobbe. Infatti Tobi, che fin dalla fanciullezza aveva temuto Dio e osservato i suoi comandamenti, non si lamentò contro il Signore per la disgrazia della cecità che lo aveva colpito. Anzi, rimase saldo nel timor di Dio e rese grazie al Signore tutti i giorni della sua vita. Come gli amici insultavano Giobbe, così i parenti e i vicini deridevano Tobi per la sua condotta dicendo: “Dov'è la tua speranza per la quale facevi elemosine e seppellivi morti?”. Ma Tobi li rimproverava e diceva loro: “Non dite così, perché noi siamo figli di santi e aspettiamo la vita che Dio darà a coloro che non perdono mai la loro fede in lui”». 34 Gozzelino, 30-32. co Testamento: la lite con Dio; in essa si manifesta in modo concreto tutta la profondità della "diversità" di Dio rispetto agli uomini. Con Dio litigano i profeti, che non riescono a capire la fortuna degli empi e disgrazia dei giusti (Ger 12,1-6; Ab 1,13; 3,14-18), i giusti perseguitati che si credono dimenticati (Sal 13,2; 31,13; 44,10-18), Giobbe che intenta un processo a Dio e lo sfida a spiegarsi (Gb 13,22; 23,7), e molti altri. La ragione è sempre la stessa: Dio non sembra fare abbastanza per rimuovere dalla faccia della terra lo scandalo della sofferenza. La soluzione all'apparente contraddittorietà dell'agire di Dio è abbozzata dagli apporti delle tradizioni sul valore redentivo della sofferenza. Dio combatte la sofferenza e la malattia perché esse non sono un bene. Ma le lascia entrambe perché il superamento di esse paradossalmente passa attraverso la loro mediazione. Si tratta di una vittoria trascendente che rovescia le cose dall'interno e supera del tutto la comprensione umana. Dunque la lite non può ricomporsi per mezzo di una spiegazione chiara ed esaustiva ma soltanto nell’autoaffidamento a Dio e nella adorazione. Questo però non consiste in un salto nel vuoto. Giacché alla base della fiducia c'è e rimane intangibile, la certezza che a chi soffre con lui Dio darà, come ha promesso, la vita35. 1.2 Gc 5,14s In Marco c'è un riferimento all'unzione con l'olio, Mc 6,12s: «E partiti predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano». Da questo brano non si può dedurre altro che una attestazione di una prassi generale, dell'unzione con olio. La testimonianza chiara come prassi della comunità cristiana la troviamo in Gc 5,14-15. v. 13 «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, salmeggi»; il contesto è di consigliare ai cristiani nelle diverse situazioni, sia nella gioia sia nel dolore, che bisogna pregare. v. 14 «Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore». “Presbiteri” è un riferimento chiaro ai capi della comunità. v. 15 «E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati». v. 16 «... pregate gli uni con gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza». Dal contesto non pare si pensi al cristiano malato in una situazione di pericolo di morte; si osserva però che il malato è in uno stato tale che non è capace di andare dal presbitero. Si deve notare anche la convinzione dell'effetto certo della preghiera: è questo un elemento che corrisponde al concetto attuale di sacramento. L’interpretazione di questo sacramento come “estrema unzione” si basava biblicamente sul v. 15, interpretando questi verbi (... salverà... rialzerà... gli saranno perdonati) in maniera escatologica: “salverà” indicherebbe la salvezza piena, escatologica della vita eterna; “rialzerà” indicherebbe la risurrezione. È vero che questi verbi nel Nuovo Testamento sono usati anche per questo significato, ma il contesto di Gc 5 indica piuttosto un altro senso. “Salverà” indicherebbe la certezza dell'effetto della preghiera, ma riferita al presente della storia del malato. Si tratta di una preghiera che salverà dalla crisi che sorge dalla malattia. Dunque non si deve vedere l'effetto come qualcosa di esclusivamente escatologico, dopo la morte. È vero il riferimento a un'azione fisica, ma il senso non è esclusivamente concentrato sulla guarigione fisica. Dunque si tratta di una guarigione nell'insieme della situazione di crisi corporale e spirituale del malato. 2. Parte storica Una delle prime testimonianze del sacramento l'abbiamo in una lettera di Papa Innocenzo I a Decenzio, vescovo di Gubbio, dell'anno 416 (DH 216). Il Papa si esprime sull'uso dell'olio sacro, ma non intende dare una dottrina del sacramento. 35 Gozzelino, 32s. Il Concilio di Firenze cita l'unzione come il quinto sacramento, che si deve celebrare quando si teme la morte dell'infermo (1439; DH 1324s). Questa è la concezione vigente del sacramento durante il medioevo. Il decreto del Concilio di Trento (DH 1694-1700/1716-1719), come Innocenzo I e il Concilio di Firenze, si riferisce a Gc 5,14-15 come fondamento biblico. In questo decreto vediamo che ci sono due orientamenti di significazione di questo sacramento. Nel proemio del decreto si parla di un sacramento che deve aiutare in prossimità della morte: l'effetto è il perdono dei peccati e il superamento degli effetti del peccato prima di passare alla vita eterna. Si dice anche che questa unzione è “consumativa della vita cristiana”. Dopo il proemio il decreto parla del fondamento biblico (Gc 5) e degli effetti del sacramento: si parla di una unzione sacra che serve all'infermo per ottenere un rafforzamento dello spirito, suscitare fiducia in Dio e, se conviene, la guarigione fisica (cfr Gc 5)36. Questo discorso ha un orientamento diverso da quello indicato prima. Dopo il Concilio di Trento rimane però predominante l'interpretazione di “estrema unzione”. Prima del Vaticano II gli studi liturgici, biblici, patristici, aiutano ad un chiarimento del senso dell'unzione come "unzione degli infermi"; così viene espresso in SC 73: «L'estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, “unzione degli infermi”....». Si afferma anche che il destinatario non è il moribondo ma è l'infermo; il sacramento dunque non è in primo luogo un aiuto per la morte, ma un aiuto in una situazione di malattia. SC 74 auspica un rinnovamento del rito che è stato fatto nel nuovo “Rituale dell'Unzione e della pastorale degli infermi” approvato da Paolo VI in data 30 novembre 1972 con la Costituzione apostolica Sacram unctionem infirmorum. Per quanto riguarda la storia di questo sacramento si rinvia a P. ADNÈS, L’unzione degli infermi, 27-75. 3. Parte sistematica 3.1 Sacramentalità dell'Unzione L'unzione prende due prassi precristiane ebree: l’intercessione per chi è malato e l'uso dell'olio per l'unzione. Che sia un sacramento viene indicato da questi elementi: si tratta di preghiera nella fede; di un'unzione “nel nome del Signore” fatta dal presbitero. Questi elementi danno la ragione per qualificare quest'azione come sacramento. Si tratta di un'azione della Chiesa che non è arbitraria ma che viene integrata nella dinamica di salvezza voluta da Cristo e che ha la promessa della presenza attiva di Cristo nella celebrazione. Nella fede quest'azione si capisce come azione dello stesso Cristo. 3.2 Il destinatario e il ministro Il destinatario del sacramento dell'unzione degli infermi non è quello già vicino alla morte, ma quello che è ammalato con una certa gravità. Da Gc 5,14s si può dedurre che l'unzione non era considerata come un sacramento preparatorio alla morte. (Il sacramento per i moribondi è il "viatico"; la comunione che l'ammalato riceve prima della morte). Lo scopo principale dell'unzione degli infermi era un superamento della malattia. Il sacramento aveva il senso di un aiuto per il superamento della crisi della malattia. Lo scopo sarebbe di aiutare il malato a vivere cristianamente anche durante la malattia. Nel nuovo ordinamento si dice che questo sacramento si può ripetere quando la situazione di crisi si ripete: «Il sacramento si può ripetere qualora il malato guarisca dalla malattia nella quale ha ricevuto l'Unzione, o se nel corso della medesima malattia subisce un aggravamento. Prima di un'operazione chirurgica, si può dare all'infermo la sacra Unzione, quando motivo dell'operazione è un male 36 DH 1696: «Questo effetto è dunque la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i peccati, se ve ne fossero ancora da espiare, e ciò che resta del peccato; solleva e rafforza l'anima del malato [can. 2], suscitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L'infermo per il sollievo ricevuto sopporta più facilmente le sofferenze e le pene della malattia, resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calcagno [cfr Gen 3,15], e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell'anima, riacquista la salute del corpo». pericoloso» 37. Il destinatario di quest'azione sacramentale, oltre il malato grave, può essere anche una persona avanzata negli anni: è questo un motivo per amministrare il sacramento38. «Quanto ai malati che abbiano eventualmente perduto l'uso di ragione o si trovino in stato di incoscienza, se c'è motivo di ritenere che nel possesso delle loro facoltà essi stessi, come credenti, avrebbero [almeno implicitamente] chiesto l'Unzione, [si conferisca loro il sacramento]39. Se il sacerdote viene chiamato quando l'infermo è già morto, raccomandi il defunto al Signore, perché gli conceda il perdono dei peccati e lo accolga nel suo regno; ma non gli dia l'Unzione. Solo nel dubbio che il malato sia veramente morto, gli può dare il sacramento sotto condizione» 40. «Non si conferisca l'Unzione degli infermi a coloro che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto»41, né ai bambini che non abbiano raggiunto un uso di ragione sufficiente a far loro sentire il conforto di questo sacramento42. Si amministri loro invece la cresima in pericolo di morte, dal momento che «la Chiesa […] vuole che nessuno dei suoi figli, anche se in tenerissima età, esca da questo mondo senza essere stato reso perfetto dallo Spirito Santo mediante il dono della pienezza di Cristo» 43. Per quanto concerne la comunione, «ai fanciulli che si trovino in pericolo di morte la santissima Eucarestia può essere amministrata se possono distinguere il Corpo di Cristo dal cibo comune e ricevere con riverenza la comunione» 44. Normalmente il ministro dell’Unzione è il parroco. «Quando al capezzale di un malato ci sono due o più sacerdoti, nulla vieta che uno di essi pronunzi le preghiere e faccia l'Unzione con la formula sacramentale prescritta, e gli altri si spartiscano fra di loro le varie parti della celebrazione: riti iniziali, lettura della parola di Dio, invocazioni, monizioni. Ognuno di essi può imporre le mani sul malato»45. 3.3 La malattia, situazione di crisi Il destinatario dell'unzione è il malato, ma non nel caso di qualsiasi malattia. Si deve trattare di una malattia di certa gravità, di una situazione spirituale e corporale che rappresenti qualcosa più grave di un malessere passeggero. Si deve trattare di un male che compromette lo stato generale di salute della persona, tanto da non consentirgli le attività di un uomo sano. Si tratta quindi di una situazione che tocca l'insieme della persona. La malattia è esperienza di dolore, di limite e di impotenza. Il corpo non è più a disposizione della volontà e diviene come un “oggetto esterno” di inciampo all'attività, qualcosa su cui non si può disporre autonomamente come avviene in stato di salute; allora si sperimenta la limitatezza dell'essere umano. È vero che anche in stato di salute c'è sempre una dimensione di limitatezza nella vita dell'uomo, ma spesso essa rimane in qualche maniera nascosta. Nella malattia però si manifesta apertamente ed il soggetto si vede coinvolto in cose da lui non scelte: inattività, emarginazione, isolamento. La situazione di malattia può avere anche effetti psicologici negativi (depressione, disperazione). Il cristiano in questa situazione di crisi dovrebbe reagire d'accordo con la sua convinzione di fede: la malattia può anche essere un evento di grazia. Il cristiano malato dovrebbe vivere la malattia come una occasione di attuare la speranza cristiana ed approfondirla nella fede, nel mistero di Dio, mistero d'amore malgrado la sua paradossalità. La malattia dovrebbe essere occasione di seguire il Cristo nel mistero di morte e risurrezione. 37 SUCPI 9 e 10. Cfr SUCPI 11. 39 Cfr CIC, can. 1006. 40 SUCPI 14 e 15. Il modo di conferire l’Unzione sotto condizione è al n. 204 del Rito: «Se vivi, per questa santa Unzione…». 41 CIC, can. 1007. 42 Cfr SUCPI 12 che precisa: «Nel dubbio se abbiano raggiunto l'uso della ragione, si conferisca ugualmente il sacramento (cfr CIC, c. 1005)». 43 CCC 1314. Il modo di conferire la Confermazione in pericolo di morte è al n. 205s del Rito. Al n. 167 si precisa: «La Confermazione in pericolo di morte e l’Unzione degli infermi non si dovrebbero conferire con rito continuo, per evitare che si faccia confusione tra due sacramenti diversi, conferiti entrambi con il segno dell’unzione. Se però fosse necessario, si conferisca la Confermazione immediatamente prima della benedizione dell’olio degli infermi, omettendo l’imposizione delle mani indicata nel rito dell’Unzione». Cfr n. 177-179bis. 44 CIC, can. 913 § 2. 45 SUCPI 19. 38 Il sacramento dell'unzione degli infermi deve avere il senso di un aiuto della Chiesa a vivere questa situazione di crisi come un momento di grazia. 3.4 L'azione sacramentale Nel messaggio di Gesù l'attenzione verso i malati ha un posto particolare. La vita del discepolo sarà giudicata anche in base al comportamento nei confronti dei malati: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). La Chiesa è rimasta fedele a questo messaggio e sin dagli inizi ha dedicato un'attenzione particolare ai malati. E proprio in questo contesto si inserisce la celebrazione sacramentale dell’unzione degli infermi. L'azione sacramentale ha tre elementi: la presenza della comunità, la preghiera e l'unzione. 1. C'è una “piccola comunità” intorno al malato: i familiari e quelli che lo attendono direttamente. Il presbitero rappresenta l'intera comunità e la sua attenzione per il malato rappresenta l'attenzione della comunità di fede nella quale il malato è integrato. 2. La comunità, rappresentata da quelli riuniti intorno al malato e dal presbitero, prega per il malato. La preghiera sacramentale nel nuovo rito ha una forma ottativa: «Per questa santa Unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. Amen. E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi. Amen»46. È indirizzata direttamente al malato e indirettamente a Dio; si domanda con la grazia dello Spirito Santo, la liberazione dal peccato e l'essere sollevato, riprendendo le parole di Gv 5. La formula anteriore al rituale del 1972 diceva: «Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia il Signore ti perdoni quanto hai peccato per …» e si nominavano i sensi nei quali si faceva l'unzione. Il senso era piuttosto di preparazione alla morte ed era indirizzata principalmente al superamento del peccato. Attualmente tra gli effetti c'è anche il perdono, ma è integrato in un'azione più ampia di salvezza e di aiuto mediante la grazia dello Spirito. È da notare che quando nella preghiera si indicano gli effetti si fa anche menzione della guarigione. Quando la teologia scolastica ha sistematizzato i sacramenti, nell’unzione ha sottolineato quasi esclusivamente come effetto la guarigione spirituale cioè il perdono; non c'era una certezza adeguata sulla guarigione corporale. Dobbiamo dire che da questo sacramento si aspetta l’aiuto necessario per superare la situazione di crisi derivante dalla malattia. L'azione sacramentale non è qualcosa di magico, ma indica il contesto di fede: Cristo continua ad agire sacramentalmente all'interno della comunità cristiana. 3. L'unzione con l'olio. Il rapporto tra preghiera ed unzione può essere capito in due maniere: • la preghiera sarebbe il mezzo per interpretare il significato del gesto di ungere l'ammalato: allora l'unzione sarebbe l'elemento più importante dell'intera azione sacramentale; è l'unzione, infatti, che ha dato il nome a quest'azione sacramentale sia che si parli di “estrema unzione” sia che si parli di “unzione degli infermi”. • dare il significato centrale alla preghiera: è una preghiera della comunità cristiana fatta dal suo rappresentante. L'unzione sarebbe un'azione simbolica che aiuta a capire ciò che avviene nella preghiera. Feiner parla di “preghiera dell'unzione” dando più rilievo alla preghiera (cosa che pare sia più d'accordo con Gc 5)47. Si ungono la fronte e le mani48: rappresentano tutta la persona. Prima si ungevano i cinque sensi per dare il senso di perdonare i peccati commessi per mezzo di essi. [Il cotone utilizzato per pulire la fronte e le mani del malato e/o la mano del sacerdote viene bruciato49.] 46 SUCPI 25. J. FEINER, «La malattia e il sacramento della preghiera dell’unzione», 649. 48 SUCPI 23: «L'Unzione si fa spalmando un po' di Olio sulla fronte e sulle mani dell'infermo; quanto alla formula, è bene dividerla in modo da pronunziare la prima parte mentre si fa l'unzione sulla fronte, e la seconda mentre si fa l'unzione sulle mani. In caso di necessità, basta fare un'unica unzione sulla fronte, pronunziando integralmente la formula sacramentale. Se poi la particolare situazione del malato rendesse impossibile l'unzione sulla fronte, la si faccia su di un'altra parte del corpo, pronunziando sempre integralmente la formula sacramentale». Secondo l’usanza, ai fedeli laici l’Unzione si amministra spalmando l’Olio sul palmo delle mani, ai ministri ordinati invece sul dorso delle mani (perché il palmo è stato già unto con il crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale). 49 Cfr SUCPI 22: «Qualora il sacerdote, in base al n. 21b, dovesse benedire l'Olio durante il rito [cioè in caso di vera necessità], può recarlo lui stesso o farlo preparare dai familiari dell'infermo in un piccolo recipiente adatto. L'Olio bene47 [La riflessione teologica medioevale, servendosi dei concetti della filosofia aristotelica, aveva introdotto nella teologia sacramentale i concetti di materia e forma, per spiegare la natura dei sacramenti e i loro elementi costitutivi. a) In un composto la materia è parte costitutiva determinabile; la forma ne è la parte determinante. b) Così nei sacramenti: − vi è una parte determinabile, che può avere molti fini e significati (es. abluzione per il battesimo, unzione per l'Unzione degli infermi…) [→ materia]; − vi sono le parole che stabiliscono il fine religioso della parte determinabile [→ forma] c) La materia, determinata dalle parole o dalla preghiera del ministro (che sono la forma del sacramento) costituisce il segno sacramentale50. d) Si distingue poi ancora tra: − materia remota, che è la sostanza (acqua, olio…) usata nell'azione sacramentale; − materia prossima, che è la stessa azione sacramentale (lavare, ungere, ...).] 3.5 La confessione in pericolo di morte e il rito continuo51 Coloro che versano in pericolo di morte, il più delle volte, si trovano nell'impossibilità fisica di assolvere al dovere dell'accusa integra e quindi non vi sono tenuti. Tuttavia è indubbio che l'amministrazione del sacramento ai moribondi presenta particolari aspetti anche sotto altri punti di vista. Innanzitutto occorre tenere conto della possibilità o del dovere di amministrare in quel momento ben tre sacramenti: Penitenza e Unzione degli infermi e Santa Comunione 52 sotto forma di Viatico: «Come i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia costituiscono una unità chiamata “i sacramenti dell'iniziazione cristiana”, così si può dire che la Penitenza, la santa Unzione e l'Eucaristia, in quanto viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, “i sacramenti che preparano alla Patria” o i sacramenti che concludono il pellegrinaggio terreno»53. La normativa ecclesiale in questi frangenti si fa particolarmente attenta alle reali condizioni del fedele per non correre il pericolo di privare del dono della grazia sacramentale chi è giunto al momento cruciale del passaggio da questo mondo al Padre. Ricordiamo innanzitutto che per i casi nei quali un fedele viene a trovarsi d'improvviso in pericolo prossimo di morte, è predisposto un rito continuo per favorire la corretta e possibilmente fruttuosa amministrazione dei tre sacramenti. Se poi, per l'imminenza della morte, venisse a mancare il tempo per procedere nel modo ordinario, il rituale chiede che innanzitutto si dia la possibilità all'infermo di fare la confessione sacramentale, anche in forma solo generica54, e poi di amministrargli il Viatico, detto, eventualmente avanzato dopo la celebrazione, dev'essere bruciato aggiungendovi cotone idrofilo. Quando invece il sacerdote si serve dell'Olio già benedetto dal vescovo o da un altro sacerdote, deve portarlo con sé in un'ampolla apposita». 50 Il sacramento in quanto segno è costituito dalla Parola e dall'elementum secondo la celebre espressione di Sant'Agostino: «Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum trad. Si unisce la parola all’elemento [l’acqua], e nasce il sacramento» (la traduzione è in CCC 1228). Si tratta, in altre parole della materia e forma, che costituiscono ciò che si chiama la sostanza del sacramento. Riportiamo il passo nella traduzione di E. Gandolfo: «Se togli la parola, che cos’è l’acqua se non acqua? Se a questo elemento si unisce la parola, si forma il sacramento, che è, a sua volta, come una parola visibile» (SANT’AGOSTINO, Commento al vangelo di Giovanni, 80,3). 51 Per questo argomento, tranne le integrazioni segnalate e le note, si riporta l’ultima parte dell’articolo di M. CALVI , «Le disposizioni del fedele per il sacramento della penitenza», 65s. 52 «Can. 917 - Chi ha già ricevuto la santissima Eucarestia, può riceverla una seconda volta nello stesso giorno, soltanto entro la celebrazione eucaristica alla quale partecipa, salvo il disposto del can. 921, § 2. Can. 918 - Si raccomanda vivissimamente che i fedeli ricevano la sacra comunione nella stessa celebrazione eucaristica; tuttavia a coloro che la chiedono per una giusta causa fuori della Messa venga data, osservando i riti liturgici. Can. 921 - § 1. I fedeli che si trovano in pericolo di morte derivante da una causa qualsiasi, ricevano il conforto della sacra comunione come Viatico. § 2. Anche se avessero ricevuto nello stesso giorno la sacra comunione, tuttavia si suggerisce vivamente che quanti si trovano in pericolo di morte, si comunichino nuovamente». La Comunione ai malati il Giovedì e Venerdì Santo si può portare in qualsiasi ora del giorno. Il Sabato soltanto a chi è in pericolo di morte (Viatico): cfr Messale2, p. 135 e 160. 53 CCC 1525. 54 La Chiesa, presumendo necessità, impone di assolvere i moribondi privi di parola, o capaci di un’accusa solo generica (cfr SUCPI 30). al quale è tenuto per dovere canonico ogni fedele in pericolo di morte55. Se restasse ancora tempo gli si conferisce l'Unzione. Tuttavia, se il fedele non fosse in grado di ricevere il Viatico, gli si deve dare l'Unzione56. [Il sacramento della Penitenza o, se il malato si è già confessato, l’atto penitenziale (Confiteor…) si può concludere con l’indulgenza plenaria in articulo mortis che il sacerdote concede con l’apposita formula 57. Il cappellano degli ospedali, delle carceri e dei viaggi in mare — formalmente nominato dalla competente autorità — ha in forza dell'ufficio, la facoltà di rimettere in foro interno58 tutte le censure latae sententiae non dichiarate e non riservate alla Santa Sede. Detta facoltà è esercitabile solo nei luoghi predetti, ma per tutti, e può essere delegata sia per un atto, sia per un insieme di casi (can. 566 § 2; 137 § 1).] Per ciò che attiene alla confessione sacramentale, la questione principale si pone sul piano della valutazione delle disposizioni del fedele. Senza addentrarci nella complessa casistica elaborata dalla manualistica classica possiamo richiamare alcuni principi fondamentali che hanno ancora una loro utilità. Nonostante dal punto di vista pastorale si debba fare di tutto per non privare della grazia sacramentale un moribondo, non è lecito dare l'assoluzione se si è certi che il sacramento sarà invalido: è il caso di un moribondo non battezzato, oppure ancora cosciente che rifiuta il sacramento oppure che si dimostra privo in modo aperto ed evidente di qualsiasi segno di pentimento anche minimo. A tutti gli altri moribondi, cattolici, sebbene ormai privi di coscienza, può essere conferita l'assoluzione, almeno sotto condizione. In ciò non vi sono dubbi al riguardo se il fedele, non avendo perso coscienza, offre in qualsiasi modo anche un minimo segno di pentimento o del desiderio del sacramento; ma il confessore può procedere con sicurezza anche quando si tratta di un fedele, ormai privo di sensi, che aveva in precedenza manifestato direttamente o attraverso altri il desiderio di confessarsi. Più difficile la valutazione nei casi in cui il moribondo è vissuto in modo disordinato, e non ha avuto modo di dare segni di ravvedimento. Oppure quando la morte raggiunge una persona proprio a causa del peccato che stava commettendo. Si pensi per esempio a chi muore mentre sta perpetrando un delitto. La prassi è orientata a non negare l'assoluzione se si può almeno presumere che quel fedele pur peccatore, avendone avuto il tempo e la possibilità, resosi conto del pericolo di morire in stato di peccato, avrebbe voluto ricorrere al sacramento come mezzo di salvezza. L’assoluzione dovrebbe essere data sotto condizione. Tale principio si può applicare persino nel caso di eretici o scismatici moribondi, ormai privi di conoscenza. Possono esser assolti sotto condizione. Gli eventuali dubbi circa la legittimità di tale prassi sono stati fugati da una risposta del Sant'Uffizio che, seppure lontana nel tempo (17 maggio 1916), conserva la sua validità. Ecco il testo del quesito e della risposta: «D.: An schismaticis in mortis articulo sensibus destitutis absolutio et extrema unctio conferri possint. R.: Sub conditione affirmative, praesertim si ex adiunctis coniicere liceat, eos implicite saltem errores suos reiicere, remoto tamen effaciter scandalo, manifestando scilicet adstantibus, Ecclesiam supponere eos in ultimo momento ad unitatem rediisse». [«È diritto di ogni fedele confessare i peccati al confessore che preferisce, legittimamente approvato, anche di altro rito» (can. 991). Il §. 2 del can. 844 precisa: «Ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli (...), è lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente 55 Cfr nt. supra. Spiega CCC 1524: «Ricevuta in questo momento di passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha un significato e un'importanza particolari. È seme di vita eterna e potenza di risurrezione, secondo le parole del Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Gv 6,54). Sacramento di Cristo morto e risorto, l'Eucaristia è, qui, sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre». 56 Cfr SUCPI 30. 57 Cfr SUCPI 174; P. ADNÈS, L’unzione degli infermi, 82. 58 Ritengono alcuni che la facoltà dei detti cappellani possa esercitarsi anche nel foro interno extrasacramentale, poiché nel canone non c’è alcuna limitazione. C'è però il verbo "absolvere", che, com'è noto, è usato per gli atti specifici di foro interno sacramentale: cfr L. C HIAPPETTA, Il codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale, Napoli 1988, 663, nt. 1. Trattandosi di dubbio e di questione sacramentale, bisogna stare dalla parte più sicura e assolvere quindi solo in foro interno sacramentale. impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell'Eucaristia e dell’unzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti»59. A questo proposito OE 27 afferma che «agli orientali, che in buona fede si trovano separati dalla chiesa cattolica, si possono conferire, se spontaneamente li chiedono e siano ben disposti60, i sacramenti della penitenza, dell'eucaristia e dell'unzione degli infermi; anzi, anche ai cattolici è lecito chiedere questi sacramenti da quei ministri acattolici».] [Il matrimonio in pericolo di morte è regolato dai can. 1068 e 1079: il cappellano proceda, purché gli sposi dichiarino di essere battezzati e che non ci siano impedimenti.] 3.6 L'aiuto dell'azione sacramentale nella situazione di malattia Per primo possiamo parlare di un aiuto esistenzialmente molto importante: in una situazione di isolamento la celebrazione indica la solidarietà con l'ammalato, che si esprime a vari livelli. Il primo è rappresentato dalla famiglia, da coloro che aiutano l'ammalato. Un altro livello di solidarietà si esprime con la presenza del presbitero: questi rappresenta l'intera comunità di fede, solidale con l'ammalato. Inoltre, mediante l'azione sacramentale raggiungiamo un altro livello: è Cristo che si fa solidale con la sofferenza di quell'ammalato61. La preghiera di fede non testimonia soltanto la solidarietà di Cristo sofferente col malato ma crede anche che questi a causa del suo battesimo, è unito a Cristo che ha vinto la sofferenza e la morte. Il senso della celebrazione dunque non è soltanto di annunciare e realizzare una solidarietà che il malato deve accettare passivamente; indica anche che il malato ha la capacità di partecipare attivamente al mistero di Cristo in questa esperienza di limitazione umana: il momento di crisi diviene un momento di grazia. Il malato, accettando con fede la sofferenza è testimone della grazia e dell'azione del Signore: diventa così un membro attivo della comunità di fede in un senso molto concreto. Questo include necessariamente un momento di riconciliazione con la situazione, possibile con l'aiuto della grazia. La grazia dell'unzione può includere anche la guarigione fisica; non si deve dimenticare che la salvezza riguarda l'uomo intero e in questo senso anche la guarigione dev'essere una testimonianza della salvezza di Dio indirizzata alla piena salute della persona. L'aiuto può anche avere un senso di preparazione per la morte in quanto questa si manifesta già come un evento vicino. L'unzione dev’essere allora un aiuto ad avvicinare questo evento nella speranza. Questo implica anche il perdono dei peccati62, com'è indicato nella stessa preghiera, fermo restando quanto di59 Ad esempio, un cattolico non può ricevere tali sacramenti dalla Chiesa anglicana (perché manca la successione apostolica), mentre lo può fare dai ministri della Chiesa scismatica di mons. Lefebvre. 60 Precisa il Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici: «4. Le condizioni affinché, in circostanze eccezionali e in casi singoli, sia legittimo per un ministro cattolico amministrare i sacramenti dell’eucaristia, penitenza e unzione degli infermi ai fedeli orientali non cattolici sono: la richiesta spontanea del sacramento, la buona disposizione personale, il grave bisogno spirituale. 5. Il ministro cattolico deve valutare anche le concrete circostanze in cui avviene la richiesta. In particolare, se il fedele orientale non cattolico non accedesse al proprio ministro, pur potendolo fare senza grave incomodo, si potrebbe cadere nel rischio di assecondare atteggiamenti di indifferentismo o relativismo ecclesiologico o di esporsi al dubbio di un latente proselitismo. Infatti, il requisito della “buona disposizione personale” presuppone l’esclusione di atteggiamenti polemici o sincretisti». 61 Cfr PVCM 53: «“Il sacramento dell’Unzione è il segno che gli infermi non sono soli nella prova, ma che ad essi è vicino Gesù, che conosce il soffrire, per dar loro forza ed aiutarli a conservare la fiducia in Dio Padre e ad aver pazienza verso il loro fragile corpo, destinato alla risurrezione”. Frutto del sacramento, per l’azione dello Spirito, è per il malato il sentirsi sollevato e rinvigorito, e insieme aiutato a dare significato e a vivere con più serenità la propria condizione». 62 Per Gozzelino l’effetto dell’unzione consiste nella abolizione dei resti del peccato, ovvero la debolezza spirituale indotta nel soggetto dalla presenza del peccato e le pene temporali ad esso dovute. Perciò l’unzione viene chiamata dal nuovo rituale sacramento che «porta a termine il cammino penitenziale del cristiano» (SUCPI 6). È importante tenere presente che l’unzione non agisce sui resti del peccato in quanto tali ma in quanto entrano nella malattia aggravando la sua negatività globale, ossia in quanto sono, per così dire, in statu morbi. In altri termini, questo effetto consegue veramente dall’altro, cioè il conforto-rimedio del rinvigorimento spirituale, e si dà solo qualora ci sia questo (cfr Gozzelino, 143-145). Feiner usa un linguaggio più sfumato: «L’unzione degli infermi non è, a differenza del sacramento della penitenza, il sacramento specifico della riconciliazione del peccatore con Dio; se tuttavia il peccatore, con il segno dell’unzione con l’olio, s’incontra con Cristo nella fede e nel pentimento, questo incontro potrà dimostrarsi una “salvezza” ed “erezione”, reali soltanto nel caso in cui lo stato di non salvezza, e quindi il peccato, venga superato. […] Se nei secoli successivi [la Chiesa] ha riferito [il] potere di rimettere i peccati al sacramento della penitenza, ciò non significa sposto in SUCPI 67: «Se il malato deve confessarsi, il sacerdote vi provveda possibilmente prima della celebrazione dell’Unzione. Nel caso che solo durante il rito della Unzione sia possibile al sacerdote ascoltare la confessione sacramentale dell’infermo, l’ascolti all’inizio del rito stesso, dopo il saluto e la monizione, e prima della lettura biblica. Quando durante il rito non c’è la confessione, è bene fare l’atto penitenziale». In sintesi «la grazia speciale del sacramento dell'Unzione degli infermi ha come effetti: − l'unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa; − il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze della malattia o della vecchiaia; − il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il sacramento della Penitenza; − il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale; − la preparazione al passaggio alla vita eterna»63. 4. Il nuovo Rito delle Esequie (2011) 1. La pubblicazione della seconda edizione in lingua italiana del Rito delle Esequie si pone nel solco dell’impegno delle Chiese che sono in Italia nell’applicazione della riforma liturgica conciliare. Dopo una prima fase, dedicata alla semplice traduzione dei libri liturgici dalla loro edizione tipica latina, a partire dal 1983 si è infatti concretizzata una particolare attenzione alla questione dell’adattamento. 2. Come dichiarato nella Presentazione della Conferenza Episcopale Italiana, «La seconda edizione del Rito delle Esequie in lingua italiana, pubblicata alcuni decenni dopo la prima edizione (1974), risponde alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti». Una delle situazioni nelle quali oggi la Chiesa è chiamata a vivere l’afflato missionario è infatti quella che riguarda la morte di un membro della comunità cristiana, evento ricorrente nella dinamica di una vita parrocchiale. Il Rito delle Esequie da sempre intende essere un annuncio della novità portata da Cristo Gesù dinanzi al mistero della morte. 3. Numerosi sono gli adattamenti di natura rituale e testuale introdotti nella seconda edizione italiana. • Incontriamo una prima novità di ordine rituale e testuale nel primo capitolo della prima parte: «Visita alla famiglia del defunto». Un paragrafo non presente nell’edizione latina del 1969 e nemmeno in quella italiana del 1974. La premessa a tale momento di preghiera ne evidenzia il motivo e l’importanza (n. 26). Il primo incontro con la famiglia è un momento particolarmente significativo e carico di emozione. Diventa infatti per il parroco un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei familiari colpiti dal lutto, di conoscenza di alcuni aspetti della vita della persona defunta in vista di un corretto e personalizzato ricordo durante la celebrazione delle esequie. In alcuni casi può essere anche un momento per preparare o indicare il senso dei vari riti esequiali. • Sempre nel primo capitolo troviamo la seconda novità. Il paragrafo precedentemente chiamato «Preghiera per la deposizione del corpo del defunto nel feretro» diventa ora «Preghiera alla chiusura della bara». La sequenza rituale è stata rivista e arricchita. Si vuole sottolineare e leggere alla luce della parola di Dio e della speranza cristiana un momento molto delicato che tale remissione non possa essere garantita anche in una diversa forma sacramentale» (J. FEINER, «La malattia e il sacramento della preghiera dell’unzione», 655s). P. Adnès parla di «abolizione di quelli che sono stati chiamati “i resti del peccato” (reliquiae peccati)» e, riferendosi a Gc 5,15, di «remissione dei peccati stessi quando non è possibile accedere al sacramento della penitenza» (P. ADNÈS, L’unzione degli infermi, 70). J. Kern, gesuita austro-ungherese, in uno scritto del 1907 sostiene che lo scopo del sacramento dell’estrema unzione sia di «eliminare il purgatorio e di garantire al malato la visione beatifica, senza ritardo, dopo la morte: proprio come il sacramento della penitenza strappa all’inferno chi ha gravemente peccato, il sacramento dell’unzione fa sfuggire al fuoco del purgatorio. È con affabile ironia che il teologo americano Paul F. Palmer esprime e critica questa teoria, sostenendo, quanto a lui, che il vero sacramento dei morenti è piuttosto il viatico» (P. ADNÈS, L’unzione degli infermi, 72). 63 CCC 1532. e doloroso quale quello della chiusura della bara, quando il volto del defunto scompare per sempre dalla vista dei familiari. [Si prevede la possibilità che alcuni familiari possano stendere un velo bianco sul volto del defunto e si propongono antifone e orazioni adatte, come la seguente: «Dio onnipotente ed eterno, Signore della vita e della morte, noi crediamo che la vita del nostro fratello (della nostra sorella) N. è ora nascosta in te; il suo volto, che viene sottratto alla nostra vista, contempli ora la tua bellezza e sia illuminato per sempre dalla vera luce che ha in te la sorgente inesauribile. Per Cristo nostro Signore» 64.] • Nella celebrazione delle Esequie nella Messa o nella Liturgia della Parola, arricchimento significativo è una più varia proposta di esortazioni per introdurre il rito dell’ultima raccomandazione e commiato. Un rito che, come si legge nelle Premesse Generali, costituisce l’ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo membro prima che sia portato alla sepoltura. Ora vengono offerte dodici proposte di esortazione che possono essere lette o adattate65; nel rituale precedente erano solo quattro. • Sempre in questo capitolo sono da segnalare ancora tre adattamenti. Il primo, conservato dalla precedente edizione italiana, consente, secondo le consuetudini locali, di pronunciare «parole di cristiano ricordo del defunto»66. Il secondo adattamento risponde invece a una richiesta inoltrata da numerosi vescovi ed esplicitamente approvata in Assemblea generale. Riguarda la conclusione della celebrazione in chiesa o nella cappella del cimitero: «Il rito dell’ultima raccomandazione e del commiato si conclude sempre con la benedizione. Se il sacerdote (o il diacono) accompagna processionalmente il feretro al cimitero non congeda l’assemblea, ma aggiunge: Benediciamo il Signore»67. Il terzo adattamento è l’introduzione, al termine dei riti di tumulazione al cimitero, di due formule alternative di conclusione. Al canto, che può concludere l’intero rito, è possibile affiancare il gesto dell’accensione di un cero sulla tomba o davanti a essa68. Significativo infine è l’inserimento della possibilità di utilizzare le Litanie dei Santi nelle processioni dalla casa alla chiesa e dalla chiesa al cimitero69. • Del capitolo quarto «Esequie nella cappella del cimitero» è da segnalare una ricca proposta di formulari per la preghiera dei fedeli, ben sette70. Tre sono ripresi dal rituale precedente, quattro sono di nuova composizione. • È infine da segnalare che nella seconda edizione non compare più il capitolo V dell’edizione precedente, corrispondente al capitolo IV dell’Ordo Exsequiarum: «Esequie nella casa del defunto». I Vescovi hanno ritenuto questa possibilità estranea alla consuetudine italiana e non esente dal rischio di indulgere a una privatizzazione intimistica, o circoscritta al solo ambito familiare, di un significativo momento che di sua natura dovrebbe vedere coinvolta l’intera comunità cristiana, radunata per la celebrazione. 4. La novità più significativa della seconda edizione del rituale è costituita sicuramente dall’Appendice dedicata alle «Esequie in caso di cremazione» 71. Questa parte è articolata in tre capitoli: «Nel luogo della cremazione», «Monizioni e preghiere per la celebrazione esequiale dopo la cremazione in presenza dell’urna cineraria», «Preghiere per la deposizione dell’urna». Dall’esame delle sequenze rituali proposte e delle indicazioni di carattere pastorale possiamo dedurre alcune considerazioni. 64 RE2, 45. Ricordiamo, in particolare, quella per una persona anziana, per un giovane, per un sacerdote, per un diacono, per un religioso, per una religiosa, per una persona deceduta improvvisamente (cfr RE 2, 80). 66 RE2, 81. 67 RE2, 86. 68 Cfr RE 2, 98. 69 Cfr RE 2, 93. 70 Cfr RE2, 103 che rimanda a 116 (2), perché la preghiera dei fedeli è di per sé proposta presso il sepolcro. Se non viene fatta lì, allora la si può anticipare al “Rito delle Esequie nella cappella del cimitero”, precisamente dopo la liturgia della parola e prima dell’ultima raccomandazione e commiato. 71 RE2, p. 203-246. 65 • La denominazione di Appendice, oltre a segnalare che non esiste una sua corrispondenza nell’edizione tipica latina, vuole richiamare il fatto che la Chiesa, anche se non si oppone alla cremazione dei corpi quando non viene fatta in odium fidei, continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma più idonea a esprimere la fede nella risurrezione della carne, ad alimentare la pietà dei fedeli verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici. • I vari capitoli dell’Appendice sono preceduti da un’introduzione nella quale vengono segnalati i cambiamenti sociali in atto, ribaditi i riferimenti alla dottrina cristiana e offerte indicazioni di carattere pastorale. • La celebrazione delle esequie precede di norma la cremazione: in questo caso va posta particolare attenzione alla scelta dei testi più adatti alla circostanza. • Eccezionalmente i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono svolgere nella stessa sala crematoria, evitando ogni pericolo di scandalo e l’introdursi di consuetudini estranee ai valori della tradizione cristiana 72. • Si raccomanda l’accompagnamento del feretro al luogo della cremazione. • Particolarmente importante l’affermazione che la cremazione si ritiene conclusa con la deposizione dell’urna nel cimitero da leggersi come conseguenza di quanto affermato al n. 165 a proposito della prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero. Tale prassi infatti solleva non poche perplessità sulla sua piena coerenza con la fede cristiana, soprattutto quando sottintende concezioni panteistiche o naturalistiche. Anche se il rituale non prende netta posizione sul versante disciplinare, offre però sufficienti elementi per una catechesi e un’azione pastorale che sappiano sapientemente educare il popolo di Dio alla fede nella risurrezione dei morti, alla dignità del corpo, all’importanza della memoria dei defunti, alla testimonianza della speranza nella risurrezione. • L’Appendice si propone quindi di offrire testi e riti liturgici che accompagnano le varie fasi che conducono alla cremazione: la preoccupazione pastorale che emerge è quella di evitare che eventuali vuoti celebrativi siano occupati da una ritualità aliena dai contenuti della fede cristiana. 5. [Nella parte intitolata «Testi e melodie» 73 troviamo varie proposte per la liturgia. Segnaliamo la ricchezza di orazioni cui si può attingere: per un sacerdote (n. 200), per un diacono (n. 201), per un religioso, per una religiosa 74 (n. 202), per un giovane (n. 203)75, per un defunto che ha lavorato a servizio del Vangelo (n. 204), per un defunto dopo lunga infermità (n. 205), per un defunto a causa di morte improvvisa (n. 206), per coniugi, per un solo coniuge 76 (n. 207), per il padre o la madre, per i genitori (n. 208).] 6. La seconda edizione italiana del Rito delle esequie è diventata obbligatoria dal 2 novembre 2012. Bibliografia e abbreviazioni AGOSTINO, sant’, Commento al vangelo di Giovanni, tr. E. Gandolfo, in Opere di Sant’Agostino, XXIV, Roma 1968, 1-1625. 72 Cfr RE 2, 15 e 167. RE2, p. 247-362. 74 «Padre di carità e di gloria, ti raccomandiamo l’anima della tua serva N., che ha risposto alla tua chiamata e a te si è consacrata interamente, perché tu l’accolga donandole la grazia di vedere Cristo, suo sposo, e di godere della sua presenza per l’eternità. Egli vive e regna nei secoli dei secoli». 75 «O Dio che disponi i tempi e la vita di ogni uomo, con gli occhi pieni di lacrime ti affidiamo umilmente il tuo servo (la tua serva) N., giunto(a) in breve al termine dell’esistenza terrena, perché nella beatitudine della tua casa, possa godere di una giovinezza perenne. Per Cristo nostro Signore». 76 «Nella tua misericordia, Signore, perdona il tuo servo (la tua serva) N. e conforta la sua sposa (il suo sposo) N., perché, come in questa vita li ha uniti fedelmente l’amore coniugale, la pienezza della tua carità li congiunga nella vita eterna. Per Cristo nostro Signore». 73 ADNÈS, P., L’unzione degli infermi. Storia e teologia, tr. M. Magnatti Fasiolo, Universo Teologia 51, Cinisello Balsamo 1996. BUSCHINI, P., Dal dolore che salva alla misericordia. Per un mondo più umano, Spiritualità come, dove, quando, Cantalupa (TO) 2011. CALVI, M., «Le disposizioni del fedele per il sacramento della penitenza», in E. 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