“ Écrire est aussi une façon de rythmer le temps et de le passer”.
Hervé GUIBERT, Magazine Littéraire février 1992, p. 70.
“Lire, c’est protester”.
Mario VARGAS LLOSA, Le Point. le 20.10.2011.
Joseph CONRAD, André GIDE e Mario Vargas Llosa di fronte all’Africa nera delle
miserie e degli orrori coloniali.
Tra i tanti studi sul fenomeno
novecento ci piace soffermare
presentando dinamiche narrative
sul territorio africano un’immagine
coloniale di fine XIXo secolo e inizio
l’attenzione su tre libri che, pur
diverse, danno della presenza europea
reale e inquietante.
Si tratta del testo più famoso di Joseph
CONRAD,
“Au
coeur des ténèbres”,
del “Voyage au
Congo” di André
GIDE e dell’ultimo
romanzo di Mario
Vargas
LLOSA
prima di ricevere
l’ambito premio NOBEL per la
Letteratura 2010, dal titolo “Il sogno
del Celta” (Einaudi Edizioni).
L’obiettivo è di comprendere come la
Letteratura abbia reagito alle atrocità compiute dagli
europei nel momento in cui volevano far passare per filantropia lo sfruttamento delle risorse delle
popolazioni indigene dell’Africa e dell’Amazzonia. Capire, cioè, se essa sia stata in grado di
modificare la situazione di radicale sfruttamento dei territori, favorendo una visione nuova di
progresso.
È utile un’analisi comparativa dei testi poiché essi affrontano lo stesso soggetto, l’Europa colta e
ricca di fronte al mondo selvaggio, ma anche perché gli autori-personaggi hanno la possibilità
d’incontrarsi e di scambiare pareri e suggestioni avendo reazioni piuttosto simili. Il viaggio in
territorio africano e in Amazzonia li spinge a scegliere da che parte stare e cioè schierarsi in difesa
delle popolazioni indigene contro l’Associazione Internazionale del Congo (A.I.C.) che prometteva
strade, ponti, imbarcaderi e ferrovie imponendo regole rigide e violenze gratuite.
Il viaggio interiore di Conrad in territorio africano.
É il polacco naturalizzato inglese Joseph CONRAD, pseudonimo di Teodor
Jòzef Konrad Korzeniowski, il primo a imbarcarsi in una spedizione per il
Congo. Nel 1890 l’autore di “Au coeur des ténèbres” ottiene a Bruxelles un
contratto con il grado di capitano di un battello a vapore denominato The
Florida, utilizzato per il commercio dell’avorio sul fiume Congo. A bordo del
Roi des Belges, Conrad risalirà il fiume Congo per imbarcare un agente di
nome Klein, gravemente malato. Anche Conrad è malato e interiormente
trasformato, è consapevole degli orrori perpetrati dal colonialismo, sicché il
suo pur breve “Au coeur des ténèbres” è una sorta di confessione, il racconto
1
di un uomo che viene a contatto con le falsità del tempo e le denuncia con coraggio grazie al potere
della parola scritta.
Amico di André.GIDE e conoscente di Roger Casement, Conrad fu certamente lo scrittore che
maggiormente influenzò Gide e Roger a intraprendere anche loro il viaggio per il Congo. Con
l’incarico di osservatori il loro impegno è di far pervenire rispettivamente ai governi francese e
inglese un Rapporto sulle reali condizioni di vita delle popolazioni congolesi spesso soggiogate dai
bianchi.
Per Conrad è l’occasione per realizzare un vecchio sogno di bambino, quando sognava di penetrare
nel cuore delle regioni inesplorate dell’Africa centrale, di costeggiare il fiume “fascinant et mortel
comme un serpent” et “d’ouvrir à la civilisation la seule partie de notre globe où le Christianisme
n’ait pas encore penetré, et dissiper les ténèbres enveloppant une population tout entière”, come
diceva il Re Léopold II nel presentare il suo ambizioso progetto congolese.
Marlow, voce narrante del libro, seguendo il corso del fiume, penetra lentamente nel centro del
Congo alla ricerca di una voce, di una voce magica e affascinante. Il colonnello Kurtz è questa
voce. “Il n’y avait rien en dessus ni au dessous de lui”, scrive Conrad, in un mondo sconosciuto e
selvaggio dove alcuna regola è applicata, alcuna legge ha valore. Lo spazio è limitato, la notte
opaca come le mura di una prigione interiore. È un viaggio notturno interiore, popolato da fantasmi,
una mescolanza di assurdità, di sorprese, di confusione.
Di ritorno dal viaggio seriamente ammalato, Conrad comincia a denunciare questo tipo d’impostura
filantropica, tutti i mali del sistema coloniale. E Conrad si stupisce, in una lettera del 1903, che la
coscienza dell’Europa che aveva voluto l’abolizione della schiavitù e della tratta degli schiavi
settant’anni prima, tolleri le
atrocità perpetrate in
Congo
e
largamente
conosciute.
“Au coeur des ténèbres”,
antimperialista
della
Un breve racconto in cui
lunga lista di critiche e di
contro il regime coloniale
osservato durante i suoi 16
vedranno trasformarsi da
marinaio inglese e poi a
resta il più lucido testo
letteratura anglofona.
l’autore racchiude una
prese di posizione
leopoldiano che aveva
anni di viaggi e che lo
marinaio francese a
scrittore.
D’altra parte Gide dedica a
Conrad il suo “Voyage
au Congo” testimoniando
così la sua profonda
ammirazione per lo scrittore
inglese.
È
solida
amicizia tra i due cominciata
nel modo più inatteso.
Gide incontra Paul Claudel e questi dichiara senza esitazioni che lo scrittore che bisognava
assolutamente leggere non era Kipling ma Conrad. Gide fu subito affascinato dall’autore di “Lord
Jim” al punto da diventarne l’amico, l’editore e traduttore. L’amicizia tra i due artisti fu sincera.
Gide fa visita più volte a Conrad in Inghilterra.
Come editore Gide era coscienzioso; rileggeva, discuteva, suggeriva, correggeva, completava le
bozze dei suoi collaboratori. Dedicava a questo lavoro di controllo molte ore, proponendo la
sostituzione di espressioni con altre che convenivano meglio. Ma nonostante ciò nel luglio 1918,
dopo la pubblicazione di Typhon, subì le critiche di Ruyters che con veemenza attaccava la sua
traduzione, a suo dire, mal fatta. Gide, non conoscendo l’inglese, aveva danneggiato il suo autore.
2
Il viaggio nel Congo segna l’influenza di Conrad su Gide. Conrad aveva cercato freneticamente un
imbarco su di un battello che navigava questo fiume. Avendolo ottenuto, Conrad si era spinto
all’interno del continente nero, “Au coeur des ténèbres”
1
,e si era trovato disilluso, sottoposto a prove morali e
fisiche che l’avevano gravemente colpito. Certamente
Conrad e Gide avevano parlato del Congo quando si
erano incontrati nel luglio 1911 e nell’agosto 1924. In
ogni caso Gide conosceva “Au coeur des ténèbres”, ne
aveva affidata la traduzione al suo amico Ruyters, poi
rivista da G. Jean-Aubry prima di essere pubblicata.
È fuor di dubbio che il desiderio provato da Gide di
viaggiare sul Congo(1925-26) fu indotto dalle
conversazioni con Conrad., ma a differenza di Conrad
che lo faceva per danaro (aveva pubblicato ben 11 libri ma le sue casse erano sempre vuote) Gide vi
si reca da osservatore curioso con l’intento di far conoscere al popolo francese una realtà.
contraddittoria e complessa. Tutte e due cercavano la verità in un periodo in cui il successo delle
mitiche imprese di Henri Morton Stanley, giornalista-esploratore ben noto, aveva fatto nascere in
Europa una grande attenzione per l’esplorazione e la colonizzazione del Congo come anche per lo
sfruttamento delle ricchezze del paese, in primis il caucciù e l’avorio. La verità era che Leopoldo II
che dichiarava la volontà di diffondere la civiltà presso i popoli barbari e incolti, stava per imporre
loro un regime coloniale il cui solo obiettivo era lo sfruttamento delle abbondanti risorse naturali e
materie prime.
Se per Conrad viaggiare era
una fonte di guadagno per
sé e la sua famiglia, Gide
pensava al viaggio come
ad un modo possibile per
liberarsi dai limiti e dal
peso di una educazione rigida
e troppo severa ricevuta in
famiglia.
Gide riesce finalmente a
prendere contatti con la
realtà esterna. André Gide
non è più lo scrittore
intimista ma, a partire del
Voyage au Congo, si
preoccuperà attivamente della
dimensione
sociale
e
politica che aveva fino allora
trascurato. Sembra quasi
che condivida il pensiero di
Bernard quando diceva ne
Les Faux-Monnayeurs :”il
me
semble
parfois
qu’écrire empêche de vivre et qu’on peut s’exprimer mieux par des actes que par des paroles » (Les
Faux-Monnayeurs, Ed. la Pléiade, 1951, p.799).
Schematicamente possiamo constatare che le opere di Gide da un mondo chiuso si orienteranno
sempre più verso il mondo esterno. Da “Les caves du Vatican” in poi Gide darà alla realtà un ruolo
via via crescente. Nel corso del suo “Voyage au Congo” Gide prenderà contatto con la dura e
sconvolgente realtà delle colonie. Con il comportamento orientato all’altrove Gide traduce il
desiderio di andare incontro al reale, il desiderio di conoscere quello che chiama “la prismatique
diversité de la vie” (Journal 1939-49, p.535). Il viaggio che Gide fa nel Congo, rappresenta nella
sua vita una svolta decisiva, così com’era stato per Joseph Conrad.. Come il soggiorno di Conrad
nel Congo é stato decisivo nel mutamento dell’autore inglese da marinaio a scrittore, così quello di
Gide ha rappresentato la fase conclusiva di 35 anni di ricerca personale e artistica. Gide sembra aver
1
Nel 1979 appare la versione cinematografica del libro con il titolo “Apocalypse now”, realizzato de F.F.Coppola con
Robert Duval e Marlon Brando nel ruolo del colonnello Kurtz,. ambientato però in Vietnam al tempo della guerra.
3
trovato la risposta alla domanda: “Comment vivre?”. Il lettore penetra con i viaggiatori nella foresta
equatoriale con ardore e immaginazione, con la stessa curiosità con cui i bambini si avvicinano
all’inconoscibile. La bellezza del mondo naturale è attraente ed emozionante, ma il vero interesse è
altrove. La preoccupazione estetica, la ricerca del pittoresco lasciano il posto al sentimento
dell’umanità. Gide stesso si stupisce del cambiamento :”Je ne pouvais prévoir que ces questions
sociales angoissantes de nos rapports avec les indigènes, m’occuperaient bientôt jusqu’à devenir le
principal intérêt de mon voyage, et que je trouverais dans leur étude ma raison d’être dans ce
pays » (Voyage au congo, p.25). In fondo la sofferenza degli uomini non é più soltanto del
materiale per un suo romanzo, gli strazia il cuore. Nathanaël abbandona il mondo di sé per
immergersi nell’azione, nella difesa dei diritti dei negri, schierandosi contro i privilegi delle
principali Compagnie congolesi. Insomma, invece di incoraggiare i giovani francesi alla
colonizzazione, Gide viene a scoprire le orribili atrocità del regime. Le sue osservazioni cessano di
riguardare la botanica, la geografia, l’ornitologia per parlare delle
angosce che la visione degli orrori gli provocano. La protesta di
Conrad è sulla stessa linea.
L’Africa Nera di Gide nel suo “Voyage au Congo”
(1927).
Gide intraprende all’età di
cinquantasei anni il viaggio per
il Congo in compagnia del suo
fido amico Marc Allégret2 malgrado alcune riserve espresse dagli
amici Roger Martin du Gard e Doroty Bussy che temono per lui
l’eccesso, il poco adattamento alle condizioni climatiche di
un’Africa malefica. Cineasta della spedizione, Marc al suo rientro
in Francia si impegna per la pubblicazione del suo “Carnets du
Congo” che avverrà nel 1987 (Presses du C.N.R.S). Una serie di
scene d’ensemble o tableaux, di curiosità che accompagnano le loro
scoperte e documentano le bellezze dei luoghi, le caratteristiche dei
paesaggi e delle popolazioni indigene, il clima, la flora, i diversi
modi di vestirsi e di pettinarsi delle donne.
Partito con l’incarico di fare da segretario a Gide, Marc tiene anche
un suo diario di viaggio che, a volte, fa da contrappunto a quello
del “maître”. Questi “Carnets”, pubblicati con una preziosa introduzione e nota di Daniel Durosay,
contengono anche numerose annotazioni sulle peripezie del viaggio, sulle difficoltà d’ogni genere
nell’attraversamento delle regioni. Le 643 e più foto facenti parte del ricco archivio di Marc
propongono alcune aspetti significativi di quel mondo selvaggio, primitivo.
2
Suo padre, il pastore missionario Elie Allégret, aveva compiuto, a partire del 1889, numerosi e lunghi viaggi nel
Congo-e lunghi viaggi nel Congo-Gabon-Cameroun, rientrando da una missione di due anni nel Cameroun nell’ottobre
1922, tre anni prima della partenza di Marc.
3
Alcune descrivono la vita di un mercato indigeno. Una donna seduta si lascia pettinare da una sua compagna, mentre
altre danzano, vestite di una gonna a strisce portando pettinature fatte di penne. Gruppi di donne che caricano il loro
paniere sulla testa e piani ravvicinati di donne che sbucciano, lavano, immergono i loro vestiti in chiazze di acqua
naturale. Partita di push-ball tra donne. Scene di preparazione di un matrimonio. Combattimenti tra lottatori. Arrivo di
una corsa di piroghe. Gruppo d’indigeni che cercano di tirare fuori dall’acqua un ippopotamo abbattuto. Scene di pesca.
Piani globali su danzatori e danzatrici a riposo. Ragazza vestita con un abito a quadrettini, uno scialle annodato attorno
alla testa, che gioca. Diverse sequenze ripropongono danze che rievocano la cerimonia della circoncisione. I ragazzi
hanno il corpo ricoperto di bianco e la maggior parte tiene una frusta nella mano destra, altri soffiano dentro trombe di
legno altri ancora battono su dei tamburi a forma oblunga. Vedute globali di un villaggio di capanne rotonde ricoperte
di tetti di paglia appuntiti. Ritratto di una famiglia indigena al completo davanti alla capanna rotonda.
4
Sono scene di caccia, di pesca, di danza, di vita familiare quotidiana dalle quali risalta la semplicità
dei gesti e dei comportamenti. Esse sono anche un documento di primo ordine per comprendere una
politica coloniale che si stava svilendo, sempre più contestata.
5
Il problema dei portatori a spalla é la difficoltà maggiore
incontrata durante la spedizione. É
soprattutto un problema di comunicazione
con
gli
indigeni-guida
che
non
conoscevano altra lingua se non quella
locale. Partiti con il convincimento di stabilire facili rapporti con le popolazioni africane, Gide e
Marc si accorgono di avere a che fare con gente impaurita e restia a raccontare i misfatti degli
amministratori bianchi, la loro collusione con le compagnie concessionarie nella raccolta del
caucciù e dell’avorio. Nelle sue annotazioni Gide esprime le emozioni di chi scopre per la prima
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volta, le grandi cacce, le incomparabili notti africane, il fascino dei luoghi, la semplicità dei suoi
abitanti, l’esistenza di codici di comportamento diversi. I Carnets di Marc permettono di rivolgere
un altro sguardo sulla stessa realtà descritta da Gide, gentilmente soprannominato Bypeed.
Il viaggio ha in sé qualcosa di misterioso. Lo stesso Gide non sa il motivo per cui il Ministero delle
Colonie gli abbia dato mandato di riferire tutto ciò che avrebbe visto nei suoi spostamenti.
“J’attends être là-bas pour le savoir” (Voyage au Congo, p.13) scrive e annota. Le sue periodiche
annotazioni vanno di là di una semplice cronaca. I sentimenti d’indignazione e di orrore prendono il
posto dell’entusiasmo che animava Gide prima della partenza.
Nel constatare che “ partout les médiquements manquent…qu’on rencontre dans les villages le long
du fleuve bien peu de gens qui ne soient pas talé, tarés, narqués de plaies hideuses » (Ibidem, p.51),
Gide é sconvolto. Nel visitare tanti luoghi si rende conto dello stato di asservimento e della
profonda miseria nella quale vivono gli indigeni. Man mano che si inoltra negli insediamenti le sue
annotazioni diventano sempre più critiche verso un sistema coloniale che avvantaggia solo le
Grandi Compagnie concessionarie a discapito delle popolazioni locali. Gide rimane scandalizzato
nell’ascoltare da un capo indigeno a Bambio il racconto del “bal”. All’ultimo mercato di Boda, due
indigeni raccoglitori di caucciù erano stati costretti a fare diversi giri attorno alla fattoria con
addosso travi di legno pesanti per non aver portato la quantità di caucciù concordata. Davanti a
questo ennesimo atto di brutale repressione e umiliazione operato dall’amministratore il”sinistre”
M.Pacha, responsabile unico della Compagnie Forestière, Gide non può più tacere.
Tre mesi dopo l’inizio della sua triste avventura africana il ruolo di Gide è precisato. “A présent je
sais, je dois parler” (Ibidem, p.103). E allora l’esteta raffinato, il Narciso Nathanaël si mette a
sfogliare documenti e statistiche, scrive lettere, stende rapporti per denunciare lo scandalo,
interviene in ambito politico-finanziario, suscita un dibattito parlamentare, provoca inchieste
amministrative, si fa promotore di una campagna di propaganda animato dal solo pensiero di
informare l’opinione pubblica sulla questione delle concessioni, degli abusi e dei privilegi di cui
godono le Compagnies Concessionnaires. Gide invita il Parlamento a mettere fine a un regime non
soltanto” stupide et déplorablement onéreux, mais inhumain et déshonorant pour la France”
(Ibidem, p.484).
Il viaggio equatoriale di Gide si
connota assai diversamente da
quello intrapreso qualche tempo
prima, per combattere una certa
apatia, nell’Africa del nord.
Delegato a studiare e a relazionare
sui
comportamenti
assai
discutibili
delle
Grandi
Compagnie,
André
GIDE,
“questo strano Kurtz”, prende
decisamente posizione a favore
delle popolazioni indigene contro
gli amministratori sfruttatori.
Decide,
cioè,
di
scendere
nell’arena della denuncia e della
protesta persuaso che “la valeur
de leur couleur politique”
morale des gens ne dépend pas
frequenti colloqui che intrattiene
(Journal,I, p.1299). Nel corso dei
con i capi dei villaggi Gide
mostra la sua profonda umanità e
la sua generosità nel sentire i
problemi degli altri. Tra i tanti il
tema
dell’istruzione
è
particolarmente sentito giacché,
aggiunge l’autore del Journal, senza l’istruzione, i saperi, il popolo “contreviendra sans cesse à
l’hygiène et ne s’éteindra ni ne perfectionnera ses cultures” (Journal, I, p.1303).
E pensare che la sua prima motivazione era stata quella di poter cacciare gli insetti sconosciuti,
ritrovando le gioie di un tempo quando bambino rincorreva le farfalle. Adesso che è stato testimone
degli abusi i suoi scritti sono una requisitoria contro l’imperialismo e il regime coloniale, una seria
riflessione sulla nozione di moralità.
La verità è che l’Africa nera ha trasformato radicalmente l’uomo-Gide.
Ciò che ha visto con i suoi occhi e ascoltato di persona, Gide l’ha profondamente interiorizzato
tanto da non sentirsi estraneo all’ambiente africano, “cette pauvre race souffrante dont nous avons
7
mal su comprendre, la beauté, la valeur…que je voudrais pouvoir ne plus quitter” ( L’Humanité de
A.Gide, 1950, p.228).
Il parziale rifiuto o indifferenza che Gide aveva manifestato verso le questioni sociali era in parte
dovuto al fatto di credere ancora all’assurdo culto delle “compétences”, al fatto che economisti e
amministratori pubblici fossero le persone meglio adatte ad indignarsi, a denunciare gli abusi, le
ingiustizie e gli errori (Leggere la lettera a Jean Schlumberger del 1° marzo 1935, pubblicata nella
Littérature engagée, p.80).
Une questione di sola “compétence”? Forse, ma alla base c’era anche il convincimento di Gide che
l’opera d’arte dovesse superare i limiti della relatività giacché tutto ciò che riguardava il tempo, il
luogo e le circostanze, gli sembrava indegno dell’attenzione dell’artista.
Ritornato in Francia André Gide dichiara guerra al sistema coloniale. Pubblica un articolo “La
détresse de notre Afrique équatoriale” nella Revue de Paris il 15 ottobre 1927. La politica
s’impadronisce della polemica e la questione è affrontata anche sulle pagine dei giornali. Léon
Blum, direttore de “Le Populaire” fa pubblicare una serie di articoli che denunciano gli abusi delle
Compagnie coloniali in territorio africano. Questa presa di posizione di un parlamentare così
influente spinge i responsabili della Compagnie Forestière a confutare punto per punto le gravi
accuse ritenendole ingiustificate e prive di documentazione adeguata. La risposta di Gide non tarda
e il 15 ottobre 1927 nel su menzionato articolo tira in causa la responsabilità della Francia. Ciò che
viene contestato con forza è il “rôle civilisateur” che les Grandi Compagnie concessionarie del
Congo rivendicano. Gide sostiene che la Compagnie française du Haut-Congo non ha fatto niente
per migliorare il livello di vita degli indigeni che sfrutta; niente strade, né scuole, né ospedali poiché
ha potuto constatare che “toutes les mesures humanitaires prises en faveur des indigènes” erano
rimaste inapplicate. C’é chi in Parlamento legge interi passaggi de “ Le Voyage au Congo”
insistendo sulla necessità di controllare l’applicazione materiale dei contratti. Nella stessa seduta il
Ministro delle colonie M. Léon Perrier dichiara che in futuro nessuna delle Grandi Concessioni
vedrà rinnovato o prolungato il permesso se non alle condizioni in cui esso è stato accordato. Su Le
Journal des débats, organo della destra, appare una serie di articoli in difesa delle Compagnie. Vi
si puntualizza che la situazione sanitaria non è disprezzabile come si legge nella relazione, giacché
si dispone di un ospedale con capienza fino a 170 posti letto.
Thierry Maulnier in un articolo apparso sulla Action française del 13 giugno 1935 dal titolo “Un
civilisé contre la civilisation afferma che A.GIDE nella sua relazione si è comportato da
anticolonialista. Gide risponde con una certa indignazione :”Eh bien, non!Je ne puis croire que la
civilisation soit forcément à base de mensonge….la Culture sous vitrine a fait son temps…Du reste
je n’attaque nullement cette culture: si factice qu’elle puisse être, elle a produit des œuvres
admirables. Il est absurde et vain, conclude, de renier le passé » (Ibidem, p.90). E ancora Gide
sostiene « qu’entre la civilisation et la sincérité il faut choisir, je n’admets point que la civilisation
soit insincère…Je dis que la société est insincère lorsqu’elle maintient le peuple dans un état
d’asservissement, d’abêtissement et d’ignorance » (Ibidem, p.90). Gide crede che sia necessario
dare all’uomo la possibilità di pensare; le condizioni materiali sono determinanti, tutto il resto è
successivo.
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Il suo non è un comportamento da anticolonialista4 ma da uomo che non può non denunciare quello
che ha visto, abusi, torture, genocidi inflitti agli indigeni da un sistema coloniale che tollerava,
proteggeva simili brutalità. Da questo viaggio nasce in Gide e si rafforza via via il desiderio di
comprendere meglio il mondo anche per provare a cambiarlo. Possiamo dire che il suo
avvicinamento alla teoria comunista prende origine da questo viaggio. Pur restando profondamente
francese e individualista scopre la tesi di A. Malraux secondo la quale “le communisme restitue à
l’individu sa fertilité” (Litt. Engagée, p. 85). Nel corso della prima conferenza che Gide tiene al 1°
congresso degli scrittori sovietici Gide così si esprime: “Tout véritable artiste n’a qu’un souci:
devenir le plus humain possible; disons mieux: devenir banal”( Litt. Engagée, pp.55-6), vuole
diventare in letteratura e nell’arte “un individualiste comuniste” mettendo la sua voce al servizio
degli emarginati e prendendo l’impegno di combattere altre simili imposture. Il suo viaggio in
URSS del 1936 lo spingerà a denunciare anche i misfatti di Stalin, nuovo tiranno, e dello stalinismo
per far ritorno a quell’individualismo umanitario alla Camus dal quale si era concretamente ma
ingenuamente distaccato.
Il Celta, l’impegno di un “giusto”.
Nel testo romanzato di Mario Vargas LLOSA, scritto in spagnolo e pubblicato nel 2010 col titolo
“El sueno del Celta”, tradotto poi in francese col titolo “Le rêve du Celte” presso la Gallimard
Éditions, Vargas LLOSA racconta a modo di scene le peripezie dell’avventuriero rivoluzionario
Roger Casement (1864-1916) che scopre durante i suoi viaggi in Africa e in Amazzonia le
ingiustizie sociali e nel contempo i misfatti del colonialismo.
L’intellettuale scrittore Mario Vargas LLOSA utilizza un modo di procedere a lui abituale. Egli
alterna capitoli dedicati agli ultimi tre mesi di vita di Roger nella Pentonville Prison, un luogo
umido e angusto dove concentrarsi alla lettura era quasi impossibile, prima di essere impiccato a
4
La difficoltà di navigazione del fiume Congo nell’attraversamento di una regione montagnosa, cessando di essere
navigabile da Matadi per ridiventarlo al Staley Pool (Brazaville-Kinshassa) spinge Léopoldo II a costruire una ferrovia
su indicazioni e progetto del Colonnello Thys. Di 400Kms di lunghezza, la ferrovia è costata circa 70 milioni ed entra in
funzione dal 1900. Essa attraversa la regione che Joseph Conrad ha percorso a piedi nel 1890 e che resta l’unica via di
accesso al Medio Congo, alla Sangha, all’Oubangui e ai territori del Tchad.
Sulla nozione di progresso Gide e Conrad hanno posizioni differenti. Gide vedrà nella ferrovia un segno di progresso
mentre per Conrad non è che un modo di sfruttamento crudele e assurdo. Gide vede nel progresso un male necessario
per lo sviluppo del paese africano, Conrad non condivide quest’opera che non ritiene necessaria. Conrad va contro gli
abusi del regime coloniale e contro il principio stesso del colonialismo.
9
quelli legati ai duri viaggi in Congo, in Amazzonia e in Irlanda.
Roger CASEMENT, diplomatico al servizio del governo inglese, idealista-umanista, restò celebre
per aver redatto e presentato al governo inglese due feroci Rapporti in cui denunciava, con
ricchezza di particolari, le sadiche atrocità alle quali gli agenti di Leopoldo II di Belgio
sottoponevano gli indigeni per la raccolta del caucciù e dell’avorio. Questi due lavori gli diedero
tanta riconoscenza e stima ma anche suscitarono invidia e accuse gravi e infamanti5 sulla sua vita
privata che lo portarono dritto all’impiccagione il 3 di agosto del 1916.
Fu la lettura della biografia di Joseph Conrad che spinse Mario Vargas LLOSA a conoscere meglio
l’uomo, Roger Casement , figura affascinante e di spicco del movimento indipendentista irlandese.
Rimasto per più di vent’anni sul suolo africano fu uno dei primi europei le culture primitive in
un’epoca in cui era lecito credere che un africano o un indio dell’Amazzonia fosse un barbaro, un
sottosviluppato.
Fin da piccolo non sono fatti di armi che attirano Roger ma i viaggi, il coraggio che l’uomo bianco
metteva nel superare gli ostacoli della natura. Quando muore la “la pallida e delicata madre Anne
Jepherson” (p.12) Roger e i suoi fratelli si trasferiscono a Liverpool, a casa degli zii, Grace e
Edward Bannister. Roger divora libri di viaggio ambientati in Africa e sente parlare lo zio dei suoi
viaggi avventurosi e pericolosi. Sente nominare Livingstone, esploratore e grande conoscitore di
luoghi esotici e selvaggi,
legge di lui e da grande
vuole
diventare
un
esploratore come Stanley e
Livingstone, eroi le cui vite
straordinarie lo attraggono.
Lo zio Edward lo fa lavorare
nella stessa compagnia
navale, dove aveva lavorato
lui.
Comincia
come
apprendista
dopo
aver
compiuto quindici anni nel
settore amministrativo e nella
contabilità.
Lavora
all’Elder Demster Line per
quattro
anni
inorgogliendosi per il suo
lavoro a favore del
progresso di popoli imprigionati. A vent’anni Roger comunica ai fratelli e agli zii la sua decisione
di andare in Africa, convinto che la colonizzazione fosse uno strumento di civiltà. Lo fa in maniera
convinta ed esaltata come i crociati che nel Medio evo partivano per l’Oriente a liberare
Gerusalemme.
La prima persona che Conrad conosce nel Congo è
Roger Casement, in territorio africano da otto
anni in qualità di console britannico. L’incontro
avviene a Matadi, la prima destinazione di Conrad
come capitano, animato da tanti progetti e illusioni.
Il capitano vi giungeva ricolmo di fantasie e di miti
legati alla figura di Leopoldo II di Belgio,
considerato grande umanitario e monarca impegnato
a far uscire l’Africa dalla schiavitù, dal paganesimo
e da altre barbarie.
5
I suoi diari furono utilizzati dagli Inglesi per distruggere l’immagine di Roger, uomo saggio e umano, molto attento
alle popolazioni africane e rivelarono i suoi gusti sessuali assai discutibili per l’epoca.. praticava l’omosessualità
clandestina. Fine nei modi Casement era l’uomo più gentile e generoso del mondo. Al punto che appaiono legittime le
riserve che molti intellettuali espressero (Mario Vargas LLOSA è tra questi) sulle volgarità contenute nei suoi quaderni.
Qualcuno pensò che la Corona britannica avesse potuto manipolare i suoi quaderni per discreditarlo. Certamente c’è una
certa differenza di stile e di linguaggio tra quelle volgarità e il suo modo di essere misurato e scrupoloso.
10
I due amici si rendono conto che la colonizzazione belga é mostruosa e che é un sistema di violenze
e soprusi che nessuno in Europa poteva immaginare. Quasi un ritorno a una vita feudale.
Il sistema cosiddetto” aperto” che Leopoldo aveva creato e fatto approvare nella conferenza di
Berlino
del 1885 spingeva la cupidigia verso un estremo mostruoso. Quest’accordo permetteva a tutti i
grandi stati di Europa di fare ciò che volevano, dando così origine a una delle colonizzazioni più
repressive con orribili crimini e con vere e proprie stragi delle popolazioni locali. Leopoldo II era
affascinato dalle imprese coloniali e poteva contare sulla collaborazione di uno dei maggiori
esploratori dell’ottocento Henry Morton STANLEY al quale fu dato mandato di attraversare la
regione del Congo con la bozza di un trattato economico-commerciale da sottoporre ad alcuni
centinaia di notabili indigeni che per la maggior parte non conoscevano la lingua francese.
Roger si chiedeva nei suoi diari come mai la colonizzazione fosse diventata una sorta di orribile
saccheggio, un’immunità vertiginosa dove persone che si dicevano cristiani torturavano,
mutilavano, uccidevano individui senza difese sottoponendoli ad atroci crudeltà. Non si diceva che
gli europei erano venuti lì a mettere fine alla tratta degli schiavi e ad apportare giustizia e carità?
Durante i pochi incontri Roger confessa al suo amico di aver letto più volte il suo “Au coeur des
ténèbres” e di averlo trovato “admirable”. Nel romanzo si sosteneva che erano stati gli europei a
portare là le peggiori barbarie. Roger, in cuor suo, condivideva questa tesi. Il Congo aveva cambiato
Roger in un altro uomo, più lucido e più realista. Nei suoi continui viaggi tra i villaggi alla ricerca
d’informazioni e di conferme delle violenze subite dagli indigeni, il “Celta” si sorprendeva del fatto
che gli insediamenti precedentemente popolati ora gli apparivano semideserti. Dei tanti ragazzini
che applaudivano al suo passaggio, delle donne e degli uomini che lo circondavano, lo toccavano
non vi era più traccia. Alcuni villaggi e comunità erano estinti a causa di malattie, di febbri
malariche e di mancanze di alimentazione. Il console Casement era convinto che ciò fosse dovuto
alla disumanità di un sistema di sfruttamento implacabile e crudele messo in atto da parte dai coloni
europei. Si compiaceva quando era accolto con cordialità o quando tutti gli davano le informazioni
che chiedeva sebbene fossero evasive, ma restava impietrito quando ascoltava le parole del capitano
Pierre Massard della Force Publique il quale affermava che era giusto tagliare le mani e i peni agli
indigeni vivi perché rozzi, imbroglioni, che mancavano di sentimenti e di principi. Passando di
villaggio in villaggio Roger Casement si rende conto che un po’ dappertutto si respira un’aria di
sofferenza e di malvagità, quella stessa che colpì negativamente il capitano Conrad nei sei mesi che
restò sul territorio africano. Roger ascolta le lamentele di tutti e apprende dai nativi crudeltà e storie,
una peggiore dell’altra. Roger scrupolosamente com’era sua abitudine prende appunti che trascrive
su delle schede e su dei quaderni che portava sempre con sé per paura che gli siano sottratti. Ascolta
pure la preziosa testimonianza del padre Hutot seriamente spaventato per ciò che stava per
accadere nel villaggio dei Walla. Racconta al console britannico che a Walla la popolazione si é
molto ridotta. Non essendo stati in grado di consegnare l’ultima quota di alimenti, di caucciù e di
legna la Force Publique era intervenuta. L’intero villaggio aveva trovato riparo sul monte. Quelli
che erano rimasti nel villaggio erano stati legati e frustati. Uno spettacolo atroce. Per pagare quanto
richiesto, le famiglie avevano dovuto vendere i figli e le figlie, la tratta degli schiavi era dunque
ancora praticata di nascosto delle autorità. Il racconto del padre Hutot convince Roger a credere
che” non c’è belva più sanguinaria dell’essere umano” (p.84).
Durante i pochi momenti di riposo Roger mette ordine agli appunti presi durante le visite ai villaggi
o legge gli articoli del giornalista Edmund Morel al quale si sente vicino e solidale. Gli sarebbe
piaciuto conoscere questo europeo che attribuiva grande responsabilità al vecchio Continente nella
trasformazione del Congo in un Inferno.
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A Londra la questione congolese era di grande attualità. Le denunce di Morel avevano fatto breccia
e le due audizioni di Roger di fronte ai funzionari del Ministero gli fecero capire che l’opinione
pubblica inglese si aspettava dal suo Rapporto notizie sconvolgenti. Intanto Roger come Morel
riteneva che il progetto di Leopoldo II fosse una farsa e smentiva con dati e testimonianze
l’immagine idilliaca del Congo. Cominciò a scrivere articoli, a fare conferenze. L’obiettivo era di
far aprire gli occhi della gente sulla reale condizione del Congo. Nasce l’idea di fondare Congo
Reform Association alla quale aderiranno anche Conrad e la storica e scrittrice irlandese Alice
Stopford Green.
Roger Casement raggiunge grande popolarità e molto di più quando i sostenitori del progetto di
Leopoldo II lo attaccano sulla stampa presentandolo come un calunniatore del Belgio. Ad Alice,
irlandese di famiglia protestante come lui dice che il colonialismo é una grande menzogna e che
aveva cominciato a sentirsi un “irlandese” vero,. grazie al Congo Roger scopre di essere un
irlandese vero e che voleva conoscere a fondo il suo paese, le sue tradizioni, la sua storia e la sua
cultura.
Roger comincia perciò a studiare il gaelico e lotta contro l’anglicizzazione dell’Irlanda
difendendone il diritto ad affrancarsi dal potere inglese.
sarà
inviato
in
Forte di questa prima esperienza, Roger Casement
Amazzonia, dove con la stessa determinazione lotterà
contro la cupidigia
degli uomini. Il suo lavoro consisteva nel registrare il
movimento delle navi
e nel semplificare le pratiche burocratiche degli inglesi
che venivano lì per
comprare e/o vendere. Dai pochi incontri che ebbe con i
notabili di Iquitos capì
che le imprese del signor Julio C. Arana controllavano
non solo il territorio
ma anche le autorità di Iquitos. Era lui che pagava lo
stipendio al Prefetto,
ai giudici, ai militari. Roger era a capo di una Commissione alla quale si raccomandava di usare
molta prudenza soprattutto nella regione del Putumayo, un luogo barbaro, senza leggi né ordine.
Dovevano indagare se le accuse mosse alla Peruvian Amazon Company circa le atrocità perpetrate
sugli indios fossero vere. Erano state le denunce del giornalista Benjamin S. Roca e quelle
dell’ingegner Walter Hardemburg a far scoppiare lo scandalo sugli insediamenti del Putumayo.Per i
dipendenti della Compagnia Arana il Roca era un calunniatore e ricattatore che cercava di affossare
l’impresa che aveva portato in Amazzonia progresso e ricchezza e di spillare denaro. Qualcuno
parlò che la cosa più probabile era che il Roca fosse morto. Un temerario, certamente, che sui suoi
due giornali aveva più volte denunciato e accusato la Casa Arana di torture, delitti e sequestri
perpetrati nel Putumayo. Forse a causa di ciò gli avevano bruciato la tipografia convincendolo ad
abbandonare la sua famiglia e la sua residenza. Il console britannico credeva a quello che Roca
aveva scritto e sostenuto. Il Congo e l’Amazzonia erano uniti da un cordone ombelicale. Orrori nel
Congo, orrori in Amazzonia. Intanto Roger, munito di un apparecchio fotografico e di quaderni
camminava nelle piazze putride di Iquitos per cercare testimonianze utili alla sua causa. Voleva
ascoltare i barbadiani che erano stati ingannati dal Peruvian Amazon Company e che erano stati
costretti ad abbandonare il lavoro Julio C. Arana aveva portato banche, medicine, lo spagnolo ma
anche violenze e ammazzamenti, barbarie. Il dg. Pablo Zumaeta continuava a sostenere che quelle
accuse erano delle infamie e fantasticherie quelle notizie che circolavano nei villaggi circa il modo
di catturare i raccoglitori di caucciù, uomini ma anche bambini e bambine che poi venivano vendute
a Manaus come schiave per pochi soldi. Dopo dieci giorni passati a parlare con gente di ogni
condizione, Roger Casement si rende conto che la maggioranza dei bianchi e meticci considerano
gli indigeni, una forma inferiore di esseri umani e per questo era lecito sfruttarli, frustarli o
ammazzarli.
La Commissione decide, poi, di spostarsi nella regione del Putumayo. dopo otto giorni di viaggio
arriva a La Chorrera, dove la compagnia degli Arana aveva le sue basi operative. Per facilitare gli
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spostamenti e il lavoro di controllo della Commissione, la Compagnia aveva incaricato il signor
Juan Tizòn. Al suo arrivo Roger nota che alcuni indigeni seminudi avevano alle spalle, sulle natiche
e sulle cosce cicatrici da frustate. Insieme a Tizòn c’era il suo accompagnatore, un certo Victor
Macedo, descritto negli articoli di Roca e in quelli di Hardenburg come uno dei più sanguinari
luogotenenti di Arana nel Putumayo. Mentre Tizòn indicava gli uffici, i depositi di caucciù e la casa
dove si sarebbe sistemata la Commissione, Roger osserva gruppi di indios, con gambe magrissime,
pelli pallide, giallastre con incisioni pendenti alle labbra e alle orecchie. Sente, altresì, un odore
rancido e oleaginoso, un odore forte e sgradevole al quale non si abituò
mai.
Volle parlare prima con i barbadiani rimasti nell’insediamento. Parla con
un nero alto e forte che diffidente si limita a rispondere con monosillabi.
Donal Francis é il suo nome e nega tutte le accuse. Stanley Sealy, più
loquace, racconta in modo preciso le atrocità perpetrate in quella regione.
Anche Philip Bertie Lawrence e Seaford Greenwich si dichiarano disposti a
ripetere le loro testimonianze davanti a ciascun membro della
Commissione. Il signor Tizòn interviene ponendo l’accento che anche la
Compagnia si era impegnata a migliorare il livello di vita degli indios di La
Chorrera e che se molti di loro presentavano cicatrici sulle spalle ciò non
era dipeso da colpi di frusta ma che se li procuravano loro stessi. Alcuni riti
d’iniziazione erano abbastanza comuni in quelle selvagge popolazioni. Ciò che particolarmente
colpisce la Commissione é che secondo le informazioni ricevute alcuni indios sono marchiati con le
iniziali della Compagnia, come le vacche, i maiali e i cavalli. Casement aveva assistito nel Congo a
crudeltà indicibili ma quella di marchiare a fuoco esseri umani era per lui un’aberrante novità.
Il signor Tizòn continuò a sostenere che su simili crudeltà la Compagnia degli Arana non aveva
responsabilità e che il signor Arana era del parere che chi commetteva simili soprusi sarebbe stato
licenziato. Gli indios non si ribellavano perché paralizzati e terrorizzati dalle violenze subite li
paralizzavano e li terrorizzavano. Molti credevano al fatalismo e alla maledizione. Per il Tizòn fu
un’assoluta sorpresa apprendere fatti e delitti così mostruosi. La sua disponibilità a collaborare era
sincera, efficace e diligente ma anche lui teneva che si ponesse rimedio a tanti soprusi e atrocità. Un
mattino, Donald Francis, il barbadiano che aveva sostenuto che tutto era nella norma confessò a
Roger di aver mentito perché aveva paura delle minacce di Victor Maceda.
A fine settembre, i membri la Commisssione fanno ritorno a Occidente, un accampamento più
piccolo di La Chorrera. L’insediamento era pressoché deserto. Gli indigeni residenti si trovavano
nei boschi a raccogliere caucciù. Ogni quindici giorni portavano il raccolto e poi ritornavano nella
foresta per due settimane. Le mogli e i figli restavano nel villaggio in ostaggio. Il mattino seguente i
membri della Commissione cominciano a visitare i depositi di caucciù. Scoprono che le bilance su
cui si pesava il caucciù erano truccate. Roger voleva conoscere chi secondo tutte le testimonianze
era il paradigma della crudeltà di quel mondo: il capo di Matanzas, Armando Normand. Su di lui si
sentivano tante esagerazioni ma la sua personcina insignificante emanava una forza maligna, il suo
sguardo penetrante e glaciale sembrava quello di una vipera. Gli indios più che paura provavano
terrore a causa di un cane mastino che portava con sé durante le uscite.
Roger Casement visita poi Ultimo Retiro e Entre Rios . Il contatto con la natura selvaggia gli fa
rivivere gli anni giovanili quando attraversando il continente africano restava affascinato da quella
civiltà primitiva ma autenticamente umana. Passando in più insediamenti Roger si convince che
l’unico modo per risollevarsi dalle misere condizioni nelle quali si trovavano quelle popolazioni era
di armarsi e di combattere contro i loro padroni. Per Juan Tizòn questa idea era una pura illusione,
essendo lo Stato parte integrante della macchina di sfruttamento. L’idea che gli indios avrebbero
dovuto conquistare la loro libertà con il proprio coraggio si rafforzò nella mente del console e si
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allargò alla sua Irlanda che come gli indios del Putumayo aspirava ad essere libera dal governo della
corona. Roger pensò molte volte all’Irlanda provando nostalgia per la sua terra. Avrebbe voluto
terminare il suo Rapporto sulla regione del Putumayo e tornarsene in Irlanda per lavorare e
convincere gli irlandesi che la libertà si conquista con il coraggio e la lotta armata. Le sue giornate
sono le stesse. Di mattino ascolta i barbadiani che accettavano di testimoniare sugli orrori di cui
erano stati vittime e la sera lavora per mettere ordine agli appunti. Di tanto in tanto scende a tuffarsi
nel fiume. É stanco. Come in Congo comincia a temere per il suo controllo mentale. La sua visione
della vita cambia. Non poteva accettare che nella civile Inghilterra ci fosse qualcuno che avrebbe
potuto credere che Bianchi del Putumayo potesse giungere a barbarie estreme.
Quella realtà amazzonica, fatta di prevaricazioni e di soprusi, attraeva il console Roger che lascia la
Commissione a continuare a indagare e preferisce essere imbarcato e accompagnare una spedizione
di caucciù in procinto di partire.
Intanto, a Iquitos, corre la notizia che presto sarebbe arrivato il giudice Carlos A. Valcarcel,
incaricato di verificare la veridicità delle accuse dell’Inghilterra e degli Stati Uniti contro l’azienda
degli Arana. Al nuovo prefetto di nome Esteban Zapata Roger durante un colloquio di circa due ore
confermò che le accuse rivolte dal giornalista Saldana Roca e da Hardenburg non erano esagerate. Il
prefetto Zapata provò vergogna per il Perù e s’impegnò a intervenire immediatamente per porre fine
alla dilagante illegalità. Si preoccupò di sapere, tra l’altro, se sarebbe stata inviata al governo
peruviano, copia del Rapporto della Commisssione. Certamente lo sfruttamento e le sofferenze
degli indios avrebbero procurato un danno enorme all’immagine del Perù nel mondo. Ci si
chiedeva, inoltre, perché il Foreing Office non era stato informato. Roger non sapeva che Mr. Stirs
aveva affari a Iquitos e dipendeva dalla Compagnia degli Arana. Roger era depresso e sentiva il
bisogno di allontanarsi da quelle realtà. Passava il tempo a rileggere i suoi appunti e a fare lunghe
passeggiate in altri insediamenti periferici.
Dopo un po’ di tempo trovò una nave, la SS Ambrose della Booth Line in direzione dell’Europa.
Decide di partire e di scendere al porto francese di Cherburg e da lì avrebbe, in treno, raggiunta
Parigi per passare il capodanno con Herbert Ward e Sarita, sua moglie, una coppia di amici con i
quali era lecito e piacevole parlare di cose belle, di arte, di libri, di teatro e di musica. L’essere
umano era capace di tanta malvagità ma anche di piacevolezze e di argomenti interessanti come
quelli che affrontava nello studio dei due amici.
Il Blue Book e il senso di responsabilità di Roger Casement di fronte alla
sollevazione non riuscita di Pasqua.
Dopo il carcere di Brixton e la Torre di Londra, Roger conosce
l’angusta e umida cella del carcere di Pentonville Prison. Lì
Roger passa gli ultimi tre mesi di vita in attesa di sapere l’esito
della sua richiesta di grazia. Resta giornate intere chiuso in
cella a pensare e quando ne ha voglia a leggere L’imitazione di
Cristo di Tommaso da Kempis. Gli unici con i quali può
parlare sono il carceriere che racconta dell’unico suo figlio
Alex Stacey, un ragazzo docile e affabile, morto eroicamente
nella battaglia di Loos e per il quale Roger prova sofferenza, la
scrittrice e storica Alice Stopford Green, che lo fornisce di libri
sulla storia dell’Irlanda, la cugina Gertrude (Gee). Di tanto in
tanto gli fanno visita l’avvocato Gavani Duffy che lo tiene informato sulla domanda di grazia
inoltrata al Consiglio dei Ministri britannico ma ancora non firmata da tutti i suoi componenti
(Roger non riesce a spiegarsi perché il suo amico Conrad non abbia ancora firmato la petizione per
la sua libertà), il padre Carey, cappellano cattolico, con cui parla di religione.
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Roger, nei momenti di solitudine, pensa ai cinquantatré volontari della Brigata Irlandese rimasti nel
piccolo campo militare di Zossen per addestrarsi. Le domande che si era fatto mille volte ritornano
a tormentarlo. Si riteneva responsabile per averli coinvolti in quell’avventura temeraria, circondati
da reticolati in mano ai tedeschi e odiati dai prigionieri irlandesi di Limburg per il loro
comportamento sleale. Roger era consapevole che li aveva esortati alla diserzione dall’Esercito
britannico e ciò gli pesava molto. Era altresì persuaso che senza l’appoggio esterno dei tedeschi la
Sollevazione non sarebbe riuscita e i ribelli sarebbero stati schiacciati ritardando così
l’Indipendenza dell’Irlanda, suo unico pensiero. Si chiedeva perché sulla spiaggia di Banna Strand,
nella Tralee Bay, non c’era nessun battello che aspettasse il cargo Aud che trasportava fucili e
munizioni per i volontari.
La Ribellione prevista per la settimana santa scoppiò lo stesso nelle strade di Dublino. Roger
rimpiangeva di non essere stato accanto ai rivoltosi a combattere. Gli sarebbe piaciuto ascoltare
Patrick Pearse mentre leggeva il manifesto della Repubblica, contento perché per sette giorni il suo
sogno si era avverato ma commosso nell’apprendere delle fucilazioni sommarie di amici e dirigenti,
di Sean McDermot, di James Connoly e di tanti altri eroi della cui morte si sentiva responsabile.
Va ancora indietro nel tempo e ricorda lo strano silenzio attorno alle indagini sui crimini commessi
ai danni degli indios condotte dal giudice Valcarcel. Il Rapporto che il giudice aveva presentato era
devastante, nel senso che confermava tutte le accuse che l’Inghilterra aveva trasmesso al Presidente
Leguìa. Roger non era riuscito a incontrarlo, ma seppe che il giudice Valcarcel era stato accusato di
prevaricazioni e di altre falsità. Il dott. Valcarcel aveva avuto l’audacia di firmare ordini di arresto
verso duecentotrentasette persone, quasi tutte vincolate alla Peruvian Amazon Company,
responsabile di rapimenti, violenze, uccisioni. Ottenuta la libertà provvisoria, questi cattivi cittadini
erano fuggiti. Forse si ripeteva la storia del giornalista Benjamin Saldana Roca. Per evitare di essere
ucciso fu consigliato a Roger di partire anche perché il Prefetto non era in grado di garantire una
protezione per lui.
La verità è che gli Arana non avevano apportato alcun miglioramento negli insediamenti. Anzi la
Compagnia aveva facilitato la fuga dei principali incriminati nel Rapporto. Niente era cambiato. La
raccolta di caucciù continuava come sempre. Roger si era impegnato a preparare un nuovo
Rapporto per il Foreing Office nel quale avrebbe spiegato che i criminali della Peruvian Amazon
Company si comportavano come prima e che le elezioni comunali imminenti in realtà erano già
state decise negli uffici della Casa Arana con i nomi dei vincitori e le percentuali di voto. Doveva
essere così perché nella Plaza de Armas, il cognato di Julio Arana, don Pablo Zumaeta veniva
festeggiato con largo anticipo a nuovo sindaco di Iquitos con balli e fuochi di artificio, musica e
suoni di chitarre e grancasse fino all’alba. In quel periodo accadde che il Direttore de “El Oriente”
fu oggetto del tentativo di pestaggio. Romulo Paredes non capiva il perché volessero ucciderlo.
Roger sentì per la prima volta di essere in pericolo e accettò di partire dopo
aver ricevuto dal Direttore Paredes la valigia contenente la preziosa
documentazione raccolta nel Putumayo, anche perché il Prefetto non era in
grado di garantirgli una protezione.
Roger parte alcuni giorni dopo alquanto deluso. Gli indios del Putumayo
continuavano a essere sfruttati senza alcuna pietà. Non riesce a immaginare
che esistano esseri avidi e sanguinari come quelli conosciuti nella regione del
Putumayo. Roger resta a Manaus una settimana e dedica il suo tempo alla
lettura sulla storia antica dell’Irlanda, consigliati dall’amica e storica Alice
Stopford Green. Parte sull’SS Terence in direzione di New York e subito dopo
prende il treno per Washinton. Pensava a quanto fosse assurda la vita. Adesso,
lui, un irlandese che sognava l’indipendenza della sua terra, era lì ospite dell’ambasciatore Bryce
per chiedere che si ponesse fine alle atrocità in Amazzonia. Roger insisteva che fosse pubblicato
subito il suo Rapporto sul Putumayo. Il libro che si sarebbe chiamato Blue Book (Il libro azzurro) è
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pubblicato nel luglio del 1912 suscitando aspre polemiche. Roger è su tutte le riviste inglesi,
europee e nordamericane. Tiene conferenze presso centri religiosi e di beneficienza. In Perù il
Libro azzurro suscita paure. Si teme che favorisca le pretese colombiane sul Putumayo.
Per sfuggire alle numerose e stancanti interviste di cui era oggetto come autore del Blue Book,
Roger preferì trascorrere alcuni giorni di riposo in Germania. Per ottenere l’autonomia (Home Rule)
dell’Irlanda e un proprio parlamento Roger mobilitò più associazioni per l’acquisto di armi. In caso
di guerra, una sconfitta dell’Inghilterra avrebbe aperto una possibilità di emancipazione. In casa di
Alice, l’Inghilterra dimostrava a Roger Casement ammirazione e riconoscenza per quanto aveva
fatto. Fuori il “Celta” stava accordandosi con la Germania perché intervenisse militarmente nella
questione irlandese.
Intanto, a causa del boicottaggio della gomma, le azioni della Peruvian Amazon Company calavano
di prezzo. Furono ascoltati ventisette testimoni e sui giornali pubblicati numerosi articoli. Anche il
console Roger fu ascoltato, il 13 novembre e l’11 dicembre del 1912. Durante le audizioni Roger
descrive con precisione ciò che aveva visto negli insediamenti degli Arana, denunciando ancora una
volta il regime di schiavitù cui erano sottoposti gli indios. Roger mostra altresì ai membri della
Commissione decine di fotografie scattate a La Chorrera e negli altri insediamenti del Putumayo
dove appaiono evidenti le cicatrici e le piaghe, la magrezza degli uomini, donne e bambini che
erano costretti a portare sulla testa grandi e pesanti salsicciotti di caucciù. Queste foto sono
un’inappellabile testimonianza della condizione di miseria, di sfruttamento e di maltrattamento da
parte di Bianchi avidi e senza pietà.
In un’altra seduta fu provato che distinti uomini di affari della società aristocratica londinese e
possidenti non erano a conoscenza di quanto succedeva nelle Compagnie degli Arana, anche se
partecipavano alle riunioni e firmavano gli atti deliberativi.
Anche Julio Arana si era presentato a deporre. Cercò di negare tutto, anche se ammise che negli
insediamenti più lontani e isolati poteva succedere di tutto. Le risposte false, la sua testimonianza di
fatto decretarono la cessazione degli affari della Peruvian Amazon Company. La pubblicazione del
rapporto di Roger Casement segnò la rovina dell’impero degli Arana mentre l’indipendenza
dell’Irlanda torna a essere la principale preoccupazione di Roger. La crisi che investì la compagnia
Arana produsse a Iquitos una crisi ancor più generale e veloce. Il fenomeno dell’emigrazione
riprese. Commercianti, professionisti e tecnici decisero di rientrare nei loro paesi di origine o
scelsero altre terre più propizie. Iquitos, un tempo luogo di commercio splendido e ricco, stava per
conoscere un momento d’isolamento e di povertà. Il trasporto fluviale, l’unico mezzo di trasporto
per uscire dal Putumayo, fu sospeso di modo che quel territorio rimase separato dal mondo.
Rinchiuso dunque nella piccola e umida cella di Pintonville Prison, Roger alterna ricordi e
riflessioni sul presente sempre di più e avverte la sua lontananza dal mondo reale. Non riesce a
percepire alcun rumore della strada (campane, voci, motori, fischi), tranne le voci del carceriere
quando si rivolgeva ai suoi assistenti per dare loro le consegne del giorno, lo stridio delle porte
metalliche che si aprono raramente e si richiudono dopo che i prigionieri si sono recati alle docce
per lavarsi. Uno strano silenzio quasi sepolcrale che infastidisce Roger impedendogli di
concentrarsi sulla lettura. Più volte sogna di vedere la mamma Anna. Subito dopo si sente
tranquillo, si sente più in forze e pensa già di ripetere una di quelle pazzie che aveva fatto in Africa:
gettarsi dall’imbarcazione nel fiume Congo, nuotare a larghe bracciate in quelle acque verdastre e
immobili, sentire su tutto il corpo, una sensazione di fresco benessere.
Una notte il Celta fa uno strano sogno: Herbert Ward, un tempo suo amico, spirito colto, amante
dell’arte, raffinato, sta partecipando alla Sollevazione della settimana santa. Mischiato agli insorti
irlandesi, lotta e anche se non era d’accordo sulla decisione della rivolta si trova in prima linea a
combattere sulle barricate per l’indipendenza dell’Eire. Lui, che non aveva preso sul serio la
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conversione di Roger alla causa indipendentista, si trova in prima linea a combattere per la sua
stessa causa.
Dal racconto di Alice Green, Roger Casement apprende più cose degli avvenimenti di Dublino e di
altre città dell’Irlanda insorte durante la repressione della settimana santa di Pâques sanglantes. Le
informazioni che Roger riceve dalla sua amica sono più attendibili perché si basano su ciò che il
nipote Austin, padre cappuccino, aveva visto personalmente e partecipato in veste d’infermiere e di
assistente spirituale. Ciò che colpisce Roger è la commozione di Alice. Disposti a farsi uccidere i
rivoltosi avevano vissuto momenti di autentica euforia. Non si sapeva niente di niente ma correva
voce che gli aiuti tedeschi si stessero dirigendo verso Dublino a sostegno degli assediati e che in più
parti dell’isola si fossero sollevati in migliaia. Anche Roger si commuove. Come Alice anche lui
prova un sentimento di gioia perché per qualche settimana l’Irlanda è stata un paese libero. Poco
mancò che i due fraterni amici non si mettessero a piangere tanto erano emozionati. Alice lo era
ancor di più quando parlò delle donne che numerose presero parte alla rivoluzione. Alice é convinta
che qualcosa di buono scaturisse da quella sollevazione. Roger pensò la stessa cosa, anche se non
può evitare di pensare che gli irlandesi che hanno creduto alle sue idee abbiano perso la vita. Aveva
commesso diversi errori ma non aveva nulla di cui vergognarsi, compresa la sua omosessualità
clandestina.
Di diverso argomento e tono è la conversazione che Roger tenne con il cappellano della prigione,
Padre Carey. Parlano in modo discreto di religione e del disorientamento spirituale di Roger. Di
famiglia protestante Roger riceve il battesimo di nascosto da suo padre e, cattolico, segue la
religione di sua madre.
La discussione scivola su di un equivoco. Padre Carey capisce che Roger vorrebbe convertirsi ma a
suo parere non c’è motivo di conversione perché col battesimo Roger è sempre stato un cattolico e
che bene aveva fatto ad avvicinarsi alla casa di sua madre. Roger appare sereno. Non vuole che
padre Carey passi la notte con lui. Guarda gli abiti di quando era stato catturato nel forte circolare
dei celti chiamato McKennais Fort e li trova ben puliti e stirati. Poi si addormenta per svegliarsi
all’alba col pensiero che presto avrebbe rivisto sua madre, “l’eterea Anne Jephson, quella figura
snella, vestita di bianco con un cappello di paglia dalle grandi falde e una cintura azzurra…”
( pp.118/9). Roger non ha paura Poco dopo il carceriere lo invita a lavarsi per l’ultima volta. Roger
sente sul suo corpo il getto di acqua fresca che lo scuote. M. Stacey gli riferisce che molte persone,
sacerdoti e pastori avevano passato la notte pregando e manifestando con crocefissi e cartelli contro
la pena di morte.
Prima di dirigersi al patibolo Roger ascolta la santa messa e prende la comunione. Voleva dire
qualche parola ma resta in silenzio. Riprende a pregare insieme a padre Carey e a padre McCarroll
mentre è accompagnato lungo il corridoio di mattoni rossi e neri.
Non un singhiozzo, né una lacrima.
Un solo pensiero, chiedere clemenza a Dio e rivedere sua madre Anne.
Mormora solo una parola “Irlanda” prima dell’esecuzione e trattiene il respiro come gli aveva
suggerito Mr Ellis.
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« La Littérature est le feu…elle signifie dissidence et rébellion…La raison d’être de l’écrivain est
la protestation, la contradiction, la critique..La vocation littéraire naîtdu désaccord d’un homme
avec le monde, de l’intuition de déficiences, de vides et des escories autour de lui.. ».
Mario VARGAS LLOSA, « La Littérature est le feu », discours de reception du prix littéraire
Ròmulo Gallegos, le 4 août 1967, à Caracas.
Conclusione.
Joseph CONRAD, André GIDE e Mario VARGAS LLOSA portano la loro
attenzione su due aspetti sostanziali del discusso sistema coloniale di fine ottocento:
da una parte, la sorte riservata agli indigeni; dall’altra, ciò che il sistema produce di
negativo sulle stesse popolazioni dei Bianchi.
Le loro simpatie sono chiaramente orientate verso le popolazioni autoctone che
subiscono ogni forma di prevaricazione e di sopruso senza avere alcun vantaggio.
I tre scrittori non nascondono neanche il loro disgusto nei confronti di chi, al fine di giustificare le
brutalità e i casi di genocidio, ricorre a spiegazioni ipocrite e false.
Il popolo nero descritto come” indolent, paresseux, sans besoins, sans désirs” (Voyage au Congo,
p.726) è in Gide, Conrad e Vargas Llosa vittima di un sistema che non lo capisce e che lo
abbandona in uno stato di apatia e d’isolamento.
Mario Vargas Llosa
Svelando la triste realtà coloniale, i tre scrittori-viaggiatori lottano contro l’ignoranza del mondo
occidentale ma anche contro l’ignoranza delle persone direttamente impegnate nel processo di
emancipazione di quelle terre selvagge ma ricche di risorse.
Da umanisti quali sono, i tre artisti lasciano intravedere una certa fiducia nell’intelligenza umana e
nella capacità della Letteratura a far prendere coscienza dei mali della società e a proporre nuove e
più performanti idee che aiutino il cambiamento e la ricerca della verità.
L’esempio più efficace è quello fornitoci dal Perù e da altri paesi dell’America latina dove, negli
anni 60/70, la Letteratura si è finalmente e con coraggio svincolata da ogni tipo di dipendenza o
censura per diventare uno strumento di studio e di ricerca. Autori come Mario Vargas Llosa,
Gabriel Garcìa Marquez, Juan Carlos Onetti, Manuel Puig, Ernesto Sabato, Pablo Neruda, Carlos
Fuentes hanno avuto un ruolo importante nella fase di emancipazione dell’America latina, una
missione dì informazione e di sensibilità assai rilevante in direzione di un’evoluzione democratica
positiva. I loro testi sono una sorta di specchio gigante nel quale i latino-americani potevano vedere
riflesse le loro condizioni, le loro sofferenze ma anche le loro qualità e capacità di riscatto. Ciò che
non era conosciuto o sfigurato dalla stampa e da luoghi comuni offensivi quanto artefatti, i mali che
la classe dirigente si sforzava di nascondere, tutto ciò viene svelato dalla Letteratura che con voce
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autorevole cerca la verità e protesta contro ogni forma di manipolazione per dire e per protestare,
per rompere il velo del silenzio e della manipolazione.
Sicché non possiamo che condividere il pensiero di Mario Vargas Llosa quando, affrancato da ogni
forma di potere, compreso quello della scienza, ci invita a difendere la Letteratura, una delle
migliori garanzie per costruire un progresso vero e umano nelle nostre società sempre più
tecnologiche. Il mondo audiovisivo è portatore di conoscenze, d’informazioni e favorisce la
distrazione. La Letteratura, invece, guida la nostra sensibilità, le nostre emozioni, le nostre passioni.
Essa rafforza il senso critico e stimola l’immaginazione. E questa ricchezza non è possibile
acquisirla guardando la televisione o dei film. È la “buona” Letteratura che ce la dà. È la lettura di
un romanzo, di una poesia, di saggi che ci aiuta a capire la complessità del mondo e a riflettere sulle
nostre inquietudini.
Il linguaggio dell’immagine attira la nostra curiosità e suscita in noi molte emozioni immediate ma
passeggere. Soltanto la Letteratura e in modo particolare la fiction possono far prendere coscienza
che il mondo così com’è è mal fatto, nel senso che non risponde alle nostre aspettative, ai nostri
desideri, ai nostri sogni.
Solo la Letteratura ci permette di avere un rapporto aperto e costante con il mondo. Anche noi
pensiamo con LLOSA che la Letteratura sia una forma di contestazione e di critica dell’esistenza.
Mario VARGAS LLOSA come Roger Casement crede da giovane finanche nella lotta armata per
affermare con coraggio gli ideali di tolleranza e di rispetto delle diversità. LLosa considerava questa
scelta il solo mezzo possibile per uscire dal sinistro ciclo delle dittature militari e dallo sfruttamento
mostruoso in America latina, ma gli avvenimenti successivi portano l’autore de “Le rêve du Celte”
a fare autocritica e a considerare la sua precedente adesione alla lotta armata un marchiano errore,
“maintenant qu’il est convaincu du caractère effroyable de la violence” (Le monde de l’éducation,
N°280, p.16) poiché da essa spesso nascono nuove forme di dittatura molto più ipocrite, enfatiche.
La Letteratura deve aiutare a formare i giovani” vaillants et resolus…à retrouver la joie, la vraie,
par à travers la connaissance; c’est-à-dire: à la conquérir” (Littérature engagée, p.123).
È con le parole, con il linguaggio che il sogno può diventare realtà e lo scrittore può esprimere il
suo “ esprit de révolte et de rébellion”.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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“ Écrire est aussi une façon de rythmer le temps et de le