PRESENTAZIONE A CURA DI:
"Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido
torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il
cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si
movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se
qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare
il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi,
uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore,
e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso
canto ...“ (Seneca)
"Tra l'alta erba non
vide orrido serpe che
del candido piè morte
le impresse."
Pindemonte (Epistole a
Giovanni Pozzo)
Poliziano,
Fabula di
Orfeo, 237.:
"Io te la
rendo, ma
con queste
leggi: che
lei ti segua
per la ceca
via ma
che tu mai
la sua
faccia non
veggi
finché tra i
vivi
pervenuta
sia!"
"Si prendeva un sentiero in salita
attraverso il silenzio, arduo e scuro
con una fitta nebbia. I due erano
ormai vicini alla superficie terrestre:
Orfeo temendo di perderla e preso dal
forte desiderio di vederla si voltò ma
subito la donna fu risucchiata,
malgrado tentasse di afferrargli le
mani non afferrò altro che aria
sfuggente.
Ed Ella, morendo per la seconda
volta, non si lamentò; e di che cosa
avrebbe infatti dovuto lagnarsi se
non d'essere troppo amata? Porse la
marito l'estremo addio, che Orfeo a
stento riuscì ad afferrare, e ripiombò
di nuovo nel luogo donde s'era mossa"
(Ovidio, Le Metamorfosi)
"... anche allora, mentre il
capo di Orfeo, spiccato dal
collo bianco come marmo,
veniva travolto dai flutti,
"Euridice!" ripeteva la voce
da sola; e la sua lingua già
fredda:
Ah, misera
Euridice!"
chiamava con
la voce
spirante; e
lungo le sponde
del fiume l'eco
ripeteva
"Euridice"."
Orpheus poeta lyrae suae sono beluas feras in silvis
alliciebat, saxa quoque ex iugis montanis commovebat.
Pulchram Eurydicem iucunde amabat, cum Eurydice
vitam agebat fere beatam. Adversa autem fortuna et fata
deum necessaria puerum puellamque perdunt. Currit
quondam pulchra Eurydices nec videt hydrum in alta
herba descendit misera, sine viro perdita in atra
aeternaque umbra. Orpheus ad altam Orci ianuam
pervenit acceditque ad dominum Erebi tremendum,qui
numquam humanis votis commovetur. Commoventur
autem Erebi umbrae animaeque, quia Orphei cantus etiam
extremam exitii poenam vincit. Proserpina Inferorum
regina viro puellam tradit, at monet: "Ante sponsam recte
procede neque umquam gradum vertito. Sic Eurydecem ad
superas auras duces,sic puella denuo vitam accipiet. At si
oculis tuis sub tenera humo vultum venustum respicies,
statim in aeterno amatam ammittes et perdes"
Didone, o Elissa, è una figura della mitologia romana, che la identifica
con una regina fenicia, fondatrice di Cartagine e regina di Tiro. Si
innamorò di Enea e disperata di vederlo partire si uccise .
« Esce a la fine accompagnata intorno
da regio stuolo, e non con regio arnese,
ma leggiadro e ristretto. È la sua veste
di tirio drappo, e d'arabo lavoro
riccamente fregiata: è la sua chioma
con nastri d'oro in treccia al capo avvolta,
tutta di gemme come stelle aspersa;
e d'oro son le fibbie, onde sospeso
le sta d'intorno de la gonna il lembo. »
« Le ancelle la accolgono, e riportano sul talamo marmoreo il corpo svenuto e lo adagiano sui
cuscini. Ma il pio Enea, sebbene desideri calmare la dolente, e confortarla, e allontanare
con parole le pene, molto gemendo e con l’animo vacillante per il grande amore, tuttavia
esegue i comandi degli dei, e ritorna alla flotta. »
Enea ( latino: Aenēās, -ae) è una figura della mitologia
greca e di quella romana, era figlio del mortale Anchise e
di Afrodite o Venere, Dea della bellezza.
« A capo dei Dardani è il nobile figlio di Anchise, Enea,
che ad Anchise generò la dea Afrodite, dea che si unì
ad un mortali nelle valli dell’Ida. »
A Cartagine Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina
Didone,a cui l’eroe narrò le sue terribili vicende.I due si
innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus,Enea dovette
ripartire.Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone.Fu un
terribile colpo per la povera regina.
Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si
allontanava, si uccise. Nell’isola di Drepano, alcune donne, fra le
esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi.
“ho cambiato parere: viene il tempo della
partenza, lasciamo l'Africa e dirigiamoci in
Italia. Non ci fu indugio. Enea preparò una
flotta, e si imbarcò con i suoi compagni e
tolse l'ancora”
Aenea in Africam post saevum naufragium cum comitibus suis venit;
ibi reginam Didonem cognovit et eam uxorem duxit. Una urbem
aedificaverunt, sed Iuppiter nuntium misit et severit verbis Aeneam
monuit: "Patria tua non est in Africa; tui comites in magno dolore
vivunt,patriam appetunt et semper lugent quod tu ob reginae
amorem, eos in patriam non ducis. Ideo, si deos times, Africam
relinque et Italiam pete".
Haec verba Aeneam terruerunt: comites suos in unum locum coegit et
ita dixit :"Sententiam mutavi: profectionis tempus venit; Africam
relinquemus et Italiam petemus".nulla fuit mora: Aeneas classem
instruxit, cum comitibus in navem comscendit et ancora solvit.
Aeneae fuga iram Didonis concitavit; regina sororem suam Annam
vocavit et ei dolorem suum et ultimas voluntates aperuit , postea se
necavit.Cum Carthaginienses reginae mortem cognoverunt, ad aras
venerunt et iras deorum contra Romanos invocaverunt.
Enea giunse dopo il naufragio in Africa con i suoi compagni; qui
conobbe la regina Didone e la sposò. Edificarono una città ma Giove
mandò un nunzio e con parole severe ammonì Enea: la tua patria non è
l'Africa, i tuoi compagni vivono in grande dolore, chiedono una patria
e sempre piangono per il fatto che tu per l'amore della regina, non li
conduci in patria. Così, se temi gli dei, lascia l'Africa e ottieni
l'Italia. Queste parole terrorizzarono Enea: spinse in un solo luogo i
suoi compagni e così disse: ho cambiato parere: viene il tempo della
partenza, lasciamo l'Africa e dirigiamoci in Italia. Non ci fu indugio.
Enea preparò una flotta, e si imbarcò con i suoi compagni e tolse
l'ancora (salpò).
La fuga di Enea scatenò l'ira di Didone, la regina
chiamò sua sorella Anna e le svelò il suo dolore
e le sue ultime volontà, dopo si uccise. Quando
i cartaginesi seppero della morte della regina,
andarono agli altari e invocarono l'ira degli
dei contro i romani.
La favola
• La favola inizia nel più classico dei
modi: c'erano una volta, in una città,
un re e una regina, che avevano tre
figlie. L'ultima, Psiche, è bellissima,
tanto da suscitare la gelosia di Venere,
la quale prega il dio Amore di ispirare
alla fanciulla una passione
disonorevole per l'uomo più vile della
terra. Tuttavia, lo stesso Amore si
invaghisce della ragazza, e la trasporta
nel suo palazzo, dov'ella è servita ed
onorata come una regina da ancelle
invisibili e dove, ogni notte, il dio le
procura indimenticabili visite …
• Ma Psiche deve stare attenta a
non vedere il viso del
misterioso amante, a rischio di
rompere l'incantesimo. Per
consolare la sua solitudine, la
fanciulla ottiene di far venire
nel castello le sue due sorelle;
ma queste, invidiose, le
suggeriscono che il suo amante
è in realtà un serpente
mostruoso: allora, Psiche,
proprio come Lucio, non
resiste alla curiositas, e,
armata di pugnale, si avvicina
al suo amante per ucciderlo.
Ma a lei il dio Amore, che
dorme, si rivela nel suo
fulgore, coi capelli profumati
di ambrosia e le ali rugiadose
di luce e il candido collo e le
guance di porpora.
• . Dalla faretra del dio, Psiche trae una saetta,
dalla quale resta punta, innamorandosi, così,
perdutamente, dell'Amore stesso. Dalla lucerna
di Psiche una stilla d'olio cade sul corpo di
Amore, e lo sveglia. L'amante, allora, fugge da
Psiche, che ha violato il patto. L'incantesimo,
dunque, è rotto, e Psiche, disperata, si mette
alla ricerca dell'amato. Deve affrontare l'ira di
Venere, che sfoga la sua gelosia imponendole di
superare quattro difficilissime prove, l'ultima
delle quali comporta la discesa nel regno dei
morti e il farsi dare da Persefone un vasetto.
• Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere
senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora
una volta. La fanciulla viene allora avvolta in
un sonno mortale, ma interviene Amore a
salvarla; non solo: il dio otterrà per lei da Giove
l'immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro
unione nascerà una figlia, chiamata Voluttà.
Dalla faretra del dio, Psiche trae una saetta, dalla
quale resta punta, innamorandosi, così,
perdutamente, dell'Amore stesso. Dalla lucerna di
Psiche una stilla d'olio cade sul corpo di Amore,
e lo sveglia. L'amante, allora, fugge da Psiche,
che ha violato il patto.
• L'incantesimo, dunque, è
rotto, e Psiche, disperata, si
mette alla ricerca
dell'amato. Deve affrontare
l'ira di Venere, che sfoga la
sua gelosia imponendole di
superare quattro
difficilissime prove, l'ultima
delle quali comporta la
discesa nel regno dei morti e
il farsi dare da Persefone un
vasetto.
• Dalla faretra del dio, Psiche
trae una saetta, dalla quale
resta punta, innamorandosi,
così, perdutamente,
dell'Amore stesso.
Versione latina
• Haec honorum caelestium ad puellae mortalis
cultum inmodica translatio uerae Veneris
uehementer incendit animos, et inpatiens
indignationis capite quassanti fremens altius
sic secum disserti: iam faxo huius etiam ipsius
inlicitae formonsitatis paeniteat." Et uocat
confestim puerum suum pinnatum illum et
satis temerarium, qui malis suis moribus
contempta disciplina publica flammis et
sagittis armatus per alienas domos nocte
discurrens et omnium matrimonia corrumpens
impune committit tanta flagitia et nihil
prorsus boni facit.
traduzione
• - Questo eccessivo tributo di onori divini a una
fanciulla mortale suscitò lo sdegno violento
della Venere vera che, scuotendo fieramente il
capo e malcelando la collera, così cominciò a
ragionare:la farò pentire io della sua bellezza
che non le spetta.’ ‘E là per là chiamò il suo
alato figliuolo, quel cattivo soggetto che,
infischiandosene della pubblica morale, ha la
pessima abitudine di andarsene in giro armato
di torce e di frecce, di entrare di notte nelle case
della gente e profanare i letti nuziali insomma
di provocare impunemente un sacco di guai,
senza far mai nulla di buono.
Ulisse e Penelope
Ai meno attenti, la storia di Ulisse può sembrare soltanto una
lunga avventura. In realtà il discorso è ben diverso e complesso.
I temi che Omero sviluppa nel suo poema, vanno a toccare
numerosi aspetti della realtà umana, sia spirituale che materiale.
L'ostinata volontà del protagonista nel voler tornare a casa, ad
esempio, testimonia il profondo Amore che alberga in lui.
Amore per la propria terra, innanzi tutto, seguito a ruota per
quello verso la famiglia, la moglie ed il figlio.
E sì che di possibilità Ulisse, durante il
suo viaggio di ritorno, ne ha avute per
"sistemarsi". Alcune veramente
allettanti; come quella offertagli dalla
ninfa Calipso, la quale gli promise
niente meno che l'immortalità. O
l'invito della giovane e dolce
Nausicaa teneramente innamorata di
lui.
Tant‘ é che successivamente, cederà ad
un nuovo amore, quello per
la conoscenza, che lo porterà ancora a
partire... ma questa è una pagina
diversa che necessita di un
avvicinamento totalmente differente.
L'amore di Ulisse per Penelope non
ha atteggiamenti forti o
drammatici, lo definirei un
sentimento maturo, completo in
ogni suo aspetto e per questo sereno.
Il conquistatore di Ilio non appare
mai disperato ma solo
profondamente triste, ogni volta che
il poeta lo pone sulla strada dei
ricordi.
Il mezzo che lui utilizza, durante la
lontananza, per concretizzare
l'amore che prova nei confronti di
ciò che è stato costretto a lasciare, è
la tenacia, l'indistruttibile volontà
di tornare a casa.
La stessa cosa vale per la regina
di Itaca ma l'approccio al
problema è sicuramente diverso.
Lei basa la sua azione sulla
speranza, sulla convinzione che
il marito prima o poi tornerà.
Evidentemente è sicura del
sentimento di Ulisse e quindi
della sua ostinazione nel voler
perseguire la strada del ritorno.
Anche se ad un certo punto
questa fiducia vacilla ed alla
governante che le annuncia il
ritorno di Ulisse dice:
"Cara nutrice,
gli ‘Iddii, che fanno , come lor
talenta,
del folle un saggio e del più
saggio un folle,
la ragion ti travolsero."
(Odissea - XXIII vv. 14- 17)
Ma attenzione, la fiducia viene meno nei
confronti del destino non verso Ulisse. Infatti,
quando si convince che il marito è realmente
tornato, l'emozione che prova è violentissima ed
Omero così ce la descrive:
“Questo fu il colpo che i suoi dubbi tutti
vincitore abbattè. Pallida, fredda,
mancò, perdé gli spiriti, e disvenne.
Poscia corse ver lui direttamente,
disciogliendosi in lagrime; ed al collo
ambe le braccia le gittava intorno,
e baciavagli il capo...”
(Odissea - XXIII vv. 233 - 259)
Non c'é dubbio, che i mezzi con i quali i
due raggiungono il loro scopo sono
diversi, ma unico è il motivo conduttore
che li spinge:
l'Amore!
La storia d’amore tra Ulisse e Penelope quindi, fra le
altre tantissime cose, è anche il canto di quel
sentimento che a volte può togliere la ragione ma che
nello stesso tempo, per chi ha la fortuna di saperlo
comprendere, può far nascere i moti dell'anima che
sicuramente portano l'uomo a raggiungere le mete
sperate …
Ulisse e Calipso
Böcklin: Ulisse e Calipso
UlixesTroia in patriam rediens naufragio facto comitibus navibusque
amissis enatavit in insulam Aeaeam.Calypsus nympha Atlantis filia
Ulixis specie capta per totum annum eum in insula retinuit volens
secum Ulixem in aeternum habere.
Ulisse, ritornando in patria da Troia, subito un naufragio, persi i
compagni e le navi approda all'isola di Eea. La ninfa Calipso,
figlia di Atlante, rapita dall'aspetto di Ulisse, lo trattenne per un
anno, volendo avere Ulisse con lei in eterno.
Sed ille desiderio patriae pulsus Itacam redire cupiebat.
Tum Iuppiter deorum contione advocata omnibus
consentientibus Ulixis dimissionem decrevit. Tum
Mercurius de Olympo in insulam Aeaeam descendit atque
Calypso nymphae Iovis iussum denuntiavit.
Ma quello, spinto dal desiderio
della patria, desiderava
tornare a Itaca. Allora Giove,
convocata un'assemblea di dei,
essendo tutti d'accordo, decretò
la partenza di Ulisse. Allora
Mercurio sceso dall'Olimpo
sull'isola di Eea, annuncio alla
ninfa Calipso l'ordine di Giove.
Calypsus etiamsi invita
deorum regi paruit et
Ulixem omnibus
necesariis rebus
ornatum dimisit. Ille
rate facta insulam
reliquit et se
navigationi commisit
Itacam rediturus.
Calipso, seppur
controvoglia, ubbidì al
re degli dei e lasciò
Ulisse equipaggiato di
tutte le cose necessarie.
Quello preparato il
piano, lasciò l'isola e si
mise in viaggio con la
navigazione per
tornare a Itaca.
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I_miti_dell`amore