BOLLETTINO DI INFORMAZIONE SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA agosto-settembre 2011 a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig con il coordinamento di Paolo Passaglia FRANCIA 1. Decisione n. 2011-146 QPC dell’8 luglio 2011, Département des Landes Autonomie locali – Gestione dei servizi idrici – Divieto di finanziamenti pubblici ai comuni – Asserita violazione del principio di libera amministrazione delle autonomie territoriali – Questione prioritaria di costituzionalità –Carenza di un fine di interesse generale perseguito dal legislatore – Illegittimità costituzionale. 2. Decisioni n. 2011-147 QPC dell’8 luglio 2011, M. Tarek J. (composizione del tribunale dei minori) e n. 2011-635 DC del 4 agosto 2011, Legge sulla partecipazione dei cittadini al funzionamento della giustizia penale ed alla giustizia minorile Giustizia penale minorile – Coincidenza della persona del giudice istruttore e del presidente del tribunale – Asserita violazione del principio di imparzialità del giudice – Questione prioritaria di costituzionalità – Dichiarazione di illegittimità costituzionale. Giustizia penale – Partecipazione dei cittadini – Disciplina – Asserita violazione del principio costituzionale di indipendenza e di idoneità tecnica – Giudizio su ricorso dei parlamentari – Dichiarazioni di incostituzionalità e riserve di interpretazione. Giustizia penale minorile – Disciplina relativa alle misure cautelari ed al tribunale correzionale per i minorenni – Asserita mancata considerazione della specialità del processo penale minorile – Giudizio su ricorso dei parlamentari – Dichiarazioni di incostituzionalità. 3. Decisione n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, Sig. Jean-Jacques C. .......8 Divorzio – Rapporti tra ex-coniugi – Prestazione compensatoria – Trasferimento della proprietà di beni a vantaggio del coniuge più debole – Esecuzione forzata – Asserita violazione delle garanzie costituzionali del diritto di proprietà – Questione prioritaria di costituzionalità – Intervento del legislatore giustificato da interessi generali – Conformità delle disposizioni legislative alla Costituzione – Riserva di interpretazione. 4. Decisione n. 2011-157 QPC del 5 agosto 2011, Società SOMODIA Alsazia e Mosella – Diritto speciale – Fondamento in un principio fondamentale riconosciuto dalle leggi della Repubblica – Divieto di lavoro domenicale – Asserita violazione del principio di eguaglianza e della libertà di impresa – Questione prioritaria di costituzionalità – Carattere di specialità della normativa impugnata e giustificazione della stessa alla luce di interessi generali – Conformità della normativa alla Costituzione. 5. Sentenze del Consiglio di Stato del 19 luglio 2011 relative all’interpretazione ed alle condizioni di applicazione della legge del 9 dicembre 1905, concernente la separazione delle confessioni religiose dallo Stato Legge del 9 dicembre 1905 concernente la separazione delle confessioni religiose dallo Stato – Divieto di aiuti e di atti di liberalità per l’esercizio di un culto – Limiti e deroghe al divieto – Interventi di autonomie territoriali – Principio di neutralità nei confronti dei culti – Principio di eguaglianza – Precisazioni sull’interpretazione delle disposizioni legislative. GERMANIA 1. Ordinanza del 21 giugno 2011 (1 BvR 2035/07) Stato sociale – Sostegno statale alla formazione individuale adottato in forma mista borsa di studio/ prestito a tasso zero – Restituzione del debito da parte dello studente – Riduzione parziale del debito in base alla durata degli studi – Disciplina che rendeva impossibile, per talune categorie di studenti, l’ottenimento della massima riduzione possibile – Asserita violazione del principio di uguaglianza – Ricorso diretto individuale – Accoglimento parziale. 2. Sentenza del 7 settembre 2011 (2 BvR 987/10, 2 BvR 1485/10, 2 BvR 1099/10) Piano di aiuti straordinari alla Grecia – Garanzie fornite dal Governo tedesco a favore della Grecia – Partecipazione della Germania al pacchetto finanziario europeo per la garanzia della solidità dell’euro (EFSF) – Denuncia delle rispettive leggi di approvazione ed altre misure intraprese – Asserita violazione del diritto di voto alle elezioni federali, del diritto di proprietà privata e della libertà personale – Ricorsi diretti – Ammissibilità parziale – Diritto di voto e tutela avverso lo svuotamento delle competenze del Bundestag – Discrezionalità del legislatore in merito alla politica economica e finanziaria – Rigetto dei ricorsi – Interpretazione adeguatrice della disposizione che prevede il coinvolgimento della Commissione bilancio del parlamento – Necessità del previo consenso della Commissione bilancio per l’assunzione di ogni (futura) garanzia che incida sul bilancio federale.19 REGNO UNITO 1. Al Rawi and others (Respondents) v The Security Service and others (Appellants), del 13 luglio 2011 [2011] UKSC 34 Sicurezza nazionale – Asserito consenso delle autorità britanniche alla detenzione illegale, alla consegna ed alla sottoposizione a maltrattamenti – Azione civile di risarcimento danni – Difesa delle autorità fondata in parte su materiale riservato – Istanza rivolta allo svolgimento di una procedura “a porte chiuse” – Corte suprema – Impossibilità di procedere “a porte chiuse” senza una espressa previsione legislativa in tal senso – Rigetto dell’istanza. 2. Home Office (Appellant) v Tariq (Respondent), del 13 luglio 2011 [2011] UKSC 35 Sicurezza nazionale – Procedimento disciplinare in materia di lavoro – Procedura “a porte chiuse” – Asserita violazione della normativa dell’Unione europea e della CEDU in materia di parità di trattamento e di equo processo – Riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU – Riconoscimento di adeguate garanzie per il soggetto – Delimitazione del diritto a conoscere le contestazioni mosse nei confronti del soggetto ai soli casi in cui si prospetti una pena privativa della libertà. SPAGNA 1. STC 121/2011, del 7 luglio Giurisdizione – Riparto di giurisdizione tra giudice del lavoro e giudice amministrativo – Attribuzione al secondo della cognizione dei ricorsi in materia di inquadramento previdenziale – Legge ordinaria – Asserita violazione della riserva di legge orgánica – Questione sollevata in via incidentale – Riconosciuta possibilità per il legislatore ordinario di integrare disposizioni di legge orgánica – Rigetto. 2. STC 133/2011, del 18 luglio Prescrizione dei reati – Interpretazione della disciplina da parte dei giudici comuni – Contrasto con la doctrina constitucional del Tribunale costituzionale – Conseguente violazione del diritto alla tutela giurisdizionale – Ricorso di amparo – Vincolo per i giudici comuni di seguire la doctrina constitucional – Accoglimento – Opinione dissenziente. 3. ATC 113/2011, del 19 luglio Ipoteca – Procedura esecutiva – Disciplina asseritamene lesiva del diritto all’abitazione e del diritto alla tutela giurisdizionale in relazione all’uguaglianza delle parti nel processo – Questione sollevata in via incidentale – Irrilevanza di parte delle questioni – Riferimento a precedenti decisioni del Tribunale costituzionali – Manifesta infondatezza delle altre questioni – Opinione concorrente. 4. STC 134/2011, del 20 luglio Principio di stabilità finanziaria – Limiti al bilancio delle Comunità autonome – Competenze in tema di politica economica – Asserita violazione dell’autonomia politica e finanziaria della Catalogna – Ricorso in via principale – Sussistenza di esigenze generali di coordinamento della politica economica – Rigetto. 5. Informazione sulla seconda riforma della Costituzione del 1978 FRANCIA a cura di Charlotte Bontemps di Sturco 1. Decisione n. 2011-146 QPC dell’8 luglio 2011, Département des Landes Autonomie locali – Gestione dei servizi idrici – Divieto di finanziamenti pubblici ai comuni – Asserita violazione del principio di libera amministrazione delle autonomie territoriali – Questione prioritaria di costituzionalità – Carenza di un fine di interesse generale perseguito dal legislatore – Illegittimità costituzionale. La provincia delle Landes ha sollecitato il promovimento di una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’articolo L 2224-11-5 del codice generale delle autonomie locali, che vieta i finanziamenti pubblici ai comuni o alle associazioni di comuni in materia di acqua potabile e di acqua già utilizzata. Questa disposizione legislativa è stata adottata dal Parlamento nel 2006 proprio per superare un contenzioso già consistente, di cui era parte anche la provincia ricorrente, in ragione della politica adottata di modulazione dei finanziamenti pubblici ai comuni in funzione del modo di gestire l’acqua e di incoraggiamento della gestione diretta dei servizi idrici (uno studio aveva infatti dimostrato che il prezzo al metro cubo praticato nei comuni che ricorrevano a questo modo di gestione era inferiore rispetto alla media)1. La provincia invocava la violazione del principio della libera amministrazione delle autonomie territoriali (articolo 72 della Costituzione), del suo corollario rappresentato dall’autonomia finanziaria (articolo 72-2 della Costituzione) nonché del principio di eguaglianza di fronte alle spese pubbliche che deriva dal principio generale di eguaglianza. Il Conseil constitutionnel ha dichiarato la disposizione denunciata contraria al principio di libera amministrazione delle autonomie territoriali. Detto principio è stato interpretato nel senso di imporre al legislatore di perseguire un fine di interesse generale qualora intenda istituire obblighi nei confronti delle autonomie territoriali: con la presente decisione, il vincolo sul perseguimento di un fine di interesse generale è stato esteso anche all’apposizione di divieto. Si è di conseguenza ritenuto che il divieto di modulazione delle sovvenzioni a seconda della forma di gestione del servizio idrico violava la libera amministrazione delle province, disconoscendo così gli articoli 72 e 72-2 della Costituzione. 1 Per maggiori dettagli al riguardo, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-146 QPC du 8 juillet 2011, Département des Landes (Aide publique en matière d’eau potable ou d’assainissement), in Commentaire aux Cahiers, p. 1-4. Dalla decisione emerge che la questione prioritaria di costituzionalità, il cui ambito di elezione è quello della tutela dei diritti e della libertà, risulta utilizzabile anche al fine di garantire l’autonomia delle autonomie territoriali. 2. Decisioni n. 2011-147 QPC dell’8 luglio 2011, M. Tarek J. (composizione del tribunale dei minori) e n. 2011-635 DC del 4 agosto 2011, Legge sulla partecipazione dei cittadini al funzionamento della giustizia penale ed alla giustizia minorile Giustizia penale minorile – Coincidenza della persona del giudice istruttore e del presidente del tribunale – Asserita violazione del principio di imparzialità del giudice – Questione prioritaria di costituzionalità – Dichiarazione di illegittimità costituzionale. Giustizia penale – Partecipazione dei cittadini – Disciplina – Asserita violazione del principio costituzionale di indipendenza e di idoneità tecnica – Giudizio su ricorso dei parlamentari – Dichiarazioni di incostituzionalità e riserve di interpretazione. Giustizia penale minorile – Disciplina relativa alle misure cautelari ed al tribunale correzionale per i minorenni – Asserita mancata considerazione della specialità del processo penale minorile – Giudizio su ricorso dei parlamentari – Dichiarazioni di incostituzionalità. Con queste due decisioni, il Conseil constitutionnel ha dichiarato incostituzionale la composizione delle giurisdizioni penali specializzate per i minori (gli effetti delle due decisioni, vista la gravità delle conseguenze, coinvolgenti i 145 tribunali dei minori in Francia, sono stati differiti al 1° gennaio 2013). Nella decisione n. 2011-147 QPC, il Conseil è stato adito, con una questione prioritaria di costituzionalità, dalla Corte di cassazione il 4 maggio 2011, relativamente alla conformità ai diritti e libertà che la Costituzione garantisce degli articoli L 251-3 e L 251-4 del Codice dell’organizzazione giudiziaria (d’ora innanzi Cod.o.g.). L’articolo L 251-3 dispone che “il tribunale dei minori è composto da un giudice dei minori, presidente, e da vari membri”. Questa giurisdizione penale specializzata è stata istituita con la legge del 22 luglio 1912, che prevedeva una composizione di soli magistrati degli organi giudicanti; l’ordinanza n. 45-174 del 2 febbraio 1945 ha previsto una composizione mista di magistrati e specialisti in discipline dell’infanzia. L’articolo L 251-4 dispone la scelta dei componenti, il loro numero e la durata del loro mandato. Il ricorrente nel giudizio a quo contestava queste disposizioni in virtù dell’articolo 66 della Costituzione, in quanto riteneva che la presidenza del tribunale dei minori da parte di un magistrato incaricato dell’istruzione del caso e la presenza maggioritaria di componenti non togati nell’ambito di queste formazioni disconoscessero questa disposizione. Il Conseil constitutionnel ha sollevato d’ufficio l’ulteriore profilo della violazione del principio di imparzialità delle giurisdizioni ed ha dichiarato l’articolo L 251-3 del Cod.o.g. contrario alla Costituzione; l’articolo L 251-4 del Cod.o.g. è stato, invece, dichiarato conforme alla Costituzione2. L’argomentazione del Conseil che ha portato alla dichiarazione di illegittimità costituzionale si basa sul principio di imparzialità delle giurisdizioni. Si è precisato che detto principio non osta a che il giudice incaricato dell’istruzione del caso possa, al termine dell’istruzione, adottare misure di assistenza, di sorveglianza, o di educazione; le norme che prevedono che quel magistrato che ha deciso di perseguire il minore possa presiedere il tribunale dei minori sono, invece, lesive del principio, donde la dichiarazione di illegittimità. Il Conseil constitutionnel, riferendosi al principio fondamentale riconosciuto dalle leggi della Repubblica in materia di giustizia penale dei minori, ha differito gli effetti della sua decisione al 1° gennaio 2013. La legge relativa alla partecipazione dei cittadini al funzionamento della giustizia penale ed alla giustizia minorile è stata deferita al Conseil constitutionnel su ricorso parlamentare. La legge è suddivisa in tre titoli. Il primo, recante “disposizioni relative alla partecipazione dei cittadini al funzionamento della giustizia penale”, comprende gli articoli da 1 a 23; disciplina la partecipazione dei cittadini al giudizio su alcuni delitti nonché sui crimini, modificando la procedura davanti alla Corte d’assise, introducendo una grande novità per il diritto francese, quale quella della motivazione delle sentenze di questa giurisdizione. Il Titolo secondo, recante “disposizioni relative alla giustizia minorile”, comprende gli articoli da 24 a 52; prevede il rinvio diretto del minore dinanzi al tribunale dei minori e la creazione di un tribunale correzionale dei minori. Infine, il Titolo terzo, “Disposizioni finali”, comprende gli articoli 53 e 54. I ricorrenti contestavano la costituzionalità tanto di norme relative alla partecipazione dei cittadini al funzionamento della giustizia penale quanto di norme concernenti la giustizia penale minorile. Il Conseil constitutionnel ha adottato diverse dichiarazioni di illegittimità costituzionale ed una riserva di interpretazione. Sulla partecipazione dei cittadini, la legge permette a non magistrati di essere chiamati come componenti nella formazione dei tribunali correzionali e nelle 2 Sull’assunto che nessuna norma costituzionale impone che le giurisdizioni siano composte da giudici non togati, la disposizione dichiarata conforme alla Costituzione è stata ritenuta coerente sia con il principio di indipendenza necessario all’esercizio di funzioni giudiziarie sia con le esigenze di capacità che derivano dell’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. camere di appello correzionali nonché nel tribunale di applicazione delle pene e nella formazione in appello della camera di applicazione delle pene. Il Conseil constitutionnel non ha ritenuto detta scelta contraria alla Costituzione, in quanto quest’ultima non vieta che dei cittadini intervengano come componenti nelle formazioni delle giurisdizioni penali che devono pronunciarsi in materia di privazione della libertà. Tuttavia, ha precisato che al fine di soddisfare il principio di indipendenza e di capacità che deriva dall’articolo 6 della Dichiarazione del 1789, debbono essere predisposte garanzie adeguate. Il Conseil ha invece ritenuto le disposizioni concernenti la partecipazione dei cittadini ai giudizi relativi a taluni delitti come costituzionali, in ragione del tipo di partecipazione che si richiede ai giudici non togati; viceversa, l’incostituzionalità ha colpito le previsioni (paragrafi 4° e 5° dell’articolo 399-3 del Codice di procedura penale) relative ai reati di cui al libro IV del Codice penale ed al codice dell’ambiente, in quanto la qualità di giudice, in tali casi, richiede competenze giuridiche speciali, non garantite da giudici non togati. In materia di applicazione delle pene, il Conseil ha considerato che sussistono sufficienti garanzie di idoneità dei giudici non togati a valutare le condizioni di merito. Ha però emesso una riserva di interpretazione volta ad escludere che tali giudici possano partecipare ad ogni altra questione, come la valutazione delle questioni di ricevibilità delle domande o l’esame degli incidenti di esecuzione. Le modificazioni recate al funzionamento delle corti d’assise hanno riguardato in particolare le disposizioni che riducono il numero dei giurati da nove a sei, in primo grado, e da dodici a nove, in secondo grado; quelle che introducono l’esigenza di una maggioranza assoluta – tra giudici e giurati – per una decisione sfavorevole all’imputato; infine, quelle che introducono l’esigenza di motivazione delle sentenze. Con precipuo riferimento a quest’ultimo aspetto, il Conseil constitutionnel aveva ritenuto conforme alla Costituzione il regime anteriore, che non prevedeva motivazione, in quanto il sistema offriva sufficienti garanzie contro l’arbitrarietà3; tornando sul tema, ha considerato che risulta dagli “articoli 7, 8 e 9 della Dichiarazione del 1789 che spetta al legislatore, nell’esercizio della sua competenza, fissare le regole di diritto penale e di procedura penale in modo da escludere l’arbitrarietà nella ricerca degli autori di reati, nel giudizio contro le persone perseguite nonché nella pronuncia e l’esecuzione delle pene; [e] l’obbligo di motivare i giudizi e le sentenze di condanna costituiscono una garanzia legale di detta esigenza costituzionale” (Considérant 22). Per quanto riguarda la giustizia penale minorile, il Conseil ha precisato – come da giurisprudenza costante – che il parametro costituzionale contenuto nel principio fondamentale delle leggi della Repubblica relativo alla giustizia penale minorile implica l’attenuazione della responsabilità penale dei minori e la ricerca di una rieducazione ed una risocializzazione. 3 Cfr. decisione n. 2011-113/115 QPC del 15 aprile 2011, già oggetto di segnalazione. Ha dichiarato quindi l’incostituzionalità della diposizione contenuta nell’articolo 10-3 della legge che permetteva di assegnare a residenza con sorveglianza elettronica un minore di età compresa tra i tredici ed i sedici anni, in alternativa ad un controllo giudiziario, nei casi in cui il minore non potesse essere oggetto di una misura di custodia cautelare: dette misure hanno infatti istituito “un rigore che disconosce le esigenze costituzionali” (Considérant 38). Per quanto riguarda l’istituzione di un tribunale correzionale dei minori, il Conseil ha notato che la sua composizione comprende solo un giudice dei minori e che esso non può essere considerato come una giurisdizione specializzata, mentre il principio fondamentale sopra ricordato impone procedure appropriate alla condizione di minori, al fine di ottenere una rieducazione ed una risocializzazione, ciò che non era previsto dalle norme della legge che permettevano di convocare e fare comparire immediatamente il minore dinnanzi alla giurisdizione senza istruzione preparatoria. Da ciò l’incostituzionalità delle norme denunciate. Come nella decisione n. 2011-147 QPC, sopra passata in rassegna, il Conseil ha infine dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge che prevedevano la possibilità per il giudice dei minori che aveva svolto l’istruzione del caso di presiedere il tribunale correzionale dei minori. Ha differito, come nella decisione menzionata, gli effetti della sua dichiarazione al 1° gennaio 2013. 3. Decisione n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, Sig. JeanJacques C. Divorzio – Rapporti tra ex-coniugi – Prestazione compensatoria – Trasferimento della proprietà di beni a vantaggio del coniuge più debole – Esecuzione forzata – Asserita violazione delle garanzie costituzionali del diritto di proprietà – Questione prioritaria di costituzionalità – Intervento del legislatore giustificato da interessi generali – Conformità delle disposizioni legislative alla Costituzione – Riserva di interpretazione. Il Conseil constitutionnel è stato adito dalla Corte di cassazione (Cass. I civ, n. 552 del 17 maggio 2011) relativamente ad una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’articolo 274-2° del codice civile. Questo articolo è relativo alla prestazione compensatoria sotto forma di capitale che il giudice della famiglia può fissare nell’ambito di una procedura di divorzio. Il giudice può procedere all’esecuzione forzata attraverso l’attribuzione al creditore “di beni di proprietà o di titolarità temporanea o vitalizia o di uso, di abitazione o di usufrutto”; tuttavia, “l’accordo del coniuge debitore è necessario per l’attribuzione in proprietà di beni che egli abbia ricevuto in successione o in donazione”. Questa disposizione è il frutto di una lunga evoluzione legislativa. La legge “Naquet” del 1884, che ha reintrodotto il divorzio, non aveva soppresso – per il periodo successivo al divorzio – l’obbligo di sostegno tra i coniugi ed aveva previsto la c.d. pensione alimentare per il coniuge sfavorito, il cui ammontare poteva sempre essere modificato a seconda della situazione economica di entrambi. Questa situazione era stata all’origine di un notevole contenzioso. La legge 11 luglio 1975, n. 75-617, recante riforma della disciplina del divorzio ha superato questa concezione, cercando di risolvere tutti gli effetti pecuniari del divorzio nel momento in cui esso veniva pronunciato. Ha quindi soppresso, in via di principio, l’obbligo di sostegno e la pensione alimentare ed ha istituito una prestazione compensatoria che corrisponde alla capitalizzazione della diseguaglianza del contributo alle spese del matrimonio. Dopo altri interventi legislativi, nel 2000 e nel 2004, si è giunti alla situazione attuale4. Se la dottrina ha parlato di vera “espropriazione per causa di utilità privata”5, la Corte di cassazione (Cass., I civ., 31 marzo 2010, n. 09-13811) ha però ritenuto che l’attribuzione di un bene di proprietà del coniuge a titolo di prestazione compensatoria non è incompatibile con il 1° protocollo addizionale alla Convenzione EDU. Secondo il ricorrente nel giudizio a quo, la disposizione legislativa in questione ledeva l’articolo 17 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il Conseil constitutionnel ha dichiarato la legittimità costituzionale di questa disposizione, emettendo però una riserva di interpretazione. Il Conseil ha dapprima richiamato le norme costituzionali che tutelano il diritto di proprietà: quella che riguarda la privazione della proprietà ai sensi dell’articolo 17 della Dichiarazione del 1789 (concepito essenzialmente come tutela contro l’espropriazione) e quella di cui all’articolo 2 della medesima Dichiarazione, che impone che i limiti imposti al godimento della proprietà siano giustificati da un interesse generale e siano proporzionati all’obiettivo proseguito (Considérant 3). Nella specie, si è ritenuto che la norma contestata non riguardasse una privazione della proprietà ai sensi dell’articolo 176 (Considérant 5). Con riferimento all’asserita violazione dell’articolo 2, si è evidenziato che “l’obiettivo perseguito [dal legislatore] di garantire la protezione del coniuge la cui situazione economica sia deteriore e di limitare, per quanto possibile, le difficoltà e i contenziosi successivi alla pronuncia del divorzio costituisce un motivo di interesse generale” (Considérant 6). Per valutare il carattere proporzionale della 4 Per maggiori dettagli su questa evoluzione legislativa, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, M. Jean-Jacques C., in Commentaire aux cahiers, p. 1 a 4. 5 L’espressione è di A. CHEYENET DE BEAUPRE cit. in CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, M. Jean-Jacques C., in Commentaire aux cahiers, p. 5, nota 5. 6 Ciò che peraltro non esclude che l’articolo 17 possa applicarsi tra persone private, come già accennato nella decisione n. 2010-60 QPC. privazione della proprietà, il Conseil ha rilevato che il giudice fissa l’ammontare della prestazione compensatoria dopo un dibattito in contraddittorio tra le parti e che l’accordo del coniuge debitore è necessario per il trasferimento della proprietà di beni ricevuti in successione o in donazione. Si è però precisato che questa prestazione può essere sostituita dal versamento di una somma di denaro e che l’esecuzione forzata, per essere considerata proporzionata all’obiettivo perseguito, deve essere intesa come una modalità sussidiaria di esecuzione della prestazione compensatoria. Di conseguenza, può essere ordinata dal giudice solo nel caso in cui, tenendo conto delle circostanze di specie, le altre modalità di esecuzione non appaiano sufficienti a garantire l’adempimento di questa prestazione. 4. Decisione n. 2011-157 QPC del 5 agosto 2011, Società SOMODIA Alsazia e Mosella – Diritto speciale – Fondamento in un principio fondamentale riconosciuto dalle leggi della Repubblica – Divieto di lavoro domenicale – Asserita violazione del principio di eguaglianza e della libertà di impresa – Questione prioritaria di costituzionalità – Carattere di specialità della normativa impugnata e giustificazione della stessa alla luce di interessi generali – Conformità della normativa alla Costituzione. La Corte di cassazione ha sollevato una questione prioritaria di costituzionalità, sollecitata dalla società Somodia, avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell’articolo 3134-11 del Codice del lavoro. Questo articolo, applicabile solo in Alsazia ed in Mosella, vieta l’esercizio di un’attività industriale, commerciale e artigianale la domenica nei luoghi aperti al pubblico. La società Somodia lamentava la violazione del principio di eguaglianza e della libertà di impresa. Il Conseil constitutionnel ha dichiarato la conformità alla Costituzione della disposizione contestata. La specialità del diritto dell’Alsazia e della Mosella7, a differenza di altre autonomie territoriali (come, ad esempio, quelle d’oltremare), non è contenuta in alcuna disposizione costituzionale esplicita. Il Conseil constitutionnel l’ha però consacrata enunciando (sulla base della legislazione repubblicana anteriore al 1946) un nuovo principio fondamentale riconosciuto dalle leggi della Repubblica (categoria di principi costituzionali menzionata nel preambolo della Costituzione del 1946 e dunque parte del parametro costituzionale). Il Conseil ha evidenziato, in particolare, che la legislazione repubblicana in vigore prima della Costituzione 7 Il diritto speciale dell’Alsazia e della Mosella discende storicamente della prima guerra mondiale, quando il legislatore francese, una volta re-integrati questi territori aveva deciso di mantenere in vigore le norme che ci si applicavano, tra cui quella del riposo domenicale che derivava da ordinanze imperiali tedesche. del 1946 ha consacrato il principio secondo il quale, finché le disposizioni speciali relative a questi territori non siano sostituite o armonizzate alla legislazione di diritto comune, esse sono destinate a restare in vigore. Inoltre, ad avviso del Conseil, queste disposizioni particolari non possono essere attuate se non nella misura in cui le differenze che ne risultano rispetto al regime comune non siano accentuate né il loro ambito esteso. Questo principio deve, peraltro, essere conciliato anche con le altre esigenze costituzionali (Considérant 4). Constatando che la disposizione contestata faceva parte delle norme in vigore prima del 1919 e che erano state mantenute in vigore, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla violazione del principio di eguaglianza proprio sull’assunto che essa verteva su una norma speciale. Per quanto riguarda, invece, la libertà di impresa, il Conseil ha considerato che la scelta del legislatore di vietare il lavoro domenicale era stata adottata al fine di non favorire le imprese a seconda dalla loro dimensione e perseguiva quindi un motivo di interesse generale. Infine, si è ritenuto che il legislatore avesse conciliato, in modo non manifestamente sproporzionato, detto principio con le esigenze del 10° comma del preambolo della Costituzione del 1946, come già affermato nella sua giurisprudenza sul riposo domenicale8. 5. Sentenze del Consiglio di Stato del 19 luglio 2011 relative all’interpretazione ed alle condizioni di applicazione della legge del 9 dicembre 1905, concernente la separazione delle confessioni religiose dallo Stato Legge del 9 dicembre 1905 concernente la separazione delle confessioni religiose dallo Stato – Divieto di aiuti e di atti di liberalità per l’esercizio di un culto – Limiti e deroghe al divieto – Interventi di autonomie territoriali – Principio di neutralità nei confronti dei culti – Principio di eguaglianza – Precisazioni sull’interpretazione delle disposizioni legislative. Il 19 luglio, il Consiglio di Stato ha adottato cinque sentenze (CE, 19 luglio 2011, Commune de Trélazé, n. 308544; CE, 19 luglio 2011, Fédération de la libre pensée et de l’action sociale du Rhône et M. P., n. 308817; CE, 19 luglio 2011, Communauté urbaine du Mans – Le Mans Métropole, n. 309161; CE, 19 luglio 2011, Commune de Montpellier, n. 313518; e CE, 19 luglio 2011, Mme V., n. 320796) che precisano l’interpretazione da dare alla legge del 9 dicembre 1905, concernente la separazione delle confessioni religiose dallo Stato9. 8 9 Cfr. la decisione n. 2009-588 DC del 6 agosto 2009, oggetto a suo tempo di segnalazione. Pronunciandosi come giudice di ultima istanza, il Consiglio di Stato ha rinviato le cause alle Corti di appello, onde far loro verificare se le condizioni ed i principi che ha enunciato sono stati In tutte le decisioni, si è trattato di conciliare l’interesse pubblico locale con i principi posti dalla legge del 1905, di fronte alla contestazione della legittimità di delibere di enti locali che, riferendosi ad un interesse locale, avevano sostenuto interventi che potevano, in un modo o nell’altro, essere collegati ad un culto. Nonostante la diversità delle fattispecie venute al suo esame, il Consiglio di Stato ha strutturato le cinque sentenze in modo rigorosamente uniforme. Nella parte dei visas, le norme costituzionali citate come riferimento sono il Preambolo della Costituzione della IV Repubblica (tuttora vigente), l’articolo 1 e l’articolo 72 della Costituzione; figurano tra i riferimenti anche norme europee (Convenzione EDU e direttive comunitarie), nonché legislative (tra queste, in tutti i casi, anche la legge del 1905). Nel corpo delle sentenze, si sono sempre richiamati in limine gli articoli 1°, 2, 13 e 19 della legge del 1905: – articolo 1°: “La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Garantisce il libero esercizio dei culti con le sole restrizioni enunciate di seguito nell’interesse dell’ordine pubblico.”; – articolo 2: “La Repubblica non riconosce, né utilizza, e neppure sovvenziona alcun culto. Di conseguenza, dal 1° gennaio che seguirà la promulgazione della presente legge, saranno soppresse dai bilanci dello Stato, delle province e dei comuni, tutte le spese relative all’esercizio dei culti.”; – articolo 13: “Gli edifici che servono per l’esercizio pubblico del culto, nonché i beni mobili che li arredano, saranno lasciati gratuitamente a disposizione degli enti pubblici di culto, alle associazioni chiamate a sostituirli […]. La cessazione del loro uso e, se necessario, il loro trasferimento saranno adottati tramite decreto. […] Lo Stato, le province, i comuni e le associazioni di comuni potranno sostenere le spese necessarie per il mantenimento e la conservazione degli edifici di culto la cui proprietà è riconosciuta dalla presente legge.”; – l’articolo 19 prevede che le associazioni formate per sostenere le spese, per il mantenimento e per l’esercizio di un culto “non potranno ricevere, sotto qualsiasi forma, sovvenzioni dallo Stato, dalle province e dai comuni”; l’articolo precisa altresì che “non sono considerate come sovvenzioni le somme destinate alle riparazioni degli edifici destinati al culto pubblico, siano essi soggetti o meno a vincoli storico-artistici”. Nelle cinque sentenze, dopo avere citato queste norme, il Consiglio di Stato ha ripetuto lo stesso considérant di principio: “risulta dalle disposizioni precitate della legge del 9 dicembre 1905 che gli enti pubblici possono solo finanziare le spese di mantenimento e di conservazione degli edifici utilizzati per l’esercizio pubblico di un culto di cui sono rimasti o sono diventati proprietari con la separazione delle confessioni religiose dallo Stato oppure concorrere con associazioni religiose per i lavori di riparazione di edifici di culto per i quali sia rispettati nei casi concreti. Le decisioni del Consiglio sono consultabili, unitamente al relativo comunicato stampa, alla pagina www.conseil-etat.fr. vietato disporre una agevolazione [diretta] all’esercizio di un culto”. A seconda delle diverse fattispecie, il Conseil ha poi precisato l’interpretazione della legge del 1905 in riferimento ai vari interventi ed al concorso alle spese da parte delle autonomie locali. Così, nel caso che ha dato origine alla sentenza Commune de Trélazé, n. 308544, il consiglio municipale aveva deciso, con apposita delibera, di acquisire e restaurare un organo al fine di installarlo nella chiesa del comune, sprovvista di tale strumento, in modo, tra l’altro, da poter sviluppare l’insegnamento musicale e di organizzare manifestazioni culturali. Lo strumento avrebbe così avuto un uso “misto”: culturale e religioso. Un contribuente aveva però contestato, di fronte al giudice amministrativo, la legittimità di detta delibera, invocando la violazione della legge del 9 dicembre 1905. La legge del 2 gennaio 1907, concernente l’esercizio pubblico dei culti, dispone all’articolo 5 che, “in assenza di associazioni religiose, gli edifici destinati all’esercizio del culto, nonché i mobili che li arredano, continueranno, tranne che nei casi in cui se ne è annullata la messa a disposizione nelle ipotesi previste dalla legge del 9 dicembre 1905, ad essere lasciati a disposizione dei fedeli e dei ministri di culto per la pratica della loro religione”. Questa norma è stata tradizionalmente interpretata come atta a permettere ai ministri di culto di potere utilizzare tutti i beni mobili presenti nell’edificio di culto e di potere opporsi ad un loro uso diverso da quello religioso. La questione che si poneva era dunque quella di stabilire se le disposizioni delle leggi del 1905 e del 1907 ostacolassero, in sé e per sé, l’acquisto da parte di un ente pubblico di un bene “misto” e la sua collocazione in un edificio destinato all’esercizio del culto. Il Consiglio di Stato ha risposto in senso negativo, subordinando però la possibilità riconosciuta a diverse condizioni: in primo luogo, deve essere presente un interesse pubblico locale (come l’organizzazione di lezioni o di concerti musicali); inoltre, devono essere conclusi accordi al fine di garantire (1) l’uso del bene da parte del comune in modo compatibile ai suoi bisogni e (2) una partecipazione finanziaria dell’associazione o dell’ente religioso che ne ha uso, il cui ammontare deve essere proporzionato all’uso che potrà fare del bene, al fine di escludere ogni liberalità e, quindi, ogni aiuto ad un culto. Nel caso deciso con la sentenza Fédération de la libre pensée et de l’action sociale du Rhône et M. P., n. 308817, il consiglio municipale della città di Lione aveva attribuito alla Fondazione Fourvière (ente di utilità pubblica che gestisce la basilica Fourvière, un edificio privato che accoglie circa due milioni di visitatori l’anno) una sovvenzione per partecipare alla realizzazione di un ascensore destinato a facilitare l’accesso al sagrato delle persone con mobilità ridotta. La Federazione del libero pensiero e dell’azione sociale del Rodano aveva contestato, di fronte al giudice amministrativo, la legittimità di questa delibera, deducendo la violazione del divieto di aiuto ai culti posto dalla legge del 1905. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la legge del 1905 non ostacoli le azioni delle autonomie locali volte a finanziare lavori non di manutenzione o di conservazione di un edificio adibito all’esercizio di un culto. Tali finanziamenti possono tradursi in una totale o parziale presa in carico, come soggetto proprietario dell’immobile, o nella mera sovvenzione, qualora l’ente pubblico non sia proprietario. Anche al riguardo, sono state poste diverse condizioni: (1) le attrezzature previste devono presentare un interesse pubblico locale, legato in particolare alla rilevanza dell’edificio a livello culturale, turistico ed economico per il territorio, a prescindere dall’esercizio del culto; (2) qualora l’ente locale attribuisca una sovvenzione per finanziare i lavori, deve essere garantito, ad esempio per contratto, che la sovvenzione non è attribuita ad un’associazione religiosa e che è destinata esclusivamente al finanziamento dell’intervento individuato. Si è anche precisato che la circostanza secondo la quale dell’attrezzatura beneficino persone che praticano il culto non può in sé viziare l’atto che ha come oggetto l’approvazione del finanziamento dei lavori. Nella vicenda di cui alla sentenza Communauté urbaine du Mans – Le Mans Métropole, n. 309161, l’associazione di comuni che comprende la città di Le Mans ha deliberato la conversione di edifici abbandonati in un mattatoio temporaneo di ovini, mattatoio che sarebbe stato attivo principalmente durante la festa musulmana dell’Aïd-el-Kebir. Un’altra deliberazione aveva indetto le procedure di appalto necessarie alla sua realizzazione. Un contribuente ne aveva contestato la legittimità dinnanzi al giudice amministrativo, invocando la violazione della legge del 1905. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che detta legge non impedisse ad un ente locale la costruzione o l’acquisizione di una struttura o ancora l’autorizzazione all’uso di un edificio esistente al fine di permettere l’esercizio di pratiche rituali, componente del libero esercizio dei culti. Due condizioni sono state però previste come necessarie: (1) deve sussistere un interesse pubblico locale (come, nella specie, l’assenza o la lontananza di una struttura) dovuto in particolare alla necessità che i culti siano esercitati in condizioni conformi ad imperativi di ordine pubblico, come quelli della salubrità e della sanità pubblica; (2) l’attrezzatura deve poi essere concessa a condizioni tariffarie che rispettino il principio di neutralità nei confronti dei culti nonché il principio di eguaglianza; deve altresì essere esclusa ogni forma di liberalità ed ogni forma di aiuto ad un culto particolare. Nella fattispecie presa in esame dalla sentenza Commune de Montpellier, n. 313518, il consiglio municipale di Montpellier aveva deciso, nel 2002, la realizzazione di uno spazio polivalente a carattere associativo per una superficie di oltre mille metri quadrati, il finanziamento del relativo progetto e l’indizione delle gare di appalto. Due anni dopo, una convenzione era stata firmata al fine di lasciare a disposizione detto spazio, per un anno, rinnovabile, all’associazione dei Franco-Marocchini al fine di destinarla a luogo di culto. Alcuni consiglieri municipali avevano contestato la delibera del 2002, sull’assunto che essa violava la legge del 1905. Si trattava di interpretare quest’ultima in combinazione con l’articolo L 2144-3 del Codice delle autonomie locali, che disciplina la messa a disposizione di locali comunali ad associazioni, sindacati e partiti politici. Il Consiglio di Stato, richiamando la sua giurisprudenza su detto articolo del codice, ha precisato che esso permette ad un comune di autorizzare, nel rispetto del principio di neutralità nei confronti dei culti e del principio di eguaglianza, l’uso di un locale di sua proprietà per l’esercizio di un culto, qualora le condizioni di detta autorizzazione escludano ogni forma di liberalità e di aiuto. Il comune, anzi, non può rifiutare la domanda di uso di un locale per il solo motivo che è richiesta da un’associazione religiosa. Il Consiglio di Stato ha però posto il principio secondo il quale le autonomie locali non possono, senza disconoscere la legge del 1905, lasciare a disposizione, in modo esclusivo e perenne, un locale di loro proprietà ad un’associazione per l’esercizio di un culto, rendendolo di fatto un edificio religioso. Nel caso che ha dato origine alla sentenza Mme V., n. 320796, il consiglio municipale di Montreuil-sous-Bois aveva approvato la conclusione di un contratto di enfiteusi di novantanove anni con la Federazione religiosa delle associazioni musulmane di Montreuil di un terreno del comune dietro il pagamento annuo simbolico di un euro, per costruirvi una moschea. Una consigliera municipale aveva contestato detta delibera di fronte al giudice amministrativo. Due questioni si ponevano: quella della possibilità o meno di concludere, in quel periodo, quel tipo di contratti con associazioni religiose (giacché solo successivamente era intervenuta la legge che lo aveva esplicitamente consentito); e quella della combinazione di quel tipo di contratti con la legge del 1905. Alla prima questione si è risposto in senso affermativo (ciò che risultava già in un rapporto del Consiglio di Stato del 2004); relativamente alla seconda, si è precisato il regime di quel tipo di contratto tra enti locali ed associazioni religiose: (1) la contropartita finanziaria è, in via di principio, modica, ciò che è dovuto sia alla natura del contratto che al fatto che il contraente non eserciti nessuna attività a scopo lucrativo; (2) la proprietà dell’edificio costruito deve essere incorporata nel patrimonio dell’ente locale, al termine dell’enfiteusi, senza che l’ente abbia sopportato le spese di progettazione, costruzione, mantenimento e conservazione. Il Consiglio di Stato ha poi precisato che il legislatore, permettendo la conclusione di quel tipo di contratto tra enti locali ed associazioni religiose, ha derogato alla legge del 1905: quest’ultima, dunque, non si applica ed il contratto deve conseguentemente rispettare le disposizioni legislative generali. Due grandi orientamenti emergono dalle cinque decisioni passate in rassegna: sebbene vieti, in via di principio, ogni aiuto all’esercizio del culto, la legge del 1905 prevede altresì espressamente deroghe o deve essere combinata con altre leggi che ne limitano la portata; per quanto possano adottare decisioni o finanziare progetti in relazione ad edifici o pratiche religiose, le autonomie locali devono rispondere ad un interesse pubblico locale, rispettare il principio di neutralità nei confronti dei culti ed il principio di eguaglianza ed escludere ogni liberalità ed aiuto ad un culto. GERMANIA a cura di Maria Theresia Rörig 1. Ordinanza del 21 giugno 2011 (1 BvR 2035/07) Stato sociale – Sostegno statale alla formazione individuale adottato in forma mista borsa di studio/ prestito a tasso zero – Restituzione del debito da parte dello studente – Riduzione parziale del debito in base alla durata degli studi – Disciplina che rendeva impossibile, per talune categorie di studenti, l’ottenimento della massima riduzione possibile – Asserita violazione del principio di uguaglianza – Ricorso diretto individuale – Accoglimento parziale. Il Tribunale costituzionale federale ha accolto parzialmente un ricorso diretto avente ad oggetto la normativa che collega la parziale riduzione del debito contratto dagli studenti cui sia stato concesso il sussidio statale per la formazione individuale, in forma di prestito a tasso zero, alla durata dei loro studi1. A partire dal 1º ottobre 1971, gli studenti bisognosi che, versando in particolari situazioni economiche, non sono in condizione di finanziarsi un corso di studi corrispondente alle proprie inclinazioni, attitudini ed obiettivi, possono ricevere aiuti di natura economica grazie alla legge federale sul sostegno statale alla formazione o istruzione individuale (Bundesausbildungsförderungsgesetz – BAföG). Il sistema del sostegno “BAföG”, più volte modificato nel corso degli anni, si caratterizza come un sistema misto, in parti uguali, tra una borsa di studio ed un prestito finanziario. Gli studenti ricevono, infatti, gli importi loro riconosciuti, per il 50%, sotto forma di borsa di studio tradizionale e per l’ulteriore 50% sotto forma di prestito, avente una durata determinata, a tasso agevolato pari a zero2. L’ufficio che eroga il sostegno è il DSW (Deutsches Studentenwerk). Il rimborso del prestito, invece, viene gestito da un ufficio amministrativo federale chiamato Bundesverwaltungamt (BVA). L’obbligo di restituzione decorre a partire dai cinque anni dalla fine degli studi e può durare fino a venti anni. Dal momento 1 Si segnala che il Bundesverfassungsgericht ha predisposto un comunicato stampa in relazione all’ordinanza de qua in lingua inglese, disponibile on line alla pagina http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg11-048en.html. 2 Solo per i disabili è prevista l’erogazione dell’intero importo come borsa di studio. Anche i sostegni finanziari supplementari per gli studenti che studiano all’estero sono concessi al 50% come borsa e al 50% come prestito. Nel caso in cui per ragioni straordinarie vengano accordati prestiti per periodi che eccedono quello massimo, essi sono concessi a titolo oneroso ed il tasso di interesse verrà accordato con la banca. in cui comincia decorrere il termine per il rimborso, il BVA emette un provvedimento avente natura amministrativa con cui stabilisce l’ammontare da restituirsi e la relativa tempistica. Sono peraltro previste forme di riduzione del debito dipendenti dal merito dello studente: se lo studente risulta tra i migliori studenti laureati dell’anno e finisce gli studi nel tempo previsto per il proprio corso di studi, otterrà una riduzione del debito. Viene inoltre premiata la rapidità con cui si concludono gli studi con altre riduzioni progressive (del 20%, 15%, etc)3. Ai sensi dell’art. 18b, comma 3, BAföG, lo studente viene esonerato dall’obbligo di restituire parte del debito ovvero l’importo di 5.000 DM se conclude i propri studi con successo entro i quattro mesi antecedenti alla scadenza della durata massima del sostegno (c.d. “großer Teilerlass” – ovvero “grande esonero parziale”); se li conclude soltanto due mesi prima della scadenza il debito viene ridotto di 2.000 DM (c.d. “kleiner Teilerlass” – “piccola esonero parziale”). Nel caso di specie, il ricorrente, studente in medicina nei nuovi Länder tedeschi, lamentava di non poter usufruire del c.d. “grande esonero parziale” in quanto l’agevolazione presupponeva, nella sostanza, la conclusione degli studi ancor prima della scadenza della durata minima obbligatoria (che deve ovviamente essere rispettata). In Germania, la durata minima obbligatoria del corso di studi nella facoltà di medicina per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione di medico è pari a sei anni (dodici semestri), mentre la durata legale del corso di studi presso la Facoltà di medicina è stabilito in sei anni (durata minima) e tre mesi (periodo di esami). Negli anni, la durata massima del sostegno è stata equiparata alla durata del regolare corso degli studi. In particolare (mentre la durata massima del sostegno era sin dal 1986 pari a tredici semestri), nei nuovi Länder tedeschi, a partire dal 1° gennaio 1991, la durata massima del sostegno è stata determinata in base alla durata legale degli studi. Pertanto, lo studente nei nuovi Länder non poteva mai usufruire del “grande esonero”, visto che doveva rispettare una durata minima obbligatoria del corso di studi pari a dodici semestri, fatto che gli impediva di concludere gli studi quattro mesi prima della scadenza della durata massima del sostegno (equiparata alla durata regolare degli studi: dodici semestri e tre mesi). La riduzione della durata massima del sostegno ha riguardato, a decorrere dall’estate 1993, anche i nuovi studenti di medicina nei vecchi Länder, mentre gli studenti che avevano cominciato gli studi in precedenza potevano usufruire del “grande esonero”, in quanto per loro era ancora prevista la durata massima di agevolazione di 13 semestri. 3 Le riduzioni del debito non vengono effettuate automaticamente, ma solo previa richiesta dello studente e sono riservate solo a studenti di cittadinanza tedesca. Esistono altri casi particolari, in cui il rimborso può essere rinviato o addirittura prescritto: per esempio, se, trascorsi i cinque anni, lo studente risulta disoccupato o con figli a carico di età inferiore ai 10 anni, non deve rimborsare il prestito immediatamente, ma il periodo c.d. “di grazia” viene prolungato. Il ricorrente, che aveva concluso il suo percorso universitario alla fine del dodicesimo semestre ed a cui era stato negato il grande esonero, si era rivolto senza successo alle corti amministrative competenti ed aveva infine adito il Bundesverfassungsgericht. Quest’ultimo ha ritenuto l’art. 18b, comma 3, per. 1, BAföG, nelle versioni applicabili prima e dopo il 1993, contrario al principio di uguaglianza di cui all’art. 3, comma 1, Legge fondamentale (LF), nella misura in cui il combinato disposto relativo alla durata obbligatoria minima degli studi, da un lato, ed alla durata massima di sostegno, dall’altro, ha reso il c.d. “grande esonero” a favore di gran parte degli studenti obiettivamente e sin dall’inizio impossibile. Inoltre, il Tribunale costituzionale ha riscontrato una discriminazione degli studenti nei nuovi Länder e di quelli che hanno iniziato i loro studi nei vecchi Länder dopo l’estate 1993 rispetto agli studenti che hanno cominciato il loro percorso universitario nei vecchi Länder precedentemente e che hanno pertanto potuto usufruire di una durata massima del sostegno di tredici semestri (e, con ciò, anche della possibilità di ottenere il “grande esonero”). Il Tribunale costituzionale federale ha altresì ravvisato un trattamento diseguale tra gli studenti consistente nella discriminazione di coloro che si trovavano nella medesima situazione del ricorrente rispetto agli iscritti ad altre facoltà nelle quali non è prevista una durata minima obbligatoria per svolgere il corso di studi oppure sussiste la possibilità di concludere il corso quattro mesi prima della scadenza della durata massima del sostegno. Le suddette discriminazioni non sono risultate giustificabili nemmeno se viste alla luce dell’ampio margine di apprezzamento e della discrezionalità riconosciuti al legislatore per superare le problematiche inerenti alla riunificazione della Germania. Nei limiti descritti, il Tribunale costituzionale ha dunque imposto la nonapplicazione della normativa vigente ai giudici di merito ed alle autorità amministrative, mentre il legislatore è stato invitato ad introdurre, entro il 31 dicembre 2011, ad una nuova ed equa disciplina della situazione per tutti gli studenti i cui ricorsi (giudiziari e amministrativi) circa il “grande esonero” non siano ancora decisi in via definitiva. Per il caso di specie, il Tribunale costituzionale federale ha annullato la decisione assunta dal giudice amministrativo, in quanto lesiva dei diritti riconosciuti al ricorrente. Di conseguenza, il giudice di merito dovrà nuovamente esaminare la vicenda. 2. Sentenza del 7 settembre 2011 (2 BvR 987/10, 2 BvR 1485/10, 2 BvR 1099/10) Piano di aiuti straordinari alla Grecia – Garanzie fornite dal Governo tedesco a favore della Grecia – Partecipazione della Germania al pacchetto finanziario europeo per la garanzia della solidità dell’euro (EFSF) – Denuncia delle rispettive leggi di approvazione ed altre misure intraprese – Asserita violazione del diritto di voto alle elezioni federali, del diritto di proprietà privata e della libertà personale – Ricorsi diretti – Ammissibilità parziale – Diritto di voto e tutela avverso lo svuotamento delle competenze del Bundestag – Discrezionalità del legislatore in merito alla politica economica e finanziaria – Rigetto dei ricorsi – Interpretazione adeguatrice della disposizione che prevede il coinvolgimento della Commissione bilancio del parlamento – Necessità del previo consenso della Commissione bilancio per l’assunzione di ogni (futura) garanzia che incida sul bilancio federale. In un’attesa sentenza del 7 settembre 2011, il Tribunale costituzionale tedesco ha respinto i primi tre ricorsi diretti (Verfassungsbeschwerden) che miravano a bloccare la partecipazione della Germania ai piani di salvataggio dei paesi indebitati della “zona Euro”, fornendo di fatto le premesse indispensabili per la concreta realizzazione del piano di salvataggio della Grecia4. I ricorsi riguardavano, infatti, gli atti e le misure tedeschi ed europei relativi (i) al piano di aiuti alla Grecia e (ii) al c.d. “paracadute dell’Euro” nell’ambito dell’Unione monetaria (“fondo salva Stati” – EFSF: European Financial Stability Facility). A giudizio del Tribunale, né la legge tedesca che autorizza gli aiuti alla Grecia, la c.d. Währungsunion-Finanzstabilitätsgesetz (ovvero la Legge sull’adozione di misure di garanzia per il mantenimento della capacità di pagamento della Repubblica ellenica, necessaria per la stabilità finanziaria nell’ambito dell’Unione monetaria), né la legge relativa al paracadute dell’Euro attraverso l’assunzione di garanzie nell’ambito di un meccanismo europeo di stabilizzazione (Euro-Stabilisierungsmechanismus-Gesetz) violano il diritto di voto di cui all’art. 38, comma 1, Legge fondamentale (LF)5. Il Bundestag tedesco non ha infatti pregiudicato, con l’approvazione di tali leggi, né la propria competenza di bilancio 4 Si segnala che il Bundesverfassungsgericht ha predisposto un comunicato stampa in relazione alla sentenza anche in lingua inglese, disponibile on line alla pagina http://www.bverfg.de/pressemitteilungen/bvg11-055en.html. 5 Art. 38, comma 1, LF: I deputati del Bundestag sono eletti con elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete. Essi sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati o da istruzioni e sono soggetti soltanto alla loro coscienza. preventivo né l’autonomia di bilancio dei futuri parlamenti tedeschi in maniera tale da porsi in contrasto con la Costituzione tedesca. Il Tribunale ha però stabilito che il Bundestag deve avere voce in capitolo in tutte le decisioni che comportano un aggravio per le finanze dello Stato tedesco. In particolare, il Governo dovrà ricevere l’autorizzazione della Commissione bilancio del Bundestag prima di partecipare a futuri “grandi” pacchetti di aiuti ai paesi dell’Eurozona6. I giudici costituzionali hanno poi evidenziato che il Bundestag non può approvare accordi che mettano a rischio il debito nazionale. 1. Nella sentenza, il Tribunale si è pronunciato con un’unica decisione su tre ricorsi diretti. Due ricorsi sono stati presentati da un gruppo di economisti ed avvocati tedeschi7, ed ha avuto ad oggetto, in particolare, gli aiuti straordinari alla Grecia e la relativa politica monetaria della Germania. Il terzo ricorso è stato presentato dal noto deputato Peter Gauweiler dell’Unione cristiano-sociale (CSU), ed ha riguardato sopratutto la legge nazionale che prevede la partecipazione della Germania al pacchetto finanziario europeo da 440 miliardi di euro chiamato a garantire la solidità della moneta (il c.d. “paracadute dell’euro”), con un volume di garanzia che la Germania è chiamata a prestare pari a 147,6 miliardi di euro. Come noto, gli Stati membri del “gruppo Euro” hanno, su richiesta della 6 “È fondamentale la decisione del Parlamento sia sulle entrate, sia sulle uscite”, ha rilevato il giudice Andreas Vosskuhle, il quale ha altresì precisato che “questo è un elemento centrale all’interno di uno Stato costituzionale ed i parlamentari, come rappresentanti del popolo, devono prendere parte alle decisioni che vengono prese anche all’interno dell’Unione europea e devono esercitare un controllo sulle decisioni fondamentali di bilancio”. 7 Il gruppo dei ricorrenti era composto da cinque euro-scettici: l’ex-presidente del consiglio di amministrazione della Thyssen, l’avvocato Dieter Spethmann, l’esperto di diritto pubblico Karl Albrecht Schachtschneider e gli economisti Joachim Starbatty, Wilhelm Nölling e Wilhelm Hankel. Questi ultimi sono da sempre fermamente convinti dell’errore di aver adottato l’euro come moneta unica e, nello specifico, che la Grecia non sia in grado di far fronte ai debiti contratti con il piano di aiuti nei confronti della Germania e del Fondo monetario internazionale. I ricorrenti Hankel, Starbatty e Schachtschneider sono gli stessi che nel 1998 avevano presentato, senza successo, un ricorso al Tribunale costituzionale federale avverso la decisione del Governo tedesco di partecipare alla costituzione dell’Unione economica e monetaria europea. All’epoca venne richiesta anche un’ordinanza sospensiva del Tribunale, in quanto e fintanto che non fosse rigorosamente garantito il rispetto di tutti i criteri sanciti dal Patto di convergenza, senza alcuna indulgenza nei confronti di una “gestione creativa del bilancio degli Stati membri”, ovvero di altre forme di “manipolazione per il calcolo del prodotto interno lordo”. Il Prof. Schachtschneider è inoltre l’estensore di uno dei due ricorsi riuniti dal Tribunale costituzionale federale nella sentenza Maastricht e di uno dei ricorsi avverso la legge di ratifica del Trattato di Lisbona parzialmente accolto con il Lissabon-Urteil. Lo stesso Schachtschneider è, infine, autore di un’impugnativa presentata – anche questa senza successo – nel mese di ottobre del 2008 da un gruppo di cittadini austriaci alla Corte costituzionale di Vienna, tesa a dimostrare l’incompatibilità del Trattato di Lisbona e di tutti i Trattati europei ratificati dall’Austria con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale austriaco. Cfr. A. ZEI, Un colpo al cerchio e uno all’Europa: la Germania dopo la sentenza Lisbona, in federalismi.it, n. 13/2011. Grecia, e nell’ambito di un piano triennale del Fondo monetario internazionale, reso disponibili aiuti finanziari notevoli ed assicurato di sostenere la Grecia con prestiti bilaterali. Il Governo tedesco ha acconsentito a partecipare, assieme agli altri Stati membri dell’Unione europea, al piano di risanamento del bilancio della Grecia ed a contribuire alla costituzione di un fondo europeo di garanzia. Al fine di poter porre in essere le misure necessarie a livello nazionale, il Bundestag tedesco ha approvato una legge avente ad oggetto la prestazione da parte del Governo tedesco di garanzie alla Grecia fino ad un importo di 22,4 miliardi di euro. Si tratta della già citata Währungsunion-Stabilitätsgesetz del 7 maggio 2010. Inoltre, è stata approvata la menzionata Euro-Stabilisierungsmechanismus-Gesetz del 22 maggio 20108, ovvero la “Legge sull’adozione di misure di garanzia nel quadro di un meccanismo di stabilizzazione europeo”, che prevede un impegno di 123 miliardi di euro per la costituzione di un fondo europeo di garanzia, ai sensi del regolamento n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio 2010, che istituisce un meccanismo di stabilizzazione finanziaria (Gesetz zur Übernahme von Gewährleistungen im Rahmen eines europäischen Stabilisierungsmechanismus). I ricorrenti miravano a bloccare la partecipazione della Germania ai detti aiuti per la Grecia avanzando, in due casi, anche istanze cautelari9. Denunciavano una violazione dei diritti costituzionalmente garantiti in conseguenza delle misure deliberate nell’ambito dell’Ecofin e del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea per fronteggiare il rischio di insolvenza della Repubblica ellenica, nonché dei provvedimenti attuativi approvati dal legislatore federale. I ricorrenti sostenevano, in particolare, che le leggi di approvazione fossero in contrasto con i loro diritti di cui agli artt. 38, comma 1, LF (diritto di voto alle elezioni del Bundestag: si denunciava quindi una lesione del “diritto al rispetto del principio democratico” iscritto in tale disposizione), 14, comma 1, LF (tutela della proprietà privata)10, e 2, comma 1, LF11 (diritto al libero sviluppo della personalità, 8 Tale legge è stata approvata sia dal Bundestag che dal Bundesrat il 21 maggio 2010, ed è stata promulgata il 22 maggio 2010. 9 Ai sensi dell’art. 32, comma 1, BVerfGG (Legge sul Tribunale costituzionale federale), il Tribunale costituzionale federale può regolare transitoriamente una situazione controversa con provvedimento provvisorio, quando ciò sia urgentemente richiesto per evitare gravi conseguenze, per fronteggiare un pericolo imminente o per altro importante motivo di interesse pubblico. Le due istanze cautelari connesse ai ricorsi diretti (2 BvR 987/10 e 2 BvR 1099/10) sono già state respinte, rispettivamente il 7 maggio 2010 (v. il Bollettino di informazione sull’attualità giurisprudenziale sovranazionale e straniera del Servizio Studi, Parte II, maggio 2010) ed il 9 giugno 2010 (cfr. Bollettino di informazione sull’attualità giurisprudenziale sovranazionale e straniera del Servizio Studi, Parte II, giugno 2010). 10 Art. 14, comma 1, LF: La proprietà e il diritto di successione sono garantiti. Contenuto e limiti vengono stabiliti dalla legge. 11 Art. 2, comma 1, LF: Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, nella misura in cui non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale. quest’ultimo inteso come garanzia di una riserva di legge e dunque di un “diritto al diritto”, violato dalla sostanziale “ingiustizia della politica degli aiuti finanziari agli Stati membri dell’Eurogruppo che presentano difficoltà di bilancio”12). Secondo i ricorrenti, le misure eccezionali assunte per fronteggiare il rischio di un default della Grecia ed i nuovi strumenti introdotti dal Consiglio dell’Unione europea per garantire una maggiore stabilità finanziaria all’interno dell’Eurozona non troverebbero alcun fondamento normativo nei Trattati, e pertanto tali atti risulterebbero ultra vires. Gli estensori del Trattato di Maastricht, infatti, non avrebbero previsto l’ipotesi di una crisi del debito sovrano all’interno della zona euro, e tale ipotesi non sarebbe stata regolata neppure dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (cfr. anche l’art. 125 di tale Trattato, relativamente alla c.d. clausola no-bail-out, che escluderebbe qualunque obbligazione finanziaria tra gli Stati, anche nell’ipotesi di un default nazionale). Mentre per i Governi nazionali le misure approvate sarebbero giustificabili accogliendo un’interpretazione estensiva dell’art. 122 TFUE, che contempla la possibilità di fornire assistenza finanziaria ad uno Stato colpito o minacciato da “circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo”, per i ricorrenti si tratterebbe invece di una sostanziale violazione dei Trattati ratificati dalla Repubblica federale di Germania e siffatti provvedimenti avrebbero richiesto, semmai, una formale procedura di revisione dei Trattati e l’approvazione di una legge di ratifica da parte del Parlamento tedesco, con le procedure ed i limiti prescritti dall’art. 23, comma 113, e dall’art. 79 LF14 per le leggi di revisione 12 Il presupposto per l’invocazione dell’art. 2, comma 1, LF è che ogni provvedimento che violi la sfera della libertà individuale si legittima solo nella misura in cui esso sia conforme all’ordinamento, e dunque là dove non risultino violate le norme vigenti del diritto nazionale ed europeo: cfr. A. ZEI, op. cit. 13 Art. 23, comma 1, LF: Al fine di realizzare un’Europa unita, la Repubblica federale di Germania concorre allo sviluppo dell’Unione europea, che è vincolata al rispetto di principi democratici, dello Stato di diritto, sociali e federativi, e del principio di sussidiarietà, garantendo una tutela dei diritti fondamentali sostanzialmente equivalente a quella assicurata da questa Legge fondamentale. La Federazione può a tal fine, mediante legge che richiede l’assenso del Bundesrat, conferire diritti di supremazia. Alla fondazione dell’Unione europea, ai mutamenti delle sue basi pattizie ed alle disposizioni analoghe che comportino o consentano modifiche o integrazioni del contenuto di questa Legge fondamentale si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 79. 14 Art. 79 LF: (1) La Legge fondamentale può essere modificata solo da una legge che modifichi o integri espressamente il testo della Legge fondamentale. In caso di trattati internazionali che hanno per oggetto un regolamento di pace, la preparazione di un regolamento di pace o l’eliminazione di un regime di occupazione, oppure che sono diretti ad assicurare la difesa della Repubblica federale, è sufficiente un’integrazione del testo della Legge fondamentale che si limiti a chiarire che le disposizioni della Legge fondamentale non si oppongono alla conclusione ed all’entrata in vigore dei trattati medesimi. costituzionale15. 2. Il Tribunale costituzionale federale, sebbene abbia ritenuto che le leggi scrutinate non fossero in contrasto con la Costituzione tedesca, ha tuttavia evidenziato come l’art. 1, comma 4, della “Euro-StabilisierungsmechanismusGesetz” sia da ritenersi compatibile con la Legge fondamentale solo in ragione di un’interpretazione adeguatrice dello stesso. Ad avviso del Tribunale, la disposizione deve, infatti, essere interpretata nel senso che il Governo federale deve obbligarsi, prima di assumere le garanzie finanziarie previste da tale legge, ossia nell’ambito del sistema di stabilizzazione europeo, ad ottenere un previo consenso da parte della Commissione bilancio del Bundestag. Il Tribunale ha stabilito anche i limiti costituzionali per autorizzare l’assunzione di garanzie in favore degli altri Stati nell’Unione europea. 3. La decisione, resa con 7 voti contro 1, si basa essenzialmente sulle considerazioni che di seguito vengono sintetizzate. a) Ammissibilità Ad avviso dei giudici costituzionali, i ricorsi diretti sono ammissibili solo nella misura in cui lamentano una violazione del diritto di voto di cui all’art. 38, comma 1, LF16 per la perdita sostanziale del relativo potere di decisione (2) Una tale legge richiede l’assenso di due terzi dei componenti del Bundestag e di due terzi dei voti del Bundesrat. (3) Non è consentita alcuna modifica della presente Legge fondamentale che riguardi l’articolazione della Federazione in Länder, la partecipazione in linea di principio dei Länder alla legislazione o i principi stabiliti negli articoli 1 e 20. 15 Si ricorda che, nel frattempo, il Consiglio dell’Unione europea ha modificato il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e che oggi il nuovo articolo 136, comma 3, TFUE offre agli Stati membri dell’Eurozona (e non all’Unione) un fondamento normativo per l’istituzione di un meccanismo permanente di stabilizzazione dell’area-euro, anche se il tenore dell’art. 125 TFUE non è cambiato. Resta il fatto, secondo i ricorrenti, che un impegno finanziario di tale entità, e di durata pluriennale, inficerebbe comunque la responsabilità del Parlamento tedesco per la politica di bilancio ed il benessere della collettività, e si sostanzierebbe in una violazione del diritto alla proprietà privata tutelato dall’art. 14, comma 1, LF. Le conseguenze attese sarebbero, infatti, misurabili in termini di inflazione e crisi monetaria, e dunque sostanzialmente assimilabili ad un “esproprio per larghi strati della popolazione”: cfr. A. ZEI, op. cit. 16 A partire dalla sentenza Maastricht, il Tribunale costituzionale federale ha interpretato il diritto di voto per le elezioni del Bundestag, disciplinato dall’art. 38, comma 1, LF, come il “diritto di partecipare alla legittimazione democratica”, ponendo l’accento sul significato delle istituzioni parlamentari in quanto presupposto dello stato di diritto e delle garanzie iscritte nell’art. 79, comma 3, LF. Nella sentenza del 30 giugno 2009 si legge che “il diritto di voto fonda una pretesa di autodeterminazione democratica, di libera ed eguale partecipazione al potere statale esercitato in Germania” e che “l’esame di una violazione del diritto di voto include nella costellazione processuale anche le violazioni dei principi che l’art. 79, comma 3, della Legge fondamentale attesta quale identità della Costituzione”. (Herrschaftgewalt) dei cittadini (costituzionalmente tutelato), che si verrebbe a realizzare a causa di un ampio o addirittura completo trasferimento e svuotamento di competenze e poteri del Bundestag. L’art. 38, comma 1, LF impedisce infatti lo svuotamento delle competenze e dei poteri che fanno capo all’attuale Bundestag o a quelli futuri, poiché una simile evenienza impedirebbe, sotto un profilo giuridico, la realizzazione della volontà politica dei cittadini. Il rischio di uno svuotamento del diritto di voto è, ad avviso del Tribunale, da considerarsi, in via generale, concreto ed imminente, nei casi in cui la Repubblica federale di Germania rilascia garanzie per l’attuazione degli impegni assunti nell’ambito degli accordi internazionali intervenuti per mantenere la liquidità degli Stati membri dell’Unione monetaria. Il Tribunale ha invece ritenuto di non essere competente per stabilire quali siano le condizioni che possano permettere di fondare sull’art. 38, comma 1, per. 1, LF i ricorsi promossi contro le modifiche del diritto primario dell’Unione al di fuori dei Trattati. Viene comunque sottolineato al riguardo che i ricorrenti non hanno allegato alcuna circostanza concreta che potesse far desumere che con l’adozione delle misure contestate si fosse realizzata una tale modifica “extracontrattuale” del diritto primario dell’Unione. Inoltre, secondo il Tribunale, i ricorrenti non hanno dedotto alcun fatto o alcuna prova concreta idonea a dimostrare che gli atti contestati e le misure intraprese abbiano comportato una lesione dei diritti di cui all’art. 14 LF (diritto alla proprietà privata) ovvero abbiano pregiudicato in maniera obiettiva e rilevante il potere d’acquisto della moneta unica. Infine, i ricorsi sono inammissibili sotto il profilo oggettivo, nella misura in cui non si riferiscono alle due pertinenti leggi del Bundestag tedesco bensì ad atti e misure adottati dall’Ue e dai suoi organi. b) Esame nel merito L’art. 38 LF, in combinazione con i principi della democrazia (art. 20, comma 1 e comma 217, art. 79, comma 3, LF), esige che le decisioni in merito alle entrate ed uscite della mano pubblica rimangano, come parte essenziale della autodeterminazione democratica dello Stato costituzionale, in capo al Bundestag tedesco. Anche in un sistema ove si governa in maniera intergovernativa, i deputati, quali rappresentanti eletti dal popolo, devono mantenere il controllo sulle In questa maniera si è aperta la strada per l’ammissibilità di un ricorso individuale laddove le prerogative del Parlamento vengano trasferite all’Unione europea in un modo e una misura tali da inficiare il principio della legittimazione democratica dei pubblici poteri. Cfr. A. ZEI, op.cit. 17 Art. 20 LF: (1) La Repubblica Federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale. (2) Ogni potere dello Stato emana dal popolo. È esercitato dal popolo con elezioni e votazioni e per mezzo di appositi organi della legislazione, del potere esecutivo e della giurisdizione. decisioni fondamentali della politica di bilancio. In tal senso, il Bundestag tedesco non è legittimato a prevedere alcun meccanismo di natura finanziaria che possa comportare oneri significativi per il bilancio le cui conseguenze non risultino prevedibili, senza un apposito e previo consenso costitutivo dello stesso Bundestag. Quest’ultimo, nella sua qualità di legislatore, non è quindi legittimato ad istituire meccanismi durevoli di diritto sovranazionale che comportino una assunzione di responsabilità per decisioni ed atti di volontà di altri Stati, soprattutto se tali decisioni ed atti sono forieri di conseguenze ed effetti futuri che sono difficilmente calcolabili. Ogni misura di aiuto solidale che abbia un certo rilievo in ambito internazionale o nell’Unione europea ed effetti sul bilancio del Bund deve essere approvata nel dettaglio da parte del Bundestag. Una sufficiente influenza parlamentare deve essere garantita anche con riferimento alle modalità con cui si gestiscono i mezzi a disposizione. Il Tribunale, cui non è consentito, alla luce della situazione processuale di partenza, l’esame delle leggi contestate in base alle disposizioni dell’Unione europea, ha osservato comunque che i Trattati europei non sono contrari ad una definizione dell’autonomia del bilancio nazionale alla stregua di una di quelle competenze da ritenersi essenziale e non trasferibile da parte dei parlamenti degli Stati membri direttamente e democraticamente legittimati, ma anzi la presuppongono. Secondo il Tribunale, è proprio il rispetto rigoroso dei Trattati europei che garantisce che gli atti adottati dagli organi dell’Unione europea in e per la Germania abbiano una sufficiente legittimazione democratica. Al riguardo, si evidenzia come la concezione contrattuale dell’Unione monetaria come “comunità di stabilità” (Stabilitätsgemeinschaft) sia stata la base e l’oggetto della legge tedesca di approvazione, come tra l’altro già sottolineato dal Bundesverfassungsgericht nella sentenza Maastricht (BVerfGE 89, 155 <205>). c) Conclusioni In un sistema fondato sulla separazione dei poteri, il Bundesverfassungsgericht non deve sostituirsi al legislatore nell’accertare se vi sia stato un trasferimento vietato di competenza in materia di autonomia di bilancio. Esso deve piuttosto limitare il proprio scrutinio delle garanzie approntate all’eventuale violazione dei limiti entro cui queste possono essere concesse. Al legislatore spetta un margine di discrezionalità nel valutare l’eventuale possibilità di dover essere chiamati a rispondere dei prestiti garantiti (probabilità dell’escussione delle garanzie); valutazione, questa, che deve essere rispettata dal Tribunale costituzionale federale; in altre parole, la discrezionalità nella valutazione, ossia la “prognosi” del legislatore, può essere oggetto di controllo da parte del Tribunale solo in misura limitata, ossia nei casi in cui le valutazioni del legislatore siano soggette a palese confutazione. Ciò vale anche con riferimento alla prognosi espressa sulla futura capacità del bilancio federale e della capacità di rendimento economico della Repubblica federale di Germania. In considerazione di tale deferenza nei confronti della valutazione del legislatore nonché delle norme di diritto costituzionale (che, nella specie, sono state correttamente applicate, ad avviso del Tribunale) sia la Währungsunion-Finanzstabilitätsgesetz che la Euro-StabilisierungsmechanismusGesetz risultano compatibili con la Legge fondamentale. Secondo il giudizio del Tribunale, il Bundestag non ha svuotato la propria competenza di bilancio preventivo in una maniera illegittima ovvero incostituzionale né ha dimidiato il contenuto del principio democratico. Non si può, ad avviso dei giudici costituzionali, affermare che l’importo delle garanzie assunte ecceda i limiti dell’aggravio del bilancio in maniera tale da negare l’autonomia di bilancio. La valutazione del legislatore, secondo cui le autorizzazioni delle garanzie per un importo complessivo di circa 170 miliardi di euro sono affrontabili da parte del bilancio federale, non eccede il margine discrezionale di valutazione del legislatore e non è quindi censurabile dal punto di vista costituzionale. Lo stesso vale con riferimento alla valutazione svolta dal legislatore secondo cui le eventuali perdite che si verrebbero a realizzare in caso di escussione delle garanzie prestate sarebbero in ogni caso ri-finanziabili tramite l’aumento delle entrate, tagli di spesa ovvero con i titoli di stato. Attualmente, non sussiste alcun motivo per assumere la sussistenza di un processo irreversibile con conseguenze per l’autonomia di bilancio del Bundestag tedesco. La legge tedesca di approvazione del Trattato di Maastricht, nella versione del Trattato di Lisbona, assicura ancora oggi in maniera sufficientemente chiara dal punto di vista costituzionale che la Repubblica federale di Germania non si assoggetta ad un automatismo incalcolabile ed ingestibile partecipando ad una comunità di responsabilità solidale. Nessuna delle leggi contestate crea o rafforza un automatismo con cui il Bundestag si sbarazzerebbe della propria competenza di bilancio preventivo. La Währungsunion-Finanzstabilitätsgesetz limita l’autorizzazione delle garanzie in base al loro ammontare, indica lo scopo per cui le garanzie possono essere approntate, disciplina in certa misura le modalità dell’erogazione e provvede a che determinati accordi con la Grecia fungano da base per l’assunzione della garanzia. Con ciò il contenuto dell’autorizzazione delle garanzie è stato ampiamente determinato. Inoltre, la Euro-Stabilisierungsmechanismus-Gesetz non specifica solamente lo scopo e le modalità basilari, ma anche il volume di eventuali garanzie. La loro assunzione è possibile solo durante un determinato periodo di tempo e dipende dalla conclusione di un accordo sul programma della politica economica e finanziaria con lo Stato membro direttamente interessato. Si esige altresì l’approvazione unanime degli Stati della Eurozona. Con ciò è stata assicurata una determinata influenza del Governo federale. Tuttavia, il Tribunale ha rimarcato che la formulazione dell’art. 1, comma 4, per. 1, della legge da ultimo citata impone al Governo federale soltanto di adoperarsi al fine di ottenere il consenso della Commissione bilancio del Bundestag prima di assumere delle garanzie finanziarie. Ciò non è stato ritenuto sufficiente. Per garantire l’autonomia parlamentare di bilancio, la legge deve pertanto essere interpretata nel senso che il Governo federale debba essere, in linea di principio, obbligato ad ottenere il previo consenso della Commissione bilancio prima di assumere qualsiasi garanzia. In altre parole, gli atti e le misure di aiuto intrapresi sono costituzionali a condizione che la Commissione bilancio approvi ogni singolo versamento. I versamenti non devono essere automatici18: il parlamento deve avere il pieno controllo del processo di pagamento da parte della Germania. Il Tribunale ha, infatti, affermato l’illegittimità di qualsiasi meccanismo automatico di decisione da parte dell’esecutivo. In sostanza, eventuali nuovi aiuti ai Paesi della Eurozona dovranno essere chiaramente definiti nella forma e nella dimensione per essere sottoposti al giudizio preventivo del Bundestag. Non ci si potrà più limitare ad informare la Commissione bilancio in nome di una generica trasparenza, ma occorrerà, al contrario, ottenere il consenso della Commissione stessa. Da questo momento, quindi, il Bundestag – da cui dipende la Commissione – assume una sorta di diritto di veto sui piani di salvataggio europei. Un privilegio non trascurabile, che rischia di rendere ancora più complicate le trattative che accompagnano la formulazione dei piani di intervento, in un momento, tra l’altro, di generale sfiducia nei confronti di alcuni esecutivi stranieri. È innegabile che la decisione del Tribunale abbia un particolare rilievo: l’euro è stato “salvato”, quanto meno sul piano giuridico. Un giudizio negativo avrebbe, fra le altre cose, messo in dubbio la possibilità della Banca centrale europea di acquistare titoli di Stato emessi nell’Eurozona, ciò che avrebbe certamente aggravato la crisi della moneta unica. Lo stesso Bundestag aveva rinviato l’inizio del dibattito sulla finanziaria ad un momento successivo alla decisione e voterà a fine settembre sulle modifiche al “fondo di salvataggio salva-Stati” EFSF, ovvero sull’aumento della partecipazione della Germania all’EFSF a 211 miliardi (vale a dire ad una cifra pari a due terzi del bilancio del paese, cui si aggiungono 22 miliardi di aiuti bilaterali alla Grecia). Una sentenza di rigetto era, dunque, una premessa fondamentale perché il Bundestag potesse votare sulle decisioni adottate lo scorso 21 luglio nel corso della riunione straordinaria dei leader della zonaeuro. 18 Il giudice Voßkuhle ha precisato che “il fatto che [la partecipazione della Germania] sia stata approvata, non significa che sia stata data carta bianca da un punto di vista costituzionale ad ulteriori piani di salvataggio”. REGNO UNITO a cura di Sarah Pasetto 1. Al Rawi and others (Respondents) v The Security Service and others (Appellants), del 13 luglio 2011 [2011] UKSC 34 Sicurezza nazionale – Asserito consenso delle autorità britanniche alla detenzione illegale, alla consegna ed alla sottoposizione a maltrattamenti – Azione civile di risarcimento danni – Difesa delle autorità fondata in parte su materiale riservato – Istanza rivolta allo svolgimento di una procedura “a porte chiuse” – Corte suprema – Impossibilità di procedere “a porte chiuse” senza una espressa previsione legislativa in tal senso – Rigetto dell’istanza. La Corte suprema ha affermato che una corte non può disporre l’avvio della procedura relativa a materiali riservati (c.d closed material procedure) nell’ambito delle azioni civili per il risarcimento di danni. Al Rawi ed altri, parti convenute dinanzi alla Corte suprema, hanno asserito di essere stati detenuti e consegnati illegalmente ad autorità di polizia straniere, le quali li hanno sottoposti a maltrattamenti, col consenso delle parti ricorrenti di fronte alla Corte, ovvero il Servizio di sicurezza nazionale britannico ed altri organi dello Stato. Prima dell’udienza di trattazione, le parti hanno raggiunto un accordo in via extragiudiziale; ciò nondimeno, la Corte suprema ha accettato di pronunciarsi in merito alla questione, al fine di chiarire il diritto vigente in materia di procedure riservate. La tesi del Security Service era fondata sull’esistenza di materiale riservato, che non poteva essere divulgato alle parti convenute; poiché, però, non si escludeva in modo assoluto di sottoporlo alla corte, è stata richiesta l’istituzione di due procedimenti “paralleli”, di cui uno avrebbe seguito la procedura ordinaria in materia di risarcimento, e l’altro invece le disposizioni per lo svolgimento delle closed material procedures, nelle quali una delle parti della controversia può richiedere l’esclusione dell’altra (e dei suoi rappresentanti legali), se la divulgazione del materiale in proprio possesso rischia di comportare la lesione dell’interesse pubblico. In tal caso, gli interessi delle parti escluse vengono tutelati da un avvocato speciale (c.d. special advocate) ad hoc, il quale ha la facoltà di visionare il materiale ma non può ricevere istruzioni dalle parti che rappresenta1. Le parti pubbliche hanno affermato che la mole del materiale riservato era tale che il tempo necessario per la valutazione da parte del giudice sarebbe stato 1 Ulteriori dettagli circa lo svolgimento delle closed material procedures non pertinenti al caso di specie saranno trattati nella segnalazione successiva, relativa al caso Home Office v Tariq. eccessivo. A loro avviso, il diritto ad un equo processo sarebbe, effettivamente, assoluto, ma l’attuazione di un tale diritto potrebbe variare a seconda delle circostanze concrete. In linea di principio, un processo giusto ed equo si potrebbe ottenere solamente per mezzo di udienze, procedimenti e sentenze interamente pubblici ed aperti. Tuttavia, in alcune circostanze, sarebbe possibile farsi luogo solamente ad una procedura riservata, come ad esempio nei casi in cui fossero coinvolti gli interessi di minori oppure venissero in rilievo informazioni riservate. Non sussisterebbe, pertanto, alcun motivo per cui una corte non potrebbe essere in grado di disporre una procedura riservata anche in altre categorie di casi, come quello di specie, in cui la pubblicità della procedura impedisce al convenuto di formulare una difesa completa. Altrimenti detto, in circostanze eccezionali, una corte dovrebbe poter instaurare una closed material procedure, in luogo della procedura usuale, che prevedrebbe una valutazione del materiale in base all’interesse pubblico. Non esistendo alcuna legge al riguardo, ad avviso dei ricorrenti, dovrebbe farsi riferimento ad un consolidato orientamento giurisprudenziale in tal senso e l’evoluzione sarebbe stata dunque avvalorata dal common law. Le parti private si sono opposte all’instaurazione di un tale tipo di procedimento. A loro avviso, le corti avrebbero dovuto seguire la procedura ordinaria, che prevede la possibilità per il governo di invocare l’immunità del materiale fondata sull’interesse pubblico (c.d. public interest immunity); in questo caso, la fondatezza dell’invocazione dell’immunità, e dunque la riservatezza del materiale, sarebbero state assoggettate all’approvazione da parte del giudice, pronunciata eventualmente in seguito ad un esame del materiale in questione. Se la pubblicità dei processi è un aspetto fondamentale del sistema di giustizia britannico, l’introduzione della procedura riservata in questo ambito avrebbe costituito una innovazione talmente significativa che poteva essere introdotta soltanto dal Parlamento. La corte di prima istanza ha accolto la richiesta del Security Service, ed ha emesso una dichiarazione diretta a consentire l’avvio di una closed material procedure nell’ambito in un’azione civile per il risarcimento danni. La Court of Appeal ha invece respinto la richiesta. Anche la Corte suprema, con una maggioranza di sei giudici contro tre, ha respinto la richiesta del Security Service. Lord Dyson, redattore della opinion principale, ha ricordato che, come dimostrato da un sostanziale corpus giurisprudenziale, la pubblicità dei processi e lo svolgimento degli stessi secondo i criteri della natural justice (che sancisce il diritto a conoscere le contestazioni e le prove avanzate nei propri confronti ed il diritto di confrontarsi con il proprio accusatore nel contesto di un processo fondato sul contraddittorio) sono effettivamente principi cardinali del processo di common law. Alla luce di una tale giurisprudenza, non esisteva alcun potere derivante dal common law che permettesse alle corti di sostituire una valutazione giudiziaria circa la sussistenza del public immunity interest con l’instaurazione di una closed material procedure, soprattutto in assenza di una previsione legislativa in proposito, che risultava essere indefettibile. Lord Dyson ha richiamato l’esistenza, nell’ordinamento britannico, del potere delle corti di disciplinare la procedura da seguire dinanzi a loro; esse sono dunque in grado di introdurre modifiche procedurali, se ciò corrisponde agli interessi della giustizia. Tuttavia, le corti non possono esercitare un tale potere in modo da negare alle parti, come nel caso della procedura riservata, il loro diritto ad un equo processo sancito dal common law ed il relativo diritto a confrontarsi in contraddittorio, giacché solo il Parlamento potrebbe farlo. Così, d’altronde, ha stabilito anche la House of Lords, in una sentenza del 2008 (Davis). L’operato degli special advocates, d’altro canto, avrebbe solo in parte mitigato tali problematiche: una closed material procedure non poteva dunque in alcun modo ritenersi una evoluzione in melius della procedura relativa al public interest immunity. Con riguardo alla tesi secondo cui una corte può disporre l’avvio di una closed material procedure in assenza di previsioni legislative, la Corte suprema ha affermato che la giurisprudenza invocata dal Security Service al riguardo era priva di analisi volte ad accertare la compatibilità delle closed material procedures con il common law. Inoltre, le closed material procedures impongono l’abbandono dei principi, fondamentali, della giustizia pubblica e naturale di cui sopra: il Parlamento, con legge, ha permesso di derogare a tali principi esclusivamente in alcuni casi tassativamente indicati, anche in risposta alle crescenti esigenze di bilanciamento di due interessi pubblici, l’uno consistente nel mantenimento di un sistema di giustizia equo e l’altro nella tutela della sicurezza nazionale. Una interpretazione espansiva dell’ambito di applicazione di un iter controverso quale la closed material procedure non era di competenza delle corti, ma, eventualmente, solo del Parlamento. Lord Mance, Lady Hale e Lord Clarke hanno dissentito, sostenendo che, in talune circostanze, le corti possono avviare una closed material procedure. Ad avviso dei primi due giudici, le corti possono disporre una tale procedura solamente se è il convenuto a produrre il materiale riservato, ed il ricorrente dà il proprio consenso al fine di evitare l’improcedibilità del ricorso. Per Lord Clarke, successivamente ad una valutazione giudiziaria del materiale riservato fondata sull’interesse pubblico, le parti avrebbero dovuto godere della facoltà di presentare le proprie deduzioni circa la modalità da seguire nella prosecuzione del giudizio, modalità che poteva comprendere anche una closed material procedure. La Corte ha omesso di decidere la questione della possibilità di avviare una closed material procedure con il semplice consenso di entrambe le parti, che rimane dunque aperta. 2. Home Office (Appellant) v Tariq (Respondent), del 13 luglio 2011 [2011] UKSC 35 Sicurezza nazionale – Procedimento disciplinare in materia di lavoro – Procedura “a porte chiuse” – Asserita violazione della normativa dell’Unione europea e della CEDU in materia di parità di trattamento e di equo processo – Riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU – Riconoscimento di adeguate garanzie per il soggetto – Delimitazione del diritto a conoscere le contestazioni mosse nei confronti del soggetto ai soli casi in cui si prospetti una pena privativa della libertà. L’esclusione, operata nell’interesse della sicurezza nazionale, di un lavoratore da alcune fasi del procedimento disciplinare è lecita e compatibile con la normativa dell’Unione europea e con la CEDU. L’Employment Tribunals Act 1996 e la relativa normativa di attuazione, gli Employment Tribunals (Constitution and Rules of Procedure) Regulations 20042, conferiscono ai tribunals (nonché ai ministri competenti per materia) la facoltà di istituire, nell’interesse della sicurezza nazionale, “procedimenti relativi a materiale riservato” (c.d. closed material procedure), che prevedono alcune fasi dalle quali il lavoratore ed i suoi legali sono esclusi; in queste fasi, gli interessi del lavoratore sono rappresentati, nella misura in cui è possibile, da un “avvocato speciale” (c.d. special advocate) ad hoc. Il convenuto dinanzi alla Corte suprema, Tariq, era un ufficiale addetto all’immigrazione (Immigration Officer) impiegato del Ministero degli interni britannico (Home Office), di religione musulmana e di origine pachistana. Nel 2006, era stato sospeso dall’incarico e la sua abilitazione a trattare informazioni, documenti o materiali classificati come riservati era stata revocata, in base all’arresto di suo fratello e di suo cugino per il loro presunto coinvolgimento nella pianificazione di un attentato terroristico aereo, mai portato a termine. Successivamente, il fratello era stato scagionato, mentre il cugino era stato giudicato colpevole e condannato all’ergastolo. Dalle indagini relative all’attentato, non era emerso alcun particolare che indicasse alcuna forma di partecipazione del convenuto. Tariq ha fatto ricorso all’Employment Tribunal (Tribunale del lavoro) adducendo che le decisioni del Ministro degli interni erano direttamente ed indirettamente discriminatorie in base alla razza ed alla religione3, in quanto 2 Si vedano in particolare la Section 10(6) dell’Act e gli Schedules 1 (Rule 54(2)) e 2 delle Regulations. 3 Ai sensi del Race Relations Act 1976 e gli Employment Equality (Religion or Belief) Regulations 2003, atti di recepimento, rispettivamente, della Direttiva del Consiglio 2000/43/CE del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone motivate da stereotipi, come ad esempio una maggiore assoggettabilità ad intimidazione del soggetto per il suo essere di religione musulmana e di origine pachistana. Il Ministero ha replicato che le decisioni relative alla sospensione erano fondate sui legami tra il convenuto ed individui sospettati di coinvolgimento in attività terroristiche e sul rischio conseguente che il convenuto, subendo da loro pressioni indebite, abusasse dei privilegi inerenti al proprio impiego. L’Employment Tribunal adito dal convenuto ha ritenuto di dover emettere un’ordinanza di attivazione della closed material procedure4. Tariq ha impugnato l’ordinanza, dapprima dinanzi all’Employment Appeal Tribunal e successivamente presso la Court of Appeal; in entrambi i casi la richiesta è stata respinta; la Court of Appeal ha però emesso una dichiarazione nella quale si è affermato che, ai sensi dell’art. 6 della CEDU, il convenuto doveva essere messo al corrente delle denunce avanzate nei suoi confronti, in maniera sufficientemente dettagliata da consentirgli di preparare, assieme ai suoi legali, una difesa adeguata (c.d. gisting). Il Ministero ha fatto ricorso presso la Corte suprema contro la dichiarazione della Court of Appeal, mentre Tariq ha impugnato il rigetto della propria richiesta. Con una maggioranza di otto giudici contro uno, la Corte suprema ha accolto il ricorso del Ministero ed ha, al contempo, nuovamente rigettato la richiesta di Tariq, affermando che tali procedures sono pienamente compatibili con il diritto dell’Unione europea e con l’art. 6 della CEDU. In merito alla richiesta di Tariq, la Corte suprema doveva pronunciarsi, sostanzialmente, sulla compatibilità delle closed material procedures con le relative norme dell’Unione europea e della CEDU. La Corte ha innanzitutto affermato che le tesi relative alla discriminazione avanzate da Tariq non erano rilevanti, poiché la normativa in questione riguardava diritti sostanziali, mentre la liceità delle closed material procedures è una questione essenzialmente di diritto procedurale. Peraltro, secondo un principio basilare del diritto europeo, gli ordinamenti degli Stati membri devono essere in grado di fornire un’adeguata tutela dei diritti sanciti dal diritto europeo, tra cui il diritto a non essere soggetti a discriminazioni per motivi di razza o di religione. Nella valutazione dell’efficacia delle closed material procedures, la giurisprudenza della Corte di giustizia, corroborata dalle disposizioni del Trattato sull’Unione europea e dalla prospettiva indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, e della Direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Entrambi gli atti britannici contengono un articolo secondo il quale nessun atto posto in essere a tutela della sicurezza nazionale può contravvenire a quanto da essi previsto. 4 Può essere interessante precisare che l’ordinanza era stata richiesta dal Ministro degli interni; come sottolineato da Lord Mance, redattore della opinion principale, il Ministro non si è avvalso della facoltà di indire direttamente un closed material procedure, presumibilmente per evitare che una tale decisione fosse assoggettata al controllo giurisdizionale (paragrafo 11 della sua opinion) e si prospettasse una violazione dell’art. 6 della CEDU. dell’adesione dell’UE stessa alla CEDU, stabilisce chiaramente la possibilità (e la necessità) di far riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU. Secondo la Corte suprema, nell’orientamento giurisprudenziale – al quale si è aggiunto, da ultimo, il caso Kennedy c. Regno Unito (del 2010)5 –, la Corte di Strasburgo ha stabilito che la tutela della sicurezza nazionale può rendere necessaria l’adozione di un sistema di risoluzione delle controversie nel quale si neghi, ad un individuo, l’accesso al materiale sul quale si fondano le denunce mosse nei suoi confronti; ciò è possibile, però, solamente se il ricorso ad una tale procedura è necessario e se si prevedono forme adeguate di tutela dei diritti umani. Facendo proprio questo orientamento, la Corte suprema ha ritenuto che, nel caso di Tariq, fossero soddisfatte entrambe le condizioni. Il tipo di procedura scelta era necessario, poiché si toccava l’argomento particolarmente delicato dei controlli di sicurezza effettuati sul personale. In tale contesto, sia l’integrità delle fonti di informazione sul personale, sia i mezzi impiegati per ottenere le informazioni dovevano essere riservati, al fine di assicurare la normale operatività del sistema di controllo; non esistevano, ad avviso della Corte, misure alternative adeguate allo scopo. Il principio della rule of law richiede che le dispute di diritto civile siano risolte in via giudiziaria, dinanzi ad una corte che disponga del materiale necessario alla risoluzione; se un individuo può difendersi solamente in base a materiale che, se divulgato, potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, è necessario trovare un equilibrio tra gli interessi delle due parti della controversia. In concreto, il sistema adottato presentava sufficienti garanzie, consistenti, segnatamente, negli special advocates, nominati allo scopo preciso di tutelare gli interessi del lavoratore. L’adozione della closed material procedure era stata, dunque, legittima e la richiesta di Tariq doveva peraltro essere respinta. Il ricorso presentato dal Ministero degli interni richiedeva, invece, di accertare l’esistenza o meno di un diritto a conoscere le denunce, giuridicamente rilevanti, avanzate nei confronti di un individuo in maniera sufficientemente dettagliata da permettere la formulazione, assieme ai propri legali, di una difesa adeguata. Fondandosi sulla stessa giurisprudenza relativa al caso Kennedy, la Corte suprema ha stabilito che non sussiste un obbligo assoluto in tal senso. L’art. 6 CEDU, a tutela del diritto ad un equo processo, rende necessaria la comunicazione delle informazioni richieste dal convenuto nei casi in cui si prospetti una pena privativa 5 In Kennedy, il richiedente aveva richiesto informazioni dai servizi segreti britannici circa l’esistenza di eventuali indagini nei suoi confronti, ma i servizi avevano respinto la sua richiesta per tutelare la sicurezza nazionale. Il richiedente aveva impugnato il respingimento dinanzi alla Investigatory Powers Tribunal, che, in seguito ad un procedimento a porte chiuse, aveva semplicemente informato Kennedy che “o non era stata effettuata alcuna intercettazione [nei suoi confronti], o le eventuali intercettazioni erano state effettuate in piena conformità alla legge”. La Corte EDU ha affermato che non sussisteva alcuna violazione degli artt. 6, 8 e 13 della CEDU, poiché il procedimento dinanzi al Tribunal era da ritenersi equo, nel contesto dei procedimenti rientranti nell’ambito dei servizi di sorveglianza segreta. della libertà. Nella specie, ciò non accadeva; inoltre, il ricorso presentato da Tariq sarebbe stato giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale e gli svantaggi derivanti dal procedimento riservato sarebbero stati, per quanto possibile, mitigati, grazie alla nomina degli special advocates; non insorgeva, dunque, alcuna lesione della sostanza del diritto ad un equo processo: il ricorso del Home Office è stato conseguentemente accolto. Lord Kerr ha espresso il proprio dissenso. A suo avviso, la riservatezza delle informazioni, nella specie, violava il diritto ad un equo processo sancito dal common law, di talché l’obliterazione di un tale diritto poteva essere compiuto solo per il tramite di una disposizione legislativa esplicitamente contraria. SPAGNA a cura di Carmen Guerrero Picó 1. STC 121/2011, del 7 luglio Giurisdizione – Riparto di giurisdizione tra giudice del lavoro e giudice amministrativo – Attribuzione al secondo della cognizione dei ricorsi in materia di inquadramento previdenziale – Legge ordinaria – Asserita violazione della riserva di legge orgánica – Questione sollevata in via incidentale – Riconosciuta possibilità per il legislatore ordinario di integrare disposizioni di legge orgánica – Rigetto. Il plenum del Tribunale costituzionale ha rigettato la questione in via incidentale che il Tribunale superiore di giustizia dell’Andalusia ha presentato nei confronti dell’art. 23 della legge n. 52/2003, del 10 dicembre, che novella l’art. 3, comma 1, lettera b), del texto refundido della legge sul processo del lavoro. La nuova disposizione preclude al giudice del lavoro la possibilità di giudicare i ricorsi in tema di inquadramento previdenziale (vertenti, cioè, sull’iscrizione delle imprese alla previdenza sociale e sulle affiliazioni, le cessazioni e la variazione dei dati dei lavoratori), attribuendo questa competenza alla giurisdizione amministrativa. Il giudice a quo riteneva che la norma controversa, di rango ordinario, violasse l’art. 9, commi 4 e 5, della legge orgánica n. 6/1985, del 1° luglio, sul potere giudiziario (d’ora in avanti, LOPJ), secondo cui la giurisdizione amministrativa giudica le controversie relative all’operato delle pubbliche amministrazioni soggette al diritto amministrativo, mentre la giurisdizione del lavoro giudica le controversie sorte nell’ambito del diritto del lavoro ed in materia di previdenza sociale. Ad avviso del giudice, nell’atto di inquadramento del lavoratore prevalgono gli aspetti sostanziali, relativi ai diritti ed agli obblighi che insorgono nei confronti della previdenza pubblica, rispetto a quelli formali, derivati dalla sua condizione di atto amministrativo. Di conseguenza, si ritenevano violati l’art. 122, comma 1, Cost., secondo cui la legge orgánica sul potere giudiziario determinerà la costituzione, il funzionamento e l’organizzazione dei tribunali, e l’art. 81, commi 1 e 2, Cost., relativo alle materie soggette a riserva di legge orgánica. Il Tribunale costituzionale ha rilevato la possibilità per una legge ordinaria di integrarsi con la legge orgánica, specificando i generici enunciati della LOPJ, purché non vengano stabilite eccezioni che si pongano in contraddizione con il disegno dei diversi ordini giurisdizionali (FJ 4). In questo senso, ha constatato che l’art. 9, commi 4 e 5, LOPJ non delimita accuratamente né definitivamente, sulla base di un criterio univoco, l’ambito della giurisdizione del lavoro e della giurisdizione amministrativa. Vengono utilizzati, infatti, due criteri: il primo, esplicitato nel comma 4, è di ordine soggettivo-formale, e si rifà alla natura pubblicistica dell’amministrazione che ha emanato l’atto impugnato; il secondo, nel comma 5, è un criterio oggettivo, che presta attenzione alla materia della previdenza sociale. Questo duplice criterio ha generato inevitabilmente “spazi di intersezione” o “aree grigie” nella delimitazione delle competenze di entrambe le giurisdizioni (FJ 5). Il plenum ha preso atto che i c.d. “atti di inquadramento” sono stati fonte di conflitto nel riparto delle competenze giurisdizionali, sia per la loro complessità sia per l’esistenza di una giurisprudenza contraddittoria in materia (FJ 6). È per questo motivo che l’art. 23, concretizzando la generica delimitazione competenziale di cui alla LOPJ, costituisce una costituzionalmente valida ipotesi di integrazione tra legge orgánica e legge ordinaria (si veda, ad esempio, la STC 224/1993, del 1º luglio). Una siffatta integrazione è stata considerata, oltre che lecita, anche necessaria per il rispetto del principio di certezza del diritto (art. 9, comma 3, Cost.) (FJ 7). 2. STC 133/2011, del 18 luglio Prescrizione dei reati – Interpretazione della disciplina da parte dei giudici comuni – Contrasto con la doctrina constitucional del Tribunale costituzionale – Conseguente violazione del diritto alla tutela giurisdizionale – Ricorso di amparo – Vincolo per i giudici comuni di seguire la doctrina constitucional – Accoglimento – Opinione dissenziente. La sala prima del Tribunale costituzionale ha accolto i ricorsi di amparo presentati da due cittadini nei confronti della sentenza dell’Audiencia Provincial di Barcellona che aveva respinto il loro appello contro la sentenza di condanna per tre reati tributari commessi durante gli esercizi del 1997, 1998 e 1999. I ricorrenti ritenevano violato il diritto alla giurisdizione (art. 24, comma 1, Cost.), in relazione al diritto alla libertà personale (art. 17 Cost.). A loro avviso, l’organo giudiziario non aveva valutato correttamente la prescrizione dei reati riguardanti gli esercizi del 1997 e 1998, con violazione dell’art. 132, comma 2, del codice penale, e della doctrina constitucional in materia (STC 63/2005, ribadita con SSTC 29/2008, del 20 febbraio, e 59/2010, del 4 ottobre, tra le altre). È noto che uno dei temi che hanno generato maggiori frizioni tra il Tribunale costituzionale ed il Tribunale supremo sia proprio il termine iniziale del decorso della prescrizione dei reati. Nella fattispecie concreta, i tribunali catalani avevano deciso di applicare la dottrina del Tribunale supremo, evidenziando che non condividevano l’interpretazione del Tribunale costituzionale. Il risultato era stato quello della mancata constatazione dell’avvenuta prescrizione. Secondo l’art. 5, comma 1, LOPJ, la doctrina constitucional è vincolante per i giudici ed i tribunali ordinari: essi “[…] interpreteranno ed applicheranno le leggi ed i regolamenti […] conformemente all’interpretazione di questi che risulta dalle pronunce emesse dal Tribunale costituzionale in ogni tipo di processo”. Alla luce di questo obbligo, il motivo per cui il Tribunale costituzionale ha nella specie ritenuto violato il diritto alla tutela giurisdizionale non è la contrarietà dell’interpretazione adottata dagli organi giudiziari ai precetti costituzionali, come era accaduto nel caso della STC 63/2005, quanto piuttosto il fatto che essi erano a conoscenza dell’esistenza di una decisione contraria del Tribunale costituzionale, dal che si deduce la consapevole determinazione di andar contro la doctrina constitucional del Tribunale. Ne è risultata, in definitiva, la violazione dell’art. 5, comma 1, LOPJ, ridondante in una violazione dell’art. 24, comma 1, Cost. (FJ 3). La sentenza reca l’opinione dissenziente del giudice costituzionale Manuel Aragón Reyes. Pur partendo dall’assunto secondo cui l’inadempimento manifesto del dovere di obbedienza alla dottrina del Tribunale costituzionale da parte degli organi giudiziari implica una violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, il giudice dissenziente ha sottolineato come la violazione in discorso debba essere valutata solo quando lo stesso Tribunale costituzionale intenda tener ferma tale dottrina, e non quando sia disposto a modificarla. “In questa seconda ipotesi, è chiaro che non deve sanzionarsi il provvedimento giudiziario, che offre al Tribunale l’occasione per porre in essere tale modifica. Altrimenti, il Tribunale costituzionale, la cui iniziativa non d’ufficio, difficilmente potrebbe adempire alla sua funzione, della quale fa parte, senza alcun dubbio, la revisione della propria giurisprudenza”. Il giudice Aragón Reyes ha altresì evidenziato che il ricorso di amparo non doveva essere giudicato dalla sala ma doveva essere avocato dal plenum: avendo la legge orgánica n. 5/2010, del 22 giugno, novellato l’art. 132.2 del codice penale nel senso di accogliere la tesi del Tribunale supremo, si imponeva, infatti, una riforma della doctrina costitucional. 3. ATC 113/2011, del 19 luglio Ipoteca – Procedura esecutiva – Disciplina asseritamene lesiva del diritto all’abitazione e del diritto alla tutela giurisdizionale in relazione all’uguaglianza delle parti nel processo – Questione sollevata in via incidentale – Irrilevanza di parte delle questioni – Riferimento a precedenti decisioni del Tribunale costituzionali – Manifesta infondatezza delle altre questioni – Opinione concorrente. Il plenum del Tribunale costituzionale ha rigettato la questione in via incidentale sollevata da un giudice di Sabadell nei confronti di alcune norme della legge n. 1/2000, del 7 gennaio, legge processuale civile (d’ora in avanti, LEC), 38 relative all’esecuzione ipotecaria: artt. 695 (motivi tassativi di opposizione all’esecuzione ipotecaria), 698 (che rinvia alla fase processuale il giudizio su qualsivoglia motivo di opposizione del debitore all’esecuzione, senza sospenderla) e 579, comma 2 (inesistenza di una procedura di opposizione quando il valore del bene ipotecato venduto all’asta non copra il credito e si proceda al pignoramento di altri beni). Il giudice a quo denunciava una violazione degli artt. 9, comma 3 (interdizione dell’arbitrarietà dei pubblici poteri), 24 (diritto alla tutela giurisdizionale) e 47 Cost. (diritto all’abitazione), poiché, a suo avviso, non sarebbe proporzionato, né idoneo, né adeguato in termini costituzionali negare al debitore ipotecario qualsivoglia possibilità di formulare allegazioni sulle circostanze del mancato pagamento, fatto che impedirebbe al giudice di conoscere e valutare circostanze che potrebbero risultare decisive onde decidere a favore dell’esecuzione dell’ipoteca oppure a favore del debitore. Inoltre, il cittadino, una volta limitati i suoi mezzi di difesa, resterebbe privo di garanzie riguardo al suo diritto costituzionale ad un’abitazione dignitosa, per cui, specialmente nel caso in cui l’esecuzione ipotecaria avesse per oggetto l’unica abitazione del debitore, il procedimento dovrebbe permettere più ampie possibilità di opposizione, nel rispetto dei valori costituzionali. Il Tribunale costituzionale ha dichiarato inammissibili le doglianze riguardanti gli artt. 579 e 698 LEC, in quanto prive di una connessione diretta ed effettiva con la decisione del caso di specie, e dunque irrilevanti (art. 35, comma 1, LOTC) (FJ 3). Riguardo all’art. 695 LEC, il plenum ha ricordato di essersi già pronunciato sulla costituzionalità del processo di esecuzione ipotecaria con la STC 41/1981, del 18 dicembre. Allora aveva ammesso l’esistenza di una straordinaria limitazione del principio del contradditorio in sede processuale, ma aveva concluso che ciò non produceva indefensión, poiché i debitori potevano optare per altre vie, come sospendere il processo con il pagamento o iniziare un procedimento giurisdizionale di accertamento, onde addivenire ad una decisione nel merito sui fatti controversi. In identico senso si era pronunciato con la STC 217/1993, del 30 giugno. In ragione di questi precedenti, la questione è stata dichiarata manifestamente infondata. Il Tribunale ha altresì sottolineato l’impossibilità, attraverso il giudizio in via incidentale, di sollevare dubbi generici e astratti circa la costituzionalità di una determinata disciplina legislativa per contrasto con un ipotetico modello alternativo: non spetta, infatti, al giudice comune formulare siffatte questioni, né spetta al Tribunale costituzionale deciderle, giacché esse sono di competenza del legislatore (FJ 4). Il Vicepresidente Eugeni Gay Montalvo ha redatto una opinione concorrente, in cui si è rilevata la motivazione sbrigativa dell’ordinanza del Tribunale, che si è rifatto a sentenze precedenti, senza esaminare nuovi aspetti di particolare rilevanza sociale e costituzionale, derivanti dal nuovo contesto economico e sociale, profondamente marcato dalla crisi finanziaria internazionale, la quale non può non aver avuto effetti anche sul procedimento ipotecario. Secondo il Vicepresidente Gay Montalvo, il Tribunale, tanto nei ricorsi di amparo quanto nel controllo della costituzionalità della legge, non può essere insensibile alla realtà sociale sulla quale si proiettano i precetti, i principi ed i valori della Costituzione. 4. STC 134/2011, del 20 luglio Principio di stabilità finanziaria – Limiti al bilancio delle Comunità autonome – Competenze in tema di politica economica – Asserita violazione dell’autonomia politica e finanziaria della Catalogna – Ricorso in via principale – Sussistenza di esigenze generali di coordinamento della politica economica – Rigetto. Il plenum del Tribunale costituzionale ha rigettato il ricorso in via principale presentato dal Parlamento della Catalogna nei confronti di varie norme della legge n. 18/2001, del 12 novembre, legge generale di stabilità finanziaria1, e della legge orgánica n. 5/2001, del 13 dicembre, ad essa complementare2. La legge n. 18/2001 disciplina gli strumenti per garantire il rispetto dei parametri europei riguardanti la stabilità economica (Patto europeo di stabilità e crescita), mentre la legge orgánica n. 5/2001 si applica alle Comunità autonome. In Spagna, spetta allo Stato un ruolo di vigilanza su tutto il settore pubblico. Il Governo fissa l’obiettivo di stabilità finanziaria per gli enti locali e per le Comunità autonome3, una volta sentite, rispettivamente, la Commissione nazionale dell’amministrazione locale (organo di raccordo tra l’amministrazione statale e gli enti locali) ed il Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome (formato dal Ministro dell’Economia e del bilancio e da quello per le Amministrazioni territoriali, e dai responsabili del bilancio di ciascuna Comunità autonoma). Il Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome, entro un mese dalla determinazione degli obiettivi del settore pubblico, deve indicare i targets di stabilità per ciascuna Comunità. Se non si trova l’accordo in tale sede, ciascuna Comunità sarà obbligata ad adottare un bilancio che sia almeno in pareggio. Il Parlamento della Catalogna riteneva che le norme concernenti il principio di stabilità finanziaria, nel prevedere che l’elaborazione, l’approvazione e l’esecuzione dei bilanci delle Comunità autonome portassero ad un bilancio in 1 In concreto, si tratta degli artt. 3, comma 2, 19, 20, comma 2, 22, comma 2, 23, comma 2, e della disposizione aggiuntiva unica, comma 2. 2 Artt. 2, 5, secondo paragrafo, 6, commi 3 e 4, 8, commi 2, 3, 4, 5, 7 e 8, e disposizione aggiuntiva unica, commi 1, 2, 3 e 4. 3 Per una sintesi, v. A. PIN, Il Patto di stabilità e la lezione spagnola, Osservatorio sulla Riforma amministrativa, Regione Piemonte, http://www.regione.piemonte.it/oss_riforma/dwd/ sussidiar/prod_7.pdf. 40 equilibrio o in attivo, fosse lesivo per l’autonomia politica e finanziaria della Catalogna (artt. 137 e 156, comma 1, Cost.) e degli enti locali (artt. 137, 140 e 142 Cost.). Inoltre, si contestava che il principio di stabilità finanziaria dovesse intendersi nei termini previsti dalle norme denunciate (bilanci in equilibrio o in attivo), sostenendo che la stabilità doveva interpretarsi come “deficit non eccessivo”, ai sensi del Patto europeo di stabilità e crescita (FJ 4). Il plenum ha riconosciuto la connessione tra le leggi oggetto del ricorso e la normativa comunitaria, ma ha sottolineato ancora una volta che il parametro di legittimità è costituito esclusivamente dalle norme di diritto interno sul riparto delle competenze tra lo Stato e le Comunità autonome (FJ 6). Secondo il plenum, lo Stato può stabilire limiti o tetti massimi generali e non solo specifici al bilancio delle Comunità autonome. Ad autorizzarlo sono l’art. 149, comma 1, paragrafo 13, Cost., che sancisce la competenza esclusiva in materia di principi fondamentali e coordinamento della pianificazione generale dell’attività economica, e l’art. 156, comma 1, Cost., secondo cui le Comunità autonome godranno di autonomia finanziaria per lo sviluppo e l’esecuzione delle loro competenze conformemente ai principi di coordinamento con la finanza statale e di solidarietà fra tutti gli spagnoli. In quest’ottica, “il fatto che il Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome fissi l’obiettivo di stabilità finanziaria corrispondente ad ogni Comunità autonoma è una questione che, per la sua natura e portata, interessa, senza alcun dubbio, la garanzia dell’equilibrio economico, attraverso la politica economica generale […] e deve essere adottata, d’accordo con la nostra dottrina, in modo generale ed omogeneo per tutto il sistema (STC 31/2010, FJ 130). Con ciò non viene meno la possibilità che la Generalitat [il Governo della Catalogna] realizzi le proprie politiche negli ambiti di sua competenza, criterio definitorio della sua autonomia politica, né tantomeno si mettono in questione la sufficienza finanziaria né l’autonomia di spesa, che caratterizzano la sua autonomia finanziaria [...]. “[Inoltre,] la necessaria autorizzazione dello Stato delle operazioni di credito che intendano realizzare le Comunità autonome quando si constati, attraverso l’informazione da queste fornita, l’inadempimento dell’obiettivo di stabilità finanziaria […], non viola l’autonomia politica e finanziaria della Generalitat, perché entrambe trovano i loro limiti nelle competenze dello Stato […] [e] le operazioni di credito delle Comunità autonome si dovranno coordinare tra di loro e con la politica di indebitamento dello Stato in seno al Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome” (FJ 8). Sotto altro profilo, il Parlamento catalano deduceva che le norme denunciate lo sottoponevano ad un controllo che violava anche l’autonomia finanziaria della Catalogna, perché, quando il bilancio di una Comunità autonoma era approvato in perdita o quando la perdita fosse di risultato, il Consiglio di politica fiscale e finanziaria doveva controllare l’idoneità del piano di risanamento (FJ 9). Ad avviso del plenum, questo accertamento “non può considerarsi come un semplice meccanismo di controllo dell’attività di [predisposizione del] bilancio delle Comunità autonome, perché i bilanci autonomici, come accade con i piani idrologici dei bacini, incidono sull’attività di diverse amministrazioni pubbliche – in primo luogo, quelle delle Comunità autonome, ma anche quelle dello Stato e di altri enti territoriali ed istituzionali –, ed è palese la loro diretta relazione con la pianificazione generale dell’economia e con l’obbligo di rispettarla che ricade su tutte, perché se ogni Comunità autonoma potesse orchestrare liberamente e senza [vincolo di] omogeneità [con le altre] le misure di adeguamento all’obiettivo di stabilità finanziaria […], tale obiettivo diventerebbe di difficile o di impossibile raggiungimento. È, dunque, attraverso misure di coordinamento in seno all’organo stabilito dal legislatore orgánico in attuazione della Costituzione (art. 157, comma 3, Cost.) che si garantisce la realizzazione della politica economica di stabilità finanziaria dello Stato, realizzazione che soddisfa anche […] l’esigenza di coordinamento tra lo Stato e le Comunità autonome conformemente alla nostra dottrina” (FJ 10). Il plenum ha infine respinto le doglianze relative alla violazione dell’autonomia locale (FJ 12) e delle competenze della Generalitat per la tutela finanziaria degli enti locali (FJ 17). 5. Informazione sulla seconda riforma della Costituzione del 1978 Il 7 settembre, il Senato ha approvato in via definitiva (con 233 voti favorevoli e 3 contrari) la proposta di riforma dell’art. 135 della Costituzione del 1978 presentata a fine agosto dai gruppi parlamentari socialista e popolare. Il testo4 è identico a quello approvato dalla Camera (con 316 voti favorevoli e 5 contrari), essendo stati rigettati gli emendamenti presentati dai gruppi parlamentari durante il dibattito nella Camera alta. Approvata la riforma, essa sarà sottoposta a referendum per la ratifica, qualora lo richiedano, entro quindici giorni, un decimo dei componenti di una delle Camere. La riforma, che ha lo scopo di rafforzare la fiducia a medio e lungo termine nell’economia spagnola, garantendo la stabilità finanziaria, prevede l’inclusione nel testo costituzionale del principio generale del pareggio di bilancio, che impedirà allo Stato ed alle Comunità autonome di incorrere in un deficit strutturale che superi i margini definiti dall’Unione europea. Il tetto al deficit pubblico entrerà in vigore a partire dal 2020, e sarà invalicabile, salvo situazioni eccezionali e previa comunque una delibera approvata a maggioranza assoluta dalla Camera dei deputati. 4 Consultabile sul sito della Camera, alla pagina http://www.congreso.es/public_oficiales/L9/ CONG/BOCG/B/B_329-01.PDF. 42