MARZO 1- 2013.QXD:FEBBR 1 8-03-2013 11:23 Pagina 1 LʼINTERVISTA Roberto Granzotto RECORD DI CENTENARI IN CADORE R LA NECESSITA CHE I COMUNI DEL CADORE SI RAGGRUPPINO e ragioni che dovrebbero “L spingere i Comuni cadorini ad una fusione tra di loro sono molteplici, ma due sono quelle principali.” Le spiega Roberto Granzotto, avvocato e cadorino d’adozione, già sindaco di Pieve di Cadore e attualmente vicesindaco. Uno che se n’intende. “La ragione principale è certamente la crisi di rappresentanza politica del Cadore che si è verificata negli ultimi mesi-anni e che si aggraverà inevitabilmente nel prossimo futuro. “Sparita” la Provincia, istituzione nella quale i cadorini avevano i loro rappresentanti, in prossimità di una riduzione della rappresentanza regionale (per l’inevitabile riduzione dei consiglieri regionali che determinerà una probabile contrazione della rap- Il Cadore Regno delle Ciaspe ’ una favola l’alba di una E bella giornata d’inverno a Pian dei Buoi. I primi raggi vi arrivano dopo aver sfiorato il Tudaio. D’un tratto indorano tutto l’altipiano coperto di neve. Brilla tutto, sotto e sopra: la grande distesa pianeggiante e lo zoccolo ondulato che contorna le crode, i larici carichi di neve e le rocce che esplodono di colore. Ecco, sabato 16 febbraio, proprio nel momento in cui il primo sole ha cominciato ad accendere tutto, sono arrivati a Pian dei Buoi i primi atleti della Ciaspalonga delle Marmarole. “Il passaggio a Pian dei Buoi è stato eccezionale”. Con queste parole il bresciano Alfredo Corsini, vincitore della 2a edizione della Ciaspalonga delle Marmarole, ha iniziato il commento della sua gara. Corsini ha vinto anche l’anno scorso. “Ma il clima, nel senso di meteorologia, era molto diverso - ricorda abbozzando un sorriso sornione - con “Cʼè una crisi di rappresentanza politica del Cadore, che andrà ad aggravarsi, e una difficile sostenibilità dei Comuni” Granzotto prova a delineare la fisionomia di un Comitato spontaneo che spinga il dibattito sullʼunione dei Comuni presentanza regionale della provincia di Belluno in generale, il che renderà ancora più difficile che un cadorino possa giungere a Venezia), senza alcuna rappresentanza politica in Parlamento (che dovrebbe subire anch’esso una notevole cura dimagrante), il territorio cadorino non può più e non potrà più essere rappresentato a livello superiore e nei contatti istituzionali con le altre realtà territoriali da 22 sinda- ci di comuni per la maggior parte sotto i 3.000 abitanti. Una tale frammentazione non è più sostenibile alla luce delle modifiche che sono state apportate e saranno a breve apportate agli enti territoriali. Le istanze che dovessero provenire da entità comunali talvolta sotto i 1.000 abitanti riceveranno sempre meno attenzione ed aiuto dalle istituzioni superiori. Se ci siamo sempre lamentati dello scarso peso politico del no- stro territorio dovuto anche all’esiguo numero di abitanti, gioco forza tale limite risulterà ancor più determinante nei prossimi mesi-anni per l’inevitabile “semplificazione” del quadro istituzionale rappresentativo. La seconda ragione è relativa alla sostenibilità economica di tali istituzioni, sostenibilità che si è andata progressivamente riducendo a seguito dei tagli alla spesa pubblica ed ai vincoli posti alle amministrazioni comunali (principalmente vincoli (segue a pag. 2) di spesa).” LA LUNGA CIASPALONGA DELLE MARMAROLE Gara che promuove il Cadore a terra ideale per un turismo basato sullʼescursionismo invernale e estivo freddo, pioggia e neve lungo tutto il percorso. Quest’anno è stato uno spettacolo. Il colpo d’occhio che ho goduto a Pian dei Buoi è L’UNIONE FA LA FORZA stato il premio più bello.” Quest’anno, la Ciaspalonga delle Marmarole ha fatto un salto di qualità. Grazie al tempo e grazie l Cadore sembrava, l'altro ieri, oaI si felice, laboriosa ed invidiata, all'ombra delle crode e dei suoi cento campanili. Nessuno s'aspettava quel che stava per accadere e che invece s'era verificato altrove: la recessione. Con essa, partirono le grosse imprese manifatturiere alla ricerca di delocalizzazioni sempre più lontane, arrivarono lunghe serpentine d'auto ad intasare i fine settimana ma non quelle agognate frotte di turisti a riempire alberghi e case, non rientrarono i giovani mandati a studiare per consentire loro un roseo futuro, scesero in pianura anche i servizi perché uffici pubblici e ospedali sono un costo laddove non c'è economia e gente, si ridussero le botteghe nei paesi segno evidente di pochi affari, mancò perfino la voglia dei cittadini a confrontarsi nei consigli comunali preferendo dare consenso assoluto o sgranare infiniti lamenti. Sì, la colpa è della globalizzazione all’organizzazione di CadorEventi, la società che, con eccezionale intraprendenza e tanta professionalità, ha pensato e realizzato questa iniziativa sportiva che ha tutte le carte in regola per assumere un rilievo internazionale. Per la verità un tocco di internazionalità c’è stato con la partecipazione di atleti provenienti da Germania, Polonia e uno anche dal Messico. Sono stati i loro nomi a scandire l’appello fatto alla partenza sotto le piste da sci di Auronzo ancora avvolte dalla not(segue a pag. 4) te. Bepi Casagrande (dentro possiamo metterci di tutto) che penalizza chi non la capisce, è dei tempi difficili (neanche fossimo in guerra), è del governo (ovviamente ladro). Anche. La soluzione? Resta lì dove è sempre stata: programmazione del vivere civile e rappresentanza istituzionalmente forte del nostro territorio. Non si confonda il “bello” del proprio campanile al quale tutti noi siamo attaccati per nascita e vissuto con il politicamente “buono”. E' tempo e necessità di nuove aggregazioni, di Comuni di vallata ben organizzati e più efficienti quindi meno costosi, con amministrazioni aperte allo sviluppo generale, Comuni federati in quel grande contenitore che è il Cadore dove già avevano nella Magnifica Comunità rappresentanza autorevole. Troppe sono le cose a cui mettere mano per pensare che la crisi economica e del sistema passi e ci lasci indenni. ecord di cetenari in Cadore con la presenza di 5,31 centenari su 10000 abitanti. Questi sono gli incoraggianti risultati riportati sull’annuario statistico italiano dove è possibile trovare la fasce d’età e le percentuali nelle varie zone e paesi d’Italia. Un record che ci pone al doppio della media italiana (2,66) e regionale (2,4) e che è espressione di una condizione di vita ottima in relazione alla logevità della popolazione. Questo forse è anche il risultato di una genetica forte selezionata da una vita faticosa del passato ma anche di una vita in ambiente non inquinato dove l’abitudine a svolgere attività fisica anche pesante e l’alimentazione naturale sono gli ingredienti fondamentali che devono essere messi in causa quando si raggiungono questi risultati. Oggi sappiamo che il benessere è legato a questi aspetti cruciali: alimentazione sana fatta prevalentemente di prodotti locali, non esposizione ad inquinanti ambientali e attività fisica (dal fare la legna a camminare in montagna) che appartengono alla nostra tradizione. Ben diversa è la condizione di altre zone montane come la vicina Pusteria dove i centenari meno della metà della media italiana (0,88 su 10000 abitanti). Per loro, evidentemente, contano i drammi legati alle guerre e alle difficoltà che la gente ha vissuto nel periodo dal 1913 in poi con una storia drammatica che ha portato alla morte di tanta gente nata in quegli anni. La longevità e la presenza di ultracentenari non significa però che non si sono problemi: ad esempio alcune malattie come i tumori possono essere più frequenti nelle zone montane perchè la popolazione è più anziana e quindi più a rischio di sviluppare queste malattie, oppure perchè l’abitudine di bere tante bevande alcoliche, l’assunzione di cibi (segue a pag. 2) affumicati, Francesca Larese Filon La 167a del Battaglion Cadore IL MONSIGNORE E LA “TENENTITE” A. PRETI A PAG. 13 Inserto LA CAMPAGNA MILITARE DI RUSSIA - 1943 MARZO 2- 2013.QXD:FEBBR 3 8-03-2013 11:27 Pagina 1 ANNO LXI Marzo 2013 2 Serve un Comitato che spinga il dibattito sull’unione dei Comuni I COMUNI SI RAGGRUPPINO dalla 1a pagina R. Granzotto Che fare dunque? Pictori locali che faccia azione colo è bello, ma la rispo- “Serve un processo di maturazione di informazione, che crei ocsta è nei numeri. di incontro, di cresciculturale e civile verso la fusione casioni “Raggruppare gli enti lota e di scambio sulla cultura dei Comuni, ed oggettivamente è della fusione, aiuterebbe la cali comunali significa realizzare economie strutturali culturale indifficile che possa essere portato maturazione delle quali potrebbero beneficentivando gli amminiciare le nuove realtà territostratori a perseguire una avanti dai sindaci” riali, più solide e con meno strada inevitabile. oneri di quelli attuali, sia per la drastica riduzione del numero dei rappresentanti politici (sindaci, assessori e consiglieri), sia per l’inevitabile accorpamento dei servizi. Il beneficio che si determinerà non sarebbe solo economico, ma anche funzionale, data la maggiore possibilità di agire sulla razionalizzazione ed efficienza della macchina amministrativa laddove le opzioni/scelte sono più ampie (non si possono razionalizzare i servizi con il miglior impiego del personale laddove un ufficio viene ricoperto da un solo dipendente, all’opposto laddove un ufficio abbia in forza più dipendenti diventa più facile razionalizzare i compiti e sopperire ad assenze, anche solo temporanee).” Da qui la necessità di costituire un Comitato spontaneo di cittadini per chiedere con forza la fusione dei comuni cadorini. “Perché si sente la neces- sità che le Pubbliche Amministrazioni perseguano una strada che difficilmente percorrerebbero spontaneamente e ciò non tanto per la mancanza di volontà o di sensibilità in tal senso da parte dei sindaci, quanto perché la fusione presuppone una maturazione culturale e amministrativa che deve avvenire gradualmente per essere assimilata con piena coscienza ed in condivisione; diversamente sarebbe vissuta come una perdita di “potere” e capacità di incidere che nessun sindaco accetterebbe se fatta in modo frettoloso o se imposta dall’alto. I sindaci sono travolti dall’onda del quotidiano che impegna anima e corpo, il processo di maturazione culturale verso la fusione è un processo graduale, una presa di coscienza progressiva, ed oggettivamente diventa difficile che tale processo di maturazione venga da loro vissuto e portato avanti in tempi ragionevoli. I sindaci devono essere aiutati dalla maturazione del tessuto civile delle loro comunità per poter compiere un passo con maggiore facilità e senza la preoccupazione ed il dubbio di agire nell’interesse della popolazione e/o quantomeno di una parte di essa. Le differenti scadenze elettorali comunali non aiutano tali decisioni in quanto difficilmente i sindaci a fine mandato si avventurerebbero in strade lunghe e tortuose, così come i sindaci neo-insediati prima di avventurarsi in scelte così difficili e che presuppongono la piena e totale conoscenza della macchina amministrativa che governano, dovrebbero consolidare le loro conoscenze.” Granzotto prova a delineare la fisionomia del Comitato spontaneo per l’unione dei Comuni. “Un Comitato spontaneo di cittadini o amministra- Non ha importanza in questo momento quanti e quali comuni debbano raggrupparsi, ma è importante gettare le basi per un confronto e una discussione che porti nel più breve tempo possibile ad essere artefici della crescita del nostro territorio prima che qualcuno ci imponga d’alto scelte oramai inevitabili trovandoci impreparati. Non un Comitato che organizzi referendum, ma crei occasioni di incontro, faccia informazione e solleciti i sindaci all’agire in tal direzione. Da ultimo desidero precisare che tale iniziativa non si pone in contrapposizione o in contrasto ad altre iniziative di carattere “istituzionale” (referendum, ecc.) in quanto mira solo a migliorare le macchine amministrative e rafforzare la rappresentatività di un territorio.” RDC 3 fondato nel 1953 DIRETTORE RESPONSABILE Renato De Carlo VICE DIRETTORE Livio Olivotto REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Editrice Magnifica Comunità di Cadore Presidente Renzo Bortolot Cancelliere Marco Genova Segreteria Annalisa Santato Palazzo della Comunità - Piazza Tiziano 32044 Pieve di Cadore tel. 0435.32262 fax 0435.32858 EMail: [email protected] - Sito: www.il-cadore.it Spedizione in abbonamento postale - Pubblicità inferiore al 40% Fotocomp.: Aquarello - Il Cadore Stampa: Tipografia Tiziano Pieve di Cadore Reg.Tribunale di Belluno ordinanza del 5.4.1956 COME ACQUISTARE “IL CADORE” NELLE EDICOLE DEL CADORE: una copia € 2.10 - ARRETRATI: il doppio TARIFFE ABBONAMENTO ITALIA € 25,00 ESTERO € 25,00 PAESI EXTRAEUROPEI €34.00 SOSTENITORE € 50,00 - BENEMERITO da € 75,00 in su COME ABBONARSI UFFICIO: Segreteria Magnifica Comunità di Cadore, Pieve di Cadore POSTE: CONTO CORRENTE POSTALE: N. 12237327 intestato a “Il Cadore” - Piazza Tiziano - 32044 Pieve di Cadore (BL) VAGLIA POSTALE a ”Il Cadore” Piazza Tiziano - 32044 Pieve di Cadore (BL) - Italia BANCHE: BONIFICO presso Unicredit Banca Spa di Pieve di Cadore (BL) intestato a “Magnifica Comunità di Cadore”, causale “abbonamento” DALL’ITALIA: UNCRITM1D41 AG. 02090 Codice IBAN IT33Y 02008 61230 000110014839 DALL’ESTERO: SWIFT/BIC: UNCRITMM IBAM IT33Y 02008 61230 000110014839 TARIFFE INSERZIONI (per un centimetro di altezza, base una colonna): 12 inserzioni mensili € 13,00; 6 inserzioni mensili € 10.20; a 4 colori e in ultima pagina tariffa doppia. IVA sempre esclusa. La Direzione e l’Editore non rispondono delle opinioni degli articolisti. Foto e articoli non pubblicati saranno restituiti solo a richiesta. Resp. trattamento dati (ex D.lgs 30.6.03 n.196): Renato De Carlo RECORD DI CENTENARI dalla 1a pagina F. Larese il fumo di sigaretta sono fattori che aumentano il rischio di questo tipo di malattie. Mentre attività fisica, alimentazione, basso indice di obesità diminuiscono il rischio cardiovascolare. Insomma i risultati di questi dati ci incoraggiano a continuare le nostre tradizionali abitudini di vita riprendendo anche agricoltura e allevamente che permettono una alimentazione più sana e senza uso di sostanze chimiche come antiparassitari e antibiotici ampiamente utilizzati nei pro- dotti industriali. Ma anche a continuare a svolgere quelle attività tradizionali che ci fanno fare una benefica attività fisica utile per il nostro cuore: camminare, fare legna, coltivare i campi sono attività faticose ma indispensabili per la preven- QUESTO NUMERO È STATO CHIUSO AL 4.3.2013 zione delle malattie cardiovascolari, prima causa di morte nei paesi sviluppati. E allora avanti tutta con la tradizione perchè i dati statistici dimostrano una ottima longevità della nostra popolazione. Per saperne di più: www.tuttitalia.it. MARZO 3 2013 3 .QXD:FEBBR 3 8-03-2013 11:33 Pagina 1 ANNO LXI Marzo 2013 3 CONOSCI LA I L M USEO A RCHEOLOGICO MAGNIFICA COMUNITA’ C ADORINO AGENDA S È A PERTO DURANTE I F INE S ETTIMANA seguito degli ottiA mi risultati raggiunti come numero di presenze nel 2012, con un incremento generale del 20% e un numero di presenze vicino agli 8000 visitatori, la Magnifica Comunità è riuscita ad attivare un ulteriore servizio, l’apertura del MARC - Museo Archeologico Cadorino - tutti i fine settimana dell’anno, con i seguenti orari: la mattina dalle 10 alle 12.30 e il pomeriggio dalle 15.30 alle 18.30, mentre la Casa natale del pittore Tiziano Vecellio sarà visitabile su prenotazione. L’importanza del Museo Archeologico Cadorino, ribadita dai recenti prestiti a mostre internazionali, permette il tuffo in un glorioso passato, in una realtà di grande significato artistico, religioso e culturale, notevolmente autonoma ma nello stesso tempo cerniera tra le popolazioni del nord e quelle del sud Europa. Realtà certo ancora da indagare e da far cono- scere per inserirla ufficialmente nella storia dell’Italia del nord. L’attivazione di questo servizio, legato ad altri progetti sviluppati negli ultimi anni ed incentrati sulla valorizzazione, l’ammodernamento, la promozione e la didattica del Museo archeologico e della casa natale di Tiziano Vecellio, testimonia la volontà della Magnifica di fornire una valida proposta turistica culturale al territorio e altresì vuole stimolare la popolazione locale alla scoperta dell’importante storia cadorina. ono state molte le attività intraprese da parte dell’Ente nei mesi scorsi ed in particolare nella passata stagione estiva 2012. Alcune di queste hanno costituito un’indubbia “palestra” per testare le strutture, le collaborazioni e le persone, in un ottica di miglioramento continuo volta a proporre l’Ente, quale vero e proprio motore di idee nel territorio, atto a incentrare la propria azione nei confronti dello sviluppo, della maggiore e migliore conoscenza delle proprie eccellenze e anche delle opportunità che da ciò derivano. Alla luce infatti anche delle contemporanee volontà di riorganizzare il settore pubblico da parte degli organismi centrali, con l’intento di garantire una maggiore gestione in termini economici dei beni di tutti, l’Ente Comunitario è stato più volte chiamato in causa per formulare indirizzi e proporre modelli. A riguardo, pare più che assodato, che il miglior tipo di indirizzo che possa essere fornito in questo contesto, al di là delle disquisizioni tecnico-politiche, derivi soprattutto dal modello organizzativo che si è voluto dare al sistema di gestione della Magnifica Comunità di Cadore, con un forte orientamento alla definizione dei processi e dunque con la conseguente capacità di misurare, attraverso parametri quantitativi, le proprie performances nei diversi ambiti presso i quali è coinvolta relativamente alla propria gestione corrente. E’ proprio l’aspetto della sostenibilità economica, da sempre faro nelle attività da intraprendere che rappresenta l’unico discrimine per valutare l’efficace e l’efficienza delle azioni che via via si sviluppano, partendo dalle idee di molti, ma che devono per forza di cose avere un indirizzo armonico rispettivamente agli obiettivi che si intendono raggiungere. Una sfida in tal senso è stata colta dalla nuova attività di book shop, alla quale l’Ente comunitario, con molti sforzi aveva fortemente creduto sin dalla costituzione del nuovo Gran Caffè Tiziano e poi successivamente, quando si era deciso di investire in una persona da destinare a tempo pieno presso questi spazi. Questa risorsa, ha rispettato in pieno le previsioni del business plan iniziale, raggiungendo il proprio punto di pareggio a tre anni dall’avvio. E’ stato dunque possibile, coordinare ed intraprendere una serie di attività legate alla promozione dei musei dell’Ente, sviluppare contatti ed eventi per promuovere il patrimonio Comunitario, come la mostra sulle lettere di Tiziano. Si è dimostrato dunque, che l’attività culturale e museale, se gestita attraverso un principio manageriale, può sostenersi anche economicamente e dunque non necessitare delle giustificazioni morali che spesso accompagnano la realizzazione di progetti che però dipendono esclusivamente da contribu- ti pubblici o che alimentano passivi presso le casse istituzionali. Da questo punto di vista dunque, la Magnifica Comunità, in tempi duri, di crisi, come quelli che stiamo attraversando, ha voluto, al di là di chi ha inteso coinvolgerla o meglio trascinarla in ruoli che spesso sarebbe utopistico riesumare, fornire il proprio contributo dimostrando che l’attenzione alle piccole cose può produrre grandi risultati. E’ infatti sempre più strategico, nell’amministrazione della cosa pubblica, tenere conto degli aspetti legati alla sostenibilità economica delle proprie azioni, proprio come, da settecento anni, questa antica istituzione sta facendo. Marco Genova Segretario Magnifica Comunità Dacia Duster. Sfacciatamente unico. OGGI ANCHE www.dacia.it A 11.900 €* O SOLO CON DACIA WAY A 199 €** AL MESE. E PUOI CAMBIARLO DOPO 3 ANNI CON UNO NUOVO. TAN 6,99% TAEG 9,36% * Dacia Duster 4x2 1.6 16V 110CV, prezzo chiavi in mano, IVA inclusa, IPT e contributo PFU esclusi. ** Esempio di finanziamento “Dacia Way”: anticipo 2.650 €, importo totale del credito 9.250 €; 36 rate da 198,92 € comprensive di Finanziamento Protetto e Pack Service a 699 € che comprende 3 anni di Assicurazione Furto & Incendio (in caso di adesione). Importo totale dovuto dal consumatore 12.040 €; TAN 6,99% (tasso fisso); TAEG 9,36%; Valore Futuro Garantito 4.879 € (rata finale); spese di gestione pratica 300 € + imposta di bollo a misura di legge; spese di incasso mensili 3 €. Salvo approvazione DACIAFIN. 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CONCESSIONA CONCESSIONARIA ARIA RENAULT RENAULLT E DACIA PER LA L PROVINCIA DI BELLUNO DAL PONT PONTt7JB%FM#PTDPOt5FM t 7JB%FM#PTDPOt 5FM F MARZO 4-5 2013.qxd:FEBBR 4-5 8-03-2013 11:41 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 4 ’ assemblea dei soci della seL zione di Pieve di Cadore dell'Associazione Bellunesi Volontari I donatori di sangue Sezione di Pieve di Cadore in assemblea AZIONI DI PROMOZIONE DELLE DONAZIONI E SOSTEGNI ECONOMICI A ASSOCIAZIONI del Sangue, che celebra il suo cinquantanovesimo anno di attività, si è tenuta lo scorso primo marzo nella maniera tradizionale: con l’incontro nell'arcidiaconale di Pieve per la S. Messa di ringraziamento e in ricordo dei donatori scomparsi; proseguendo con la riunione sociale in cui è stata letta dal segretario Carlo Tabacchi la relazione morale sull'attività svolta e quindi approvato il bilancio consuntivo dell'esercizio 2012; con la cena sociale in serata durante la quale sono stati festeggiati i soci che hanno ricevuto le onorificenze per i traguardi conseguiti nell'ultimo triennio. Quest'anno sono state conferite le seguenti onorificenze: 2 distintivi d'oro; 7 medaglie d'oro; 16 medaglie d'argento; 31 medaglie di bronzo e 46 diplomi al merito, i quali si aggiungono al prestigioso medagliere della sezione che così può esporre: una croce d'oro (103 donazioni); 5 distintivi d'oro (oltre 75 donazioni); 36 medaglie d'oro (oltre 50 donazioni) e poi 130 medaglie d'argento e 211 di bronzo. Dalla relazione del segretario si evince che il Consiglio Direttivo si è impegnato oltre che nella collaborazione per facilitare le donazioni, per iscrivere nuovi soci e tenere attivi i rapporti con il Consiglio provinciale, anche per la promozione della cultura della donazione e quindi del volontariato in genere con interventi nelle scuole e con sostegni economici ad altre Associazioni che ne avevano bisogno. Parole di apprezzamento e di vicinanza sono Cadore mons. Diego Soravia du- ringraziamento e dal Sindaco di Dalle votazioni per il rinnovo delstate rivolte dall'Arcidiacono del rante la celebrazione eucaristica di Pieve Antonia Ciotti. le cariche sociali che si sono svolte Nel prestigioso medagliere della Sezione che ha 59 anni di attività ci sono: una croce dʼoro, 5 distintivi dʼoro, 36 medaglie dʼoro, 130 dʼargento, 211 di bronzo 3 durante l’assemblea è uscito il nuovo Consiglio Direttivo che risulta ora così composto: Baldessari Gian Antonio, Cian Floriano, Ciotti Ruggero, Fedon Luigina, Giopp Giovanni, Monico Giovanni, Paludetti Giancarlo, Ruoso Gino, Tabacchi Carlo, Tabacchi Flavia e Testa Federica. Revisori dei conti sono stati eletti : Ferrau Francesco e Brunello Franco. Gianni Monico foto di Tommaso Albrizio LA LUNGA CIASPALONGA DELLE MARMAROLE dalla prima pagina A caratterizzare la salita della Val Da Rin è stato il silenzio. Solo il ritmo cadenzato dei passi, di corsa o al passo, ha accompagnato gli atleti. Su per le rampe che salgono il versante settentrionale delle Marmarole Orientali il plotone si è allungato a dismisura. E salendo, gli atleti hanno avuto come la sensazione di lasciarsi la notte alle spalle. Quasi in cima anche le om- B. Casagrande bre sono svanite. Ed ecco il sole che da Pian dei Buoi ha intiepidito i ciaspolatori fino a Pieve di Cadore. A Pian dei Buoi la tentazione di fare un salto al Rifugio Ciareido è stata condivisa da tanti. Ma, come ricorda il nome, la strada è lunga e non consente distrazioni di nessun tipo. Dopo Pian dei Buoi inizia la prima discesa. “Scendere di corsa con le cisape - sottolinea il piemontese Daniele 43 km di saliscendi da Auronzo a Pieve di Cadore tra panorami splendidi, una organizzazione ottima, poi una festa stupenda Fornoni che è giunto secondo - richiede un’attenzione speciale perché è facile inciampare, specie con la neve bellissima e abbondante che c’è lungo tutto il percorso.” Anche le parole di Roberta Lorenzi, la prima donna a tagliare il traguardo, riempiono di soddisfazione e di orgoglio gli organizzatori e l’intero Cadore: “L’organizza- zione è stata ottima, mai trovato tanta assistenza lungo il percorso di una gara di ciaspe, ma di più hanno fatto i panorami che si aprono via via che ci si avvicina al traguardo finale. Al Rifugio Antelao mi sono fermata per guardarmi intorno e per ringraziare.” Anche il terzo arrivato nella gara maschile, il bellunese di Arsè Gianni Mores, ha ringraziato l’organizzazione al passaggio di Madonna del Caravaggio, sopra Calalzo, dove c’erano i volontari del Cai che da Auronzo a Pieve hanno collaborato generosamente alla buona riuscita della manifestazione insieme a tanti altri soggetti. A Calalzo poi l’impegno è stato doppio dal momento che è partita da lì la Ciaspalonga Short, lunga 20 km e vinta da Flavio Ghidini e Gilda Pesenti, che è andata a sommarsi a quella dei 43 km. Dalla Chiesa del Caravaggio la Ciaspalonga ha preso la via di Pozzale. E qui non c’è stato modo di godere del paesaggio se non quello pregno di neve segnato dai boschi che fanno da cornice vivace al Tranego. Attenzione ed energie sono state rapite dalla salita. Ad un certo punto però il respiro faticoso e il battito accelerato trovano sollievo nel nuovo panorama che si apre: gli Spalti di Toro e, più in là il Sassolungo di Cibiana, e il Pelmo e la Fanton e il Re Antelao. Questa è la Ciaspalonga delle Marmarole. Non ce ne sono altre manifestazioni sportive invernali che consentono di passare in rassegna alcune tra le Dolomiti più belle in poche ore e sulle proprie gambe. E sono poche le gare che si svolgono in un clima di festa come quello che ha contornato l’intera competizione: dalla partenza ad Auronzo a Pian dei Buoi, dal tratto sopra Calalzo al Rifugio Antelao fino a Pozzale e in Piazza Tiziano a Pieve di Cadore. E poi la festa è continuata con La Mini Ciaspalonga, riservata ai ragazzini, partita da Pozzale e giunta a Pieve. E poi in piscina, aperta gratuitamente a tutti gli atleti che così hanno potuto riprendersi dopo la dura prova. E poi le premiazioni che hanno soddisfatto tutti. E poi le aree giochi per famiglie predisposte a Tai e a Pozzale grazie ad un accordo AscomComune di Pieve. E poi la cena a base di riso al Gran Caffè Tiziano. E poi la musica fino a notte. Sì, i vincitori primi sono stati proprio gli animatori di CadorEventi che, nell’articolata organizzazione della Marcialonga delle Marmarole, hanno saputo coinvolgere tanti soggetti che hanno fatto squadra a cominciare dai Comuni di Pieve, di Calalzo e di Auronzo fino alle associazioni della montagna con in testa il Cai e le Guide Alpine. Il lusinghiero risultato della manifestazione ha insegnato che la grande partita del turismo che il Cadore intende giocare da protagonista potrebbe riservare tante soddisfazioni. Un successo che esalta la vocazione escursionistica estiva e invernale del Cadore. La condizione è sempre la stessa: lavorare insieme. foto in ultima pagina MARZO 4-5 2013.qxd:FEBBR 4-5 3 8-03-2013 11:41 Pagina 3 PERSONAGGI ANNO LXI Marzo 2013 a Biblioteca “De Lotto” L di Calalzo possiede centinaia di volumi di grande importanza per studiosi e ricercatori, appartenuti al prof. Enrico Pappacena, celebre orientalista e docente di storia delle religioni all’università di Napoli, scomparso nel 1958. A farne dono, a suo tempo, è stato il figlio prof. Roberto, una delle figure più note e stimate di Cortina, animatore da tanti anni della vita culturale ampezzana ed osservatore attento e partecipe anche degli eventi cadorini, festeggiato proprio di recente per il compimento dei suoi novant’anni. La presentazione ufficiale della donazione era avvenuta, nella sala consiliare di Calalzo, nel luglio del 1992. Professor Pappacena, anzitutto come ricorda suo padre? “Con grande affetto, ammirazione e rispetto. Mi ha insegnato tanto, fra l’altro accanto a lui ho imparato il senso dell’umorismo. Ricordo poi che quand’ero bambino mi raccontava delle favole, facendomi galoppare con la fantasia”. Come mai ha deciso di vivere a Cortina? “Io sono abruzzese di Lanciano. Ho studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove mi sono laureato nel 1954. Dopo aver vinto il concorso per l’insegnamento nella scuola media, nell’indicazione delle sedi preferite, avevo scelto anche Cortina, in quanto da sempre appassionato di montagna. Mi è stata assegnata proprio questa sede”. E a Cortina è rimasto. “Sì, anche perché qui ho conosciuto quella che sarebbe poi diventata mia moglie. E’ successo così: lei era una collega che insegnava materie letterarie, come me, e un giorno mi ha chiesto come mai fossi capitato a Cortina. Ho risposto: “Piuttosto che finire a Sassari, meglio qui”. “Ma io sono di Sassari” ha replicato lei. Si chiamava Giovanna Biddau, una donna straordinaria, morta un anno fa, alla quale ho dedicato recentemente anche un libro di poesie. Ci siamo sposati e sono nati due figli, un maschio e una femmina, che oggi vivono a Bologna”. Lei ha insegnato per molti anni anche all’Istituto d’Arte, lasciandovi un ricordo incancellabile. “Dopo una prima esperienza alla scuola media di Cortina, dove sono stato anche preside, sono passato infatti all’Istituto d’Arte, rimanendovi per parecchi anni. E ad esso ho anche dedicato una corposa pubblicazione che documenta la nascita e l’affermarsi dell’Istituto nel tessuto sociale del territorio: “L’Istituto d’Arte di Cortina d’Ampezzo. Cronistoria 18461988”. Quali altri libri ha scritto? “Fra i più recenti posso citare “La testa fra le nuvole”, “Tu” e, con altri autori, “Pietre vive”. Il primo è una raccolta di fotografie scattate personalmente e di poesie interamente dedicate alle nuvole. I testi sono riportati con la mia calligrafia, in quanto ritengo che la scrittura manuale costituisca una sorta di atto di riguardo verso chi legge. “Tu” è una raccolta di poesie dedicata a mia moglie…”. Ne leggiamo una insieme? “Pensarti è come perdersi/con gli occhi/in un turbine candido/di fiocchi/contro lo sfondo cupo del fogliame/di un bosco./Ed il terreno/assetato dell’anima si copre/di una coltre purissima di sogni/che scintillano al bacio della luna/riapparsa tra le nubi”. E “Pietre vive”? “E’ un piccolo libro di larga diffusione, dedicato alle cappelle di Ampezzo, per il quale ho elaborato le schede relative a San Rocco a Zuel, San Candido a Campo e alla Santissima Trinità a Majon. Ma la mia produzione complessiva comprende parecchi libri. Fra l’altro ho contribuito alla realizzazione di “Storia e arte nelle chiese a Cortina d’Ampezzo”, ho dedicato una pubblicazione ai disegni e dipinti di Luigi de Zanna e una agli scritti di Alis Levi, con lettere autografe di Gabriele D’Annunzio. Ma potrei continuare”. Prof. Pappacena, lei negli ultimi decenni è stato tra i protagonisti della vita culturale ampezzana, collaborando fra l’altro con Milena Milani e altri personaggi. “Mi sono inserito presto, grazie in particolare all’aiuto del pittore Italo Squitieri e di altri protagonisti dell’ambiente culturale cortinese. Sono diventato amico di Indro Montanelli, che incontravo lungo la passeggiata della vecchia ferrovia. Ho conosciuto anche Dino Buzzati e tanti altri scrittori e artisti, che mi hanno arricchito spiritualmente. Ho sviluppato un’intensa amicizia con il prof. Ennio Rossignoli, la cui frequentazione dura ancor oggi. Gli episodi che potrei raccontare sono tanti. Mi limito a un solo esempio. Un giorno ho conosciuto, davanti al “Posta”, l’attore Giorgio Albertazzi. L’ho condotto da Rachele Padovan, la cui casa era diventata un prestigioso punto d’incontro e di amicizia. Ne è uscita una serata memorabile, che ricordo ancora. Ma, al di là delle frequentazioni personali, posso dire che a Cortina esisteva un fermento molteplice, che si traduceva in iniziative disseminate lungo l’arco dell’anno. Fra queste, un festival del jazz che ha avuto particolare successo”. E poi vi sono stati i lunghi anni di insegnamento. “Io avevo una concezione un po’ particolare della scuola, in quanto ero rimasto affascinato dalle modalità didattiche apprese alla Normale di Pisa, dove le lezioni si svolgevano praticamente attorno a un tavolo. Il docente e gli allievi, in tal modo, potevano confrontarsi direttamente, guardarsi negli occhi. E la lezione diventata una sorta di conversazione. Ho cercato di trasferire questa modalità didattica anche quassù tra le montagne. Ricordo poi che tante volte accompagnavo i ragazzi a teatro a Belluno. Anche questo diventava uno stimolo cultu- 5 ROBERTO PAPPACENA Insegnante allʼIstituto dʼArte di Cortina dʼAmpezzo per molti anni, è stato tra i protagonisti della vita culturale ampezzana NOVANTʼANNI SPESI BENE rale intenso”. Diceva all’inizio di aver indicato la sede scolastica di Cortina in quanto appassionato di montagna. Ha fatto anche roccia? “Sì, ma poi ho smesso per il trauma psicologico riportato in seguito ad un grave incidente accadutomi sui Cadini di Misurina. Lì, un giorno, il famoso alpinista Marino Bianchi mi ha proposto di effettuare un’arrampicata. Formavano la cordata altre due persone. Inizialmente era stato stabilito che io dovessi essere in fondo. Invece, all’ultimo momento, Bianchi aveva deciso di spostarmi più su di una posizione. Stavamo salendo tranquilli e sereni Fra le sue pubblicazioni “LʼIstituto dʼarte di Cortina”, “La testa fra le nuvole”, “Tu”, “Pietre Vive”, e altro Ha donato nel 1992 centinaia dʼimportanti volumi del padre alla Biblioteca di Calalzo quando, ad un certo punto, è venuta giù una pioggia di sassi provocata da una cordata che ci precedeva. Gli altri due compagni di ascensione sono rimasti uccisi sul colpo, se non vi fosse stato lo spostamento di posizione quella sorte sarebbe toccata a me. Da allora ho smesso di arrampicare, pur continuando a frequentare assiduamente la montagna”. Pappacena: un cognome insolito e un po’ curioso. Che derivazione ha? “E’ di origine greca e signi- fica “figlio di prete”. Evidentemente un mio antenato era sacerdote. E, come si sa, i sacerdoti ortodossi possono sposarsi”. Antonio Chiades MARZO 6 2013_ok 2_FEBBR 6 7 08/03/13 10:51 Pagina 2 6 C La scoperta ’è una storia delle Dolomiti racchiusa tra le pagine della roccia, illustrate da albe e tramonti, ricalcate da stelle di cielo e di mare, antiche conchiglie, orme di dinosauro, oceani perduti in tempi trascorsi. C’è una storia delle nostre montagne racchiusa in minuscole goccioline, più piccole d’un fiocco di neve, gocce d’ambra che si nascondono ai piedi delle maestose Tofane e chissà in quali altri luoghi. E’ stato il cortinese Paolo Fedele a segnalarne la presenza nel 1992, senza ancora sapere d’aver appena scoperto una delle più antiche ambre al mondo, 100 milioni di anni più vecchia di qualsiasi altra ambra in precedenza nota e contenente resti di organismi. Sì, perché non solo l’ambra di Paolo Fedele risale a 230 milioni di anni fa, ma contiene anche, inglobati al suo interno, tre antropodi (animali invertebrati) risalenti al periodo del Triassico: due acari e un dittero. Già nel 2006 quest’ambra aveva mostrato al suo interno un incredibile mondo di microrganismi, batteri, funghi, protozoi, pollini e alghe che avevano lasciato sorpresi gli studiosi, rivelandosi con una struttura inaspettatamente simile ai microrganismi odierni, suggerendo dunque una “stasi evolutiva” durata oltre 230 milioni di anni. LO STUDIO E LA SCOPERTA “Su questo filone di ricerca”, ha spiegato il professor Eugenio Ragazzi del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’ Università di Padova, “si è posto l’ultimo studio pubblicato nel 2012 dalla rivista ANNO LXI Marzo 2013 Ritrovati i più antichi animali al mondo inglobati nellʼambra scoperta da Paolo Fedele. Gocce esposte a Cortina e Selva IN UNA GOCCIA DʼAMBRA LA STORIA DELLE DOLOMITI Lʼambra risale a 230 milioni di anni fa, al periodo del Triassico Al suo interno due acari e un dittero, lʼultima sorpresa delle Dolomiti Unesco (foto Pnas, 2012) I due acari e il dittero visti al microscopio scientifica Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) e che ha riacceso le luci sulla scena delle nostre Dolomiti. Il patrimonio dell’umanità che tutto il mondo ci invidia ci ha ora regalato una nuova sorpresa, ossia i più antichi animali mai trovati dentro l’ambra. Sono soltanto tre artropodi, delle dimensioni inferiori al millimetro, ma che hanno consentito di espandere ulteriormente la nostra conoscenza sulle origini della vita sulla Terra. Dal giorno stesso della pubblicazione dell’articolo scientifico le notizie della scoperta sono rimbalzate sui mass media di tutto il mondo. Lo studio, condotto in collaborazio- ne con Alexander Schmidt dell’Universitàdi Göttingen, con David Grimaldi del Museo di Storia Naturale di New York – entrambi tra i maggiori esperti a livello mondiale di inclusioni in ambra – e con l’entomologo canadese Evert Lindquist, ha permesso di stabilire anche in questo caso la straordinaria “attualità” di queste forme di vita, molto simili a quelle odierne e che, grazie alla loro capacità di adattamento ambientale, hanno superato le grandi estinzioni che hanno visto, al termine del periodo Cretacico (65 milioni di anni fa), la scomparsa dei dinosauri”. Lo studio dell’ambra triassica, condotto dal professor Eugenio Ra- Il cortinese Paolo Fedele gazzi in collaborazione con il collega Guido Roghi del Dipartimento di Geoscienze e Georisorse del Cnr di Padova (e altri collaboratori di vari laboratori internazionali), è in corso da molti anni, da quando Paolo Fedele ha segnalato la presenza dei reperti. Da allora, grazie anche a successive indagini sul campo e alle speciali autorizzazioni delle Regole di Cortina d’Ampezzo, gli studiosi hanno cominciato a caratterizzare dal punto di vista chimico-fisico, stratigrafico e paleontologico, tale peculiare ambra. “Prima di tutto”, prosegue Ragazzi, “si tratta di una delle più antiche ambre mai trovate in tutto il mondo. Grazie al particolare stato di perfetta conservazione all’interno di sedimenti geologici, è giunta fino a oggi con il suo carico di informazioni che stiamo decifrando. Utilizzando informazioni fornite dalle analisi paleobotaniche è stato possibile stabilire le particolarità climatiche di una parte del periodo geologico Triassico (circa 230 milioni di anni fa), in cui un clima particolarmente piovoso (che potrebbe essere paragonato ai climi monsonici odierni) aveva creato una situazione di stress/sofferenza alle piante, che hanno iniziato ad essudare copiosa resina, poi trasformatasi in ambra nel corso di milioni di anni. Una peculiarità dell’ambra, forse quella più nota al pubblico, è che può conservare al suo interno resti di antichi microrganismi; ed è quello che ha fatto anche in questo caso”. “Tra le curiosità che potremmo segnalare”, suggerisce Guido Roghi, “c’è il fatto che il ritrovamento “solo” di questi tre animaletti inclusi nell’ambra ha richiesto in realtà una costanza ed una applicazione notevole da parte di tutti i coautori, se si pensa che sono state osservate al microscopio circa 70.000 goccioline di ambra, delle dimensioni millimetriche. Per poter scrutare all’interno di ciascun campione di ambra è stato necessario provvedere alla pulitura e lucidatura della superficie per renderne visibile il contenuto attraverso gli obiettivi di potenti microscopi”. Data la peculiarità della scoperta, altri scienziati stanno procedendo allo studio ancora più dettagliato dei reperti. Dopo il “viaggio nel tempo”, questi tre campioni d’ambra stanno ora fisicamente viaggiando per tutto il mondo, contesi da laboratori internazionali. Al termine delle ricerche ritorneranno al Museo di Scienze della Terra dell’Università di Padova, dove verranno custoditi in particolari condizioni. I PIU’ ANTICHI ANIMALI NELL’AMBRA Grazie allo stato di conservazione dell’ambra, per due dei tre antropodi ritrovati al suo interno, sono state coniate delle nuove specie chiamate Triasacarus fedelei 3 di Irene Pampanin (in onore di Paolo Fedele) e Ampezzoa triassica. Si tratta di due acari che vivevano nutrendosi di foglie di conifere della famiglia delle Cheirolepidiaceae, ora estinte. Furono proprio queste particolari piante a produrre l’ambra. Oggi gli acari si nutrono di piante con fiore, le Angiosperme, comparse sulla Terra molto più tardi delle conifere, nel Cretaceo. Nel Triassico gli acari esistevano già e si nutrivano necessariamente di conifere; in seguito si sono evoluti assieme alle piante stesse, superando le grandi estinzioni. Non è stato possibile definire la specie del dittero, il terzo animale ritrovato, in quanto l’inclusione nell’ambra non è avvenuta in modo completo. A CORTINA E SELVA GOCCE D’AMBRA Campioni di ambra Triassica delle Dolomiti, in tutto simili a quelli che hanno celato questi animaletti ormai famosi per la scienza, sono custoditi nel museo delle Regole di Cortina d’Ampezzo, dove possono essere ammirati dal pubblico. Alcune goccioline della stessa ambra si trovano anche nel museo civico Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore, donate poco prima della sua ristrutturazione dallo stesso Paolo Fedele. PAOLO FEDELE RACCONTA Trovare delle goccioline d’ambra minuscole con all’interno la storia delle Dolomiti non è cosa da tutti i giorni. Di certo Paolo Fedele non se l’aspettava “Era più o meno il 1992 quando ho scoperto il giacimento”, racconta pacatamente e con gentilezza il cortinese Paolo Fedele, “poi è rimasto un po’ tutto “chiuso in un cassetto” perché non era proprio una cosa così eccezionale. Verso il 1996-1997 ho fatto vedere il reperto d’ambra più grosso a dei professori (ora esposto al Museo delle Regole di Cortina d’Ampezzo) e gli ho dato un pezzetto da analizzare. Così una sera mi ha chiamato il professor Piero Gianolla chiedendomi se poteva venire qui a visionare il sito insieme ad altri professori e da lì è partito tutto. Pochi giorni dopo sono arrivati Gianolla, Guido Roghi e Eugenio Ragazzi. Siamo andati a vedere il posto e abbiamo trovato altri reperti. Il primo giacimento lo avevo individuato nella zona di Ru Merlo, sotto le Tofane. Poi con i professori siamo arrivati vicino al Rifugio Dibona dove abbiamo trovato altri reperti”. Si aspettava di trovare dell’ambra così importante? “Sinceramente è stata una sorpresa. Un po’da appassionati, con quello che ci aveva trasmesso Rinaldo Zardini, si andava su per la frana di Ru Merlo e si cercavano altre cose: conchiglie più che altro. Poi spaccando uno dei tanti sassi, è venuta fuori questa grande goccia d’ambra, inglobata nel sasso assieme a delle conchiglie. Conoscevo l’ambra per averla vista in altri musei ma non pensavo di trovarla anche nelle Dolomiti, non era previsto: un colpo di fortuna”. Una specie ora porta il suo nome. “Pensi che il giorno in cui l’Università ha fatto la pubblicazione, ho passato tutto il giorno con Roghi. Siamo andati in escursione su alla Croda da Lago (anche lì c’è un affioramento di vegetali dello stesso periodo del Rifugio Dibona) e non mi ha mai detto niente: mi ha solo fatto vedere la foto di un acaro ingrandito mille volte. Poi il giorno dopo, che è venuto qui a casa, mi ha detto di questa sorpresa. Alexander Schmidt aveva proposto di dare il mio nome a uno di questi acari e tutto lo staff era d’accordo. Una soddisfazione grandissima per me. Qualcuno mi prende in giro dicendo: “Adesso devo aver paura dell’acaro, sono allergico all’acaro!”. MARZO -7 2013.qxd:FEBBR 6-7 3 8-03-2013 11:44 Pagina 3 DAI PAESI ANNO LXi Marzo 2013 l giorno di Pasquetta, l’1 apriI le, la Magnifica Regola di Villagrande, di Auronzo di Cadore, terrà, come da artt. 22 e 27 del Laudo, la sua annuale assemblea ordinaria. In particolare, nel suo ordine del giorno, pone l’elezione del nuovo Consiglio di Amministrazione e del nuovo Collegio Sindacale. Dal momento che le cariche attuali sono a conclusione del loro mandato triennale, gli aspiranti consiglieri e sindaci, rispettivamente previsti nel numero di sei e quattro (più 2 supplenti), per essere regolarmente eletti devono presentare la propria candidatura entro un mese dalla votazione, secondo le disposizioni dell’ art. 31 del Laudo, presso la sede della Regola in Piazza Santa Giustina n.1. Quest’anno tale scadenza era prevista in data venerdì primo marzo. Sebbene i regolieri auronzani non siano pochi, ben 860 tra uomini e donne (si ricorda che le Regole di Auronzo hanno aperto il diritto anche alle donne, naturalmente rispondenti al requisito di “natività”, imprescindibile), le candidature alla fine di febbraio, quindi a pochi giorni dalla chiusura, sono state nulle: nessuno si è dato disponibile. Questo è sintomo di un disinteresse da parte della popolazione verso quello che è un diritto riconosciuto e riscoperto da poco: essere Regoliere. Un disinteresse che preoccupa. Un disinteresse o scoramento, che, nel piccolo delle nostre terre, non è desiderio di cambiamento o bisogno di “novità”. Significa solo resa. Giuseppe (Bepi) Pais Golin, attuale Presidente del Cda, riferisce una certa preoccupazione a riguardo, sostenendo che sebbene lui abbia ancora voglia di dare continuità alla Regola, anche nel prossimo avvenire, non sembra che il paese sia entusiasta a ricoprire incarichi di que- AURONZO - Cʼè preoccupazione in casa della Regola perché non vi sono aspiranti consiglieri e sindaci per il prossimo triennio LʼIMPORTANZA DʼESSERE REGOLIERE di Rosanna Franzese momento che lo stesso si mette a disposizione della collettività. La Regola, oltre a corrispondere er chi non lo sapesse o ai suoi “fuochi” somme di denon ne vedesse l’impornaro a fronte di ristrutturaziotanza, essere Regoliere confeni, promuove la cultura attrarisce l’esercizio di ulteriori diverso incontri e conferenze ritti esercitabili direttamente nei locali che lo stesso comune nella propria terra, di far parte mette a disposizione, a riprova di una cerchia di pochi che che il sentimento di collaboraziocontano e stanno facendo stone esiste, dialoga con l’UNEria attraverso assemblee, SCO per i territori boschivi di quindi in maniera democratiRusiana e lungo alcuni pendii ca. Essere regoliere ad Aurondelle Marmarole (ndr, l’ Unezo è diverso che non esserlo sco trova la fauna di questa zona in altre valli dove quest’istitumeritevole di “attenzione” e ha zione è sempre esistita e non bloccato il taglio dei lotti di legnaha perso forza. me; al momento sono ancora ferAd Auronzo il ritorno mi), eroga borse di studio a della Regola ha significato studenti meritevoli e, manteuna riscoperta di valori annendo lo spirito “conservatore”, tichi, sepolti o troppo preauspica un apporto sempre maturamente sacrificati per più considerevole delle donfar posto ad una cultura di imne e dei giovani nei nuovi approvvisazione che non ha sapuntamenti. Proprio le donne puto trattenere e valorizzare stanno mettendo in collegamento adeguatamente la propria stole Regole con la scuola. ria. Essere regoliere qui è tro“Presi da boci”, sottolinea Bepi, varsi ad certo punto della vita “le cose entrano di più dentro nele avere una voce in più a disla testa. Se ci fossero più risorse e posizione, per manifestare idee si potrebbe anche allargare il idee, collaborare, o dissentire bacino di iniziative e di coinvolgisu temi attualissimi, primo fra mento sociale. Speriamo che si tutti la conservazione del terprenda coscienza che la Regola fa ritorio e l’utilizzo sostenibile parte della vita di noi tutti e che dello stesso. La conoscenza se ci si esprime le cose cambiano, della propria terra e quindi altrimenti restiamo gli stessi. E il rispetto della stessa sono non si migliora mai.” il primo passo per miglioQuindi entusiasmarsi e andare rarla, al fine magari di proavanti è l’invito di chi vorrebbe porla anche a chi dovrebbe vedere un passaggio delle conseaver voglia di pagarla, visto gne che fosse anche generazioche la vocazione al turismo è nale. Questo è un ente che ha le l’interpretazione del futuro potenzialità per diventare un orper molti. ganismo vivo, ma per farlo serve che chi ne fa parte, con tutti i limiti e le divergenze di opinioni, diventa persona di partecipazio- ne. Diventi donna e uomo libero. P Bepi Pais Golin, lʼattuale presidente della Regola dʼAuronzo, chiama a raccolta i regolieri (ben 860 tra uomini e donne): sono stati assunti importanti impegni dal ripristino dellʼente nel 2000 Non ci si può arrendere sto genere. E’ vero che l’ente è stato ripristinato solamente nel 2000 ma va sottolineato che sono stati assunti importanti impegni dopo il suo ripristino. Primo fra tutti, non fosse altro per l’acceso dibattito che ha tinto le cronache politiche del Paese, il contenzioso per proprietà e gestione della particella 402 di Misurina, con il Comune di Auronzo (ndr, bene promiscuo della Regola di Villagrande e di Villapiccola che il comune di Auronzo gestisce). Realtà che porta alle casse del comune un ingente introito: circa 1.500.000 Euro ogni anno. “Con pacatezza e responsabilità da ambo le parti”, continua Bepi, “stiamo arrivando ad un accordo. Numerosi incontri sono stati fatti e pare che nessuna delle due parti voglia ricorrere a legali, impoverendo gli auronzani doppiamente: uno come cittadini, due come regolieri”. Follia già vista. “10.000 ettari circa di terreno siti in diverse zone di Auronzo, sono attualmente gestiti dal comune ma dovrebbero, previo accordo, tornare alla Regola in un prossimo futuro. La particella di Misurina è quindi solo una parte di questi”. Il contenzioso di Misurina, eredità della precedente amministrazione, che si spera giunga presto ad un epilogo di equo compromesso, non basta a giustificare la lontananza che c’è tra la gente e l’istitituto regoliere dal ono molti gli emigrati S cadorini, che hanno LʼIMU SULLA CASA IN ITALIA Eʼ lasciato la loro terra negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, che hanno conservato la casa di famiglia o costruito una nuova abitazione nel paese d’origine e ci ritornano per qualche settimana all’anno. Pur avendo ormai creato interessi e continuità generazionale in Svizzera, o Germania, o altri Stati europei, non vogliono staccare i contatti e recidere i legami con il loro passato e con l’appartenenza famigliare, con la lingua ladina, con i paesaggi da guardare e visitare con gli occhi e col cuore. Paolo Zannantonio Sagrestan è uno di questi emigrati. Ha vissuto e lavorato in Svizzera, dove ha sposato Wilma ed ha avuto figli e nipoti che continuano a rimanere nella confederazione elvetica. Ma egli e la moglie tornano almeno un paio di volte all’anno a Casamazzagno, dove hanno legami di parentela, amicizie, e la casa di famiglie ristrutturata e mantenuta in efficienza proprio per essere abitata ad ogni rientro. Ma su questa casa Paolo è costretto a pagare l’Imu come seconda abitazione. E così come lui tanti altri emigrati nelle medesime condizioni. Zannantonio ritiene questa una grande ingiustizia ed ha scritto al sindaco di Comelico Superiore, Ma- 7 UNO SCHIAFFO PER I CITTADINI EMIGRATI Paolo Zanantonio Sagrestan rio Zandonella Necca, ma anche ai parlamentari italiani e perfino al Presidente della Repubblica per far sentire le sue ragioni. "Vorrei dire a voi amministratori comunali ed ai politici - scrive Zannantonio - che non è giusto che noi emigranti paghiamo l'Imu sulla casa come seconda abitazione. Dove abbiamo lasciato i nostri risparmi tutte le volte che torniamo in Italia e abbiamo dato lavoro ai paesani per ristrutturare la casa? Trovate giusto che noi emigranti non siamo mai informati di cosa succede nel nostro Comune d'origine? Siamo trattati come cittadini di serie B, però per pagare le tasse siamo considerati di serie A se non si paga l'Imu puntualmente siete bravi a mandare i conti con la multa. Considerare seconda casa l'immobile posseduto in Italia da noi emigranti è una misura ingiusta nei confronti di chi, a seguito di anni di lavoro e sacrifici ha investito i propri risparmi per costruire o rimodernare le proprie abitazioni. Togliere la prima abitazione è un intollerabile schiaffo per noi cittadini ita- di Casamazzagno ha scritto al Presidente Napolitano: “Eʼ una misura ingiusta, per quanti in anni di lavoro allʼestero hanno investito i risparmi al proprio paese per ritornarci” liani all'estero”. Nella lettera inviata al Presidente Giorgio Napolitano, Paolo Zannantonio Sagrestan fa un appello: “Mi rivolgo a lei, Presidente, per aiutarci a riconoscere nuovamente la prima abitazione agli emigranti proprietari di casa, in modo da non essere costretti a venderla e dire per sempre addio all'Italia”. Purtroppo per lui e per i tanti emigrati cadorini nella stessa situazione, dal Comune di Comelico Superiore e dagli altri municipi cadorini non è arrivata alcuna risposta. O, peggio, sono arrivate risposte evasive e magari ciniche, come quelle di alcuni amministratori, che hanno osservato come le imposte pagate dagli emigrati servano a mantenere più bassa la percentuale sulla prima e seconda casa per i residenti stabili. Lucio Eicher Clere MARZO 8-9 2013.qxd:FEBBR 8-9 8-03-2013 11:53 Pagina 2 8 ANNO LXI Marzo 2013 3 Lettere & Opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & Opinioni DAL CANADA, ENRICA PRESENTA UN SALUTO A MERY E BRUNO LA POSTA CON GLI MILENA E LETICTIA ABBONATI NEL... MONDO DE LORENZO IN MICHIGAN Carissimi, come promesso telefonicamente, vi mando le foto delle mie bis-nipotine, due belle gemelline: Milena e Letictia di due mesi e mezzo. Sono molto buone, mangiano e dormono, il fratellino Adri se le bacia e guai a chi le avvicina perché sono sue. Qua fa freddissimo, oggi siamo a -28 gradi ma con il vento va fino a -35°, si sta in casa anche se fa un bel sole; dicono che è la giornata di gennaio più fredda da più di 10 anni. Cari saluti a tutti Enrica Liva Crepaldi Laval - CANADA Anche qui in Cadore il freddo non è mancato, ma non certo con temperature così basse, e di neve ne abbiamo vista tanta a febbraio. Un saluto da parte nostra alle due belle gemelline che nonostante il tempo mangiano e dormono beate. Egregio Direttore, volevo, attraverso il Suo giornale, fare una sorpresa ai miei zii De Lorenzo Bruno e Mery, abitanti in America nel Michigan e precisamente a Mount Pleasant dal lontano '59 e Vostri lettori da tanti anni. Nella fotografia che Le invio, ci sono 4 generazioni, la bisnonna Robin Vanda di 85 anni, nonchè sorella di Mery De Lorenzo, poi la nonna Dolmen Italina di 62 anni, la mamma Dolmen Monja di 33 anni e la piccola Gaia Da Rin D'Iseppo di 1 anno compiuto lo scorso 7 febbraio. Vorrei inoltre, mandare agli zii e figli, un saluto e un augurio di un arrivederci a presto da tutti noi. Ringrazio Lei e tutta la redazione per la possibilità che mi date e congratulazioni per "Il Cadore" letto nelle varie parti del mondo. Distintamente Saluto. Dolmen Italina Pelos di Cadore Grazie Italina, fa sempre bene un complimento. Saluti anche da parte nostra ai coniugi cadorini nostri affezionati lettori negli Stati Uniti. UN CARO SALUTO A MARIUCCIA DEL FAVERO Sp. Redazione, sono parecchi anni che mia sorella Maddalena mi aveva regalato l’abbonamento al Cadore, mi ha portato tanti ricordi e notizie. Ora però mi sono sorti tanti problemi (...) e vorrei dirvi che non mi abbono più e mi dispiace. Vi auguro buon lavoro e sempre migliore. Vi ringrazio di quello che mi avete fatto in passato, Egregi Signori, è già passato più di un anno e ora mi affretto a rinnovare l’abbonamento. Colgo l’occasione per augurare a tutta la redazione un buon positivo anno e salutare cordialmente. Tina De Lorenzo Schori Rumlang - SVIZZERA Altrettanto a lei e famiglia Signora Tina. Siamo certi che di anno in anno il nostro mensile vi fa compagnia. Egregia Redazione, includo l’abbonamento al mensile Il Cadore per l’anno 2013. Anche se in ritardo vi auguro un Buon Anno a tutti voi e cordialmente vi saluto tutti. Giovanni Pinazza N.S.W. - AUSTRALIA Siamo noi in ritardo nel contraccambiare gli auguri, visto che la sua lettera è del 7 gennaio. Abbia pazienza riguardo la lentezza nel recapito del giornale: nonostante la buona volontà e i potenti mezzi moderni, siamo sempre in ritardo. Egregi Signori, vi invio il rinnovo dell’abbonamento (...) anche se faccio presente che scadeva con fine aprile. Gradirei ricevere la vostra richiesta di rinnovo un po’ prima della scadenza. Grazie. Giuseppe Pampanin Clifton, N.J. - USA Ringraziamo, e rispondo a lei come anche ad altri abbonati: la lettera per il rinnovo inviata dall’amministrazione vuole essere un promemoria sulla scadenza e sulla quota dell’ab- bonamento, ma ovviamente i numeri garantiti sono 12, con effetto dal momento del pagamento. Ricordiamolo, l’abbonamento è la linfa che permette al giornale di vivere e a noi tutti di sentirci. Cari Amici, tanti auguri!! Rinnovo l’abbonamento. E, se possibile, mi farebbe piacere ricevere il libro degli Alpini!! Saluti cordiali M. Pierre Ciliotta Nizza - FRANCIA La lettera è d’inizio gennaio, ringraziamo e contraccambiamo gli auguri. Lei avrà già ricevuto il libro degli “Alpini e Artiglieri in Cadore”, ricordiamo a chi ne fosse interessato che gli autori Musizza e De Donà hanno gentilmente messo a disposizione altre copie. Egregio Direttore, le includo il rinnovo annuale de Il Cadore. Incluso anche per gli anni passati. Colgo l’occasione per mandarle, sebbene in ritardo, i migliori auguri di buon Anno. Cordiali saluti Maurilio De Nicolò Saratoga CA - USA Gli auguri sono sempre graditi e contraccambiamo con vera gioia, ringraziandola del sostegno. con i migliori auguri a tutti, salutandovi, la sempre cadorina Mariuccia Del Favero Gava Montaner di Sarmede (TV) Le saremo sempre vicini, Mariuccia, e ricorderemo insieme sua sorella Maddalena che ha sempre voluto con spontaneità, generosità e caparbietà, mantenere intatti i legami della vostra cadorinità. Raccontandoci tempo fa della sua fanciullezza a Cibiana, lei scriveva: “Io sono orgogliosa d’essere Cadorina!” Fosse anche solo per questo e pure per alleviare le pene della vecchiaia, noi siamo felici di mandarle il mensile affinché lo possa sfogliare con i suoi nipotini. Vorrei proprio conoscervi tutti, Voi Cadorini che siete andati in altri continenti mantenendo saldo legame con la vostra terra. Siamo in un mondo grande ed agitato, fa un gran bene ricordarci gli uni degli altri. MARZO 8-9 2013.qxd:FEBBR 8-9 3 8-03-2013 11:53 Pagina 3 ANNO LXI Marzo 2013 9 Lettere & opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & opinioni VITTORE DE SANDRE CI HA LASCIATO SI RIPARLA DI PROLUNGAMENTO FU ANCHE DIRETTORE DE “IL CADORE” AUTOSTRADALE, MA NON ERA FINITA? Se n’è andato Vittore De Sandre, aveva 72 anni. La gente di San Vito e del Cadore ha partecipato numerosissima e comossa al funerale il 12 febbraio perché è indubbio che Vittore sia stato un sindaco capace, stimato e disponibile (ben quattro mandati, tra il 1975 e il 2004), un’amministratore e politico equilibrato (attualmente era presidente della Comunità Montana Val Boite), un giornalistaconduttore apprezzato (soprattutto su TeleCortina, con una trasmissione di successo, “Filo diretto”. Professionalmente preparato, era stato per anni direttore dell’Ufficio Postale di S. Vito di Cadore. Lascia la moglie Franca, i figli Lorenzo e Marta, i nipotini, ai quali vanno le condoglianze della Redazione de Il Cadore. Vittore De Sandre fu direttore responsabile de Il Cadore per alcuni mesi nel 2006 e quindi collaborammo assieme dopo esserci accordati sulla mia condirezione. Nonostante gli ingarbugliamenti del momento, non fu difficile, perché Vittore era una persona saggia, pacata, disinteressata, permeato di modestia. Ci conoscevamo e ci rispettavamo da tanto tempo. Avevamo collaborato assieme anche nel 1983 quando De Sandre fu nominato Direttore responsabile del “Notiziario ULS1 Cadore” che veniva recapitato ad ogni famiglia del territorio. Posso dire che eravamo diventati amici e avevamo progettato di fondare un giornale assieme. Cosiché, non ci pensai due volte nel 1998 a iniziare il neonato mensile Opinioni con una sua intervista, dal titolo lungimirante: “Un Senato per il Cadore”. Il Cadore deve essere rappresentato in modo unitario e non frammentato scriveva De Sandre -. E chi meglio della Magnifica Comunità è il simbolo di tutto il Cadore? Nominino i sindaci un Senato di saggi che con la sua autorevolezza aiuti questa nostra piccola patria a RICORDANDO ADELE Adele Milan vedova Brioschi era una persona mite e laboriosa, dedita alla famiglia, come ben sapevano fare le donne cadorine. La ricordiamo su queste pagine perché è sempre stata affezionata alla Magnifica Comunità e aspettava trepidante l’uscita de Il Cadore. Adele in Magnifica era di casa, perché per 25 anni fece servizio di pulizie presso l’ente allora presie- duto da Giancandido De Martin, partendo da Sottocastello alle 6 di mattina e con ogni tempo, inoltre si rendeva disponibile alla biglietteria del museo o per altre necessità. Prima di lei, anche sua madre Giovanna svolgeva lo stesso incarico. La vita di Adele si è conclusa a 84 anni il 9 gennaio scorso a Sottocastello, assistita amorevolmente dal figlio Leo. crescere. Dopo aver chiarito la proposta, concludeva: L’obiettivo è una Magnifica Comunità ridisegnata, ente di riferimento storico che diventi ente di programmazione sociale e motore di sviluppo. Tutte le idee camminano con le gambe degli uomini sosteneva l’allora sindaco di San Vito di Cadore - ci sono tanti modi per iniziare. Forse oggi si “dovrà” realizzare quello che Vittore ieri sognava. Renato De Carlo Caro Direttore, faccio riferimento all'articolo "Si riparla di autostrada" apparso sul numero 1 gennaio 2013 della rivista da lei diretta. Vorrei aggiungere alcune considerazioni a quelle espresse nell'articolo e cioè il recente dato sul consumo di suolo che vede il Veneto assieme alla Lombardia come le regioni a più alto e spensierato consumo di suolo e soprattutto sulla notizia apparsa sulla rivista del CAI, "Montagne 360" del dicembre 2012, "la grande vittoria dell'ambiente: approvato il Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi" e cioè la ratifica del'Italia del Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi "che assume ora carattere vincolante" - si dice nell'articolo - e in particolare: "Niente più strade di grande comunicazione attraverso le Alpi. Addio al progetto (senza senso perchè comunque irrealizzabile senza l'assenso degli altri Stati) di una nuova direttrice stradale fra Venezia e Monaco" ecc. Come si conciliano questi dati (soprattutto il secondo) con la nuova ennesima proposta di una austrada Venezia-Monaco che ho letto sul Cadore? Cordiali saluti Daniela Sacco Gentile Signora Sacco, dopo averle risposto personal- mente, pubblico ora la sua lettera anche perché in questo momento alcune autostrade venete sono argomento dibattuto delle cronache giornalistiche. A ben leggere, l'articoletto pubblicato “Si riparla di autostrada” è esplicito: non si entra in merito alle argomentazioni dei pro e dei contro, si riportano solamente alcune ultime prese di posizione a favore o contrarie al prolungamento per dire che è ora di smetterla di parlare di autostrada o di prolungamento della A27 (pro o contro) se la cosa non è fattibile. Abbiamo preso a pretesto il fatto che ci sono ancora in giro quote di adesione alla società Venezia-Monaco e che la Magnifica Comunità ha deciso temporaneamente di mantenere la sua, per le ragioni esposte sul giornale: quella quota è ben poca cosa e se la società continua ad esistere è corretto esserci, cosa che permette d’essere pre- senti in eventuali dibattiti con i Comuni della pianura. Personalmente ritengo che ci dovrebbe essere più attenzione al nostro territorio e più unità d'intenti per le scelte che poi dovrebbero tramutarsi in economia, comunque garantisco ai lettori del nostro mensile lo spazio per il dibattito. Proprio sul numero di febbraio abbiamo pubblicato un articolo sulla conferenza tenuta a Dosoledo dal comitato Peraltrestrade, fautore del blocco di ogni altro tratto autostradale. Altrettanto però il nostro mensile deve tenere presente le argomentazioni di tanti altri cittadini favorevoli al prolungamento dell’autostrada A27 verso Tolmezzo. E ritorniamo al senso del nostro citato articoletto: si discuta una buona volta tutti assieme, pro e contro, affinché le popolazioni interessate dal progetto possano decidere su elementi concreti. Rappresentanti del PAS in conferenza a Dosoledo Lettere al Direttore Potete scrivere, o inviare mail a: [email protected] - [email protected] - fax al 043532858 MARZO 10-11 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 12:08 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 10 3 Lettere & opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & opinioni PER LE CLASSI DELLA SCUOLA PRIMARIA DI PIEVE GIORNATA ISTRUTTIVA AL CENTRO RICICLO DI VEDELAGO LAUREE Mattia Casanova De Marco di Costalta si è laureato all’Università di Udine, Facoltà di Economia e Commercio, discutendo la tesi: “Progetto di espansione di un prodotto artigianale di nicchia e ampliamento dei confini distributivi di vendita: il caso”csanzöi”. Relatore il prof. Luca Grassetti. Al neo dottore la vicinanza e i complimenti dei familiari, il papà Gilmo e la mamma Antonietta, i fratelli Serena e Simone, ed i tanti amici del Comelico. (lec) Caterina Piazza di Lozzo di Cadore si è laureato all’Università degli Studi di Udine conseguendo la laurea magistrale in Scienze della Formazione Primaria. Congratulazioni alla neo dottoressa da famigliari, parenti ed amici. Qualche mese fa, il 13 dicembre, gli alunni delle classi quinte della scuola primaria di Pieve di Cadore hanno avuto l’opportunità di conoscere la realtà del Centro di Riciclo di Vedelago diretto dall’imprenditrice Carla Poli. L’impianto che dà lavoro a un totale di 58 persone, si dedica da circa 13 anni alla re-immissione sul mercato di materie prime seconde, ovvero la frazione “secca” dei rifiuti (plastica, imballaggi, lattine, vetro, legno) che dopo il processo di trattamento e rivalorizzazione vengono vendute ad altre imprese che le utilizzano, totalmente o in parte, per la produzione di materiali per l’edilizia, utensili, arredo urbano, ecc. Si è trattato di una giornata ad alto contenuto tecnologico che negli alunni ha cambiato la maniera di concepire i rifiuti: non maleodoranti e ingombranti residui da seppellire nelle discariche o bruciare negli inceneritori, ma preziose materie prime da re-immettere nel ciclo produttivo. Nel corso della visita guidata è stata sottolineata la particolare rilevanza del primo e più importante operaio di questa cate- na produttiva: il comune cittadino, che fornisce il materiale da rivalorizzare grazie alla corretta raccolta differenziata. L’uscita è stata sponsorizzata dal Sindaco Maria Antonia Ciotti e dall’Amministrazione Comunale al fine di sensibilizzare i bambini a cogliere la grande differenza tra rifiuti e materiali da ri-usare e riciclare, fra ambiente sano e ambiente ecologicamente compromesso, fra comportamenti virtuosi e comportamenti nocivi per riuscire ad attaccare a queste convinzioni comportamenti in sintonia con le strate- gie del Comune di Pieve per la raccolta differenziata. Lo scopo pedagogico della visita è stato dato per raggiunto quando alcuni alunni hanno proposto di adottare il sistema di raccolta differenziata nei quali il sacco nero dell’immondizia è sostituito da un sacco trasparente, in maniera da notare se la raccolta differenziata è stata eseguita correttamente e non percepire i rifiuti come qualcosa da nascondere. Alunni e Maestre Scuola Primaria di Pieve di Cadore Fontana Arreda Santo Stefano di Cadore Ambientazioni personalizzate anche su misura Via Medola, 21 - Tel. 0435.62377 Fax 0435.62985 - Cell. 338.9418974 e-mail: [email protected] IL RICORDO DI TRE VITE SPEZZATE DURANTE L’ULTIMA GUERRA Spett. Redazione. Colgo l’occasione, visto l’approssimarsi del 25 aprile, di inviarvi copia di tre santini degli anni ‘40 che ho trovato tra vecchie foto di famiglia. Questi santini ricordano tre vite spezzate nel fiore degli anni. Due persone sono ormai entrate nella storia del nostro Cadore: i partigiani Linda (Arrigo Papazzoni) e Folgore (Loris Frescura), le cui vicende sono tristemente note. Il terzo è il primo alpino del 7° Reggimento del Battaglione Cadore caduto sul fronte albanese durante il secondo conflitto mondiale: Giuseppe Coffen. (nelle foto, rispettivamente in basso a sx, in alto a dx, in basso a dx, ndd) Non bisogna mai dimenticare che la nostra democrazia, ormai adulta ma fragile e sempre bisognosa di continue attenzioni, è stata generata anche dal sangue e dalle lacrime di chi ha fatto delle scelte coraggiose seppur dolorose ma anche di chi ha subito scelte altrui sempre conservando la propria dignità. Provo affetto e gratitudine per questi piccoli grandi uomini che non ho mai conosciuto. Le loro corrusche fiammelle hanno rischiarato l’oscura notte della ragione e tuttora brillano, assieme a tante altre, di ogni tempo e luogo, che hanno condiviso un ideale di libertà, supremo dono d’amore del Creatore. REQUIEM AETERNAM DONA EIS, DOMINE... Cordiali saluti. Maria Teresa Da Vià Lozzo di Cadore INSERTO RUSSIA c 11-14 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 13:06 Pagina 3 A 70 ANNI DALLA DISFATTA PER NON DIMENTICARE LA CAMPAGNA MILITARE DI R USSIA 1 Molte testimonianze che qui si riportano rimangono ancora sconosciute a molti, talvolta perfino ai familiari degli stessi caduti e dispersi in terra russa a cura di Walter Musizza - Giovanni De Donà QUELLO DEGLI ALPINI IN TERRA DI RUSSIA NEL 1943 FU UN IMMANE SACRIFICIO icevò” è una parola russa che significa lette“N ralmente “non importa, fa niente”, ma esprime un’autentica filosofia di vita, quella cioè del tirare a campare senza preoccuparsi troppo, del superare la cattiva sorte e le avversità con fatalistica rassegnazione. E “nicevò” dicevano i civili russi ai prigionieri italiani per consolarli, per invitarli a stringere i denti e resistere alle avversità: una logica che fu fatta propria da molti nostri soldati mandati in guerra e che li aiutò a sopportare l’insopportabile. Ivo Emett, che proprio “Nicevò” ha intitolato un suo libro (Mursia, 2005) dedicato alle sue memorie di fame e prigionia in Russia, ci fa notare però che noi, gli eredi di quegli eventi, neanche a 70 anni di distanza da quella drammatica campagna, possiamo permetterci di dire “fa niente”, perché “i morti sono veramente tali quando vengono dimenticati dai vivi”. Quello degli Alpini in terra di Russia, 70 anni fa nel gennaio 1943, fu un immane sacrificio. Una tragedia oggi quasi dimenticata, che allora coinvolse tanti giovani scaraventati nel mezzo di una guerra assurda e finiti dispersi nel mare della steppa e dei quali, come qualcuno ha scritto, “è rimasto solo il dolore delle mamme” che hanno perduto quel loro figlio, svanito nell’inverno russo come una fuggevole ombra. A 70 anni di distanza vogliamo ricordarli... 2 LA MARCIA IMPOSSIBILE DELLʼARMIR NELLA RITIRATA DI RUSSIA - MIGLIAIA DI GAVETTE SPARSE NELLA NEVE enite dal Don? V “ chiedevano i vecchi con occhi increduli D’inverno? A piedi nella neve? Senza viveri? Nessuno ha mai fatto questo in Ucraina, è una cosa incredibile!” Così si meravigliavano i russi che nelle loro isbe ospitavano i nostri soldati, offrendo un po’ di patate e qualche sorriso, che andava oltre la convenienza e voleva essere sincera partecipazione verso le vittime di una tragedia al di sopra di ogni parte. Una tragedia che ha avuto in Giulio Bedeschi (“Centomila gavette di ghiaccio” (Mursia, 1963, oltre un milione di copie vendute) il suo aedo più famoso, e che continua ad insistere sulle nostre coscienze, richiamandoci periodicamente al dovere del ricordo, con nuove notizie di cimiteri italiani in Russia, di riesumazioni, di ritorni di spoglie in Italia... L’VIII Armata Italiana (ARMIR) era composta da 3 “Venite dal Don?” chiedevano meravigliati i contadini russi offrendo ai nostri soldati un poʼ di patate e qualche sorriso... NellʼVIII Armata Italiana (ARMIR) vi erano anche reparti del Corpo dʼArmata Alpino formato dalle divisioni Vicenza, Tridentina, Cuneense e Julia. Nella Julia, il “Gruppo Val Piave” costituito a Belluno nel 1941 4 reparti della Sforzesca, della Celere, della Torino, della Ravenna, della Cosseria e dal Corpo d’Armata Alpino formato dalle divisioni Vicenza, Tridentina, Cuneense e Julia. Con la Julia vi era il Gruppo “Val Piave”, costituito a Belluno nel 1941 con la 35a, 36a e 39a batteria, armate con 12 vecchi cannoni 105/11, preda bellica della Grande Guerra, con reparto munizioni e viveri e Comando di Gruppo, in tutto 1313 uomini, in gran parte bellunesi, al comando del Col. Anselmo Valdetara. L’Armata era schierata dalla fine dell’estate 1942 sulla linea del fiume Don per ben 300 chilometri, avendo alla sinistra un’armata ungherese e alla destra un’armata romena, cui erano poi affiancate via via armate tedesche fino a Stalingrado. L’inopinata lunghezza del nostro schieramento andava naturalmente a scapito della sua robustezza, risultando troppo sottile e totalmente sfornito di rincalzi. Il 12 dicembre 1942 i Russi sferrarono una grande offensiva, appoggiata da aerei e carri armati pesanti, che durò un intero mese. Il Gruppo Alpino, schierato nei pressi di Podgornoje, Novo Kalitwa, Seleni Jar e Ivanowka, tenne testa ai ripetuti attacchi della VI Armata sovietica appoggiata dal 17° Corpo d’Armata corazzato, ma dopo una resistenza eroica, giunse l’ordine del ripiegamento. La Julia si era meritata sul campo l’ammirata considerazione dei tedeschi, che avevano già definito i suoi uomini “panzer-soldaten”, ma nulla poté contro lo sfondamento operato dai russi all’alba del 14 gennaio 1943 nel settore ungherese, in quello sinistro della Tridentina e in quello tedesco. Il Corpo d’Armata Alpino si trovò così stretto in un’esiziale tenaglia, mentre più ad ovest un’altra morsa si stava chiudendo nei pressi di Alexejewka, sulla quale puntavano le colonne del XV Corpo d’Armata corazzato proveniente da sud e quelle della XL Armata che scendevano da nord. Nella trappola avrebbero dovuto finire quante più unità nemiche possibile, sia tedesche, sia ungheresi, sia italiane, ovvero tutte quelle impossibilitate a ripiegare verso ovest. Il 14 gennaio il Generale tedesco Eibl, nuovo comandante del XXIV Corpo corazzato, avvertì la Julia che le sue truppe si ritiravano, affidando di fatto agli Alpini l’onere della difesa di quel settore, costituito da un fronte di 25 chilometri di steppa gelata. Nelle prime ore del giorno 16 i carri armati russi giunsero a Rossosch, gettandovi lo scompiglio: la città era infatti considerata retrovia e tutti capirono che il cerchio si stava stringendo ineluttabilmente. Lo stesso giorno iniziò la ritirata verso ovest: la Tridentina e la Cuneense avevano circa 16.000 uomini ciascuna, la Vicenza circa 12.000, mentre la Julia, che era tra l’altro la più stremata dai combattimenti, ne contava circa 12.000. Complessivamente nella sacca venivano a trovarsi 110.000 uomini, dei quali 70.000 italiani. I nostri Alpini distrussero tutti i materiali non trasportabili, distribuendo spesso tutto quello che potevano alla popolazione russa. Alleggeriti al massimo, senza cibo e mal vestiti, con temperature di 20-40° sotto zero, iniziarono a costellare la neve di migliaia di gavette, colme solo di ghiaccio. “Quando la superficie della pianura ondulava nel saliscendi di basse colline, l’occhio dei soldati vedeva l’enorme colonna nereggiare e perdersi agli estremi nel fosco della notte incipiente”. Così racconta Bedeschi di quell’ineffabile calvario che durò fino al 31 gennaio, di quella marcia impossibile, mentre le truppe russe e bande di partigiani pungevano di continuo sui fianchi e alle spalle, come avvenne a Postojali il 20 gennaio, a Nikolajiewka il 26, a Nowj Oskol il 29... “Terribile era il logorio causato dalla perpetua costrizione a camminare senza requie… si vedevano quindi procedere spettri d’uomini, curvi, zoppicanti, gravitanti su grucce improvvisate, rosi dalla febbre e dai pidocchi, con le piaghe rosseggianti tra le bende gialle di pus, lividi in volto, affamati come lupi randagi… tutto dovevano fare marciando, inesorabilmente: vivere e patire, piangere e respirare, levarsi le croste dalle ferite... togliersi le dita che staccandosi putride di cancrena scivolavano sotto la pianta del piede impedendo il passo”. La ritirata poteva dirsi conclusa quando i nostri arrivarono al paese russo di Par e si accantonarono nelle isbe: la Julia era giunta in Russia Alpini in trasferimento con 20.000 soldati e ne usciva con soli e in postazione - 1942 2300. INSERTO RUSSIA c II 12-13 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 13:00 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 Inserto Campagna di Russia - 1943 3 A NIKOLAJIEVKA EROISMI DEGLI ALPINI CADORINI PER USCIRE DALLA “SACCA” E TORNARE “A BAITA” a testimonianza del L dott. Rocco Rocco, Ufficiale Medico del Grup- 5 Per il Corpo dʼArmata Alpino schierato sul fiume Don la situazione era tragica perché del tutto insuperabile risultava il fuoco nemico IL VALORE DI TANTI CADORINI NELLA RITIRATA - I CADUTI olti furono i cadoriM ni morti e dispersi in quella drammatica ritirata, piccoli-grandi eroi che riuscirono spesso a scrivere episodi di valore e di solidarietà umana. Vogliamo ricordare per esempio Costantino Cella di Auronzo, Maresciallo Maggiore dei Carabinieri, che nei giorni della ritirata assunse il comando di una colonna di slitte cariche di feriti, guidandola con perizia e coraggio. Sostenne diversi combattimenti affiancato da pochi compagni e infine salvò la vita a molti feriti e congelati: per questo fu insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare. E come non far menzione di Gino De Meio di Lozzo, lo “Scudrera cadorino”, pure insignito di Medaglia di Bronzo per il coraggio e l’audacia dimostrati in combattimento, portando in salvo sulle spalle un ufficiale fuori dalla sacca. O di Tullio Zanetti di Lozzo (Med. d’Ar- gento), che si sacrificava il 21 gennaio alla testa del suo reparto per rompere l’accerchiamento nel quale era caduta la sua colonna in ripiegamento, o del Sottotenente Alessandro Toffoli di Calalzo (Med. di Bronzo). Moltissimi furono invero i caduti e decorati cadorini nei combattimenti della ritirata: I. Pais di Auronzo, R. Frescura, G. Toffoli e G. Vascellari di Calalzo, L. Del Favero, L. De Zordo e L. Zandanel di Cibiana, L. De Martin, P. De Martin, E. Gasparina, E. Guadagnini, A. Zambelli, O. Zandonella del Comelico, O. Da Vià, R. Gasperina, G. Toffoli di Domegge, G. Mainardi di Lorenzago, A. David, P. e G. Olivotto di Ospitale, E. Del Fabbro e O. Pomarè di S. Stefano, F. Fiori di S.Vito, A. Colle di Sappada, G. Mazzucco, G. Luca, M. Pilotto e O. Vecellio di Vigo… po Alpini “Val Piave”, nel libro intitolato “La razione di ferro” pubblicato da Longanesi nel 1972, ci fa rivivere tutta la drammaticità e l’eroismo di quel giorno. Il “Val Piave”, o meglio quello che ne rimaneva, in tutto forse 300 uomini, arrivò il 26 gennaio in quel fatidico villaggio . Il gruppo più numeroso era quello della 35a compagnia, comandata dal Cap. Aurilli, mentre il dott. Rocco stava con i pochi rimasti della 36a col Cap. Vittorio. “Dietro a noi - raccontava l’autore ondeggia la marea degli sbandati, saranno più di 15.000. Aerei russi calano bassi mitragliando e gettando bombe che fanno vuoti fra la massa. I Russi sparano da dietro le case del paese e di là dalla ferrovia. Molti di noi del “Val Piave” ci siamo portati in testa, assieme ai reparti della Tridentina”. La situazione si palesava tragica, poiché appariva del tutto insuperabile il muro di fuoco operato dai russi. Intanto altri 2 aerei sganciarono diverse bombe sugli Alpini ammassati in attesa di ordini, così il Capitano Aurilli, dopo aver calcolato i tempi delle salve di artiglieria russe, pre- se l’iniziativa. “Il calcolo risultò così indovinato che il primo gruppo di 12, scattato con Aurilli, superò incolume la ferrovia, provocando l’arretramento dei cannoni russi che non si fecero più vivi”. Quasi contemporaneamente giungeva un carro armato tedesco sul quale, in piedi, il Gen. Reverberi, Comandante della Tridentina, urlava ordini (l’ormai storico grido “Tridentina avanti!”) per l’ulteriore azione da svolgere e al quale si af- 6 fiancavano subito i Nicolaijewka 12 del “Val Piave”, gli altri della 35a e poi l’intero Batt. “Edolo”. Non ca, ma il “Val Piave” - come lontano dal carro armato dirà il Cap. Aurilli - uscì del Gen. Reverberi, che con gravissime perdite. avanzava, cadde ferito a Da questo racconto posmorte Adelino Da Sacco siamo arguire che fu prodi Pelos. “Le schegge - rac- prio grazie al sacrificio di conta sempre Rocco - molti cadorini, originari di sbrindellano i pantaloni e il Lozzo, Pelos, Piniè, S. Stecappotto di Bianchin, uno fano, Borca, Vodo, Comelischeggione si infigge nella co Superiore e S. Pietro di fronte di un artigliere, ucci- Cadore, tutti della 35a battedendolo. Entriamo in un’i- ria, che molti altri poterono sba più vicina poco oltre la far ritorno “a baita”: Nelio linea ferroviaria, e prima Da Pra Munaro di Lozdi sorpassare il binario mi zo; Pietro Sacco di S. Nivolto a guardare. Molti sta- colò Comelico, Adelino vano immobili sulla neve”. Da Sacco e Celso Da Rin Subito dopo veniva occupa- Polenton di Vigo; Auguta la cittadina e ciò permet- sto De Bernardin, Tomteva lo sfilamento dalla sac- maso Comis Da Ronco, Marcello De Zolt Tono, di S. Stefano; Domenico Sala, di Borca, Bortolo Pivirotto, di Vodo; Giovanni De Lorenzo Smith e Pietro De Martin, di Comelico Superiore; Giovanni Pradetto Battel, di S. Pietro di Cadore, tutti della 35a batteria, che aprì la via della ritirata. Alla fine della lunga marcia, il 3 febbraio 1943, a Bolsche-Troizkoje e al caposaldo di Kipiansk, dei 1313 partiti dall’Italia si erano salvati in 380: tra questi l’artigliere Mosè Candeago di Calalzo, con la bandiera del Gruppo. Quelli del Val Piave erano partiti dallʼItalia in 1313, alla fine della lunga marcia il 3 febbraio 1943 si erano salvati in 380 7 8 9 10 Nelle foto, da sx: Celso Da Rin, Adelino Da Sacco, Tullio Zanetti, Giacomo Ciotti, Costantino Cella, Gino De Meio 11 12 13 INSERTO RUSSIA c 3 12-13 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 13:00 Pagina 3 ANNO LXI Marzo 2013 III Inserto Campagna di Russia - 1943 SOLIDARIETAʼ NELLʼINFERNO DELLA RITIRATA IL GENERALE GAVAZZA DAL DIARIO DI NORADINO OLIVIER DA DOZZA DI ZOLDO E IL RITORNO DELLE l cuore si indurisce, si frantumano gli ideali di soli“I darietà umana e cristiana. Si passa via senza com“GAVETTE DI GHIACCIO” muoversi troppo, si fa un passo più lungo una volta tanto, pensando che se non oggi, domani saremo uguali e se la steppa russa sarà in futuro lavorata, concimata lo è già: di carne italiana. Non ci saranno né croci, né fiori su chi cade, ma solo neve e terra… Un giorno non ne posso più, né moralmente né fisicamente, mi attardo dagli altri, lasciandomi cadere sulla neve e mi addormento; la morte bianca mi carpirebbe sicuramente se un sergente, a me sconosciuto e che ora ringrazio dal profondo del cuore, non mi risvegliasse. Con buone parole mi infonde coraggio e speranza, invitandomi a continuare. Ritrovo il mio gruppo e proseguo. Ma poveretti quelli feriti e congelati, non hanno la forza di continuare: chi piange, chi invoca la mamma e tutte le persone care, chi chiama aiuto, chi cerca di commuovere dicendo che tiene moglie e figli. Non è possibile portare loro aiuto, siamo suppergiù tutti nelle medesime condizioni. Non abbiamo più muli, ma un cavallino siberiano ci tira la slitta sulla quale è sistemato Bellabarba e sulla quale si sale a turno. Bellabarba ha una febbre altissima, e forse ha una polmonite ed è anche ferito. Troviamo ricovero per la notte in una buca e il mattino successivo non troviamo più né cavallo né slitta. Restiamo costernati, per tutti la situazione è grave, per Bellabarba è gravissima. Comprende, vedendo i compagni allontanarsi ad uno ad uno, che per lui è la fine. Io sono il solo ad essere armato e mi chiede di sparargli: “Sparami alla testa” - mi dice - ma come potrei commettere un omicidio? Il momento è critico, misuro le mie forze e non le trovo di molto superiori alle sue, ma il coraggio di abbandonarlo mi manca. Intanto rimaniamo noi due soli ed egli insiste: mi chiede di essere ucciso. A questo punto la mia decisione è presa: “Andiamo Arturo, gli dico, o ci salveremo tutti e due o moriremo insieme”. Così, sostenendoci a vicenda, riprendiamo faticosamente il nostro andare…”. Arturo Bellabarba e Noradino Olivier faranno ritorno “a baita”, certamente non sani, ma incredibilmente salvi. LA STRADA DEL “DAVAI” VERSO LA PRIGIONIA O LA MORTE on la resa dell’ArmaC ta tedesca a Stalingrado e la disfatta delle Armate rumena ed ungherese e del nostro ARMIR, nello spazio di 40 giorni ed in un settore limitato del fronte, i sovietici si ritrovarono nelle mani circa mezzo milione di prigionieri. Impegnati in una guerra totale e assolutamente impreparati ad accoglierli, non si preoccuparono per niente della loro sorte. Così gran parte degli italiani, insieme a tedeschi, rumeni e ungheresi, senza cibo o la minima assistenza medica, fu avviata verso le stazioni ferroviarie, a piedi nella steppa gelata, con marce forzate per quella che Nuto Revelli chiamò “La strada del Davai”. “Davai”, ovvero “Avanti”, era la parola che le sentinelle russe ripetevano in continuazione per spronare i poveretti. Chi cadeva sfinito veniva abbattuto a colpi di fucile dalle guardie, per lo più mongole. Quindi i trasferimenti proseguirono in ferrovia, su vagoni bestiame, senza cibo o acqua, con altissima mortalità. Ad ogni fermata i morti venivano gettati dai vagoni, spogliati dei vestiti che poi erano barattati con la popolazione civile in cambio di qualcosa da mangiare. 15 14 l generale Benito GaI vazza, vero artefice del ritorno dei resti di tanti nostri poveri soldati dalle steppe russe, se n’è andato il 20 febbraio 2010 a Cormòns (Gorizia), all’età di 84 anni. Egli riuscì a fare in pochi anni per migliaia di Caduti dell’ARMIR quello che per decenni nessuno aveva osato neanche sperare. Dopo aver ricoperto comandi prestigiosi, tra cui quelli del 5° reggimento Alpini della Brigata Orobica, della Brigata Julia, del IV Corpo d’Armata Alpino, nonché quello delle Forze terrestri alleate del Sud Europa, una volta collocato a riposo venne richiamato come commissario generale di Onorcaduti, nel marzo 1989, e fu proprio in questa veste che svolse l’incarico più importante della sua vita. Erano anni ancora difficili, con una guerra fredda ormai tramontata, ma che per lunghi anni aveva impedito qualsiasi ricerca dei nostri Caduti, in particolare sul suolo sovietico. Grazie all’amicizia con Stefano Benazzo, allora in servizio presso l’ambasciata italiana a Mo- sca, ottenne di poter iniziare la tradizione di rendere omaggio nella ricorrenza del 4 Novembre al cimitero di Glubokoje (RSS di Bielorussia), il primo ad essere individuato ancora nel 1982. Furono così censiti oltre 300 campi di prigionia e ospedali-lager in cui furono richiusi militari italiani catturati negli anni 1942-1943, e dei quali furono redatte le schede descrittive con riportate tutte le notizie di carattere geografico e topografico allo scopo di consentire, a coloro che intendes- sero eventualmente recarsi sul posto, di porre un fiore sulle fosse comuni segnalate da cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei militari italiani. Dopo la riesumazione dal suolo ghiacciato, vicino a Voronezh, del primo caduto italiano individuato e il suo ritorno in patria il 25 novembre 1990, è continuato inarrestabile il rosario di tanti ritorni di poveri resti, in tutto 3462, molti dei quali oggi riposano a Cargnacco ai piedi della Madonna del Conforto. E proprio nel grande tempio-ossario udinese fu celebrato il rito funebre per il generale Gavazza, durante il quale il nipote Massimiliano ebbe modo di leggere un messaggio-testamento dell’ufficiale ai suoi Alpini, nel quale, tra l’altro, egli diceva: “… Alpini, portatemi sulle vostre spalle in questo viaggio verso il paradiso di Cantore”. Con la resa dellʼarmata tedesca a Stalingrado e la disfatta delle armate rumena, ungherese e italiana, in 40 giorni i sovietici fecero mezzo milione di prigionieri LA TOMBA DEI LAGHER nizialmente furono utiI lizzati i due lager di Tambov e Tiomnikov, che facevano già parte dei campi di deportazione staliniana. Avevano una capacità di diecimila uomini, ma in essi furono ammassati più di ventimila. Il campo n. 188 di Tambov rappresentò per i prigionieri italiani la tomba più grande di tutta la campagna di Russia. In queste fosse comuni dal gennaio 1943 al settembre 1945 furono sepolti 8.127 italiani, di cui 6.909 nei primi sei mesi. A questi vanno aggiunti circa 4.000 morti durante il trasferimento in treno dai centri di raccolta vicino al Don (Kalac, Buturlinovka, Frolovo, ecc.) e lasciati a Rada (sobborgo di Tambov), che serviva da scalo ferroviario per il campo n. 188. Qui nelle fosse comuni furono inumati più di 40.000 prigionieri. Altri furono concentrati in campi improvvisati, inadatti ad “ospitare” in pieno inverno migliaia di individui, come i tuguri interrati di Uciostoje o le scuderie fatiscenti di Khrinovoe. Furono i lager dove la mortalità per denutrizione e tifo petecchiale raggiunse percentuali sconvolgenti. Nel campo n. 56 di Uciustoie dal gennaio all’aprile 1943 morirono 4.344 prigionieri italiani. Il campo venne alla fine chiuso per le inumane condizioni in cui si trovavano i prigionieri, che per sopravvivere si abbandonarono anche ad episodi di cannibalismo. Alla chiusura i 600 prigionieri superstiti furono trasferiti nel campo di Vilva negli Urali (n. 241/1). Qui, in una fossa comune, ci sono ancora più di 1.000 morti. 16 NEL CAMPO DI STERMINIO DI TAMBOV SI DORMIVA NEL FANGO, LʼUNO SULLʼALTRO osì il Tenente della C Julia, Ivo Emett, ricordava l’orrore di quel luogo: “Tambov era un grande lager costruito tra i larici e le betulle di un bosco. Vi erano rinchiuse decine di migliaia di prigionieri di guerra di tutte le nazionalità. Riuniti in gruppi di quaranta, eravamo costretti a vivere in bunker scavati nella terra, coperti da tronchi d’albero, frasche e terriccio. Si dormiva accatastati nel fango l’uno sull’altro: fuori solo neve e gelo! Di tanto in tanto ci som- ministravano una brodaglia che prelevavamo nella baracca della cucina posta al centro del bosco… Qualche volta, nel tragitto, venivamo assaliti dai prigionieri di altre nazionalità, affamati come noi, col risultato che spesso la minestra finiva sulla neve, così munimmo alcuni prigionieri di bastoni per fare da scorta ai portatori. I prigionieri, deperiti e allo stremo delle forze, brancolavano come automi da sembrare impazziti. Eravamo abbrutiti, sudici, laceri. Nel buio del bunker si pre- gava in continuazione, si recitava all’infinito il Rosario, si sperava nell’aiuto di Dio per uscire da quella bolgia infernale. Ma c’era anche chi imprecava, chi sul punto di morire delirava, chi faceva i propri bisogni senza ritegno tra i compagni di sventura. Non avevamo nemmeno la forza sufficiente per scostarci! Un giorno alcuni prigionieri di altri bunker vennero ad offrirci del fegato e della carne in cambio della razione di brodaglia. Sul momento non comprendemmo… poi fummo colti 17 da un dubbio atroce e ci accorgemmo con orrore che si trattava di resti umani. C’era chi aveva visto squartare dei cadaveri nel folto del bosco… In quel lager i cadaveri erano tanti, venivano trascinati congelati sul ghiaccio e gettati in grandi fosse comuni scavate molto tempo prima. Talvolta finiva nella fossa anche chi trascinava il cadavere e non era raro che vi restasse… Nel mio bunker eravamo rinchiusi in 42 ufficiali italiani e riuscimmo a cavarcela in due”. INSERTO RUSSIA c 11-14 IV 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 13:06 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 Inserto Campagna di Russia - 1943 3 QUEI TRE ALPINI DELLʼOLTREPIAVE CHE RIPOSANO ANCORA IN TERRA RUSSA U na data sulla croce e un palmo di terra tutto per sé. Questo è il minimo che un caduto possa chiedere alla dignità umana e al rispetto della storia. Ed invero per tanti nostri dispersi in Russia siffatta doverosa soddisfazione è arrivata davvero tardi, a 50 e più anni di distanza dal sacrificio versato alla Patria. E’ il caso di tre giovani di Vigo di Cadore, dei quali solo pochi anni fa sono giunte notizie ufficiali sul luogo e la data di morte. Giovanni Nicolai aveva 23 anni e con il 7° Alpini aveva già partecipato alla campagna greco-albanese distinguendosi nei cruenti scontri di Galina di Ciaf, ai Roccioni di Sellani e nella resistenza sul monte Tomori. Inviato in Russia con la Tridentina e catturato dai sovietici nel corso della ritirata, morì il 10 febbraio 1943 nel campo n. 62 di Nekrilovo, nella regione di Voronesch, a sud di Mosca, ma la famiglia ne venne informata solo nel 1993. Manlio Da Rin Puppel aveva 20 anni quando i russi lo catturarono. Finì i suoi giorni nel campo n. 188 di Tambov il 27 febbraio 1943. “Beppino” Da Rin Zanco è stato l’ultimo ad essere ritrovato. Arruolato appena ventenne nel marzo 1942, era stato inviato sul fronte russo con la Tridentina, precisamente col “Vestone” (6° Reggimento Alpini). L’ultima sua lettera alla famiglia risale all’8 gennaio 1943. Catturato dall’Armata Rossa era finito nel famigerato campo n. 56 di Uciostoje, nella regione di Tambov, a 450 chilometri a sud di Mosca, dove morì di stenti nel mese di marzo dello stesso anno e il suo corpo fu tumulato nella grande fossa comune che raccoglie i resti dei 4.344 prigionieri morti tra il gennaio e l’aprile 1943. 18 Sia la famiglia di Manlio, sia quella di “Beppino” vennero informate della sorte del loro caro appena nel 1998. Purtroppo i resti mortali dei tre cadorini non si sono potuti recuperare e portare in patria, in quanto i sovietici avevano sepolto i nostri caduti in fosse comuni unitamente a quelli di altre nazionalità. Di questi vecchi campi di concentramento oggi non rimane praticamente traccia, ma 19 quasi sempre un bosco di alte betulle indica il cimitero che raccoglie ancora i resti dei prigionieri. Il Municipio di Vigo ha provveduto però ad inserire i loro nomi sulla lapide che ricorda i caduti di tutte le guerre posta nell’atrio della scuola materna comunale. E’ una piccola rivincita della memoria, ma capace di accendere in noi tutti quella “corrispondenza” tra vecchie e nuove generazioni che il Fo- 20 scolo a ragione identificaGli alpini Giovanni va come presupposto primo e necessario della ci- Nicolai, Manlio Da Rin viltà umana. Puppel e Beppino Da Rin 21 LA RITIRATA - 1943 Dopo una resistenza eroica sul lungo fronte, il Corpo dʻArmata Alpino schierato nei pressi di Podgornoje, di Novo Kalitwa, di Seleni Jar e di Ivanowka si trovò stretto a tenaglia e ripiegò (14 gennaio 1943): nella sacca vennero a trovarsi 110.000 uomini, 70.000 dei quali italiani. Ci fu chi ebbe la fortuna di ritornare 22 Bepi Tabacchi di Sottocastello (in secondo piano) Zanco con la madre Eʼ difficile portare a casa i resti mortali dei nostri soldati, anche perché i sovietici avevano sepolto i corpi dei prigionieri in fosse comuni Di questi cimiteri non rimane quasi traccia, ad indicarli oggi solo un bosco di alte betulle 23 “CARA MAMMA... NON POSSO LAMENTARMI” o ricevuto il “ ...h pacco con il maglione, le calze e le siga- 24 LE FOTO SONO TRATTE: la 2 da “OGGI del 1962“; la 6 da tavola pittore Alfonso Artioli; le 14-16 sono del Museo Naz. Campagna di Russia di Cargnacco; le cartine 5-21 “da Alpini, storia e leggenda”, Rizzoli; la 17 dal libro “Nicevò” di Ivo Emett. rette. Io sto abbastanza bene, anche di salute non posso lamentarmi, altro che abbiamo un tempo non tanto bello, sempre neve e bufera, altro che in Piane. Anche per la popolazione non possiamo lamentarci, abbiamo trovato della gente molto gentile. Tutto quello che possono fare per noi lo fanno di cuore, specie per il mangiare… Dunque puoi star tranquilla anche tu e vedrai che un’altr’anno a quest’ora, se Iddio mi aiuta, sarò di nuovo con voi sano e robusto come prima… Sperandovi in buona salute vi invio tanti saluti ed auguri di Buon Natale. Un’altr’anno lo faremo assieme. Se vedi il padre di Celso digli che sta bene. Saluti alla famiglia di Silvio e barba Giacomo. Tuo figlio Manlio”. Posta Militare 202, li 612-1942 Catturato dai russi, Manlio Da Rin Puppel morì 80 giorni dopo questa lettera, che ci ricorda, se pure ce ne fosse bisogno, come di questa tragedia, quasi a sublimarla, sia rimasto anzitutto il dolore delle mamme, delle spose e dei famigliari che hanno perduto il loro caro, svanito nella steppa, in un immenso, anonimo campo innevato, senza alcuna coordinata geo- grafica e temporale. Molte madri e mogli, in un disperato, irragionevole conato di speranza, per l’intera loro vita hanno continuato ad aspettare figlio o marito, giorno dopo giorno, convinte che alla fine questo sarebbe tornato tra le loro braccia. Fioretta, la madre di Giovanni Nicolai di Laggio, morto a Nekrilovo, per anni sperò di vederlo comparire da dietro la grande curva di Piane, mentre Nella David, moglie di Giuseppe Olivotto, caduto a Kopanki, aspettava di vederlo scendere dalla corriera che ogni giorno arrivava ad Ospitale. MARZO 10-11 3 2013 .qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 12:08 Pagina 3 STORIA ANNO LXI Marzo 2013 ra i motivi di vanto F della memoria collettiva d’Ampezzo un posto d’onore spetta ai boschi protetti, le cosiddette vizze; e, fra tutte, a quella di Naulù, ai piedi del Faloria fra Acquabona e Fraìna che la Comunità di Cadore aveva autorizzato di erigere fin dal 1450. Una foresta quasi esclusivamente di larici, divenuta col passare dei secoli la più bella della monarchia austriaca. L’ultimo a parlarne con parole di meraviglia fu Paul Grohmann, nel 1863, quando da più di quattrocento anni nessun boscaiolo vi aveva messo la sua accetta. Lo ricordiamo perché sono stati ritrovati negli archivi del comune di Cortina documenti che fanno partire proprio dalla vizza di Naulù la storia del meraviglioso lampadario d’argento a dodici braccia della basilica dei santi Filippo e Giacomo, popolarmente noto col nome di ra ciocia. Secondo il vocabolario ampezzano, la parola significa “albero ad ampia ramaglia sotto il quale si rifugia il bestiame; era proibito abbatterlo”. Esiste poi l’altro appellativo ra cioca, perché quando il sagrestano accendeva le candele, una ad una con qualche difficoltà, pendolava tanto da far dire che era ubriaca. L’immagine dunque è connessa prima di tutto con quella dei fedeli assiepati in chiesa, alla sua luce diffusa ad illuminare altari e pitture. La storia della ciocia inizia negli anni in cui si costruiva la chiesa barocca che oggi ammiriamo dopo aver demolita la precedente gotica del milleduecento, troppo piccola per contenere la popolazione accresciuta. Un’ impresa grandiosa che richiedeva da parte degli amministratori comunali audacia e fantasia. Ma il loro coraggio era sostenuto dai molti boschi a disposizione per il taglio mentre il legname aveva sui mercati veneti grande valore. Fra quanti arrivavano a comperarlo il più abile era il veneziano Giovanni Bolis, noto perché, da molti anni, saliva in Cadore e in Ampezzo a procurarsi la materia prima. Fu così che nel 1774 egli si trovò ad avere bisogno di centinaio di larici di buona qualità e grandezza. Non si sa che cosa volesse farsene, 11 LA VERA STORIA DEL LAMPADARIO DELLA CHIESA DI CORTINA di Mario Ferruccio Belli Scoperta negli archivi la storia di “ra ciocia”, il lampadario dʼargento a dodici braccia della basilica dei ss. Filippo e Giacomo La storia inizia negli anni in cui, demolita la precedente chiesa gotica del 1200, si costruiva la chiesa barocca che oggi ammiriamo se darli all’arsenale per la costruzione delle galere o per il governo a consolidare qualche piazza o costruzione importante. Di certo i suoi agenti gli segnalarono che ce n’erano di misura e qualità come voleva proprio nella vizza di Naulù. Può essere che li avesse già notati lui stesso dalle parti di Acquabona, un paio di miglia prima di arrivare a Cortina. Da tempo immemorabile non vi si potevano recidere alberi di nessuna specie. Questo per decisione dell’assemblea dei regolieri, registrata nel laudo fin dai tempi remoti. Grazie a quel divieto gli alberi erano cresciuti rigogliosi. Di fatto un bel giorno Bolis scrisse alla Comunità. “Mi fo coraggio di umiliare il mio rispettoso ricerco sperando mi venga concessa gratia di cento venti piante di larice“. Nella missiva, ovviamente in buon italiano, sola lingua usata in Ampezzo, ancorché fosse dominio austriaco da un duecento anni, egli offriva per ogni larice 2 zecchini d’oro, in tutto 240 zecchini. Siccome uno zecchino veneto valeva 22 fiorini austriaci, 240 zecchini veneti corrispondevano a 5280 fiorini austriaci. Una montagna d’oro! VENTI LARICI A ONORE D’IDDIO SIGNORE ET DEI SUOI SANTI Per un raffronto ricordiamo che, cinque anni prima, l’architetto Giuseppe Promperg - Costa per 8000 fiorini, s’era impegnato a demolire la vecchia chiesa e a costruirne per intero quella nuova dei santi Filippo e Giacomo. Evidentemente quei larici giganteschi li valevano. La domanda fu accolta e l’11 luglio 1774 il notaio Giovanni Constantini, cancelliere, presenti Antonio da Diè, officiale, Giovanni Michielli, merico, Giovanni Antonio Colli e Pietro Manaigo, sindici e capi della Magnifica Comunità, testimoni Bortolo d’Andrea e Nicolò Zambelli, stipulò il laborioso contratto. Ed ecco apparire una nuova sorpresa. Bolis, in un empito di riconoscenza, aveva scritto in chiusura che, per sdebitarsi di quella che riteneva magnanima concessione, aveva deciso di regalare un grande lampadario d’argento da installare nella nuova chiesa. A conforto dell’offerta magnanima egli aveva allegato anche il disegno. Di certo i mise gli amministratori comunali in imbarazzo. Quale significato aveva l’imprevisto omaggio? Accettarlo o respingerlo? Si poteva far buon viso a un mercante foresto o c’erano da prevedere future pressioni commerciali? La discussione fu lunga, come era allora abitudine e la soluzione conferma la serietà del dibattito. La comunità ampezzana gradiva il dono ringraziava sentitamente il generoso commerciante per averlo offerto ma lo ricambiava con uno di pari valore. In quale maniera e con che modalità? Lasciando fuori un certo numero di larici dal famoso conteggio di 120. Il relativo prezzo sarebbe stato dunque defalcato dal pagamento come poi venne debitamente scritto dal cancelliere nel contratto. “Dare a titolo di regallo a esso mentovato signor benefattore n. 20 piante di larice fuori della predetta vizza di Naulù, per la chiocia d’argento promessasi dal medemo signor Bolis mercante et da porsi nella Chiesa parrochiale a maggior culto di Iddio Signore et dei suoi San- ti”. Nello stesso autunno , come deliberato, la Comunità di conseguenza incassò non i 5.280 fiorini che il Bolis avrebbe invece dovuto pagare ma soltanto 4.400 fiorini d’oro. Precisamente: “Si dibattano legni 20 di regallo fatto in consonanza del contratto citato, restano fermi a pagamento n. 100 e 2 non più”. A conti fatti il maestoso lampadario dalle dodici candele che oggi ammiriamo a bocca aperta valeva ben 880 fiorini d’oro! Ma la storia non finisce qui, anzi ci riserba ancora sorprese giacché il lampadario bisognava anche metterli in opera. Come appenderlo al soffitto? Con un semplice cavo o nuda catena di ferro penzoloni oppure arricchirlo di ornamenti, così da far risplendere ancora di più il vecchio argento? Prevalse la seconda idea. Ma bisognava trovare qualcuno che la pagasse. L’affare dei larici dei Naulù era chiuso. Nella vizza protetta non si doveva ritornare per questo problema relativamente secondario. Infatti dai documenti contabili che abbiamo consultato non risulta che in quell’epoca vi siano stati fatti altri tagli. Ecco invece come si svolge il un nuovo capitolo. La soluzione si legge su altri documenti dell’anno seguente, dunque datati 1775. E qui c’è la sorpresa, altrettanto gradevole per chi ama il nostro territorio e le sue storie, giacché si parla ancora di un lotto boschivo da vendere al mercante Bolis, ma non più in conca d’Ampezzo bensì in val d’Ansiei, nella località di Valbona, proprio accanto alla foresta che anche allora si diceva di san Marco. Il contratto che vede i medesimi contraenti ampezzani quali foto RAB Chiesa e vecchio campanile di Cortina sulla strada Regia (acquerello di Luigi Ghedina, propr. Regole d’Ampezzo) venditori è invece sottoscritto dall’auronzano Santo Zangiacomi, il quale si qualifica quale agente del mercante Bolis. E che egli lavori per quel ricco veneziano lo si capisce anche dal paragrafo relativo al pagamento nel quale egli dichiara la disponibilità del suo datore di lavoro a fare un nuovo regalo, appunto la catena per sorreggere il lampadario. “Et oltre il presente contratto esso signor Zangiacomi, in nome pure d’esso mentovato di lui principale Bolis, promette et si obbliga di fare un regalo alla veneranda Chiesa nostra parrocchiale ed arcidiaconale d’una catena onorevole e decente per sostener la Chiocia d’argento, da porsi fra poco nella detta veneranda Chiesa”. Non viene detto né quanto sarebbe costata la catena, né se anche questo omaggio veniva controbilanciato con una qualche partita di legname del Comune. Che il lampadario regalato l’anno precedente sia stato inaugurato con la catena resa più preziosa da quattro mazzi di roselline d’argento, lo dobbiamo soltanto supporre. Il contratto riporta le poche righe che abbiamo visto e la clausola conclusiva. “Che così, remota ogni eccezione,si sono vicendevolmente convenuti, pattuiti ed accordati e promettendo però ut in forma meliori. Santo Zangiacomi Agente Bolis affermo”. MARZO 12-13 2013.qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 12:13 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 12 C ortina. Non è passato ancora un anno dal trasferimento, alquanto traumatico, anche se si è cercato in ogni modo di tranquillizzare l'opinione pubblica, degli sportelli postali nei locali dell'ex Q8, a seguito dell'alienazione del palazzo di Largo Poste alla Geox di Montebelluna. Una chiusura totale dei servizi per quattro giorni, da giovedì 12 a domenica 15 aprile 2012, ha costretto gli utenti che ne avessero avuto bisogno a recarsi, come premurosamente suggeriva un volantino, nei paesi vicini. Come non bastasse, la riapertura nella nuova sede, ben più piccola, sita all'incrocio tra via Roma e via Olimpia, è stata accompagnata da problemi di parcheggio e perfino da una interruzione, peraltro generale, dei sistemi informatici. Ben altra storia ricorda chi ha vissuto dall'interno il trasloco da piazza Roma al Palazzo Poste e Telecomunicazioni, opera, come il collaterale Palazzo Telve e altre di Cortina, dell'indimenticato architetto Edoardo Gellner. Siamo in prossimità delle feste natalizie del 1955: negli angusti locali della vecchia sede, vicina all'omonimo hotel, l'afflusso di pubblico è in- D ovette sollevare davvero gran scalpore il delitto di Valle. D’altro canto, annotava don Barnabò nella sua Historia, più diversi di com’erano i due fratelli Galeazzi, - Gaspare l’omicida ed Osvaldo l’ucciso -, non sarebbero potuti essere. Il primo, più anziano, era riflessivo, prudente e avveduto nella gestione del patrimonio. Non sarà magari stato molto istruito, ma non gli mancava un certo intuito. Il secondo appariva meno politico, più diretto e libero nel dire la sua, ma nel contempo, liberale e generoso. Spiccava per la sua prodigiosa memoria, tanto da ricordare qualunque cosa leggesse e sentisse, senza contare la vasta erudizione in ogni ambito. Una cosa però accomunava i due Galeazzi. Era la consapevolezza della forza che il proprio lignaggio ormai consentiva anche al di là delle regole. Lo dimostra la lunga e aspra contesa ingaggiata con il conte Adamo Adami. “Gente par loro quei gran signori”. Racconta Taddeo Jacobi nelle sue “Genealogie delle più antiche e civili famiglie del Contado del Cadore” che gli Adami “possedevano a Pieve un superbo palazzo di cinque piani con dodici camere ognuno”. Ed è Giovanni Fabbiani, in “Stemmi e noti- Come lʼUfficio Postale di Cortina dʼAmpezzo si preparò allʼOlimpiade invernale del 1956 IL PALAZZO DI GELLNER HA SMARRITO LA SUA FUNZIONE tenso. Il direttore, il maestro di posta Bepi Degregorio, originario di Predazzo, all'epoca non più giovane, ma ancora sulla breccia, in sodalizio con l'amico Fritz Terschack, sia in montagna, sia negli snodi della organizzazione turistica locale, tradisce un malcelato nervosismo. Impegnato su più fronti, nell'incombere dei settimi giochi olimpici invernali, si ferma poco al tavolo di lavoro e lascia spesso la sorveglianza al suo vice, il factotum Vito Delfauro, il quale è sempre in grado di mettere una pezza nelle emergenze, supplendo personalmente ovunque. L'ufficio può contare su due impiegate esperte: le ben note Anna Ghedina ai servizi finanziari, per dirla come oggi, e Amabile Granzo alle corrispondenze e pacchi. Nelle ore di punta si chiama ad aprire uno o più sportelli integrativi un giovane che opera nei locali inter- ni, che si presentano come un vero e proprio arsenale. Lo dirige la telegrafista Gianna Biasiolo, inchiodata alla telescrivente in linea con Venezia, l'orecchio teso a captare eventuali chiamate via morse degli uffici periferici, a cui sollecita che sia data risposta dagli addetti allo smistamento della posta in partenza. Vi accade, un giorno, un importante episodio. Fra i telegrammi giunti, uno suscita l'attenzione di chi li sta registrando, perché contiene nel testo il nome di Zeno Colò: proviene da Berna ed è in tedesco. Rapida consultazione con chi conosce la lingua, ed ecco la notizia-bomba: l'olimpionico di Oslo 1952, squalificato dalla F.I.S. (il suo nome figurava su un articolo sportivo!), non potrà partecipare ai giochi di Cortina Porterà la fiaccola lungo la pista della Tofana. Indirizzato al comitato organizzatore, il telegramma, ripiegato, è posto sul tavolo del maestro, il quale, rientrato qualche tempo dopo, lo legge, mentre tutti affettano di non guardare, lo ripone in tasca, e subito si riallontana. Si saprà poi che, raggiunta la riunione che aveva appena lasciato e letta l'importante comunicazione, scopre con amarezza e scorno che la si conosce già. Il segreto non aveva retto a lungo, a fronte di simile notizia. Scontata l'accademica reprimenda del giorno seguente. Intanto i reparti della nuova sede sono tutti pronti. Seminterrato per l'ufficio arrivi e partenze, che sarà gestito per un certo tempo da una squadra di Milano-ferrovia; al piano terra l'ampia ed elegante sala per il pubblico con la linea degli sportelli ad angolo retto; a parte il locale per i pacchi, per le caselle postali, per l'accettazione dei telegrammi, che passano per via pneumatica al piano superiore. In quest'ultimo c'è la "sala apparati": telescriventi ed apparecchi morse. Al piano mansarda, persino alcune camere da letto per personale in trasferta. Un signor palazzo poste, insomma, con l'ampio piazzale omonimo, immediatamente collegato per la circostanza - alla stazione ferroviaria da un'ampia gradinata in legno. Un salto di qualità davvero inimmaginabile. Ultimato con largo anticipo il trasloco generale del materiale d'archivio e degli stampati, nell'ultima giornata di vita del vecchio ufficio è un continuo andirivieni con il nuovo, per trasferirvi quanto è legato ai servizi correnti. Terminate le chiusure contabili, tutti sono mobilitati per l'abilitazione dei nuovi sportelli, che si conclude a tarda sera. Tutti, compreso il sottoscritto, che ha perso, senza avere il coraggio di muovere obiezioni, I GALEAZZI DEL CARMINE Quarta Parte Annotava don Barnabò nella sua Historia che fece gran scalpore il delitto di Valle, ma fu “ripulito” con oro e una breve, comoda detenzione zie di alcune famiglie del Cadore”, a ricordare che discendevano da tal Pietro Antonio che capitò in Cadore quale conestabile del presidio militare che la Repubblica Veneta manteneva nel castello di Pieve. La gloria fu effimera. “Famiglia un tempo addietro la più ricca e potente - così lo definì Venanzio Donà nella sua Storia del Cadore manoscritta - poi indebolita per le sue vanità, e per voler comparire maggiore di sé medesima”. Sta di fatto che, originati da uno screzio, i dissapori tra i due casati finirono col degenerare in scontro aperto, con tanto di armigeri, attacchi e scorribande. Per poco non ci scappò il morto. Fu quando in uno dei tanti scontri il focoso Osvaldo Galeazzi centrò ad una spalla con un colpo di pistola il conte Adamo. La situazione si fece insostenibile, tanto che a passare nei paraggi dell’una o dell’altra dimora c’era di che esser sospettati d’essere partigiani dell’uno o dell’altro contendente. Informato a Venezia di quanto stava accadendo in Cadore, ci si mise di mezzo il temutissimo Consiglio dei Dieci, che convocò i due Galeazzi. Ma si presentò solo Gaspare che, pur potendo contare nell’appoggio del nobiluomo Almorò Morosini, dovette starsene ospite delle scomodissime quanto umide prigioni della Serenissima in attesa del processo, dal quale uscì per altro assolto. Peggio andò per Osvaldo, il quale per via della pistolettata si buscò due anni di bando, che tuttavia scontò comodamente ospitato da un cognato in territorio austriaco. Quanto agli Adami, furono solo condannati al pagamento delle spese processuali. Da quella vicenda i Galeazzi uscirono economicamente dissanguati. Tanto da dover drasticamente ridimensionare lo sfarzoso tenore di vita cui si erano abituati. E’ il Barnabò a informarci che Gasparo non si maritò, mentre Osvaldo, convolato a nozze con una Vecellio Pellizzaroli di Pieve, ebbe tre figli maschi: Bartolomeo, che entrò nell’Ordine dei Servi di Maria col nome di Fra Angelo Maria; Antonio che abbracciò la carriera militare: “fu ascritto al soldo della Veneta Repubblica in qualità di colonnello d’Infanteria - ci fa sapere il cronista -, che portatosi in Dalmazia e poscia in Albania all’assedio della fortezza di Knin morì di moschettata salendo la breccia nel fiore dei suoi anni”; Baldassarre che si maritò invece con Marta, figlia di Francesco Zuliani di Ceneda, da cui ebbe delle figlie - una delle quali fu Adriana, fattasi monaca in Santa Giustina di Serravalle - e due figli: Antonio, morto a 21 anni nel 1714, e Francesco, marito di Cristina, unica figlia del nobile bellunese Prosavio Alpago Novello, che portò in dote la bellezza di dodicimila ducati. Restava però la macchia del fratricidio. Che pesava non poco. A ripulirla ci pensò Baldassarre, il figlio di Osvaldo, che fece arrivare denaro sonante a Venezia. Serviva ad “ungere” chi di dovere per far sì che lo scabroso caso giudiziario venisse delegato al Consolato del Cadore, dove l’influente famiglia avrebbe potuto manovrare la faccenda. L’arguto Barnabò così si espresse: “l’oro che è l’esca che dolcemente attrae gli uomini fece spianare ogni duro intoppo che si potè incontrare”. Bastò far passare l’omicida per “huomo di poco senno”, confinandolo tra le mura domestiche. Presentatosi poi al castello, la fece franca con soli sei mesi di comoda detenzione, servito e assistito in tutto. Dopodiché tornò uomo libero. Gli rimasero il rimorso e il dolore per quel che aveva fatto. (...) Ritornando alla genealogia, don Giovanni Antonio Barnabò riferisce che da Bartolomeo, secondo figlio di Francesco nacquero Giovanni Carlo e Marco Antonio che fu il primo Alfiere che fusse stato eletto dal Centenaro di Valle dopo ricevute l’arme e che, maritatosi con Arminia Barnabò di Valle ebbe due figlie: Caterina, andata sposa a Francesco Zuliani di Perarolo e Lucietta, monaca nel convento di San Rocco di Conegliano. Quanto a Giovanni Carlo “huomo savissimo e giusto e 3 l'ultimo treno per il rientro a casa. Il maestro, che provvede a ogni cosa, gli dice di recarsi a casa sua, villa Soreghina, vicino alla stazione, dove la governante ha già ricevuto disposizioni di apprestare cena, letto e colazione. Una curiosità: all'ingresso, il poggiolo è dotato di corda di canapa e cartello che avverte "Solo per sestogradisti". Al mattino successivo, sveglia di buon'ora e via al nuovo ufficio, che apre al pubblico in perfetto orario, come nulla fosse accaduto. Tutt'altra storia, come si diceva, il recente cambio, a distanza di mezzo secolo. E, tuttavia, dopo una partenza sotto cattivi auspici, la gente, adusa a sperimentare sempre nuove singolarità, come la corrispondenza esclusivamente prioritaria, senza dire della commercializzazione di articoli vari, pare essersi via via adattata alla situazione. "È il progresso, bellezza!", le è stato spiegato. Ma, intanto, una delle più belle opere pensate da Gellner per Cortina olimpica e del futuro ha smarrito la sua funzione originaria. E la destinazione, si sa, in una struttura architettonica è tutto. Giuseppe De Sandre civilissimo: questi a sue spese particolari fabbricò la metà della sua Chiesa del Carmine, fece la sacristia et altre opere pie al di lei culto stimolato dalla sua devozione ad accrescer l’onore della gran Madre sua protettrice; et a questo fine fabbricò un palaccino galante tra Costa e Nogarè per habitatione d’un religioso che doveva servire alla Casa Galleazzi in qualità di Mansionario”. Per nulla interessato a rincorrere cariche pubbliche, fu anche avveduto nella gestione del patrimonio di famiglia, tanto che alla sua morte lasciò ben 40 mila ducati. Si accasò con Bartolomea figlia di Nicolò Puppi di Perarolo, casato ricco e di condizione civile, che gli diede quattro figlie e un figlio, Giovanni Antonio. Racconta Barnabò che “questo soggetto mancò la vita l’anno 1646 intempestivamente con sospetto di veleno datogli in Pieve di modo che arrivato a casa la sera si gettò a letto, né potè formar parola e dopo tre giorni di pena se ne morì con dolore universale”. (...) Francesco Galeazzi, medico e patriota, morì l’8 dicembre 1901 a 79 anni. L’amico e collega Giuseppe Fabbro lo ricordava così: “Nobile per lignaggio, fu nobilissimo esempio di cittadino intemerato e puro”. Bruno De Donà MARZO 12-13 3 T 2013.qxd:FEBBR 12-13 8-03-2013 12:13 Pagina 3 ANNO LXI Marzo 2013 rovai il Battaglione in fermento. Oramai la sua ricostituzione era quasi completata. Erano arrivati parecchi Sottotenenti di Complemento, alcuni raffermati, e due Capitani. Il capitano Puglisi comandava la 67, che occupava il primo piano dell'edificio centrale; il capitano De Santis aveva assunto in comando della 75, che era stata sistemata nella caserma“Buffa” di Pieve, fino a quel momento regno incontrastato del capitano Mori con la sua “Manera”. Durante la mia assenza, durata circa un paio di mesi, la 167a era rimasta nelle valide mani di Giorgio Loro Piana. Giorgio faceva parte del gruppo di Sottotenenti di Complemento che erano stati assegnati al Battaglione ad inizio anno. Non tutti li ricordo. Ho avuto la gioia di ritrovarli tutti in occasione delle annuali Feste del Battaglione. Parecchi, negli ultimi anni, sono “andati avanti”. Gli altri, il romano Pieranunzi, il genovese Ferrante, il piacentino Balestrieri, il comasco Annoni, i cadorini De Lorenzo e Bergamo, sono ancora in buona forma. Al mio rientro al reparto, nell'aprile '57, constatai immediatamente che il loro arrivo, assieme a quello del grosso della truppa, doveva aver dato uno scossone non da poco al pacifico e sereno vivere dei cittadini di Pieve. I giovani ufficiali, a fine servizio, si riversavano dal Palatini a Pieve, soffermandosi in Piazza Tiziano o frequentando i locali bar e ristoranti. Oltre che giovani, avevano tutti, non per colpa o merito loro, un paio di qualità gradite alle ragazze: erano simpatici e belli. Accadeva, perciò, che il gradimento delle ragazze, molto apprezzato dai bravi alpini, non lo fosse altrettanto da tutti gli indigeni, in particolare dal Parroco. Il curatore delle anime dei pievani era, a quel tempo, l'Arcidiacono Monsignor Angelo Fiori. Ci sarebbe voluto un Guareschi per descrivere la figura di quel fantastico sacerdote, a mezza strada tra Don Basilio e Don Camillo. Alto e robusto, tuonava col suo assordante vocione non solo tra le volte della Chiesa, ma ovunque si trovasse. Fu lui che battezzò le mie tre figlie. Fu appunto mentre officiava il battesimo di una di esse, che improvvisamente si presentò al suo cospetto un uomo dall'espressione fortemente addolorata il quale, con le lacrime agli occhi e la voce rotta, comunicò l'avvenuto decesso di una zia a lui molto cara. Luisa ed io guardavamo il buon prete, in attesa delle parole di conforto che avrebbe certamente rivolto al poveretto. “Ma cosa te vol pianzer: l'era vecia!” - sentenziò col suo vocione, allargando le braccia e alzando le spalle. Ogni volta che incontrava mia moglie Luisa, ovunque ciò accadesse, l'apostrofava a gran voce chiamandola “tenentessa!”. Tale era il titolo-nome con cui l'aveva battezzata.Un ti- 13 La 167a Compagnia Battaglione Pieve di Cadore - Estate 1957 IL MONSIGNORE E LA “TENENTITE” Alberto Preti I giovani ufficiali a fine servizio si riversavano a Pieve con gran gradimento delle ragazze Ma non del parroco mons. Fiori, sacerdote a metà strada tra don Basilio e don Camillo Sulla “Voce” monsignor rese edotti i lettori di un pericolosissimo virus che aveva infettato le ragazze e minacciava di diffondersi con conseguenze disastrose: la “tenentite” Gli ufficiali Loro Piana, Nicolini (con la sigaretta), Preti Della “tenentite” mons. Fiori aveva fatto argomento di severi sermoni. Tanto da suscitare la reazione in chiesa del sottoten. Tinor Centi che, diede lʼattenti, fianco destr, avanti marc, e con tutto il reparto tornò in caserma. Fu una dichiarazione di guerra... po simpaticissimo, bastava non contrariarlo! Era redattore, e credo anche editore, di un piccolo ma diffuso periodico dal titolo “La voce della Pieve”. Vi si cimentava commentando fatti di cronaca, giudicando avvenimenti ed esprimendo critiche, infiorando il tutto, a seconda degli impulsi dettati dal suo carattere, talvolta convenevole e confortanti benedizioni, talvolta con tuonanti anatemi. Si vedevano, in quel tempo, le prime donne, considerate arditissime e sconvenientemente anticonformiste, che osavano indossare i pantaloni. Il Monsignore scrisse un memorabile editoriale dal titolo “Le braghesse de le donne”, in cui esprimeva il suo sdegno e la sua condanna per l'indecenza di tale moda, usando espressioni talmente cariche di ironica derisione da suscitare una tale ilarità e riscuotere un tale successo che fu costretto, a grande richiesta, a ripubblicarlo almeno un paio di volte. Un bel giorno i lettori della “voce” furono resi edotti della scoperta di un pericolosissimo virus, da cui le ragazze di Pieve erano state infettate e che minacciava di diffondersi rapidamente con le conseguenze disastrose che tutti potevano immaginare. Si tratta- va niente popò di meno che della “Tenentite”, malefico bacillo derivato dal contagio con i giovani ufficiali, al quale bisognava assolutamente ed immediatamente porre rimedio. Io, lo ricordo ancora, ne venni reso edotto dalla Contessa Tarabini, il cui consorte era eroicamente caduto in Albania. Era una signora che aveva in naturale dotazione quattro qualità che la rendevano affascinante al primo incontro. Era molto bella, molto elegante, molto fina nei modi, molto simpatica. Mi trovavo nella sala-bar del Palatini, quando entrò accompagnata dalle tre figlie, che a quel tempo erano delle ragazzine molto carine. Due di esse, anche se non più ragazzine ma sempre carine e amabili, ho il piacere di incontrare ogni anno alla Festa del Battaglione. “Proprio lei, Tenente!” - mi apostrofò la Contessa, con aria ilare e divertita, sventolan- dai racconti inediti di do il numero appena uscito della “Voce” - “Si può sapere quando i suoi giovani Sottotenenti la smetteranno di mettere a repentaglio la moralità delle nostre innocenti ragazze?” Seppi così dell'avvento della malefica infezione. La cosa sarebbe stata presa da tutti per una bonaria e divertente occasione di buon umore, se il Monsignore non avesse fatto della “tenentite” argomento di severi ammonitori sermoni durante le funzioni religiose, provocando la reazione indignata sia delle ragazze che di alcuni ufficiali. Chi, tra questi ultimi, reagì in maniera eclatante, fu il Sottonente Loris Tinor Centi, vice comandante della 68a Compagnia. Loris era indubbiamente, tra gli ufficiali, il più osservante delle pratiche religiose. Fin da quando la “Manera” era il solo reparto di stanza a Pieve, era solito assistere alla Messa della domenica alla testa dei suoi alpini. Questi si schieravano in Chiesa inquadrati nei ranghi e assumevano le posizioni di “attenti” o “riposo”, che il Loris comandava a seconda dei diversi momenti della Funzione. Funzione che, essendo la più importante della domenica, richiamava solitamente la gran parte del popolo di Pieve, nonché alcuni altri ufficiali. Il Monsignore, evidentemente sentendo doveroso un suo intervento in una simile occasione, assolutamente da non perdere, non poté esimersi da improntare la sua predica alla “tenentite”. Il Tinor Centi, chiaramente prevenuto, diede l'attenti seguito da un fianco destr, avanti marc e, con tutto il reparto, tornò in caserma. Fu una dichiarazione di guerra che durò mesi; dapprima incandescente, poi sempre più morbida man mano che il buon prete si rendeva conto che nessuno faceva niente di male e che, al contrario, fiorivano amori veri da cui poi nacquero felici matrimoni. Tuttavia non perse mai il gusto della battuta allusiva, ogni volta che se ne presentava l'occasione. La Gina, tanto per raccontarne una, gestiva allora quella che era, se non ricordo male, l'unica cartoleria di Pieve. Praticamente tutto il Battaglione si rivolgeva a lei, per soddisfare i piccoli bisogni di cancelleria. E naturalmente anche noi della 167a. Capitava quindi che, a volte, il Sottotenente Giorgio Loro Piana, mio vice comandante, vi si recasse per qualche acquisto. Oggi Gina e Giorgio sono sposi felici a capo di una bella e numerosa famiglia; ma allora erano solo due ragazzi che palesavano tanto apertamente la reciproca simpatia, che non poté non essere notata dal perspicace Monsignore. Il quale, recatosi un giorno ad acquistare una penna, venne interpellato dalla Gina su quale tipo di penna desiderasse.“La preferisce nera o blu?” La frecciata fu immediata: “me va ben la blu, anca se so ben che a ti te piasen le penne nere!” La risposta della Gina fu agrodolce, ma purtroppo non trascrivibile. Alludeva ai trascorsi passaggi per il Cadore, durante la guerra, di ben altre truppe che i bravi alpini del 1957. Pare che, a quel punto, il buon pastore si rendesse conto che le sue preoccupazioni circa la moralità delle sue pecorelle fosse eccessiva, perché il suo commento finale fu: “te ga rason!” MARZO 14-15 2013.qxd:FEBBR 18-19 14 8-03-2013 12:17 Pagina 2 LIBRI - pittura Lina Urban ANNO LXI Marzo 2013 Collana di studi e ricerche sulla cultura popolare veneta BANCHETTI VENEZIANI DAL RINASCIMENTO AL1797 n libro insolito, che unisce il riU gore della ricerca alle piacevolezze di un contenuto curioso. Venezia dal Rinascimento al 1797, ossia dal vertice alla caduta, tre secoli in cui la storia d'Europa e d'Italia si intrecciano nelle turbolenze della politica e nel fiorire delle arti e del pensiero filosofico e scientifico. Secoli che la Repubblica del Leone attraversa via via più appartata e trascinata nel declino delle fortune signorili, mentre altri protagonisti si succedono alla ribalta degli avvenimenti mondiali. Ma se la potenza militare e commerciale della Serenissima va logorandosi, intatta rimane nel tempo la fascinazione che la sua bellezza e la sua festosità esercitano sui potenti della terra come sugli uomini comuni. Una cultura della gioia, che celebra e si celebra nell'edonismo popolare, a cui non sfuggono i nobili né i maggiorenti della città. Venezia, città di cortigiane raffinate e poetiche, una magnifica quinta di teatro in cui la rappresentazione è sempre quella della commedia, e in essa, il pantagruelico piacere del cibo che si esalta nelle stupefacenti scenografie dei banchetti pubblici, o nelle sontuose dimore patrizie, dentro e fuori città. E' stato Brillat-Savarin, settecentesco fisiologo del gusto, ad affermare che il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono: si dovrebbe dunque conclude- re che la fine della Repubblica è stata una conseguenza delle sue eccessive indulgenze culinarie? Certo un tema di riflessione, di cui peraltro il libro di Lina Urban non si cura, perché l'intento della sua ricerca è la ricostruzione di consuetudini che il fasto degli apparati, l'originalità delle invenzioni ornamentali e le opulente fantasie alimentari traducono nella storia di una società che nei riti della tavola poggia una larga parte della propria distinzione e della propria grande attitudine all'accoglienza dei personaggi illustri - così come alla lussuosità delle scadenze cittadine - apprestando modi dell'ospitalità sempre all'altezza del rango e delle circostanze. Su tutto ciò il libro compie un percorso dettagliato su testimonianze scritte e d'immagine, con la precisione di una studiosa dell'arte e del costume veneziani, che per questo lavoro si è mossa tra archivi, attestazioni museali, documenti di cronaca, specie quelli relativi a importanti festività, alcune vive ancora oggi: una ricerca di ampio approccio, dagli allestimenti ai particolari dei Trionfi, del vasellame e delle posaterie più preziose - le ceramiche artistiche e i vetri di Murano – alla disposizione delle tavolate dogali e alla minuziosa elencazione delle portate. Dappertutto il colore tizianesco e il suono armonioso dei madrigali di Gabrieli; sfilano le compagnie della Calza, il Venezia, città pagana e insieme devota, amante dei lussi e del divertimento Il libro di Lina Urban ce ne offre uno spaccato di vita Bucintoro, gli spettacoli del carnevale, i banchetti solenni per principi, re, imperatori in visita o di passaggio in laguna, a cui la maschera offre la libertà di passeggiare tra calli e campielli, osterie e locande mescolandosi al popolo nelle feste “oltre i palazzi”. Venezia città pagana e insieme devota, amante dei lussi e del divertimento, ma pronta a correre ai perdoni; un popolo che smania per la villeggiatura e le scampagnate in peota, ma compatto nei pellegrinaggi alla Madonna della Salute. Il libro di Lina Urban ce ne offre uno spaccato di vita rivelatore di alcuni degli aspetti più riposti di quella società: il quadro di una antica gastronomia di parata e di popolo, interpretabile e godibile come un mezzo diretto e originale di conoscenza del costume e della cultura di una polis unica nel panorama della storia d'Italia. Ennio Rossignoli Una iniziativa della Magnifica Comunità e della Fondazione Tiziano ALLA SCOPERTA DI MARCO VECELLIO arco Vecellio, chi era coM stui? Potrebbe titolarsi così la mostra itinerante correlata ve di Cadore, San Vito di Cadore e San Pietro di Cadore. “Si tratta di un percorso esposiad un’attività didattica di ricerca tivo che punta a valorizzare le che la Magnifica Comunità e il molte cose belle di cui è ricco il Centro Studi Tiziano hanno prenostro territorio e che molto spesdisposto per gli studenti del Caso non conosciamo neppure noi dore. Marco Vecellio era nipote cadorini. Questo vale per l’amdel grande Tiziano. Pittore lui biente, per la montagna e per le stesso e annoverato fra i massimi arti come in questo caso.” Così il esponenti della bottega del maepresidente della Magnifica Comustro di Pieve di Cadore, capace di nità di Cadore, Renzo Bortolot ha realizzare molte opere oggi condato il via all’iniziativa che si conservate nelle chiese del Cadore. cretizzerà nel mese di marzo a La mostra, itinerante, le visiPieve, in aprile a San Vito e durante sul territorio e i laboratori di- delle seconde classi delle scuole te il mese di maggio a San Pietro. Il dattici coinvolgeranno gli alunni secondarie di primo grado di Pie- progetto prevede anche un prolungamento dell’esposizione e dell’attività didattico-conoscitiva durante la prossima estate. Matteo Da Deppo 3 A DAMOS IL CROCIFISSO DIPINTO PIUʼ ANTICO DEL CADORE el bel pianoro solivo noto come Pian delle Forche, in una N posizione di eccellenza sulla valle del Piave, si trova una piccola chiesa dedicata ai Santi Andrea e Giovanni Battista, luogo di culto, fin dall’antichità della comunità di Damos. La devozione popolare in questa località, è testimoniata con certezza fin dal 1348, quando un certo Azeto, abitante di Pozzale, dispone nel suo testamento un dono di una libbra d’olio e di un appezzamento di terra alla chiesa di Sant’Andrea. L’edificio attuale, ben diverso da quello del Trecento, è il risultato di diverse campagne costruttive che si susseguono nei secoli e che hanno permesso alla chiesa di dotarsi di una sacrestia, di un campanile e di un camposanto. La parte più antica dell’edificio sacro si colloca sul muro orientato ad est, dove un elemento architettonico testimonia la sua medievale origine: si tratta di una piccola feritoia rettangolare dall’alto valore simbolico, capace di catturare i raggi del sole nascente e di irradiare la chiesa. Nel concetto cristiano il sole nascente raffigura Cristo che, entrando attraverso la finestra nella chiesa, si sposa con i fedeli presenti alle funzioni religiose della mattina. Proprio in relazione a questa apertura si conserva la più antica Crocifissione dipinta oggi visibile nel territorio cadorino, e con ogni probabilità realizzata nel nei primi decenni del Trecento. L’affresco, come giustamente afferma Antonio Chiades, “di trascinante forza emotiva”, descrive un corteo di Santi Apostoli capeggiati dalla Vergine Maria, mentre assistono in preghiera alla morte del Cristo in Croce. L’abilità del maestro anonimo di Damos trova la sua massima espressione proprio nella raffigurazione del Messia cristiano per l’accentuata drammaticità dell’uomo sulla croce, sofferente sulla terra, con il sangue che gli sgorga dalle ferite impresse dai chiodi. Il suo volto è una maschera inserita su un corpo esile, trasformato in un continuo innervarsi di linee, che creano un rigido gioco plastico. Il corteo di Apostoli si dispone ai lati accolto dagli angeli svolazzanti in cielo, mentre si apprestano a raccogliere l’eredità del maestro da diffondere nel mondo. A livello stilistico, giustamente gli storici locali hanno attribuito l’affresco ad un maestro legato all’arte friulana, ma non si sono mai spinti in un’analisi più approfondita dell’opera. A riguardo credo possano essere interessanti alcune considerazioni; la prima è quella di collocare l’affresco di Damos tra altre due immagini dipinte del Trecento nello scenario alto bellunese, vale a dire tra il Crocifisso della chiesa di Santa Caterina di Ponte nelle Alpi (1310 ca.) e quello della chiesa di Sant’Orsola di Vigo (1350 ca.). Sicuramente il primo dato che viene evidenziato da tale confronto è che l’affresco di Damos ha delle forti componenti di primo Trecento, vicine all’opera pontalpina, mentre non raggiunge l’elaborato livello descrittivo di Sant’Orsola. Spingendoci più a fondo nello scenario veneto-friulano delle raffigurazioni legate al Cristo in Croce, si trovano dei pertinenti e interessanti confronti tra l’affresco di Damos e delle immagini realizzate tra il XII e il XIII secolo, una di queste conservata, ma purtroppo fortemente compromessa, in un sacello dell’abbazia di Summaga (VE), mentre l’altra è visibile nella cripta della basilica di Aquileia. È del tutto verosimile dunque che il maestro anonimo operante a Pian della Forche abbia attinto al ricco campionario iconografico aquileiese, caratterizzato da un forte linearismo che dall’accentuato carattere psicologico, preferendo la tradizione del patriarcato alla novità giottesca che si stava diffondendo nei territori dell’Italia del nord e che trova come primo esempio chiaro in Cadore il ciclo della chiesa di Sant’Orsola a Vigo. In definitiva, a chi scrive sembrava importante, nell’approssimarsi alla Pasqua, soffermarsi a riflettere sullo straordinario esempio di arte medievale rappresentato dalla Crocifissione di Damos e nello stesso tempo cercare di fare luce su una composizione eccezionale che testimonia, una volta in più, la quantità di opere di alto valore storico-artistico che il Cadore conserva. Matteo Da Deppo MARZO 14-15 2013.qxd:FEBBR 18-19 3 8-03-2013 12:17 Pagina 3 ANNO LXI Marzo 2013 15 iccolissimi inserti di carta P colorata sapientemente adagiati creano degli accostamenti estetici e tattili di indubbia piacevolezza estetica. Questa la prima percezione colta e sperimentata entrando nel prestigioso salotto artistico del Miramonti Majestic Grand Hotel di Cortina d'Ampezzo dove si possono ammirare le opere di Mirna Baldissera, artista vocata alle sperimentazioni artistiche estetico/visive. Sfumature armoniose, impressionano il visitatore. Colori caldi, rotondi, carichi di atmosfera. L'autunno nei suoi colori si percepisce a prima vista. La sua è una lavorazione che si basa sulla tecnica del "collage", piccoli frammenti di carta vengono accostati per far nascere un insieme cromatico di notevole valore, dalle sue creazioni scaturiscono tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi viaggi. Creazioni che riassumono il calore sprigionato dalla sua personalità, solare e ricca di suggestioni. Dall'oriente armonioso alle dolomiti innevate, da venezia abbozzata con la textil art alla Russia dai colori freddi quasi glaciali. Accostamenti perfetti, nulla viene lasciato al caso. Lavori costruiti da vibrazioni interiori, partono dal sentimento e finiscono in una costruzione artistica completa, ricca, molto piacevole da osservare. Si notano delle influenze surrealistiche, fluttuazioni visive che accompagnano l'osservatore in viaggi metafisici, atmosferici, irreali. Opere veramente ben fatte, tecnicamente innovative, sperimentazioni nuove ed accattivanti. Mirna percorre la sua esperienza creativa attraverso varie tappe che l'hanno formata negli anni. Inizia frequen- Mirna Baldissera Sperimentazioni artistiche per inusuali viaggi surreali Una “prima” prestigiosa al Miramonti Majestic Grand Hotel di Cortina dʼAmpezzo Innumerevoli frammenti di carta colorata fanno nascere un insieme cromatico dove Mirna fonde sentimenti, emozioni e viaggi fantastici a cura di Andrea Costa tando il liceo artistico dal quale riceve un primo imprinting, prosegue nel mondo dell'alta moda frequentando l'Istituto Marangoni a Milano, dove tutt'ora vive e crea le sue opere. Fin da piccola la mania per il "tenere da parte" tutto, raccoglie in piccolissimi frammenti la sua quotidianità, ritagli di riviste, giornali, tutto quanto attirava la sua attenzione. Tutti i suoi viaggi creativi si contraddistinguono sempre per un comune denominatore: il ritorno a casa, il ritorno nelle sue Dolomiti, la sua terra, L’Agordino, il Cadore, dove da anni a Calalzo i suoi gestiscono un ristorante-pizzeria. Dolomiti che lasciano un pezzo di sé all'interno delle sue opere, i colori tipici delle montagne al tramonto, quei gialli ocra con tinte salmone che le rendono tipiche, i suoi pezzi più prestigiosi ed intimi. Si notano pure degli elementi malinconici evidenziati dal massiccio utilizzo di elementi naturali. Visio- Presidente dell’Associazione Paspartu Cadorini ni che rievocano l'elemento naturale, quasi a voler richiamare l'aspetto più arcaico e preponderante del paesaggio sull'uomo. Sili Kandinsky e Salvador Dali appaiono in modo quasi inaspettato, richiami evidenti al loro modo di fare arte interpretato in modo personale e innovativo da Mirna Baldissera. Comprendere i suoi lavori non é semplice: a seconda della distanza con cui li si osserva sembrano cambiare, trasformarsi, fino a completarsi. Opere quasi double-face. "Desidero trasmettere e rendere armonici i miei lavori”, “utilizzo l'istinto e desidero trasmettere serenità all'osservatore", racconta Mirna, con gli occhi pieni di passione. Per questo non serve un titolo ai suoi lavori, vuole che sia l'osservatore stesso con il suo percepito a definirli. Vi invito ad approfondire le tematiche di questa artista che si di- Mirna Baldissera a Cortina d’Ampezzo col direttore del Miramonti Majestic Grand Hotel Carlo Pomarè e Andrea Costa mostra ed appare quale novitá interessante, un po’ per la tecnica utilizzata ed un po’ per la raffinatezza del risultano finale. Mi auguro che Mirna continui nella sua ricerca, che provi ad osa- Una trentina di scatti sono il contributo di Pradetto al libro fotografico “Dolomiti di Sesto attorno alle Tre Cime”, di Marson editore Le doti artistiche di Samuel superano così gli stretti confini di vallata in una continua sfida di perfezionamento Paesaggi e natura visti da Samuel Pradetto Cignotto SCATTI FOTOGRAFICI el libro fotografico, N pubblicato da Daniele Marson editore, dal titolo “Dolomiti di Sesto attorno alle Tre Cime” c’è anche una firma cadorina. E’ quella di Samuel Pradetto Cignotto, uno dei più bravi giovani fotografi delle Dolomiti, pluripremiato in prestigiosi concorsi fotografici internazionali, come quello tedesco Glanzlichter projekt natur & fotografie, dove una sua fotografia su ghiaccio è stata premiata tra migliaia di altre inviate da tutta l’Europa. Nel libro fotografico della Marson, Samuel Pradetto Cignotto è stato chiamato come esperto di fotografia naturalistica, assieme ad una decina di altri fotografi della Pusteria, appartenenti al Gruppo Strix, Helmut Elzenbaumer, Alfred Erardi, Sepp Hackhoffer, Walter Oberlechner, Hans Pescoller, Manuel Plaikner, Pire Ploner, Gerd Tauber, Michael Trocker, Hugo Wasserman, Johannes Wasserman, Robert Winkler. Delle oltre 150 fotografie, davvero emozionanti e tecnicamente di assoluto livello, la parte più consistente l’hanno eseguita Hugo Wasserman e Samuel Pradetto Cignotto, con una trentina di scatti a testa, mentre gli altri fotografi hanno par- tecipato con poche inquadrature, in base alle sensibilità e la doti di ciascuno. I testi del libro, in italiano e tedesco, sono stati scritti da Martin Schweiggl, di Bolzano noto scrittore di libri illustrati sulla natura ed il rapporto con la cultura delle Alpi orientali. I testi sono inseriti nella ricca documentazione fotografica e si suddividono nei seguenti capitoli: La crescita delle Dolomiti; L’uomo fra le rocce, pionieri, guide alpine, turisti; Dalla roccia nasce la vita, la flora rupestre; Il contadino come paesaggista; Sopravvivere fra i monti; Il lungo viaggio dell’acqua, le Tre Cime come spartiacque tra Mar Nero e Adriatico. Nell’introduzione al testo Schweiggl scrive: “Alla magnificenza della natura si aggiunge l’incredibile varietà culturale della zona. In Pusteria contadini di tradizione tedesco-tirolese, più a sud due territori, come il Comelico e il Cadore, con antiche radici ladine ancora ben visibili sotto uno strato superficiale di cultura italoveneziana. Saghe e miti degli abitanti dolomitici sono a loro volta un intreccio di ele- re di più. Formati più generosi nelle dimensioni potrebbero acuire maggior senso spazio-temporale immergendo ancora di più l'appassionato in un nuovo ed inusitato viaggio surrealistico. menti diversi, che conducono indietro nel tempo, a un passato lontanissimo, e su fino alle cime più alte, dove si incontrano demoni e dei ammantati di nuvole”. L’esperienza di fotografo paesaggistico e naturalistico è una continua sfida di perfezionamento per Samuel Pradetto Cignotto, ma anche una dote artistica che fa superare gli stretti confini di vallata, per farsi apprezzare in ambienti di solito piuttosto gelosi della loro appartenenza etnica in tutti i settori della cultura e dell’arte. Per la pregevole veste editoriale e per la bel- lezza dei paesaggi presentati, il libro, che sarà nelle librerie anche del Veneto, meriterebbe nella prossima stagione estiva una presentazione pure in Comelico e in Cadore, anche per far conoscere la bravura fotografica di Samuel Pradetto Cignotto. Lucio Eicher Clere MARZO 16-17 2013.qxd:FEBBR 20-21 8-03-2013 12:22 Pagina 2 ANNO LXI Marzo 2013 16 Inte chesto sfoi se dora la grafia de l Istituto Ladin de la Dolomites a cura di FRANCESCA LARESE FILON Cadorins I REFERENDUM INÉ UN SÖGNO DAL MALSTÀ A nche in Cadore, conpagn d etre bande dla provinzia de Blun, nascuance Comune farà al referendum par decide s la dente vö canbié provinzia e region,segondo na disposizion scrita su la Costituzion taliana. Ne n é alora na matnarada de calche agitator popolar, ma un derito ch é bel stó esercitó da nasché bande dl Italia e cialò in provinzia da Sapada a Lamon, passön par i 3 Comune ch era sote al vecio Tirol. I referendum n vögn domandade per rivé alolo al risultato da canbié provinzia. Duce sa che sta strada iné ntoco difizil e, co i problemes ch inà l Italia al dì d incöi, ne n è zerto ste richieste de nasché pöide disperse intrà l monte ch farà desdà fora cöi ch fa el legi in Parlamento. Ma la partecipazion granda ch era stada a Sapada e zun chietre pöide à fat capì cuanto grave ch iné i problemes ch la dente vive cassù in montagna e cuanta diferenza ch iné intrà el doi Regiogn che stà una da na banda e una da l autra dla provinzia de Blun. Par cösto anche etre pöide à pensó da dorà al stösso sistema par segnalà la voia da esse aministrede con pi atenzion. I comitates, ch avee fato par prime i referendum e i avee vinte con bona partecipazion e con al novanta par zento di vote a favor dal “sì” par passà z un autra provinzia, à visto con gelosia e con pöcia considerazion sto medesmo spirto nassù dopo dal so sperimöinto. Cuase ch fossa snoma zal vecio Capitanato d Anpezo o a Lamon e Sapada al derito da domandà da esse trasferide zun un autro sistema aministrativo. Löre se rifà a la storia vecia e a la cultura, e inveze sti nove movimöinte reclama la vita dal dì d incöi e la storia futura di fis ch voraa continué a vive cassù. N saraa propio al caso da stà ilò a stichesse par vöde chi ch à tacó inante e chi ch à pi derito da passà da clautra. Co i vö capì, chi referendarie dla prima ora, i savarà che i problemes dla dente ch vive zle valade intra l monte dle Dolomiti iné i stösse. Canbia snoma al modo da aministresse in autonomia. In provinzia d Bolzano el valade foravia inà pi considerazion sno ch el zites e la pianura, e anche in Friul el valade dla Ciargna, sbögn che l è ormai ribandonade, inà avù zun sti ane atenzion da la Region e da Udin. Bastaraa tole com esenpio al pöis d Sauris par vöde come ch l é stó vazlorisó anche con legi aposta. Chi ch iné contrarie ai referendum dis che n serve a nente, parcheche nsun n dà peso e seguito a ste robe, e cladugn fa oservazion su la storia d naietre cadorins, ch son senpro stade nemighe di todösse fin dal tenpo d Massimiliano d Asburgo, e ne n on nente da che spartì aped i Pustar. Ma la cuestion inveze iné pi senplice e chiara. Ne n é che Comelgo d Sora o Auronzo o Cortina, col sposta- möinto di confine dla provinzia d Bolzano diraa a fnila in Pusteria. Anze s iné propio na dimostrazion storica che na valada, dopo 500 ane ch l è stada sota al Tirol, inà mantgnù usanze, lönga, istituziogn coma al resto dal Cadore, cösta iné Cortina d Anpezo. Canbié Region voraa dì canbié sistema d governo e ciapà pi autonomia. E zla possibil riforma istituzional ch dovaraa tiré via el Provinzie e riconosse pi similitudin intrà i teritorie, la Region dle Dolomiti dovaraa esse riconossuda söia da l Italia che da l Europa. Par cösto i tance segnai ch i referendum podaraa mandà a Roma, co duce i pöide che confina col doi Regiogn avössa da votà a favor, podaraa föi capì ch la dente ch vive in montagna à bisogno da esse tratada möio e in maniöra pi conpagna. Par da capì che zal prosmo Parlamento sarà difizil che ste esigenze rive a esse scotade. Ma anche la protesta ch inà portó al Movimöinto 5 Stöle a rivé primo dimostra cuanto ch la dente iné stufa dal solto modo da fbi politica e desmantié el ‘sone pi pizle e foravia, come la montagna. La costanza d Beppe Grillo zal denunzié el malfate dla politica à portó a un risultato che nsun n avraa ossó pensà. Parché n se pö cröde a la stössa maniöra ch la costanza dla protesta cassù da nói n possa portà algo d novo? Lucio Eicher Clere 3 PARTIDE I PROGETE PAR AL 2013 DE LA FEDERAZION LADINA a Federazion Ladina à L presentou a la region i programe par chesto an su i finanziamenti de la lege regional par la tutela de le mendranze linguistiche. Dute le sezion de l Veneto (Anpezo, Fodom, Col, Aut Cordol, Val Bioi, Conca Agordina, Cadore de Medo, Oltreciusa e Comelgo) à mandou chel che i programa par sto an par vede se se riese à avé algo par portà navante atività che le vien fate co la pasion de tanta dente. Inte é ntin de duto: da la promozion de la lenga ladina nte le scole a i corse par i foreste che i può nparà a dorà la nostra lenga, da i corse par fei i scarpet a chi par filà e cusinà dorando al savé fei nparou da i nostre vece, da le ricerche su par la tradizion a la publicazione de libre, calendari, deplian par i musei, da l organisazion de feste ladine a i pelegrinagi storici fate da la nostra dente da ane anorum, da i seminari a le conferenze su par la lenga ladina e la tradizion. Tante idee che la segreteria de la Federazion ntra le Union Cultural de i Ladins de le Dolomites à betesto apede par fei un solo progeto mandou n region. E ades se spera che vegne destinou n finanziamento a dute cheste iniziative par scuerde almanco al vinti par zento de chel che che le costa. Nte i ane le mendranze linguistiche del Veneto (fate da Ladins, Todesc de Sapada e Cimbri e Furlane) i é stade idade a portà avanti chesta cultura da la Region che à prevedesto algo de l so bilancio par sostegnì e mantegnì cheste culture. Nte l 2012 al finanziamen- to l é ruou solo, ma a la fin de l an dopo che par la spending review avea costreto a taià l bilancio de la region. Ades speron che par l 2013 duto vade aposto e che chesto capitolo vegne finanziaou chel che basta par dà ntin de osigeno a le Union che bete al laoro de tanta dente ma che à bisuoi de algo par scuerde le spese vive. Nte i ane é stou fato tante de chele robe e ncuoi podon dì che é propio grazie a chesta lege che é stade sistemade e mantegneste musei e publicade tante libre, calendari e autro. No é zerto n finanziamento come che che riceve i Ladins de le provinzie de Trento e Bolsan, che savon dute i è i pì siore, ma é senpre algo par una cultura minoritaria che vive de pasion ma anche de chesto. Francesca Larese Filon I SIEZENT’ANE DE L GEDIA Q uest'anno 2013 la piccola deliziosa chiesa di San Nicolò compie seicento anni. Voluta e costruita dagli antenati nel 1413, viene ristrutturata, se non rifatta, nel 1475 dal “Maistro Zuane de Chomo” valido esponente della famosa scuola dei maestri muratori comaschi. Nel 1482 viene preziosamente affrescata da Gianfrancesco da Tolmezzo, il quale riesce ad infondere tutta la sua arte e la sua passione nel rappresentare “L'Annunciazione “, “La Natività” e “L'Adorazione dei Magi”. La chiesa con- serva altri affreschi e dipinti. Questa mia poesia per onorare questa chiesa, chi l'ha voluta, chi l'ha costruita e dipinta e tutti i parrocchiani e i sacerdoti che si sono avvicendati nel tempo. G. Sacco Par ch'i viva E par ch'i diga Dè d'acordo Com' ch'on fat' nei T'as visto Indoniade I nos pare Le nostre mare T'as bendù Chei ch'é gnude Al mondo E chei ch' lo à lasò Tre sante ANNO DOMINI Te tien su MCDXIII Colò vesco Cara pizla Ch' dà ai canai Gedia nostra La bona man T'as siezent'ane Valentin T'es vecia Sentul d'i nvize Ma 'ncamò bula Cristoforo T'es tanto bela Ch'porta Gesù Fata d'tof Otra 'l giò Cuerta d'sandla E tu t'es là Csi ben pitureda Ferma e sigura Ché Gesù Bepo e Maria Zi dis d'festa Zi dis de diora Sot'al neve Sot'al soroio Co' la porta Sempro verta A spité Che calch'dun Beta inze 'l ciò E ch'al diga 'Na orazion Bendeta gedia Col' to ciampane Quante ote Ne as ciamò A dì a mesa ! Quante ote Ne as ciamò A dì 'na rechia ! E nei son gnude E tanto on scoltò E tanto on pariò Ch' t'es 'ncamò ca A feine da mare Cara pizla Gedia nostra. MARZO 16-17 2013.qxd:FEBBR 20-21 3 8-03-2013 12:23 Pagina 3 EVENTI ANNO LXI Marzo 2013 PASQUA CON FRANCESCO GUCCINI Uno dei più grandi cantautori italiani di sempre sarà ospite a Pieve di Cadore del Museo dellʼOcchiale, il prossimo 31 marzo 17 Sala polifunzionale del Cos.Mo a Pieve di Cadore Ingresso gratuito Francesco Guccini presenterà il dvd girato in occasione delle registrazioni del suo ultimo lavoro discografico “Lʼultima Thule” che segna la “chiusura in bellezza” della sua carriera opo Giacomo Agostini, pluricampioD ne del mondo di motociclismo, il Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore ospiterà il 31 marzo alle 17.30 nella sala polifunzionale del Cos.Mo, uno dei più grandi e conosciuti cantautori italiani, Francesco Guccini. Umberto Eco lo ha definito “il più colto dei cantautori in circolazione”, i suoi fans lo chiamano “il grande Maestro” e ci tengono a scriverlo con la M maiuscola. Qualcuno si azzarda a definirlo un poeta oppure un’artista ma Francesco Guccini preferisce volare con piccole ali, identificarsi co- ne di un mondo che induce sempre a una scrivere canzoni né fare concerti perché stre si vedevano gli alberi e il fiume, quel riflessione. Forse è per questo che le can- “l’età è quella che è” e salire sul palco due fiume che si sente nel brano “L’ultima volzoni di Francesco Guccini non sono mai o tre ore è difficile. ta”. invecchiate e anche le nuove generazioni Continuerà comunque a cantare in giro Racconterà forse di quella “Thule” a cui si ritrovano piacevolmente sorprese da- con gli amici. Magari anche con Volmer e pensava già dopo aver inciso “Radici” nel vanti ai suoi brani impegnati, tanto rari nel Gabriella di Pozzale di Cadore, ai quali è 1972, un’isola leggendaria e misteriosa, fatpanorama musicale attuale. legato da una profonda amicizia di gioven- ta di ghiaccio e di fuoco che segna qualche Sorpresi anche perché accostandosi alla tù. Certo è che a Pieve porterà la sua chi- cosa di estremo, la fine di un’epoca (e qui polivalente figura di Francesco Guccini tarra e chissà che l’affetto della gente di gli chiederemo: “Ma che cos’è l’anfesibeper la prima volta, scoprono che oltre ad montagna non riesca anche a strappargli na?”). Ricorderà con il brano “Quel giorno essere autore delle già note canzoni L’av- qualche nota. Alla fine della proiezione del d’aprile” il giorno della liberazione, con velenata e La locomotiva, è anche l’autore dvd Francesco Guccini salirà comunque “Su in collina” la guerra partigiana, con “Il di Noi non ci saremo, Auschwitz (La can- sul palco per rispondere alle domande del testamento di un pagliaccio”, la situazione zone del bambino nel vento), Dio è morto, pubblico. Racconterà, sicuramente, qual- attuale. Parlerà dei suoi progetti futuri, coIl vecchio e il bambino e Canzone per che aneddoto riguardante le registrazioni me quello di continuare a scrivere libri, ma un’amica, solitamente conosciute dai più del disco, inciso non in uno studio di regi- c’è da scommetterci che una domanda su giovani per essere state interpretate dai strazione ma nel mulino di Chicon a Pàva- tutte si eleverà tra il pubblico: “Francesco, Nomadi. na, dove “la batteria davanti al caminetto è davvero questa “l’ultima volta”?”. Oltretutto, è anche l’autore di numerosi dava un’ottima sonorità” e dove dalle fineIrene Pampanin libri, tra cui il più famoso è “Croniche Epifaniche”, edito da Feltrinelli, nel quale Guccini narra le vicende passate di Pàvana, nel Pistoiese, paese in cui il cantautore (nato a rosegue il progetto avviato dal Museo con la pubblicazione, ogni mese, sul sito del MuModena nel 1940) trascorse dell’occhiale lo scorso ottobre dal titolo seo (www.museodellocchiale.it), sulla pagina gran parte dell’infanzia. Da ricordare poi i suoi camei cine- “Storie dietro gli occhiali” che si pone l’obietti- Facebook e sul mensile Il Cadore di alcune fomatografici, in particolare in vo di documentare (attraverso la raccolta di im- tografie storiche allo scopo di raccogliere noti“Radiofreccia” di Luciano magini, interviste, documenti cartacei e ogget- zie legate all’immagine proposta. Nella foto di questo mese, si vede un gruppo Ligabue, “Ti amo in tutte le ti) la memoria intorno all’importante attività di lingue del mondo”, “Una mo- fabbricazione degli occhiali, sviluppatasi a parti- di “rappresentanti commerciali” cadorini glie bellissima” e “Io e Mary- re dal 1878 e ancora presente in Cadore. Il pro- del 1970 (di cui sono già state riconosciute allin”, tutti diretti da Leonardo getto è partito con una campagna di interviste e cune persone, indicate a lato). Pieraccioni. L’incontro (gratuito e aperto a tutti) voluto dal Museo dell’Occhiale nell’ambito di un progetto di richiamo culturale ed artistico, è presentato dal giornalista Bepi Casagrande, sarà dunque un’occasione unica per incontrare un grande cantautore di cui, un altro grande, Giorgio Gaber, disse: “Ricordatevi: Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto”. A Pieve di Cadore Francesco Guccini presenterà il dvd girato in occasione della registrazione del suo ultimo lavoro discografico, “L’ultima Thule”(2012), già disco di platino per aver venduto oltre 60.000 copie e che segna per Guccini una “chiusura in bellezza”. Questo è infatti l’ultiSe qualcuno che si riconosce nella fotografia vuole segnalare o raccontare la mo lavoro del cantautore che propria storia, può scrivere a [email protected] o tel. 0435/32953 ha dichiarato di non voler più STORIE DIETRO GLI OCCHIALI P I suoi brani più famosi “Lʼavvelenata” “La locomitiva”, “Auschwitz” “Il vecchio e il bambino” “Noi non ci saremo” “Dio è morto” “Canzone per unʼamica” “Amerigo”, “Eskimo” me “artigiano” piuttosto che artista, rimanere con i piedi ben saldi per terra ma a fondo nelle proprie radici. La musica di Francesco Guccini ha però regalato grandi ali a chi con le sue canzoni è cresciuto: agli studenti universitari che consideravano i suoi brani “poesie urbane narranti le gesta epiche dei vent’anni” e ne facevano la colonna sonora di lunghi viaggi in treno; a quei giovani che andavano a Bologna “da Vito” solo per intravederlo e mangiavano “tirando le orecchie” per riuscire ad ascoltare gli aneddoti raccontati con la sua inconfondibile voce; a chi si sentiva (e si sente) vicino al mondo da egli narrato, genuino e toccante; a chi nei suoi testi si è sempre ritrovato, dall’infanzia fino ad oggi e lo percepisce vicino quasi come un familiare, immerso nella descrizio- MARZO 18-19 2013.qxd:FEBBR 22-23 18 8-03-2013 12:43 Pagina 2 SPORT SCI ALPINISMO ’ una disciplina agonistica E giovane che però sta conquistando sempre maggiori attenzioni dai media e soprattutto dagli appassionati. Lo sci alpinismo, pratica sportiva in continua espansione ha visto in febbraio la massima competizione mondiale organizzata a Pelvoux in Francia con la partecipazione di oltre 200 atleti. L'Italia ha schierato una squadra assai competitiva che ha raccolto 29 podi ed una serie brillante di medaglie d'oro; sucesso che confermano la nazionale azzurra tra le "grandi potenze" di questo sport. Molte le prestazioni sportive di rilievo, ma su tutte spicca per continuità e prestigio quella di Alba De Silvestro, la 17enne atleta cadorina, originaria di Padola che ha conquistato ben quattro medaglie, con tre ori (vertical race, individuale e staffetta) e un argento (gara sprint) . Naturalmente il rientro a Padola di Alba, accompagnata dal direttore tecnico della nazionale Oscar Angeloni, è stato trionfale. Parenti, amici, conoscenti, ed anche il sindaco Mario Zandonella hanno voluto abbracciare e festeggiare la giovane campionessa che ha conquistato un successo storico per lo sport bellunese e veneto. Hanno suonato perfino le campane e il paese è stato addobbato con grandi tricolori e striscioni che inneggiano all'impresa. La famiglia De Silvestro vive a Padola paese di origine di mamma Tranquilla, mentre il papà Antonio è di Vallesella, ANNO LXI Marzo 2013 3 AI CAMPIONATI MONDIALI IN FRANCIA LA RAGAZZA CADORINA VINCE TRE MEDAGLIE DʼORO E UNA DʼARGENTO BRILLA LA STELLA DI ALBA DE SILVESTRO Alba è estremamente calma e risponde tranquillamente alle domande, nonostante la stanchezza per le gare sostenute e il viaggio estenuante dalla Francia. “Non mi aspettavo un'accoglienza così bella. Ringrazio davvero tutti. Mi ha fatto molto piacere”. Di categoria junior pratica lo sci alpinismo solo da un anno. “Prima facevo sci alpino e corsa in montagna d'estate. Poi mi hanno proposto di provare con lo sci alpinismo ed è andata bene”. Quarto anno all'istituto tecnico per periti edili di Pieve di Cadore, quali altri hobby? “Quelli di tutti i ragazzi, anche se mi avanza poco tempo tra la scuola e gli allenamenti”. Oscar Angeloni direttore tec- La giovane campionessa che ha conquistato un successo storico è stata trionfalmente festeggiata al suo rientro a Padola “Pratico lo sci alpinismo da solo un anno, ha ricordato Alba, prima facevo sci alpino e corsa in montagna d’estate” nico della nazionale azzurra è raggiante. “Un successo oltre ogni più rosea previsione. Vincere il medagliere con 29 podi in casa della Francia, da sempre nazione di grande spessore tecnico, è soddisfazione grandissima. Il merito va a questi giovani e ad Alba in particolare, che si sono espressi su livelli altissimi”. Un successo che rilancia l'immagine di questo sport. “Sicuramente. Lo sci alpinismo è sport giovane che deve conquistare un suo spazio, aumentando il numero delle federazioni e dei praticanti. Questi risultati sono la migliore pubblicità che possiamo offrire. Inoltre potranno anche rappresentare uno stimolo per la pratica turistica e non solo agonistica, che sta conquistando sempre più spazio nella stagione invernale”. Ed ora? “Abbiamo ancora due gare di coppa del mondo in Italia e Spagna, poi un po' di riposo”. Papà Antonio e mamma Tranquilla non hanno dormito per l'emozione. Sono visibilmente commossi e guardano la loro campionessa con tanta soddisfazione. Padola, dopo i grandi successi nel fondo di Virginia De Martin, si scopre sempre di più fucina di campioni con la bravissima Alba De Silvestro. Livio Olivotto PADOLA - FINALI REGIONALI DI SCI NORDICO 'Unione Sportiva Valpadola ha organizzato nel mese di L febbraio la fase regionale dei campionati ragazzi e allievi di sci nordico, valevole per le qualificazione alle finali nazionali, dove accedono i primi venti in ambito maschile e femminile. Nell'occasione si è svolto anche il campionato regionale Giovani & Seniores, trofeo Regola di Padola con oltre 200 partecipanti. Una abbondante nevicata ha reso le condizioni di gara particolarmente difficili, ma tutto si è svolto nel migliore dei modi grazie allo staff organizzativo. Ottime le prestazioni degli atleti cadorini, in particolare quelli della U. S. Valpadola prima nella classifica per società, dello Sci club Cortina e del G.S. Centro Cadore. Durante la cerimonia di premiazione alla presenza del sindaco Mario Zandonella e del vicepresidente della Regola di Padola Valentino Ribul, il ringraziamento agli organizzatori del rappresentante del Comitato Veneto della FISI Giuseppe Dalla Corte. Livio Olivotto Podio Società: 1a US Valpadola 1° Allievi m. Marcello De Martin 1° Junior m Michele De Bettin MARZO 18-19 2013.qxd:FEBBR 22-23 3 12:43 Pagina 3 ANNO LXI Marzo 2013 19 SCI DI FONDO t a per concludersi S un’altra stagione invernale ma le attività del Grup- m n 8-03-2013 po Sportivo Centro Cadore non finiscono mai. Dopo aver gestito la pista di fondo “Pineta” di Lorenzago ed aver organizzato corsi e gare di sci nordico, il sodalizio cadorino è pronto a far festa. Infatti, il 24 marzo, nella sede dell’associazione a Calalzo, soci e simpatizzanti si ritroveranno per un momento conviviale durante il quale festeggeranno la conclusione della stagione agonistica premiando tutti i partecipanti della gara sociale disputata il 1° marzo alla pista “Pineta”. Una gara questa dove si sono sfidati, divisi per categorie, una quarantina di ragazzi della società, in una gimkana divertente ed impegnativa preparata per l’occasione dai maestri. Fondamentale anche il supporto a bordo pista di genitori e sostenitori che non hanno fatto mancare il loro tifo. Qualcuno ha vinto sì, ma la cosa più importante era divertirsi e quindi, per una volta, lasciamo le classifiche da parte. Un’applauso va fatto a tutti i partecipanti, con o senza gli sci ai piedi. Il Gruppo Sportivo Centro Cadore, si era impegnato ad organizzare anche l’appuntamento del Trofeo Lattebusche in programma il 17 febbraio, dove a Lorenzago sono saliti oltre 160 giovani partecipanti, che assieme alle famiglie, hanno dato vita ad un’intensa giornata di sport sicuramente da ricordare. La pista di fondo di Lorenzago è un fiore all’occhiello per gli amanti di questa disciplina: immersa tra i fitti boschi che fanno corona al massiccio dei monti Cridola e Miaron, ad una quota di 1.056 metri. È composta da anelli con una lunghezza di 2.5, 3, 4 e 5 km, adatti sia per la pratica della tecnica classica che della tecnica libera. Fornita di illuminazione, è dotata di omologazione nazionale, offrendo la possibilità di organizzare gare. Il presidente del Gruppo Sportivo è Massimo Calligaro, che già da qualche tempo ha dato il cambio al vertice dell’associazione all’inossidabile Silvano Cetta. “La stagione è andata benissimo - afferma Calligaro e durante la gara sociale è stato davvero bello vedere tutti i nostri piccoli atleti dare il massimo. Stiamo lavorando bene da diversi anni e va dato merito agli allenatori Marco Corona e Margherita Valcanover che cominciano già a fine settembre a portare i ragazzi ad allenarsi con gli skiroll per prepararli al meglio in vista della stagione invernale. Quest’anno gli allenamenti, vista la scarsità di neve iniziale, si sono svolti sia a Misurina che a Padola con lunghi ed impegnativi trasferimenti che hanno richiesto uno sforzo a tutti. Finalmente, trasferitisi a Lorenzago abbiamo potuto continuare la preparazione in vista delle gare. I risultati non sono mancati e quest'anno riusciremo a porta- Gara sociale alla pista Pineta di Lorenzago lʼ1 marzo per il Gruppo Sportivo Centro Cadore che conta 26 anni di soddisfazioni IL GRUPPO S.C.C. FA DAVVERO MOLTO PER LA CRESCITA SPORTIVA DEI RAGAZZI Il Presidente Massimo Calligaro: “La stagione è andata benissimo, molto del merito va dato agli allenatori Marco Corona e Margherita Valcanover” “Questʼanno portiamo i giovani Denis Zannantonio e Matteo De Bernardo ai Campionati Italiani di Cogne” votto Mirco, Volksbank di Domegge di Cadore, Supermercati A&O di Tai di Cadore, Som Occhiali) per il fondamentale sostegno, tra l’altro in difficili momenti economici come quelli che stiamo vivendo. Siamo riusciti, assieme al Gruppo Marciatori Calalzo, ad acquistare anche un pulmino per facilitare i trasporti, un fatto di cui andiamo molto fieri”. Le attività del Gruppo Sportivo Centro Cadore non si esauriscono con l’inverno. CENA SOCIALE IL 24 MARZO PER LA CONCLUSIONE DELLA STAGIONE AGONISTICA re due nostri giovani ai campionati italiani di Cogne in Valle d’Aosta, in programma il 17 marzo”. I fortunati rispondono al nome di Lara De Bon e Simone Polito, due fondisti che hanno saputo distinguersi durante la stagione: a loro va il miglior in bocca al lupo da parte di tutta l’associazione e anche il nostro! Un’altra atleta di spicco è Cristina Corona, appena rientrata da un Campus organizzato dalle Fiamme Gialle. Un’esperienza che servirà sicuramente alla ragazza cadorina, durante la quale ha potuto conoscere molte coetanee e vedere da vicino gli allenamenti del Soccorso Alpino. La pista “Pineta” è stata gestita da Denis Zannan- tonio e Matteo De Bernardo, due giovani appassionati di montagna che hanno garantito, durante il rigido inverno ai piedi del Passo della Mauria, il servizio di noleggio sci e l’assistenza. Inoltre, tre maestri qualificati, con impegno e dedizione, hanno promosso un corso di sci che ha riscosso successo e partecipazione. “Devo ringraziare queste persone - prosegue Calligaro - a cui vanno i miei complimenti per la professionalità dimostrata. La pista era sempre impeccabile e nessun ospite si è mai lamentato di qualcosa. Un ringraziamento va poi a tutti gli sponsor (Comuni di Calalzo e Domegge, Banca Rurale di Cortina d’Ampezzo, Assicurazioni Generali di Pieve di Cadore, Renault Service di Oli- Il sodalizio sportivo, fino a qualche anno fa, organizzava a Calalzo anche una gara di duathlon (corsa e bicicletta) che poi, per diverse ragioni, non si è più riusciti a ripresentare. Un appuntamento unico nel suo genere in Cadore che rappresentava un importante momento d’incontro e di sfida tra i ragazzi. “Il nuovo consiglio è molto consolidato - conclude il presidente - e stiamo proprio pensando di riproporre in ottobre la gara di duathlon. Dobbia- mo ancora decidere su alcune questioni ma speriamo di riuscire ad organizzarla”. Il Gruppo Sportivo Centro Cadore, continuazione del Gruppo Agonistico Centro Cadore nato nel 1987, dispone di uno sito internet www.gscentrocadore.it sul quale si possono trovare curiosità, classifiche, foto, video e news di una società che sta davvero facendo molto per la crescita sportiva dei ragazzi del territorio. Daniele Collavino M. Nadalet T. Albrizio M.N. M.N. M.N. 2a C ia s p a lo n g a d e ll e M a r m a ro le M.N. T.A. T.A. M.N. sabato 16 febbraio 2013