- Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002-
Impresa disponente e trustee professionale:
problematiche tributarie e di bilancio dei beni in trust
I Parte
SOMMARIO: * i. Visione di insieme delle problematiche. § 2. Trasferimento dei beni in trust ed oggetto
§ 3. Impresa
sociale nelle società commerciali.
disponente e trasferimenti in trust. § 4. Atto istitutivo del
trust e bilancio di esercizio.
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~ 1. Visione di insieme delle problematiche.
Scopo del lavoro è affrontare alcune questioni di
carattere civilistico e tributario che si presentano all’operatore economico e professionale in occasione
dell’impiego dei trust per la gestione di operazioni
commerciali e finanziarie. I soggetti cui lo studio si
rivolge, pertanto, sono, da un lato, le società di diritto
italiano che esercitano attività commerciale, residenti in
Italia agli effetti tributari; dall’altro le società costituite ed
operanti in Italia che si propongono, quale scopo
esclusivo o principale, l’assunzione di incarichi di trustee
di trust ovunque istituiti.
Particolare rilievo sarà dedicato alle implicazioni
bilancistiche, societarie e tributarie della istituzione e
gestione di trust che presentano significativi collegamenti
con il territorio italiano (trust interni(i)).
I trust cui si farà riferimento sono quelli espressamente Istituiti per atto tra vivi da un soggetto che esercita
attività commerciale nel territorio dello Stato, i quali
prevedano uno o più atti dispositivi accanto al negozio
istitutivo(2).
Se lo studio dei profili contabili, di bilancio e tributari
delle società che operano quali trustee professionali in
Italia (trust company(3)) è più che giustificato
dall’assoluta novità di questi operatori sul panorama
economico e dall’assenza di approfondimenti da parte
della dottrina commercialistica, l’attenzione che si riserva
ai trust di impresa merita ulteriori precisazioni.
Comunemente si intendono per trust di impresa, quei trust
che “non riguardano gli interessi familiari o comunque
affettivi del disponente”(4) avendo ad oggetto posizioni
giuridiche appartenenti
a soggetti che esercitano attività commerciale ovvero, più
in generale, destinati a realizzate interessi dell’impresa
commerciale(5). Le ragioni dell’interesse vanno
individuate nella crescente complessità ed integrazione
dei rapporti economico-imprenditoriali, che si traduce nel
bisogno di una strumentazione giuridica efficace,
flessibile, polifunzionale e in grado di tutelare
maggiormente di quanto non sia realizzabile con lo
strumentario già a disposizione del civilista, gli interessi
di tutti i soggetti coinvolti.
L’oggetto della ricerca può essere diviso in due parti.
La prima interessa la società commerciale che agisce
quale impresa disponente; si cercherà di analizzare come
gli elementi essenziali che caratterizzano i trust(6)
esplichino i loro effetti sulla struttura socie
Note:
Loris Mancinelli e Maurizio Bastianelli sono dottori commercialisti in Ancona e,
rispettivamente, Presidente e Vice-Presidente della Mancinelli & Associati Trust
Company srl..
La seconda parte del saggio è pubblicata nel prossimo numero della Rivista.
(1) M. Lupoi, Trusts, Milano, Il ed., 2001, p. 546.
(2) Non si considerano, pertanto, i consnuctive trust o i resulting trust. M. Lupoi,
Trusts [supra, nota 1], p. 68 ss. e 114 ss..
(3) M. Zanazzi, Omologazione di trust company italiana, in questa Rivista, 2000,
625; D. A. Mazzone, In Italia le prime trust companies, in questa Rivista, 2001,
152, A. Vicari, L’oggetto sociale delle trust companìes, in questa Rivista, 2001,
319.
(4) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 206.
(5) Per un’ampia panoramica delle varie tipologie di trust commerciali, M. Lupoi,
Trusts [supra, nota I], p. 672 ss.
(6) M. Lupoi, Trusts [supra, nota I], p. 419. I connotati fondamentali sono
rappresentati da: “1. lI trasferimento del diritto al trustee o la dichiarazione
unilaterale di rrusr; 2. la non confusione fra il diritto trasferito al trustee e le altre
componenti del suo patrimonio (affidamento); 3. la perdita di ogni facoltà del
disponente quale effetto naturale del trasferimento (affidamento); 4. l’esistenza di
beneficiarii o di uno scopo e la conseguente funzionalizzazione dell’esercizio del
diritto trasferito al trustee; 5. l’imposizione di un connotato fiduciario su tale
esercizio, con principale riferimento ai conflitti dì interesse”.
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tana, con particolare riguardo all’oggetto sociale e alla
redazione del bilancio di esercizio. Verranno inoltre
esaminati i collegamenti tra bilancio di esercizio della
società disponente e beni trasferiti in trust, sotto il duplice
profilo della iscrizione e valutazione delle componenti
patrimoniali ed economiche afferenti i beni affidati al
trustee.
Nella completa assenza di disposizioni specifiche, si
ritiene che l’interprete debba procede con grande cautela
nell’esaminare le questioni sopra evidenziate, ogni volta
verificando la coerenza, logica e sistematica, tra soluzione
accolta e finalità delle norme societane, tributarie e di
bilancio relative alle società commerciali.
La seconda parte riguarda il bilancio di esercizio e gli
aspetti tributari delle società che professionalmente
intendono svolgere le funzioni di trustee.
Anche in questo caso l’assenza di normative di riferimento impone il ricorso a figure giuridiche di diritto
interno(7) che presentino elementi in qualche modo o per
certi aspetti omologabili alle caratteristiche, funzioni, ed
effetti che si producono in capo al trustee.
L’omologazione dei dati strutturali, evidentemente, non
porrà che essere parziale, ma tanto basta per offrire
all’interprete spunti ricostrurtivi di un certo interesse. La
comparazione con normarive fiscali di altri Paesi(8), che
pure si proporranno nel corso del lavoro, non servono,
ovviamente, a tracciare i lineamenti di una (nuova)
disciplina tributaria in materia di trust, ma, semmai, a
rafforzare
un’interpretazione
sistematica
delle
disposizioni fiscali vigenti afferenti ai rrust.
Non appare superfluo ribadire che, dato comune
dell’indagine ed essenziale punto di partenza, è la chiara
ricostruzione degli effetti che l’affidamento al trustee di
beni, diritti o posizioni soggettive in genere, produce in
capo a tutti i soggetti che si rapportano, sorto il profilo
obbligatorio o reale, con il trust. La mancanza di questo
dato fondamentale, che sarà di volta in volta richiamato,
non consentirebbe alcuna ricognizione proficua delle
norme di diritto sodetario, contabile e tributario, per la
risoluzione delle problematiche che verranno affrontate.
Un’ultima notazione circa il metodo seguito.
L’importanza di distinguere il trattamento contabile e
tributario dei trust in relazione alla loro tipologia, è
nora(9); tuttavia, se portato alle estreme conseguenze, tale
metodo rischia di condurre ad una visione scarsamente
sistematica e non unitaria delle situazioni operative che si
possono presentare.
Accettare, ad esempio, la soggettività tributaria per un
trust di scopo che eserciti complesse attività di gestione
del proprio patrimonio e non riconoscerla ad un bare
trust(1O), anche se entrambi presentano le caratteristiche
essenziali e comuni ad ogni trust (si pensi all’effetto
segregativo cbe in entrambe le tipologie si manifesta),
seppure coerente sotto il profilo ricostruttivo, anche alla
luce delle esperienze di altri Paesi, non sembra del tutto
appagante. Se si accettasse tale idea, l’interprete avrebbe
una eccessiva libertà nel dare alle disposizioni tributarie
attualmente vigenti un significato che esse probabilmente
non hanno. Con la conseguenza, forse, di creare maggiori
incertezze di quante non se ne dissolvano.
E’ allora preferibile, in alcuni casi, restare sul piano delle
norme positive e dare atto del vuoto legislativo che si
genera in certe situazioni limite, evitando di ricorrere ad
una interpretazione che individui una norma dove, in
realtà, essa non è rinvenibile( 11).
—
~ 2. Trasferimento di beni in trust ed
oggetto sociale nelle società commerciali.
La prima rilevante questione che occorre esaminare è
quella della compatibilità, alla luce del nostro diritto
societario, degli arti istitutivi di trust, e dei
Note:
(7) Tra cui le società per la cartolarizzazione dei crediti di cui alla L. 30 aprile
1999, n. 130.
(8) In particolare Argentina, Canada e Nuova Zelanda, i cui sistemi tributari sono
incentrari sul principio di tassazione su base mondiale in capo ai soggetti residenti
ed improntati ad una progressività delle aliquote di imposta.
(9) M. Lupoi, Trusts (supra, nota 11, p. 757, S. Marchese, lì bilancio del trustee:
aspetti contabili, in questa Rivista, 2000,197, a p. 202, e Id., Trusts ed imposizione
sul reddito: alcune riflessioni, in questa Rivista, 2001, 5, a p. 7.
(10) Sul bare trust v. M. Graziadei, Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed
agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Università di Trento, 1995, p. 213.
Per alcuni aspetti sulla regolamentazione fiscale in Canada e Nuova Zelanda, si
vedano W. Goodman, Canadian Taxation of Trusts and their Beneficiaries,
Bulletin, IBFD, 1999, 131; J. Prebble, New Zealand Trust Taxation: the Domestic
Rules, Bulletin, 1999, 194. D. W. M, Warers, The Concept Called ‘The Trust”,
Bulletin, IBFD, 1999, 118, a pp. 129-130 che peraltro ricorda come il concetto di
bore trust non sia ben definito nel diritto tributario canadese essendo dibattuto in
Canada quale sia il livello minimo di doveri cui il trustee deve attenersi perché il
trust non venga riconosciuto come autonomo soggetto passivo dall’Amministrazione finanziaria.
(11) Cfr. paragrafo 7.
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successivi negozi dispositivi, con l’oggetto sociale di una
società commerciale.
In particolare, occorre capire se il negozio istitutivo di un
trusr, e i successivi negozi di dotazione(12), ad opera
dell’impresa disponente, rappresentino atti estranei
all’oggetto sociale ed in quanto tali, illegittimi. Se il
comportamento della società disponente dovesse infatti
essere giudicato non conforme all’oggetto e all’interesse
sociale, sorgerebbero, quale diretta conseguenza, rilevanti
profili di responsabilità, civile e penale, in capo
all’organo amministrativo e al collegio sindacale.
Strettamente connesso al rapporto tra oggetto sociale ed
istituzione del trust risulta poi la relazione tra atto gratuito
e negozio di dotazione(13). Il trasferimento delle
posizioni soggettive dal disponente al trustee trova la sua
causa, come è stato rilevato(14), nell’affidamento del
diritto al trustee, per la realizzazione di uno scopo o
nell’interesse di un terzo ed avviene, come è regola
nell’ambito dei trust, senza corrispettivo, per cui
all’attribuzione
patrimoniale
non
corrisponde
l’assegnazione di alcun diritto. Occorre dunque valutare
entro quali confini un atto gratuito (senza corrispettivo),
posto in essere da una società commerciale, sia lecito, e
non incorra nella sanzione della nullità(15) per difetto di
causa.
Estraneità dell’atto all’oggetto sociale e gratuità non
stanno in un rapporto di corrispondenza biunivoca, nel
senso che vi possono essere atti estranei non caratterizzati
dal requisito della gratuità ed atti gratuiti che mirano a
perseguire, seppur in via indiretta e mediata, un preciso
interesse economico della società(16).
In ultimo occorre chiedersi se il concetto di estraneità di
un atto all’oggetto sociale della società che intenda
istituire un trust vada valutato già in occasione del
negozio istitutivo, e quindi della deliberazione del
programma che la società intende attuare mediante
l’istituzione del trust, o solo in occasione dell’esecuzione
dei vari negozi dispositivi, per mezzo dei quali si attua il
trasferimento dei diritti e delle posizioni soggettive al
trustee(17).
Nella valutazione degli atti dell’impresa assumono rilievo
sia quelli diretti ad istituire trust per conseguire una pura
liberalità o per il raggiungimento di uno scopo, sia quelli
che vengono istituiti in esecuzione di specifiche
obbligazioni contratte dalla società “o verso un
corrispettivo o verso l’assunzione di analoga obbligazione
da parte di un terzo”(18).
Anche se l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale
può interessare, teoricamente, tutte le tipologie di trust
appena richiamati, in quanto “occorre accertare le
concrete finalità, tenendo conto non dei soli effetti
strettamente giuridici, ma anche di quelli pratici ed
economici”, poiché l’interesse deve essere sempre effettivo e presente, si ritiene che solo la prima categoria di
trust (trust liberali) presenti profili problematici.
Nel corso degli ultimi anni la Corte di Cassazione e la
giurisprudenza di merito( 19) hanno avuto occasione di
intervenire più volte sul problema della qualificazione
degli atti gratuiti compiuti da società commerciali a
favore di proprie società controllate o controllanti,
evidenziando un orientamento consolidato nel senso di
ammettere, a precise condizioni, la liceità e la
corrispondenza di tali atti all’oggetto e all’interesse
sociale. In particolare, è stato sottolineato che, per
giudicare estraneo un atto all’oggetto sociale occorre
tenere sempre presenti le circostanze del caso concreto,
cioè le concrete finalità dell’atto, senza poter dare valore
determinante alla natura, gratuita o meno, dell’atto
medesimo. La gratuità svolge, peraltro, un ruolo
indiziario nel valutarne la estraneità all’oggetto e
all’interesse sociale.
Pertanto, l’atto (gratuito) attraverso il quale la società
persegue
l’interesse sociale(20) si colloca ordiNote:
(12) G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in questa Rivista,
2000, 162.
(13) Cfr. A. Palazzo, Trust e interesse all’ambulatorietà dell’attribuzione gratuita,
in questa Rivista, 2000, 170.
(14) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 307.
(15) Sul tema A. Palazzo, Trust e interesse all’ambulatorietà dell’attribuzione
gratuita [sopra, nota 13], a p. 176.
(16) Cfr. Cassazione, Sez. 1,11 marzo 1996, n. 2001, Giur. comm., 1996, 11, 643;
in Giur. comm., 1997, 11, 134 (nota R. Guidotti).
(17) In merito ai trust che hanno come oggetto i beni di impresa è stato rilevato che
essi possono essere istituiti per fini liberali, in esecuzione di obbligazioni assunte e
per fini (strettamente) imprenditoriali. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 761.
(18) M. Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 763.
(19) Cfr. Cassazione, Sez. 1, 15 giugno 2000, n. 8159, Impresa, 2000,
1353; Cassazione, Sez. 1,10 aprile 1999, n. 3514, Giur. comm., 2000, Il,
593 (nota A. Donata), Cassazione, Sez. 1,5 dicembre 1998, n. 12325, Le
Società, 1999, 562 (nota S. Pasolino); Cassazione, Sez. 1,11 marzo 1996,
n. 2001 [supra, nota 16]; Tribunale di Roma, 2febbraio 1999, Le Società,
1999, 851 (nota V. Salaria).
(20)
Recentemente, sull’interesse sociale P. G. Jaeger, L’interesse sociale
rivisitato (quarantanni dopo), Giur. comm., 2000, I, 803, ove è precisa(Segue)
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nariamente all’interno degli atti che rientrano nell’oggetto
sociale, in quanto finalizzati al raggiungimento dello
scopo che sostiene la causa del contratto sociale.
L’interesse che sorregge l’atto gratuito, come insegna la
Cassazione, deve essere effettivo ed attuale, e verificato
caso per caso, anche sulla base di comportamenti anteriori
e successivi alla sua realizzazione.
Diventa, a questo punto, relativamente agevole, per la
giurisprudenza, tracciare un netto confine tra atto gratuito
ed atto liberale e riconoscere una causa e quindi una
funzione economico sociale all’atto gratuito interessato.
L’atto di donazione, rispetto all’atto gratuito presenta “un
quid pluris, costituito dallo spirito di liberalità che deve
conformare l’atto dispositivo”; il depauperamento, poi,
non sussiste nell’ipotesi in cui, mediante l’assunzione
dell’impegno, la società controllata miri a conseguire un
risultato rispondente ad un suo preciso interesse economico( 21).
In questa prospettiva anche le erogazioni di carattere
liberale, quali erogazioni a fondazioni o associazioni per
eventi culturali o artistici possono assumere, in
determinate circostanze, la natura di atti interessati, in
quanto in grado di procurare in via indiretta e mediata,
vantaggi economici, quali un ritorno di immagine per
l’apprezzamento della comunità e dell’ambiente
circostante alle attività sociali, nonché di usufruire di
alcune norme fiscali di favore.
Sarà, al contrario, atto estraneo all’oggetto sociale e privo
di interesse, quello non sorretto da effettive motivazioni
economico imprenditoriali(22) per la società che lo pone
in essere.
Cerchiamo di calare il quadro di riferimento tracciato
sull’impresa disponente che intenda istituire un trust,
partendo dalla distinzione tra negozio istitutivo e negozio
dispositivo, per poi verificate se già a livello di negozio
istitutivo possa essere censurabile il comportamento della
società, in quanto sia ritenuto contrario alle fondamentali
disposizioni statutarie e alle finalità lucrative che
caratterizzano il tipo socia
le.
Il negozio istitutivo del trust è l’atto che contiene lo scopo
del trust e il programma necessario alla sua realizzazione.
“Il negozio inter vivos istitutivo del trust ha come effetto
tipico quello di segregare i beni del trust dal patrimonio
del trustee e quello di creare in capo al trustee
obbligazioni nei confronti dei beneficiarii”(23).
—
—
I negozi dispositivi, giuridicamente distinti dal negozio
istitutivo, sono diretti a realizzare lo scopo del trust,
mediante i trasferimenti delle posizioni soggettive al
trustee. Tuttavia, come è stato sostenuto, in diritto inglese,
non vi è alcun obbligo per il disponente di procedere alle
attribuzioni patrimoniali a favore del trustee, il quale
ovviamente, non potrà poi realizzare lo scopo del
trust(24).
I casi affrontati dalla giurisprudenza in materia di
estraneità dell’atto all’oggetto e all’interesse sociale
hanno riguardato, prevalentemente, il rilascio di garanzie
tra società del gruppo ovvero società le cui partecipazioni
facevano capo agli stessi soggetti. Nei casi esaminati si
trattava di atti dispositivi di diritti(25) o assunzione di
obbligazioni di garanzia già perfezionati. Anche se la
giurisprudenza non ha avuto occasione di esprimersi sulla
corrispondenza all’oggetto sociale di atti programmatici
che non comportino trasferimenti di diritti ne assunzione
di obbligazioni, ragioni di ordine logico e sistematico fanno ritenere che il giudizio sulla valutazione dell’interesse
perseguito dalla società mediante istituzione del trust,
sembra dover essere presente sin dal momento istitutivo, a
nulla rilevando che, in certe situazioni od operazioni,
l’impresa disponente non sia giuridicamente obbligata ad
eseguire le successive dotazioni patrimoniali. Infatti,
l’atto istitutivo, sotto il profilo
Note:
(Continua nota 20)
to che ‘gli interessi che devono essere presi in considerazione in questa sede
sono esclusivamente di carattere economico, restandone esclusi gli interessi il cui
contenuto economico non può essere valutato e determinato”. L’interesse sociale,
anche in funzione evolutiva, è costituito dall’interesse al reddito, al valore reale
delle quote di partecipazione e, in ultima analisi, alla crescita dell’impresa e del
gruppo cui essa appartiene.
(21) Cassazione, Sez. 1, 5 dicembre 1998, n. 12325 [supra, nota 19], a p. 564.
(22) Tale è l’orientamento del Tribunale di Roma 2 febbraio 1999 [supro, nota 19],
ove è precisato che ‘per la validità della stipulazione deve sussistere un interesse
dell’accollante (promettente): costui mediante la stipulazione a favore del terzo,
infatti, può per esempio estinguere una obbligazione, preesistente nei confronti
dell’accollante, assumere una obbligazione dietro corrispettivo, ovvero compiere
un arto di liberalità” .
(23) G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi [supra, nora 12], a
p. 169.
(24) In tali casi il trust è valido ma inefficace. Cfr. anche Supreme Court of
Montana, Shannon Cate — Schwayen v Joanne aute, in questa Rivista, 2002, 72.
Sul tema M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 114; P. H. Pettit, Equity and the Law
of Trusts, Butterworth, 2001, p. 96.
(25) Come la cessione di ingenti erediti pecuniari (Cfr. Cassa:ione, Sez.
1,11 marzo 1996, n. 2001 [supra, nota 16]).
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dell’obbligo di motivazione (quale indice di rilevazione
dell’interesse sociale), in quanto espressione della volontà
di organi sociali (amministratori od assemblea), non
dovrebbe differenziarsi dagli altri atti socialiL’atto sociale dovrà essere quindi valutato sulla base
degli effetti giuridici che produce tipicamente il negozio
istitutivo del trust, mentre i successivi atti dispositivi,
strumentali e conseguenti alla realizzazione del
programma, saranno valutati in stretta relazione
all’interesse perseguito dalla società con l’istituzione del
trust: non bisogna dimenticare, infatti, che la causa dei
negozi dispositivi, viene concordemente individuata nella
attuazione dello scopo del trust(26).
Mentre il compimento di atti estranei agli interessi sociali
fa sorgere la responsabilità degli amministratori verso la
società per inadempimento ai doveri imposti dall’atto
costitutivo (art. 2392 cod. civ.) e verso i creditori sociali
(art. 2394 cod. civ.), il collegio sindacale risponderà delle
violazioni relative alle norme sulla conservazione
dell’integrità del patrimonio sociale se non adempie ai
propri doveri ai sensi dell’art. 2403 cod. civ.. Risulterà
applicabile anche l’art. 2409 cod. civ., in quanto la violazione dell’organo amministrativo del precetto statutario
riguardante
l’oggetto
sociale
costituisce
grave
irregolarità(27). Sul piano sociale, inoltre, l’eventuale
ratifica od autorizzazione dell’assemblea al compimento
di atti estranei da parte degli amministratori renderebbe la
delibera non annullabile ai sensi dell’art. 2377 cod. civ.
ma nulla per illiceità dell’oggetto in quanto in violazione
di norme imperative “volte ad impedire una deviazione
dallo scopo economico pratico del contratto di società”.
Dalla sanzione della nullità, come è evidente, deriverebbero conseguenze negative di notevole rilievo (28).
La società disponente, pertanto, avrà cura di istituire
trust diretti a realizzare, anche in via mediata ed indiretta,
l’interesse sociale.
Di seguito verranno presi in considerazione, pertanto,
solo quei trust di impresa cosiddetti interessati, ed i trust
di scopo(29) in particolare, ove il trasferimento dei beni e
diritti risponde ad effettive esigenze del soggetto
disponente. Occorre peraltro precisare che, sul piano
tributario, può ben verificarsi il caso di trasferimenti di
beni che danno origine a destinazioni a finalità estranee
all’esercizio dell’impresa realizzo di plusvalenze o di
ricavi fiscalmente rile
—
vanti, anche in presenza di negozi istitutivi di trust
pienamente rispondenti all’interesse sociale. La norma
tributaria ha, infatti, finalità differenti da quella civile e
nell’ambito dei trasferimenti senza corrispettivo con gli
arrt. 53, Il comma, 54, I comma, lett. d) del D. P. R. 22
dicembre 1986, n. 917 (‘Tuir”) e con l’art. 2, II comma, n.
5 del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633 ha posto norme di
chiusura del ciclo fiscale dei beni di impresa.
§ 3. Impresa disponente e trasferimenti in
trust: gli effetti sul bilancio di esercizio.
La società commerciale che istituisce un trust destinandovi propri beni si trova di fronte a diverse
problematiche, da risolvere sulla base delle disposizioni
previste dalla legge in materia di redazione, formazione e
controllo del bilancio di esercizio e degli effetti che si
producono, sul piano giuridico, con il trust.
La segregazione delle posizioni soggettive e la definitiva perdita, per l’impresa disponente, del potere di
disposizione sull’oggetto del trust, sono due tra gli aspetti
più importanti da tenere in considerazione(30).
In sostanza, la rilevanza del riconoscimento degli
effetti del trust sulla disciplina del bilancio di esercizio sta
in ciò, che la società deve rispettare le finalità
—
Note:
(26) 0. De Nova, Trust: negozio iStitutivo e negozi dispositivi [supra, nota 12], a p.
168; M. Lupoi, Trusts [supro, nota 1], p. 156.
(27) Tribunale di Milano, 12 maggio 1994, Le Società, 1994, 1389; Corte
d’Appello di Milano, 14febbraio 1994, Le Società, 1994, 622.
(28) E. Bertacchini, Oggetto Sociale, arti estranei e responsabilità degli
amministratori, Banca Dati Ipsoa Le Società, 2001, e Cassazione, 22 luglio 1994, n.
6824, Giust. civ., 1995, I, 440.
(29) Con il termine trust di scopo la dottrina si riferisce a trust normalmente privi
di beneficiarii, istituiti per l’esercizio di determinate attività economiche o sociali
(si pensi ai c. d. charity trust) o il compimento di operazioni commerciali e
finanziarie (per es. trust per la cartolarizzazione dei crediti). Sui trusts di scopo: v.
M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 393; E. Cassel, Purpose trusts, in
www.mairlandgoup.com/article4.hrm; L. I. Davies Cyman, Trusts with a Purpose,
in www.trusts-and-trustees.com/library/trusrspurpose.htm; P. Egerton-Vemon,
Purpose trusts in www.rrusts-and-rrusrees.com/library/v4n2.hrm; P. BaxendaleWalker, Purpose Trusts, Butterworrhs, 1999; A. Duckworrh, The new frontier of
purpose Trust, in questa Rivista, 2000, 185.
(30) Un altro aspetto (più significativo per il bilancio della società che operi quale
trustee professionale) è che il trustee, per definizione, non può trarre alcun
vantaggio dai beni posseduti in tale sua qualifica, in quanto gli appartengono ma
non sono economicamente i suoi (M. Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 25).
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delle norme in materia di bilancio, coniugandone il
precetto con gli elementi essenziali dei trust(31).
Venendo alle situazioni da risolvere, la prima questione riguarda il rapporto tra atto istitutivo del trust
e bilancio.
Occorre cioè chiedersi se, nel momento di avvio del
programma dispositivo(32), vi siano riflessi sulla
rilevazione nelle scritture contabili e, quale effetto
conseguente, sulla struttura del bilancio di esercizio
dell’impresa disponente.
La seconda attiene alla fase dei trasferimenti dei
beni e dei diritti al trustee. In tale momento l’attribuzione del bene o del diritto provoca mutamenti
nella composizione del patrimonio dell’impresa disponente. L’effetto modificativo del patrimonio richiede dunque la contabilizzazione del trasferimento(33), nonché un’indagine sulla causa, se, cioè, si è
di fronte ad un trasferimento di natura strumentale,
finalizzato al raggiungimento di uno scopo ulteriore
rispetto al passaggio della proprietà o di altro diritto
reale sul bene(34).
Tutte le considerazioni svolte andranno peraltro
verificate alla luce delle caratteristiche fondamentali
del rapporto obbligatorio creato dall’impresa disponente con l’istituzione del trust.
Cerchiamo ora di esaminare separatamente tutte le
fasi sopra indicate.
~ 4. Atto istitutivo del trust e bilancio
di esercizio.
Per comprendere se la semplice istituzione del trust
produca effetti sul bilancio di esercizio occorre
considerare separatamente le ipotesi in cui l’impresa
disponente istituisca il trust ma non attribuisca al
trustee beni e diritti di cui necessita per il raggiungimento dello scopo del trust, da quelle in cui si dichiari trustee di un trust(35).
Nel primo caso non si verificano mutamenti nella
composizione qualitativa e quantitativa del patrimonio, in quanto non vi sono effetti giuridici mancando ogni atto dispositivo.
Ben più complesso il secondo caso (dichiarazione
da parte dell’impresa disponente quale trustee di un
trust da essa istituito); in tal caso il vincolo posto dal
trustee-impresa su determinati beni o diritti, anche in
assenza di un loro trasferimento a terzi(36), produce
l’effetto di modificare il titolo di appartenenza
originario imponendovi un’obbligazione, che non
può essere ignorata nel sistema di rilevazione e valu
—
tazione delle poste di bilancio. Il venire meno della
disponibilità piena(37), ossia non soggetta a limitazioni, vincoli o condizioni, su1 bene posseduto dall’impresa quale trustee, non è irrilevante per gli scopi che il legislatore ha inteso perseguire con la disciplina del bilancio. Il difetto di appartenenza del bene
in trust e l’impossibilità, da parte dell’impresa quale
trustee, di trarne qualsiasi utilità(38) per i propri fini,
sembra incidere in maniera significativa sull’informativa di bilancio. Come è stato messo in evidenza, le norme sul bilancio di esercizio intendono,
Note:
(31) La dottrina giuridica ha individuato il fine perseguito dal
legislatore con la redazione del bilancio, anche prima della riforma
avvenuta con D. Lgsl. 9 aprile 1991, n. 127, nell’accertamento degli utili
realizzati e delle perdite sofferte nonché nella ‘esposizione del
patrimonio sociale nelle sue componenti compatibili con lo scopo di
rilevazione degli utili, e valutato secondo criteri idonei alla rilevazione
degli utili” (O. E. Colombo, Bilancio di esercizio e bilancio consolidato,
in G. E. Colombo G. B. Portale (curr.), Trattato delle Società per Azioni,
voI VII, parte 1,1994, Torino, p. 53 e p. 65).
(32) Vale la pena ricordare che la disposizione di diritti in trust ad opera
del costituente non equivale a trasferimento del diritto. Nei trust ove il disponente
si riconosce trustee si ha un negozio dispositivo, nel senso che sui beni in trust il
disponente — sempre titolare del diritto — non vanta più un’appartenenza piena,
in quanto essi sono gravati da un’obbligazione di natura fiduciaria — che ne
impone il beneficio nell’interesse altrui o a favore di uno scopo, ma non si verifica
trasferimento (M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 3 e p. 308 per il quale “anche il
disponente che si faccia rmsree compie un atto di disposizione, per mezzo del
quale immuta la propria veste giuridica di titolare del diritto”).
(33) “La registrazione in bilancio dell’acquisto o dell’alienazione
deve aver luogo, indipendentemente dall’esecuzione del contratto, dal
momento in cui l’effetto modificativo del patrimonio si è prodotto: cioè
dal momento del contratto” (G. E. Colombo, Bilancio di esercizio e
Bilancio consolidato [sopra, nota 31], p. 181).
(34) La problematica dei trasferimenti strumentali è stata trattata
in ambito civilistico e tributario con riferimento al contratto di
associazione in partecipazione (O. Ferri, voce “Associazione in
partecipazione”, Nov. dig. ir., voi. I, Torino, 1958, 1436; 0. De Fetta,
voce “Associazione in partecipazione I) Diritto commerciale”, Enc.
Giur. Treccani, voI. III, Roma, 1988, a p. 8; P. Puri, voce “Associazione
in partecipazione TI) Diritto tributario”, Enc. Giur. Treccani, voi. III,
Roma, 1988, a p. 4; M. Nussi, L’impurazione del reddito nel diritto
tributario, Padova, 1996, pp. 59-60) e ai versamenti in conto capitale o a
fondo perduto (Nussi, L’impurazione del reddito nel diritto tributario,
supra, pp. 66).
(35) Si tratta della dichiarazione unilaterale di trust per cui si veda M.
Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 158, E H. Pettit, Equity and the Law of Trusts
[sopra, nota 24], p. 83.
(36) L’impresa infatti, è e rimane titolare
posti in trust.
—
proprietaria dei beni
(37) Non in termini di potere di fatto sul bene o di proprietà, ma in
termini di esercizio di quel potere. lì bene continua ad essere
dell’impresa ma non sì confonde con gli altri elementi del suo
patrimonio perché non è economicamente suo” (M. Lupoi, Trusrs [supra,
nota 1], p. 25).
(38) Salvo il caso, in cui la stessa impresa
essere trustee, sia uno dei beneficiarii.
—
disponente, oltre ad
6
- Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002-
sul piano giuridico, perseguire finalità di oggettiva
informazione sulla situazione patrimoniale della società,
sulla situazione finanziaria e sul risultato dell’esercizio,
nell’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi. Se
l’interesse preminente, dunque, è quello di fornire un
quadro informativo obiettivo della situazione patrimoniale
della società, in relazione alla clausola generale della
rappresentazione veritiera e corretta, ne discende che il
bilancio di esercizio dovrà indicare quali beni, di cui
l’impresa è titolare, non contribuiscano più alla crescita
del suo patrimonio. Il bene in trust, infatti, non produce
utilità per il trustee, quindi non è in grado di esplicare effetti sulla composizione qualitativa o quantitativa del
patrimonio come richiesto dalle disposizioni sul bilancio
di esercizio. Se, in altri termini, il bilancio di esercizio ha,
tra i propri scopi, quello di evidenziare gli utili
effettivamente realizzati, nonché rilevare le componenti
parrimoniali e finanziarie su cui l’impresa può agire per
modificare il proprio risultato, il difetto equitativo del
titolo di appartenenza e l’improduttività dei beni
posseduti in trust per l’impresa che si riconosca trustee,
genera immediate conseguenze.
Si ritiene che il bilancio di esercizio debba riportare
queste modificazioni per non violare la clausola generale
di rappresentazione veritiera e corretta (art. 2423 cod.
civ.) e l’intero sistema di precetti contenuto negli artt.
2423-bis e 2426 cod. civ.. I beni in trust, infatti, anche se
destinati all’esercizio di un’attività commerciale di cui, è
bene precisarlo, in ogni caso continua ad essere titolare
l’impresa
disponente quale trustee, non producono
effetti economico patrimoniali omogenei con quelli degli
altri beni iscritti in bilancio, ed utilizzati per l’esercizio
della propria impresa dalla società disponente.
Il difetto del titolo di appartenenza si può ripercuotere
anche sui criteri di valutazione del bene nel bilancio di
esercizio con il rischio di introdurre sistemi di valori non
omogenei unitamente a gravi conseguenze in termini di
chiarezza.
Poiché essere proprietari o titolari di altro diritto reale di
godimento non sembra criterio decisivo per l’iscrizione in
bilancio di un bene o di un diritto(39), la società che si
dichiari trustee, dovrà espungere tali beni dallo stato
patrimoniale in quanto essi non sono in grado di
soddisfare, come si è visto, gli scopi del bilancio di
esercizio, tra i quali assume particolare rilievo quello di
“far risultare tutto e soltanto l’utile certo”(40)
—
—
—
.
Il tema affrontato introduce un altro argomento, relativo
alle condizioni per l’iscrivibilità dei beni nell’attivo dello
stato patrimoniale del bilancio di esercizio. Sapere quali
beni possano o debbano essere iscritti nello stato
patrimoniale, e con quali criteri debba avvenire
l’iscrizione, significa avere una chiave di lettura per la
questione in esame.
Occorre precisare che, dopo la riforma introdotta dal D.
Lgsl. 9 aprile 1991, n. 127, il bilancio di esercizio è
formato dallo stato patrimoniale, dal conto economico e
dalla nota integrativa, per cui il problema dell’iscrivibilità
si pone, rispetto al passato, essenzialmente con riferimento
allo stato patrimoniale. Allo stesso tempo si è dell’avviso
che la nota integrativa, parte integrante del bilancio di
esercizio, possa svolgere un ruolo importante per quanto
concerne la destinazione in trust di beni dell’impresa.
La dottrina che si è occupata del tema (iscrivibilità dei
beni nell’attivo dello stato patrimoniale) ha rilevato che lo
stato patrimoniale di bilancio, in quanto non rappresenta
un complesso patrimoniale statico, “è ispirato a due
fondamentali principi: da un lato, la rilevanza
e
conseguentemente la necessità di rilevazione contabile di
tutti i componenti attivi e passivi del patrimonio
utilizzabili per l’esercizio dell’impresa alfine della
produzione di utili e suscettibili di valutazione economica;
d’altro lato, la rilevanza dei legami tra esercizio al quale il
bilancio si riferisce ed esercizi passati e futuri, con
conseguente iscrizione, come elementi attivi e passivi, di
poste che non corrispondono a “beni o a “crediti” o a “debiti” in senso giuridico, bensì svolgono la funzione di
trasferire ad esercizi futuri costi già sostenuti ma di utilità
(quindi “di competenza”) di tali esercizi, o viceversa”(4
1).
Lo stato patrimoniale, pertanto, accoglie, nella visione
suesposta, solo quelle attività, eventualmente non
rappresentate da beni in senso giuridico, su cui la società
può vantare un potere di disposizione
—
—
Note:
(39)
E, infatti, lo stesso art. 2424 cod. civ. prevede l’iscrizione di
costi od oneri cui non corrispondono beni, come i costi di impianto e di
ampliamento o l’avviamento. Si pensi, inoltre, alla problematica della
iscrizione dei beni detenuti in leasing. G. E. Colombo, Bilancio
d’esercizio e consolidato [sopra, nota 31], pp. 182 SS.
(40)
G. E. Colombo, Il bilancio di esercizio delle società per
azioni, Padova, 1965, p. 69.
(41)
G. E. Colombo, Bilancio d’esercizio e consolidato [sopra,
nota 31], p. 175.
7
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pieno per la realizzazione del proprio risultato economico. Esso accoglierebbe, in altri termini, tutte le attività,
derivanti da rapporti giuridici definiti e non pendenti(42),
in grado di rilasciare utilità che contribuiscono alla
formazione del risultato dell’esercizio. Ne consegue
l’incoerenza della iscrizione di beni in trust nello stato
patrimoniale dell’impresa trustee, alla luce dei tratti
comuni ad ogni tipologia di trust. Di questi ultimi si
ricordano a) l’effetto segregativo che si produce
sull’oggetto del trust, sia esso rappresentato da beni o
diritti che da redditi, frutti o proventi da questi derivanti;
b) il negozio istitutivo, secondo cui il trustee, come dato
indefettibile, non può trarre utilità per sé, dal corpo del
trust; c) l’obbligazione assunta dall’impresa trustee nei
confronti dei beneficiarii o per la realizzazione dello
scopo del trust; d) il vincolo di destinazione impresso ai
beni in trust.
In base a quanto sopra esposto è possibile formulare due
considerazioni.
La prima è che, se lo stato patrimoniale accoglie questo
sistema di valori, per gli scopi che la legge gli assegna,
appare incerta la collocazione dei beni in trust tra le
attività e la passività(43).
La seconda si riferisce alla necessità di guardare ai tratti
comuni che caratterizzano le diverse tipologie di trust (tra
cui la segregazione delle posizioni soggettive e
l’impossibilità di trarre utilità dai beni in trust per il
trustee) per averne una rappresentazione contabile
omogenea nel bilancio del trustee. Distinguere la
rilevazione contabile in funzione della tipologia di
trust(44) conduce inevitabilmente a trattare nel bilancio di
esercizio fattispecie che hanno la stessa struttura in modo
diverso, con ripercussioni negative anche in tema di
comparabilità tra i bilanci dei soggetti che si trovano ad
agire quali trustee, in maniera occasionale o
professionale.
Ulteriori argomenti a favore della tesi che si sostiene
(necessità di rilevare nello stato patrimoniale e nel conto
economico gli effetti della istituzione del trust con
disposizione dei beni, anche se in assenza di un
trasferimento in senso tecnico) si possono rinvenire:
a) nella disciplina contabile e fiscale dei fondi previdenziali speciali di cui all’arr. 2117 del cod. civ. e dei
fondi pensione aperti di cui all’arr. 9 del D. Lgsl. 21
aprile 1993, n. 124;
b) nella disciplina di bilancio prevista per le società che
effettuano le operazioni di cartolarizzazione dei crediti ai
sensi della L. 30 aprile 1999, n. 130 e
—
—
dal Provvedimento della Banca d’Italia del 29 marzo
2000.
Come è stato evidenziato dalla dottrina(45), i fondi
pensione di tipo aperto ed i fondi previdenziali di cui
all’art. 2117 del cod. civ. sono esempi di strutture
civilistiche omologabili con il trust. Il fondo pensione
aperto rappresenta “un patrimonio individuato e
‘separato’, tramite apposita delibera del soggetto che lo
istituisce, ‘destinato’ a garantire l’erogazione di un
trattamento pensionistico complementare tramite la
riscossione di contribuzioni da parte dell’aderente ed
eventualmente del datore di lavoro nonché tramite la
gestione di tali risorse secondo i principi di legge,
‘autonomo’ dai creditori sia del soggetto che lo istituisce
sia dell’aderente”(46).
—
—
Note:
(42) “Il principio può essere formulato come segue. Fino a che la stipulazione di un
contratto non ha generato altra conseguenza che il sorgere di reciproche
obbligazioni a prestazioni future, di tale contratto non è necessaria la
contabilizzazione (se non nel sistema contabile secondario degli impegni); quando
la prestazione principale dedotta in contratto è eseguita, deve essere recepito nel
bilancio sia l’effetto di tale esecuzione (ingresso od uscita di tino o piè beni dal
patrimonio dì bilancio) sIa il credito o debito corrispettivo”. G. E. Colombo,
Bilancio d’esercizio e consolidato [aupra, notzi 31], p. 180.
(43) Cfr. anche 5. Marchese, Il bilancio del trustee: aspetti contabili [siipro, nota
91, a p. 200.
(44) Sulla tipologia dei trust e il loro polimorfismo, cfr. M. Lupoì, Trusts [aupra,
nota 1], p. 9. Le classificazioni richiamate dalla dottrina sono molteplici: con
riguardo al contenuto del diritto dei beneficiarii, si distinguono trust fixed e
discrezionali; con riguardo al contenuto del potere dispositivo del trustee, si
distinguono i bere trust dagli altri; con riferimento alla natura degli interessi
perseguiti si distinguono i trust familiari da quelli di impresa; con riguardo alle
finalità che si intendono raggiungere con il trust si distinguono i trust liberali da
quelli commerciali o da quelli istituiti per il conseguimento di finalità non
lucrative; e così via. S. Marchese associa la rappresentazione contabile dei beni in
trust con ‘gli effetti economico — sostanziali” che le parti intendono realizzare (lì
bilancio del trustee: aspetti contabili [supra, nota 43], a p. 207).
(45) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 697. Mentre secondo l’Autore non è
omologabile con il trust di modello inglese il fondo comune di investimento, ‘sono
invece omologabili con il trust le soluzioni legislative del primo tipo (beni
dell’impresa, ma segregati): fondi pensione dell’impresa, cartolarizzazione (46) L. D’Ambrosio, La natura giuridica dei fondi pensione aperti: un’interpretazione dei principali problemi posti dalla fattispecie, Giur. comm., 1999, 1,
91, a p. 125. La segregazione delle somme confluire nel fondo aperto o nel fondo
previdenziale dì cui all’ari. 2117 cod. civ., deriva dal fatto che “l’adesione ad un
fondo pensione aperto ha effetti sul patrimonio dell’aderente ben diversi da quelli
previsti in caso di adesione ad un fondo comune di investimento: infatti, la parte
del suo patrimonio che versa ad un fondo aperto diventa indisponibile per i suoi
creditori, ossia esce da novero di tutti i suoi beni presenti e futuri di cui all’arr.
2740 cod. civ” (L. D’Ambrosio, La natura giuridica dei fondo pensione aperti:
un’interpretazione dei principali problemi posti dalla fattispecie, supra, a p. 121).
8
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Si produce, in altri termini, l’effetto segregativo bilaterale
delle posizioni soggettive, tipica del trust(47).
I beni destinati dall’impresa al fondo pensione (interno)
sono insensibili alle pretese dei creditori della stessa
impresa, dal cui ambito sono in parte enucleati, e da
quelle dei creditori dei soggetti che vi contribuiscono
(titolari dei diritti alle prestazioni). Da ciò consegue che i
proventi e gli oneri correlati agli elementi di patrimonio
confluiti nel fondo pensione “interno” o nel fondo
integrativo di cui all’art. 2117 cod. civ., non possono
concorrere alla formazione del risultato dell’esercizio
della società. E poiché sui patrimonio sono stati posti
vincoli di destinazione mediante l’assunzione di
obbligazioni (riconosciute e tutelate dall’ordinamento) da
parte della società che ha deliberato la creazione del
fondo interno, appare corretto ritenere che gli stessi utili
netti derivanti dalla gestione di tale patrimonio ne debbano seguire la sorte(48).
La disciplina civilistica trova conferma in quella
tributaria, che prevede l’applicazione di una imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi per il risultato della
gestione del fondo pensione “indipendentemente dalle
modalità di costituzione e, quindi, sia che si tratti di fondi
interni ad una società o ad un ente, sia che si tratti di fondi
esterni, ancorché privi di personalità giuridica, sia che si
tratti di fondi aperti istituiti ai sensi dell’art. 9 del D. Lgsl.
21 aprile 1993, n. 124”(49). Il legislatore tributario
riconosce e prende atto, pertanto, che con la separazione
del patrimonio, destinato a finalità previdenziali nell’interesse di terzi, viene meno per la società il possesso del
reddito a tale patrimonio tiferibile. L’imposizione sostitutiva evita quindi alla società, ai sensi dell’art. 58, I
comma lett. c) del Tuir, di includere i redditi netti di
pertinenza del fondo pensione, nel proprio reddito
complessivo.
Ai fondi di cui all’art. 2117 del cud. civ., compresi quelli
aperti di cui all’art. 9 del D. Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124
non è riconosciuta soggettività tributaria distinta da quella
della società o dell’ente nel cui patrimonio sono stati
costituiti(50).
In termini di rappresentazione in bilancio dei fondi di
quiescenza e previdenza di cui all’art. 2117 cod. civ., la
natura giuridica del fondo e la mancanza di un’autonoma
soggettività civilistica ha fatto ritenere che “nel conto
patrimoniale del bilancio dell’impresa figureranno, in
evidenza, all’attivo le componenti attive del patrimonio
separato
(
investimenti
specifi
ci in immobili, valori mobiliari, ecc...) e al passivo la
riserva matematica, […] mentre tutti i rapporti intergestori
ed interpatrioniali (tra la gestione del fondo e la gestione
commerciale sociale) dovranno essere rappresentati nei
conti d’ordine”(5 1).
E’ bene infine ricordare che fondi aperti costituiti dalle
società di assicurazione ai sensi dell’an. 9 lett. a) del D.
Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124 trovano collocazione nello
stato patrimoniale e nel conto economico dell’impresa
assicurativa in apposite voci. lì D. Lgsl. 26 maggio 1997,
n. 173 prevede nello stato patrimoniale la voce D Il
Investimenti derivanti dalla gestione dei fondi pensione,
nell’attivo, e la voce DII Riserve derivanti dalla gestione
dei fondi pensione nel passivo e nel conto economico le
voci 3 e 10 del conto tecnico ramo vita, rispettivamente
intitolati a proventi ed oneri derivanti dalla gestione dei
fondi pensione. Analitiche informazioni sono previste in
nota integrativa insieme alla predisposizione di allegati di
dettaglio relativi ad investimenti, riserve tecniche,
proventi ed oneri relativi alla gestione dei fondi.
Anche il bilancio di esercizio delle società di carrolarizzazione dei crediti presenta spunti interessanti per
la risoluzione del problema di cui si sta trattando.
La L. 30 aptile 1999, n. 130 ha previsto che i crediti
acquistati dalle società di cartolarizzazione “costituiscono
patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della
società e da quello relativo alle altre operazioni”. Come è
stato notato, la segregazione bilaterale del patrimonio
destinato a garantire i titoli emessi per acquistare i crediti,
rende la struttura
—
—
Note:
(47) Trust del modello inglese, o ad esso omologabile, e non il trust definito dalla
convenzione de L’Aia del l° luglio 1985, che può applicarsi anche ai rapporti
fiduciari in cui il disponente può conservare diritti nei confronti del trustee
(M. Lupoi, Trusts [supi-a, nota 1], p. 508).
(48)
G. V. Purzolu E. Cavalieri, Iscrizione in bilancio dei fondi di
quiscenza del personale, Giur. comm., I, 1986, 435.
(49)
Istruzioni al quadro RI del Modello Unico 2001 — Società di
capitali, § 9.2. La disciplina dei fondi pensione è srata peraltro
ampiamente modificata dal D. Lgsl. 18febbraio 2000, n. 47, come
modificato dal D. Lgsl. 12 aprile 2001, n. 168, pubblicato in G.U. n. 108
dell’lI maggio 2001,con effetto dal l0gennaio200l. Cfr. anche la circolare
dell’Agenzia delle Entrate n. 29 del 20 marzo 2001, § 3.2.2. Cfr. anche
le isrruzioni al quadro RI del Modello Unico 2002 — Società di capitali.
(50)
Anche le Istruzioni alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico
2002
— Società dì capitali (p. 9) confermano il dato normativo.
(51)
0. V. Putzolti — E. Cavalieri, Iscrizione in bilancio dei fondi
dì quìescenza del personale [supra, nota 48], a p. 435.
9
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omologabile al trust del modello inglese(52). Infatti, da
una parte i creditori della società veicolo (diversi dai
portatori dei titoli garantiti da crediti acquistati in
ciascuna operazione) non possono proporre azioni
esecutive sui crediti acquistati; dall’altra i creditori
particolari dei portatori dei titoli non possono far valere le
loro pretese sui crediti “cartolarizzati”, ma,
eventualmente, sul titolo posseduto dal singolo
sottoscrittore; i creditori del cedente, infine, non possono
naturalmente aggredire crediti che non fanno più parte del
suo patrimonio.
La segregazione di ciascuna operazione di cartolarizzazione è tenuta in grande attenzione dalla Banca
d’Italia nel Provvedimento 29 marzo 2000 sugli schemi
di bilancio delle società veicolo di cui all’art. 3 della L. 30
aprile 1999, n. 130.
Dopo aver individuato la disciplina applicabile nel D.
Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87 e nel provvedimento della
Banca d’Italia del 31 luglio 1992, l’Istituto rileva come
“nella predisposizione della disciplina di bilancio
particolare attenzione è stata posta al fine di assicurare
che la rappresentazione contabile delle operazioni
avvenga nel rispetto di tale previsione”. Per cui viene
richiesto di riportare in nota integrativa le informazioni
contabili
relative
a
ciascuna
operazione
di
cartolarizzazione e che gli allegati contengano tutti i dati
di carattere qualitativo e quantitativo necessari per una
rappresentazione chiara e completa di ciascuna
operazione. La Banca d’Italia, in altri termini, “tenuto
anche conto del principio della prevalenza della sostanza
sulla forma previsto dal D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n.
87”(53), ha imposto la rappresentazione delle operazioni
di cartolarizzazione nella nota integrativa e non nella
situazione patrimoniale o nel conto economico(54). I
patrimoni separati che hanno per oggetto i crediti
acquistati e tutte le variazioni economiche positive e
negative ad esse afferenti (proventi finanziari, oneri di
gestione delle operazioni, ecc...) sono riportate nel bilancio di esercizio in quanto rilevati in nota integrativa (parte
integrante del bilancio ai sensi dell’art. 2, Il comma del D.
Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87) ma non sono iscritti nello
stato patrimoniale e nel conto economico in quanto
irrilevanti ai fini della determinazione della effettiva
situazione patrimoniale e finanziaria propria della società,
nonché degli utili effettivamente realizzati. La loro
annotazione, secondo quanto emergerebbe dalla soluzione
proposta dalla Banca d’Italia, sarebbe in contrasto con la
rappresentazione veritiera e corretta richiesta dall’art. 2,
III
—
comma del D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87. Sul piano
operativo l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale
Normativa e Contenzioso, ha avuto modo di precisare che
le operazioni relative ai patrimoni cartolarizzati debbano
confluire nelle scritture contabili obbligatorie della
società veicolo. In particolare, a parere dell’Agenzia, “al
fine di consentire una rappresentazione fedele e
“separata” di tutte le vicende dei singoli patrimoni
cartolarizzati, si ritiene preferibile tenere appositi
sezionali del libro giornale ed un piano dei conti che
rubrichi sotto apposite voci i
Note:
(52) In tal senso la società veicolo sarebbe il trustee delle somme affidate
dai sottoscrittori dei titoli ovvero di certificati rappresentativi di interessi
beneficiarii (sul tema cfr. A. Vicari, Carrolarizzazione dei crediti e credir linked
notes: oscillando tra trust e contratto, in questa Rivista, 2000, 532, a p. 536).
(53)
Provvedimento della Banca d’Italia del 29 marzo 2000.
(54) “Anche sotto il profilo contabile, il patrimonio della società ed il patrimonio relativo ad ogni singola cartolarizzazione debbono rimanere distinti.
Mentre nel bilancio delle società di cartolarizzazione il patrimonio dello Spv viene
contabilizzato nello stato patrimoniale ed i componenti reddituali imputati al conto
economico, il patrimonio relativo alle singole e distinte cartolarizzazioni vengono
contabilizzare “fuori bilancio e le relative informazioni contabili devono trovare
separata evidenza in appositi allegati alla nota integrativa” (O. Rumi,
Securitisarion in Italia. La legge n. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti,
Giur. comm., 2000, 1, 438, a p. 466). Nello stesso senso l’Assonime (Circ. n. 39
del 24 maggio 2000, p. 27), secondo la quale la separata evidenziazione nel
bilancio di esercizio della società veicolo rispetto al patrimonio proprio e alle altre
operazioni di cattolarizzazione, “viene ottenuta inserendo le informazioni contabili
relative a ciascuna operazione di cartolarizzazione non solo, quindi, i dati a
carattere qualitativo, ma anche quelli quantitativi sui flussi attivi e passivi dei
crediti, dei proventi, dei costi, ecc. — in appositi prospetti da allegare alla nota
integrativa. Sicché, deve ritenersi, che il conto economico della “società veicolo”
non deve essere influenzato dalle vicende realizzative dei crediti, sia per sorte
capitale che per interessi attivi, di pertinenza del patrimonio separato in questione”.
Sul piano fiscale, peraltro, nel silenzio della legge, non è chiaro quale debba essere
il trattamento tributario, ai fini delle imposte sui redditi, degli oneri e dei proventi
relativi a ciascuna operazione di cartolarizzazione, né quale natura assumano i
proventi afferenti al patrimonio separato, ai finì dell’applicazione di eventuali
ritenute da parte dei soggetti erogatori (per es. banche che corrispondono interessi
attivi su depositi di denaro proseniente dall’incasso dei crediti acquistati). Anche
se i proventi e gli oneri non trovano collocazione nel conto economico dì cui al D.
Lgsl. del 27 gennaio 1992, n. 87, sono riferibili alla società di cartolarizzazione
(Spv), l’unico soggetto passivo di imposta. In altre parole, se i proventi e gli oneri
di ciascuna operazione di cartolarizzazione non sono riferibili economicamente
all’Spv, in quanto anch’essi separati alla stregua dei crediti acquistati, in modo tale
che i redditi netti non possono essere compensati con perdite proprie dell’Spv o
viceversa, occorre conoscere il soggetto cui imputare i redditi. La questione è
irrisolta a livello normativo e di prassi ministeriale (sul punto anche l’Assonime,
Gite. n. 39 del 24 maggio 2000, pp. 2 7-29). Il ricorso al truar, imputandovi le
somme incassare dalle banche incaricate ai sensi dell’arr. 2, VI comma della L. 30
aprile 1999, n. 130, oltre a produrre su di esse un effetto segregativo nell’interesse
dei portatori dei titoli, potrebbe dare una soluzione al problema tributario della
tassazione dei proventi e frutti maturati nel corso dell’operazione, sempre che si
concordi sulla soggettività passiva del trust ai sensi dell’art. 87, Il comma del Tuir.
(Sul profilo civilistico, A. Frignani, Trust e cartolarizzazione, in questa Rivista,
2000, 19, a p. 21).
10
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conti riferibili ai patrimoni stessi”(55). Viste le analogie
funzionali tra patrimonio cartolarizzato e patrimonio in
trust, le indicazioni fornite dall’Amministrazione
finanziaria sono di sicuro ausilio per la risoluzione delle
questioni esaminate,
Occorre, a questo punto, formulare delle riflessioni
conclusive sugli effetti, nella rappresentazione contabile e
nella redazione del bilancio di esercizio, di un atto
istitutivo di trust ove la società disponente si riconosca
trustee segregando parte del suo patrimonio(56).
Occorre sottolineare, in primo luogo, che i beni in trust
dovranno essere gestiti sul piano amministrativo, in modo
separato dalle restanti attività e passività proprie.
Sulla base delle considerazioni svolte in merito alle
finalità del bilancio di esercizio ed ai criteri per l’iscrizione nello stato patrimoniale di un’attività o di una
passività (e, di conseguenza, dei componenti di reddito
afferenti tali attività e passività), si ritiene coerente alla
clausola generale di verità e correttezza dell’art. 2423
cod. civ., e alle finalità che la legge assegna al bilancio di
esercizio, rilevare i beni in trust ed i connessi effetti sulla
loro composizione qualitativa e quantitativa, in un sistema
contabile separato, anche se appartenente sul piano
giuridico alla stessa impresa.
I risultati delle gestioni in trust e la composizione
patrimoniale dei beni in trust, verranno riportati in
appositi prospetti della nota integrativa ed adeguatamente
illustrati, tenuto conto, peraltro, degli obblighi di
riservatezza che caratterizzano gli atti istitutivi(57).
Indipendentemente dalla funzione economico —
sociale che il trust intenda perseguire, la presenza dei
comuni dati strutturali con altri istituti (come i fondi
pensione e le società di cartolarizzazione) deve risolversi
in una omogenea rappresentazione contabile.
In tal senso l’impostazione contabile adottata dalla Banca
d’Italia per le società di cartolarizzazione appare
conforme agli interessi generali tutelati dalle norme sul
bilancio di esercizio e all’esigenza di rappresentare gli
effetti del trust.
L’assenza, peraltro, di schemi legali per società che
svolgono l’attività di trustee non consente di avere punti
di riferimento(58). La stessa Banca d’Italia, dovendo
adottare gli schemi di bilancio degli intermediari
finanziari alla particolare situazione che si crea con la
rilevazione di un patrimonio di destina-
zione, separato dal resto del patrimonio d’impresa, ha
ritenuto coerente con l’effetto segregativo espungere dallo
stato patrimoniale e dal conto economico della società la
rappresentazione e valutazione (secondo i criteri di
un’impresa in funzionamento) delle operazioni di
cartolarizzazione.
Non vi sono dunque motivi per allontanarsi da tale
impostazione, che appare coerente sul piano logico
(perché considera i tratti essenziali della medesima
fattispecie trust) e sistematico (in quanto coerente, come
più volte ribadito, con i principi previsti dalle norme sul
bilancio).
Note:
(55)
2002.
Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 54/E del 26 febbraio
(56)
Si prescinde da considerazioni di carattere fiscale. Ciò che
interessa è fornire una chiave di lettura generale del fenomeno
segregazione — rappresentazione contabile e di bilancio.
(57)
E’ ovvio che la clausola della riservatezza inclusa nell’atto
istitutivo deve essere coniugata con altri obblighi, generali o speciali,
che fanno capo alla società — disponente che si dichiari trustee. Tra
questi spiccano quelli nascenti dalle disposizioni sul bilancio di
esercizio.
(58)
Con l’attuazione della delega relativa ai patrimoni di
destinazione delle società per azioni di cui all’art. 4,1V comma, lett. b)
della L. 3 ottobre 2001, n. 366 (riforma del diritto societario),
dovrebbero essere definiti criteri di rendicontazione ed amministrativi
applicabili, in via analogica, anche alla rilevazione delle operazioni
afferenti i trust. E’ interessante notare che in sede di esame parlamentare
è stato fatto rilevare come “la nozione di patrimonio separato è contigua
all’istituto del trust per cui “il Legislatore delegato dovrà anche tenere
eventualmente presente tale istituto. (Cfr. Schede di lettura n. 31 del
Servizio Studi del Senato della Repubblica — A.S. 608, Finanza e Fisco,
n. 39, 2001).
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problematiche tributarie e di bilancio dei beni in trust