- Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- Impresa disponente e trustee professionale: problematiche tributarie e di bilancio dei beni in trust I Parte SOMMARIO: * i. Visione di insieme delle problematiche. § 2. Trasferimento dei beni in trust ed oggetto § 3. Impresa sociale nelle società commerciali. disponente e trasferimenti in trust. § 4. Atto istitutivo del trust e bilancio di esercizio. — — — ~ 1. Visione di insieme delle problematiche. Scopo del lavoro è affrontare alcune questioni di carattere civilistico e tributario che si presentano all’operatore economico e professionale in occasione dell’impiego dei trust per la gestione di operazioni commerciali e finanziarie. I soggetti cui lo studio si rivolge, pertanto, sono, da un lato, le società di diritto italiano che esercitano attività commerciale, residenti in Italia agli effetti tributari; dall’altro le società costituite ed operanti in Italia che si propongono, quale scopo esclusivo o principale, l’assunzione di incarichi di trustee di trust ovunque istituiti. Particolare rilievo sarà dedicato alle implicazioni bilancistiche, societarie e tributarie della istituzione e gestione di trust che presentano significativi collegamenti con il territorio italiano (trust interni(i)). I trust cui si farà riferimento sono quelli espressamente Istituiti per atto tra vivi da un soggetto che esercita attività commerciale nel territorio dello Stato, i quali prevedano uno o più atti dispositivi accanto al negozio istitutivo(2). Se lo studio dei profili contabili, di bilancio e tributari delle società che operano quali trustee professionali in Italia (trust company(3)) è più che giustificato dall’assoluta novità di questi operatori sul panorama economico e dall’assenza di approfondimenti da parte della dottrina commercialistica, l’attenzione che si riserva ai trust di impresa merita ulteriori precisazioni. Comunemente si intendono per trust di impresa, quei trust che “non riguardano gli interessi familiari o comunque affettivi del disponente”(4) avendo ad oggetto posizioni giuridiche appartenenti a soggetti che esercitano attività commerciale ovvero, più in generale, destinati a realizzate interessi dell’impresa commerciale(5). Le ragioni dell’interesse vanno individuate nella crescente complessità ed integrazione dei rapporti economico-imprenditoriali, che si traduce nel bisogno di una strumentazione giuridica efficace, flessibile, polifunzionale e in grado di tutelare maggiormente di quanto non sia realizzabile con lo strumentario già a disposizione del civilista, gli interessi di tutti i soggetti coinvolti. L’oggetto della ricerca può essere diviso in due parti. La prima interessa la società commerciale che agisce quale impresa disponente; si cercherà di analizzare come gli elementi essenziali che caratterizzano i trust(6) esplichino i loro effetti sulla struttura socie Note: Loris Mancinelli e Maurizio Bastianelli sono dottori commercialisti in Ancona e, rispettivamente, Presidente e Vice-Presidente della Mancinelli & Associati Trust Company srl.. La seconda parte del saggio è pubblicata nel prossimo numero della Rivista. (1) M. Lupoi, Trusts, Milano, Il ed., 2001, p. 546. (2) Non si considerano, pertanto, i consnuctive trust o i resulting trust. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 68 ss. e 114 ss.. (3) M. Zanazzi, Omologazione di trust company italiana, in questa Rivista, 2000, 625; D. A. Mazzone, In Italia le prime trust companies, in questa Rivista, 2001, 152, A. Vicari, L’oggetto sociale delle trust companìes, in questa Rivista, 2001, 319. (4) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 206. (5) Per un’ampia panoramica delle varie tipologie di trust commerciali, M. Lupoi, Trusts [supra, nota I], p. 672 ss. (6) M. Lupoi, Trusts [supra, nota I], p. 419. I connotati fondamentali sono rappresentati da: “1. lI trasferimento del diritto al trustee o la dichiarazione unilaterale di rrusr; 2. la non confusione fra il diritto trasferito al trustee e le altre componenti del suo patrimonio (affidamento); 3. la perdita di ogni facoltà del disponente quale effetto naturale del trasferimento (affidamento); 4. l’esistenza di beneficiarii o di uno scopo e la conseguente funzionalizzazione dell’esercizio del diritto trasferito al trustee; 5. l’imposizione di un connotato fiduciario su tale esercizio, con principale riferimento ai conflitti dì interesse”. 1 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- tana, con particolare riguardo all’oggetto sociale e alla redazione del bilancio di esercizio. Verranno inoltre esaminati i collegamenti tra bilancio di esercizio della società disponente e beni trasferiti in trust, sotto il duplice profilo della iscrizione e valutazione delle componenti patrimoniali ed economiche afferenti i beni affidati al trustee. Nella completa assenza di disposizioni specifiche, si ritiene che l’interprete debba procede con grande cautela nell’esaminare le questioni sopra evidenziate, ogni volta verificando la coerenza, logica e sistematica, tra soluzione accolta e finalità delle norme societane, tributarie e di bilancio relative alle società commerciali. La seconda parte riguarda il bilancio di esercizio e gli aspetti tributari delle società che professionalmente intendono svolgere le funzioni di trustee. Anche in questo caso l’assenza di normative di riferimento impone il ricorso a figure giuridiche di diritto interno(7) che presentino elementi in qualche modo o per certi aspetti omologabili alle caratteristiche, funzioni, ed effetti che si producono in capo al trustee. L’omologazione dei dati strutturali, evidentemente, non porrà che essere parziale, ma tanto basta per offrire all’interprete spunti ricostrurtivi di un certo interesse. La comparazione con normarive fiscali di altri Paesi(8), che pure si proporranno nel corso del lavoro, non servono, ovviamente, a tracciare i lineamenti di una (nuova) disciplina tributaria in materia di trust, ma, semmai, a rafforzare un’interpretazione sistematica delle disposizioni fiscali vigenti afferenti ai rrust. Non appare superfluo ribadire che, dato comune dell’indagine ed essenziale punto di partenza, è la chiara ricostruzione degli effetti che l’affidamento al trustee di beni, diritti o posizioni soggettive in genere, produce in capo a tutti i soggetti che si rapportano, sorto il profilo obbligatorio o reale, con il trust. La mancanza di questo dato fondamentale, che sarà di volta in volta richiamato, non consentirebbe alcuna ricognizione proficua delle norme di diritto sodetario, contabile e tributario, per la risoluzione delle problematiche che verranno affrontate. Un’ultima notazione circa il metodo seguito. L’importanza di distinguere il trattamento contabile e tributario dei trust in relazione alla loro tipologia, è nora(9); tuttavia, se portato alle estreme conseguenze, tale metodo rischia di condurre ad una visione scarsamente sistematica e non unitaria delle situazioni operative che si possono presentare. Accettare, ad esempio, la soggettività tributaria per un trust di scopo che eserciti complesse attività di gestione del proprio patrimonio e non riconoscerla ad un bare trust(1O), anche se entrambi presentano le caratteristiche essenziali e comuni ad ogni trust (si pensi all’effetto segregativo cbe in entrambe le tipologie si manifesta), seppure coerente sotto il profilo ricostruttivo, anche alla luce delle esperienze di altri Paesi, non sembra del tutto appagante. Se si accettasse tale idea, l’interprete avrebbe una eccessiva libertà nel dare alle disposizioni tributarie attualmente vigenti un significato che esse probabilmente non hanno. Con la conseguenza, forse, di creare maggiori incertezze di quante non se ne dissolvano. E’ allora preferibile, in alcuni casi, restare sul piano delle norme positive e dare atto del vuoto legislativo che si genera in certe situazioni limite, evitando di ricorrere ad una interpretazione che individui una norma dove, in realtà, essa non è rinvenibile( 11). — ~ 2. Trasferimento di beni in trust ed oggetto sociale nelle società commerciali. La prima rilevante questione che occorre esaminare è quella della compatibilità, alla luce del nostro diritto societario, degli arti istitutivi di trust, e dei Note: (7) Tra cui le società per la cartolarizzazione dei crediti di cui alla L. 30 aprile 1999, n. 130. (8) In particolare Argentina, Canada e Nuova Zelanda, i cui sistemi tributari sono incentrari sul principio di tassazione su base mondiale in capo ai soggetti residenti ed improntati ad una progressività delle aliquote di imposta. (9) M. Lupoi, Trusts (supra, nota 11, p. 757, S. Marchese, lì bilancio del trustee: aspetti contabili, in questa Rivista, 2000,197, a p. 202, e Id., Trusts ed imposizione sul reddito: alcune riflessioni, in questa Rivista, 2001, 5, a p. 7. (10) Sul bare trust v. M. Graziadei, Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Università di Trento, 1995, p. 213. Per alcuni aspetti sulla regolamentazione fiscale in Canada e Nuova Zelanda, si vedano W. Goodman, Canadian Taxation of Trusts and their Beneficiaries, Bulletin, IBFD, 1999, 131; J. Prebble, New Zealand Trust Taxation: the Domestic Rules, Bulletin, 1999, 194. D. W. M, Warers, The Concept Called ‘The Trust”, Bulletin, IBFD, 1999, 118, a pp. 129-130 che peraltro ricorda come il concetto di bore trust non sia ben definito nel diritto tributario canadese essendo dibattuto in Canada quale sia il livello minimo di doveri cui il trustee deve attenersi perché il trust non venga riconosciuto come autonomo soggetto passivo dall’Amministrazione finanziaria. (11) Cfr. paragrafo 7. 2 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- successivi negozi dispositivi, con l’oggetto sociale di una società commerciale. In particolare, occorre capire se il negozio istitutivo di un trusr, e i successivi negozi di dotazione(12), ad opera dell’impresa disponente, rappresentino atti estranei all’oggetto sociale ed in quanto tali, illegittimi. Se il comportamento della società disponente dovesse infatti essere giudicato non conforme all’oggetto e all’interesse sociale, sorgerebbero, quale diretta conseguenza, rilevanti profili di responsabilità, civile e penale, in capo all’organo amministrativo e al collegio sindacale. Strettamente connesso al rapporto tra oggetto sociale ed istituzione del trust risulta poi la relazione tra atto gratuito e negozio di dotazione(13). Il trasferimento delle posizioni soggettive dal disponente al trustee trova la sua causa, come è stato rilevato(14), nell’affidamento del diritto al trustee, per la realizzazione di uno scopo o nell’interesse di un terzo ed avviene, come è regola nell’ambito dei trust, senza corrispettivo, per cui all’attribuzione patrimoniale non corrisponde l’assegnazione di alcun diritto. Occorre dunque valutare entro quali confini un atto gratuito (senza corrispettivo), posto in essere da una società commerciale, sia lecito, e non incorra nella sanzione della nullità(15) per difetto di causa. Estraneità dell’atto all’oggetto sociale e gratuità non stanno in un rapporto di corrispondenza biunivoca, nel senso che vi possono essere atti estranei non caratterizzati dal requisito della gratuità ed atti gratuiti che mirano a perseguire, seppur in via indiretta e mediata, un preciso interesse economico della società(16). In ultimo occorre chiedersi se il concetto di estraneità di un atto all’oggetto sociale della società che intenda istituire un trust vada valutato già in occasione del negozio istitutivo, e quindi della deliberazione del programma che la società intende attuare mediante l’istituzione del trust, o solo in occasione dell’esecuzione dei vari negozi dispositivi, per mezzo dei quali si attua il trasferimento dei diritti e delle posizioni soggettive al trustee(17). Nella valutazione degli atti dell’impresa assumono rilievo sia quelli diretti ad istituire trust per conseguire una pura liberalità o per il raggiungimento di uno scopo, sia quelli che vengono istituiti in esecuzione di specifiche obbligazioni contratte dalla società “o verso un corrispettivo o verso l’assunzione di analoga obbligazione da parte di un terzo”(18). Anche se l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale può interessare, teoricamente, tutte le tipologie di trust appena richiamati, in quanto “occorre accertare le concrete finalità, tenendo conto non dei soli effetti strettamente giuridici, ma anche di quelli pratici ed economici”, poiché l’interesse deve essere sempre effettivo e presente, si ritiene che solo la prima categoria di trust (trust liberali) presenti profili problematici. Nel corso degli ultimi anni la Corte di Cassazione e la giurisprudenza di merito( 19) hanno avuto occasione di intervenire più volte sul problema della qualificazione degli atti gratuiti compiuti da società commerciali a favore di proprie società controllate o controllanti, evidenziando un orientamento consolidato nel senso di ammettere, a precise condizioni, la liceità e la corrispondenza di tali atti all’oggetto e all’interesse sociale. In particolare, è stato sottolineato che, per giudicare estraneo un atto all’oggetto sociale occorre tenere sempre presenti le circostanze del caso concreto, cioè le concrete finalità dell’atto, senza poter dare valore determinante alla natura, gratuita o meno, dell’atto medesimo. La gratuità svolge, peraltro, un ruolo indiziario nel valutarne la estraneità all’oggetto e all’interesse sociale. Pertanto, l’atto (gratuito) attraverso il quale la società persegue l’interesse sociale(20) si colloca ordiNote: (12) G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in questa Rivista, 2000, 162. (13) Cfr. A. Palazzo, Trust e interesse all’ambulatorietà dell’attribuzione gratuita, in questa Rivista, 2000, 170. (14) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 307. (15) Sul tema A. Palazzo, Trust e interesse all’ambulatorietà dell’attribuzione gratuita [sopra, nota 13], a p. 176. (16) Cfr. Cassazione, Sez. 1,11 marzo 1996, n. 2001, Giur. comm., 1996, 11, 643; in Giur. comm., 1997, 11, 134 (nota R. Guidotti). (17) In merito ai trust che hanno come oggetto i beni di impresa è stato rilevato che essi possono essere istituiti per fini liberali, in esecuzione di obbligazioni assunte e per fini (strettamente) imprenditoriali. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 761. (18) M. Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 763. (19) Cfr. Cassazione, Sez. 1, 15 giugno 2000, n. 8159, Impresa, 2000, 1353; Cassazione, Sez. 1,10 aprile 1999, n. 3514, Giur. comm., 2000, Il, 593 (nota A. Donata), Cassazione, Sez. 1,5 dicembre 1998, n. 12325, Le Società, 1999, 562 (nota S. Pasolino); Cassazione, Sez. 1,11 marzo 1996, n. 2001 [supra, nota 16]; Tribunale di Roma, 2febbraio 1999, Le Società, 1999, 851 (nota V. Salaria). (20) Recentemente, sull’interesse sociale P. G. Jaeger, L’interesse sociale rivisitato (quarantanni dopo), Giur. comm., 2000, I, 803, ove è precisa(Segue) 3 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- nariamente all’interno degli atti che rientrano nell’oggetto sociale, in quanto finalizzati al raggiungimento dello scopo che sostiene la causa del contratto sociale. L’interesse che sorregge l’atto gratuito, come insegna la Cassazione, deve essere effettivo ed attuale, e verificato caso per caso, anche sulla base di comportamenti anteriori e successivi alla sua realizzazione. Diventa, a questo punto, relativamente agevole, per la giurisprudenza, tracciare un netto confine tra atto gratuito ed atto liberale e riconoscere una causa e quindi una funzione economico sociale all’atto gratuito interessato. L’atto di donazione, rispetto all’atto gratuito presenta “un quid pluris, costituito dallo spirito di liberalità che deve conformare l’atto dispositivo”; il depauperamento, poi, non sussiste nell’ipotesi in cui, mediante l’assunzione dell’impegno, la società controllata miri a conseguire un risultato rispondente ad un suo preciso interesse economico( 21). In questa prospettiva anche le erogazioni di carattere liberale, quali erogazioni a fondazioni o associazioni per eventi culturali o artistici possono assumere, in determinate circostanze, la natura di atti interessati, in quanto in grado di procurare in via indiretta e mediata, vantaggi economici, quali un ritorno di immagine per l’apprezzamento della comunità e dell’ambiente circostante alle attività sociali, nonché di usufruire di alcune norme fiscali di favore. Sarà, al contrario, atto estraneo all’oggetto sociale e privo di interesse, quello non sorretto da effettive motivazioni economico imprenditoriali(22) per la società che lo pone in essere. Cerchiamo di calare il quadro di riferimento tracciato sull’impresa disponente che intenda istituire un trust, partendo dalla distinzione tra negozio istitutivo e negozio dispositivo, per poi verificate se già a livello di negozio istitutivo possa essere censurabile il comportamento della società, in quanto sia ritenuto contrario alle fondamentali disposizioni statutarie e alle finalità lucrative che caratterizzano il tipo socia le. Il negozio istitutivo del trust è l’atto che contiene lo scopo del trust e il programma necessario alla sua realizzazione. “Il negozio inter vivos istitutivo del trust ha come effetto tipico quello di segregare i beni del trust dal patrimonio del trustee e quello di creare in capo al trustee obbligazioni nei confronti dei beneficiarii”(23). — — I negozi dispositivi, giuridicamente distinti dal negozio istitutivo, sono diretti a realizzare lo scopo del trust, mediante i trasferimenti delle posizioni soggettive al trustee. Tuttavia, come è stato sostenuto, in diritto inglese, non vi è alcun obbligo per il disponente di procedere alle attribuzioni patrimoniali a favore del trustee, il quale ovviamente, non potrà poi realizzare lo scopo del trust(24). I casi affrontati dalla giurisprudenza in materia di estraneità dell’atto all’oggetto e all’interesse sociale hanno riguardato, prevalentemente, il rilascio di garanzie tra società del gruppo ovvero società le cui partecipazioni facevano capo agli stessi soggetti. Nei casi esaminati si trattava di atti dispositivi di diritti(25) o assunzione di obbligazioni di garanzia già perfezionati. Anche se la giurisprudenza non ha avuto occasione di esprimersi sulla corrispondenza all’oggetto sociale di atti programmatici che non comportino trasferimenti di diritti ne assunzione di obbligazioni, ragioni di ordine logico e sistematico fanno ritenere che il giudizio sulla valutazione dell’interesse perseguito dalla società mediante istituzione del trust, sembra dover essere presente sin dal momento istitutivo, a nulla rilevando che, in certe situazioni od operazioni, l’impresa disponente non sia giuridicamente obbligata ad eseguire le successive dotazioni patrimoniali. Infatti, l’atto istitutivo, sotto il profilo Note: (Continua nota 20) to che ‘gli interessi che devono essere presi in considerazione in questa sede sono esclusivamente di carattere economico, restandone esclusi gli interessi il cui contenuto economico non può essere valutato e determinato”. L’interesse sociale, anche in funzione evolutiva, è costituito dall’interesse al reddito, al valore reale delle quote di partecipazione e, in ultima analisi, alla crescita dell’impresa e del gruppo cui essa appartiene. (21) Cassazione, Sez. 1, 5 dicembre 1998, n. 12325 [supra, nota 19], a p. 564. (22) Tale è l’orientamento del Tribunale di Roma 2 febbraio 1999 [supro, nota 19], ove è precisato che ‘per la validità della stipulazione deve sussistere un interesse dell’accollante (promettente): costui mediante la stipulazione a favore del terzo, infatti, può per esempio estinguere una obbligazione, preesistente nei confronti dell’accollante, assumere una obbligazione dietro corrispettivo, ovvero compiere un arto di liberalità” . (23) G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi [supra, nora 12], a p. 169. (24) In tali casi il trust è valido ma inefficace. Cfr. anche Supreme Court of Montana, Shannon Cate — Schwayen v Joanne aute, in questa Rivista, 2002, 72. Sul tema M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 114; P. H. Pettit, Equity and the Law of Trusts, Butterworth, 2001, p. 96. (25) Come la cessione di ingenti erediti pecuniari (Cfr. Cassa:ione, Sez. 1,11 marzo 1996, n. 2001 [supra, nota 16]). 4 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- dell’obbligo di motivazione (quale indice di rilevazione dell’interesse sociale), in quanto espressione della volontà di organi sociali (amministratori od assemblea), non dovrebbe differenziarsi dagli altri atti socialiL’atto sociale dovrà essere quindi valutato sulla base degli effetti giuridici che produce tipicamente il negozio istitutivo del trust, mentre i successivi atti dispositivi, strumentali e conseguenti alla realizzazione del programma, saranno valutati in stretta relazione all’interesse perseguito dalla società con l’istituzione del trust: non bisogna dimenticare, infatti, che la causa dei negozi dispositivi, viene concordemente individuata nella attuazione dello scopo del trust(26). Mentre il compimento di atti estranei agli interessi sociali fa sorgere la responsabilità degli amministratori verso la società per inadempimento ai doveri imposti dall’atto costitutivo (art. 2392 cod. civ.) e verso i creditori sociali (art. 2394 cod. civ.), il collegio sindacale risponderà delle violazioni relative alle norme sulla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale se non adempie ai propri doveri ai sensi dell’art. 2403 cod. civ.. Risulterà applicabile anche l’art. 2409 cod. civ., in quanto la violazione dell’organo amministrativo del precetto statutario riguardante l’oggetto sociale costituisce grave irregolarità(27). Sul piano sociale, inoltre, l’eventuale ratifica od autorizzazione dell’assemblea al compimento di atti estranei da parte degli amministratori renderebbe la delibera non annullabile ai sensi dell’art. 2377 cod. civ. ma nulla per illiceità dell’oggetto in quanto in violazione di norme imperative “volte ad impedire una deviazione dallo scopo economico pratico del contratto di società”. Dalla sanzione della nullità, come è evidente, deriverebbero conseguenze negative di notevole rilievo (28). La società disponente, pertanto, avrà cura di istituire trust diretti a realizzare, anche in via mediata ed indiretta, l’interesse sociale. Di seguito verranno presi in considerazione, pertanto, solo quei trust di impresa cosiddetti interessati, ed i trust di scopo(29) in particolare, ove il trasferimento dei beni e diritti risponde ad effettive esigenze del soggetto disponente. Occorre peraltro precisare che, sul piano tributario, può ben verificarsi il caso di trasferimenti di beni che danno origine a destinazioni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa realizzo di plusvalenze o di ricavi fiscalmente rile — vanti, anche in presenza di negozi istitutivi di trust pienamente rispondenti all’interesse sociale. La norma tributaria ha, infatti, finalità differenti da quella civile e nell’ambito dei trasferimenti senza corrispettivo con gli arrt. 53, Il comma, 54, I comma, lett. d) del D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917 (‘Tuir”) e con l’art. 2, II comma, n. 5 del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633 ha posto norme di chiusura del ciclo fiscale dei beni di impresa. § 3. Impresa disponente e trasferimenti in trust: gli effetti sul bilancio di esercizio. La società commerciale che istituisce un trust destinandovi propri beni si trova di fronte a diverse problematiche, da risolvere sulla base delle disposizioni previste dalla legge in materia di redazione, formazione e controllo del bilancio di esercizio e degli effetti che si producono, sul piano giuridico, con il trust. La segregazione delle posizioni soggettive e la definitiva perdita, per l’impresa disponente, del potere di disposizione sull’oggetto del trust, sono due tra gli aspetti più importanti da tenere in considerazione(30). In sostanza, la rilevanza del riconoscimento degli effetti del trust sulla disciplina del bilancio di esercizio sta in ciò, che la società deve rispettare le finalità — Note: (26) 0. De Nova, Trust: negozio iStitutivo e negozi dispositivi [supra, nota 12], a p. 168; M. Lupoi, Trusts [supro, nota 1], p. 156. (27) Tribunale di Milano, 12 maggio 1994, Le Società, 1994, 1389; Corte d’Appello di Milano, 14febbraio 1994, Le Società, 1994, 622. (28) E. Bertacchini, Oggetto Sociale, arti estranei e responsabilità degli amministratori, Banca Dati Ipsoa Le Società, 2001, e Cassazione, 22 luglio 1994, n. 6824, Giust. civ., 1995, I, 440. (29) Con il termine trust di scopo la dottrina si riferisce a trust normalmente privi di beneficiarii, istituiti per l’esercizio di determinate attività economiche o sociali (si pensi ai c. d. charity trust) o il compimento di operazioni commerciali e finanziarie (per es. trust per la cartolarizzazione dei crediti). Sui trusts di scopo: v. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 393; E. Cassel, Purpose trusts, in www.mairlandgoup.com/article4.hrm; L. I. Davies Cyman, Trusts with a Purpose, in www.trusts-and-trustees.com/library/trusrspurpose.htm; P. Egerton-Vemon, Purpose trusts in www.rrusts-and-rrusrees.com/library/v4n2.hrm; P. BaxendaleWalker, Purpose Trusts, Butterworrhs, 1999; A. Duckworrh, The new frontier of purpose Trust, in questa Rivista, 2000, 185. (30) Un altro aspetto (più significativo per il bilancio della società che operi quale trustee professionale) è che il trustee, per definizione, non può trarre alcun vantaggio dai beni posseduti in tale sua qualifica, in quanto gli appartengono ma non sono economicamente i suoi (M. Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 25). 5 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- delle norme in materia di bilancio, coniugandone il precetto con gli elementi essenziali dei trust(31). Venendo alle situazioni da risolvere, la prima questione riguarda il rapporto tra atto istitutivo del trust e bilancio. Occorre cioè chiedersi se, nel momento di avvio del programma dispositivo(32), vi siano riflessi sulla rilevazione nelle scritture contabili e, quale effetto conseguente, sulla struttura del bilancio di esercizio dell’impresa disponente. La seconda attiene alla fase dei trasferimenti dei beni e dei diritti al trustee. In tale momento l’attribuzione del bene o del diritto provoca mutamenti nella composizione del patrimonio dell’impresa disponente. L’effetto modificativo del patrimonio richiede dunque la contabilizzazione del trasferimento(33), nonché un’indagine sulla causa, se, cioè, si è di fronte ad un trasferimento di natura strumentale, finalizzato al raggiungimento di uno scopo ulteriore rispetto al passaggio della proprietà o di altro diritto reale sul bene(34). Tutte le considerazioni svolte andranno peraltro verificate alla luce delle caratteristiche fondamentali del rapporto obbligatorio creato dall’impresa disponente con l’istituzione del trust. Cerchiamo ora di esaminare separatamente tutte le fasi sopra indicate. ~ 4. Atto istitutivo del trust e bilancio di esercizio. Per comprendere se la semplice istituzione del trust produca effetti sul bilancio di esercizio occorre considerare separatamente le ipotesi in cui l’impresa disponente istituisca il trust ma non attribuisca al trustee beni e diritti di cui necessita per il raggiungimento dello scopo del trust, da quelle in cui si dichiari trustee di un trust(35). Nel primo caso non si verificano mutamenti nella composizione qualitativa e quantitativa del patrimonio, in quanto non vi sono effetti giuridici mancando ogni atto dispositivo. Ben più complesso il secondo caso (dichiarazione da parte dell’impresa disponente quale trustee di un trust da essa istituito); in tal caso il vincolo posto dal trustee-impresa su determinati beni o diritti, anche in assenza di un loro trasferimento a terzi(36), produce l’effetto di modificare il titolo di appartenenza originario imponendovi un’obbligazione, che non può essere ignorata nel sistema di rilevazione e valu — tazione delle poste di bilancio. Il venire meno della disponibilità piena(37), ossia non soggetta a limitazioni, vincoli o condizioni, su1 bene posseduto dall’impresa quale trustee, non è irrilevante per gli scopi che il legislatore ha inteso perseguire con la disciplina del bilancio. Il difetto di appartenenza del bene in trust e l’impossibilità, da parte dell’impresa quale trustee, di trarne qualsiasi utilità(38) per i propri fini, sembra incidere in maniera significativa sull’informativa di bilancio. Come è stato messo in evidenza, le norme sul bilancio di esercizio intendono, Note: (31) La dottrina giuridica ha individuato il fine perseguito dal legislatore con la redazione del bilancio, anche prima della riforma avvenuta con D. Lgsl. 9 aprile 1991, n. 127, nell’accertamento degli utili realizzati e delle perdite sofferte nonché nella ‘esposizione del patrimonio sociale nelle sue componenti compatibili con lo scopo di rilevazione degli utili, e valutato secondo criteri idonei alla rilevazione degli utili” (O. E. Colombo, Bilancio di esercizio e bilancio consolidato, in G. E. Colombo G. B. Portale (curr.), Trattato delle Società per Azioni, voI VII, parte 1,1994, Torino, p. 53 e p. 65). (32) Vale la pena ricordare che la disposizione di diritti in trust ad opera del costituente non equivale a trasferimento del diritto. Nei trust ove il disponente si riconosce trustee si ha un negozio dispositivo, nel senso che sui beni in trust il disponente — sempre titolare del diritto — non vanta più un’appartenenza piena, in quanto essi sono gravati da un’obbligazione di natura fiduciaria — che ne impone il beneficio nell’interesse altrui o a favore di uno scopo, ma non si verifica trasferimento (M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 3 e p. 308 per il quale “anche il disponente che si faccia rmsree compie un atto di disposizione, per mezzo del quale immuta la propria veste giuridica di titolare del diritto”). (33) “La registrazione in bilancio dell’acquisto o dell’alienazione deve aver luogo, indipendentemente dall’esecuzione del contratto, dal momento in cui l’effetto modificativo del patrimonio si è prodotto: cioè dal momento del contratto” (G. E. Colombo, Bilancio di esercizio e Bilancio consolidato [sopra, nota 31], p. 181). (34) La problematica dei trasferimenti strumentali è stata trattata in ambito civilistico e tributario con riferimento al contratto di associazione in partecipazione (O. Ferri, voce “Associazione in partecipazione”, Nov. dig. ir., voi. I, Torino, 1958, 1436; 0. De Fetta, voce “Associazione in partecipazione I) Diritto commerciale”, Enc. Giur. Treccani, voI. III, Roma, 1988, a p. 8; P. Puri, voce “Associazione in partecipazione TI) Diritto tributario”, Enc. Giur. Treccani, voi. III, Roma, 1988, a p. 4; M. Nussi, L’impurazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, pp. 59-60) e ai versamenti in conto capitale o a fondo perduto (Nussi, L’impurazione del reddito nel diritto tributario, supra, pp. 66). (35) Si tratta della dichiarazione unilaterale di trust per cui si veda M. Lupoi, Trusts [sopra, nota 1], p. 158, E H. Pettit, Equity and the Law of Trusts [sopra, nota 24], p. 83. (36) L’impresa infatti, è e rimane titolare posti in trust. — proprietaria dei beni (37) Non in termini di potere di fatto sul bene o di proprietà, ma in termini di esercizio di quel potere. lì bene continua ad essere dell’impresa ma non sì confonde con gli altri elementi del suo patrimonio perché non è economicamente suo” (M. Lupoi, Trusrs [supra, nota 1], p. 25). (38) Salvo il caso, in cui la stessa impresa essere trustee, sia uno dei beneficiarii. — disponente, oltre ad 6 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- sul piano giuridico, perseguire finalità di oggettiva informazione sulla situazione patrimoniale della società, sulla situazione finanziaria e sul risultato dell’esercizio, nell’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi. Se l’interesse preminente, dunque, è quello di fornire un quadro informativo obiettivo della situazione patrimoniale della società, in relazione alla clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta, ne discende che il bilancio di esercizio dovrà indicare quali beni, di cui l’impresa è titolare, non contribuiscano più alla crescita del suo patrimonio. Il bene in trust, infatti, non produce utilità per il trustee, quindi non è in grado di esplicare effetti sulla composizione qualitativa o quantitativa del patrimonio come richiesto dalle disposizioni sul bilancio di esercizio. Se, in altri termini, il bilancio di esercizio ha, tra i propri scopi, quello di evidenziare gli utili effettivamente realizzati, nonché rilevare le componenti parrimoniali e finanziarie su cui l’impresa può agire per modificare il proprio risultato, il difetto equitativo del titolo di appartenenza e l’improduttività dei beni posseduti in trust per l’impresa che si riconosca trustee, genera immediate conseguenze. Si ritiene che il bilancio di esercizio debba riportare queste modificazioni per non violare la clausola generale di rappresentazione veritiera e corretta (art. 2423 cod. civ.) e l’intero sistema di precetti contenuto negli artt. 2423-bis e 2426 cod. civ.. I beni in trust, infatti, anche se destinati all’esercizio di un’attività commerciale di cui, è bene precisarlo, in ogni caso continua ad essere titolare l’impresa disponente quale trustee, non producono effetti economico patrimoniali omogenei con quelli degli altri beni iscritti in bilancio, ed utilizzati per l’esercizio della propria impresa dalla società disponente. Il difetto del titolo di appartenenza si può ripercuotere anche sui criteri di valutazione del bene nel bilancio di esercizio con il rischio di introdurre sistemi di valori non omogenei unitamente a gravi conseguenze in termini di chiarezza. Poiché essere proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento non sembra criterio decisivo per l’iscrizione in bilancio di un bene o di un diritto(39), la società che si dichiari trustee, dovrà espungere tali beni dallo stato patrimoniale in quanto essi non sono in grado di soddisfare, come si è visto, gli scopi del bilancio di esercizio, tra i quali assume particolare rilievo quello di “far risultare tutto e soltanto l’utile certo”(40) — — — . Il tema affrontato introduce un altro argomento, relativo alle condizioni per l’iscrivibilità dei beni nell’attivo dello stato patrimoniale del bilancio di esercizio. Sapere quali beni possano o debbano essere iscritti nello stato patrimoniale, e con quali criteri debba avvenire l’iscrizione, significa avere una chiave di lettura per la questione in esame. Occorre precisare che, dopo la riforma introdotta dal D. Lgsl. 9 aprile 1991, n. 127, il bilancio di esercizio è formato dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa, per cui il problema dell’iscrivibilità si pone, rispetto al passato, essenzialmente con riferimento allo stato patrimoniale. Allo stesso tempo si è dell’avviso che la nota integrativa, parte integrante del bilancio di esercizio, possa svolgere un ruolo importante per quanto concerne la destinazione in trust di beni dell’impresa. La dottrina che si è occupata del tema (iscrivibilità dei beni nell’attivo dello stato patrimoniale) ha rilevato che lo stato patrimoniale di bilancio, in quanto non rappresenta un complesso patrimoniale statico, “è ispirato a due fondamentali principi: da un lato, la rilevanza e conseguentemente la necessità di rilevazione contabile di tutti i componenti attivi e passivi del patrimonio utilizzabili per l’esercizio dell’impresa alfine della produzione di utili e suscettibili di valutazione economica; d’altro lato, la rilevanza dei legami tra esercizio al quale il bilancio si riferisce ed esercizi passati e futuri, con conseguente iscrizione, come elementi attivi e passivi, di poste che non corrispondono a “beni o a “crediti” o a “debiti” in senso giuridico, bensì svolgono la funzione di trasferire ad esercizi futuri costi già sostenuti ma di utilità (quindi “di competenza”) di tali esercizi, o viceversa”(4 1). Lo stato patrimoniale, pertanto, accoglie, nella visione suesposta, solo quelle attività, eventualmente non rappresentate da beni in senso giuridico, su cui la società può vantare un potere di disposizione — — Note: (39) E, infatti, lo stesso art. 2424 cod. civ. prevede l’iscrizione di costi od oneri cui non corrispondono beni, come i costi di impianto e di ampliamento o l’avviamento. Si pensi, inoltre, alla problematica della iscrizione dei beni detenuti in leasing. G. E. Colombo, Bilancio d’esercizio e consolidato [sopra, nota 31], pp. 182 SS. (40) G. E. Colombo, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, Padova, 1965, p. 69. (41) G. E. Colombo, Bilancio d’esercizio e consolidato [sopra, nota 31], p. 175. 7 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- pieno per la realizzazione del proprio risultato economico. Esso accoglierebbe, in altri termini, tutte le attività, derivanti da rapporti giuridici definiti e non pendenti(42), in grado di rilasciare utilità che contribuiscono alla formazione del risultato dell’esercizio. Ne consegue l’incoerenza della iscrizione di beni in trust nello stato patrimoniale dell’impresa trustee, alla luce dei tratti comuni ad ogni tipologia di trust. Di questi ultimi si ricordano a) l’effetto segregativo che si produce sull’oggetto del trust, sia esso rappresentato da beni o diritti che da redditi, frutti o proventi da questi derivanti; b) il negozio istitutivo, secondo cui il trustee, come dato indefettibile, non può trarre utilità per sé, dal corpo del trust; c) l’obbligazione assunta dall’impresa trustee nei confronti dei beneficiarii o per la realizzazione dello scopo del trust; d) il vincolo di destinazione impresso ai beni in trust. In base a quanto sopra esposto è possibile formulare due considerazioni. La prima è che, se lo stato patrimoniale accoglie questo sistema di valori, per gli scopi che la legge gli assegna, appare incerta la collocazione dei beni in trust tra le attività e la passività(43). La seconda si riferisce alla necessità di guardare ai tratti comuni che caratterizzano le diverse tipologie di trust (tra cui la segregazione delle posizioni soggettive e l’impossibilità di trarre utilità dai beni in trust per il trustee) per averne una rappresentazione contabile omogenea nel bilancio del trustee. Distinguere la rilevazione contabile in funzione della tipologia di trust(44) conduce inevitabilmente a trattare nel bilancio di esercizio fattispecie che hanno la stessa struttura in modo diverso, con ripercussioni negative anche in tema di comparabilità tra i bilanci dei soggetti che si trovano ad agire quali trustee, in maniera occasionale o professionale. Ulteriori argomenti a favore della tesi che si sostiene (necessità di rilevare nello stato patrimoniale e nel conto economico gli effetti della istituzione del trust con disposizione dei beni, anche se in assenza di un trasferimento in senso tecnico) si possono rinvenire: a) nella disciplina contabile e fiscale dei fondi previdenziali speciali di cui all’arr. 2117 del cod. civ. e dei fondi pensione aperti di cui all’arr. 9 del D. Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124; b) nella disciplina di bilancio prevista per le società che effettuano le operazioni di cartolarizzazione dei crediti ai sensi della L. 30 aprile 1999, n. 130 e — — dal Provvedimento della Banca d’Italia del 29 marzo 2000. Come è stato evidenziato dalla dottrina(45), i fondi pensione di tipo aperto ed i fondi previdenziali di cui all’art. 2117 del cod. civ. sono esempi di strutture civilistiche omologabili con il trust. Il fondo pensione aperto rappresenta “un patrimonio individuato e ‘separato’, tramite apposita delibera del soggetto che lo istituisce, ‘destinato’ a garantire l’erogazione di un trattamento pensionistico complementare tramite la riscossione di contribuzioni da parte dell’aderente ed eventualmente del datore di lavoro nonché tramite la gestione di tali risorse secondo i principi di legge, ‘autonomo’ dai creditori sia del soggetto che lo istituisce sia dell’aderente”(46). — — Note: (42) “Il principio può essere formulato come segue. Fino a che la stipulazione di un contratto non ha generato altra conseguenza che il sorgere di reciproche obbligazioni a prestazioni future, di tale contratto non è necessaria la contabilizzazione (se non nel sistema contabile secondario degli impegni); quando la prestazione principale dedotta in contratto è eseguita, deve essere recepito nel bilancio sia l’effetto di tale esecuzione (ingresso od uscita di tino o piè beni dal patrimonio dì bilancio) sIa il credito o debito corrispettivo”. G. E. Colombo, Bilancio d’esercizio e consolidato [aupra, notzi 31], p. 180. (43) Cfr. anche 5. Marchese, Il bilancio del trustee: aspetti contabili [siipro, nota 91, a p. 200. (44) Sulla tipologia dei trust e il loro polimorfismo, cfr. M. Lupoì, Trusts [aupra, nota 1], p. 9. Le classificazioni richiamate dalla dottrina sono molteplici: con riguardo al contenuto del diritto dei beneficiarii, si distinguono trust fixed e discrezionali; con riguardo al contenuto del potere dispositivo del trustee, si distinguono i bere trust dagli altri; con riferimento alla natura degli interessi perseguiti si distinguono i trust familiari da quelli di impresa; con riguardo alle finalità che si intendono raggiungere con il trust si distinguono i trust liberali da quelli commerciali o da quelli istituiti per il conseguimento di finalità non lucrative; e così via. S. Marchese associa la rappresentazione contabile dei beni in trust con ‘gli effetti economico — sostanziali” che le parti intendono realizzare (lì bilancio del trustee: aspetti contabili [supra, nota 43], a p. 207). (45) M. Lupoi, Trusts [supra, nota 1], p. 697. Mentre secondo l’Autore non è omologabile con il trust di modello inglese il fondo comune di investimento, ‘sono invece omologabili con il trust le soluzioni legislative del primo tipo (beni dell’impresa, ma segregati): fondi pensione dell’impresa, cartolarizzazione (46) L. D’Ambrosio, La natura giuridica dei fondi pensione aperti: un’interpretazione dei principali problemi posti dalla fattispecie, Giur. comm., 1999, 1, 91, a p. 125. La segregazione delle somme confluire nel fondo aperto o nel fondo previdenziale dì cui all’ari. 2117 cod. civ., deriva dal fatto che “l’adesione ad un fondo pensione aperto ha effetti sul patrimonio dell’aderente ben diversi da quelli previsti in caso di adesione ad un fondo comune di investimento: infatti, la parte del suo patrimonio che versa ad un fondo aperto diventa indisponibile per i suoi creditori, ossia esce da novero di tutti i suoi beni presenti e futuri di cui all’arr. 2740 cod. civ” (L. D’Ambrosio, La natura giuridica dei fondo pensione aperti: un’interpretazione dei principali problemi posti dalla fattispecie, supra, a p. 121). 8 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- Si produce, in altri termini, l’effetto segregativo bilaterale delle posizioni soggettive, tipica del trust(47). I beni destinati dall’impresa al fondo pensione (interno) sono insensibili alle pretese dei creditori della stessa impresa, dal cui ambito sono in parte enucleati, e da quelle dei creditori dei soggetti che vi contribuiscono (titolari dei diritti alle prestazioni). Da ciò consegue che i proventi e gli oneri correlati agli elementi di patrimonio confluiti nel fondo pensione “interno” o nel fondo integrativo di cui all’art. 2117 cod. civ., non possono concorrere alla formazione del risultato dell’esercizio della società. E poiché sui patrimonio sono stati posti vincoli di destinazione mediante l’assunzione di obbligazioni (riconosciute e tutelate dall’ordinamento) da parte della società che ha deliberato la creazione del fondo interno, appare corretto ritenere che gli stessi utili netti derivanti dalla gestione di tale patrimonio ne debbano seguire la sorte(48). La disciplina civilistica trova conferma in quella tributaria, che prevede l’applicazione di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi per il risultato della gestione del fondo pensione “indipendentemente dalle modalità di costituzione e, quindi, sia che si tratti di fondi interni ad una società o ad un ente, sia che si tratti di fondi esterni, ancorché privi di personalità giuridica, sia che si tratti di fondi aperti istituiti ai sensi dell’art. 9 del D. Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124”(49). Il legislatore tributario riconosce e prende atto, pertanto, che con la separazione del patrimonio, destinato a finalità previdenziali nell’interesse di terzi, viene meno per la società il possesso del reddito a tale patrimonio tiferibile. L’imposizione sostitutiva evita quindi alla società, ai sensi dell’art. 58, I comma lett. c) del Tuir, di includere i redditi netti di pertinenza del fondo pensione, nel proprio reddito complessivo. Ai fondi di cui all’art. 2117 del cud. civ., compresi quelli aperti di cui all’art. 9 del D. Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124 non è riconosciuta soggettività tributaria distinta da quella della società o dell’ente nel cui patrimonio sono stati costituiti(50). In termini di rappresentazione in bilancio dei fondi di quiescenza e previdenza di cui all’art. 2117 cod. civ., la natura giuridica del fondo e la mancanza di un’autonoma soggettività civilistica ha fatto ritenere che “nel conto patrimoniale del bilancio dell’impresa figureranno, in evidenza, all’attivo le componenti attive del patrimonio separato ( investimenti specifi ci in immobili, valori mobiliari, ecc...) e al passivo la riserva matematica, […] mentre tutti i rapporti intergestori ed interpatrioniali (tra la gestione del fondo e la gestione commerciale sociale) dovranno essere rappresentati nei conti d’ordine”(5 1). E’ bene infine ricordare che fondi aperti costituiti dalle società di assicurazione ai sensi dell’an. 9 lett. a) del D. Lgsl. 21 aprile 1993, n. 124 trovano collocazione nello stato patrimoniale e nel conto economico dell’impresa assicurativa in apposite voci. lì D. Lgsl. 26 maggio 1997, n. 173 prevede nello stato patrimoniale la voce D Il Investimenti derivanti dalla gestione dei fondi pensione, nell’attivo, e la voce DII Riserve derivanti dalla gestione dei fondi pensione nel passivo e nel conto economico le voci 3 e 10 del conto tecnico ramo vita, rispettivamente intitolati a proventi ed oneri derivanti dalla gestione dei fondi pensione. Analitiche informazioni sono previste in nota integrativa insieme alla predisposizione di allegati di dettaglio relativi ad investimenti, riserve tecniche, proventi ed oneri relativi alla gestione dei fondi. Anche il bilancio di esercizio delle società di carrolarizzazione dei crediti presenta spunti interessanti per la risoluzione del problema di cui si sta trattando. La L. 30 aptile 1999, n. 130 ha previsto che i crediti acquistati dalle società di cartolarizzazione “costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni”. Come è stato notato, la segregazione bilaterale del patrimonio destinato a garantire i titoli emessi per acquistare i crediti, rende la struttura — — Note: (47) Trust del modello inglese, o ad esso omologabile, e non il trust definito dalla convenzione de L’Aia del l° luglio 1985, che può applicarsi anche ai rapporti fiduciari in cui il disponente può conservare diritti nei confronti del trustee (M. Lupoi, Trusts [supi-a, nota 1], p. 508). (48) G. V. Purzolu E. Cavalieri, Iscrizione in bilancio dei fondi di quiscenza del personale, Giur. comm., I, 1986, 435. (49) Istruzioni al quadro RI del Modello Unico 2001 — Società di capitali, § 9.2. La disciplina dei fondi pensione è srata peraltro ampiamente modificata dal D. Lgsl. 18febbraio 2000, n. 47, come modificato dal D. Lgsl. 12 aprile 2001, n. 168, pubblicato in G.U. n. 108 dell’lI maggio 2001,con effetto dal l0gennaio200l. Cfr. anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 29 del 20 marzo 2001, § 3.2.2. Cfr. anche le isrruzioni al quadro RI del Modello Unico 2002 — Società di capitali. (50) Anche le Istruzioni alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002 — Società dì capitali (p. 9) confermano il dato normativo. (51) 0. V. Putzolti — E. Cavalieri, Iscrizione in bilancio dei fondi dì quìescenza del personale [supra, nota 48], a p. 435. 9 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- omologabile al trust del modello inglese(52). Infatti, da una parte i creditori della società veicolo (diversi dai portatori dei titoli garantiti da crediti acquistati in ciascuna operazione) non possono proporre azioni esecutive sui crediti acquistati; dall’altra i creditori particolari dei portatori dei titoli non possono far valere le loro pretese sui crediti “cartolarizzati”, ma, eventualmente, sul titolo posseduto dal singolo sottoscrittore; i creditori del cedente, infine, non possono naturalmente aggredire crediti che non fanno più parte del suo patrimonio. La segregazione di ciascuna operazione di cartolarizzazione è tenuta in grande attenzione dalla Banca d’Italia nel Provvedimento 29 marzo 2000 sugli schemi di bilancio delle società veicolo di cui all’art. 3 della L. 30 aprile 1999, n. 130. Dopo aver individuato la disciplina applicabile nel D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87 e nel provvedimento della Banca d’Italia del 31 luglio 1992, l’Istituto rileva come “nella predisposizione della disciplina di bilancio particolare attenzione è stata posta al fine di assicurare che la rappresentazione contabile delle operazioni avvenga nel rispetto di tale previsione”. Per cui viene richiesto di riportare in nota integrativa le informazioni contabili relative a ciascuna operazione di cartolarizzazione e che gli allegati contengano tutti i dati di carattere qualitativo e quantitativo necessari per una rappresentazione chiara e completa di ciascuna operazione. La Banca d’Italia, in altri termini, “tenuto anche conto del principio della prevalenza della sostanza sulla forma previsto dal D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87”(53), ha imposto la rappresentazione delle operazioni di cartolarizzazione nella nota integrativa e non nella situazione patrimoniale o nel conto economico(54). I patrimoni separati che hanno per oggetto i crediti acquistati e tutte le variazioni economiche positive e negative ad esse afferenti (proventi finanziari, oneri di gestione delle operazioni, ecc...) sono riportate nel bilancio di esercizio in quanto rilevati in nota integrativa (parte integrante del bilancio ai sensi dell’art. 2, Il comma del D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87) ma non sono iscritti nello stato patrimoniale e nel conto economico in quanto irrilevanti ai fini della determinazione della effettiva situazione patrimoniale e finanziaria propria della società, nonché degli utili effettivamente realizzati. La loro annotazione, secondo quanto emergerebbe dalla soluzione proposta dalla Banca d’Italia, sarebbe in contrasto con la rappresentazione veritiera e corretta richiesta dall’art. 2, III — comma del D. Lgsl. 27 gennaio 1992, n. 87. Sul piano operativo l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, ha avuto modo di precisare che le operazioni relative ai patrimoni cartolarizzati debbano confluire nelle scritture contabili obbligatorie della società veicolo. In particolare, a parere dell’Agenzia, “al fine di consentire una rappresentazione fedele e “separata” di tutte le vicende dei singoli patrimoni cartolarizzati, si ritiene preferibile tenere appositi sezionali del libro giornale ed un piano dei conti che rubrichi sotto apposite voci i Note: (52) In tal senso la società veicolo sarebbe il trustee delle somme affidate dai sottoscrittori dei titoli ovvero di certificati rappresentativi di interessi beneficiarii (sul tema cfr. A. Vicari, Carrolarizzazione dei crediti e credir linked notes: oscillando tra trust e contratto, in questa Rivista, 2000, 532, a p. 536). (53) Provvedimento della Banca d’Italia del 29 marzo 2000. (54) “Anche sotto il profilo contabile, il patrimonio della società ed il patrimonio relativo ad ogni singola cartolarizzazione debbono rimanere distinti. Mentre nel bilancio delle società di cartolarizzazione il patrimonio dello Spv viene contabilizzato nello stato patrimoniale ed i componenti reddituali imputati al conto economico, il patrimonio relativo alle singole e distinte cartolarizzazioni vengono contabilizzare “fuori bilancio e le relative informazioni contabili devono trovare separata evidenza in appositi allegati alla nota integrativa” (O. Rumi, Securitisarion in Italia. La legge n. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti, Giur. comm., 2000, 1, 438, a p. 466). Nello stesso senso l’Assonime (Circ. n. 39 del 24 maggio 2000, p. 27), secondo la quale la separata evidenziazione nel bilancio di esercizio della società veicolo rispetto al patrimonio proprio e alle altre operazioni di cattolarizzazione, “viene ottenuta inserendo le informazioni contabili relative a ciascuna operazione di cartolarizzazione non solo, quindi, i dati a carattere qualitativo, ma anche quelli quantitativi sui flussi attivi e passivi dei crediti, dei proventi, dei costi, ecc. — in appositi prospetti da allegare alla nota integrativa. Sicché, deve ritenersi, che il conto economico della “società veicolo” non deve essere influenzato dalle vicende realizzative dei crediti, sia per sorte capitale che per interessi attivi, di pertinenza del patrimonio separato in questione”. Sul piano fiscale, peraltro, nel silenzio della legge, non è chiaro quale debba essere il trattamento tributario, ai fini delle imposte sui redditi, degli oneri e dei proventi relativi a ciascuna operazione di cartolarizzazione, né quale natura assumano i proventi afferenti al patrimonio separato, ai finì dell’applicazione di eventuali ritenute da parte dei soggetti erogatori (per es. banche che corrispondono interessi attivi su depositi di denaro proseniente dall’incasso dei crediti acquistati). Anche se i proventi e gli oneri non trovano collocazione nel conto economico dì cui al D. Lgsl. del 27 gennaio 1992, n. 87, sono riferibili alla società di cartolarizzazione (Spv), l’unico soggetto passivo di imposta. In altre parole, se i proventi e gli oneri di ciascuna operazione di cartolarizzazione non sono riferibili economicamente all’Spv, in quanto anch’essi separati alla stregua dei crediti acquistati, in modo tale che i redditi netti non possono essere compensati con perdite proprie dell’Spv o viceversa, occorre conoscere il soggetto cui imputare i redditi. La questione è irrisolta a livello normativo e di prassi ministeriale (sul punto anche l’Assonime, Gite. n. 39 del 24 maggio 2000, pp. 2 7-29). Il ricorso al truar, imputandovi le somme incassare dalle banche incaricate ai sensi dell’arr. 2, VI comma della L. 30 aprile 1999, n. 130, oltre a produrre su di esse un effetto segregativo nell’interesse dei portatori dei titoli, potrebbe dare una soluzione al problema tributario della tassazione dei proventi e frutti maturati nel corso dell’operazione, sempre che si concordi sulla soggettività passiva del trust ai sensi dell’art. 87, Il comma del Tuir. (Sul profilo civilistico, A. Frignani, Trust e cartolarizzazione, in questa Rivista, 2000, 19, a p. 21). 10 - Articolo estratto dalla rivista “Trusts e attività fiduciarie” casa editrice Ipsoa Ottobre 2002- conti riferibili ai patrimoni stessi”(55). Viste le analogie funzionali tra patrimonio cartolarizzato e patrimonio in trust, le indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria sono di sicuro ausilio per la risoluzione delle questioni esaminate, Occorre, a questo punto, formulare delle riflessioni conclusive sugli effetti, nella rappresentazione contabile e nella redazione del bilancio di esercizio, di un atto istitutivo di trust ove la società disponente si riconosca trustee segregando parte del suo patrimonio(56). Occorre sottolineare, in primo luogo, che i beni in trust dovranno essere gestiti sul piano amministrativo, in modo separato dalle restanti attività e passività proprie. Sulla base delle considerazioni svolte in merito alle finalità del bilancio di esercizio ed ai criteri per l’iscrizione nello stato patrimoniale di un’attività o di una passività (e, di conseguenza, dei componenti di reddito afferenti tali attività e passività), si ritiene coerente alla clausola generale di verità e correttezza dell’art. 2423 cod. civ., e alle finalità che la legge assegna al bilancio di esercizio, rilevare i beni in trust ed i connessi effetti sulla loro composizione qualitativa e quantitativa, in un sistema contabile separato, anche se appartenente sul piano giuridico alla stessa impresa. I risultati delle gestioni in trust e la composizione patrimoniale dei beni in trust, verranno riportati in appositi prospetti della nota integrativa ed adeguatamente illustrati, tenuto conto, peraltro, degli obblighi di riservatezza che caratterizzano gli atti istitutivi(57). Indipendentemente dalla funzione economico — sociale che il trust intenda perseguire, la presenza dei comuni dati strutturali con altri istituti (come i fondi pensione e le società di cartolarizzazione) deve risolversi in una omogenea rappresentazione contabile. In tal senso l’impostazione contabile adottata dalla Banca d’Italia per le società di cartolarizzazione appare conforme agli interessi generali tutelati dalle norme sul bilancio di esercizio e all’esigenza di rappresentare gli effetti del trust. L’assenza, peraltro, di schemi legali per società che svolgono l’attività di trustee non consente di avere punti di riferimento(58). La stessa Banca d’Italia, dovendo adottare gli schemi di bilancio degli intermediari finanziari alla particolare situazione che si crea con la rilevazione di un patrimonio di destina- zione, separato dal resto del patrimonio d’impresa, ha ritenuto coerente con l’effetto segregativo espungere dallo stato patrimoniale e dal conto economico della società la rappresentazione e valutazione (secondo i criteri di un’impresa in funzionamento) delle operazioni di cartolarizzazione. Non vi sono dunque motivi per allontanarsi da tale impostazione, che appare coerente sul piano logico (perché considera i tratti essenziali della medesima fattispecie trust) e sistematico (in quanto coerente, come più volte ribadito, con i principi previsti dalle norme sul bilancio). Note: (55) 2002. Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 54/E del 26 febbraio (56) Si prescinde da considerazioni di carattere fiscale. Ciò che interessa è fornire una chiave di lettura generale del fenomeno segregazione — rappresentazione contabile e di bilancio. (57) E’ ovvio che la clausola della riservatezza inclusa nell’atto istitutivo deve essere coniugata con altri obblighi, generali o speciali, che fanno capo alla società — disponente che si dichiari trustee. Tra questi spiccano quelli nascenti dalle disposizioni sul bilancio di esercizio. (58) Con l’attuazione della delega relativa ai patrimoni di destinazione delle società per azioni di cui all’art. 4,1V comma, lett. b) della L. 3 ottobre 2001, n. 366 (riforma del diritto societario), dovrebbero essere definiti criteri di rendicontazione ed amministrativi applicabili, in via analogica, anche alla rilevazione delle operazioni afferenti i trust. E’ interessante notare che in sede di esame parlamentare è stato fatto rilevare come “la nozione di patrimonio separato è contigua all’istituto del trust per cui “il Legislatore delegato dovrà anche tenere eventualmente presente tale istituto. (Cfr. Schede di lettura n. 31 del Servizio Studi del Senato della Repubblica — A.S. 608, Finanza e Fisco, n. 39, 2001). 11