UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE DOTTORATO DI RICERCA IN FRANCESISTICA Attuali metodologie di analisi del testo letterario Ciclo XXIII MARIA VALERIA BONACCORSO L‟acte de traduire L‟arte della gioia TESI DI DOTTORATO COORDINATORE: Chiar.ma Prof. Maria Teresa Puleio TUTOR: Chiar.ma Prof. Marilia Marchetti ANNO ACCADEMICO 2010/2011 1 Indice Introduzione p. 6 Capitolo I: La traduzione letteraria p. 12 1.1 Breve excursus storico della teoria della traduzione » 14 1.2 La teoria della traduzione dalla seconda metà del „900 » 28 1.2.1 Il seminario di traduzione americano: Richards, Pound e Will » 29 1.2.2 La „scienza‟ della traduzione: da Eugene A. Nida alla scienza della traduzione in Germania » 33 1.2.3 La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: dalla prima fase dei Translation Studies alla teoria Polisistemica » 40 1.2.4 La traduttologia in Francia da Mounin alla psicolinguistica » 50 Capitolo II: Politiche linguistiche e varietà regionali in Francia p. 58 2.1 Le politiche linguistiche in Francia » 58 2.2 Le lingue regionali in Francia » 68 2.2.1 Le lingue romanze » 72 2.2.1.1 Lingue d‟oïl » 72 2.2.1.2 Lingua d‟oc (occitan) » 78 2.2.1.3 Il Catalan » 82 2.2.1.4 Il Corse » 83 2.2.1.5 Il francoprovençal » 85 2.2.2 Lingue germaniche » 87 2.2.2.1 L‟alsacien » 87 2 2.2.2.2 Il francique » 89 2.2.2.3 Il flamand » 90 2.2.3 Il breton » 91 2.2.4 Il basque » 93 Capitolo III: L’arte della gioia p. 95 3.1 La biografia di Goliarda Sapienza » 95 3.2 La storia editoriale de L‟arte della gioia »100 3.3 La trama de L‟arte della gioia »110 3.4 I personaggi de L‟arte della gioia »114 3.5 La traduzione in francese »123 3.6 Biografia della traduttrice Nathalie Castagné »131 Capitolo IV: L’analisi linguistica de L’arte della gioia p.133 4.1 Il corpus »134 4.2 Livello fonologico »135 4.2.1 l‟Aferesi »136 4.2.2 Il troncamento »138 4.2.3 L‟assimilazione »140 4.2.4 I legamenti »142 4.2.5 Realizzazione cacuminale del gruppo -ll- »144 4.3 Livello morfosintattico »145 4.3.1 Fenomeni di ridondanza pronominale: a me mi, a te ti »146 4.3.2 Ci attualizzante »148 4.3.3 Uso generalizzato del pronome gli per a lei/a loro »149 4.3.4 Estensione della particella ci per gli/le »151 4.3.5 I pronomi allocutivi di cortesia »152 3 4.3.6. Posposizione dell‟aggettivo possessivo »155 4.3.7. Costruzione dativale »159 4.3.8 Che cosa, che, cosa »158 4.3.9 Uso scorretto delle preposizioni »162 4.3.10 Il superlativo »163 4.3.11 Sostituzione del pronome relativo che con ca »165 4.3.12 Che polivalente »166 4.3.13 Dislocazioni »172 4.3.14 C‟è presentativo »176 4.3.15 Alternanza tra indicativo e congiuntivo »179 4.3.16 Passato prossimo e passato remoto »180 4.2.17 Uso del congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente »183 4.3.18 Andare + gerundio »183 4.3.19 Uso transitivo di verbi intransitivi »185 4.3.20 Posposizione del verbo »186 4.4 Il lessico »188 4.4.1 Gli aulicismi »189 4.4.2 I tecnicismi »200 4.4.3 I neologismi »205 4.4.4 I prestiti »207 4.4.5 I colloquialismi »213 4.4.6 Le voci gergali »229 4.4.7 Il baby talk »230 4.4.8 I regionalismi »233 4.4.8.1 I regionalismi lessicali »234 4.4.8.2 I dialettismi »254 4.4.8.3 Ibridismi lessicali »256 4.4.8.4 Espressioni fisse trasferite dal dialetto alla lingua »258 4.4.8.5 Innesti fraseologici dialettali riadattati in italiano »261 4 Capitolo V : Analisi sociolinguistica dei registri p.265 5.1 I registri alti »266 5.2 I registri bassi »281 Capitolo VI : Ipotesi di traduzione alternativa p. 307 Conclusioni p. 336 Bibliografia p. 344 5 Introduzione Benché ne avessi sentito parlare molto bene, nutrivo nei confronti de L‟arte della gioia una sorta di diffidenza, indotta con tutta probabilità da quel titolo che rimanda o comunque fa pensare a un‟opera saggistica. Oltre la mole non indifferente, questa era la vera ragione per la quale ne rinviavo continuamente la lettura. L‟edizione era ancora quella di Stampa Alternativa: un librone di 626 pagine, con una copertina fragola su cui campeggiava la foto di una Goliarda Sapienza, l‟autrice, dall‟espressione indecifrabile: un sorriso forse nemmeno accennato su uno sguardo mite, inquieto e carico di malinconia allo stesso tempo. Non è stato quello a convincermi, non c‟è stato un episodio particolare o un fatto indimenticabile che mi abbiano infine spinta a leggerlo. Ed è un vero peccato, perché mi sarebbe piaciuto legare un aneddoto memorabile a una delle esperienze più felici della mia vita di lettrice. I detrattori de L‟arte della gioia denunciano un romanzo la cui protagonista è un personaggio immorale, cinico, pronto a tutto pur di ottenere ciò che vuole. Scaltra, Modesta, ingannerebbe i lettori cercando di far dimenticare loro di non essere altro, in fondo, che una squallida arrampicatrice sociale, priva di scrupoli. Paradossalmente non si può dar loro torto. O meglio, non del tutto. Nelle primissime pagine del romanzo, e comunque entro la prima di quattro parti, Modesta appicca il fuoco – a soli nove anni – alla baracca in cui ci sono la madre, la sorella down e il presunto padre biologico dal quale ha appena subito una violenza sessuale. Ed è già un curriculum niente male, che tuttavia si arricchisce qualche anno dopo, quando, per liberarsi dal giogo di madre Leonora – la badessa che l‟ha accolta nel suo convento facendola studiare e avviandola alla vita monastica – fa in modo che muoia precipitando da una balaustra di cui aveva segato i giunti. Infine, qualche tempo dopo, non soccorre, lasciandola morire, la principessa Gaia, madre della defunta Leonora e matriarca della nobile dinastia dei Brandiforti. Avendone sposato il figlio, Ippolito, affetto da mongolismo, Modesta diventa finalmente principessa. 6 Nel giugno 2011 ho incontrato a Montpellier la traduttrice in francese del romanzo, Nathalie Castagné, per intervistarla. Benché avessi capito, dallo scambio di mail che aveva preceduto il nostro incontro, che fosse una grande estimatrice del romanzo, mi ha profondamente colpita l‟entusiasmo con cui ha affrontato molte ore di conversazione su un argomento che – dopo chissà quanti incontri, conferenze, interviste – pensavo potesse averla stancata. E invece ne parlava come se avesse appena finito di leggerlo per la prima volta e volesse condividere l‟entusiasmo di quell‟esperienza: «il y a certains passages dans ce livre que je peux lire et relire et rerelire, qui me mettent toujours dans le même état de frémissement que la première fois. Cela n‟a pas perdu sa force. Pas du tout». E nel rinviarci le reciproche impressioni sul romanzo, entrambe eravamo concordi nel dire che quella prima parte «c‟est choquant, mais ça ne m‟a choqué du tout», perché tutto « est abracadabrant et extraordinaire à la fois. Et absolument merveilleux». Quelli che amano L‟arte della gioia vengono travolti, sin dalle primissime pagine, da una sorta di forza tellurica che avanza, che vuole vivere, in cui la necessità non è più forte, ma è semplicemente al di là delle norme morali, in cui l‟etica coincide con quell‟energia che difende la libertà individuale, che è il vero motore del romanzo, ciò che lo spinge e lo fa andare avanti. Secondo Domenico Scarpa, L‟arte della gioia è «un libro che lascia il segno: con l‟articolo determinativo. Quel segno che lascia è proverbiale e mitologico insieme: ha il ruvido della saggezza quotidiana e l‟alone del racconto sottratto al tempo»1. Ma per la sua scrittrice è stato molto più probabilmente un libro maledetto: la sua stesura l‟ha ossessionata per dieci anni, durante i quali non ha fatto altro che dedicarsi al romanzo, rinunciando a tutte le altre attività che svolgeva (si muoveva tra la recitazione e l‟assistenza alla regia del compagno Citto Maselli), riducendosi in miseria. Una volta portata a compimento la sua fatica, è iniziato per la scrittrice il calvario della pubblicazione: una sfilza di rifiuti da parte di tutte le case editrici, a cui si era rivolta, hanno chiuso la porta alla speranza della Sapienza. Nonostante molteplici tentativi, che hanno visto persino l‟interessamento dell‟allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini – che la Sapienza conosceva personalmente in quanto il padre aveva nel 1943 collaborato alla sua fuga insieme a Saragat dal carcere di 1 Domenico Scarpa, Senza alterare niente, in Goliarda Sapienza, L‟arte della gioia, Torino, Einaudi, 2008, p. 515. 7 Regina Cœli – il romanzo è stato integralmente pubblicato solo venti anni dopo, nel 1998. Goliarda Sapienza era morta due anni prima. Ma il caso letterario scoppia in Italia solo nel 2005, a seguito dell‟eclatante successo che il romanzo ottiene in Francia, dove è stato pubblicato da una piccola e intraprendente casa editrice (Les éditions Viviane Hamy). Oltralpe il libro viene recensito con parole cariche di ammirazione da quasi tutti i media nazionali, tra cui anche Le Monde che, attraverso le parole di Réné de Ceccatty, stila un ritratto dell‟opera e della sua autrice che spingono infine anche la stampa italiana a interessarsi del caso. Ecco da cosa nasce questo lavoro: innanzitutto dalla passione di una lettrice che si trova di fronte a un romanzo a «trazione anteriore: romanzi che sanno guardare la strada davanti a sé, e che l‟autore trascina dove vuole, trascinando con sé anche chi li sta leggendo»2; poi dalla curiosità verso una vicenda editoriale dai contorni quasi fantastici; e infine dal fascino suscitato sia dalla capacità compositiva della scrittrice, dal suo respiro, che rende L‟arte della gioia «un romanzo dove i polmoni sono così larghi che non li si sente nemmeno dilatarsi e restringersi»3, sia dall‟interesse verso l‟aspetto più strettamente linguistico che, soprattutto alla luce del passaggio così determinante attraverso la Francia, assume un valore fondamentale. Infatti, la lingua della Sapienza è senz‟altro uno degli assi portanti dell‟intero romanzo, soprattutto in ciò che sembra esserne l‟aspetto più controverso e incontrovertibile allo stesso tempo: la dialettalità che si eleva all‟universale, riconosciuta – o accettata – solo quando passa attraverso un‟altra lingua (il francese). La lingua della Sapienza copre un vasto ventaglio di varietà del repertorio linguistico italiano, dall‟italiano regionale (con incursioni popolari) fino ad arrivare a un registro più alto, intessuto di citazioni colte e di rimandi intertestuali, riferiti al patrimonio filosofico-letterario europeo. Uno spaziare tanto ampio, quanto difficile da collocare entro schemi narrativi precisi. Se infatti, come può apparire ovvio, gli inserti dialettali sono funzionali a un uso mimetico della lingua, la loro funzione, lontano dall‟esaurirsi in questo contesto, è quella di farsi portatori di quella voce profonda che evoca un mondo intriso di odori, colori e gesti, che proprio la lingua fissa al contingente ed eleva a canone universale. A questo punto una domanda ha cominciato a farsi strada con una certa insistenza: se il successo in Francia è stato determinante per le fortune del romanzo in Italia, quale 2 3 Scarpa, op. cit., p. 515. Ivi, p. 518. 8 francese è stato usato nella traduzione? Quali strategie? Da qui l‟inevitabile necessità di analizzare le forme di questo passaggio, nel tentativo di comprenderle e darne conto. Nel primo capitolo, dopo aver definito il concetto di traduzione come attività meccanica vs attività creativa, si cercherà di offrire un breve excursus della storia della traduzione fino ad arrivare alla prima metà del XX secolo (periodo prescientifico). Successivamente si renderà conto del dibattito teorico sulla traduzione che, solo a partire dalla seconda metà del „900, diventa una disciplina scientifica: la traduttologia. In particolare si delineeranno gli approcci teorici delle tre scuole che hanno rivoluzionato il dibattito teorico in atto, cioè i Translation Studies, la scuola francese e quella tedesca. Il secondo capitolo si dividerà in due parti: la prima si proporrà di individuare le caratteristiche della lingua francese derivanti dalle complesse vicende storiche nazionali, che da un punto di vista politico ha quasi sempre legiferato a favore di un‟unità linguistica centralizzata, tanto rigorosa quanto incurante delle realtà locali, che si è cercato per lunghi secoli, se non di cancellare, almeno di contenere ed emarginare. Nonostante ciò le parlate locali della Francia metropolitana, per quanto malconce, hanno mantenuto una strenua vitalità e sono oggi sempre più valorizzate e protette. Dappertutto in Francia sono nate associazioni culturali volte proprio alla salvaguardia del dialetti, e anche la politica sembra dare qualche lieve segnale di apertura. La seconda parte del capitolo cercherà quindi di analizzare più da vicino tali realtà linguistiche, indagandone i tratti storici e le famiglie di appartenenza. Osservandone inoltre la distribuzione spaziale, si porrà essenzialmente l‟accento sulla vitalità odierna che i dialetti posseggono nelle varie regioni francesi, dando conto degli eventuali insegnamenti scolastici presenti sul territorio e delle varie iniziative volte a garantirne la difesa e la tutela. Il terzo capitolo entrerà nello specifico del romanzo, incentrandosi innanzitutto sulla biografia di Goliarda Sapienza, che di certo riversa molto del suo vissuto personale nel romanzo. La scrittrice è nata da Maria Giudice – nome noto del socialismo italiano, prima donna a dirigere la Camera del Lavoro di Torino e quindi il quotidiano Grido del popolo, in collaborazione con Gramsci – e Peppino Sapienza, avvocato e attivista socialista. Basta probabilmente questo a far comprendere la 9 particolarità di una vita fuori norma, a immagine della famiglia da cui ha avuto origine. Dopo le vicende biografiche della scrittrice, si passeranno in rassegna quelle del romanzo, di cui da un lato si esporranno i tempi e le modalità della composizione, e dall‟altro si ripercorrerà in maniera minuziosa l‟intera vicenda editoriale: dai primi e reiterati rifiuti all‟inaspettato e travolgente successo in Francia, seguito da numerose recensioni entusiastiche e dalla rivalutazione del romanzo in Italia dove, a vent‟anni dalla stesura definitiva, ottiene infine il meritato successo di pubblico e critica. In seguito si esporrà la trama del romanzo, ovviamente nelle sue linee essenziali, cercando di mettere in rilievo gli snodi tematici principali, descrivendo al contempo le dinamiche relazionali tra i vari personaggi. Questi ultimi verranno presentati singolarmente in un paragrafo specifico, nel quale sono descritte, con maggiori dettagli, le loro peculiarità e la loro funzione dal punto di vista dell‟intreccio narrativo. Il capitolo si concluderà con un‟analisi generale – problematizzata ai fini della traduzione – dell‟assetto linguistico del romanzo. Si cercherà inoltre di dare conto dell‟approccio della traduttrice, Nathalie Castagné, del cui punto di vista, emerso in occasione dell‟intervista sopra citata, si tenterà di tracciare un resoconto puntuale, riportandone ampi stralci. Si proporranno quindi, a fine capitolo, i tratti più significativi della biografia di Nathalie Castagné. Nel quarto capitolo verrà proposta l‟analisi linguistica comparata dall‟italiano al francese, privilegiando la dimensione diatopica, ma tenendo conto anche delle altre dimensioni di variazione linguistica (diamesica, diafasica e diastratica). L‟analisi verrà articolata sui livelli fonetico-fonologico, morfosintattico e lessicale. La griglia dei fenomeni indagati verrà ripresa e, laddove possibile, adattata dalla Sociolinguistica dell‟italiano contemporaneo di Gaetano Berruto, oltreché dal lavoro di Grassi, Sobrero, Telmon, Introduzione alla dialettologia italiana. Nell‟analisi della traduzione dall‟italiano al francese si cercherà di interpretare di volta in volta le scelte stilistiche della traduttrice che, come si vedrà, ha privilegiato la fluidità della lingua a scapito dell‟originaria coloritura regionale-popolare. Nel quinto capitolo, dopo aver offerto una definizione di registro sociolinguistico, partendo dal già citato contributo di Berruto, si cercherà di tracciare un quadro quanto più esauriente possibile delle variazioni stilistico-espressive all‟interno del romanzo L‟arte della gioia, che in alcuni punti, attraverso certi 10 personaggi, propone una forte escursione stilistica di registri, specie a livello lessicale. Parallelamente, verranno indagate le scelte traduttive della Castagnè, che come si cercherà di dimostrare non sempre riesce a riprodurre in francese l‟ampia gamma di registri presenti nel testo di partenza. Nel sesto ed ultimo capitolo, si proporrà in via del tutto sperimentale, una traduzione alternativa di alcuni passi giudicati più problematici, in cui cioè la coloritura regionale, cifra stilistica del testo di partenza, viene appiattita a favore di una traduzione più fluida e leggibile, ma certamente deprivata, almeno in parte, dei significati che il testo di partenza possiede. La lingua dialettale scelta per cimentarmi nel tentativo di colmare quelle lacune ravvisate nella traduzione della Castagné è stata il wallon. Il motivo principale che mi ha spinta in questa direzione è stata la conoscenza diretta, per quanto limitatissima, di alcune espressioni dialettali, alla quali ho avuto accesso durante un soggiorno di circa sette anni in Belgio. Oltre ad averlo sperimentato sul campo, da alcune ricerche, ho potuto notare come il wallon sia ancora una lingua abbastanza vitale, che presenta una vasta gamma di scelte lessicali e che ha una ricca tradizione letteria; basti ricordare nomi del calibro di Nicolas Defrecheux, Édouard Remouchamps o François Duysinx. Per riuscire nell‟impresa, mi sono avvalsa della preziosa collaborazione di Marc Duysinx, segretario della SLLW (Société de Langue et de Littérature Wallonnes), nipote del sopracitato François, che mi ha guidata offrendomi un supporto costante e estremamente competente. Dopo un iniziale incontro personale, il rapporto lavorativo è continuato attraverso l‟uso della posta elettronica e di videoconferenze. Lungi dal voler essere una traduzione sostitutiva di quella comunque notevole della Castagné, questo esperimento non vuole essere un atto di arrogante ingerenza, quanto un omaggio a uno dei lavori meno riconosciuti, ma più preziosi dell‟attività letteraria, perché «Le traducteur est le maître secret de la différence des langues, non pas pour l‟abolir, mais pour l‟utiliser, afin d‟éveiller, dans la sienne, par les changements violents ou subtils qu‟il lui apporte, une présence de ce qu‟il y a de différent, originellement, dans l‟original»4. 4 Maurice Blanchot, Traduire, in L‟amitié, Paris, Gallimard, 1971, p. 71. 11 1. La traduzione letteraria La traduzione è sempre stata considerata un‟attività secondaria 5, una sorta di processo “meccanico” che si opponeva a quello “creativo” dell‟artista; essa pertanto era considerata un‟attività alla portata di chiunque avesse delle conoscenze di base 6 di un‟altra lingua. Ed è proprio questo pregiudizio secondo cui la traduzione sarebbe un‟arte sussidiaria che ha contribuito a creare la tradizionale dicotomia tra la figura del poëta e quella dell‟umile interpres7. Del resto, l‟opposizione tra poëta/orator e interpres era già attestata in Cicerone che, nel De optimo genere oratorum, descriveva i criteri che aveva adottato per tradurre dal greco le orazioni di Eschine e Demostene: Ho tradotto da oratore, non già da interprete di un testo, con le espressioni stesse del pensiero, con gli stessi modi di rendere questo, con un lessico appropriato all‟indole della nostra lingua. In essi non ho creduto di rendere parola con parola, ma ho mantenuto ogni carattere e ogni efficacia delle parole stesse. 8 5 Hilaire Belloc riassume perfettamente il problema si status accordato al traduttore nel saggio On Translation del 1931, le cui osservazioni rispecchiano la situazione attuale: «l‟arte della traduzione è sussidiaria e derivativa. Per questo motivo non le è stata concessa la dignità di un lavoro originale, pagandone le conseguenze nel giudizio generale degli studi letterari. Questa spontanea sottovalutazione del suo vero valore ha avuto, a lato pratico, l‟effetto negativo di abbassarne lo standard richiesto, giungendo addirittura, in certi periodi, a distruggere la stessa arte. L‟analoga incomprensione nei confronti della sua natura ha aumentato tale degradazione: né l‟importanza né la difficoltà della traduzione sono mai state colte». Cfr. Belloc, On Translation, citato in Susan Bassnett-McGuire, La traduzione. Teorie e pratica, Milano, Bompiani, 1993, pp. 14-5. 6 Essendo sempre stata una parte intrinseca dell‟insegnamento delle lingue straniere, raramente la traduzione è stata studiata per se stessa: «ciò che generalmente si intende per traduzione è il processo mediante il quale una lingua di partenza (LP) viene resa nella lingua di arrivo (LA) in modo che il significato superficiale delle lingue sia più o meno simile e che le strutture (della lingua) di partenza vengano mantenute il più possibile, ma non tanto da distorcesse gravemente le strutture di arrivo». Bassnett-McGuire, op. cit., p. 14. 7 Cfr. Gianfranco Folena, Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991, p. 3. 8 «Nec converti ut interpres, sed ut orator, sententiis iisdem et earum formis tamquam figuris, verbis ad nostram consuetudinem aptis. In quibus non verbum necesse habui reddere, sed genus omnium verbo rum vimque servavi», in Marco Tullio Cicerone, Libellus de optimo genere oratorum [ca 46 a.C.], trad. it. Qual è il migliore oratore, in Siri Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, Milano, Bompiani, 1993, p. 58, vv. 14-5. 12 Affermando di aver tradotto come orator piuttosto che come interpres Cicerone sottolineava la netta cesura tra il mondo della scrittura e quello dell‟oralità, tra il processo creativo e quello meccanico. Il termine interpres non solo possedeva un‟accezione originaria relativa alla traduzione orale, ma nasceva nel mondo economico e giuridico latino, ed era legato al pretium; indicava pertanto “l‟arbitro del prezzo”, il “mediatore” e, per estensione, il “mediatore linguistico”, il “traduttore orale”9. Per secoli la traduzione è stata intesa come processo meccanico e dunque come una “produzione secondaria” dell‟opera d‟arte: nient‟altro che copia, facsimile, riproduzione – spesso pedissequa – dell‟originale. Lo stesso Miguel de Cervantes – pur presentando la propria opera al lettore come una traduzione dall‟arabo – non può fare a meno di affermare: «tutti quelli che pretendono di tradurre in altra lingua i libri in poesia […] per quanta cura ci mettano e per quanta abilità dimostrino, non arriveranno mai alla perfezione che quei libri hanno nell‟originale»10. Questo pregiudizio si è protratto fino ai nostri giorni, negando alla traduzione non solo ogni statuto di opera d‟arte, ma non riconoscendo perfino l‟identità del traduttore – avvertito come servitore11 o come traditore12 – il cui nome è stato eliminato da copertine e frontespizi fino a pochi decenni fa, quasi a voler «simulare la provenienza e l‟appartenenza di un‟opera straniera alla cultura in cui veniva tradotta»13. Non è quindi un caso che nel 1965 Italo Calvino insistesse affinché in una collana di opere straniere «il nome del traduttore figurasse in frontespizio» 14. Un simile atteggiamento ha prodotto come conseguenza la mancanza di consapevolezza dell‟atto della traduzione e del processo 15 che vi stava alla base: se 9 Cfr. Folena, op. cit., pp. 8-9. Miguel de Cervantes, El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha [1605-1615], trad it. Don Chisciotte della Mancia, Milano, Mondadori, 1985, p. 58. 11 Il concetto di “traduttore servitore” comparve nei paesi anglofoni nel XIX secolo. Cfr. BassnettMcGuire, op. cit, p. 15. 12 Traduttore = traditore era un proverbio paranomastico che Jakobson citava come esempio d‟intraducibilità in altre lingue. Cfr. Roman Jakobson, Aspetti linguistici della traduzione, in Saggi di linguistica generale, in Luigi Heilmann (a cura di), trad. di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli, 1994 [1987]. 13 Marina Guglielmi, La traduzione letteraria, in Armando Gnisci (a cura di), Letteratura comparata, Milano, Mondadori, 2002, p. 156. 14 Italo Calvino, Lettera a Franco Quadri, in Id., I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, p. 513. 15 A proposito del processo traduttivo Bassnett delinea un sistema bipolare ai cui due estremi troviamo rispettivamente la focalizzazione sul prodotto (la traduzione) e la focalizzazione su processo (l‟atto del tradurre). Cfr. Bassnett, op. cit., pp. 21-2. 10 13 l‟attività del tradurre «esiste fin da quando esistono le lingue “post-babeliche”»16 lo stesso non può dirsi dello studio di questa disciplina. Una tra le cause di questa lacuna teorica risiede nel fatto che fino ad oggi la traduzione non solo ha rivestito un ruolo marginale e subordinato rispetto ad altri tipi di scrittura, ma le è stato negato «il suo ruolo cardine nella formazione stessa delle culture» 17. Solo riconoscendo alla traduzione questa sua funzione sarà possibile renderci conto della sua vastissima diffusione, ovvero della sua ubiquità18. Oggigiorno infatti qualsiasi forma di comunicazione o di relazione si fonda sulla traduzione, sia che si tratti della traduzione19 dal pensiero alla parola, dalla parola di una lingua a quella di un‟altra, da un gesto a un altro gesto, dal linguaggio a una qualsiasi forma di rappresentazione artistica, cinematografica, teatrale. Ed è proprio per questa sua diffusione che oggigiorno si rende sempre più indispensabile un‟analisi teorica approfondita di questa disciplina che possiamo collocare all‟incrocio tra la Linguistica, le Letterature comparate, la Filosofia e gli Studi culturali. Partendo da simili premesse, in questa sede si cercherà in primo luogo di offrire un breve excursus della storia della traduzione fino ad arrivare alla seconda metà del XX secolo; in secondo luogo si cercherà di rendere conto del dibattito teorico sulla traduzione che, solo nella seconda metà del „900, diventa una disciplina, la Traduttologia. In particolare si delineeranno gli approcci teorici delle tre scuole che hanno rivoluzionato il dibattito teorico, e cioè i Translation Studies, la scuola francese e quella tedesca. 1.1 Breve excursus storico della teoria della traduzione Quando si parla di traduzione non si può non fare riferimento alle diverse culture che, di volta in volta, se ne sono servite e che spesso racchiudono concezioni diverse dell‟attività stessa e del ruolo di chi la svolge. Ciò nondimeno, la vastità di una 16 Siri Nergaard, Introduzione, in Id. (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, 1995, p. 1. 17 Cfr. Guglielmi, op. cit., p. 156. 18 Ibidem. 19 Sarà Jakobson a parlare per primo di tre tipi di traduzione: la traduzione intralinguistica o riverbalizzazione (che consiste nell‟interpretare i segni verbali attraverso altri segni della stessa lingua); la traduzione interlinguistica o traduzione vera e propria (vale a dire l‟interpretazione di segni verbali per mezzo di un‟altra lingua); la traduzione intersemiotica o trasmutazione (cioè l‟interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di sistemi segnici non verbali). Per una trattazione più esauriente cfr. Jakobson, op. cit., p. 429. 14 ricostruzione organica e dettagliata della disciplina è tale che neppure un libro basterebbe a esaurire in modo adeguato il dibattito teorico sulla traduzione e sui diversi approcci metodologici a essa legati. In questa sede quindi ci si limiterà a evidenziare – da un punto di vista strettamente diacronico – come il ruolo e la funzione della traduzione siano cambiate nel corso dei secoli, al fine di dimostrare l‟importanza che lo studio della traduzione ha rivestito, e riveste ancora oggi, nella storia letteraria e culturale. Com‟è noto, la cultura greca considerava “barbari” tutti i popoli non greci e, in considerazione dell‟altissimo livello di civiltà raggiunto al proprio interno, appariva poco interessata sia al recepimento che alla traduzione di contributi provenienti dall‟esterno20. Anche per questo in greco il concetto culturale del tradurre sarà pressoché inesistente, fatta eccezione per alcune osservazioni di Platone 21 e, successivamente, di Aristotele, che tenterà diapprofondire il rapporto tra segno e oggetto. Nello specifico in Della Poetica Aristotele distingue le parole comuni da quelle che possono considerarsi „marcate‟, soffermandosi su quella che viene chiamata la „parola peregrina‟ o „barbarismo‟, cioè un termine preso in prestito da un‟altra lingua. Questo termine tuttavia non veniva usato con un‟accezione spregiativa, poiché il filosofo ne riconosceva l‟utilità anche in termini espressivi: «l‟elemento esotico produrrà l‟uso non comune e il carattere non pedestre […], mentre l‟elemento comune produrrà la chiarezza»22. Tuttavia, almeno fino all‟età alessandrina23 la terminologia impiegata rimarrà generica e poco tecnicizzata: accanto al generico μεταέπω (trasportare), saranno usati anche μεταφπάξω (parafrasare, tradurre) e μεταγπάφω (trascrivere, tradurre) per indicare una traduzione per iscritto. Una prima riflessione sulla traduzione e sui modi del tradurre viene proprio dalla cultura romana che si considerava una sorta di „satellite‟ 24 della cultura greca. Si potrebbe affermare iperbolicamente che la traduzione sarebbe un‟invenzione25 20 Cfr. Bruno Osimo, Storia della traduzione. Riflessione sul linguaggio traduttivo dall‟antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli, 2002 pp. 11-2. 21 Sul rapporto tra segno e oggetto Socrate, uno dei personaggi del dialogo platonico, conclude nel Cratilo: «tutte le cose sono in moto e in progresso e in flusso, e questa idea di moto ci è manifestata tramite i nomi». Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 13. 22 Aristotele, Della poetica, citato da Folena, op. cit., p. 3. 23 Cfr. Folena, op. cit., p. 4 e sgg. 24 Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 11. 25 Così afferma Eric Jacobsen in Translation. A Traditional Craft, citato in Bassnett-McGuire, op. cit., p. 65. 15 romana: non a caso il pensiero di Cicerone, di Orazio e di Quintiliano eserciteranno una forte influenza su coloro che si confronteranno con la traduzione. Ciò nondimeno, l‟importanza attribuita alla traduzione della letteratura romana è stata sovente usata per accusare i romani di non aver creato una produzione letteraria autonoma, come una prova lampante di mancanza di originalità. Tuttavia, la traduzione delle opere greche non va considerata come un prodotto secondario 26, ma piuttosto come risultante di una tensione dialettica tra la cultura greca e quella romana, e di conseguenza tra le due letterature. Ciò che appare inconfutabile è che la complessità del concetto del tradurre presenta presso i romani articolazioni assai complesse e sottili, «con una sinonimia ben differenziata in nozioni e connotazioni particolare, anche se talora motivata nel contesto da ricerca di uariatio»27. In primo luogo va ricordato che per la cultura romana la traduzione era un arricchimento: i romani colti erano in grado di leggere e comprendere i testi della cultura di partenza. Come giustamente sottolinea Susan Bassnett «il lettore romano poteva considerare la traduzione un metatesto rispetto all‟originale» 28; egli poteva leggere il testo tradotto attraverso il testo di partenza. Il traduttore era «libero dall‟esigenza di dover “far conoscere” la forma e il contenuto di per sé, e non doveva quindi sottomettersi alla struttura dell‟originale»29. In secondo luogo, la dicotomia tra atto creativo e traduzione letteraria viene esplicitata nella coppia scribere, che indica la produzione originale, e uortere (o uertere), ovvero la traduzione di un originale 30. Il verbo uerto e il suo composto conuerto si riferiscono, come anche transuerto e imitari, soprattutto alla versione poetica e alla traduzione letteraria. In particolare, il verbo conuerto significa „giro‟, „muto‟, „trasformo‟: la trasformazione quindi implica non solo la traduzione, ma anche un processo di assimilazione, di „latinizzazione‟ dell‟espressione mediante l‟adeguamento31 della cultura greca a quella romana. 26 Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 13. Folena, op. cit., p. 8. 28 Bassnett-McGuire, op. cit., p. 68. 29 Ibidem. 30 Cfr. Folena, op. cit., p. 8. 31 Per Cicerone, ad esempio, tradurre significa assimilare la cultura greca, annettendo il mondo classico in tutte le sue forme31, dalla letteratura all‟arte, dal teatro alla letteratura. Cfr. Guglielmi, op. cit., p. 157. 27 16 Sarà proprio Cicerone ad attuare una netta distinzione tra „convertere ut interpres‟ e il „convertere ut orator‟. Se l‟interpres32 è colui che traduce parola per parola, l‟orator è colui che traduce secondo il senso: La materia comune diventerà tua se tu non indulgerai in un raggirarti piatto e pedestre, e non ti curerai di rendere parola per parola, da semplice interprete, né imitando scivolerai dentro una stretta, d‟onde t‟impediscano di ritrarre il piede la tua timidezza o le esigenze artistiche. 33 Allo scrittore è dato di arricchire la lingua attraverso i prestiti, oppure coniando nuove parole, purché agisca con moderazione. Per Orazio e Cicerone quindi tradurre significa interpretare un testo di partenza al fine di «produrre una versione di arrivo basata sul principio non uerbum de uerbo, sed sensum exprimere de sensum»34. In un altro punto Cicerone afferma: «uerbum de uerbo exprimere; non uerba sed uim Graecorum expresserunt poetarum; nec tamen exprimi uerbum e uerbo necesse erit, ut interpretes indiserti solent»35. Per lui exprimo significa „modellare‟, mentre reddo indica corrispondenza formale ma non letterale. In età imperiale verrà poi usato mutare, attestato sia in Seneca che in Quintiliano; col tempo al suo posto si imporrà transfero, usato per lo più nel latino tardo, che dominerà in modo quasi del tutto esclusivo «tutta la tradizione mediolatina penetrando attraverso la scuola nelle lingue romanze nel derivato principale translare»36. Con la diffusione del Cristianesimo la traduzione assunse il compito di divulgare la parola di Cristo: in questo periodo quindi la storia della traduzione della Bibbia assumerà un ruolo centrale nella cultura occidentale, dal momento che la traduzione non solo doveva rispondere a precisi criteri estetici, ma anche – e soprattutto – evangelici37. 32 Interpres è riconducibile a interpretor che, a sua volta, è stato modellato sul significato di έπομηνεύω. Il termine quindi rinvia all‟originale e sottolinea la dipendenza e lo sforzo di fedeltà della copia, puntando quindi sul contenuto. Cfr. Guglielmi, op. cit., p. 9. 33 Quinto Orazio Flacco, L‟arte poetica, in Tito Colamarino e Domenico Bo (a cura di) Le opere di Quinto Orazio Flacco, Torino, UTET, 1969, p. 543. 34 Bassnett-McGuire, op. cit., p. 68. 35 «Esprimere parola per parola; hanno espresso non le parole ma la forza dei poeti greci; né però esprimere parola per parola sarà necessario, come sono soliti gli interpreti poco eloquenti». Cicerone viene citato in Folena, op. cit., p. 9. 36 Folena, op. cit., p. 10. 37 Cfr. Bassnett-McGuire, op. cit., p. 69. 17 Nel 390 d.C. circa san Gerolamo, riprendendo la lezione di Cicerone e di Orazio, traduce dal greco una parte della Bibbia38, traduzione che passerà alla storia con il nome di Vulgata39. La lezione offerta dal mondo romano verrà assimilata dalla neonascente cultura medievale: non a caso san Gerolamo dichiarò che aveva tradotto la Bibbia seguendo le idee di Cicerone, prediligendo il „senso‟ alla traduzione „parola per parola‟. Per difendersi dalle accuse di Rufino che gli aveva rimproverato di aver fatto una cattiva traduzione, nel Liber de optimo genere interpretandi san Gerolamo non solo ricorda di aver tradotto «non verbum e verbo, sed sensum exprimere de sensu»40, ma attacca la traduzione letterale suggerendo che le persone colte la chiamerebbero in greco kakozelìa, ossia “brutta imitazione”. Al contrario, egli proporrà «una traduzione che imprigioni il pensiero altrui e, come in una guerra dopo una vittoria, lo trasporti prigioniero nella lingua ricevente»41. Con la caduta dell‟Impero romano il rapporto tra le il greco e il latino, le cosiddette lingue di cultura, e i nascenti volgari daranno origine, come nel caso di sant‟Agostino, alla necessità di essere compresi dal popolo, aprendo la strada a quello che verrà chiamato “volgarizzamento” o, con una parola più diffusa, “volgarizzazione”42. Agostino suppone infatti che la “voce interiore” che pronunciamo nel nostro cuore non si manifesti mediante il linguaggio verbale: Il pensiero formato dalle cose che conosciamo è un verbum che pronunciamo nel nostro cuore, che non è né greco né latino né di alcuna altra lingua, ma, come è necessario trasmetterlo alla conoscenza di coloro ai quali parliamo, si adotta un segno attraverso il quale esso è significato. […] Pertanto la parola che risuona al 38 Bassnett-McGuire, op. cit., pp. 70-79. La traduzione del Nuovo Testamento di san Gerolamo fu commissionata dal papa san Damaso già nel 384 a.C. 40 «Non rendere parola per parola, ma riprodurre integralmente il senso dell‟originale». Per una trattazione più esauriente dell‟argomento cfr. Nergaard, La teoria… cit., p. 66. 41 Osimo, Storia… cit., p. 16. 42 Falena, nel già citato articolo sulla volgarizzazione e sulla traduzione, suggerisce che la traduzione medievale possa essere descritta in termini di uno sviluppo sia verticale (vale a dire da una lingua di partenza con un certo prestigio culturale e letterario, come ad esempio il latino, a un volgare), sia orizzontale (ad esempio dal provenzale all‟italiano, oppure dal franco-normanno all‟inglese). Cfr. Folena, op. cit., pp. 57-120. Tuttavia, la distinzione portata avanti da Folena non è del tutto nuova: Bacon (1214-1292) aveva ben chiara la differenza tra traduzione da testi contemporanei al volgare e da altre lingue antiche al latino. Anche Dante Alighieri aveva mostrato la medesima consapevolezza. Va infine detto che la distinzione di Folena tra orizzontale e verticale è utile perché mostra che la traduzione può essere collegata a due sistemi letterari coesistenti, benché diversi. Tuttavia, «essa fa luce solo sull‟area ristretta delle varie e complesse componenti nello sviluppo della traduzione letteraria fino all‟inizio del XV secolo». Bassnett-McGuire, op. cit., p. 78. 39 18 di fuori è un segno della parola che risplende all‟interno, alla quale risulta più conveniente applicare il nome di verbum43. Egli sembra quindi avere le idee piuttosto chiare su quello che oggi chiameremmo l‟interpretante, vale a dire quell‟entità mentale soggettiva che funge da mediazione tra i pensieri e le parole: «la nostra sola ragione di significare, cioè di produrre segni, è quella di rendere chiari e di trasferire nello spirito altrui ciò che porta nel proprio spirito chi produce il segno»44. Un nuovo impulso alla teoria della traduzione verrà da Dante Alighieri; con lui la lingua volgare comincerà ad assumere uno status più elevato: nelle proprie opere non userà più parole come «volgarizzare» associate al concetto di «volgo» e di «lingua volgare»45. Benché Dante non riesca a cogliere le specificità del latino e del volgare, nonostante porti avanti l‟idea di una cesura tra lingua naturale (il volgare) e lingua artificiale (il latino), egli ha il grande merito di aver fatto del bilinguismo – fenomeno comune tra gli intellettuali del Trecento – un formidabile strumento della comunicazione, ponendosi per primo il problema del proprio lettore modello, «adottando un criterio ermeneutico ante litteram, dal momento che ha optato, nella stesura delle sue opere, per l‟uso del latino o del volgare in funzione della destinazione dell‟opera»46. Nel „300 Giovanni Boccaccio sarà uno dei primi volgarizzatori dei classici che teorizza la traduzione libera; parla infatti di «riducere di latino in volgare» 47, ponendo l‟accento sulla comprensione e sull‟allargamento del pubblico dei lettori, a tutto svantaggio della letteralità48. Ma sarà con Leonardo Bruni che si affermerà in modo definitivo una visione non più didattica e strumentale della traduzione, ma una concezione umanistica della pratica del tradurre. Nel trattato De interpretazione recta (1420 ca) si afferma una visione umanistica della pratica del tradurre, resa maggiormente autonoma e creativa 43 Agostino, De Trinitate Dei, citato in Osimo, Storia… cit., p. 15. Agostino, De doctrina cristiana, II, 3, citato in Osimo, Storia… cit., p. 16. 45 Cfr. Osimo, Manuale… cit., p. 2. 46 Id., Storia… cit., p. 18. 47 Ibidem. 48 A proposito di Livio Giovanni Boccaccio scrive: «si precisamente scrive che se sole le sue parole, senza più, si ponessero, si rimarrebbe tronco il volgare a coloro, dico, i quali non sono di troppo sottile avvedimento, che così poco ne intenderebbero volgarizzato come per lettera», in Di un volgarizzamento della Quarta Deca di Tito Livio giudicato di Gio. Boccaccio dal teologo Gianantonio Arri, Torino, Tipografia di G. Pomba, 1832, p. 45. Il testo è facilmente consultabile all‟indirizzo http://books.google.it/. 44 19 in quanto segno di un passaggio linguistico (trans-duco, vale a dire „conduco al di là‟), ma anche di un intervento individuale e originale: Bruni vuole conservare, nella traduzione, la purezza della cultura ricevente, il latino, cercando di evitare i calchi sul greco. È con lui che nasce la nuova famiglia di parole traducere, traductio, traductor e tradurre. A proposito nel nuovo neologismo, Folena afferma: traduco non solo era più dinamico di tranfero, ma rispetto al suo più vulgato predecessore conteneva, oltre al tratto semantico dell‟”attraversamento” e del “movimento”, anche il tratto della “individualità” o della causatività soggettiva (si pensi s duco/dux rispetto a fero), sottolineando insieme l‟originalità, l‟impegno personale e la “proprietà letteraria” di questa operazione sempre meno anonima 49. Nel Quattrocento il termine traductio assomma in sé il significato prima diviso in tre categorie di parole: l‟imitazione o emulazione, la conversione o spiegazione, e infine la riespressione50. Questo breve percorso etimologico ci conduce così alle lingue moderne: dal termine traducere, sinonimo della traduzione scritta, derivano 51 l‟italiano tradurre, il francese traduire, lo spagnolo traducir, il portoghese traduzir e il romeno traduce. In seguito all‟invenzione della stampa nel XV secolo il ruolo della traduzione subì notevoli cambiamenti, al punto che la funzione della traduzione e la diffusione del sapere vennero radicalmente rivoluzionati: i grandi viaggi al di fuori dell‟Europa, i sofisticati sistemi di misurazione del tempo, la teoria copernicana dell‟universo influirono sulla concezione della cultura e della società, modificando profondamente qualsiasi prospettiva precostituita. Ma è nel „500 che la carica eversiva della traduzione si manifesta con Lutero e con la sua traduzione della Bibbia: in essa il monaco tedesco aveva ricercato uno stile volgare accessibile e allo stesso tempo soddisfacente dal punto di vista estetico 52. Dopo l‟accusa di essersi discostato troppo nella sua versione tedesca dal testo biblico, Lutero nella Lettera Circolare sulla traduzione del 1530 difende le proprie scelte in nome dell‟accettabilità: la sua traduzione è quindi orientata verso la cultura ricevente, 49 Folena, op. cit., p. 72. Cfr. Osimo, Manuale… cit., p. 3. 51 In inglese invece si è imposto translation, che deriva dal participio passato latino di transfero, ovvero translatum. 52 Cfr. Bassnett-McGuire, op. cit., p. 73. 50 20 dato che il testo deve risultare scorrevole alla lettura, mentre le immagini e le metafore devono essere comprensibili al lettore tedesco. Per questo motivo Lutero utilizza – senza quasi nessuna discriminazione – il verbo übersetzen („tradurre‟) e il verbo verdeutschen („germanizzare‟). Pochi anni più tardi Etienne Dolet (1509-1546), condannato per eresia 53 a causa di una traduzione “sbagliata” dei dialoghi di Platone, pubblicò nel 1540 un breve saggio sui principi della traduzione dal titolo La manière de bien traduire d‟une langue en aultre, in cui stabiliva, al pari di Lutero, l‟importanza della leggibilità di un testo tradotto, sottolineando l‟esigenza di semplificare testi troppo complessi, in modo che non risultassero “scabrosi” per il lettore: «par ceste intelligence il ne sera iamai obscur en sa traduction: et si l‟autheur lequel il traduict est aucunement scabreux, il le pourra rendre facile ed du tout intelligible» 54. Nello stesso periodo non mancano tuttavia atteggiamenti ironici rispetto alla traduzione: Miguel de Cervantes, ad esempio, nel Don Chisciotte, prende posizione sulla traduzione: Mi pare che il tradurre da una lingua all‟altra, a meno che non sia dalle regine delle lingue, e cioè la greca e la latina, sia come uno che guarda gli arazzi fiamminghi dal rovescio. Benché vi si vedano le figure, son piene di fili che le ombrano, e non si vedono con quella superficie così uguale del diritto; e tradurre dalle lingue facili non presuppone né ingegno né ricchezza di linguaggio, come non lo si presuppone per chi copi un foglio da un altro foglio55. Tra il Seicento e il Settecento, soprattutto in Francia, trionfarono le cosiddette belles infidèles, traduzioni abbellite e ornamentali che si opponevano alle brutte e fedeli versioni che rispettavano il testo originale. Questa presunta dicotomia tra fedeltà/infedeltà si legava in larga parte a un‟interpretazione del testo che «non tiene conto della realtà storica, culturale e linguistica da cui l‟opera proviene, ma la proietta direttamente nella cultura d‟arrivo in cui viene tradotta e accolta come se fosse un proprio prodotto originale»56. 53 Nella traduzione Dolet aveva messo in dubbio il principio dell‟immortalità dell‟anima. Cfr. BassnettMcGuire, op. cit., p. 79. 54 Etienne Dolet, La manière de bien traduire d‟une langue en aultre, 1540, citato in Osimo, Manuale…cit., p. 3. 55 Cervantes, op. cit., p. 111. Cfr. anche § 1. 56 Guglielmi, op. cit., p. 160. 21 In particolare, durante l‟epoca di Luigi XIV era attecchita in Francia la convinzione che il costume e le norme della vita sociale avessero raggiunto una tale perfezione formale da dover adeguare qualsiasi prodotto culturale che ne fosse estraneo: i testi vengono pertanto adattati e modernizzati per piacere di più ai lettori, per non affaticarli con esotismi o con concetti troppo lontani dal contesto culturale a cui sono avvezzi. Georges Mounin, attraverso un‟analisi storica e linguistica assai dettagliata, ricorda che le traduzioni francesi dell‟Iliade, dell‟Odissea e della Divina Commedia venivano epurate dalle espressioni considerate bizzarre e volgari57, mentre il dibattito circa la liceità della parola asino nella traduzione di Omero si protrasse per più di cento anni. Fino all‟Ottocento gli eroi omerici continuarono a darsi del “lei”, invece del “tu” originario, come a voler sottolineare il proprio ruolo di principi e nobili. All‟inizio dell‟Ottocento, in reazione al Razionalismo e all‟armonia formale tipica del Neoclassicismo, si accentuò l‟enfasi sulla funzione vitale dell‟immaginazione58: la forza creatrice dell‟opera d‟arte rendeva il poeta un creatore quasi mistico, la cui funzione era produrre una poesia che avrebbe dovuto creare un nuovo universo59. Sarà proprio Schlegel60 ad aggiungere una prospettiva inedita, sottolineando l‟importanza dell‟incomprensibilità del testo: la traduzione diventa un magnete che attira il lettore verso l‟opera originale e, di conseguenza, verso la lingua di partenza. Non è un caso infatti che proprio durante il Romanticismo vennero tradotte un numero considerevole di opere che influenzarono notevolmente le lingue di arrivo, al punto che «i critici hanno avuto grosse difficoltà a distinguere fra gli studi sull‟influenza di tali opere e gli studi veri e propri sulla traduzione» 61. 57 Georges Mounin, Traduction et traducteurs [1963], trad it. Teoria e storia della traduzione, Torino, Einaudi, 1965, pp.21-2. 58 Cfr. Bassnett-McGuire, op. cit., p. 92. 59 Cfr. Graziano Benelli, Il dibattito sulla traduzione nell‟Ottocento francese, in Margherita Ulrych (a cura di), Tradurre. Un approccio multidisciplinare, Torino, UTET, 1997, pp. 249 e sgg. 60 August Schlegel considerava la traduzione non solo un‟attività collegata al linguaggio e alla letteratura, ma una categoria del pensiero. Cfr. Bassnett-McGuire, op. cit., p. 93. 61 Ibidem. 22 In particolare, nella Francia del XIX secolo l‟evoluzione delle teorie sulla traduzione avrà un ruolo notevole, sia per l‟impiego crescente di linguisti, grammatici e critici62, sia per il contributo di scrittori di grande prestigio, da Madame de Staël a Baudelaire. In questo periodo si consolideranno due tendenze spesso in conflitto tra loro: da una parte – come aveva fatto Schlegel – la traduzione veniva considerata come una categoria del pensiero, mentre il traduttore era considerato il genio creativo «in contatto col genio del testo originale, portatore di nuove ricchezze per la letteratura e la lingua di arrivo»63; d‟altra parte era ancora ben radicata la tendenza a considerare la traduzione come un processo meccanico 64 attraverso cui era possibile far conoscere il testo o, tuttalpiù, l‟autore. Per Madame de Staël le traduzioni rappresentano un ottimo antidoto all‟impoverimento delle letterature nazionali: in un articolo apparso sulla rivista milanese Biblioteca Italiana sottolineava l‟esigenza di conservare l‟atmosfera culturale65 propria del testo di partenza come aveva fatto Vincenzo Monti traducendo l‟Iliade: bellezza ed efficacia della traduzione del Monti – secondo Madame de Staël – derivavano proprio dalla capacità di quest‟ultimo di rendere la semplicità e, al tempo stesso, l‟epicità di Omero. Fra i grandi scrittori-traduttori dell‟Ottocento francese va menzionato Charles Baudelaire, traduttore originale di Thomas Hood e di Edgar Allan Poe. Benché nelle sue traduzioni Baudelaire si fosse preso grandi libertà, tuttavia esse non tradivano mai il contenuto del testo di partenza. Specialmente nella traduzione di Tales of the Grotesque and Arabesque di Poe, Baudelaire aveva operato una rivoluzionaria rielaborazione del testo partentendo proprio dal titolo, che traduce con Histoires extraordinaires; il testo così rielaborato risultava più ricco e più espressivo 66 del testo di partenza, oltre che più congeniale alla cultura francese ed europea. 62 Ci si riferisce, ad esempio, a Étienne-Augustin de Wailly che, recensendo la traduzione francese del poema eroicomico di Alexander Pope, The Rape of the Lock, tradotto in francese da E.T. Maurice Ourry nel 1802, da una parte sosteneva che la traduzione letteraria fosse un‟operazione completamente subordinata al testo originale, dall‟altra riconosceva al traduttore un ruolo „utile‟ nell‟ambito della letteratura, perché attraverso la traduzione la lingua si arricchisce mediante concetti e sollecitazioni formali provenienti da testi stranieri. Più articolato e sistematico è l‟approccio di Ferri de Saint-Costant che, occupandosi della versione francese di autori latini, individuò cinque tipi di traduzioni, e cioè la traduzione interlineare, quella letterale, la versione, la traduzione e la traduzione libera. Cfr. Benelli, op. cit., pp. 250-1. 63 Bassnett-McGuire, op. cit., p. 94. 64 Spesso, ad eccezione di qualche sporadico caso, furono proprio gli scrittori a condannare il principio di imitazione, a tutto vantaggio della traduzione libera e creativa. Ibidem. 65 Benelli, op. cit., pp. 256-7. 66 Ivi, p. 260. 23 Altro grande poeta francese ammiratore di Poe sarà Stéphane Mallarmé, che, traducendo i Poems in prosa, presenterà la propria traduzione come una sorta di calco67 dall‟inglese, imitando il più possibile la struttura della frase del testo di partenza: l‟avverbio viene inserito prima del verbo, l‟aggettivo prima del nome, mentre viene preferita la forma passiva a quella attiva, contrariamente alla consuetudine francese. Nel cosiddetto periodo del post-romanticismo Friedrich Schleiermacher fu il primo a porsi il problema della mediazione tra cultura emittente e cultura ricevente, sottolineando come la scelta del tipo di mediazione vada fatta a ragion veduta: «o il traduttore lascia stare il più possibile lo scrittore e sposta il lettore verso lo scrittore, oppure lascia stare il più possibile il lettore e sposta lo scrittore verso il lettore» 68. Egli propose la creazione di una diversa sottolingua da utilizzare esclusivamente per la traduzione di opere letterarie, adottando quindi una lingua specifica 69 per le traduzioni. L‟ipotesi di Schleiermacher venne condivisa da parecchi traduttori inglesi del XIX secolo, tra cui Newman, Carlyle e Morris. Durante l‟epoca vittoriana i traduttori avvertirono la necessità di restituire al testo di partenza la distanza di tempo e di luogo. Thomas Carlyle, uno dei traduttori più illustri di questo periodo, diventa il simbolo di un paradosso che caratterizzerà gli studiosi del periodo vittoriano. Da una parte infatti «vi è un enorme rispetto, quasi un‟adulazione, dell‟originale […]. Il traduttore invita il lettore intellettuale e colto a condividere ciò che egli ritiene un arricchimento sia estetico che morale» 70. Dall‟altra, il traduttore rifiuta implicitamente l‟idea di una letteratura universale, dal momento che produce traduzioni volutamente arcaiche, destinate per lo più a una ristretta cerchia di lettori. Tuttavia, la teoria vittoriana si fonderà – secondo J.M. Cohen – su un errore di fondo, vale a dire sul tentativo di rendere la lontananza spazio-temporale attraverso l‟uso di un linguaggio pseudo-arcaico71. In un periodo di profondi cambiamenti sociali 67 Benelli, op. cit., p. 261. Osimo, Manuale… cit., p. 5. 69 Newman, ad esempio, sosteneva che il traduttore dovesse conservare tutte le peculiarità dell‟originale; la posizione di Newman verrà ulteriormente estremizzata da Morris che, traducendo le saghe nordiche, l‟Odissea, l‟Eneide e i romanzi cavallereschi francesi, si abbandonò a scelte deliberatamente arcaiche, al punto da risultare di difficile lettura e spesso incomprensibile. Cfr. Bassnett-McGuire, op. cit., pp. 95-6. 70 Ivi, p. 98. 71 Cfr. Cohen, English Translator and Translation, citato in Bassnett-McGuire, op. cit., p. 102. 68 24 come nel periodo vittoriano, il principio dell‟arcaismo «può essere paragonato a un tentativo di „colonizzare‟ il passato»72. La prima parte del XX secolo risentì moltissimo di molti dei concetti già elaborati e discussi in epoca vittoriana, come ad esempio la letteralità, gli arcaismi, la pedanteria e la produzione di un testo con meriti letterari di secondo ordine per una ristretta élite culturale. E mentre venivano sviscerati argomenti su cui il dibattito teorico si era accanito alla fine del secolo precedente, cominceranno ad avere più ampia eco approcci legati allo strutturalismo cecoslovacco e alla nuova Critica, lo sviluppo della teoria della comunicazione e l‟applicazione della linguistica allo studio della traduzione. In un simile contesto si colloca l‟opera di Benedetto Croce che nell‟Estetica (1902) – pur dedicando poche pagine al problema della traduzione – si fa portavoce di osservazioni ricche di ripercussioni ad ampio raggio sull‟intera concezione della traduzione, sia da un punto di vista strettamente teorico, che da quello pratico. Per Croce il concetto di traduzione abbraccia qualsiasi tipo di trasferimento di qualsiasi tipologia di testo, anche non verbale. Secondo Croce infatti anche le illustrazioni dei libri, la traduzione musicale, la traduzione pittorica o scultorea delle poesie e la rappresentazione teatrale dei drammi sono esempi di traduzione intersemiotica accomunati al concetto di traduzione. Egli parte inoltre dal presupposto secondo cui la traduzione intersemiotica sia impraticabile: «domandarsi dunque se [la poesia] sia traducibile in diversi suoni articolati o in altri ordini di espressioni […] è una domanda che quasi non si arriva neppure a pronunziare, perché porta già con sé la risposta negativa, che l‟inibisce»73. Alla base di simile concezione sta la distinzione tra le parole (che croce chiama “simboli”) e i termini (che invece chiama “segni”). La traduzione – secondo Croce – sarebbe applicabile ai termini, che costituiscono il linguaggio della scienza e della filosofia. Secondo Croce la vera traduzione è possibile solo quando è possibile instaurare rapporti di equivalenza: tradurre «consiste nello stabilire l‟equivalenza dei segni per la reciproca comprensione e intelligenza» 74. Dopo aver definito ciò che intende per traduzione, Croce passa a esaminare concretamente le traduzioni che – a dispetto della loro impossibilità teorica – tuttavia esistono. Da una parte parla di traduzioni interlineari funzionali all‟apprendimento 72 Cohen, English… cit., p. 103. Benedetto Croce, L‟intraducibilità della rievocazione, in “Testo a fronte”, n. 14, Milano, Crocetti, 1996, p. 5. 74 Ivi, p. 6. 73 25 delle opere originali, che tuttavia non rendono conto del testo, ma restituiscono solo «un vago sentore del testo»75. Il secondo tipo comprende le traduzioni che hanno la pretesa di sostituirsi all‟originale, come a voler ricreare il testo di partenza attraverso un‟altra lingua. Ed è proprio quando parla di siffatte traduzioni che Croce farà una distinzione tra le „belle infedeli‟, le „brutte e fedeli‟ e le „brutte infedeli‟: per il filosofo la difesa del carattere ideale del testo poetico equivale alla sostanziale negazione «della sua possibile traduzione, quasi un proteggerla da abusi interpretativi o arbitri critici»76. Al periodo prescientifico, appartiene anche il critico e il filosofo tedesco Walter Benjamin, autore di un saggio dal titolo Il compito del traduttore, del 1923, in cui la trattazione del tema assume un‟impostazione metafisica, probabilmente mutuata dagli studi svolti dal filosofo sui testi della mistica ebraica medievale. La traduzione è «un mezzo per elevare l‟opera verso l‟alto e, ancorché non riesca nell‟intento, è caratterizzata da questo status di intentio, di afflato verso il supremo»77. Al contrario, la traduzione che voglia veicolare un contenuto è considerata da Benjamin come un modello negativo. Egli affronta poi il problema della traducibilità e dello status a sé stante del testo tradotto: secondo Benjamin l‟illusione dell‟equivalenza 78 tra le lingue si basa proprio sul mero accidente che entrambe indicano lo stesso oggetto, mentre in realtà il modo di intenderlo è peculiare, specifico, perché la differenza tra le lingue non è basata su ciò che è inteso dalle parole, ma sul modo in cui viene inteso. Per Benjamin inoltre il rapporto che esiste tra contenuto e lingua in un testo originale viene falsato nella traduzione: la lingua dell‟autore è ingenua, primaria, intuitiva, mentre quella del traduttore è derivata, ultima, mediazione di una mediazione. Secondo il filosofo «la fedeltà nella traduzione della parola singola non può quasi mai riprodurre pienamente il senso che essa ha nell‟originale» 79, portando con sé le tracce di un‟operazione di secondo livello: 75 Benedetto Croce, L‟intraducibilità… cit., p. 7. Osimo, Storia… cit., p. 150. 77 Ivi, p. 153. 78 Ivi, p. 154. 79 Walter Benjamin, Il compito del traduttore (1923), in Renato Solmi (a cura di), Angelus novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 48. 76 26 Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre, devono susseguirsi nei minimi dettagli, ma non perciò somigliarsi, così, invece di assimilarsi al significato dell‟originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei minimi dettagli, ricreare nella propria lingua il suo modo di intendere, per far apparire così entrambe – come i cocci frammenti di uno stesso vaso – frammenti di una lingua più grande80. Se la traduzione è un vaso rotto, la visione innovativa di Benjamin consiste nel fatto che le fessure che rimangono tra un pezzo e l‟altro non debbano essere nascoste, e il vaso non debba avere più alcuna utilità pratica. Per Benjamin quindi l‟intenzione dell‟originale e quella della traduzione non devono coincidere: La vera traduzione è trasparente, non copre l‟originale, non gli fa ombra, ma lascia cadere tanto più interamente sull‟originale, come rafforzata dal suo proprio mezzo, la luce della pura lingua. Ciò che si ottiene soprattutto con la fedeltà nella riproduzione della sintassi, ed essa mostra che la parola, e non la proposizione, è l‟elemento originale del traduttore81 Benché le posizioni di Benjamin siano nel complesso provocatorie e appaiano a prima vista inapplicabili e assurde, ciò nondimeno gettano luce su alcuni problemi nodali che saranno indagati nella seconda metà del „900, nel cosiddetto periodo scientifico della teoria della traduzione. Come si vede, attraverso questo breve excursus si è cercato di dimostrare come il dibattito teorico sulla traduzione – cominciato già nel mondo classico – sia ancora oggi ben lontano dall‟esaurirsi; anzi, come vedremo nel paragrafo successivo, la teoria della traduzione – all‟incrocio tra la Linguistica, le Letterature comparate, la Filosofia e gli Studi culturali – si è costituita come disciplina a sé stante, nota col nome di Traduttologia. Nelle pagine che seguono quindi si tenterà di rendere conto delle teorie della traduzione contemporanea, da Romàn Jakobson fino ai Translation Studies, soffermandoci principalmente sulle scuole che hanno rivoluzionato il dibattito teorico in atto. 80 81 Croce, L‟intraducibilità… cit., p. 49. Ibidem. 27 1.2 La teoria della traduzione dalla seconda metà del „900 Come si è detto nelle pagine precedenti, la teoria della traduzione è un campo di ricerca tutt‟altro che nuovo. Fin dall‟antichità classica infatti gli autori greci e latini si ponevano il problema traduttivo perché «la traduzione è insita a ogni lingua a causa dei suoi rapporti con altri sistemi di significazione sia del passato che del presente» 82. Ciò nondimeno, la teoria della traduzione è consistita – almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale – in una serie di considerazioni elaborate da grandi traduttori sulla propria arte: «dissertando con estro sui criteri di fedeltà all‟autore del testo di partenza, le loro teorie finivano regolarmente per divaricarsi sulle due opzioni canoniche: vale a dire o a favore della traduzione letterale o di quella libera»83. Per secoli quindi la traduttologia è stata una disciplina marginale nel mondo accademico, almeno fino a quando è stata elaborata una teoria della traduzione da Romàn Jakobson. Nel 1959, con il saggio On linguistic aspect of translation, Jakobson ha impresso una svolta significativa agli studi sulla traduzione, sottolineando la natura semiotica dell‟atto traduttivo 84. Oltre a individuare tre tipi di traduzione 85, Jakobson si sofferma sui problemi legati alla presenza/assenza di certe categorie grammaticali nelle lingue, chiarendo che «è più difficile restare fedeli all‟originale quando si traduce verso una lingua che dispone di una certa categoria grammaticale da una lingua deficiente di tale categoria»86. Sulla base di simili considerazioni Jakobson giunge a questa considerazione: Le lingue differiscono essenzialmente in ciò che devono esprimere e non in ciò che possono esprimere. Ogni verbo di una data lingua pone imperativamente una serie di domande a cui si deve rispondere sì o no, come per esempio: l‟evento narrato è concepito facendo riferimento al suo compimento o no? L‟evento narrato è presentato come antecedente all‟atto di parola o no? Naturalmente 82 Edwin Gentzler, Teorie della traduzione. Tendenze contemporanee, Torino, UTET, 1993, p. 7. Josiane Podeur, La pratica della traduzione. Dal francese in italiano e dall‟italiano in francese, Napoli, Liguori Editore, 20009 [1993], p. 13. 84 Jakobson, op. cit., p. 428. 85 Jakobson individua la riverbalizzazione, la traduzione propriamente detta e la trasmutazione. Cfr. anche §1, p. 2, nota 14. 86 Jakobson, op. cit., p. 432. 83 28 l‟attenzione dei parlanti e degli ascoltatori indigeni è costantemente focalizzata sulle categorie obbligatorie del loro codice verbale. 87 Come ha acutamente sottolineato George Steiner, fino a Jakobson la storia della traduzione era una rielaborazione della stessa distinzione teorica fra traduzione formale (ovvero quella traduzione che rispecchi la forma dell‟originale) e traduzione libera (quella cioè che utilizza forme innovative per riprodurre l‟intento dell‟originale); mentre la teoria della traduzione „moderna‟ inizia con Jakobson e con lo strutturalismo, e «riflette il fermento di idee dell‟epoca»88. Benché a partire dal 1950 gli studi sulla traduzione si siano moltiplicati in maniera esponenziale, solo negli anni ‟60 si è arrivati a una fase di autodefinizione della nuova disciplina, chiamata dai russi perevodovédenie, Übersetzungswissenschaft per i tedeschi, Translation Studies per gli inglesi e Traductologie per i francesi. In questa sede si tenterà di rendere conto dei diversi approcci alla traduzione che si sono sviluppati intorno alla metà degli anni ‟60 e che continuano ancora oggi a esercitare il loro influsso – dal seminario di traduzione americano fino ad arrivare ai Translation Studies, passando attraverso le teorie elaborate dalla scuola tedesca e da quella francese – nel tentativo di mostrare come le teorie sulla traduzione si siano evolute e, nel corso degli anni, si siano reciprocamente influenzate. 1.2.1 Il seminario di traduzione americano: Richards, Pound e Will All‟inizio degli anni ‟60 non esistevano negli USA seminari di traduzione presso gli istituti di formazione universitaria, poiché essa veniva considerata come un‟attività marginale e di secondaria importanza. Un primo segnale di cambiamento venne da Paul Engle, direttore del Writers‟ Workhop all‟Università dello Iowa che, nel 1964, organizzò il primo seminario di traduzione negli Stati Uniti, iniziando a offrire agli studenti dei crediti accademici per le loro traduzioni letterarie. Negli anni a seguire fu pubblicato il primo numero della rivista Modern Poetry in Translation (1965) e nel 1968 il National Translation Center pubblicò il primo numero di Delos, una rivista che si occupava della traduzione sotto 87 88 Jakobson, op. cit., p. 433. Gentzler, op. cit., p. 8. 29 il profilo storico ed estetico. Era la prima volta, quindi, che «la traduzione letteraria si ricavava uno spazio, per quanto piccolo, nella produzione della cultura americana» 89. Nel decennio successivo la disciplina continuò a svilupparsi, al punto che molte università statunitensi come Yale, Princeton, l‟Università della Columbia, dello Iowa, del Texas e la State University of New York di Binghamton, cominciarono a offrire ai propri iscritti non solo corsi e seminari sulla traduzione, ma anche dottorati di ricerca per il lavoro creativo, storico e teorico nel campo della traduzione letteraria. I fondamenti teorici di questo nuovo movimento affondano le loro radici nell‟opera di I.A. Richards e in quella di Ezra Pound. In particolare, prorio Pratical Criticism di Richards, del 1929, esemplifica in modo puntuale il metodo pratico adottato nel seminario di traduzione. Alla fine degli anni ‟20 Richards diede ai migliori studenti di Harvard tredici poesie di autori che variavano da Shakespeare a Ella Wheeler Wilcox. Gli studenti ricevevano le poesie senza ulteriori informazioni, ignorando il titolo dell‟opera, l‟autore e, di conseguenza, non avevano alcuna informazione biografica sullo scrittore. Coloro che partecipavano al corso avevano una settimana per rispondere al questionario elaborato da Richards, che si proponeva di «introdurre una nuova documentazione a sostegno delle proprie idee estetiche, secondo cui è possibile distinguere un “significato” unitario, ed è presente un sistema unico di valori mediante il quale il lettore può giudicare il valore di tale “significato”»90. Tuttavia, il metodo di Richrads solo apparentemente rendeva liberi gli studenti da una metodologia prestabilita: il suo fine ultimo era inaugurare nuove tecniche didattiche che portassero alla “perfetta comprensione” del testo e producessero presso il pubblico quella che chiamava la “reazione corretta”. Lo stesso metodo venne applicato, anni dopo, dal seminario di traduzione americano, anche se i risultati ottenuti confutarono le idee di Richards: «invece di stabilire un insieme di regole che assoggettassero il testo a un‟interpretazione limitata e unica e determinassero una “visione completa”, le traduzioni reali tendevano ad aprire nuovi modi di vedere e sovvertivano modi di vedere preordinati»91. 89 Gentzler, op. cit., p. 14. Ivi, p. 19. 91 Ivi, p. 25. 90 30 Il seminario di traduzione americano ha dimostrato quindi che il testo tradotto non risponde alle regole di chi lo interpreta, ma a leggi che sono riferibili al metodo di traduzione utilizzato. Anche la teoria dei dettagli luminosi di Ezra Pound venne accolta presso il seminario di traduzione americana con un certo successo. Questa teoria si fondava sulla resa precisa dei particolari, delle singole parole e perfino di immagini isolate o frammentarie. In particolare, nel saggio del 1937, Polite Essays, Pound delineò i vari modi in cui la lingua può essere caricata o energizzata, e cioè attraverso: la melopea (proprietà musicale della parola), la fanopea (la proprietà visuale della parola) e la logopea (la proprietà più complessa del linguaggio che include sia il significato diretto che il ruolo della parola in un determinato contesto). A proposito della logopea, Pound scrive: Le parole vengono usate non solo nel loro significato diretto, ma viene tenuto conto in modo speciale delle consuetudini d‟uso, del contesto che ci aspettiamo di trovare con la parola, delle sue abituali concomitanze, delle sue note accezioni, e del giuoco ironico. Tale genere ha per contenuto estetico quello che è in modo peculiare il dominio della manifestazione verbale, e non è possibile sia espresso in plastica o in musica. È il modo venuto per ultimo, e forse il più ingannevole e malfido92. Per Pound non è possibile tradurre la logopea; al massimo si può riuscire a esprimere lo stato d‟animo che viene descritto nel testo di partenza con una parafrasi, tentando di trovare una derivazione espressiva o un equivalente. Inoltre, per capire la logopea di un testo, il traduttore deve comprendere il tempo, il luogo e i limiti ideologici del testo tradotto93. Inoltre, l‟umore e la sensibilità che caratterizzano un determinato tempo e luogo vanno trasportate nella cultura di arrivo; secondo Pound quindi bisogna «creare nuovi legami con il presente, nell‟attirare l‟attenzione sul traduttore come persona viva e creativa»94. 92 Ezra Pound, Polite Essays, citato in Gentzler, op. cit., p. 31. Secondo la teoria della traduzione di Pound il significato non è qualcosa di astratto che fa parte di un linguaggio universale, ma qualcosa che è sempre situato nel flusso della storia. Per comprendere e scomporre il significato è necessario che il traduttore conosca la storia e sia in grado di ricostruire l‟atmosfera e l‟ambiente in cui quel significato si è manifestato. Cfr. Gentzler, op. cit., pp. 26-36 e Ulrych, La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: tendenze e prospettive, in Id. (a cura di), op. cit., p. 213 e sgg. 94 Gentzler, op. cit., p. 32. 93 31 Nell‟ambito degli studi sulla traduzione un contributo significativo venne dato negli anni ‟60 da Frederic Will, che dapprima insegnò lettere antiche presso l‟Università del Texas e in seguito si occupò di traduzione, fondando nel 1965 la rivista di traduzione letteraria Micromegas95. Will, partendo dall‟esperienza didattica di Richards, si propone un programma didattico, non solo per formare critici letterari competenti, ma anche per conseguire quello che lui stesso definiva “un obiettivo umanistico più ampio”. Per Will il concetto tradizionale di traduzione come trasferimento è troppo restrittivo; egli propone invece un metodo che traduca non il significato dell‟opera, ma la sua energia o impulso 96: La traduzione è per eccellenza il processo mediante il quale l‟impulso all‟origine delle opere verbali dell‟uomo […] può essere direttamente trasmesso, continuato, messo in condizioni di durare […]. Le opere letterarie sono esempi altamente elaborati di tale impulso […]; questi blocchi si impongono, nel corso del tempo, nell‟avanzare da cultura a cultura97. Per Wills quindi il traduttore può essere fedele al significato del testo essendo infedele al significato specifico (quello che Richards aveva definito il significato “indicativo”) della lingua del testo. Secondo Will l‟attività di traduzione rivela al traduttore che «il linguaggio è allo stesso tempo stabile e instabile, che i testi sono intessuti nella realtà e in una tradizione di finzione e che l‟uomo, in quanto sistema complesso, è soggetto al linguaggio e ai sistemi di discorso e allo stesso tempo è capace di creare il linguaggio o nuove relazioni nel presente» 98. Il linguaggio dunque si riferisce sempre a qualcosa (d‟altro), sia esso la realtà o qualche concetto metafisico. 95 I numeri di Micromegas erano tutti monografici, ciascuno dedicato esclusivamente alla poesia di un paese diverso. Gentzler, op. cit., p. 43. 96 Questo impulso viene mutuato dai saggi di Pound su Osiride e non è rappresentato dal linguaggio in sé; oltre a essere dionisiaco, Osiride si riferisce anche al principio produttivo maschile della natura: la traduzione quindi non viene considerata come un “trasferimento” di un contenuto, quanto un “proseguimento” del contenuto nella lingua. Ivi, p. 41. 97 F. Will, The Knife in the Stone, 1973, citato in Gentzler, op. cit., p. 42. 98 Gentzler, op. cit., p. 43. 32 1.2.2. La „scienza‟ della traduzione: da Eugene A. Nida alla scienza della traduzione in Germania Benché i seminari di traduzione americani avessero aperto nuove prospettive, negli anni ‟60 e soprattutto negli anni ‟70 fu impellente la necessità di un approccio più sistematico a quella «disciplina che sembrava possedere gli strumenti teorici e linguistici essenziali per affrontare il problema era la linguistica» 99. Fino ai primi anni Sessanta la linguistica era stata caratterizzata da una ricerca prevalentemente descrittiva che mirava a spiegare dettagliatamente le regole grammaticali, senza comparare però le singole grammatiche; questi studi quindi avevano poco valore per i traduttori. In questo stesso periodo venne elaborata da Noam Chomsky la grammatica generativo-trasformazionale, che modificò in modo significativo la teoria della traduzione. In particolare, la grammatica generativa, legittimata dalla linguistica, conferì credibilità e autorevolezza alla scienza della traduzione di Eugene Nida, la cui esperienza si fondava sulla traduzione della Bibbia. Nida sostenne, fin da subito, che la propria teoria della traduzione fosse stata ben sviluppata e articolata prima che Chomsky consegnasse il suo lavoro alle stampe, Syntactic Structures, pubblicato nel 1957 nei Paesi Bassi. Nida – parlando di se stesso in terza persona – afferma infatti: Prima della formulazione della grammatica generativo-trasformazionale da parte di Chomsky, Nida aveva già adottato un approccio fondato essenzialmente su una struttura profonda per affrontare certi problemi di esegesi. In un articolo intitolato A New Methodology in Biblical Exegesis (1952) aveva propugnato la trasformazione di strutture superficiali complesse per riportarle a un livello sottostante, in cui gli elementi fondamentali sono oggetti, eventi, astrazioni e termini relazionali100 Tuttavia, contrariamente da quanto aveva affermato Mida, la propria teoria aveva assunto una forma definitiva con l‟aggiunta della componente trasformazionale elaborata da Chomsky. In realtà aveva letto Syntactic Structures di Chomsky in 99 Gentzler, op. cit., p. 51. Eugene A. Nida, A Framework for the Analysis and Evaluation of Theories of Translation, in R.W. Brislin (a cura di), Translation: Applications and Research, New York, Gardner Press, 1976, p. 71. 100 33 ciclostile due anni prima che fosse pubblicato, e aveva fatto proprie le premesse teoriche101, le regole trasformazionali e la stessa terminologia dal linguista. Nida, il cui lavoro era inizialmente più orientato alla pratica della traduzione della Bibbia che non alla teoria, partiva dall‟ovvia considerazione secondo cui l‟attività di traduzione della testo sacro aveva prodotto più dati in più lingue di qualsiasi altra traduzione: la Bibbia infatti aveva una storia più lunga e, considerando la sua diffusione, aveva raggiunto un numero di persone enorme, toccando tutti i campi, perché all‟interno vi si trovava sia brani di prosa che di poesia. Conscio della mancanza di sistematicità dell‟approccio orientato esclusivamente alla pratica, egli tentò di conferire validità scientifica alla propria metodologia per poi applicarla alla traduzione in generale. Attraverso la teoria della sintassi e della grammatica generativa di Noam Chomsky 102, il lavoro di Nida «cessò di essere rivolto semplicemente ai colleghi missionari e si trasformò in un tentativo di creare le premesse per rivolgersi a un uditorio più vasto; l‟opera di Nida divenne infatti la base di un nuovo campo di indagine del XX secolo: era nata così la “scienza” della traduzione»103. Il modello di struttura profonda/struttura superficiale di Chomsky verrà quindi usato da Nida, che approfondirà concetti come il „messaggio soggiacente‟. Tuttavia, rispetto a Chomsky, Nida include nella propria teoria il concetto di „contesto culturale‟, vale a dire quel contesto in cui si inserisce la comunicazione. Per ragioni sia pragmatiche che teologiche, Nida si concentra sulla reazione del destinatario del messaggio. A differenza di Chomsky Nida non privilegia il segno, ma la reazione a esso: «se la sua traduzione può sollecitare la reazione voluta da Dio, la traduzione è riuscita: le parole e i simboli sono semplici etichette e la forma del messaggio assume quindi un‟importanza secondaria»104. Mentre quindi Chomsky indaga sul significato insito nel segno avulso dal contesto culturale, Nida è più interessato alle modalità di funzionamento del segno in una data società. 101 Gentzler, op. cit., p. 52. Come si sa la teoria di Noam Chomsky consta di tre livelli di concettualizzazione: a) un componente base costituito da “regole per la struttura delle frasi” che producono; b) una struttura profonda, che a sua volta viene modificata, mediante regole trasformazionali in una struttura superficiale; 3) una struttura superficiale. Concetti come la “struttura profonda”, il “centro”, il “nucleo”, l‟”essenza” sono stati quindi mutuati da Chomsky e riutilizzati da Nida. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 55. 103 Ivi, p. 54. 104 Ivi, pp. 62-3. 102 34 Sia Nida che Chomsky giungeranno comunque a conclusioni simili sulla natura del linguaggio: per entrambi infatti alla base delle strutture superficiali vi sono delle strutture profonde105. Se la teoria di Nida è stata ritenuta progressista perché introduce il concetto di contesto del messaggio, tuttavia non è meno astratta di quella di Chomsky: «il “messaggio nel contesto” o il “messaggio nella sua ricezione” viene astratto dalla storia, concepito come un elemento unico e un‟essenza in sé e trasformato in un concetto atemporale»106. Secondo Nida il testo tradotto dovrebbe produrre una reazione nel lettore calato nella cultura contemporanea che sia simile a quella prodotta nei ricettori originari; se ciò non avviene egli suggerisce di apportare variazioni al testo per indurre la reazione iniziale. Questa teoria, divenuta assai nota col il nome di “equivalenza dinamica”, è frutto delle convinzioni di Nida in fatto di religione. In Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures Involved in Bible Translating, Nida sintetizza la sua metodologia di lavoro nell‟ambito della traduzione letteraria: È più efficiente sia dal punto di vista scientifico che pratico (1) ridurre il testo di partenza ai suoi nuclei strutturalmente più semplici e semanticamente più evidenti, (2) trasferire il significato dalla lingua di partenza alla lingua del ricettore a buon livello strutturalmente semplice e (3) generare un‟espressione stilisticamente e semanticamente equivalente nella lingua del ricettore107. Inoltre, sempre secondo Nida il traduttore deve comprendere non solo l‟ovvio contenuto del messaggio, ma anche le sottili sfumature di significato, i valori emotivi importanti delle parole e le caratteristiche stilistiche che determinano il “sapore e la sensazione” del messaggio […] In altre parole, oltre a conoscere due o più lingue coinvolte nel processo traduttivo, il traduttore deve conoscere l‟argomento in questione108 105 Gentzler, op. cit., p. 64. Ivi, p. 63. 107 E. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures Involved in Bible Translating, Leida, E.J. Brill,1964, p. 68, citato in Gentzler, op. cit., p. 65. 108 Nida, Toward… cit., pp. 150-1. 106 35 Come si vede, la formazione religiosa di Nida tende a influenzare il suo metodo scientifico, al punto che il ruolo di traduttore e quello di missionario sembrano fondersi insieme. Oltre ad avere una completa conoscenza della fonte, Nida esige che il traduttore sia in rapporto empatico con l‟autore e abbia la capacità di imitare il comportamento, l‟eloquio e i modi dell‟autore con estrema verosimiglianza. Egli afferma che il traduttore deve ammirare l‟autore, avere lo stesso retroterra culturale e dare al lettore «la stessa gioia prodotta dall‟originale» 109; se non vengono soddisfatti questi requisiti il traduttore non potrà cogliere né il messaggio originale né come esso funzioni. Tuttavia, non mancano i limiti di questa elaborazione teorica. La teoria della traduzione di Nida lascia intendere che egli «non si fida di lasciare i lettori a decodificare i testi da sé, perciò postula un lettore onnipotente, preferibilmente il missionario/traduttore ideale, che farà il lavoro per il lettore. L‟obiettivo, perfino con la Bibbia, è di sfatare il mistero, risolvere le ambiguità e ridurre le complessità per consentire il semplice consumo»110. Nida non può permettere che il lettore decida da sé; per ottenere la reazione voluta (o meglio, la reazione che immagina abbia avuto il lettore del testo originale) egli – in quanto traduttore – ha la licenza di modificare, snellire e semplificare il testo. Tuttavia, come afferma Gentzler, questa metodologia può essere molto utile per chi traduce opere di propaganda o pubblicità e sembra funzionare con certi tipi di religione, ma i suoi limiti nell‟ambito di una scienza del tradurre sono ovvi: Nida fornisce un eccellente modello di traduzione che prevede la manipolazione del testo nell‟interesse della fede religiosa, ma non i fondamenti per quella che l‟Occidente in generale considera una scienza 111 Nonostante i limiti teorici evidenziati, l‟opera di Nida ha esercitato una sorprendente influenza a livello accademico anche al di fuori del contesto biblico, specie nei campi della linguistica. L‟applicazione più puntuale della teoria di Nida è avvenuta non in Inghilterra o in America, ma in Germania, dove la scienza della 109 Gentzler, op. cit., p. 66. Ivi, p. 67. 111 Ivi, p. 69. 110 36 traduzione è stata oggetto di studio presso l‟Università di Saarland a Saarbrücken, università che forma i futuri traduttori e interpreti tedeschi. L‟influsso di Nida in Germania è massimamente evidente nell‟opera di Wolfram Wilss, che ha insegnato a Saarbrücken e il cui testo, Übersetzungswissenschaft. Probleme und Methoden, del 1977, è stato tradotto in inglese col titolo The Science of Translation: Problems and Methods nel 1982. Questo testo esprime al meglio la teoria e la pratica della traduzione in Germania. In particolare Wills sembra opporsi alle due teorie linguistiche dominanti, quella descrittiva e quella generativo-trasformazionale. Si oppone alla linguistica descrittiva e, nello specifico, allo strutturalismo tassonomico 112 poiché entrambe descrivono semplicemente la struttura superficiale di due lingue specifiche, mostrando scarso interesse per la traduzione. Al contrario, i motivi per i quali Wills si oppone alla grammatica generativotrasformazionale sembrano meno chiari: in primo luogo sostiene che questa disciplina sia afflitta da un problema analogo a quello della linguistica strutturale, poiché i generativisti «utilizzano gli stessi strumenti metodologici di una “scienza scientista” e tentano di proporre una descrizione matematicamente esplicita dei processi mentali che consenta la verifica e la conferma empirica»113. In secondo luogo, Wills sembra opporsi alla grammatica generativo-trasformazionale perché è dominata dalla sintassi, non include la psicolinguistica, studia isolatamente i sistemi di lingue, ignora i problemi di ricezione e di funzione del messaggio nel contesto comunicativo. Benché Wills critichi apertamente Chomsky e la sua grammatica generativotrasformazionale, tuttavia propone una scienza della traduzione che utilizza gli stessi concetti – elaborati dallo statunitense – di struttura superficiale e di struttura profonda; per Wills quindi la traduzione è garantita dall‟esistenza – a livello di struttura profonda – degli universali sintattici e semantici: la sua scienza della traduzione si riduce quindi alla semplice creazione di equivalenti sintattici, semantici e di ricezione. La teoria di Wills è quindi molto più vicina a quella di Chomsky di quanto lo stesso Wills non sia disposto ad ammettere: 112 113 Gentzler, op. cit., p. 71. Ibidem. 37 La traducibilità di un testo viene quindi garantita dall‟esistenza di categorie universali sintattiche, semantiche e logico-esperenziali. Se, nonostante ciò, la traduzione non è paragonabile all‟originale dal punto di vista qualitativo, la ragione non sarà (di solito) una carenza nelle possibilità espressive in quella particolare [lingua di arrivo] ma piuttosto la limitata abilità del traduttore nell‟analisi del testo114. Pertanto – secondo l‟approccio di Wills – con un‟adeguata formazione universitaria gli studenti possono ampliare il proprio bagaglio di equivalenti adeguati, affinare la propria intuizione ermeneutica e produrre traduzioni di qualità. La metodologia di ricerca di Wills si basa pertanto sulla riduzione del testo originale al suo contenuto tematico e alla sua tipologia testuale; i testi vengono quindi classificati secondo tipologie ideali e relazioni complesse ridotte a formule ottenute “empiricamente”, suddividendoli in categorie secondo generi e temi universali. Questi temi devono essere riconvertiti dal traduttore in una lingua e in un contesto diversi, ma sono concepiti per produrre lo stesso effetto dell‟originale. Tuttavia, la teoria di Wills cade in quello che i critici letterari chiamano l‟errore empirico115: questi metodi universalizzanti rischiano infatti di tralasciare gli elementi che non rientrano nelle categorie, a omettere le contraddizioni e a eliminare aspetti ironici e artifici che fanno quasi sempre parte dei testi. Oltre all‟Università di Saarbrücken, anche la scuola di Lipsia, nata intorno alla metà degli anni ‟60, si è notevolmente evoluta e ha offerto un contributo significativo alla teoria della traduzione contemporanea. Tra gli studiosi che hanno gravitato intorno alla scuola di Lipsia va certamente ricordato Otto Kade. Lo studioso concepiva una gamma piuttosto ampia di tipologie testuali116 «che sono integrati a seconda della forma e del contenuto»117. A quel tempo Kade si interessava della traduzione a livello di significato o di parola, per cui proponeva quattro tipi di corrispondenza: uno-a-uno (equivalenza totale); uno-molti (equivalenza opzionale); uno-parte [di uno] (equivalenza approssimativa) e unonessuno (equivalenza zero). Dopo aver diviso il testo in parti o unità, il traduttore 114 Wolfram Wills, The Science of Translation: Problems and Methods, citato in Osimo, Storia… cit., p. 216. 115 Gentzler, op. cit., p. 75. 116 Kade parla di Textgattungen, vale a dire non necessariamente tipi di testo, ma testi classificati in modo generale. Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 216. 117 Gentzler, op. cit., p. 79. 38 doveva scegliere l‟equivalente ottimale da un insieme variabile di equivalenti o opzioni; l‟elaborazione delle unità proseguiva poi con l‟elaborazione di un insieme omogeneo. Con il diffondersi della linguistica e delle nuove teorie a essa associate, la scuola di Lipsia si è notevolmente evoluta, sicché il centro di interesse si è spostato dal metodo di traduzione parola per parola a un modello di tipo trasformativo. Albrecht Neubert, esponente della scuola di Lipsia, a proposito del dibattito sulla teoria della traduzione, arriva a postulare l‟esistenza di un fattore invariabile, vale a dire la tipologia testuale 118. Neubert è anche noto per il “modello top-down” della traduzione: il traduttore deve partire dal testo che costituisce l‟unità di traduzione essenziale. Dal testo globale «si procede a ritroso fino ad arrivare alla proposizione globale, che viene poi suddivisa in unità semantiche uniche più piccole trasferibili»119. Nel processo di ricostruzione del testo Neubert introduce il concetto di „relatività traduttiva‟, che consente un processo creativo di trasferimento dal testo di partenza al testo di arrivo. La relatività deriva dall‟intrinseca molteplicità di possibilità strutturali dell‟originale: tuttavia, una volta che il traduttore sceglie una data parola, cioè una data struttura, il resto del testo segue un modello chiaramente delineato. Egli «concepisce il testo di partenza come un‟”isola di invarianza” e parla di un balzo o di un salto dal testo di partenza; sostiene che la “vera coerenza” […] in realtà è la norma per sezioni più ampie di testo e che le scelte che si pongono al traduttore sono “predestinate”»120. Strettamente connesso al metodo della scuola di Lipsia e di Saarbrücken è il metodo di Reiss e Vermeer, la cui teoria non è finalizzata a elaborare norme di valutazione in base alle quali si giudica la qualità del testo tradotto. Il lavoro dei due studiosi culmina in Grundlegung einer allgemeinen Translationstheorie, scritto a quattro mani nel 1984. I due autori sostengono che la traduzione dovrebbe essere «improntata principalmente a un aspetto funzionale dominante, o, per usare la nuova terminologia, allo „skopos‟ (termine greco per indicare l‟intenzione, l‟obiettivo, la funzione) dell‟originale» 121. 118 Neubert afferma che, in base ai codici che regolano l‟uso del linguaggio, in qualsiasi situazione comunicativa, è possibile aspettarsi un tipo di testo caratteristico. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 79. 119 Ivi, p. 80. 120 Ibidem. 121 Ivi, p. 81. 39 Reiss non ha come obiettivo la cosiddetta traduzione perfetta, ma suggerisce che i traduttori debbano tentare di ottenere soluzioni ottimali nelle condizioni reali esistenti; sostiene inoltre che il testo di arrivo debba essere coerente e che la sua coerenza dipenda dall‟idea che il traduttore ha della funzione del testo. Per ottenere delle soluzioni ottimali è inoltre necessario che vi sia coerenza tra il testo di partenza e quello di arrivo, ossia che vi sia quella che Reiss chiama „coerenza intertestuale‟. Uno dei più recenti tentativi di modificare questi modelli, coerentemente con i progressi compiuti dalla linguistica e dalle altre scienze affini, viene da Mary SnellHornby che in Translation Studies: An Integrates Approach del 1988, trova il metodo di Reiss – fondato sulla tipologia testuale – troppo rigido e prescrittivo. La studiosa presenta un modello molto più complesso, basato sui recenti sviluppi dei Translation Studies. Opponendosi all‟approccio fondato sul rapporto tra struttura profonda/struttura superficiale e sugli universali di matrice idealista, invece di continuare a riflettere sui processi mentali e sulle strutture innate, la studiosa – in linea con l‟approccio metodologico dei Translation Studies – ha proposto di considerare i testi reali nella cultura di arrivo. L‟obiettivo è creare un nuovo paradigma allo studio della traduzione letteraria, ponendo maggiormente l‟accento non più sulle modalità attraverso cui dovrebbero svolgersi il processo traduttivo 122, quanto sulla cultura di arrivo di testi reali. 1.2.3 La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: dalla prima fase dei Translation Studies alla teoria Polisistemica Negli anni ‟70 gli studi sulla traduzione letteraria presero due direzioni 123 ben distinte: un gruppo di studiosi si concentrò prevalentemente su problemi letterari, affrontati rifiutando i presupposti teorici, le regole prescrittive e il linguaggio specifico della linguistica; un altro gruppo privilegiò un approccio più propriamente linguistico, adottando la terminologia e gli strumenti propri della disciplina. In entrambi i casi, sia i linguisti che i traduttori letterari guardavano con scetticismo al lavoro e ai risultati provenienti dai reciproci contributi: i traduttori letterari scartavano qualsiasi analisi scientifica, mentre i linguisti evitavano l‟analisi letteraria non linguistica. 122 123 Gentzler, op. cit., p. 83. Ivi, p. 85. 40 A intervenire in questa situazione di dicotomia tra linguisti e traduttori letterari – imprimendo un nuovo impulso agli studi sulla traduzione – fu proprio un gruppo di giovani studiosi provenienti dai Paesi Bassi e dal Belgio 124, che sperimenteranno una approccio metodologico nuovo: proprio in questi anni nascono i Translation Studies125. Il termine fu introdotto per la prima volta da James S. Holmes 126 nel 1972 – poi consacrato da André Lefevere nell‟Appendice degli Atti del convegno di Lovanio, Colloquium on Literature and Translation – come «il più appropriato a definire la nuova disciplina accademica che aveva per principale oggetto di studio il fenomeno della traduzione»127. Inizialmente il nome fu usato per indicare il particolare approccio di un gruppo di studiosi alla traduzione letteraria, mentre oggi indica tutto l‟insieme della disciplina accademica della traduzione nel mondo di lingua inglese. Gli studiosi dei Pesi Bassi, intervenendo all‟interno di un dibattito che vedeva in contrasto l‟approccio linguistico con quello letterario, sposteranno quindi il centro dell‟indagine teorica basando la ricerca «su un concetto evolutivo di metascienza, non sul concetto logico positivista, non sul concetto ermeneutico» 128. 124 Secondo Gentzler le nazioni più piccole che parlano lingue “minori” dipendono dalla traduzione per la loro stessa sopravvivenza commerciale, politica e culturale; per questo motivo «non stupisce dunque che gli studiosi di quei paesi non solo sappiano di più sulla traduzione, ma possano adattarsi più agevolmente in situazioni di conflitto». Inoltre, vista la posizione geografica che li pone al crocevia della vita intellettuale europea, non stupisce che un nuovo punto di vista sulla traduzione si sia sviluppato proprio in questi paesi Gentzler, op. cit., pp. 86-7. 125 Da questo momento in poi, quando ci si riferirà ai Translation Studies, si adotterà la sigla TS. 126 The Name and Nature of Translation Studies venne pubblicato nel 1975 e più tardi incluso nella raccolta di saggi di Holmes dal titolo Translated! Papers on Literary Translation and Translation Studies, Amsterdam, Rodopi, 1988 è una versione ampliata di un contributo presentato nella Sezione Traduzioni del Terzo Convegno Internazionale di Linguistica Applicata tenutosi a Copenhagen nel 1975. 127 Margherita Ulrych, La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: tendenze e prospettive, in Id, Tradurre. Un approccio multidisciplinare, UTET, Torino, 1997, p. 214. 128 André Lefevere, Translation Poetry: Seven Strategies and a Blueprint, Van Gorcum, AssenAmsterdam, 1975, p. 7, cit in Gentzler, op. cit., p. 86. 41 I TS si porranno quindi in modo critico sia verso l‟approccio strettamente linguistico, che tendeva a escludere qualsiasi approccio che potesse essere considerato non-scientifico, sia verso i testi letterari come oggetto di studio, in quanto si allontanavano troppo dalle forme standard del linguaggio 129. I TS rifiutano inoltre il concetto di equivalenza tra il testo d‟origine e quello d‟arrivo: al concetto di equivalenza viene sostituito quello di “norma”130. Gli studiosi dei Translation Studies mostreranno una certa insoddisfazione 131 verso l‟approccio letterario tradizionale: la traduzione non veniva considerata un argomento legittimo di studio, ma piuttosto un mezzo per raggiungere qualche altra meta accademica più qualificante. La traduzione e i traduttori erano stati relegati dagli studiosi a un livello infimo, almeno in ambito letterario. Invece di definire la teoria della traduzione, all‟inizio i TS tentarono di studiare le procedure di traduzione: piuttosto che discutere sulla natura del significato, questa nuova corrente tentò di comprendere come “viaggia” il significato. Come sottolinea Gentzler l‟aspetto più caratterizzante di questa nuova corrente era l‟insistenza sull‟apertura ad approcci interdisciplinari, l‟obiettivo di far lavorare studiosi di letteratura con i logici, i linguisti con i filosofi, mentre diveniva meno importante definire i confini di distinzioni come giusto e sbagliato, formale e dinamico, letterale e libero, arte e scienza, teoria e pratica. La traduzione letteraria come disciplina non era più suddivisa in traduzione letteraria e non, ma considerata un tutt‟uno. […] Perfino la distinzione tra scrittore originale e traduttore fu messa in discussione, perché oggetto di studio non era né un nucleo assente di “significato” né una “struttura linguistica” profonda, ma piuttosto lo stesso testo tradotto. 132 129 Ulrych, La traduzione… cit., pp. 216-7. Lo studioso della traduzione deve cercare le norme che sottostanno al processo traduttivo, attraverso un modello tripartito proposto da Toury nel 1980. Toury postula tre livelli di rapporti tra il testo di partenza e quello di arrivo: competence (indica modi possibili e teorici di tradurre un testo), performance (descrizione delle tradizioni esistenti nella realtà) e norms (principi guida più o meno codificati che gli studiosi della traduzione possono usare per esaminare e ricostruire il processo traduttivo che sta dietro un dato testo). Le norms si possono identificare in base alla descrizione di una performance che può allora portare alla teorizzazione della competence. Cfr. Ivi, p. 219, nota 13. 131 Ivi, p. 221-2. 132 Gentzler, op. cit., p. 87. 130 42 In un primo momento i TS favorirono una metodologia traduttiva integrata e ancora fortemente influenzata dal legame con il formalismo russo 133, limitando il campo d‟indagine alle traduzioni concrete esistenti, e non a una teoria generale della traduzione. Tra gli studiosi di questo primo periodo ricorderemo, ad esempio, i già citati Holmes e Lefevere, oltre che Raymond van den Broeck. Uno dei rappresentanti più importanti della prima fase dei TS fu James Stratton Holmes, morto prematuramente nel 1986. Egli fu uno dei fondatori della moderna scienza della traduzione e autore di The Name and Nature of Translation Studies (1972-75), considerato come il testo programmatico in questo campo. In questo saggio Holmes delinea l‟ambito e la struttura della nuova disciplina, concependo il metodo come una pratica empirica che considera i testi effettivamente tradotti a mano a mano che compaiono in una data cultura. Nel saggio Holmes suddivide i Translation Studies in tre aree134 di interesse, vale a dire: 1. aspetto descrittivo (i T.S. devono descrivere i fenomeni di traduzione che si manifestano nel mondo); 2. aspetto teorico (i T.S. devono stabilire i principi mediante i quali si possono spiegare questi fenomeni); 3. aspetto applicato (i T.S. devono usare l‟informazione ottenuta dalle aree 1 e 2 nella pratica della traduzione e nella formazione dei traduttori). Superando il concetto di fedeltà/infedeltà della traduzione, Holmes sostiene che «ogni traduzione deve essere ritenuta come un atto di interpretazione critica» 135: i Translation Studies quindi non devono occuparsi dell‟identità tra testo di partenza e testo di arrivo, quanto dell‟analisi del rapporto tra: a. testo tradotto (come testo secondario) e testo di partenza; 133 I Translation Studies prendono le distanze dalla teoria di Chomsky e di Nida, che si concentrano entrambe su componenti generative della struttura profonda, a discapito delle caratteristiche della struttura superficiale reale. Il formalismo russo e i Translation Studies privilegiano caratteristiche specifiche della struttura superficiale, analizzandole alla ricerca delle componenti che rendano il testo un‟opera letteraria. «In realtà, i formalisti russi, pur utilizzando concetti tematici, li relegarono in una posizione di secondo piano e si preoccuparono maggiormente di criteri compositivi. Sostenevano infatti che le idee astratte sono molto simili nel corso della storia; quello che contava per loro erano i modi in cui erano espressi i concetti tematici, che nei Translation Studies vengono utilizzati in modo analogo, anche se non occupano più una posizione primaria e determinante, ma una in cui dipendono dalla cultura e dalla lingua in cui sono inseriti». Gentzler, op. cit., p. 90. 134 Ivi, p. 105. 135 Ivi, p. 103. 43 b. testo tradotto (come testo primario) e le pratiche di significazione nell‟ambito della tradizione della cultura di arrivo. Holmes inoltre afferma che «ogni traduttore di poesia lavora consciamente o inconsciamente in varie dimensioni, facendo scelte su ciascuno dei tre piani, quello linguistico, quello letterario e quello socioculturale, e sull‟asse delle x dell‟esotizzazione versus naturalizzazione e l‟asse delle y della storicizzazione versus modernizzazione»136. Egli insiste sul fatto che i TS dovrebbero concentrarsi sul processo di traduzione, analizzando le scelte fatte dal traduttore tra le migliaia di possibilità che gli si offrono. Una volta fatte le scelte iniziali, la traduzione inizia a produrre regole proprie determinando le scelte successive 137. Per Holmes il processo traduttivo permette al traduttore di concentrarsi simultaneamente sulla singola parola e, contemporaneamente, sull‟intero testo (sulle interazioni cioè tra la singola unità e l‟insieme); il traduttore, mentre traduce, ha in mente una mappa del prototesto e, contemporaneamente, proietta sulla cultura ricevente una mappa dell‟ipotetico metatesto: Ho ipotizzato che in realtà il processo traduttivo sia un processo a vari livelli; mentre traduciamo frasi, abbiamo una mappa dell‟originale in mente e nel contempo una mappa del tipo di testo che vogliamo produrre nella lingua ricevente. Anche quando traduciamo in serie, abbiamo questa concezione strutturale così che ogni frase della nostra traduzione è determinata non solo dalla frase dell‟originale ma anche dalle due mappe dell‟originale e del testo tradotto che ci portiamo dietro mentre traduciamo.138 136 James S. Holmes, The Name and Nature of Translation Studies, p. 7, citato in Osimo, Storia… cit., p. 212. 137 Cfr. Gentzler, op. cit., p. 108. 138 Holmes, The Name… cit., in Osimo, Storia… cit., p. 213. 44 André Lefevere, in una delle sue opere più famose, Translating Poetry: Seven Strategies and Blueprint del 1975, rivela un approccio piuttosto simile a quello di Holmes, tentando cioè di adottare un metodo più empirico e obiettivo: Il compito del traduttore è proprio quello di rendere il testo di partenza, l‟interpretazione dell‟autore originale di un dato tema espresso in un certo numero di variazioni, accessibile ai lettori che non abbiano familiarità con queste variazioni sostituendo la variazione dell‟autore originale con i suoi equivalenti in una lingua, tempo, luogo e tradizione differente. Particolare rilievo deve essere dato al fatto che il traduttore deve sostituire tutte le variazioni contenute nel testo di partenza con i loro equivalenti139 In linea con quanto affermato da Holmes sulla pratica della traduzione, van der Broeck evita buona parte della terminologia teorica che aveva caratterizzato tradizionalmente la traduzione. Anzi, è proprio Van der Broeck a sottolineare il bisogno di respingere l‟idea che la relazione di equivalenza possa essere ancora applicata alla traduzione. Egli si oppone inoltre a termini quali somiglianza, analogia, adeguatezza, invarianza e congruenza, oltre che alle loro concrete applicazioni 140. Un contributo significativo agli approcci metodologici dei TS venne dalla Teoria Polisistemica, elaborata all‟inizio degli anni ‟70 da Itamar Even-Zohar, uno degli esponenti di spicco della scuola di poetica di Tel Aviv 141, una sorta di continuazione ideale del formalismo russo e dello strutturalismo ceco. Sarà proprio Even-Zohar a parlare per la prima volta di polisistema come un insieme di sistemi letterari (dalla forme elevate e canonizzate fino ad arrivare alla poesia “bassa” e non canonizzata) presenti in una data cultura142. Partendo dal concetto di sistema letterario gerarchico elaborato da Tynjanov143, Itamar Even-Zohar conia il termine polisistema per riferirsi all‟intera rete 139 André Lefevere, Translating Poetry: Seven Strategies and Blueprint, 1975, citato in Gentzler, op. cit., p. 107. 140 Gentzler, op. cit., p. 109. 141 Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 228. 142 Gentzler, op. cit., p. 119. 143 A Tynjanov si deve il merito di aver introdotto il termine “sistema”. In esso gli elementi non sono mai completamente isolati, ma sempre in rapporto con altri elementi di altri sistemi. Per Tynjanov era possibile suddividere l‟intero mondo letterario in molteplici sistemi strutturali, organizzati attraverso quello che lui chiamava ordine sociale. L‟ordine sociale consisteva in tutto ciò che era stato normalizzato, automatizzato, regolarizzato. Ogni singolo elemento del sistema veniva messo in relazione con la norma letteraria preesistente, per stabilire poi le leggi immanenti che presiedevano alla sua realizzazione. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 123-9. 45 di sistemi correlati – letterari ed extraletterari – all‟interno della società144. Attraverso la “teoria polisistemica” Even-Zohar per tenta di spiegare la funzione di tutti i tipi di scrittura nell‟ambito di una data cultura, dai testi canonici a quelli marginali. In particolare, secondo lo studioso la letteratura tradotta opera in modo diverso a seconda dell‟epoca, della forza e della stabilità del particolare “polisistema” in cui è inserita. Il rapporto tra le opere tradotte e il polisistema letterario non può essere definito né primario, né secondario, ma variabile a seconda delle circostanze specifiche che operano all‟interno di un sistema letterario dato. Even-Zohar delinea tre situazioni sociali che determinano una situazione in cui la traduzione manterrebbe una posizione primaria 145: a. quando una letteratura è “giovane” o si trova in una fase di affermazione; b. quando una letteratura è “periferica” o “debole”, oppure quando presenta entrambe queste caratteristiche; c. quando una letteratura attraversa una crisi o si trova a una svolta. Nel primo caso, tipico della situazione israeliana, la traduzione soddisfa la necessità di una letteratura giovane di utilizzare il suo nuovo linguaggio per il maggior numero possibile di tipi di scrittura diversa. Nella seconda situazione (ad esempio in un piccolo paese come i Paesi Bassi), la letteratura non è in grado di riprodurre tutti i tipi di scrittura che può realizzare un sistema più ampio; per questo motivo la letteratura “periferica” ricorre alla traduzione per introdurre nel sistema dei testi che stabiliscano un precedente. Infine, nel terzo caso, i modelli letterari consolidati non stimolano più la nuova generazione (come accadeva nell‟America degli anni ‟60) che si rivolgono altrove alla ricerca di nuovi modelli e spunti. Secondo Even-Zohar condizioni sociali opposte caratterizzerebbero situazioni in cui la traduzione sarebbe di importanza secondaria per il polisistema. Infatti, in sistemi forti come quello francese o angloamericano, con molti tipi diversi di scrittura e tradizioni letterarie ben sviluppate, la scrittura originale produce innovazioni nelle idee e forme di traduzione indipendenti, relegando le traduzioni in una posizione marginale rispetto al funzionamento globale del sistema letterario. 144 In effetti Even-Zohar non può essere considerato un teorico della traduzione, ma della cultura. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 129. 145 Ivi, pp. 130-3. 46 Secondo lo studioso, quando la letteratura tradotta assume una funzione primaria, i confini tra testi tradotti e testi originali diventano molto vaghi: dal momento che la funzione è quella di introdurre una nuova opera nella cultura ricevente e modificare i rapporti esistenti, i testi tradotti tendono a riprodurre le forme e le relazioni testuali dell‟originale, adeguate alla lingua di partenza 146. Se la forma del testo tradotto è troppo radicale o troppo straniante, il testo tradotto corre il rischio di non integrarsi nel sistema letterario della cultura ricevente; se il nuovo testo risulta “vincente”, esso tende a fungere da sistema primario: i codici sia della letteratura originale che di quella tradotta della cultura ricevente risultano quindi “arricchiti”. Inoltre, sempre secondo Even-Zohar la traduzione rappresenta un‟attività secondaria all‟interno di un dato polisistema, i tentativi dei traduttori di trovare modelli già pronti per la traduzione determinano traduzioni conformi alle norme estetiche prestabilite della cultura ricevente, a spese della forma originale del testo. Questa teoria influenzerà in modo significativo i TS, benché tra le due teorie permanessero delle evidenti differenze 147. Mentre infatti la teoria polisistemica faceva leva sulle norme sociali e sulle convenzioni letterarie della cultura ricevente (o di arrivo) che stanno alla base dei presupposti estetici del tradurre, i Translation Studies si concentreranno maggiormente sulle corrispondenze 1:1 e sul concetto di equivalenza funzionale. I Translation Studies infatti si concentrano sulle capacità soggettive del traduttore di produrre un testo equivalente che a sua volta abbia la capacità di influire sulle convenzioni letterarie e culturali di una società particolare. Al d là delle differenze tra i due approcci, grazie alla teoria polisistemica molti studiosi legati ai TS rivoluzioneanno le loro teorie. Ad esempio, Theo Hermans sottolineerà l‟importanza delle teorie di Even-Zohar per la propria visione della letteratura come sistema complesso e dinamico, unitamente a un metodo empirico148 legato allo studio sul campo delle traduzioni. André Lefevere, ad esempio, integrerà la propria teoria introducendo il concetto di „sistema ideologico‟149, vale a dire un insieme di discorsi che lottano in difesa di interessi rilevanti per mantenere o mettere in discussione le strutture di potere essenziali per un‟intera forma di vita sociale e storica. 146 Gentzler, op. cit., p. 133. Ivi, p. 120. 148 Ivi, pp. 149-50. 149 Ivi, p. 155. 147 47 Uno degli effetti150 più rilevanti della teoria polisisistemica sui Translation Studies fu di mettere in rilievo il ruolo centrale occupato, nel corso del tempo, dalla traduzione letteraria, la quale aveva avuto un‟incidenza importantissima nel polisistema occidentale. La prospettiva storica diventava di primaria importanza, al punto che gli studiosi della traduzione si dedicarono «ad esaminare non solo la storia della traduzione ma anche dei traduttori»151. Nel corso dei loro studi scoprirono, per esempio, che le culture tendono a tradurre in modo diverso in momenti storici diversi: «le culture traducono di più […] quando si sentono in posizione marginale o periferica. Per contro, quando una cultura attraversa un periodo di espansione coloniale o imperialistica non sente la necessità di importare traduzioni» 152. I Translation Studies, attraverso l‟esperienza della teoria polisistemica, porranno l‟attenzione sulla cultura, considerata come la struttura di riferimento per lo studio della traduzione. Anzi, la prospettiva storica cui i T.S. fecero riferimento dimostrò che le traduzioni rappresentano un fattore determinante nello sviluppo della cultura nel mondo, e che anzi esisteva uno stretto rapporto tra evoluzione letteraria ed evoluzione culturale. Secondo Bassnett e Lefevere, in un saggio del 1990, Translation, History and Culture, la traduzione deve essere studiata solo come un fenomeno interculturale; gli elementi linguistici e testuali vanno quindi indagati alla luce di come il testo funziona all‟interno di un più vasto e complesso sistema culturale. Questo approccio – chiamato da Bassnett e Lefevere cultural turn153 (svolta culturale) segna il passaggio dal testo alla cultura (considerata unità di traduzione putativa). Nella seconda fase dei Translation Studies diventa centrale l‟idea che studiare la traduzione oggi equivalga a essere consapevole dei processi che in un certo momento temporale plasmano la cultura154. Tali processi includono certamente fattori economici, politici e sociali: «in short, the ideological dimension, so long ignored in investigations of translation process, has been restored and our knowledge of cultural history has consequently been enriched»155. 150 Ulrych, La traduzione… cit., p. 231. Ibidem. 152 Ivi, p. 232. 153 S. Bassnett, A. Lefevere, Translation, History and Culture, London-New York, Pinter, 1990, p. 4. 154 Ulrych, La traduzione… cit., p. 234. 155 «In breve, la dimensione ideologica, ignorata tanto a lungo nelle analisi dei processi traduttivi, è stata ripristinata e conseguentemente si è arricchita la nostra conoscenza della storia culturale», in Bassnett, Translation, Tradition, Transmission, 1989, citato in Ulrych, La traduzione… cit., pp. 234-5. 151 48 Bassnett quindi solleva la questione della presenza ubiqua dell‟ideologia, dal momento che il traduttore svolge un innegabile ruolo di mediazione tra due realtà culturali, ed è quindi soggetto a pressioni ideologiche e, talvolta, a manipolazioni: da una parte infatti il traduttore può modificare deliberatamente il testo d‟origine per utilizzarlo a scopi personali; dall‟altra i traduttori «possono essere manipolatori involontari, inconsapevoli soltanto perché la propria cultura d‟origine, il proprio linguaggio contengono e celano ideologie (come ogni altra lingua e cultura)»156. Solo la linguistica è in grado di fornire gli strumenti per scoprire, sfidare e decostruire le ideologie che condizionano, più o meno coscientemente, l‟impegno dei traduttori e di emanciparli dal ruolo di «schiavi invisibili e servili delle strutture di potere dominanti a qualsiasi livello della società»157. Altra questione centrale affrontata dagli studiosi della seconda fase dei T.S. è l‟autorità dell‟originale, che viene messa in discussione. Le traduzioni non sono considerate testi secondari e, per così dire, supplementari; i traduttori vengono invece considerati lettori autorevoli le cui interpretazioni del testo di origine portano alla creazione di nuovi testi: Il rapporto di potere esistente nell‟atto stesso della lettura e della riscrittura è mutato e perciò sia le traduzioni sia i traduttori acquistano autorità. Come un testo assume una nuova forma con la traduzione, così i traduttori sono riconosciuti quali visibili strumenti che rendono tale cambiamento possibile. Senza l‟intervento del traduttore un testo non ha la possibilità di diventare un originale in un‟altra cultura158. Altro nodo centrale affrontato dai TS è stato individuato e dibattuto da studiosi della traduzione e da traduttori professionisti in Brasile e in India. Sono stati presi in esame, ovviamente in modo assai critico, la politica colonialistica angloamericana dei tempi passati e il colonialismo socio-economico di nuovo stile rappresentato dalle multinazionali dei nostri giorni. Niranjana, ad esempio, considera la traduzione in una prospettiva postcoloniale, con particolare rifermento all‟India. Secondo la studiosa, la traduzione esercita una poderosa influenza sulla formazione delle identità in una cultura straniera, 156 Ulrych, La traduzione… cit., p. 236. Ibidem. 158 Bassnett, op. cit., p. 15. 157 49 specie se quella cultura si trova in uno stato di asservimento. La traduzione, quindi, non ha fatto altro che perpetuare i rapporti diseguali e profondamente sbilanciati tra popoli, culture e linguaggi. In un simile contesto, ripensare la traduzione, riformularla alla luce di simili osservazioni diventa di primaria importanza. Niranjana ritiene inoltre che una posizione critica e decisa verso la traduzione rappresenti l‟unico vero modo per liberarsi dalla „schiavitù‟ della colonizzazione; la traduzione assume quindi la funzione di resistenza sociopolitica alla soggezione della colonizzazione. Come si è cercato di dimostrare nel corso di questa trattazione, i TS sono una disciplina bon solo in continua espansione, ma – attraverso il loro contributo – aprono le porte a prospettive159 promettenti. Tuttavia, fino a quando non si perverrà a un approccio integrato, fino a quando cioè gli studiosi che si occupano delle diverse branche della disciplina non saranno disposti a mettere insieme le loro esperienze e a scambiarsi opinioni, la ricerca sulla traduzione sarà sempre frammentaria e, in un certo qual senso, parziale. 1.2.4 La traduttologia in Francia da Mounin alla psicolinguistica Se, come si è già detto, la fase scientifica della storia della traduzione inizia nella seconda metà del „900, grazie al contributo della linguistica strutturale e della teoria dell‟informazione, nel saggio del 1944 Variations sur les Bucoliques, Paul Valéry cominciava a delineare la problematica traduttiva 160, attraverso un approccio che sarebbe stato simile a quello adottato negli anni ‟60 e ‟70. Traducendo le Bucoliche di Virgilio, Valéry muoveva dall‟idea secondo la quale l‟attività poetica è già, di per sé, una forma di traduzione. Il poeta quindi considerava il processo traduttivo come un fenomeno altamente creativo: «la traduzione non deve mettere a confronto il testo di partenza con quello di arrivo, ma 159 Come si è visto, oggigiorno i punti di contatto sono ben più numerosi dei punti di contrasto, grazie all‟elemento culturale che caratterizza entrambi gli approcci, quello letterario e quello linguistico. Sembrerebbe quindi che i tempi siano maturi per una ridefinizione radicale del campo e dei fini dei T.S., specie nel settore degli studi su corpora di testi in formato elettronico. Studi descrittivi su corpora informatizzati ampi offrono ovviamente un‟opportunità eccezionale di verificare schemi linguistici e culturali di comportamento traduttivo già identificati su corpora di testi relativamente ridotti e frammentari. Nonostante queste indagini non siano state ancora compiute su corpora imponenti, la combinazione di nuove tecnologie, unitamente agli approcci critici dei T.S., offre prospettive promettenti per il futuro, oltre che l‟opportunità di colmare il divario oggi esistente fra le diverse branche della disciplina. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 151. 160 Manuela Raccanello, La traduttologia in Francia, in Ulrych, Un approccio… cit., p. 263. 50 deve diventare il luogo in cui si rapportano due poetiche, due processi creativi dinamici»161. A proposito del problema della fedeltà all‟originale, Valéry era cosciente del fatto che in un testo poetico ogni parola avesse una propria unicità semantica; tuttavia, la fedeltà – se esclusivamente circoscritta al senso – era una sorta di „tradimento‟: anche la sostanza sonora aveva un suo ruolo e la tessitura del significante poetico non doveva venire meno. Nella sua traduzione delle Bucoliche Valéry prediligeva una sorta di ricreazione poetica che tenesse conto dell‟intrinseca necessità ritmica; ciò nondimeno il traduttore non avrebbe dovuto adottare soluzioni metriche identiche all‟originale; Valéry procedeva quindi traducendo ogni esametro con un alessandrino, rinunciando alla rima, in modo da rimanere quanto più vicino possibile all‟originale. Per il poeta quindi – ed è questo il punto di svolta – tradurre non significava imitare, ma produrre con mezzi diversi effetti uguali: «je confesse une fois de plus que le travail m‟interesse infiniment plus que le produit du travail» 162 . Da queste stesse posizioni si muoverà la traduttologia dopo la svolta degli anni ‟50, quando la scienza della traduzione non sarà più dominata dalla linguistica diacronica, ma dalla linguistica strutturale e descrittiva. Tra gli esponenti più in vista del periodo, tra coloro cioè che riusciranno a coniugare la teoria della traduzione alla linguistica, vi sarà Georges Mounin, autore de Les Belles infidèles, manifesto in cui vuol rimuovere il concetto di intraducibilità. Mounin afferma che insistere sulla dicotomia fra traducibilità/intraducibilità distoglie erroneamente lo studioso dai problemi reali che pone un testo da tradurre. La traduzione è necessaria, e non è mai né completamente possibile, né completamente impossibile, ma «ha piuttosto le caratteristiche di un inesauribile rapporto dialettico»163. Per quel che riguarda il metodo traduttivo da impiegare, Mounin adopera un‟efficace metafora, distinguendo tra vetri trasparenti e vetri colorati. Nel primo caso si tratterebbe di francesizzare il testo, epurandolo da qualsiasi elemento che ricordi l‟originalità straniera; nel caso dei vetri colorati, il traduttore si serve della tecnica di traduzione parola per parola, mantenendo intatte le strutture semantiche, morfologiche e sintattiche del testo di partenza. In entrambi i casi sarà comunque 161 Raccanello, op. cit., p. 263. Paul Valéry, Calepin d‟un poète, in Id., Œuvres, Bibliothèques de la Plèiade, Paris, Gallimard,1957, p. 1456. 163 M. Raccanello, op. cit., p. 265. 162 51 necessario non solo rispettare il contenuto, ma soprattutto il senso globale 164, semantico e pragmatico dell‟originale, che è molto più ampio dei singoli elementi linguistici che compongono un testo. Inoltre, Mounin introduce un concetto nuovo, legato alle culture di riferimento: per lo studioso la traduzione non è caratterizzata dal contesto linguistico, ma dall‟insieme dei rapporti esistenti tra le due culture, quella del testo di partenza e quella del testo di arrivo. Con Les problèmes théoriques de la traduction Mounin viene consacrato come fondatore della traduttologia francese, poiché in quest‟opera non solo sintetizza e rielabora le teorie di filosofi, linguisti e antropologi, da Humboldt a Martinet, da Bloomfield a Saussure e a Nida, ma cerca di stabilire quale sia lo statuto moderno dell‟atto del tradurre. Mounin si sofferma sui problemi che la connotazione pone al traduttore: in quanto parte del linguaggio, la connotazione, al pari della denotazione, deve essere tradotta; tuttavia «l‟atmosfera linguistica che avviluppa le parole, per l‟estrema soggettività che le caratterizza, resiste alla traduzione. Se è possibile tradurre i significati denotativi di un testo, ciò non è altrettanto facile per quelli connotativi» 165. Infine, nei Problèmes più che offrire al traduttore gli strumenti necessari al proprio lavoro, Mounin lo mette in guardia da ciò che non deve fare: per non correre il pericolo dell‟ipertraduzione, del libero adattamento e dell‟infedeltà, il traduttore dovrà evitare le disparità e la mancanza dell‟omogeneità linguistica e stilistica nel testo di arrivo. Un contributo importante alla traduttologia all‟inizio degli anni ‟70 venne dato da Henri Meschonnic, teorico della traduzione letteraria e in particolare di quella biblica. Per lo studioso la necessità di una teoria traduttiva non deve essere intesa come momento speculativo, avvicinando in questo modo la riflessione teorica alla pratica traduttiva: traduzione testuale «est un empirisme qui aujourd‟hui peut se transformer en expérimentation, devenir pratique théorique et non plus artisanat esthétique, c‟est-à-dire une poétique en actea u lieu d‟une idéologie appliquée» 166. Confutando alcuni principi teorici di Nida come ad esempio la dicotomia, all‟interno del processo traduttivo, tra denotazione e connotazione e, di conseguenza, 164 Cfr. Raccanello, op. cit., p. 266. Ivi, p. 268. 166 Henri Meschonnic, Traduction d‟un texte prophétique, in AA.VV., Colloque sur la traduction poétique, Parigi, Gallimard, 1978, p. 95. 165 52 tra il senso e lo stile, Meschonnic – non ammettendo la separazione di significante e significato – arriverà ad affermare che quando si ha un testo si ha tutto 167: «scindere la traduzione in due momenti, uno che trasmetta il significato e l‟altro che lo abbellisca formalmente (poétisation) senza riconoscere il concetto unico di forma-senso, significa perseverare sulla strada ormai desueta, che vuole relegare lo stile alla sola funzione estetica»168. Coinvolgendo l‟ambito più vasto della langue-culture, per Meschonnic la traduzione può seguire due principi, il decentramento e l‟annessione. Si parla di decentramento quando l‟attività traduttiva si realizza nel suo duplice aspetto, e cioè il momento interlinguistico e quello interculturale. Questo tipo di traduzione implica inoltre una partecipazione interpretativa del traduttore, connotandosi come reénonciation169 specifica di un soggetto storico. IL testo d‟arrivo mantiene e riconosce la diversità linguistico-culturale con il testo di partenza: in questo modo, non essendo influenzato da nessuna contingenza ideologica, la traduzione mantiene nel tempo la propria validità. Il principio dell‟annessione – generato dal sistema letterario contemporaneo – si avvale solo illusoriamente dello statuto di trasparenza: «illusion du naturel, […] comme si un texte en langue de départ était écrit en langue d‟arrivée, abstraction faite des différences de culture, d‟époque, de structure linguistique» 170. Infatti, non riconoscere il ruolo storico dell‟attività traduttiva significa negare le trasformazioni che la traduzione171 ha prodotto nella cultura d‟arrivo, che invece rappresenta un momento di scambio e di modernità. Sempre negli stessi anni Jean-René Ladmiral, altro esponente illustre delle teorie traduttive in Francia, proporrà la propria riflessione sotto forma di théorèmes, affrontando il problema traduttivo dal punto di vista semiotico-semanticista. Al pari di Meschonnic rifiuta l‟equivalenza tra traduzione e arte, opponendosi alla dicotomia tra forma e senso; inoltre entrambi sono accomunati dalla convinzione secondo cui 167 Meschonnic, op. cit., p. 311. Raccanello, op. cit., p. 272. 169 Ibidem. 170 Meschonnic, op. cit., p. 306. 171 È Meschonnic a fare la distinzione tra traduzione ristretta (intesa come operazione di passaggio da una lingua all‟altra) e traduzione generalizzata (operazione di passaggio da un qualsiasi sistema segnico a un altro). Cfr. Meschonnic, op. cit., p. 24 e sgg. 168 53 tradurre non è solo un fatto linguistico, ma «un momento che coinvolge un complesso più vasto designato come périlangue»172. La teoria traduttiva di Ladmiral, nota col nome di prasseologia 173, propone strumenti didattici adatti ad affrontare l‟attività traduttiva: Senza essere normativa né sistematica, ma piuttosto un bricolage frammentario, una sorta di “rhapsodie de théorèmes disjoints affrontés à la tourmente de la pratique” (Ladmiral 1987: 123), la traduttologia deve farsi pragmatica, svincolandosi da un‟impostazione essenzialmente teorica. Per rispondere alle esigenze della prassi traduttiva, è indispensabile che essa sappia “mettre au point un „produit‟” […] (Ladmiral 1979: 8) e allarghi il campo di indagine a un insieme interdisciplinare, senza peraltro compromettere la propria autonomia 174. In un articolo del 1986 Ladmiral attua una distinzione tra i sourciers, ovvero coloro che sono legati al significante della langue del testo-source, e i ciblistes, che intendono rispettare il significato – ovvero il senso e il valore – di una parole che deve prodursi nella lingua-cible 175. Il primo tipo di traduzione, quello che Ladmiral chiama source, tende a copiare quanto più aderentemente possibile l‟originale, tanto dal punto di vista linguistico, quanto da quello culturale, «a un punto tale da non renderlo più comprensibile in modo diretto, se non attraverso un apparato di note a piè pagina» 176; nel secondo tipo di traduzione, chiamata cibliste, il traduttore ricerca un‟espressione naturale, cercando di ricreare nel pubblico della lingua ricevente lo stesso effetto che il messaggio originale aveva prodotto nei suoi destinatari originali. A proposito dell‟annosa questione sulla traducibilità/intraducibilità, lo studioso sostiene che sia necessario andare oltre la contrapposizione tra l‟equivalenza formale e quella dinamica, vale a dire il mot-à-mot alle belles infidèles. Per Ladmiral infatti la traduzione non è una transcodificazione: tradurre non equivale a trasporre «les mots172 Raccanello, op. cit., p. 276. La prasseologia di Ladmiral stabilisce «qu‟entre ces deux pôles opposés il existe une relation dialetique»; formulando i teoremi sulla traduzione Ladmiral porta al superamento della visione antinomica, tipica di un dibattito disancorato alla prassi e incline a destoricizzare i problemi teorici per porli in un eternità ideale. Cfr. Id, Traduire: théorèmes pour la traduction, Payot, Paris, 1979, p. 90. 174 Ivi, p. 277. Le opere a cui Raccanello fa riferimento sono rispettivamente J.-R. Ladmiral, Le français dans le monde. Retour à la traduction, “Traductologiques”, 1, 1987, pp.18-25 e Id., Traduire… cit., p. 27. 175 Cfr. J.-R. Ladmiral, Sourciers et ciblistes, “Revue d‟Esthétique”, 12, 1986, p. 19. 176 Ivi, p. 21. 173 54 source par les mots-cible selon une correspondance supposéé bi-univoque entre les uns et les autres»177; partendo invece da concetti saussuriani di langue e parole Ladmiral definisce l‟attività traduttiva come «une opération de méta-communication assurant l‟identité de la parole à travers la différence des langues» 178. Egli insiste poi sulla dimensione ermeneutica del traduttore che si configura come momento fondamentale dell‟atto traduttivo. Il traduttore, in questo processo ermeneutico, ha libertà di scelta: opera cioè tenendo presente il pubblico d‟arrivo, la familiarità di questo con l‟autore dell‟originale e con la langue-culture179. Ladmiral si sofferma sul problema della connotazione, che è di competenza non della stilistica, bensì della semantica. In primo luogo lo studioso, sulla base delle formulazioni di Hjelmslev, distingue tra connotazione semantica e semiotica. La prima è riconducibile al contenuto semantico, mentre la seconda deriva dal funzionamento testuale: «una semantica della traduzione, che si prolunga in un punto di vista semiologico o transemantico, favorisce un giusto approccio testuale da parte del traduttore, aiutandolo ad affrontare i diversi referenti connotativi per ricrearli nel texte-cible»180. La questione della tipologia testuale e delle differenti strategie traduttive viene affrontata in un saggio del 1981, Éléments de traduction philosophique. Ritenendo insufficiente la tradizionale dicotomia fra traduzione tecnica e traduzione letteraria, lo studioso introduce un terzo modo di tradurre, la traduzione filosofica, e, più in generale la traduzione del discorso teorico-culturale. La traduzione filosofica è destinata a diventare il vero banco di prova per i traduttori: essa «est de même nature (sinon de même degré) que l‟œvre littéraire dont elle est un effet, historique et littèraire»181. Nella seconda metà degli anno ‟80 Antoine Berman elaborerà una nuova teoria della traduzione, escludendo ogni categorizzazione normativa e metodologica, e sviluppando invece un nuovo atteggiamento etico. Punto di riferimento per Berman è il dibattito traduttivo sviluppatosi in Germania in epoca romantica, la cui vivacità e attualità ha contribuito a offrire nuovi spunti di riflessione teorica ed empirica nell‟ambito della pratica traduttiva. 177 Ladmiral, Théorèmes… cit., p. 106. Ivi, p. 223. 179 Cfr. Raccanello, op. cit., p. 279. 180 Ibidem. 181 Ladmiral, Sourciers… cit., p. 36. 178 55 Egli rifiuta una teoria della traduzione che si fondi su uno statuto logoro che connota il traduttore a farsi piccolo piccolo, oppure a «servir deux maîtres […] servir l‟œuvre, l‟auteur, la langue étrangère, […] le public et la langue propre»182. Berman parte dal presupposto secondo cui la traduzione vive nella perenne dicotomia tra eticità ed etnocentrismo. Secondo lui la traduzione deve aprirsi «à l‟Autre, féconder le Propre par la médiation de l‟Étranger»183, e, d‟altra parte, deve rispondere alla tendenza opposta, quella narcisistica che spinge ogni cultura verso l‟autosufficienza. Partendo dall‟idea di Meschonnic secondo cui tradurre non è annessione, ma decentramento, anche Berman definisce la traduzione come „accoglienza‟, come se si trattasse – per usare una metafora dello stesso Berman – di un «auberge du lointain»184, in cui si riconosce la differenza culturale e linguistica della traduzione, accettando l‟estraneità al sistema culturale della cultura ricevente. Alla traduzione etnocentrica, vale a dire quella traduzione che «filtra, traveste e nega sistematicamente la presenza dell‟altro, Berman contrappone la finalità etica del tradurre»185. Bisogna cioè scardinare la vecchia dimensione della traduzione, sostituendola con la traduzione etica, poetica e filosofica. In questo modo «il traduttore è chiamato direttamente in causa; spetta a lui individuare le tendenze deformanti che, forse incosciamente, lo condizionano nelle scelte linguistiche e letterarie. Chi traduce deve pensare a educare il proprio pubblico all‟altro, piuttosto che sfrondare il testo da ogni l‟elemento estraneo, in nome della comunicazione e della leggibilità»186. La traduzione quindi non è una semplice mediazione, ma ha un valore dialogico fondamentale: essa può rigenerare l‟originale, può evidenziare le possibilità rimaste latenti nel testo. Ed è per questo motivo che le ri-traduzioni di quelle opere che sono state pietre miliari della nostra cultura diventano essenziali per dare nuovo impulso vitale a quelle «dont la puissance d‟ébranlement et d‟interpellation avait fini par être menacée à la fois par leur „gloire‟ […] et par des traductions appartenant à une phase de la con science occidentale qui ne correspond plus à la nôtre»187. 182 Antoine Berman, L‟épreuve de l‟étranger, Paris, Gallimard, 1984, p. 15. Ivi, p. 16. 184 Cfr. Antoine Berman, La traduction et la lettre ou l‟auberge du lointain, Paris, Seuil, 1999, p. 2. L‟originale metafora è ripresa dalla tradizione trovadorica, in particolare da una canzone di Jaufré Rudel in cui è presente l‟espressione «l‟alberc de lohn», equivalente ad «asilo per l‟ospite che viene da lontano». 185 Raccanello, op. cit., p. 282. 186 Ivi, p. 283. 187 Berman, L‟épreuve… cit., p. 281. 183 56 Dopo Berman, nel corso degli anni ‟80 e ‟90, nell‟ambito delle teorie sulla traduzione in Francia si è fatta strada la prospettiva sociolinguistica. Un contributo assai importante è venuto da Maurice Pergnier che, ponendosi in una prospettiva critica rispetto allo strutturalismo, e sostenendo – come aveva fatto Benveniste 188 – che le strutture semantiche delle lingue non sono trasponibili, afferma che non sono le parole a essere tradotte, ma le idee: «il messaggio, inteso come il contenuto da tradurre, è l‟unità minima sulla quale poggia l‟operazione traduttiva, ravvisata da altri nella parola o nel monema»189. A tal proposito lo studioso distingue tra „equivalenza di senso‟, che è relativa ai codici, ed „equivalenza di designazione‟, relativa ai discorsi circostanziati. Tradurre significa quindi sostituire un messaggio, o una parte di esso, con un altro messaggio equivalente enunciato nella lingua d‟arrivo. In tal modo la traduzione non si pone più come fenomeno di comparazione interlinguistica, ma come un atto della comunicazione. Quindi, la riflessione sulla traduzione deve essere incentrata sul messaggio e non sulla lingua: «questa variazione prospettica porta a sostituire lo schema tradizionale Lp (lingua di partenza) La (lingua di arrivo), con Mp (messaggio di partenza) Ma (messaggio di arrivo)»190. La teoria della traduzione di Pergnier indaga lo statuto sociale della lingua, concentrandosi quindi sugli ostacoli comunicativi e sulla sua permeabilità/impermeabilità, sempre alla luce dello spessore storico e sociologico di tali sistemi. Come si è visto quindi non mancano gli approcci non solo alla problematica traduttiva, quanto alla terminologia usata e alle soluzioni metodologiche indicate. È evidente che al di là delle diversità metodologiche tra le diverse scuole e, di conseguenza, tra i diversi studiosi, la molteplicità delle teorizzazioni rappresentano validi strumenti di lavoro per i traduttori. Questa nuova disciplina può pertanto permetterci di raggiungere una più profonda comprensione non soltanto della natura della traduzione, ma della natura del linguaggio stessa, oltre che della comunicazione più in generale. 188 Secondo Benveniste è possibile trasporre il contenuto linguistico da una lingua di partenza a una lingua di arrivo; tuttavia «non si può trasporre il contenuto semiotico di una lingua in quello di un‟altra; è l‟impossibilità della traduzione». Si veda É. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris, 1974, p. 228 e sgg. 189 Raccanello, op. cit., p. 284. 190 Ibidem. 57 58 2. Politiche linguistiche e varietà regionali in Francia La Francia possiede una storia linguistica peculiare, che ha visto lo Stato, a partire dal medioevo, attuare una politica centralistica, volta a dotare la nazione di un‟unica lingua comune, a detrimento delle varie parlate regionali. Tuttavia, malgrado il loro uso sia sempre più circoscritto, queste ultime hanno mantenuto una certa vitalità e sono tutt‟oggi presenti nel panorama linguistico francese. In questo capito si cercherà di ripercorrere a grandi linee la storia delle politiche linguistiche di Francia, seguita da un‟analisi più ravvicinata delle varietà delle lingue regionali, esaminate, attraverso dei brevi excursus storici, nella loro distribuzione spaziale e nella loro vitalità attuale. 2.1 Le politiche linguistiche in Francia Il rapporto tra Stato e lingua in Francia risale al periodo della rinascita carolingia (durante la quale Carlo Magno attua una rigorosa politica culturale e linguistica) quando cioè si costituiscono le lingue romanze, in particolare il francese, che è il primo idioma ad accedere alla forma scritta – in occasione della redazione di un testo politico, il Giuramento di Strasburgo, dove non solo si avverte il legame tra un idioma e un territorio, ma si percepisce inoltre l‟aspirazione a una lingua comune transdialettale) 191. Durante il lungo processo di unificazione dello Stato francese (che dura parecchi secoli e può considerarsi concluso solo nel 1789) 192, le province che a mano a mano vengono annesse hanno l‟obbligo di utilizzare la lingua francese nelle attività amministrative e giudiziarie. Così accade ad esempio nel caso della provincia sud-occidentale del Béarn: «Voulons en outre et ordonnons que les ordonnances, arrêts et procédures de notre dite soient faits et expédiés en langage françois» 193. 191 Cfr. Bernard Cerquiglini, La politique linguistique, in Gérald Antoine, Bernard Cerquiglini (sous la direction de), Histoire de la langue française 1945-2000, Parigi, CNRS Editions, 2000, vol. 3, p. 599. 192 Cfr. Hervé Abalain, Le français et les langues historiques de la France, Paris, Gisserot, 2007, p. 67. 193 Documento citato in Abalain, op. cit., p.108. 59 Nonostante ciò le parlate regionali continuano a essere molto praticate, tanto che lo stesso Racine ne fa amara esperienza quando soggiorna a Uzès dove, per riuscire a comunicare, deve avvalersi dell‟uso dell‟italiano e dello spagnolo 194. La politica linguistica, condotta in precedenza dalla corona francese, non ha d‟altronde intrapreso una lotta sistematica contro i dialetti, tanto che gli stessi reali, nei loro viaggi interni, sono soliti ricorrere all‟ausilio degli interpreti. Verso la fine del XVI secolo, il francese è di fatto una lingua straniera nella grande maggioranza del paese, tanto che dopo l‟emanazione di molteplici ordinanze195, viene utilizzato nella redazione degli atti ufficiali solo nelle province in cui si parla la lingua d‟oïl, mentre nelle regioni più lontane la diffusione avanza più lentamente e ad esempio «le gascon reste encore au XVI e siècle la langue officielle du parlement de Navarre»196. La situazione cambia in maniera radicale con la Rivoluzione francese, durante la quale prende vigore una nuova ideologia che, allo scopo di rafforzare l‟unità nazionale, conduce a una durissima lotta contro le lingue regionali. La nuova politica linguistica diventa quindi sempre più rigorosa, in ragione anche del prestigio culturale che ha assunto la lingua francese all‟estero durante il secolo illuminista, mentre in Francia milioni di persone ancora la sconoscono. La legge del 2 termidoro anno II (20 luglio 1794) all‟articolo 1 recita che «À compter du jour de la publication de la présente loi, nul acte public ne pourra, dans quelque partie que ce soit du territoire de la République, être écrit qu'en langue française»; mentre l‟articolo 3 precisa che «Tout fonctionnaire ou officier public, tout agent du Gouvernement qui, à dater du jour de la publication de la présente loi, dressera, écrira ou souscrira, dans l'exercice de ses fonctions, des procès-verbaux, jugements, contrats ou autres actes généralement quelconques conçus en idiomes ou 194 Cfr. Jean Racine, Oeuvres de Jean Racine, Paris (imprimerie Belin), Petitot, 1813, pp. 25-26. In una delle lettere inviate al cugino La Fontaine si può leggere: «Je vous jure que j‟ai autant besoin d‟un interprète, qu‟un Moscovite en auroit besoin dans Paris. Néanmoins je commence à m‟apercevoir que c‟est un langage mêlé d‟espagnol et d‟italien; et comme j‟entends assez bien ces deux langues, j‟y ai quelquefois recours pour entendre les autres et pour me faire entendre”. A causa del difficile reperimento dell‟opera, la consultazione è avvenuta tramite la versione digitalizzata (che riproduce esattamente l‟originale) al seguente indirizzo: http://books.google.com/books?id=X2YOAAAAYAAJ& dq=inauthor%3AJean%20inauthor%3ARacine%20intitle%3Alettres&lr=&pg=PA23#v=onepage&q&f =false. 195 Ordonnance de Moulins (Carlo VIII) del 28 dicembre 1490, che imponeva che gli atti di giustizia nel Languedoc fossero redatti in francese o nella lingua madre; ordonnance de Villers-Cotterêts (Francesco I) del 15 agosto 1539, che prescriveva l‟uso del francese in tutti gli atti ufficiali; ordonnance du Roussillon (Carlo IX) del gennaio 1563, la quale imponeva ancora una volta la redazione in francese degli atti amministrativi e giudiziari. 196 Mireille Huchon, Histoire de la langue française, Paris, Livre de Poche, 2002, p.132. 60 langues autres que la française, sera traduit devant le tribunal de police correctionnelle de sa résidence, condamné à six mois d'emprisonnement, et destitué». Tale decreto viene sospeso alcune settimane più tardi, per essere ripreso nei suoi punti essenziali da un nuovo provvedimento emanato dai Consoli il 24 pratile anno XI (13 giugno 1803), a dimostrazione del fatto che il nuovo regime ha la ferma intenzione di sopprimere tutte le differenze culturali e linguistiche, che devono convergere in un modello unico in grado di cancellare un multilinguismo che viene percepito dalla classe dirigente della nuova Repubblica come eccessivamente retrogrado. La Rivoluzione francese segna quindi, in negativo, una svolta decisiva nella storia delle lingue regionali: a questo proposito una figura di primo piano è senz‟altro quella dell‟abate Gregorio, deputato della Convenzione, che lancia un‟inchiesta relativa all‟uso dei patois, il cui risultato integra il «Rapport sur la nécessité et les moyens d‟anéantir les patois et d‟universaliser l‟usage de la langue française» del 16 pratile anno II (4 giugno 1794), in cui viene evidenziato che su una popolazione di circa ventisette milioni di abitanti soltanto tre milioni sono capaci di parlare correntemente il francese. Agli occhi del religioso appare indispensabile che la lingua del legislatore e quella dei cittadini coincidano, senza contare che il francese si configura come la «langue de la liberté» della Repubblica «une et indivisible», mentre gli idiomi regionali «prolongent l‟enfance de la raison et la vieillesse des préjugés» 197. Rafforzando il legame costitutivo dello Stato e della lingua francese ed estendendolo alla nuova idea di «Nazione», la società politica nata dalla Rivoluzione si forgia anche attraverso la lingua che viene imposta a tutti, così che «la triade État/Nation/Langue peut à bon droit passer pour la figure française de la République»198 In questa prospettiva, la politica linguistica viene applicata soprattutto nelle scuole. Il decreto del 30 vendemmiaio anno II (21 ottobre 1793) ordina che l‟insegnamento deve farsi esclusivamente in francese su tutto il territorio. Durante il XIX e il XX secolo vengono prese molte decisioni che testimoniano tutta la virulenza di una politica repressiva volta a eliminare i patois dallo scenario linguistico della Francia. Dopo la sconfitta del 1870 contro le truppe prussiane, molti responsabili politici si interrogano sulle debolezza dell‟armata francese, individuando la scuola 197 198 Cfr. Abalain, op. cit., pp.111-2. Cerquiglini, op.cit., p. 600. 61 come corresponsabile della disfatta: i soldati francesi sono incapaci di comprendere la lingua che parlano i loro ufficiali. Così gli sforzi dei dirigenti del paese si concentrano in modo da rendere gratuita e obbligatoria la frequenza scolastica: dal 1882, quando l‟insegnamento primario viene reso obbligatorio fino a 13 anni (lois de Jules Ferry), le lingue locali vengono sistematicamente escluse dal sistema educativo. Non solo tutti gli atti legislativi vanno in questa direzione, ma una serie di strategie sociali – spesso vessatorie e umilianti – vengono utilizzate per impedire ai giovani allievi l‟uso del dialetto: la più tristemente nota è senz‟altro quella conosciuta col nome di «symbole» (ma anche, a seconda delle zone, «vache, sabot, bouchon, bobine, signum»), che consiste nell‟appendere al collo dell‟allievo, sorpreso a parlare nella lingua locale, un oggetto che ne segnala la colpa e ne sancisce il disprezzo col quale deve essere considerato199. La lingua locale, demonizzata e combattuta nella scuola, viene avvertita per molte generazioni, anche inconsciamente, come un limite grave alle possibilità lavorative e di inserimento in generale nella vita sociale. Tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo la “crociata” contro i dialetti colpisce anche i rapporti tra Stato e Chiesa, poiché quest‟ultima viene accusata di utilizzare la lingua locale nell‟insegnamento del catechismo e nelle prediche. Il 30 ottobre 1890 il Directeur des Cultes, «l‟inamovible et monomaniaque Charles Dumay»200, invia «aux préfets des départements en situation de dissidence linguistique [una circolare] au sujet de l‟emploi des dialectes locaux ou étrangers par les prêtres»201. Lo scontro si inasprisce a un punto tale che in Bretagna un centinaio di preti sono «frappés de suspension de traitement dans les années 1902 et 1903»202. Lo sforzo di estendere la conoscenza del francese standard su tutto il territorio non riesce tuttavia a sconvolgere le abitudini linguistiche delle famiglie rurali. Nel secondo dopoguerra, quando sono trascorsi sessantatre anni dall‟istituzione della scuola obbligatoria, laica e gratuita, i veterinari, i medici, i notai, i rappresentanti di commercio, etc. che ignorano le lingue locali hanno difficoltà di comunicazione. In 199 Cfr. Jean Le Dû, La progression du français en France, in Gérald Antoine, Bernard Cerquiglini (sous la direction de), Histoire de la langue française 1945-2000, Paris, CNRS Editions, 2000, vol. 3, p. 667. 200 Jean Balcou, Yves Le Gallo, Histoire Littéraire et culturelle de la Bretagne, Paris, Champion, 1987, vol. 3, pp. 17. 201 Ivi, p. 18. 202 Ivi, p. 19. 62 alcune città operaie, abitate da lavoratori di recente origine rurale, il francese è tutt‟altro che la lingua dominante.203 La constatazione di questa anomalia spinge alcune formazioni politiche ad avanzare delle proposte di legge che rimedino all‟ingiustizia di ricevere l‟insegnamento scolastico in una lingua sconosciuta: La proposition Hervé (1947) e la proposition Marty (1948) – presentate dal partito comunista – che rivendicano il diritto per coloro che parlano rispettivamente bretone e catalano di avere un insegnamento in quelle lingue, vengono seguite da altre proposte simili – provenienti anche da altre aree politiche – e aprono la strada alla promulgazione nel 1951 della loi Deixonne, che permette l‟insegnamento (non obbligatorio) nella scuola primaria di un‟ora di basco, di bretone, di catalano e di occitano da parte di insegnanti volontari non remunerati; mentre nella scuola secondaria possono essere attivati dei corsi di dialetto a fronte di una richiesta di almeno dieci alunni, i quali possono acquisire una certificazione tramite un esame facoltativo alla maturità. Si tratta di un primo tentativo – che viene integrato e migliorato negli anni successivi – per proteggere le minoranze linguistiche, anche se in realtà molte parlate locali, considerate vere e proprie lingue straniere, vengono totalmente ignorate: il fiammingo viene assimilato all‟olandese, il corso all‟italiano, l‟alsaziano e il francomosellano al tedesco, mentre il francoprovenzale non viene neanche preso in considerazione, tanto da spingere Gaston Tuaillon a qualificarlo come «langue oubliée»204. Il linguista Jean Le Dû si interroga sullo statuto sociolinguistico di queste parlate, arrivando alla conclusione che esse costituiscono con il francese una coppia diglossica in cui, nella metà del XX secolo, l‟uso del francese è riservato alla scuola, all‟amministrazione, alla città, in poche parole all‟uso formale, costituendo il registro che lo studioso qualifica come disparitaire: fondato sulla scrittura, serve nei rapporti istituzionali e dispone di una capacità universale di comunicazione. Si tratta di un francese libresco, più o meno di buona qualità a seconda dell‟attitudine di chi lo utilizza, in ogni caso non è mai spontaneo. La lingua regionale, l‟altro elemento della coppia, invece si configura come il registro paritaire: unicamente orale, viene utilizzato nei rapporti sociali egualitari, all‟interno di un gruppo di prossimità. Il suo 203 Le Dû, op. cit., p. 668. Tuaillon Gaston, Le franco-provençal, langue oubliée, in Vermes Geneviève (sous la direction de), Vingt-cinq communautés linguistiques de la France, Paris, Harmattan, 1988, vol. 1, p.188. 204 63 spazio verbale è «celui de la sensibilité, tandis que celui du registre disparitaire est celui de la formalité. Le coeur et la raison. Cela explique que les anecdotes en langue régionale perdent […] leur sel en français, que certains mots ou expressions sont intraduisibles: c‟est qu‟ils son attachés à un contexte affectif, au souvenir de rapports familiers, à une connivence incommunicable»205. Dopo il 1945 la Francia, sotto la spinta di una crescita economica senza precedenti, fondata sullo sviluppo industriale – che nel periodo compreso tra il 1950 e il 1973 ha raggiunto livelli tanto alti da far gridare al «miracle français»206 – conosce un periodo di grandi trasformazioni: l‟isolamento secolare delle campagne viene rotto dalla costruzione di un moderno sistema stradale, mentre, grazie all‟estensione della rete elettrica, si diffonde l‟uso di radio e televisione. La meccanizzazione dell‟agricoltura e il bisogno di manodopera industriale determinano un importante esodo rurale, aiutato anche dalla crescita esponenziale del settore terziario. Anche l‟uso del francese, legato all‟instaurarsi – all‟interno della popolazione rurale – di rapporti commerciali di tipo capitalistico, conquista velocemente nuovi territori sociali. L‟ampliamento di scambi economici con ambienti poco familiari, legati perlopiù alla vita cittadina – banche, cooperative, mercanti di macchinari agricoli o industriali – comportano rapide trasformazioni delle mentalità. Alcuni parlanti di lingue regionali avevano iniziato già prima della guerra, in base alle loro competenze linguistiche, ad allevare i propri figli usando il francese come lingua madre207. La trasmissione familiare della lingua nazionale, sporadica prima della guerra e più o meno avanzata a seconda delle regioni, si generalizza rapidamente. Intanto a livello dirigenziale, sono molte le personalità che negli anni ‟60 spingono affinché lo Stato intervenga non solo per espandere l‟uso del francese, ma anche per combattere contro la diffusione degli anglicismi. Nel 1964 viene pubblicato Parlez vous franglais? di René Etiamble, nella cui quarta di copertina l‟autore afferma che «les français passent pour cocardiers ; je ne le crois pas indignes de leur légende. Comment alors se fait-il qu'en moins de vingt ans (1945-1963) ils aient saboté avec entêtement et soient aujourd'hui sur le point de ruiner ce qui reste leur meilleur titre à la prétention qu'ils affichent: le Français. Hier encore langue universelle de l'homme blanc cultivé, le Français de nos concitoyens n'est plus qu'un sabir, honteux de son 205 Le Dû, op. cit., p. 670. Ivi, p. 671. 207 Cfr. Gaston, op. cit., pag. 201. 206 64 illustre passé. Pourquoi parlons-nous franglais?»208. Nel 1965 il governo Pompidou prende la decisione di creare «un Haut Comité pour la défense et l‟expansion de la langue française» (che nasce ufficialmente il 31 marzo 1966), col compito di pilotare e coordinare le differenti iniziative, a volte poco coerenti tra loro, dei numerosi ministeri. Sarà proprio tale comitato a dare l‟impulso a una serie di azioni legislative in materia di creazione di nuovi termini e di norme che impongono l‟uso obbligatorio del francese nel commercio e nella pubblicità: lo scopo è quello di arricchire il linguaggio scientifico in francese rimpiazzando il più possibile gli anglicismi 209. In questo contesto le lingue regionali di Francia conoscono un ulteriore declino, facilitato anche dall‟assenza della trasmissione di un‟eredità linguistica di cui la famiglia è la maggiore depositaria, a causa essenzialmente delle forti pressioni psicologiche, economiche e sociali a cui l‟uso del dialetto viene sottoposto: le lingue e le culture regionali sono presentate come un handicap per il futuro dei giovani. La principale causa della decadenza dei patois è senza dubbio la loro progressiva e inarrestabile perdita di prestigio che però non si fonda su questioni intrinseche alla lingua, perché «il n‟y a rien en soi, dans la phonologie, la morphologie, la syntaxe ou le lexique d‟une langue, qui soit porteur de prestige»210, ma su considerazioni legate alla natura politico-economico-sociale dei parlanti: nobiltà e borghesia rinunciano alla propria lingua perché la associano a una cultura popolare – quindi inferiore – e «ils se persuadent, notamment, qu‟elle est inapte à l‟expression de la modernité, et incapable d‟exprimer les idèes abstraites, sans savoir, évidemment, que n‟importe quelle langue a ce pouvoir, dès lors qu‟on prend la peine d‟entreprendre une action néologique»211. Gli anni ‟70 segnano una svolta capitale nella società francese: il paese è ormai entrato nella modernità, ma la crisi è alle porte. Cominciano a manifestarsi una serie di movimenti che preconizzano un ritorno a una sana vita rurale e, opponendosi ai prodotti industriali, ripiegano sui valori sicuri di un‟immaginaria età dell‟oro. È a partire da questo periodo, anche se c‟erano già stati alcuni tentativi che andavano in questa direzione212, che le lingue regionali vengono rivalutate, soprattutto dal mondo 208 René Etiamble, Parlez vous franglais?, Parigi, Gallimard, 1964. Cfr. Alain Rey, Fréderic Duval, Gilles Siouffi, Mille ans de langue française. Histoire d‟une passion, Paris, Perrin, 2007, pp.1289-1290. 210 Claude Hagège, Halte à la mort des langues, Paris, Odile Jacob, 2000, p. 155 211 Ivi, p. 159 212 A partire dalla loi Deixonne, i primi progetti di legge in favore delle lingue regionali fondano le loro ragioni sulla vitalità che nonostante tutto tali parlate mantengono presso i locutori. Nel 1961, la 209 65 politico che, sentendo meno minacciata l‟unità nazionale, depone le armi che aveva teso contro le parlate locali e intraprende anzi, alcune iniziative volte alla salvaguardia delle lingue minoritaria che, nonostante tutto, rappresentano per molti francesi un modello identitario importante213. Le lingue regionali riescono, a poco a poco, a ritagliarsi degli spazi più o meno grandi sui media: le antenne decentralizzate di Radio France (come Radio-Corse Frequenza Mora o Radio-France Bretagne-Ouest) propongono informazioni locali e generali in lingua regionale, mentre in TV vengono trasmessi dei programmi culturali o di cronaca a cadenza settimanale, con durata variabile a seconda delle regioni 214. Il cambiamento di rotta della politica nei confronti delle parlate locali, viene sancito dalle parole che François Mitterand pronuncia durante la campagna presidenziale del 1981: «Le temps est venu d‟un statut des langues et cultures de France qui leur reconnaisse une existence réelle. Le temps est venu de leur ouvrir grandes les portes de l‟école, de la radio et de la télévision permettant leur diffusion, de leur accorder toute la place qu‟elles méritent dans la vie publique» 215. Nonostante ciò, quando nel 1992 il Consiglio d‟Europa adotta, con la convenzione europea ETS 148, la “Carta europea per le lingue regionali o minoritarie” (che ha lo scopo di proteggere le lingue regionali e minoritarie, e di contribuire al loro sviluppo promuovendone l‟uso nella vita pubblica, economica e sociale) la Francia è tra i cinque paesi – su ventisette – che si astengono dal voto a favore. La Carta entra in vigore il 1° marzo 1998: la Francia attende fino al 7 maggio 1999 per firmarla, senza però ratificarla. Questo perché il 16 giugno 1999 il Consiglio Costituzionale francese emette parere contrario, poiché la Carta sarebbe in contrasto con la Costituzione francese che all‟articolo 2 recita che «la langue de la République est le français» proposta Le Duc recita quanto segue: «nos langues de France, parlées par plusieurs millions de paysans, de pêcheurs, d‟artisans de chez nous». Ben presto però quest‟argomentazione lascia il posto all‟interesse nazionale. Le lingue regionali diventano così nelle varie proposte di legge «porteuses d‟une culture originale» (Coste-Floret, 1958) e costituiscono «richesses infiniment précieuses qui font partie du patrimoine national» (Crouan, 1959), «un capital culturel» (Hostache, 1960), «sauvegarde d‟un héritage spirituel dont la France est comptable» (Bayou,1963). 213 Nel 1981 il progetto di legge Le Pensec espone la seguente visione delle cose: «Chacune de ces langues traduit la personnalité profonde d‟une région. Par elle s‟est exprimée au long des siècle set continue à s‟exprimer la vie du peuple qui l‟a transmise jusqu‟à nos jour set qui, grâce à elle, a élaboré une authentique culture faite à son image et à son usage. Comme toutes les langues elle recèle des possibilités de créativitè parfaitement adaptables au monde moderne. Elle doit permettre, si on lui en donne les moyens, le libre épanouissement d‟une population à qui elle évitera la dépersonalisation et l‟effacement dans une psudo culture uniformisèe, négation de toute culture authentique, qui suppose liberté, spontaneité et diversité». 214 Cfr. Le Dû, op. cit., p. 680. 215 Cfr. http://discours.vie-publique.fr/texte/827006800.html 66 (verso aggiunto il 25 giugno 1992 con legge costituzionale). Nel frattempo, il 4 agosto 1994, viene promulgata la legge n° 94-665, conosciuta come loi Toubon, successivamente modificata, ma ancora in vigore che, pur riconoscendo la legittimità dell‟uso delle lingue regionali nell‟insegnamento, è volta soprattutto a proteggere la lingua francese dall‟imperante dilagare dell‟inglese. La legge prevede infatti che venga utilizzato l‟idioma nazionale per la redazione di tutti i testi legali, i contratti di lavoro, le pubblicità, la garanzie dei prodotti di consumo e i relativi libretti di istruzione. La norma viene successivamente edulcorata, quando il Consiglio Costituzionale, interpellato a questo proposito, sentenzia che, in accordo con il principio di libertà, di pensiero e di espressione contenuto nella Dichiarazione dei diritti dell‟uomo e del cittadino, non si può imporre la lingua che gli organi di informazione e i privati cittadini devono utilizzare 216. La tutela del francese e delle lingue regionali viene affidata nel 2001 alla Délégation générale à la langue française et aux langues de France (DGLFLF), che ha come obiettivo quello di «veiller à la promotion et à l'emploi du français sur le territoire national, favoriser son utilisation comme langue de communication internationale et développer le plurilinguisme, garant de la diversité culturelle» 217. La situazione della Carta europea permane nel frattempo in fase di stallo: nel 2007 Sarkozy, durante la campagna elettorale dichiara: «Si je suis élu, je ne serai pas favorable à la Charte européenne des langues régionales. […] J‟ai la conviction qu‟en France, terre de liberté, aucune minorité n‟est opprimée et qu‟il n‟est donc pas nécessaire de donner à des juges européens le droit de se prononcer sur un sujet qui est consubstantiel à notre identité nationale et n‟a absolument rien à voir avec la construction de l‟Europe218. La classe politica è divisa tra coloro che sono favorevoli alla ratifica e coloro che sono contrari. I primi affermano che è necessario che si mantengano una volta per tutte le promesse elettorali e che lo Stato deve impegnarsi nella difesa delle lingue minoritarie come avviene nella maggior parte dei paesi europei, sottolineando inoltre che la Francia tradirebbe i suoi principi se non fosse rispettosa della lingue che esistono sul suo stesso territorio. I contrari asseriscono che la ratifica della carta comporterebbe uno spreco 216 Cfr. Rey, Duval, Siouffi, op.cit., pp. 1292-6. Louis-Jean Calvet, La guerre des langues et les politiques linguistiques, Paris, Hachette, 1999, p. 46. 218 http://www.elysee.fr/documents/index.php&press_id=2305. 217 67 enorme di denaro pubblico in quanto si darebbe luogo ad un riconoscimento legale delle lingue regionali e ad un loro utilizzo, in qualità di lingue ufficiali, nei testi di legge, decreti e nelle sentenze dei tribunali; cosa che provocherebbe tra l‟altro un insostenibile allungamento dei tempi. Secondo loro è auspicabile investire sulla promozione del francese come lingua universale, o sull‟apprendimento di lingue straniere, piuttosto che ripiegarsi su idiomi che, per quanto meritino rispetto, sono praticati in uno spazio ristretto. Senza contare che secondo loro la Carta rappresenta un pericolo per la Repubblica, le sue istituzioni e i suoi valori, perché indebolirebbe lo Stato-nazione repubblicano. Il 7 maggio 2008, durante l‟Assemblea nazionale dedicata al dibattito sulle lingue regionali di Francia, il ministro della cultura e delle comunicazioni, Christine Albanel, a proposito del mancata ratifica della Carta, dichiara: «La ratification de la Charte implique la reconnaissance - qui n'est pas seulement symbolique - d'un “droit imprescriptible” de parler une langue régionale, notamment dans la sphère publique. Ce droit figure en effet explicitement dans le préambule de la Charte, ce qui, comme l'a souligné le Conseil constitutionnel, est contraire à des principes constitutionnels aussi fondamentaux que l'indivisibilité de la République, l'égalité devant la loi et l'unité du peuple français». Ma lo stesso ministro aggiunge, aprendo le porte ai difensori delle lingue regionali, che «rien ne nous empêche de mettre en valeur les bonnes pratiques, et de conforter, s'il y a lieu, les “territorialisations” existantes, dans le respect de nos valeurs républicaines. […] Nous devons normaliser et organiser l'apprentissage et l'emploi des langues régionales dans notre société, par une forme de codification. […]Il s'agit de permettre et non pas de contraindre, d'inciter et non pas d'imposer. Il s'agit - tout en rappelant la primauté du français dans notre société d'ouvrir un espace d'expression plus large à d'autres langues historiquement parlées sur notre territoire, et non pas de reconnaître des droits spécifiques et “imprescriptibles” aux locuteurs de ces langues. Bref, il s'agit de favoriser l'exercice d'une liberté d'expression et non pas de créer des obligations nouvelles pour l'État»219. L‟ultimo atto politico relativo allo sviluppo delle lingue e delle culture regionali è la proposta di legge n° 3008 depositata alla presidenza dell‟Assemblea nazionale il 7 dicembre 2010. Tale proposta, che non è stata ancora discussa, parte dal presupposto che ancora oggi non esiste in Francia nessuno statuto legale delle lingue 219 http://www.tlfq.ulaval.ca/axl/europe/France-declaration-gouv-mai08.htm. 68 regionali, ma solo una politica di tolleranza. L‟intento dei firmatari della proposta sarebbe non tanto quello di garantire particolari diritti a determinati gruppi, ma di organizzare una politica di protezione pubblica delle pluralità linguistiche. 2.2 Le lingue regionali in Francia Poiché in Francia non esistono censimenti linguistici ufficiali, per avere un‟idea della situazione, bisogna fare riferimento ai dati contenuti in due rapporti sulle lingue regionali, consegnati al governo francese nel luglio del 1998 e nell‟aprile del 1999. Il primo, Langues et cultures régionales220 di Bernard Poignant, sindaco di Quimper, ci consente di redigere una lista di lingue regionali parlate sull‟insieme del territorio metropolitano, presentando un quadro piuttosto esaustivo dell‟impiego di tali lingue nell‟insegnamento e nei media. Il secondo, Les langues de France221, commissionato a Bernard Cerquiglini – direttore dell‟Istituto nazionale della lingua francese – in vista dell‟adozione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, indica ben 75222 lingue che possono essere considerate come lingue regionali: 24 per la Francia metropolitana e 51 per i DOM-TOM (Départements d‟outre-mer/ Territoires d‟outre mer). Secondo la DGLFLF (Délégation générale à la langue française et aux langues de France) le lingue di Francia sono «les langues régionales ou minoritaires parlées traditionnellement par des citoyens français sur le territoire de la République, et qui ne sont langue officielle d‟aucun État»223. I rapporti Poignant e Cerquiglini citano per quanto riguarda le lingue parlate nella Francia metropolitana i seguenti idiomi: 1. Lingue romanze: lingue d‟oïl (otto in totale: franc-comtois, wallon, picard, normand, gallo, potevin-santongeais, bourguignon-morvandiau, lorrain l‟occitan o langue d‟oc e le sue varietà (gascon, languadocien, provençal, auvergnat-limousin e alpin-dauphinois) 220 http://buan1.chez.com/poignant.htm. http://www.dglf.culture.gouv.fr/lang-reg/rapport_cerquiglini/langues-france.html. 222 Nel 2008 le 75 lingue repertoriate da Cerquiglini sono diventate 79 nel testo (già citato a proposito del discorso pronunciato in occasione della mancata ratifica della Carta europea sulle lingue minoritarie) del ministro della Cultura e della Comunicazione davanti al Senato: l‟occitan è stato rimpiazzato da ognuno dei suoi componenti, cioè l‟auvergnat, il gascon, il ilimousin, il provençal e il languedocien. Cfr: http://www.tlfq.ulaval.ca/axl/europe/france-1demo.htm. 223 http://www.dglf.culture.gouv.fr/. 221 69 Catalan Corse Francoprovençal 2. Lingue germaniche: Flamand occidental Alsacien Francique lorrain 3. Lingua celtica: Breton 4. Lingua non indo-europea: Basque 5. Altre lingue (non fanno parte delle lingue “storiche”, ma provengono dal fenomeno dell‟immigrazione): Berbère Arabe dialectal Yiddish Romani chib(lingua parlata dai rom e dai sinti) Arménien occidental Le lingue trans-frontaliere (che fungono cioè da passerella verso altri sistemi linguistici) sono: l‟alsacien, il francique, il basque, il catalan, il flamand e il francoprovençal; le lingue trans-regionali (che non appartengono a un territorio definito) sono: il berbère, lo tsigane, e l‟yiddish. 70 L‟INSEE (Institut National de la Statistique et des études Economiques) in occasione del censimento del 1999 ha condotto un‟inchiesta (Langues régionales, langues étrangères: de l'héritage à la pratique224) su un campione di 380.000 persone, pubblicata nel febbraio 2002, volta a fornire indicazioni sull‟uso pratico delle lingue regionali nella Francia metropolitana. Alle persone intervistate è stato chiesto in quali lingue, dialetti o patois i genitori parlavano loro quando avevano cinque anni; se gli intervistati avevano figli, veniva chiesto in che lingua parlavano ai loro figli quando questi ultimi avevano cinque anni; venivano inoltre poste delle domande sulle lingue diverse dal francese che gli intervistati utilizzavano con gli amici e i parenti. I risultati relativi ai questionari hanno evidenziato che225: il 74% delle persone intervistate ha dichiarato che i loro genitori parlavano esclusivamente il francese il 10% ha risposto che i loro genitori parlavano abitualmente il francese e occasionalmente un‟altra lingua il 6% che i genitori parlavano abitualmente un‟altra lingua e occasionalmente il francese il 2% ha dichiarato che i genitori parlavano abitualmente due lingue l‟8% che i genitori non parlavano il francese Prima del 1930 un quarto dei francesi parlava una lingua regionale; negli anni ‟70 solo una persona su dieci; negli anni ‟90 i genitori che parlano ai propri figli una lingua regionale sono rimasti il 3% Il 13% dei francesi parla una lingua regionale, e il 13 % parla anche delle lingue straniere; ma le lingue regionali vengono trasmesse dal 35% di coloro che le hanno apprese, contro il 66% per le lingue straniere. L‟INSEE ha stilato una classifica delle lingue regionali più diffuse, stimando che: 548.000 persone adulte (sopra i 18 anni) parlano alsacien, 526.000 occitan, 295.000 breton, 204.000 una langue d‟ oïl, 132.000 catalan, 122.000 corse, 78.000 platt lorrain (francique), 73.800 basque, 60.000 flamand occidental. 224 http://www.insee.fr/fr/ffc/docs_ffc/IP830.pdf . Cfr. François Héran, Alexandra Filhon, Christine Deprez, La dynamique des langues en France au fil du XXe siècle, in “Population et société”, bulletin mensuel de INED, n° 376, Parigi, febbraio 2002. La consultazione è avvenuta tramite connessione al seguente indirizzo web: http://www.ined.fr/fichier/t_publication/65/publi_pdf1_pop_et_soc_francais_376.pdf. 225 71 Appare evidente che le lingue regionali non godono di ottima salute e che sono in fase regressiva. Per quanto ci sia un certo interesse e una rivalutazione nei loro confronti, molto spesso vengono percepite dagli stessi locutori come poco utili. L‟interesse che si ha nei loro confronti è essenzialmente di ordine culturale, poiché rivestono un valore simbolico per l‟identità regionale. Eppure, anche se la loro localizzazione è spesso motivo di contrasto tra i linguisti, la loro esistenza, come dice il linguista Hervé Abalain, riflette una realtà innegabile: «la présence du français sur l‟ensamble du territoir n‟a pas supprimé ces langues, témoins d‟un passé, d‟une histoire et d‟une culture enracinés dans un territotire donné» 226. Di seguito viene inserita una cartina delle lingue regionali parlate 227 oggigiorno in Francia: 226 227 Abalain, op.cit., p.152. Per una trattazione più dettagliata cfr. Abalain, op. cit., pp. 153-298. 72 2.2.1 Le lingue romanze Oltre al francese, molte lingue romanze sono parlate in Francia. L‟evoluzione del latino e le differenze tra il nord e sud del paese diedero origine alle varietà d‟oïl e d‟oc, che a loro volta si sono evolute in altre varietà dialettali. Di seguito viene proposto un breve excursus sulle varietà regionali derivate dalle lingue d‟oc e d‟oïl. 2.2.1.1 Lingue d‟oïl Il territorio delle lingue d‟oïl si estende dalla Santonge, dalle isole anglonormandes, dalla Bretagne romane, dalla Normandie e dalla Picardie alla Bourgogne e alla parte nord occidentale della Svizzera, arrivando a nord fino alla frontiera tra il Belgio, il Lussemburgo e la Francia, mentre a sud il confine tra lingue d‟oïl e lingua d‟oc parte dalla foce della Gironde, Libourne, ingloba Angoulême, L‟Isle-Jourdain, La Chartre per e terminare Moulin nel confine settentrionale del francoprovençal. Da La Rochefoucauld a Roanne si estende una interferenza zona di linguistica, chiamata croissant a causa della sua forma, la cui larghezza può variare dai 20 ai 50 km: le parlate sono ibride (oïl-oc) perché le due lingue si sono influenzate a vicenda, anche se il francese tende oggi a dominare su entrambe. Non bisogna dimenticare che le frontiere linguistiche e dialettali non coincidono necessariamente con quelle politiche o amministrative delle antiche province francesi o delle più recenti provincie belghe: il picard condivide con il wallon e il normand un certo numero di tratti comuni; nella Franche-Comté meridionale si parla francoprovençal, mentre più a nord la lingua è diversa. 73 I raggruppamenti fatti da molti linguisti tengono conto sia degli aspetti geografici sia di fattori linguistici di prossimità. Si può in tal modo fare una suddivisione approssimativa delle aree linguistiche: al centro, intorno all‟Ile-de-France: l‟orléanais, il tourangeau, il bourbonnais e il berrichon vengono considerati come della variazioni linguistiche che sono confluite a poco a poco in un francese regionale; al nord: il picard, l‟haut-normand e il wallon; a est e a nord-est: lo champenois, il lorrain, il bourguignon (che include spesso le parlate del Morvan; il franc-comtois è una lingua di transizione verso il francoprovençal; a ovest: l‟anglo-normand, il bas-normand, il gallo e l‟angevin; a sud-ovest: il potevin-santongeais (che comprende anche l‟angoumois). Il wallon viene parlato soprattutto in Belgio (in Wallonie: nella parte meridionale dell‟Hainaut, nella parte meridionale della provincia del Brabant, nelle province di Liège, Namur e in una parte della provincia del Luxembourg), tranne nella Gaume (o Lorraine belge), nell‟area del picard e di una piccola frangia dello champenois. In Francia si parla nella regione di Givet (nelle Ardenne francesi). Il wallon ha dato vita, a partire dal XVI secolo, a una letteratura di una certa qualità, i cui esponenti più conosciuti sono Nicolas Defrecheux (1827-74) e Edouard Remouchamps (18361900). Dall‟inizio del XX secolo, il wallon dispone di un‟ortografia standardizzata, grazie a Jules Feller che svolse tale incarico commissionatogli dalla société liégeoise de la littérature wallonne. A partire dal 1930 il wallon ha subito un rapido declino: secondo gli specialisti, 800.000 persone lo capiscono e 200.000 lo utilizzano, ma non esistono più locutori monolingue. Il suo insegnamento è stato autorizzato nel 1983 ed è abbastanza diffuso nella scuola primaria. Sulla stampa locale appaiono occasionalmente degli articoli in wallon, mentre la televisione pubblica trasmette un 74 paio d‟ore alla settimana un programma dialettale. Per quanto sul territorio francese il wallon sia parlato solo in un luogo molto circoscritto – Givet – bisogna segnalare che la lingua gode di una notevole vitalità, dovuta senza dubbio alla vicinanza con il Belgio. Il picard, lingua trans-frontaliera, è parlato in una vasta area del nord della Francia (nei dipartimenti del Nord e del Pas-de-Calais – tranne che nell‟area fiamminga della regione di Dunkerque, nella Somme, e in una parte dell‟Aisne e dell‟Oise, nonché nella parte nord della Seine-Maritime) e in una parte del Belgio: Artois, Flandre wallonne, l‟Hainaut (fino a La Louvière). Si chiama ch‟ti nel NordPas-de-Calais, e rouchi nella regione di Valenciennes. Le diverse parlate che lo compongono sono comprensibili fra loro. Oggi, le lingue di prossimità – soprattutto il francese – esercitano una forte influenza sul picard e, poiché gli spostamenti delle persone sono cresciuti in maniere esponenziale sin dalla fine del XIX secolo, una certa uniformazione linguistica delle diverse parlate si può riscontrare un po‟ dappertutto (resistono ancora discretamente bene le regioni di Amiens, di Vimeu e di Ponthieu). A partire dagli anni ‟60, si sono fatti dei tentativi per cercare di adottare un‟ortografia comune, che si è lentamente imposta negli ambienti universitari: è la grafia denominata di “Feller-Carton”, dal nome di Jules Feller che la mise a punto per il wallon, e del professore Carton che l‟ha adattata al picard. La lingua è oggi utilizzata per la composizione di innumerevoli opere: spettacoli, teatro delle marionette, canzoni tradizionali e moderne; mentre le radio locali molto spesso trasmettono programmi in lingua. Importante è anche la tradizione della letteratura orale, spesso incoraggiata dalle numerose associazioni culturali che ruotano intorno a due federazioni: Insanne (Nord-Pas-de-Calais), che si adopera per il riconoscimento del picard come lingua regionale, e Tertous (Picardie, Flandre, Artois) che promuove una serie di attività anche molto diverse tra loro come il racconto, il teatro, la musica, la scrittura, la danza, giochi e sport tradizionali. La letteratura in picard annovera autori di successo, tra cui Jules Mousseron (1868-1943) e i contemporanei Aimé Savary e Paul Mahieu il cui successo testimonia 75 tutta la vitalità del picard. Ciononostante il numero di locutori è notevolmente diminuito nel corso degli ultimi decenni e la lingua resta confinata all‟ambito familiare o della ristretta cerchia di amici. Peraltro se si omettono i casi delle università di Lille e di Amiens (dove si svolgono degli studi particolari in seno a discipline più genericamente linguistiche) la lingua non viene insegnata nelle scuole. Il lorrain designa un insieme di parlate romanze della Lorena, oggi poco praticate, i cui centri di diffusione maggiore si trovavano in una parte della Meurtheet-Moselle e della Moselle, nella Meuse, i Vosges, e in alcune zone di dipartimenti vicini. In Belgio viene parlato nel paese di Gaume, nei pressi di Virton, dove viene chiamato gaumais. Il numero di locutori sarebbe inferiore a 2000, ma oggi si manifesta un rinnovato interesse verso la lingua, evidenziato dalle molteplici iniziative ideate da varie associazioni culturali; la tradizione dei cantastorie non solo non si è spenta, ma i loro spettacoli conoscono un successo sempre maggiore. La lingua viene inoltre salvaguardata perché oggetto di studi di alto livello presso l‟Università di Nancy. Lo champenois, diffuso nella regione Champagne-Ardenne, indica oggi otto parlate molto diverse, di cui alcune – nella regione di Troyes e di Reims – sono parecchio vicine al francese, mentre altre, in Haute-Marne, sono più vicine alle parlate del bourguignon. Lo champenois viene usato anche nei pressi del dipartimento dell‟Aube e in alcune zone (molto ristrette) delle Ardennes, della Marne e dell‟Aisne; viene praticato anche nella Seine-et-Marni, nell‟Île-de-France e in Bourgogne (nell‟Yonne). In Belgio è diffuso in alcuni paesi a sud-est di Namur ed è abbastanza vivo nelle zone di confine. Tra i vari autori champenois, il più celebre è senza dubbio Chrétien de Troyes. Il normand, parlato nei dipartimenti della Seine-Maritime, dell‟Eure, del Calvados, dell‟Orne e della Manche, offre molteplici varietà sia in Haute-Normandie che in Basse-Normandie, la più meridionale delle quali potrebbe a volte confondersi con il gallo. Pare sia parlato da 20.000 locutori, ma l‟assenza di ricerche approfondite non consente di precisare quale sia il loro livello di competenza (leggere, scrivere, parlare). Il normand è parlato soprattutto nella penisola del Cotentin, nel pays d‟Auge e nel pays de Caux. L‟attività culturale in lingua è molto fervente: esistono numerose opere di racconti, novelle, poesie e anche romanzi, per non parlare della canzone 76 tradizionale. L‟associazione Pouour prechi normaund (per parlare normand) organizza spesso incontri culturali che rappresentano un‟ottima occasione per praticare la lingua. Nel territorio bretone, il gallo occupa la parte orientale di una linea immaginaria, che va da Plouha fino alla penisola di Rhuys, la cui parte occidentale è invece occupata dal breton, anche se non sono rari i casi che costituiscono eccezione. Mentre il breton è una lingua celtica, il gallo deriva dal romanzo ed è imparentato con il potevin e l‟angevin. Contrariamente a una credenza molto diffusa, il gallo non è una deformazione del francese, ma costituisce un idioma completo a sé stante. Il gallo viene parlato anche nella Loire-Atlantique (tranne nella penisola di Guérande) dove subisce però l‟influenza del potevin; lo si parla inoltre nelle aree limitrofe della Mayenne e del Main-et Loire. Anche se di origine romanza, il gallo è una lingua di Bretagne, con un importante sostrato gallese, influenzata nel passato dal breton nella zona mista da Dinant a Saint-Brieuc, circostanza, questa, che gli ha conferito una certa originalità tra le lingue d‟oïl. Il gallo è stato ufficialmente riconosciuto nel 1977, quando il Presidente V. Giscard d‟Estaing evocò il pays gallo nel discorso che pronunciò a Ploërmel228 e, nel 1978, dalla Charte culturelle de Bretagne nella quale lo stato si impegnava a «donner au parler gallo, à la olangue bretonne et à leurs cultures spécifiques, les moyens nécessaires à leur développement y compris dans l‟enseignement et à la radiotélévision»229. Esiste una letteratura in gallo ben nota agli specialisti, tra cui si annoverano opere come Le livre des Manières, opera in versi composta da Etienne de Fougères nel 1178. Tra gli autori contemporanei si possoni ricordare Claude Boruel e François Budel. Programmi in gallo vengono trasmessi spesso nelle radio locali e numerose sono le riviste in lingua. Molto ricca è anche la letteratura orale, che presenta una serie innumerevole di canzoni, proverbi, indovinelli, racconti leggendari, poesia, etc. Il Consiglio regionale di Bretagne ha riconosciuto all‟unanimità, nel dicembre 2004, il breton e il gallo come lingue della regione, poiché il gallo è la «langue 228 http://discours.vie-publique.fr/notices/777001100.html 229 . http://www.ofis-bzh.org/upload/travail_paragraphe/fichier/126fichier.pdf. 77 romane spécifique à la Bretagne»230. Il potevin, lo charentais, l‟angoumois e il santongeais sono parlati nei dipartimenti della Vandée, dei deux-Sèvres, una parte della Vienne, nella Charente e Charente-Maritime, nel sud della Loire-Atlantique e del Maine-et-Loire, nel nord della Gironde e in alcune località dell‟Indre-et-Loire e dell‟Haute-Vienne; nella parte orientale della Charente e all‟estremo sud della Vienne è in uso l‟occitan. Una tale dispersione su molteplici dipartimenti spiega la grande diversità linguistica che sottostà alla denominazione, relativamente recente, di potevin-santongeais. Tale appellativo ha seguito la creazione della regione Poitu-Charente e l‟inaugurazione di corsi di lingua regionale all‟università di Poitiers: le due federazioni, l‟UCP (Union pour la culture populaire) nel Poitu-Charente-Vandée e la SEFCO (Société d‟ethnologie et de folklore du Centre-Ouest) nel Saintonge si sono allora riunite per la difesa e la promozione delle due lingue e del patrimonio culturale delle antiche province del Poitu, dell‟Aunis, dell‟Angoumois e della Saintonge. L‟Union pour la culture populaire en Poitu-Charentes-vendée copre cinque dipartimenti e raggruppa circa settanta associazioni: le loro attività sono molto diverse e vanno dalla musica e la danza alla letteratura orale e alla lingua regionale. Una scrittura normalizzata è stata utilizzata dalla fine del XX secolo, mentre una Grammaire e un Dictionnaire sono stati pubblicati rispettivamente nel 1993 e nel 1996. Molte riviste in lingua vengono pubblicate e diverse radio locali programmano emissioni in dialetto. La lingua locale è molto presente nella vita quotidiana, anche se non ne è previsto l‟insegnamento a scuola. Il franc-comtois viene parlato nella Franche-Comté: a nord dei dipartimenti del Doubs e del Jura, nella Haute-Saône, a est della Saône,-et-Loire e nel territorio di Belfort; lo si parla anche nello Jura bernois, in Svizzera. La Franche-Comté, oggi regione di passaggio, è stata a lungo isolata, cosa che ha favorito la preservazione della lingua fino al XIX secolo: successivamente l‟esodo rurale, la riduzione delle attività agricole, l‟industrializzazione e l‟urbanizzazione hanno a poco a poco determinato il declino della pratica linguistica. Malgrado il franc-comtois non venga insegnato a scuola, esistono delle società di patoisants nella regione, e una Union des patoisants en langue romane de la trouée 230 http://www.bretagne.fr/internet/upload/docs/application/pdf/200812/plan_de_politique_lingusitique. pdf. 78 de Belfort et régions limithrophes, creata nel 1984, che pubblica annualmente un Bullettin de l‟Union des patoisants. Il bourguignon, diffuso in una parte della Bourgogne, viene parlato a nord della Saône,-et-Loire, nella Côte-d‟Or, a est del Nièvree a sud dell‟Yonne; a ovest e a sud-ovest prende il nome di morvandiau. Le lingue di prossimità sono lo champenoia a nord, il berrichon a ovest, il francoprovençal della Bresse louhanaise a sud e il comtois a est. Quest‟area linguaistca si è molto evoluta a partire dal XIX secolo e la lingua, già frammentata in molte parlate, a subito gli effetti della francesizzazione. La lingua viene insegnata come opzione in alcuni collegi del Morvan, mentre l‟università di Dijon organizza corsi di dialettologia. Esistono trasmissioni radiofoniche in dialetto e alcuni quotidiani locali pubblicano occasionalmente degli articoli in lingua. 2.2.1.2 Lingua d‟oc (occitan) L‟Occitanie è uno spazio linguistico che ricopre quasi interamente 31 dipartimenti del sud della Francia, 12 valli alpine del Piemonte e la Val d‟Aran in Spagna, per un totale di oltre quindici milioni di abitanti. In Francia questo territorio corrisponde all‟incirca a sette regioni amministrative: Aquitaine, Auvergne, Languedoc-Roussillon, Limousin, MidiPyrénées, Provence- Alpes-Côte-d‟Azur, Rhône-Alpes, a cui si aggiunge una buona parte del dipartimento della Drôme. Malgrado questi territori non possiedano una storia continua hanno comune, un numero sufficiente di similitudini perché si possa parlare di un‟entità originale, una sorta di paese a parte, e comunque di un territorio ben delimitato che comprende un 79 quarto della popolazione francese. A nord, la frontiera dell‟Occitanie è cambiata molto poco dal medioevo: parte dal luogo in cui confluiscono Dordogne e Garonne, comprende il Limousin e l‟Auvergne, ripiega quindi verso sud-est fino alla frontiera italiana a nord di Briançon. Descrive così una vasta curva che passa a nord da Libourne, include Ribérac, Confolens, Bellac, passa a sud da Guéret e da Montluçon, includendo Gannat, Chateldon, Thiers, Ambert, Valence e Briançon. Questa linea sale fino a nord del Limousin, ridiscende a sud della Savoie e comprende una piccola parte delle Alpi italiane. A sud, fatta eccezione per la Val d‟Aran in Spagna, il confine coincide all‟incirca con quello dei Pirenei, il Mediterraneo e l‟antica contea di Nice. Tra la zona delle lingue d‟oïl e l‟Occitanie esiste un‟area intermedia che si estende da ovest a est, da La Rochefoucault, in Charente, a Lapalisse, nell‟Allier, su una larghezza che arriva fino a 50 km – al cui interno si registrano fenomeni linguistici intermedi oïl/oc, e che prende il nome di Croissant (a causa della sua forma). Le città principali all‟interno di quest‟area sono Le Dorat, La Souteraine, Guéret, Boussac, Montluçon, Commentry, Vichy. L‟occitan è inoltre parlato nella Val d‟Aran, dove l‟arenais, varietà del gascon, è dal 28 giugno 1990 lingua ufficiale con il catalano e il castigliano 231. La lingua è inoltre parlata in alcune valli alpine italiane delle province di Torino e Cuneo e nel paesino di Guardia Piemontese (CS). L‟occitan appartiene alla grande famiglia delle lingue romanze, al galloromanzo nello specifico, così come il francese, il francoprovenzale e il catalano; lo spagnolo e il portoghese derivano dall‟ibero-romanzo; l‟italiano e il sardo dall‟italoromanzo; il romano e il dalmata dal balcano-romanzo. Rispetto al francese, che fu influenzato dalla fonetica germanica, la lingua d‟oc è rimasta molto conservatrice rispetto al latino, sia nella fonetica che nella morfologia. Così, ad esempio, il latino capra è diventato chèvre in francese, ma cabra in occitan; o ancora sapere è diventato rispettivamente savoir e sabere. È a partire dal VII secolo che, secondo i linguisti, avvenne una cesura tra l‟area d‟oïl nel nord della Francia e l‟area d‟oc nel sud. Nel Vulgari Eloquentia, Dante Alighieri distingue la «lingua d‟oco», la lingua d‟oïl e quella del si (in base al modo di dire «sì» nei territori in cui venivano parlate). 231 Secondo dei sondaggi effettuati nel 1986, solo una minima parte della popolazione (6,8%) non conosce l‟occitan; nel 1992 l‟80% era in grado di parlarlo regolarmente. 80 L‟occitan medievale era caratterizzato da una relativa omogeneità: i trovatori se ne servivano con gioia perché era una lingua poetica, una lingua letteraria comune che variava molto poco da una regione all‟altra. Tra i primi trovatori figurano degli scrittori del Limousin come Bertran de Bòrn e Guiraut de Bornelh, tanto che inizialmente la lingua occitana venne chiamata lenga lemosina. La denominazione contemporanea occitan/langue d‟oc ha il merito di mettere l‟accento sul carattere specifico del territorio linguistico d‟oc, all‟interno del quale si trovano il gascon, il languedocien, il provençal, il limousin, l‟auvergnat, e il vivaro-alpin. Si tratta quindi di un termine generico che contiene un insieme di dialetti. I linguisti classificano queste varietà dialettali in due grandi aree: il nordoccitan che comprende il limousin, l‟auvergnat e il vivaro-alpin, e l‟occitan meridionale che ragruppa il gascon, il languedocien, e il provençal. A loro volta, queste varietà raggruppano in certi casi altre parlate specifiche232. La lingua quindi non è realmente unitaria, essendo in qualche modo l‟occitan la somma delle varietà che la compongono. D‟altronde la lingua d‟oc non è mai stata strettamente unificata, anche se i trovatori se ne servivano come lingua comune – una sorta di koiné – perché si spostavano da una corte a un‟altra e costituivano una sorta di «corporazione» di conoscenze condivise che implicava il ricorso a una lingua comune, ma nel parlato i grandi dialetti attuali erano già conosciuti, e differenziati, da tempi remoti. Nello scritto, le differenze tra le varie regioni sono meno sensibili che nel parlato. Le prime testimonianze datano del X secolo e sono per lo più atti giuridici, mentre per i testi letterari bisogna attendere un secolo di più; La Canzon de Sancta Fides d‟Agen, composta a Narbona alla fine dell‟XI secolo (1030-70) inaugura il glorioso periodo della poesia in lingua d‟oc. Il XII e il XIII secolo vedono il trionfo della lirica cortese: il numero dei trovatori è considerevole – ne sono stati recensiti oltre quattrocento – tra cui si annoverano nomi celebri come quello di Arnaut Daniel, Jaufre Rudel, Bernard de Ventadorn o del già citato Bertran de Bòrn. Costoro si servivano di una lingua comune, dotata di una grande unità e capace di esprimere i loro sentimenti e le loro emozioni. Tale lingua «unificata» la si ritrova anche negli atti giuridici, nelle preghiere e nei cantici, nei testi liturgici e nelle traduzioni della Bibbia, oltre che nella corrispondenza privata. Dopo la crociata contro gli albigesi (XIII secolo), molti trovatori si rifugiarono 232 Ad esempio il provençal include il rhodanien, il maritime e il niçart. 81 nelle corti spagnole o italiane e la lingua d‟oc perse molto del suo prestigio culturale233. Fino ad allora la lingua d‟oc aveva veicolato in tutta Europa una cultura molto raffinata: l‟occitan si presentava come una lingua classica, unificata, e anche degli scrittori che non la possedevano come lingua madre se ne servivano in ragione del suo grande prestigio. Oggi l‟occitan viene parlato sempre meno nella quotidianità, soprattutto dai giovani, anche se il suo dinamismo e il suo splendore perdurano: il 40% della popolazione lo comprende, il 20-25% lo parla occasionalmente, il 10%abitualmente, il 6% lo sa scrivere234. Per quanto il suo insegnamento sia ufficialmente vietato dalla seconda metà del XIX secolo, dei corsi di lingua sono oggi impartiti dalla scuola materna all‟università (ogni anno molto allievi passano una prova di occitan alla maturità). L‟Institut d‟études occitanes pubblica dei testi scolastici adattati ai vari livelli, mentre il Comité provençal d‟enseignement de la langue d‟oc assicura la coordinazione indispensabile per l‟organizzazione di tali corsi. La Revista Occitana, di livello universitario, viene pubblicata a cadenza semestrale. Anche se bandito dalla vita amministrativa, l‟occitan resta una lingua relativamente vivace negli altri ambiti della vita sociale: le feste paesane sono occasione per organizzare molte attività che prevedono l‟uso del dialetto (teatro popolare, canzoni, poesie, canzoni, etc.). L‟esposizione mediatica della lingua, la vede protagonista di alcune trasmissioni radiofoniche di emittenti locali, o di articoli che appaiono su riviste regionali. Da segnalare l‟uso, da parte di alcuni comuni (Tarbes, Lacq, Orthez, e altri), di una segnaletica stradale bilingue. 233 In seguito furono fatti molti tentativi per cercare di ricostruire la lingua e ridarle l‟antico prestigio: nel XIX secolo viene pubblicato il Dictionnaire provençal-français (oltre 100.000 lemmi, antichi e moderni) del dottor Honnorat (1783-1852) composto dal 1840 al 1848 e che costituisce un‟opera di grande rilievo. 234 Anche questi sono dati ricavabili dall‟inchiesta sopracitata dell‟INSEE. 82 2.2.1.3 Il Catalan A seguito di una storia molto movimentata, il territorio linguistico del catalan comprende quattro Stati diversi per un totale di 11,1 milioni di abitanti (di cui 7 milioni catalofoni): la Comunità autonoma di Catalogna in Spagna e quella contigua d‟Aragona; una piccola enclave nei Pyrénées-Orientales (Llívia); la Comunità autonoma di Valencia; le isole Baleari; la Comunità autonoma di Murcia; il principato di Andorra; la Catalogne-nord (una gran parte del dipartimento dei PyrénéesOrientales); la città di Alghero in Sardegna. I linguisti sono concordi nell‟affermare che il catalan si è formato tra il VI e il IX secolo, come varietà romanza del latino volgare, nei territori compresi tra il Roussillon e le terre dell‟Ebro. Inizialmente il catalan e l‟occitan non di differenziavano, ma destini storici differenti li hanno collegati a insiemi linguistici molto diversi, che ne hanno determinato evoluzioni divergenti, anche se inevitabilmente, vista la contiguità territoriale, esistono numerosi punti in comune. Secondo i linguisti, il catalan è una lingua intermedia tra l‟ibero-romanzo e il gallo-romanzo. Bisogna sottolineare che il catalan non è un dialetto dello spagnolo: il suo lessico è influenzato dalla presenza del francese a nord, del castigliano a sud e dell‟italiano in Sardegna 235 . Per quanto riguarda la Catalogne-Nord, l‟influenza del francese si è fatta sentire a partire dal XIX secolo, prima con le lois Guizot (1833) che istituirono le scuole elementari, poi con la costruzione delle strade ferrate che offrivano sbocchi a nord verso Corbières piuttosto che verso Barcellona. Secondo l‟inchiesta dell‟INSEE, il catalan conta nella Catalogne-Nord, su una popolazione di 393.000 abitanti, 132.000 parlanti, di cui solo il 16% ha un‟età 235 Ecco un esempio che mostra le parentele linguistiche: il latino tabula dà taula in catalan, taula in occitan, tavola in italiano; ma mesa in spagnolo e mesa in portoghese. 83 compresa tra i 18 e i 24 anni, mentre il 73% possiede oltre 55 anni. L‟uso della lingua è in evidente regressione, anche se il 16% degli intervistati ha dichiarato che lo parla regolarmente, cosa che implica una pratica quotidiana che non si limita unicamente alla famiglia o alla cerchia di amici. Gli osservatori notano infatti che la lingua è diffusa non solo nelle campagne, ma anche in alcune città come Perpignan e Prades, probabilmente incoraggiata dai numerosi scambi trans-frontalieri. Se nell‟amministrazione e nella giustizia l‟uso del catalan è bandito, per quanto riguarda l‟istruzione, dal 1982 la circolare Savary ha consentito l‟insegnamento del catalan e oggi, nella scuola primaria, un‟iniziazione alla lingua e alla cultura catalana può essere tra le opzioni formative. Le prime scuole bilingui sono apparse nel 1994, e dal 1982 esiste nell‟università di Pau un corso completo di studi catalani, mentre a Perpignan il catalan è insegnato sia come lingua di Francia che come lingua straniera. Sui media il catalan non è particolarmente presente, si contano sparuti articoli sulla stampa locale e alcune emissioni radiofoniche; interessante risulta invece, nonostante le difficoltà legate all‟esiguo numero di locutori, la pubblicazione libraria che conta dai dieci ai ventitré titoli all‟anno, grazie soprattutto all‟abnegazione delle edizioni Terra Nostra. 2.2.1.4 Il corse Quando la Corsica divenne francese nel 1769, l‟insieme della popolazione parlava il corse, mentre la classe colta parlava anche l‟italiano. Sotto l‟influenza francese, il bilinguismo français/corse si generalizzò a poco a poco, e la politica linguistica fortemente centralizzatrice condotta dallo Stato contribuì molto al declino dell‟italiano, senza tuttavia ottenere rapidi progressi nella pratica della lingua francese. La lunga dominazione genovese sull‟isola aveva permesso infatti sia al corse che al toscano di svilupparsi parallelamente, benché la lingua di riferimento ufficiale restasse il toscano. Nel XIX secolo il corse era del resto considerato come un dialetto dell‟italiano, un dialetto che era rimasto privo della sua lingua, e che bisognava preservare. Il corse è una lingua romanza del gruppo italo-romanzo. Non è un prodotto importato dall‟Italia, ma il risultato di un‟evoluzione propria a partire da situazioni linguistiche diverse introdotte nell‟isola nel corso dei secoli: forte latinizzazione a 84 partire dal I secolo a.C. e forte influenza toscana dal IX secolo. Il corse si è sviluppato nell‟isola prima ancora della nascita dell‟italiano standard (toscano letterario). All‟inizio dell‟era cristiana, la Corsica e la Sardegna praticavano lo stesso idioma, che ha avuto successivamente un‟evoluzione diversa, dando vita al corse e al sardo. Tra il latino insulare parlato in Corsica e ciò che è oggi il corse l‟evoluzione è stata progressiva. A partire dal IX secolo, l‟influenza toscana così come quella di altre varietà linguistiche parlate in Italia, come l‟umbro, il veneziano, il siciliano e il calabrese si sono fatte sentire sull‟isola, tanto da farle avere l‟appellativo di «conservatoire privilegié d‟archaïsmes italiques»236. Benché il corse sia una lingua romanza, una parte consistente del suo lessico non è di origine latina. Si possono distinguere due grandi aree linguistiche: il CentroNord (Cismontano), dove si avverte una netta presenza del toscano, e il Sud (Oltramontano), dove dominano numerosi tratti pre-romani. Fino a quando la Corsica non divenne francese, l‟italiano era sull‟isola la lingua usata dall‟élite e dall‟amministrazione, mentre il corse, lingua parlata, veniva considerato come la versione popolare dell‟italiano: a lungo le due lingue furono considerate come due registri distinti della stessa lingua. Ancora oggi non esiste per il corse una lingua standardizzata ufficiale (esiste invece dal 1971 una grafia unificata237 e ci sono dizionari e grammatiche), così che oggi viene definito come una «lingua polinomica», secondo l‟accezione data dal linguista J.B. Marcellesi, per il quale le lingue polinomiche sono quelle «dont l‟unitéest abstraite et résulte d‟un mouvement dialectique et non de la simple ossification d‟une norme unique, et dont l‟existence est fondée sur la décision massive de ceux qui parlent de lui donner un nom perticulier et de la déclarer autonome des autres langues reconnues»238. Il processo di francesizzazione dell‟isola è durato più di un secolo, dopo l‟annessione del 1769: la repressione linguistica, le leggi scolastiche, ma anche le emigrazioni verso le colonie hanno accelerato la politica linguistica operata all‟epoca, quella del monolinguismo francese. 236 Jacques Fusina, Le corse, in Bernard Cerquiglini (sous la direction de), Les langues de France, Parigi, éd. PUF, 2003, p. 97. 237 Il 1971 è l‟anno in cui viene pubblicato il librodi P. Marchetti e D. Geronimi Intricciati è cambiarine, un manuale pratico di ortografia, che da allora rappresenta l‟opera di riferimento per tutti coloro che vogliano scrivere in corse. 238 Jean-Baptiste Marcellesi, L'action thématique programmée: «Individuation sociolinguistique corse» et le corse langue polynomique, in Etudes corses, n. 28, 1987, p. 7. 85 In effetti, come dappertutto in Francia, le due grandi ragioni dell‟affermazione del francese nella vita insulare sono relative alle leggi scolastiche da una parte e all‟emigrazione verso le colonie dall‟altra, cosa che rendeva indispensabile la conoscenza del francese. Il corse ha prodotto una ricca letteratura orale, che va dalla ninna nanna al lamento funebre, dalle serenate alle filastrocche. Oggi la situazione linguistica della Corsica è ancora molto complessa e multiforme, e i sondaggi indicano che la lingua parlata perde regolarmente terreno. L‟inchiesta dell‟INSEE rivela che 90.000 persone parlano il corse sull‟isola (43.000 lo parlano sul continente), cioè meno del 30% della popolazione (260.196), con una percentuale alta di locutori tra gli agricoltori, gli artigiani, i commercianti e i disoccupati. La lingua è inoltre parlata soprattutto in famiglia e tra amici, raramente in contesti ufficiali. La lingua gode comunque di uno statuto particolare, legato allo statuto amministrativo della Corsica (13 maggio 1991) e il suo insegnamento nelle scuole è in aumento, con corsi specifici che iniziano sin dalle scuole elementari. A parte rare eccezioni (Corse e Corse matin, che pubblicano pochi articoli), la stampa non consacra molto spazio al corse. Sicuramente di maggiore impatto è il ruolo della radio, che attraverso le onde di Voce Nustrale, Radio Corti-Vivui, etc. diffonde parecchi programmi in lingua. La cultura corsa mostra oggi una certa vitalità e sempre maggiori sono le occasioni per allestire eventi a lei consacrati: dalla rappresentazione di opere teatrali curate dall‟associazione U teatrinu a una serie di manifestazioni culturali organizzate da Unione corsa. prolifica anche la produzione di canti tradizionali, proposti da gruppi quali I Mantini oppure Canta u Populu Corsu. 2.2.1.5 Il francoprovençal Col termine francoprovençal viene designato un insieme linguistico intermedio tra le lingue d‟oc e d‟oïl, la cui area d‟estensione corrisponde a una zona che comprende la provincia di Lyon, la Savoie, il nord del Dauphiné, una parte del Forez, il sud della Bourgogne e della Franche-Comté, il Bugey e il sud della Bresse in Francia; il Valais, e i cantoni di Genève, di Fribourg, di Neufchâtel e di Vaud nella Svizzera romanza; infine in Valle d‟Aosta e in alcune vallate piemontesi. Dal XIII secolo, la lingua è parlata anche da alcune centinaia di locutori in un‟isola linguistica 86 nelle Puglie (Faeto e Celle San Vito) dove la dinastia angevina aveva installato delle popolazioni provenienti dalle vallate dell‟ Isère e dell‟Ain. La lingua non rappresenta una mistura di francese e provenzale, ma un gruppo di dialetti, originariamente di lingua d‟oïl, la cui evoluzione è stata più lenta a causa della zona geografica (montagne e vallate) dei luoghi in cui era praticata. Lingua orale, essenzialmente il francoprovençal non è mai stato una lingua nazionale, tanto che neanche nelle zone in cui è ancora relativamente vitale (Valle Isère, d‟Aosta, Savoie, Bresse, Fribourg, Valais) costituisce un forte supporto identitario. Il termine francoprovençal è stato creato nel XIX secolo dal linguista Graziadio I. Ascoli che per primo ha identificato questa lingua come un insieme linguistico specifico. Ma oggi si ha tendenza a utilizzarlo senza trattino, in modo da evitare ogni possibile confusione circa la natura della lingua, che come detto non nasce dal miscuglio di francese e provenzale, ma è caratterizzata da peculiarità specifiche. Il numero dei locutori non è facile da stabilire, in ragione anche dei numerosi dialetti in cui la lingua è frammentata e si ritiene che i parlanti siano all‟incirca 60.000, di cui la maggiorpare avrebbero più di 60 anni. In Savoie esiste oggi una volontà specifica di salvaguardare il patrimonio linguistico del francoprovençal, tanto che l‟Alliance culturelle arpitane promuove l‟insegnamento della lingua e ha previsto l‟adozione di una serie di misure che consentano l‟uso di una scrittura unificata. Nel 2000 è stata creata un‟associazione di insegnanti del savoyard e una sensibilizzazione verso la lingua è proposta in diverse istituzioni scolastiche. Dei centri di dialettologia e di ricerca linguistica esistono nelle università di Lyon, di Grenoble e di Aosta. In Francia il posto riservato al francoprovençal dai media è molto esiguo: solo 87 RCF Haute-Savoie e Haute-Savoie, due radio a forte impronta religiosa-cristiana propongono sporadicamente all‟interno delle loro trasmissioni delle canzoni o dei testi in dialetto. 2.2.2 Lingue germaniche Le lingue germaniche attualmente parlate in Francia sono state introdotte nel paese a partire dal IV secolo, all‟epoca delle invasioni dei Franchi e degli Alemanni. Oggi si distinguono le seguenti parlate: l‟alsacien, il francique e il flamand. I giuramenti di Strasburgo furono, come risaputo, redatti in lingua romanza e in antico tedesco, forme da cui derivarono il francique e l‟alémanique. La frontiera linguistica tra le parlate romanze e quelle germaniche, che oggi attraversa il Belgio, la Lorena, l‟Alsazia e la Svizzera, segue a est più o meno il corso del Reno e del Danubio, dove ha creato delle aree composite nelle quali coabitano delle lingue che si sono mutuamente influenzate, senza però mai fondersi. 2.2.2.1 L‟alsacien Incrocio di scambi europei, ai confini delle culture latina e germanica, l‟Alsace presenta un territorio (comprendente i dipartimenti del Bas-Rhin e del Haut-Rhin) che ha la forma di un quadrilatero con un piccolo rigonfiamento a nord-ovest, avente come confini naturali il Reno a est e i Vosgi a ovest. La situazione linguistica della regione è spiegata in gran parte dal suo destino politico, che la vede appartenere, in maniera continua e alternata, ora alla Francia ora alla Germania. Prima del 1648, quando faceva parte dell‟Impero tedesco, l‟Alsace non era esclusivamente monolingue: la nobiltà, e la borghesia parlavano il francese ma, per questioni essenzialmente religiose, la Chiesa preferiva il tedesco perché, ai suoi occhi, il francese serviva a veicolare le idee della Riforma. Per molto tempo tuttavia, l‟alsacien fu la lingua parlata dal popolo, mentre il tedesco era la lingua usata nell‟amministrazione, nella stampa e nella vita religiosa. Dopo il 1789, quando la Rivoluzione attuò la propria politica linguistica, il tedesco divenne repentinamente una lingua nemica, di superstizione religiosa, mentre il francese era la lingua della libertà. l‟Alsace conosce questa alternanza territoriale e linguistica per molti anni, e a farne le spese sono, ogni volta, popolazione e l‟alsacien. 88 Sebbene ormai non ci siano più politiche apertamente ostili al dialetto, la dirompente diffusione del francese come lingua utilizzata in quasi tutti i contesti della vita sociale, economica e amministrativa della regione determina una regressione sempre maggiore della dell‟uso parlata locale. D‟altronde i media non si preoccupano di valorizzare l‟alsacien, che dal 1999 ha conosciuto una diffusione di solo 71 ore l‟anno su France 3-Alsace. Migliore è la situazione per quanto riguarda le trasmissioni radiofoniche, con diverse emittenti che prevedono trasmissioni in dialettto (Radio-Dreyeckland, Radio Azur FM, etc.) Sulla stampa, pubblica in edizione bilingue il quotidiano Dernières Nouvelles d‟Alsace. L‟espressione culturale alsaziana si manifesta nella letteratura, nel teatro e soprattutto nella canzone, con Roger Siffer e Sylvie Reff. Tra gli scrittori contemporanei i più conosciuti sono Auguste Weckmann e Conrad Winter. Le istituzioni non svolgono particolari attività in sostengno della lingua, limitandosi a offrire la possibilità di studiare il tedesco a scuola sin dalle elementari, occasione di cui approfitta circa il 10% della popolazione scolastica. Tuttavia l‟Alsazia possiede una forte identità linguistica e culturale e, anche se il dialetto è usato come lingua essenzialmente familiare, la popolazione dialettofona consta di un buon numero di parlanti, tra i quali si annovera il 25 % di parlanti giovani. 89 2.2.2.2 Il francique Le parlate del francique occupano oggi uno spazio geolinguisticamente intermedio tra il tedesco e l‟alsacien alémanique da una parte e il flamand dall‟altra. Le sue varianti principali sono il francique ripuaire, il francique luxemboourgeois, il francique mosellan e il francique rhénan. La grande linea di separazione tra le lingue germaniche e quelle romanze attraversa la parte occidentale dell‟Europa. Nella Lorraine passa al sud di Thionville e a ovest di Boulay e Sarrebourg. Il dipartimento della Moselle si trova così diviso in due parti: una germanofona, a nord e a est, l‟altra romanza, a sud. Da oltre quindici secoli tale frontiera linguistica è di notevole stabilità. Nel nord e nell‟est della Moselle, che sono contigui al Lussemburgo e Germania, parla si alla francique che comunemente chiamato anche Platt, sul alsaziano. comporta, il Tale viene diffuso territorio lingua distribuita da ovest verso est, tre varietà dialettali: il francique luxemboourgeois, il francique mosellan e il francique rhénan. Queste tre varietà presentano a volte differenze molto marcate, tanto che l‟intercomprensione, soprattutto con il francique luxemboourgeois è spesso compromessa.Secondo il censimento INSEE-INED, il numero di locutori segnava in punto più basso di una parabola discendente ed era, nel 1999, pari a 78.000 unità. Tutto ciò, come per molte altre lingue regionali, è dovuto a molteplici fattori: le politiche linguistiche accentratrici della Stato, industrializzazione della regione con conseguente arrivo di manodopera straniera, diffusione di radio e televisione, etc. Negli ultimi anni sono nate diverse associazioni in difesa del francique: Wéi Laan Nach? (Fino a quando?) è un‟associazione, avente sede a sede a Thionville, che 90 si preoccupa anche della promozione della lingua e della cultura regionale attraverso, tra le altre cose, la pubblicazione di una rivista bilingue, Gewan. L‟associazione Culture et bilinguisme d‟Alsace et de Moselle e il Comité fédéral des associations pour la langue et la culture régionales en Alsace et en Moselle si preoccupano di coordinanare le diverse forme d‟insegnamento del francique, tanto che ormai il tedesco standard, che dal 1945 veniva insegnato come lingua straniera, viene sempre più spesso considerato come lingua regionale nella Moselle (l‟insegnamento del dialetto rimane comunque marginale). Da un punto di vista culturale, il francique è molto vitale nella canzone, dove ha esponenti di discreto successo, quali Marcel Adam o Daniel Laumesfeld. Tutti gli anni a Sarreguemines, si celebra il festival del Platt, una rassegna con molti spettacoli teatrali, concerti, etc. L‟ultimo numero bilingue del quotidiano Le Républicain Lorrain è uscito nel 1988, e France 3 non trasmette programmi specifici in dialetto. Tuttavia nella Moselle vengono captati i canali tedeschi e Radio Sarrebruck emette programmi in Platt, che includono persino notiziari destinati agli abitanti della Moselle. 2.2.2.3 Il flamand Il flamand occidentale è ufficialmente un dialetto dell‟olandese, ma con questo termine si indica i suoi stessi locutori un‟entità linguistica distinta. Il territorio dell‟antica Flandre è oggi suddiviso su tre Stati: i Paesi Bassi, il Belgio e la Francia. In quest‟ultima, comprende nello specifico gli arrondissement di Lille, Douai e Dunkerque. Il flamand discende dalle parlate di tribù germaniche stabilitesi a partire dal V secolo nelle regione, dove erano parlate delle lingue germaniche e celtiche prima del periodo romano. Di conseguenza sul territorio dell‟attuale Flandre hanno convissuto per un lungo periodo tre lingue: il germanico, che prendeva sempre più piede; il latino, che era la lingua dell‟élite 91 colta; il latino tardo, che evolve nella lingua romanza. Il flamand ha visto progressivamente ridurre la propria frontiera linguistica: la legge Deixonne non lo ha inserito tra le lingue dialettali e solo a partire dal 1982 si sono attivate delle cattedre che ne prevedevano l‟insegnamento in poche istituzioni scolastiche. Nessuna funzione pubblica prevede l‟uso del flamand, la cui pratica avviene quasi esclusivamente in ambito familiare. Essendo una regione di passaggio, la Flandre francese mantiene scambi e contatti regolari con il Belgio fiammingo e i Paesi Bassi, da cui deriva un indubbio interesse verso l‟olandese, il cui insegnamento è privilegiato rispetto a quello del dialetto. Vi sono tuttavia diverse associazioni che cercano di promuovere il flamand, come Tegaere Toegaen. Nei media l‟uso del dialetto è piuttosto scarso: non esistono trasmissioni televisive in flamand e l‟unica opportunità per i cittadini è quella di collegarsi ai canali belgi o olandesi. 2.2.3 Il breton ll breton è l‟unica lingua celtica parlata sul continente. Viene parlato nella parte occidentale della Bretagne, dove è stato introdotto essenzialmente dagli immigranti provenienti dalla Bretagne insulare a partire dal III-IV secolo. ll breton non è una lingua uniforme ma, come molte altre lingue, presenta delle inflessioni e degli accenti che variano a seconda del territorio in cui viene parlato. D‟altronde non esiste una pronuncia standard, anche se ormai si è imposta una certa norma linguistica, grazie soprattutto alla diffusione della lingua attraverso i media. Inoltre le necessità sempre maggiori della lingua scritta hanno spinto insegnanti, ricercatori e specialisti a dedicarsi alla creazione lessicale, con grande vantaggio delle possibilità espressive. Il territorio linguistico del breton ha conosciuto un lento ma inesorabile restringimento a partire dal XIII secolo, a causa della minacciosa avanzata del francese, che era la lingua utilizzata dall‟amministrazione ducale e dall‟élite politica. Essendo invece il bretone la lingua del popolo, si era creata una situazione di diglossia perniciosa perché il breton era spesso giudicato inferiore al francese. L‟inchiesta INSEE/INED del 1999, stima che ci siano 295.000 locutori di 92 breton, di cui i tre quarti sono soliti parlarlo con gli abitanti del loro comune o in famiglia, e comunque durante i momenti di svago. Ciò dimostra che il breton è, per la maggior parte dei parlanti, una lingua di prossimità, usata soprattutto dalla popolazione adulta/anziana, e trasmessa sempre meno anche in seno alla famiglia. Tra le cause del declino delle lingua sono da annoverare, un po‟ come per gli altri dialetti, le politiche linguistiche dello Stato e la situazione socio-economica della regione: la scuola ne mortificava l‟uso e tutti gli impieghi pubblici richiedevano l‟uso della lingua nazionale. Sin dal XIX secolo si è tentato di inserire il breton nell‟insegnamento scolastico, senza però avere particolare successo, Nel 1977 per sopperire alle mancanze dell‟educazione nazionale, venne aperta a LampaulPloudalmézeau una classe della scuola materna in lingua dialettale, chiamata Diwan, che segna l‟inizio di una serie di iniziative che prevedono l‟insegnamento tramite l‟immersione linguistica. Da allora l‟apprendimento del breton è proposto alle famiglie secondo tre diverse possibilità: attraverso ore opzionali, con l‟inserimento in classi bilingue o attraverso l‟immersione linguistica con le scuole Diwan. La presenza del breton sui media è sempre più frequente: diverse radio trasmettono in dialetto (Radio Armorique, France Bleu Breiz-Izel, Radio-Kerne, etc.)e anche France 3 dedica all‟incirca un‟ora e mezza a settimana alla diffusione in lingua regionale. Nel caso del breton è importante segnalare anche il ruolo di internet, grazie a cui è possibile avere l‟attualità in dialetto, connettendosi alla rubrica Keleier Breizh sul sito del giornale Le Télégramme. Molti sono inoltre i siti e i forum sui quali si può leggere o discutere in dialetto. Il già citato quotidiano Le Télégramme stampa settimanalmente degli articoli in dialetto, mentre Ouest-France si preoccupa di pubblicare ofni settimana una lezione di breton. Bisogna segnalare infine l‟esistenza di una struttura unica nel suo genere nel panorama francese: L‟Office de la langue bretonne/Ofis ar brezhoneg: un ufficio pubblico creato dallo Stato insieme al Consiglio regionale di Bretagne, che si propone di promuovere e sviluppare il dialetto, concentrando i suoi sforzi per strutturare in maniera efficiente l‟offerta di insegnamento bilingue. 93 2.2.4 Le basque Situati all‟estremità occidentale dei Pirenei, da una parte e dall‟altra della frontiera franco-spagnola, i paesi baschi sono costituiti da sette province storiche (quattro in Spagna e tre in Francia – Soule, Labourd e Basse Navarre). In Spagna il basque gode di uno statuto ufficialità insieme al castigliano, cosa che invece non accade in Francia. Da un punto di vista linguistico e culturale bisogna non si possono separare i paesi baschi spagnoli da quelli francesi, perché gli stretti contatti tra i due territori risalgono a epoche remote, e la lingua è la stessa. La lingua letteraria navarro-labourdine, elaborata verso il 1940,è stata rimpiazzata dalla fine degli anni ‟60 da una forma di basque unificata, che tiene conto dei diletti parlati soprattutto in Spagna, usati dalla maggior parte di scrittori in basque. In parallelo, anche l‟uso grafia unificata hanno permesso lo sviluppo di una letteratura originale. Nel corso degli ultimi decenni, gli sforzi si sono concentrati sulla standardizzazione modernizzazione e la del basque, nella realizzazione di un sistema di insegnamento bilingue, e nell‟introduzione del basque nei media, nell‟amministrazione e nelle imprese pubbliche. Il basque è una lingua non indo-europea, la più antica d‟Europa, che è sempre difficile inserire in un gruppo linguistico. Nel corso dei secoli, questa lingua ha dato prova di una resistenza eccezionale, visto che né gli idiomi romanzi né quelli germanici hanno avuto la meglio su di lei, come del resto ancora oggi, malgrado la pressione del castigliano e del francese, continua a mantenere la sua vitalità. All‟inizio del XIX secolo il numero dei parlanti, nella parte francese, era stimato intorno alle 100.000 unità. Nel 1991, su una popolazione di 237.000 abitanti, si contavano 76.200 locutori, cioè il 32% della popolazione. 94 Nel 2001, secondo l‟INSEE/INED la percentuale dei parlanti è caduta al 24,7% a causa di una serie di ragioni comuni a tutti i dialetti francesi: la politica linguistica dello Stato, che vietava la lingua a scuola e la marginalizzava nella vita pubblica; l‟emigrazione di migliaia di bascofoni verso altre regioni francesi o l‟estero; il contesto socio-economico della regione, ma anche lo sviluppo dei mezzi di trasporto e dei mass-media, etc. Anche se il basque era tra i dialetti presi in considerazione dalla legge Deixonne, la ricaduta maggiore sull‟insegnamento della lingua è dovuta alla nascita nel 1969 delle ikastolas: scuole materne che prevedevano il metodo dell‟immersione linguistica. in modo da dotare i bambini della conoscenza bilingue. Da allora l‟insegnamento del basque ha conosciuto un grande sviluppo in modo tale da essere diffuso a tutti i livelli scolastici. Tuttavia, come accade per tutte le lingue dialettali francesi, il basque è ufficialmente vietato nella vita amministrativa e nella sfera giudiziaria, anche se può capitare che alcuni politici se ne servano (usando formule pronte alluso in occasione di discorsi pubblici, per cattivarsi l‟uditorio. Per quanto la stampa esca essenzialmente in francese, esiste un settimanale, Harria, scritto esclusivamente in basque che ha una tiratura di 3.000 esemplari. Anche in televisione e sulle radio esistono delle trasmissioni in dialetto: il canale TV France Bleu-Pays basque emette un‟ora al giorno in dialetto, mentre radio private come Gure Irratia o Lapourdi Irratia trasmettono il 50% dei loro programmi in basque. La cultura dialettale è molto vitale, e gli scambi transfrontalieri tra il nord e il sud dal punto di vista linguistico e culturale sono tangibili. La rivista letteraria Maiatz consente ai giovani scritto ridi esprimersi nella loro lingua e divulgarla. L‟Institute culturel basque (Euslal Kultur Erakundrea) fondato nel 1990 riunisce circa 70 associazioni e i comuni dei Paesi baschi in un sindacato intercomunale di sostegno alla cultura basca. Pur essendo fuori dalla vita pubblica, il basque è una lingua molto praticata nella vita quotidiana: lo si può facilmente sentire sui luoghi di lavoro o nei negozi, così come in alcuni spot pubblicitari; a volte vengono celebrati dei matrimoni in dialetto. La mentalità è molto cambiata negli ultimi anni e, se tutti i pregiudizi nei confronti del dialetto non sono ancora scomparsi, la lingua è percepita sempre di più come un elemento positivo dell‟identità basca, simbolo di apertura e modernità. 95 3. L’arte della gioia In questo capitolo si affronterà il “caso” de L‟arte della gioia, negli aspetti che riguardano la biografia dell‟autrice, della cui vita si cercherà di mettere in evidenza gli aspetti più significativi. Si passerà quindi alla complessa e articolata storia editoriale del suo capolavoro che, essendo stato un vero caso letterario in Francia, si è fatto spazio anche tra il pubblico italiano, dopo che per vent‟anni nessun editore aveva voluto pubblicarlo. Si esporrà quindi la trama del romanzo e se ne presenteranno i personaggi principali, delineandone i contorni salienti, nonché il ruolo all‟interno del romanzo. Si procederà quindi con un‟analisi generale in prospettiva traduttiva della lingua della Sapienza, riportando ampi brani dell‟intervista concessa da Nathalie Castagné (traduttrice verso il francese), nella quale racconta il suo approccio al romanzo e spiega le ragioni di alcune sue scelte. 3.1 La biografia239 di Goliarda Sapienza Figlia di Maria Giudice 240, nome noto del socialismo italiano e “dell‟avvocato dei poveri” Peppino Sapienza 241, Goliarda nasce a Catania il 10 maggio 1926. I genitori erano all‟epoca entrambi vedovi e con, rispettivamente, sette e tre figli. Uno di essi, Goliardo, figlio adorato dal padre, muore (1921) a soli tredici, probabilmente ucciso dalla mafia: è il primo di una serie di lutti gravi che colpiranno la famiglia 242. 239 La biografia della scrittrice è frutto della lettura degli scritti autobiografici della stessa (Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, 20092; Lettera aperta, Palermo, Sellerio, 19972; Il filo di mezzogiorno, Milano, La Tartaruga, 20032) e della biografia realizzata da Giovanna Providenti, La porta è aperta, Catania, Villaggio Maori Edizioni, 2010. 240 Nata a Codevilla (PV) il 17 aprile 1880, cominciò da giovanissima a interessarsi di politica, divenendo presto una fervida attivista socialista. Nel 1903 fece la prima esperienza della prigione, all‟uscita della quale si rifugiò in Svizzera dove, insieme ad Angelica Balabanoff pubblicò il periodico "Su Compagne" (in quel periodo conobbe Lenin e ospitò l'allora socialista massimalista Mussolini). Prima donna a dirigere la Camera del lavoro di Torino, divenne poco dopo (1916) direttrice del Grido del popolo, cui caporedattore – e successivo direttore – era Gramsci. Condannata per la sua partecipazione ai «moti del pane» del 1917 a Torino, venne successivamente inviata dal partito in Sicilia (1920), dove fu al centro delle vicende che videro lo scatenarsi dell'offensiva mafiosa e fascista. Socialista «intransigente», protofemminista nel 1921 non aderì al Partito comunista d‟Italia, ritenendo che il socialismo dovesse salvaguardare la sua autonomia. 241 Uomo passionale e amante dei piaceri della vita, nacque a Catania il 17 marzo 1884. Grazie alla determinazione della madre, riescì a studiare e a diventare avvocato. Conosciuto dalla polizia sin dal luglio 1907 (segnalato come socialista), finì in prigione diverse volte. Nel 1943 era a Roma e collaborò all‟evasione di Sandro Pertini e Saragat dal carcere di Regina Cœli. 242 La coppia Sapienza-Giudice perse ben cinque figli in età prematura. 96 La piccola Iuzza 243 cresce senza latte materno, ma grazie alle cure del fratello Ivanoe che pare fosse l‟unico a riuscire a farle succhiare il biberon. La futura scrittrice, il cui nome, omaggio al fratello morto, era stato scelto dal padre in quanto l‟unico a non avere santi, trascorre l‟infanzia in pieno periodo fascista, in una famiglia decisamente poco ordinaria: una famiglia colta e militante, in cui musica e letteratura sono considerati alimenti necessari tanto quanto il cibo. Una famiglia in cui il padre, detestando l‟idea che la figlia possa frequentare la scuola fascista, non solo la fa studiare in casa, ma sale con lei in terrazza per bruciare gli abiti da “piccola italiana”. Una famiglia in cui la madre dichiara di preferire una figlia che soffre la fame come gli altri piuttosto che vederla nutrita e pasciuta in mezzo a bambini affamati. Sono questi i presupposti che fanno da sfondo all‟infanzia di Goliarda, che cresce tra letture precoci di Leopardi e Marco Aurelio, scorazzando al tempo stesso tra le vie della Civita244 di Catania, venendo a contatto con ogni tipo di umanità: pupari, impagliatori di seggiole, borghesi, prostitute… L‟unica cosa che mette un freno alla sua esuberante energia è la malattia, che la colpisce a nove anni con la difterite e nell‟adolescenza con la tubercolosi. A sedici anni si trasferisce, accompagnata dalla madre, a Roma, dove frequenta, avendo vinto una borsa di studio, l‟Accademia di Arte Drammatica. Ma quella di studentessa non è la sua unica attività, infatti l‟aspirante attrice si ritrova anche a fare la staffetta partigiana sotto la falsa identità di Ester Caggegi. Intanto la madre comincia a dare segni di squilibrio a causa di una grave forma depressiva, cosa che sarà fonte di grande preoccupazione per Goliarda, che si prenderà cura di Maria Giudice finché quest‟ultima non le spirerà tra le braccia nel 1953. Pur completando il corso di studi all‟Accademia di Arte Drammatica, Goliarda non arriverà mai a diplomarsi, perché di fatto è molto critica rispetto agli insegnamenti giudicati troppo retrogradi, nonché di fronte a quello che percepisce come un mondo falso e pieno di ipocrisie. È per questo che in quegli anni fonda una compagnia di avanguardia – il T45 – insieme ad altri ex studenti contestatari, attratti, come lei, dal metodo proposto da 243 Diminutivo di Goliarda, nome col quale la scrittrice venne chiamata da tutta la famiglia sin dalla nascita. 244 In Io, Jean Gabin, la stessa scrittrice definisce il quartiere come “la casbah dove tutto si sapeva in un battibaleno, sempre con cento occhi addosso che ti spogliavano di ogni privacy e possibilità di avere dei segreti”. 97 Stanislavskj245. Nel luglio del 1945 ottiene un buon successo interpretando il ruolo da protagonista in La frontiera, opera prima di Leopoldo Trieste. Terminata la breve esperienza del T45, Goliarda passa ad altre compagnie, interpretando vari ruoli, senza sentirsi però mai appagata: è per questo che nel 1948 accetta una parte nel film Fabiola, diretto da Alessandro Blasetti246. Intanto nel 1947 la scrittrice si lega affettivamente col futuro regista Citto Maselli247 (suo compagno di vita fino al 1965), accanto al quale intraprende con passione una sorta di tirocinio “cinematografaro” assistendolo nella regia e collaborando alla scrittura di tutti i suoi documentari e dei primi lungometraggi. Sono anche anni in cui lavora in set di film importanti – anche se mai in ruoli da protagonista – come Senso e Le notti bianche di Visconti. La recitazione – teatrale o cinematografica – la accompagnerà sempre nella sua vita, senza per questo diventare la sua occupazione principale, ma solo un‟occasione che di volta in volta deciderà se sfruttare o meno248. Intorno alla metà degli anni Cinquanta, una nuova idea si fa spazio sempre più prepotentemente nella mente di Goliarda: la scrittura. Iniziata come esercizio, rivolto essenzialmente alla composizione di poesie da leggere alle amiche nei lunghi dopocena, diventa presto una necessità, l‟attività principale alla quale consacra la sua esistenza. 245 Metodo di insegnamento della recitazione nato a cavallo del Novecento, messo a punto da Konstantin Alekseev, che mira a far sì che gli attori, riuscendo ad approfondire il mondo psicologico del personaggio e cercando affinità con il proprio mondo interiore, arrivino a esternare emozioni profonde, in un continuo lavoro di interpretazione e rielaborazione. 246 È nota la passione che la scrittrice aveva per il cinema, soprattutto per l‟attore Jean Gabin, col quale era solita identificarsi da bambina quando, dopo aver trascorso interi pomeriggi al cinema, andava incontro all‟avventura tra le viuzze della Civita di Catania. Ma l‟avvicinamento a ruoli cinematografici deve ricercarsi piuttosto in una voglia di autenticità, scevra da compromessi con il proprio senso etico, che la scrittrice sa di non poter trovare a teatro e spera di recuperare al cinema. La scoperta dell‟illusione sarà concausa di una depressione che la condurrà al tentativo di suicidio. 247 Goliarda Sapienza e Citto Maselli non furono solo amanti, ma anche e soprattutto complici, in un rapporto simbiotico che, oltre un profondo sodalizio artistico, si allargava a un coinvolgimento non solo erotico con altre donne. È fondamentale comprendere quanto fosse grande l‟interesse di Goliarda nei confronti dell‟universo femminile, orizzonte dentro il quale spaziava in una gamma talmente ampia di richiami, da renderne difficile una definizione o una delimitazione: la relazione amorosa è solo l‟aspetto più immediato ed evidente di quello che è una continua analisi fatta di giochi di specchi, gelosie, passioni, ammirazione, timore, fiducia, disincanto, risentimento, intelligenza. 248 Goliarda sarà interprete con successo anche di alcuni ruoli pirandelliani, tra i quali resta memorabile quello da protagonista in Vestire gli ignudi. Bisogna anche ricordare che negli ultimi anni della propria vita, la scrittrice ha insegnato recitazione presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma. 98 Ma sono anni difficili, gli amici, che pur la stimano, considerano la sua volontà di scrivere249, come un modo per sfogarsi e curare la propria malinconia; il rapporto con Citto Maselli pur mantenendo intatta l‟autenticità del sentimento è aperto ad altre donne – cosa che razionalmente lei accetta – spesso carissime amiche di Goliarda, la quale più che il tradimento teme la solitudine, l‟abbandono. Questo stato d‟animo e il furioso litigio con un uomo, gay, molto più giovane, del quale si era invaghita, la portano in una notte della primavera del 1962 a placare l‟ansia con una dose eccessiva di sonniferi e ansiolitici ingurgitati con del whisky: Citto riesce a salvarle la vita, ma per Goliarda si aprono le porte dell‟ospedale psichiatrico 250. Uscita molto provata dall‟esperienza, dopo un periodo di riabilitazione, la scrittrice comincia, nell‟autunno del 1962, una terapia psichiatrica con il dottor Ignazio Majore che dura quasi tre anni e che sarà all‟origine di uno dei suoi romanzi autobiografici: Filo di mezzogiorno. Oltre quest‟ultimo, tra il 1964 e il 1968 Goliarda si dedica alla scrittura in progress di altri due romanzi autobiografici: Lettera aperta, pubblicato da Garzanti nel 1967, nel quale l‟autrice ripercorre gli anni di vita trascorsi a Catania e L‟arte del dubbio, rimasto incompiuto e inedito. La terapia con il dottor Majore prende pieghe piuttosto singolari251 e si interrompe bruscamente: rimasta senza terapeuta, Goliarda si illude di potercela fare da sola, ma lo stato depressivo è in agguato e una notte, sola in casa, ingoia un vasetto intero di Veronal: è ancora Citto Maselli a salvarla, stavolta strappandola alla morte per un soffio 252. La scrittrice si sveglia in ospedale, stavolta nel reparto maternità: ne esce dopo cinque giorni, portando in germe una sorta di volontà di rinascita che – se non la metterà al riparo dal dolore, dalla povertà, dall‟insicurezza, perfino dalla prigione – almeno le consentirà di andare avanti. 249 A questo periodo risalgono la raccolta di poesie Ancestrale, ancora inedita; la stesura del romanzo incompiuto Carluzzu, la cui versione definitiva contenuta nell‟archivio Maselli è stata ripudiata dalla scrittrice; una serie di racconti che confluiranno in Destino coatto, pubblicato nel 2002 dall‟Ass. Edizioni Empiria, e ripubblicato recentissimamente nella collana “Super ET” di Einaudi. 250 La scrittrice è rimasta ricoverata al Policlinico di Roma per tre mesi (marzo-maggio 1962) subendo una cura che prevedeva addirittura il ricorso all‟elettroshock; il risultato fu devastante: danni cerebrali e perdita di porzioni di memoria. 251 Goliarda amava raccontare di avere fatto impazzire il suo analista, ma la verità è che probabilmente quest‟ultimo si fosse innamorato di lei e a causa di ciò fosse entrato in una profonda crisi, che lo aveva portato nel 1965 a dare le dimissioni dalla società di Psicoanalisi nella quale lavorava. 252 Dopo il salvataggio rocambolesco, dovuto alla visita casuale di Maselli che la trova svenuta in casa, la scrittrice resta due giorni in coma. 99 Nel 1967 inizia la stesura del suo capolavoro, L‟Arte della gioia, “romanzo maledetto” al quale dedicherà dieci anni della sua vita e per il quale si ridurrà sul lastrico253, senza per questo riuscire mai, nonostante mille tentativi, a vederlo pubblicato. Nel 1975 si lega affettivamente ad Angelo Pellegrino 254 (che sposa nell‟ottobre del 1979), attore di venti anni più giovane di lei, che la assiste nel lungo lavoro di revisione del romanzo concluso nel 1977. Dopo la conclusione dell‟Arte della gioia, Goliarda scommette il suo tempo e le sue energie per riuscire a far pubblicare il suo lavoro, ma tutte le porte le vengono richiuse in faccia, perfino quella aperta con molta discrezione dall‟allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Neanche il discreto successo dell‟Università di Rebibbia255, edito da Rizzoli nel 1983, gioverà alla causa della scrittrice. Le certezze del dubbio (1987, Pellicano libri) è l‟ultima opera ad essere pubblicata mentre Goliarda è in vita. Si tratta di un ulteriore capitolo della sua autobiografia in fieri, quello che racconta di sé tornata libera, ma in qualche modo prigioniera della città che emargina. Eppure, nell‟incontro con le ex detenute di Rebibbia, la scrittrice rivela ancora una volta la sua capacità di andare a fondo nella comprensione delle proprie e altrui contraddizioni, percorrendo fino alla fine la convinzione che il vero atto di libertà sia quello che conduce al coraggio di cambiare idea. Goliarda Sapienza viene trovata morta nella sua casa di Gaeta il 30 agosto 1996256. 253 Angelo Pellegrino racconta di una Goliarda seduta nella mansarda di casa sua, intenta a scrivere ininterrottamente, circondata da appunti e foglietti disseminati ovunque sul parquet: «Così passavano i giorni, i mesi, gli anni senza speciali accadimenti […]. Intanto andavano via quadri disegni sculture di tanti buoni artisti, e venivano ufficiali giudiziari, pignoramenti, avvisi di sfratto», in Angelo Pellegrino, Lunga marcia dell‟«Arte della gioia», prefazione all‟Arte della gioia, Torino, Einaudi, 2008, p. VIII. 254 Angelo Pellegrino è oggi il curatore delle pubblicazioni postume della scrittrice. 255 Il romanzo racconta del “soggiorno” nel carcere di Rebibbia di Goliarda Sapienza, che venne arrestata per il furto di alcuni gioielli a casa di un‟amica. La scrittrice dichiarò di averlo fatto per necessità perché, ridotta in miseria, non aveva più i soldi per pagare l‟affitto. In realtà il furto fu un espediente: la scrittrice dichiarò poi di aver commesso l‟illecito per studiare le reazioni dei suoi ricchi amici e per poter sperimentare personalmente le condizioni di detenzione per il libro che stava scrivendo. 256 Pare che la scrittrice fosse morta tre giorni prima, durante i quali, nonostante la sua vita fosse piena di amicizie, nessuno l‟aveva cercata. 100 3.2 La storia editoriale de L’arte della gioia Come racconta con minuzia di particolari Domenica Scarpa nella Postfazione all‟edizione Einaudi dell‟Arte della gioa, la vicenda della pubblicazione del romanzo percorre un lasso di tempo pari al doppio della sua gestazione: venti anni. Ma non basta. Se oggi infatti il romanzo è pubblicato nelle prestigiose edizioni Einaudi e conosce un buon successo sulla scena nazionale, lo si deve senz‟altro più al folgorante riscontro di pubblico e di critica che ha avuto in Francia, che alla lungimirante perspicacia dell‟editoria nostrana. Goliarda Sapienza finisce di scrivere il romanzo nel 1977, e da allora tenta tutte le vie per darlo alle stampe, senza però mai riuscirci, o meglio arrivando a vederne pubblicata solo la prima parte grazie a Stampa Alternativa 257 nel 1994. Edizione peraltro che passa quasi del tutto inosservata. Anche quella integrale del 1998, sempre per Stampa Alternativa, non ha certo un riscontro tale da far gridare al caso letterario. Sembra un libro maledetto, a causa del quale d‟altronde la scrittrice si è ridotta sul lastrico: per scriverlo, prima, per tentare di farlo pubblicare, poi. Sin dal suo compimento, il romanzo viene proposto a vari editori e agenti letterari, subendo una serie di rifiuti: il primo è di Sergio Pautasso per Rizzoli, nel maggio1979; segue quello di Einaudi, tramite Paolo Terni nell‟ottobre dello stesso anno, e ancora quello di uno dei maggiori agenti letterari dell‟epoca, Erich Linder, che, nel dicembre 1979, lo rimanda al mittente senza averlo letto a causa di problemi personali. Presa dallo sconforto, alla fine di quell‟anno infausto, la scrittrice si rivolge a Sandro Pertini, alla cui liberazione nel gennaio 1944 aveva collaborato il padre, e in qualche modo anche lei, che aveva avuto un piccolo ruolo tra i partigiani dell‟epoca. 257 Tra Stampa Alternativa e Angelo Pelligrino, a proposito della pubblicazione del romanzo, si è accesa una dura polemica. In un articolo (Guerra e pace in Sicilia) a firma Daria Galateria apparso su Repubblica del 25 giugno 2008, la giornalista riporta che «Goliarda non c'era più da due anni, quando Angelo Pellegrino, a sue spese, pubblicò L‟Arte della gioia per i tipi di Stampa Alternativa». Notizia tirata chiaramente dalla prefazione all‟edizione di Einaudi, dove Pellegrino scrive: “Pubblicai allora a mie spese L‟arte della gioia in un migliaio di esemplari per i tipi di Stampa Alternativa. Era il 1998”. Cfr. Sapienz, L‟arte… cit., p. V. La casa Editrice si affretta a precisare che «la prima pubblicazione del primo capitolo, che inaugurò la nostra nuova collana “MillelirePiù” è del 1994 quando Goliarda era ancora in vita, come attesta il contratto da lei stessa firmato e totalmente a nostre spese. Poi alla successiva e prima edizione integrale del libro Pellegrino offrì un contributo di 5 milioni 300 mila lire, pari al 50% delle spese tipografiche, su un impegno (a parte il lavoro redazionale e le spese di impresa) di 12 milioni 712 mila lire. Contributo importante ma del quale Pellegrino chiese e ottenne, da noi di Stampa Alternativa, il totale rimborso man mano che maturarono le royalties sulle copie vendute. Infine, Pellegrino dimentica di citare tutte le successive e numerose edizioni sempre e totalmente a nostre spese e dalle quali ha anche incassato regolarmente i diritti di competenza». Cfr. http://www.stampalternativa.it/wordpress/2008/07/07/le-mezze-verita-sulla-nostra-arte-della-gioia/. 101 L‟allora Presidente della Repubblica si muove con discrezione, facendo interpellare nuovamente Pautasso, che però oppone l‟eccessiva lunghezza del romanzo e un taglio troppo sperimentale. Nel frattempo l‟opera arriva anche sulle scrivanie della Feltrinelli, che lo rimanda indietro nell‟aprile 1980 adducendo, a motivazione del rifiuto, uno stile narrativo non in linea con le pubblicazioni della Casa Editrice. Nel 1981 viene sollecitata la Mondadori, ma anche in questo caso il romanzo viene rifiutato, con ragioni alquanto vaghe. Nello stesso anno, un barlume di speranza si accende con la rivista “Noi Donne” (Editori Riuniti), che pare interessata a una pubblicazione a puntate, ma il costo dell‟impresa si rivela proibitivo e il progetto cade nell‟oblio. Nel frattempo la Sapienza, che nell‟ottobre 1980 ha vissuto l‟esperienza della prigione, scrive L‟università di Rebibbia, la cui pubblicazione, nel 1983 a cura di Rizzoli, e il buon successo di vendite non servono però alla causa del L‟Arte della gioia. Risulta ovvio chiedersi il perché di tanto accanimento. Secondo Domenico Scarpa «forse il problema, oltre che nella mole del manoscritto, stava proprio nei libri pubblicati dieci anni prima da G. S. L‟autore che vuole riemergere, il romanziere che parecchi anni or sono ha già pubblicato un paio di opere di medio successo costituisce di fatti uno spauracchio per ogni redazione editoriale»258. Sulla questione interviene forse più a proposito anche Adele Cambria 259, amica intima di Goliarda Sapienza, che in un articolo comparso sull‟Unità del 26 settembre 2006, ricordando la prima lettura del romanzo, scrive: «di pagina in pagina, percepivo la compattezza ideologica dell'Autrice. Goliarda, non era affatto «ideologica»: anzi accusava l'ideologia di averle rovinato la vita. Ma aveva idee “straniere” su tutto. E deve essere stata questa, suppongo, la ragione per cui i responsabili delle più grandi case editrici si ritraevano con terrore dalle pagine de L'arte della gioia». Per giungere a una svolta bisogna attendere il 2005, quando il romanzo viene pubblicato in Francia a cura delle Editions Viviane Hamy, una piccola casa editrice parigina, che si racconta sul proprio sito internet con le seguenti, telegrafiche, parole: «nous nous attachons à découvrir de nouvelles voix, ou à redécouvrir des écrivains européens». 258 Domenico Scarpa, Senza alterare niente, in Sapienza, L‟arte… cit., p. 528. Già nel 1979, la giornalista aveva cercato, invano, di aiutare la scrittrice nell‟impresa di far pubblicare il romanzo, scrivendo tra le altre cose un articolo sul quotidiano Il Giorno, intitolato Dopo l‟Orca arriva la Gattoparda, nel quale tesseva le lodi del romanzo. 259 102 La storia merita di essere rivissuta minuziosamente, a testimonianza del fatto che spesso i grandi eventi nascono dalle piccole cose. Nathalie Castagné, la vera artefice della pubblicazione del romanzo, durante un incontro-intervista260 ha raccontato con esattezza come si è svolta l‟intera vicenda: «En décembre 2003, un collaborateur de Viviane Hamy, Frédéric Martin 261 m'a appelée pour me dire qu'une agente littéraire allemande, Waltraud Schwarze, avait envoyé chez Viviane un livre atypique dont elle pensait qu'il pourrait l'intéresser, et pour me demander, personne ne lisant l'italien dans la maison d'édition - pour laquelle j'avais déjà travaillé -, de lire ce gros livre et de donner mon avis sur l'opportunité de le traduire ou pas. J'avais un travail à finir et j'ai lu L'arte della gioia vers le début janvier 2004: j‟ai été stupéfaite de découvrir un texte à ce point hors du commun – car c‟est rarissime d‟avoir entre les mains un livre si extraordinaire, totalement inconnu – et si enthousiasmée par sa première partie que je priais le ciel (des anarchistes) de n'être pas déçue par la suite... Une fois la lecture terminée, j‟étais dans un état d‟effervescence, j‟en ai parlé à tous mes amis, et j'ai rédigé, en prenant mon temps pour être sûre de faire du bon travail, un rapport de lecture262 à la hauteur de mon enthousiasme, auquel j'ai joint la traduction du très beau texte d'Angelo Pellegrino, que je trouvais très convaincant, et la présentation biographique de Goliarda, pour me donner, ou plutôt donner au livre, encore plus de chances "d'emporter le morceau" (pour la petite histoire, j'avais même lu ma note de lecture à deux amis pour en tester la puissance de persuasion). La 260 Dopo un breve ma intenso scambio epistolare, ho incontrato Nathalie Castagné, per intervistarla, a Montpellier il 17, 18 e 19 giugno 2011. 261 Ha lavorato fino al 2009 come uomo tuttofare per le Éditions Viviane Hamy per poi fondare nello stesso anno, in collaborazione con Benoît Virot, le Éditions Attila. 262 La traduttrice ha gentilmente concesso la nota di lettura inviata alla casa editrice, i cui punti salienti recitano: «Liberté romanesque, intelligence et esprit libertaire d‟un livre hors-norme, hors normes actuelles surtout, dans sa dimension et sa manière, histoire d‟une multitude de personnages, mais on a presque envie de dire d‟une multitude d‟êtres, sur plusieurs générations, autour d‟une protagoniste que nous allons suivre de l‟enfance au seuil de la vieillesse mais c‟est pour elle l‟âge d‟une maturité épanouie , L‟Arte della Gioia (L‟Art de la Joie) emporte à la fois par sa force d‟imagination et par sa puissance de créer la vie. On n‟oublie pas les figures qui s‟y présentent à nous, paysans siciliens, religieuses, vieille princesse extravagante, anarchiste romaine, pour n‟en citer que quelques-unes : ce monde existe, à un point assez extraordinaire ; mais rien dans ce livre n‟est ordinaire. On sent qu‟il a été écrit sans concession, sans abdication devant quelque censure que ce soit, par nécessité intérieure et avec la joie, en effet, l‟effervescence , qui accompagne une telle réalisation. […] Outre les qualités intrinsèques du livre, la véritable aventure fantasmatique mais aussi humaine dans laquelle il entraîne, en un temps de repliement souvent étriqué sur soi, de conformisme par obéissance aux dogmes de toutes sortes, de sentimentalisme, et de menaçante réapparition des dévots –, il me semble plus que jamais bienvenu que se fasse entendre une voix comme celle de Goliarda Sapienza». 103 réponse a été immédiate: je crois que le lendemain de mon envoi par mail, on m'appelait des éditions Viviane Hamy pour me dire que la décision était prise, qu‟ils étaient tous très excités, que c‟était formidable e qu‟ ils engageaient les discussions pour l'achat des droits. Ils m‟ont fait donc complètement confiance. Ils ont fait confiance bien évidement aussi à Waltraud Schwarze, parce que j‟imagine que Viviane si elle la connaît bien, elle sait qu‟elle ne dit pas les choses par hasard, mais en tout cas je suis sûre que malgré tout si j‟avais dit non ou si j‟avais eu des hésitations, le livre n‟aurait pas été publié. Il a fallu attendre le printemps pour que ce soit réglé. J'ai commencé la traduction vers la mi juillet, il me semble, là encore j'avais un travail à finir. J‟ai démarré très vite et j‟ai envoyé les premières 50-100 pages très rapidement. Il y avait une grande excitation. parce que dans la maison d‟éditions Fréderic au moins, mais peut-être même d‟autres personnes, les avait lu et avait trouvé ça extraordinaire. J'avais demandé six mois pour la traduction, que j‟ai rendue partie après partie, parce qu'être absolument seule à porter tout cela m'angoissait, donc je voulais le partager avec quelqu‟un – Viviane ayant voulu lire le livre seulement quand il a été traduit en entier. Il ne faut pas oublier que pendant un an, j'ai été la seule personne en France à connaître L'art de la joie, en étant responsable non seulement de sa traduction, mais même très largement de sa publication, et de sa publication intégrale - je crois qu'en Allemagne le livre a été publié en deux morceaux263 -: si j'avais dit non, ou avais été tiède, après lecture, il n'aurait tout simplement pas paru. La totalité du roman, Viviane a dû l'avoir en février 2005 et elle en a été enthousiaste. Je n'avais même pas relu l'ensemble qu'elle envoyait à divers critiques, libraires, etc. l'annonce de la publication du livre avec le texte de ses premiers paragraphes. Et c'est ainsi que le feu s'est propagé. La maison d'édition l'a d'ailleurs alimenté jusqu'au bout, sans négligence: ça été un travail remarquable, qui n'assurait pas le succès, mais a été, je pense, l'un de ses éléments. Mais il y a eu surtout cette conjoncture de passion. En bref: ce fut une magnifique aventure». Quindi Viviane Hamy riceve la traduzione nel febbraio 2005 e si prepara a fare uscire L‟art de la joie per la rentrée in settembre. Nathalie Castagné svela che da 263 Effettivamente in Germania il romanzo è stato pubblicato per le edizioni Aufbau-Verlag in due tomi: il primo, In den Himmel stürzen (tradotto da Constanze Neumann) nel 2005, il secondo, Die Signora, (tradotto da Esther Hansen) nel 2006. 104 subito la casa editrice mette in moto un‟operazione di marketing molto attenta, inviando copie e recensioni a chiunque potesse svolgere un ruolo positivo per le sorti del romanzo. E i risultati si vedono. Il 6 settembre Libération dedica ben tre articoli – due interviste, rispettivamente a Citto Maselli e Angelo Pellegrino, compagni di Goliarda Sapienza; e un articolo interamente dedicato al romanzo dal titolo Himne à l‟amour – redatti da Jean-Baptiste Marongiu, il quale decanta le virtù dell‟opera: «C'est un voyage dans le Novecento italien (en fait la première moitié), le vécu d'un siècle saisi par le corps, par l'intelligence du corps d'une femme, comme une traversée de la mer à la nage. Etres et choses ; hommes, femmes, enfants ; croûte craquelante d'une terre sismique ; vagues méditerranéennes de Sicile: c'est un monde tactile et onirique, aux abîmes scandaleux, qui effleure la peau jusqu'au cri de celle qui (se) raconte, et, coulant entre les cuisses, lui apporte toutes les délices. Il se laisse lire aussi comme un manuel de libération sexuelle, sociale, intellectuelle: l'Art de la joie justement - en écho à l'art de la fugue de Bach. Une géométrie des affects qui destitue les passions tristes pour crier encore et encore son oui à la vie. Publié posthume en 1998, vingt ans après la fin de sa rédaction, l'Art de la joie est surtout un roman qu'on a refusé d'éditer du vivant de son auteur, parce qu'il n'était ni en avance ni en retard sur son temps mais simplement ailleurs». L‟8 settembre sul Nouvel Observateur, Catherine David scrive non senza entusiasmo: «Tout est extraordinaire dans ce livre, le titre d‟abord, L‟Art de la joie, qui semblerait convenir à un essai philosophique. Mais il s‟agit bien d‟un roman, un vrai, qui vous emporte et vous tourneboule, un roman plein de fièvre et d‟intelligence, très concret, très visuel, érotique et familial, psychologique et politique, enraciné dans une île peuplée d‟amandiers sauvages et de vendettas. Un roman qui nous apporte le regard d‟une femme exceptionnelle sur notre vie, nos préjugés, notre actualité. […] ce livre - univers plus qu‟un événement littéraire, (est) un événement existentiel». Ma a segnare il momento decisivo è stato l‟articolo comparso il 16 settembre su Le Monde des Livres a firma René De Ceccatty, Sapienza, princesse heretique, nel quale il giornalista afferma che il romanzo «c‟est une incontestable découverte, un survol phénoménal de l‟histoire politique, morale et sociale de l‟Italie, sous le regard d‟une narratrice sicilienne merveilleuse dans ses élans parfois rationnels, parfois passionnels, et c‟est la révélation d‟un tempérament d‟écrivain hors pair». Il 13 ottobre è Lire a farne la recensione, attraverso la penna di André Clavel: 105 «Voilà un pur joyau qui a bien failli être un roman maudit. […] Difficile de se rassasier de ce jaillissement d‟intelligence et de subversion: L‟Art de la joie, c‟est la joie de l‟art. Un gai savoir, sous la baguette d‟une muse oubliée des lettres transalpines». Sotto Natale, il 9 dicembre, Le Soir dà ai suoi lettori dei consigli per i regali, così Pascale Haubruge scrive: «Vous voulez lire un roman, un seul, paru en cette rentrée, un roman qui en vaut dix, vingt, cent autres, qui est tout à la fois récit d‟initiation, parcours d‟une femme de trempe, traversée du vingtième siècle italien, histoire d‟amour, cheminement intellectuel, politique, émotionnel? Vous voulez faire la connaissance d‟une héroïne que vous n‟oublierez pas de sitôt, qui va vous émouvoir, vous réveiller, vous parler à l‟oreille bien après la dernière des 640 pages où elle s‟incarne? Ouvrez donc L‟Art de la joie de Goliarda Sapienza». Gli articoli che celebrano il caso letterario dell‟anno si susseguono e L‟art de la joie scala rapidamente le classifiche dei libri più venduti. L‟eco di un successo così eclatante non può non rimbalzare oltre le Alpi, rientrando amplificata nel paese da cui era uscita con debole impulso. Non molto tempo addietro, dopo la prima pubblicazione di Stampa Alternativa in un migliaio di esemplari, sporadicamente si levava qualche voce celebrativa, come quella di Manuela Vigorita che in un articolo intitolato Se l‟arte della gioia diventa libertà apparso su Buddismo e Società (n. 93, luglio-agosto 2002) scriveva: «Chi l‟ha letto ne rimane segnato, chi l‟ha letto dice che questo libro insegna a desiderare. […]Chi l‟ha letto, quel libro, ringrazia Goliarda di essere esistita, di averlo scritto, di aver donato a Modesta e a noi la sua vita». Anche il Corriere della Sera, per mano di Luca Orsenigo aveva, il 19 novembre 2003, recensito positivamente il romanzo quando alla voce Perché leggerlo rispondeva «perché è un inno alla gioia. Alla gioia più semplice che ci sia, quella data dalla coscienza e dalla serena accettazione della propria esistenza e con questa quella di tutti, cose e persone, che, comunque sia, collaborano a rendere ragione di una felicità che non può a nessun titolo esserci strappata. Il Novecento, secolo di tragedie orribili e ingegno altissimo, si svela così da un'altra angolazione e le vicende che lo interessano, guerre e rivoluzioni, scienza e tecnica, arte e filosofia hanno le stimmate di una donna, Modesta, che ne riassume le speranze e la volontà di tutte». Ma è il 2005, come accennato, a segnare la svolta. All‟indomani della sua pubblicazione, l‟articolo di De Ceccatty viene indicato da La Repubblica che nella 106 sezione cultura titola Il trionfo di goliarda, riportando gli entusiastici commenti della stampa d‟oltralpe: «Magnifico. Magico. Commovente. Sono questi gli aggettivi con cui la stampa francese ha accolto la pubblicazione di un romanzo italiano d'oltre seicento pagine, opera di una scrittrice mai tradotta in precedenza e scomparsa ormai da quasi dieci anni. Si tratta dell'Arte della Gioia, il romanzo a cui Goliarda Sapienza dedicò moltissimi anni della sua vita e che in Italia, dopo molti rifiuti, fu pubblicato postumo da Stampa Alternativa. In Francia, lo pubblica una piccola casa editrice Viviane Hamy, che ne ha sentito parlare per la prima volta un paio d'anni fa da un editore tedesco. In previsione della pubblicazione, l'editore ha fatto circolare con molto anticipo le bozze tra i critici, i quali, senza farsi intimorire dalla mole, hanno letto d' un fiato le incredibili avventure di Modesta, una donna libera e anticonformista nella Sicilia della prima metà del Novecento. Così, quando il libro è arrivato in libreria, hanno pubblicato articoli ditirambici. […]Il risultato è che in una sola settimana il libro è stato ristampato due volte, ha raggiunto le ventimila copie ed entrato nella classifica dei libri più venduti. Insomma, un successo sorprendente per un‟opera che in Italia faticò parecchio a trovare un editore. Oggi però il trionfo francese potrebbe favorire un ritorno d'interesse anche tra i lettori italiani». Persino Il sole 24 ore, sorpreso che l‟inserto culturale di Le Monde avesse dedicato a L‟arte della gioia la copertina con un titolo a tutta pagina, segnala l‟evento il 18 settembre nella rassegna stampa della pagina Attualità ed esteri; un mese dopo, il 15 ottobre, è Adele Cambria a segnalarlo al pubblico italiano, annunciando dalle pagine dell‟Unità che: «Goliarda Sapienza, si rivela ora, in Francia, come “una narratrice siciliana meravigliosa, nei suoi slanci, a volte razionali, a volte passionali, che mostrano un temperamento di scrittore senza pari.”(René de Ceccatty su 'Le Monde'). […]Ora, sull'onda del successo francese, 'Stampa Alternativa', che pubblicò il libro di Goliarda nel 1998, due anni dopo la sua morte, lancia la quinta edizione de 'L'arte della gioia'. Delle prime quattro, sempre attraverso “un bouche-en-oreille lent mais sur”, se ne sono vendute cinquemila copie. In Francia, in un mese, ottomila. E continua». Il 31 ottobre dello stesso anno Costanzo Costantini dalle pagine del Messaggero, mette in rilievo il successo tardivo della scrittrice, con un articolo intitolato La “gioia” postuma di Goliarda: «L‟arte della gioa, il quinto romanzo di Goliarda Sapienza rifiutato per vent‟anni dagli editori e pubblicato in parte cinque anni fa ed ora in edizione integrale da Stampa Alternativa, a cura di Angelo 107 Pellegrino, va riscuotendo in Francia un successo così clamoroso da farne, secondo ogni previsione, un best-seller internazionale». Il 22 giugno 2006 è il Corriere della Sera a parlare del caso di Goliarda Sapienza, poiché, sulla scia del successo de L‟Arte della gioia, Rizzoli ha appena ripubblicato L‟università di Rebibbia: «Per mesi L' arte della gioia ha dominato le classifiche dei libri più venduti e appassionato i critici, che lo hanno paragonato ora a Il Gattopardo ora a Horcynus Orca e salutato la scoperta di una «narratrice meravigliosa nei suoi slanci a volte razionali, a volte passionali» (Le Monde). Così, se a marzo Stampa alternativa ha ripubblicato la storia di Modesta, donna “libera e libertina” nella Sicilia di inizio secolo, Rizzoli riporta in questi giorni nelle librerie L' università di Rebibbia». Lo stesso giorno, sempre sul Corriere della Sera, Cristina Taglietti rievoca anche le vicende legate all‟odissea editoriale del capolavoro della Sapienza con un articolo dal titolo: «E il critico disse: “Finché vivrò quel libro non sarà mai edito”». Addirittura l‟edizione romana del 26 settembre 2006 de Il Giornale, malgrado la scrittrice sia stata definita un‟icona della gauche, pubblicizza un incontro/presentazione del romanzo: «Torna Goliarda Sapienza, la scrittrice scomparsa nel '96, e torna grazie a Stampa Alternativa, che l'ha pubblicata nel '94, e al grande successo che sta ottenendo l'edizione francese, che ha spinto a una nuova edizione italiana di L'arte della gioia». Tanto successo non poteva passare inosservato agli occhi dei grandi gruppi editoriali, infatti Einaudi non tarda a farsi avanti e riacquista i diritti del libro, proponendone una nuova edizione nel 2008 e cominciando la pubblicazione delle opere inedite della scrittrice. La stampa accoglie quest‟operazione con favore, interessandosi nuovamente al romanzo, così su Repubblica del 25 giugno 2008 Daria Galateria scrive: «Sono state le edizioni tedesca, francese e spagnola a rilanciare in Italia, di rimbalzo, questo romanzo - rivelazione, roman total, romanzo “pieno di febbre”, con la “vertigine del trascorrere accelerato delle generazioni”, scrivono oltralpe (duemila copie vendute in Francia il primo giorno). Così, ecco oggi l'edizione Einaudi (pagg. 540, euro 20), con l'introduzione, la commozione e ancora un po' l'ira di Angelo Pellegrino (il maggior critico italiano aveva detto del romanzo: “E' un cumulo di iniquità”) e il saggio, anche molto bello, di Domenico Scarpa – “L' Arte della gioia è un romanzo incestuoso, che risponde all' impulso di correggere la propria vita capovolgendola, cioè partorendo i 108 propri genitori per mezzo della scrittura”: Goliarda che aveva tanto desiderato dei figli (Ignazio Buttitta le aveva scritto una volta: “Goliarda, ca è matri di tutti e un havi figghi”). Il 19 luglio è Gianni Bonina che dal supplemento culturale, Tuttolibri, della Stampa parla del romanzo, tentando una vera e propria analisi critica: «Oggi, dodici anni dopo la morte dell'autrice catanese, L'arte della gioia «ritorna» in Italia con il carico di alcuni pregiudizi e l'etichetta di romanzo addirittura satiriaco. I pregiudizi riguardano la struttura: concepito come romanzo naturalistico di tipo ottocentesco (e Dostoevskij e' l'autore de chevet di GOLIARDA, che muore con I fratelli Karamazov in mano), con uno svolgimento che tiene rigorosamente uniti fabula e intreccio, svela poi improvvise soluzioni sperimentalistiche che ne distorcono il dettato […]»264. Il sole 24 ore affida al suo blogger, Guido Vetere, il compito di parlare del romanzo, così il 17 agosto 2008 su Cervelli nella vasca si può leggere: «Caso letterario dell'estate: esce in libreria 'L'arte della gioia' di Goliarda Sapienza. Il romanzo, scritto negli anni '70, rifiutato dai principali editori italiani (compreso Einaudi che oggi lo propone), pubblicato una prima volta postumo nel '98 da Stampa Alternativa, oggi, a tren'tanni dalla sua creazione, dopo un clamoroso successo all'estero, è finalmente sui nostri scaffali. Romanzo torrenziale, bellissimo, dove, con la vicenda di una donna siciliana, si narra di eros, di storia, di politica, con una potenza devastante. Perché lo leggiamo solo oggi, quando avremmo potuto farne un'esperienza indimenticabile trent'anni fa, dandone il giusto tributo alla geniale autrice, che negli 264 L‟articolo di Bonina non è piaciuto a molti estimatori del romanzo, nello specifico a Giovanna Provvidenti che in quel perido era già in fase di revisione della sua biografia di Goliarda Sapienza, alla quale aveva consacrato due anni di studio e ricerca. La Provvidenti interviene su un blog con le seguenti parole: «mi ritrovo in pieno su quanto dici a proposito della non comprensione di L‟arte della gioia da parte di G. Bonina nella Stampa. Anche altri recensori su Repubblica, Il sole 24 ore, Elle, non l‟hanno compreso, e forse nemmeno letto. Restano tutti in superficie, non riescono ad entrare nella vitale bellezza del romanzo a comprendere che, come dici tu, “Modesta è la donna che ogni donna dovrebbe voler essere. Forte, sensuale, indipendente, innamorata.” Modesta rappresenta un immagine di femminile che non piace neanche alle femministe perchè la sua libertà non è mai ideologica, ma passo passo scaturita da una ricerca profonda di autenticità. Una autenticità che svela la presenza dell‟Eros come una componente e una forza vitale presente in ognuno di noi che va valorizzata, recuperata e non repressa. Non è vero che Modesta sia spregiudicata o scandalosa: lei è come è: una persona che riesce a non farsi tarpare le ali dai condizionamenti sociali, dai moralismi, da inutili ideologie che impediscono di vivere pienamente e reprimono le emozioni, sbiadiscono i sentimenti. Ti ricordi quel passo in cui Modesta dice che con tutto quel latte che le davano la mattina al convento le stavano annacquando il sentimento forte? Modesta è una che ha il coraggio di viversi le emozioni e di provare sentimenti. Anche la vita di Goliarda è attraversata da questo coraggio, ma con delle importanti differenze che l‟hanno portato davvero ai bordi del pozzo, non per finta come la guardinga, e fin troppo freddamente perspicace e strategica». Cfr. http://iamclumsy.com/2008/07/19/larte-della-gioia/. 109 ultimi anni della sua vita conobbe anche l'indigenza e il carcere? Perché è un libro anarchico, scomodo per tutto e tutti. Inaccettabile, al tempo in cui fu scritto, per democristiani, comunisti, femministe, e chiunque avesse anche solo un briciolo di potere fondato sulla falsa coscienza. Troppo per quei farisei dei nostri editori. Oggi però il libro è fra noi, peraltro ancora attualissimo in molti dei suoi temi 'politici'. Forse lo si pubblica non perché la falsa coscienza sia estinta, ma perché, al contrario, è così ben costituita che il lettore può metabolizzarlo con una certa facilità». Il 20 luglio è Il Giornale pubblica la sua recensione, contestando, anche se non apertamente, l‟eccessiva eccitazione della critica: «Dire che L'arte della gioia è un libro importante è giusto. Ma travalicare questo elogio attribuendo all'Autrice la qualità di un «talento contundente» significa forzare il giudizio piegandolo a un'ammirazione incontrastata che mi sembra travisare il significato e il valore di questa opera. […]concludere invece la quarta di copertina del volume con questa frase, «Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale», ci sembra opinabile e di dubbio gusto. A invalidare tali «perplessità», dopo aver riconosciuto e ammirato la ricchezza e a volte la forza quasi primigenia della vicenda, basta esaminare con obiettività lo stile desultorio del racconto, il cui impasto è essenzialmente quello di un linguaggio «medio» che a volte s'innalza in balzi lirici molto vicini a un'enfasi stridente con la colloquialità del contesto; e altre volte, in maniera vistosa nelle lunghissime battute di dialogo fra Modesta e la psichiatra sua amante sulla moralità o immoralità dell'amore omosessuale, si abbassa quasi al livello di un «dibattito televisivo»; altre volte ancora - e sono i momenti migliori - vibra di orrore (ma anche di tenerezza) nel perfetto racconto delle precocissime esperienze sessuali di Modesta bambina». 110 Insomma, nel bene o nel male, il libro al quale Goliarda Sapienza aveva dedicato dieci anni della propria vita per scriverlo e altri venti per farlo pubblicare, alla fine ha preso il volo, conquistando un numero sempre maggiore di persone che, come Marco – l‟amore maturo della protagonista –, continuano a dire: «Racconta, Modesta, racconta»265. 3.3 Trama de L’arte della gioia Nata il 1 gennaio 1900, Modesta vive con la madre e Tina, la sorella down, in una stamberga di campagna. Non ha mai visto il mare. Lo conosce solo attraverso le parole di Tuzzu, un ragazzo un po‟ più grande, che la inizia anche alle prime esperienze sessuali. Ed è al ritorno da uno dei pomeriggi trascorsi con l‟amico che Modesta trova in casa un uomo “alto e robusto” che dichiara di essere il suo padre biologico. Dopo aver rinchiuso la madre e la sorella nello “stanzino del cesso”, l‟uomo abusa della figlia, la quale nottetempo fugge e appicca il fuoco alla baracca. Venuta a conoscenza della terribile storia della ragazzina, la madre superiore di un convento della zona – madre Leonora, discendente della ricca e prestigiosa famiglia dei Brandiforti – la accoglie, facendone la sua pupilla. Modesta mette a frutto la sua naturale propensione verso la conoscenza, cercando di imparare il più possibile, scoprendo la bellezza e la forza delle parole, ma cominciando anche a cogliere le ipocrisie e le bassezze della vita monacale, nello specifico della sua protettrice, madre Leonora. In un momento di distrazione la giovane rivela alla religiosa ciò che pensa realmente di lei, fatto che ne causa la caduta in disgrazia e l‟emarginazione. La giovane, che sembra comunque destinata alla vita monacale, ha come unico amico il giardiniere Mimmo, uomo saggio e riguardoso, che sembra avere un reale affetto nei suoi confronti. Per rientrare nelle grazie della madre superiora, Modesta comprende che deve ricorrere a un atto estremo, e finge un suicidio. Lo stratagemma ha successo, la freddezza di Leonora si scioglie leggermente, ma Modesta sente la trappola della vocazione incombere sempre più da vicino e, quando viene a sapere che il testamento della madre superiora prevede per lei una rendita e un soggiorno temporaneo presso la famiglia Brandiforti, capisce che la sua unica via d‟uscita è la morte della badessa. 265 Sapienza, L‟arte… cit., p. 511. 111 Modesta comincia quindi a segare i giunti della balaustra sulla quale è collocato il cannocchiale che la madre superiora utilizza quando si dedica al suo hobby preferito, osservare le stelle. Dopo un po‟ di tempo il piano va a buon fine: i giunti cedono e per Modesta si aprono le porte della villa del Carmelo. La giovane riesce a insinuarsi con destrezza e maestria nella vita della nobile casata, facendosi apprezzare dall‟arcigna e cinica principessa Gaia, la matriarca che “governa” e amministra i beni di famiglia. La ragazza inoltre si stringe in un rapporto sororale-erotico (che rimarrà tale per sempre) con la principessina Beatrice-Cavallina – soprannome dovuto a un problema congenito all‟anca che la fa zoppicare leggermente – figlia della principessa, che in realtà ne è la nonna, in quanto si scoprirà che Beatrice è nata dalla relazione tra la defunta madre Leonora e il fattore Carmine Tudia. È proprio il rapporto con Beatrice che dà a Modesta l‟opportunità di comprendere la storia e le dinamiche familiari: Gaia ha avuto tre figli: Leonora, Ippolito – affetto da mongolismo e per questo segregato in una stanza della villa e nascosto alla vista di tutti, fuorché del servitore Pietro che è l‟unico a occuparsene, e Ignazio, morto di recente in seguito alle ferite riportate in guerra. La principessa ha avuto anche un fratello, Jacopo, che era stato un eretico giramondo, amante della filosofia, la cui stanza pullulava di libri proibiti, che Modesta legge di nascosto con avidità. Modesta approfitta ancora una volta di tutte le opportunità che le provengono dalla nuova situazione per studiare e imparare quante più cose le è possibile e per cercare, ancora una volta, di scongiurare i voti religiosi che l‟attendono allo scadere del periodo di vita temporale che le è stato concesso. Disposta a qualunque cosa, mostrandosi come l‟unica realmente capace di tenere le redini della casa in assenza della principessa, ottiene di sposare Ippolito e diventare quindi a sua volta principessa. Comincia dunque per lei un periodo di apprendistato di gestione dei beni, durante il quale frequenta sempre più assiduamente Carmine, che inizialmente la tratta con sufficienza, ma che alla fine cede all‟attrazione per lei e la seduce. I due vivono un rapporto in cui la tensione erotica e passionale è molto accesa. Modesta resta incinta e avverte il pericolo che le deriva dalla presenza della principessa, percependone distintamente la mancanza di desiderio di vivere, accompagnata dalla volontà di morire e trascinare tutti con lei. Benché la ammiri, Modesta sa che non ha altra scelta che liberarsi di lei. E così, quando l‟anziana principessa ha uno dei suoi attacchi, 112 invece di soccorrerla, la lascia morire. Ormai Modesta è libera, è la principessa, padrona assoluta del proprio destino. Ippolito viene “liberato” e un‟infermiera, Inés, viene chiamata per occuparsi di lui. Intanto la neo-principessa mette al mondo un bambino che chiama Eriprando – detto Prando – e decide di lasciare la villa in campagna per trasferirsi al mare, a villa Suvarita, vicino Catania. La vita in città stimola in Modesta il desiderio, in verità mai sopito, di conoscere, studiare, imparare. Sente che l‟amministrazione dei beni rappresenta un impedimento molto forte, e decide di sbarazzarsi di tutto, in modo da poter disporre meglio del proprio tempo. Questo crea tensioni con Carmine, che non capisce e non condivide tale decisione (anche se con opportunismo è lui a comprare i feudi per sé e i suoi figli legittimi), tanto che i due interrompono la loro relazione. Intanto Carlo Civardi, un giovane medico comunista lombardo, entra a far parte della vita di Modesta e Beatrice. Il giovane, quando non si trova al nord Italia a causa del suo attivismo politico, è un assiduo frequentatore della casa e trascorre molto tempo a parlare con Modesta di politica e filosofia. Tra i due nasce un amore molto tenero, fondato soprattutto sull‟intesa intellettuale e sulla profonda e continua condivisione di idee e valori. Ma per Modesta la loro è una storia impossibile, che infatti scoraggia in ogni modo, fino a troncarla. Intanto Inés, la badante di Ippolito, rimane incinta proprio del principe e ottiene da Modesta il permesso di tenere il bambino a condizione però che, in cambio di un vitalizio, la donna rinunci a ogni diritto sul nascituro, che sarà dato in affidamento proprio a Modesta. Trascorso un po‟ di tempo, Carlo chiede Beatrice (da tempo innamorata di lui) in moglie e, dopo un breve fidanzamento, i due si sposano e vanno a vivere a Catania, accompagnati dalla fedele servitrice Argentovivo. La sera stessa della cerimonia di nozze, Modesta scorge, nascosto tra gli alberi, Carmine: tra i due, nonostante siano rimaste intatte le vecchie incomprensioni, si accende nuovamente la passione amorosa. Ma il tempo a loro disposizione è poco, perché Carmine soffre di un male incurabile. Al funerale dell‟uomo Modesta ne incontra il figlio, Mattia, dagli stessi occhi azzurri, il quale, intrigato dalla principessa, si offe di accompagnarla a casa in moto. In breve tempo tra i due nasce una relazione molto burrascosa, perché il giovane Mattia non riesce a comprendere, tantomeno ad accettare, l‟assoluto senso di libertà di Modesta, che non è disposta a riconoscere padroni né compromessi. 113 Inés mette al mondo un bimbo che Modesta chiama Jacopo e di cui, come concordato, diviene madre putativa, mentre la balia che lo allatta si chiama Stella ed ha un bambino di nome „Ntoni. Anche Beatrice diventa mamma, ma di una femminuccia che viene chiamata Ida-Bambolina- Bambù. Una sera Carlo cade in un‟imboscata e muore qualche giorno dopo a causa delle ferite riportate: uno degli aggressori è Vincenzo, fratello di Mattia. Modesta ordina a Pietro di vendicare con discrezione la morte del dottore. Lo scontro con Mattia è inevitabile e si fa a colpi di rivoltella: da allora la fronte di Modesta sarà solcata da una cicatrice. Nel frattempo, incapace di reagire alla morte del marito, Beatrice si lascia morire. Ma nuove nascite rinnovano il fluire della vita e stavolta è Argentovivo (che nel frattempo ha sposato Pietro) a mettere al mondo una bambina, Crispina, mentre un‟orfanella, Mela, sotto richiesta di uno dei vecchi amici di Carlo, trova rifugio in famiglia. In fuga dai pericoli legati all‟attività rivoluzionaria antifascista, arriva in casa di Modesta la psicanalista Joyce. Donna emancipata, raffinata, colta non può che attirare, in tutti i sensi, l‟attenzione di Modesta. Le due trascorrono molto tempo insieme e dopo l‟iniziale diffidenza della principessa – che teme di avere a che fare con una spia – le donne iniziano una relazione amorosa, alla quale Modesta si lascia andare con entusiasmo e reale dedizione, ma che per Joyce, tranne in rari momenti, è fonte di tormento e senso di colpa. Trascorrono alcuni anni, crescono i figli ufficiali, naturali ed elettivi, i nipoti e gli orfani adottati: ciascuno gode di un‟assoluta libertà d‟espressione e di ricerca, secondo l‟esempio della propria regina. Solo il rapporto tra Joyce e Modesta si consuma, nell‟atto di resa della principessa di fronte alla comprensione che anche nella sua amante prevale una pulsione di morte e di negazione della gioia che lei ha cercato di vincere invano, e che lentamente ha corroso il loro legame. Intanto, mentre la guerra imperversa nel continente e i giovani sono costretti a partire, per la principessa, accusata di attività sovversiva, si spalancano le porte del carcere. E in prigione conosce Nina, la sua compagna di cella, una “romanaccia” popolana ma di gran cuore e soprattutto grondante di vita che la sostiene nei duri giorni di prigionia e nei giorni, ancora più duri, della ritrovata libertà, vissuti però, in 114 mezzo alla guerra e alla fame. Sopravvivranno, così come i figli di Modesta che torneranno dal fronte ognuno col proprio carico di sofferenza. E nel dopoguerra, quando nel naturale ciclo biologico, i giovani cominciano a prendere il posto dei genitori, Modesta, fedele alla volontà di rimanere libera sopra ogni cosa, resiste alla tentazione di farsi etichettare e coinvolgere in compromessi, anche a costo di dover sopportare il litigio con Prando, divenuto avvocato comunista, che immagina per lei ruoli politici. Resta fedele a se stessa Modesta, nella sua Sicilia, ancora circondata da coloro che ama, nell‟esercizio rinnovato “dell‟arte della gioia” con Marco, il suo amore maturo, col quale continua a sfidare il tempo, nella convinzione di poterlo dilatare «vivendolo il più intensamente possibile prima che scatti l‟ora dell‟ultima avventura»266. 3.4 I personaggi de L’arte della gioia Dopo aver illustrato a grande linee la trama del romanzo, in questo paragrafo vengono elencati i personaggi di maggiore rilievo, dei quali si tracciano le caratteristiche peculiari. Antonio („Ntoni) Figlio naturale di Stella, appartiene alla seconda generazione dei personaggi e cresce insieme agli altri piccoli della casa. Ha un amore profondo per il teatro, frequenta Angelo Musco e alla sua morte entra in una scuola di recitazione a Roma 267. Argentovivo Fedele cameriera della famiglia Brandiforti, è un personaggio che percorre quasi per intero il romanzo. Si occupa di Modesta fin dal suo arrivo al Carmelo. Sposerà Pietro e darà alla luce Crispina. 266 Sapienza, L‟arte… cit., p. 511. Elemento autobiografico dell‟autrice, la quale conobbe il famoso drammaturgo siciliano e frequentò l‟Accademia di Arte drammatica a Roma. 267 115 Beatrice (Cavallina)268 Spacciata per figlia della principessa Gaia, ne è in realtà la nipote, essendo figlia di Leonora e del fattore Carmine. È coetanea di Modesta, ma sin dall‟inizio si ha l‟impressione che sia molto più giovane, in quanto la si vede dipendere da lei sin dal primo momento e finché resterà in vita. Ha un difetto congenito che la fa zoppicare leggermente. Dolce, ingenua, insicura e un po‟ svampita ha con Modesta un rapporto di sorella/amante, finché non sposa Carlo Civardi e mette al mondo Ida. La sua inadeguatezza nei confronti della vita la rende troppo fragile e incapace di affrontare la morte del marito, tanto da non sopravvivergli di molto. Carlo Civardi269 Medico lombardo comunista con la “malattia della politica”. Insegna a Modesta a nuotare e comincia a frequentarne la casa, condividendo con lei gli stessi ideali. I due hanno una breve relazione amorosa, che però non raggiunge mai picchi di passione e si fonda piuttosto sull‟intesa intellettuale. Dopo il rifiuto di Modesta, il medico sposa Beatrice, con la quale concepisce la piccola Ida. Muore prematuramente, vittima di un‟imboscata fascista270. Carluzzu271 Nato dall‟unione quasi incestuosa di Prando e Stella, è il più piccolo della casa, essendo l‟unico rappresentante della terza generazione dei personaggi. Viene dipinto come un ragazzo splendido e volitivo, capace di opporsi 268 Il nome di questo personaggio è chiaramente ispirato alla Beatrice dantesca (cfr. Sapienza, Arte… cit, p. 58), anche se non sembra condividerne aspetti peculiari, opponendo al contrario all‟abbagliante incedere della donna di Dante che «si va sentendosi laudare, benignamente d‟umiltà vestuta», quello decisamente più dimesso della povera ragazzina zoppicante. L‟ammirazione che l‟autrice sembra avere per il Poeta è testimoniata peraltro dalle molte citazioni all‟interno del romanzo. 269 La persona reale cui si ispira il personaggio è l‟omonimo compagno di Maria Giudice con la quale ha ben sette figli prima di morire prematuramente. Con il personaggio del romanzo condivide l‟idealismo, la solitudine meditativa, l‟entusiasmo e la morte giovanile. 270 L‟episodio della morte di Carlo sembra rievocare l‟infausta morte del fratello dell‟autrice Goliardo, morto a 13 anni, assassinato probabilmente da un gruppo mafioso/fascista. 271 “Carluzzu” è il titolo del primo romanzo, rimasto incompiuto e inedito, scritta da Goliarda Sapienza. 116 al padre con carattere e coraggio, tanto da arrivare a prenderlo a pugni. Sembra essere il risultato perfetto del viaggio compiuto dall‟intera famiglia, incarnando da subito gli ideali di libertà e autodeterminazione. Carmine Fattore dei Brandiforti, è il padre biologico di Beatrice. Uomo rozzo e all‟antica – legato al possesso della terra – è un po‟ opportunista ma estremamente seducente. Rappresenta per Modesta l‟amore carnale e sensuale, infatti nonostante i continui dissapori i due continuano ad attrarsi e a combattersi. E Modesta, quando lui muore, non cede alla tentazione di eleggerlo a proprio mito, ma ne demistifica l‟aura, mancando a una promessa che gli aveva fatto: lo vede morto, presentandosi al suo funerale, sostituendolo come amante con il figlio Mattia. Crispina Figlia di Argentovivo e Pietro, è la più giovane della seconda generazione dei personaggi. Mostra sin da piccola una propensione per il canto, che coltiverà andando a studiare a Palermo e diventando una soprano molto apprezzata. Eriprando (Prando)272 Figlio di Modesta e, ufficialmente, di Ippolito (in realtà di Carmine), è tra i giovani quello che ha il rapporto più problematico con Modesta poiché ha un carattere maschilista e dominante. Inizialmente aderisce al fascismo, per poi arrivare a conclusioni diametralmente opposte e abbracciare la causa comunista. La sua rigidità lo porta a un litigio di diversi anni con la madre, recuperato solo quando di fronte a una grave malattia di cuore rivede un po‟ le proprie posizioni e le si riavvicina. Modesta, nel rapporto col figlio, comprende che la vera forma d‟amore è sapere accogliere, non volere il meglio 272 Il nome del personaggio è ispirato a Prando Visconti, nipote del noto regista, amico di Citto Maselli (compagno dell‟autrice per 18 anni) e suo aiuto regista. 117 per l‟altro cambiandolo. Gaia (principessa) Matriarca della famiglia Brandiforti. È madre di Leonora e nonna di Beatrice (anche se ne è ufficialmente la madre). Incapace di mostrare i propri sentimenti, soffre moltissimo per la perdita in guerra del figlio Ignazio, tanto da non avere più reali prospettive di vita, né per sé né per i propri discendenti. Dal carattere estremamente autoritario e cinico e dai modi spicci, è una delle tre madri che Modesta deve uccidere per intraprendere il suo percorso verso la gioia. Ida (Bambolina, Figlia di Beatrice e Carlo Civardi, cresce insieme alla Bambù)273 tribù dei piccoli di villa Suariva e come loro sceglie liberamente il suo cammino. Come precedentemente avevano fatto sua madre e Modesta, anche lei ha i primi approcci sessuali con una donna 274, Mela. Successivamente si innamora e sposa Mattia. Ignazio Figlio della principessa Gaia, compare nel romanzo solo attraverso le parole evocative della nipote Beatrice, che aveva una vera adorazione verso di lui. La morte al fronte è causa di un dolore immenso per la principessa, dal quale, nonostante non lo dia a vedere, non riesce a riprendersi. Inés Madre naturale di Jacopo, è un‟infermiera torinese chiamata alla morte della principessa Gaia per prendersi cura di Ippolito. Astuta e calcolatrice, riesce a migliorare la sua posizione rimanendo incinta del principe, garantendosi così un reddito e una dimora per la vita. 273 Sia il nome che il soprannome del personaggio si ispirano a Ida Petriccione di Vada, amica dell‟autrice, alla quale rubò i gioielli negli anni settanta finendo per questa ragione in carcere. 274 Quello del rapporto amoroso tra due donne visto come fase iniziatica alla sessualità è un dato autobiografico della scrittrice, che nell‟adolescenza aveva sperimentato le prime sensazioni erotiche con le sorellastra Nica. 118 Alla fine del romanzo ritorna avanzando pretese sul figlio, turbandolo non poco. Ippolito Figlio della principessa Gaia, soprannominato “la cosa” perché affetto da mongolismo. Vive, fino alla morte della madre, rinchiuso in una camera, senza che nessuno lo avvicini tranne il servitore Pietro. È Modesta la prima ad avvicinarsi a lui, ricevendone in cambio manifestazioni di affetto. La giovane allora trascorre molto tempo con lui, riportandolo un po‟ alla civiltà e approfittando di tutto il tempo a sua disposizione per leggere l‟intera biblioteca di zio Jacopo. Intanto Ippolito diviene talmente dipendente da Modesta che appena lei va via dà in escandescenza. A quel punto la principessa decreta il matrimonio. Modesta dice addio al convento! Jacopo Figlio di Inés e di Ippolito, alla nascita viene ceduto dalla madre a Modesta, che lo cresce insieme agli altri. È il più introverso tra i giovani e soffre moltissimo quando scopre quali sono le sue vere origini. La guerra lo segna profondamente, lasciandolo per lungo tempo in uno stato di depressione e di apatia. Ha una personalità fragile e ama lo studio. Alla fine del romanzo diviene medico e sposa una giovane, Olimpia, con la quale ha un bambino. Jacopo (zio) Fratello di Gaia, è senza saperlo mentore di Modesta, la quale divora i numeri libri, rivoluzionari ed eretici per l‟epoca, della sua libreria. Ha viaggiato a lungo, ha studiato a Parigi divenendo medico-chimico. Le sue ceneri sono raccolte in un vaso che si trova nella sua stanza e che ne testimoniano la coerenza fino alla fine. Jose275 Grande amico di Carlo e di Joyce, è l‟attivista politico puro per eccellenza. Viene sempre evocato e non è mai 275 Il nome del personaggio si ispira al quarto figlio che Maria Giudice ebbe con Carlo Civardi. 119 presente nell‟azione. Joyce276 Figlia di un diplomatico italiano e di una nobildonna turca è una psicanalista, amica di Jose e attivista politica, dalla bellezza statutaria e androgina. Spesso sofferente, è un personaggio dilaniato dal senso di colpa derivato dalla non accettazione della sua omosessualità. È questa la ragione per la quale non riesce a vivere serenamente la storia con Modesta. Il suo senso di inadeguatezza la fa vivere in un continuo stato depressivo che la conduce per ben due volte a tentare il suicidio 277. La ritroviamo alla fine del romanzo, dopo che ha rotto da tempo con Modesta, perfettamente allineata ai dettami del nuovo potere. Lo scontro con Modesta dà spunto alla scrittrice per esplicitare il suo pensiero sulla condizione femminile278. Leonora (madre) Figlia della principessa Gaia e madre biologica di Beatrice, è la madre superiora del convento nel quale viene accolta la piccola Modesta, che avendo subito un abuso sessuale dal presunto padre biologico, è fuggita dopo aver appiccato il fuoco alla casa in cui, oltre l‟uomo, si trovavano anche la madre e la sorella down Tina. La badessa è un personaggio inquietante e tormentato, si nasconde in convento per riuscire a 276 Il nome del personaggio è ispirato a Joyce Salvadori Lussu, antifascista che Goliarda Sapienza conosce alla fine degli anni ‟50. Parla molte lingue, è stata in giro per il mondo battendosi in varie lotte anticolonialiste. Diventa molto amiche della scrittrice e le due nell‟estate del 1960 fanno un viaggio insieme a Istanbul. 277 Tratto autobiografico perché, come è noto, la scrittrice ha anche lei tentato due volte il suicidio. 278 «Attente, Bambolina, Crispina, Olimpia, attente! Fra venti, trent'anni non accusate l‟uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varechina. Non è l‟uomo che vi ha tradite, ma queste donne ex schiave che hanno volutamente dimenticato la loro schiavitù e, rinnegandovi, si affiancano agli uomini nei vari poteri […] attente, voi, privilegiate dalla cultura e dalla libertà, a non seguire l‟esempio di queste negre perfettamente allineate. Al posto delle mani tagliuzzate dalla varechina, per voi si preparano anni di cupo esercizio mascolino nel legare alla catena di montaggio le più povere, e l'atroce notte insonne dell'efficienza a tutti i costi. E fra venti anni di questo esercizio vi troverete chiuse in gesti e pensieri distorti come questa larva che sorride per dovere d'ufficio materializzazione né maschile né femminile, inchiodate davanti al vuoto e al rimpianto della vostra identità perduta. Cfr. Sapienza, L‟arte… cit., pp. 470-1. 120 sopravvivere, raccontando bugie a se stessa e agli altri. Muore per mano di Modesta che si rende conto che per salvarsi deve riuscire a liberarsi della religiosa. Marco Medico amico di Nina, compare nella parte finale del romanzo – che si conclude con le sue parole – diventando il compagno col quale la protagonista si accinge a trascorrere il resto della sua vita. Mattia Figlio di Carmine, conosce Modesta nel giorno del funerale del padre, sentendosene immediatamente attratto. Ma benché i due abbiano una relazione amorosa, la sua giovane età non gli consente di comprendere le istanze di indipendenza di Modesta. Solo successivamente, dopo un tracollo finanziario (a causa del quale ha rischiato di perdere tutte le terre acquistate con fatica dal padre) e un lungo soggiorno in America, sembra comprendere le scelte della protagonista e la sua grande apertura mentale. Sposa Bambolina e costruisce con lei il suo futuro. Mela Orfana di guerra, viene accolta e cresciuta insieme alla seconda generazione dei personaggi. Molto legata a Bambolina, compie con lei le prime esperienze sessuali, sena che Modesta, pur sapendolo, intervenga per reprimere. Dotata di grande talento musicale, diventerà una pianista di successo. Mimmo Giardiniere del convento nel quale giunge Modesta da ragazzina, è il suo interlocutore preferito, anche perché è l‟unico a non emarginarla quando la fanciulla cade in disgrazia agli occhi della madre superiora. È lui a salvarla quando finge il suicidio gettandosi nel pozzo. La saggezza dell‟uomo lo rende punto di riferimento e interlocutore immaginario anche negli anni successivi 121 alla permanenza in convento, quando Modesta si lancia nelle sue riflessioni sui vari aspetti dell‟esistenza. Modesta279 Protagonista assoluta della vicenda, si muove sullo sfondo storico di un secolo, il „900, percorso dalle due guerre mondiali. Il personaggio è presentato nel suo divenire, nella sua lotta disperata per non soccombere alla miseria e all‟ignoranza e per inseguire con ogni mezzo la realizzazione del proprio percorso di libertà, indipendenza e autodeterminazione, in quanto persona, donna e madre280. Nata nell‟arretratezza della campana siciliana di inizio „900, grazie alla ferrea volontà di ottenere quanto di meglio la vita abbia da offrire, riscatta se stessa dalla propria misera condizione, riuscendo a diventare addirittura una principessa. Ha molteplici amori e tanti figli, legittimi e non, che educa a una libertà consapevole, di difficile gestione, perché immune da compromessi. Tutta la sua vita si svolge all‟insegna di quest‟unico credo, all‟interno del quale gli episodi contingenti, come la prigione o la fame del dopoguerra, sono solo fatti della vita che consentono l‟esercizio della 279 Il nome del personaggio è probabilmente ispirato alla cognata, sorella di Citto, Modesta Maselli, grande amica dell‟autrice. Tuttavia, pare un nome studiato più per creare un effetto antifrastico con le caratteristiche del personaggio, che per rendere semplicemente omaggio a una persona cara. 280 Lontano dall‟essere l‟alter ego della scrittrice, Modesta è semmai uno strumento di cura, un viaggio che Goliarda Sapienza intraprende all‟interno del proprio malessere per potere infine rinascere a nuova vita. E infatti il tema della rinascita torna più volte all‟interno del romanzo, ognuna delle quali rappresenta una tappa fondamentale nel percorso verso la compiutezza di sé e la ricerca della gioia: «Tutto finisce e poi ricomincia, tutto muore per poi rinascere, sperai», in Sapienza, L‟arte…cit., p. 166; «Rinasce Modesta partorita dal suo corpo, sradicata da quella di prima che tutto voleva, e il dubbio di sé e degli altri non sapeva sostenere», ivi, p. 264; «Rinasceva Stella dal travaglio del distacco dai suoi morti», ivi, p. 274; «Molti mesi durò la gravidanza di Jacopo, e ora rinasceva carne nuova dalla sua intelligenza.», ivi, p. 401. L‟idea che il personaggio di Modesta serva come strumento di “guarigione” per la scrittrice sembra corroborata dall‟impressione del valore fortemente simbolico che ricoprono i tre omicidi che si consumano nel giro di poche pagine all‟inizio del romanzo, tutti perpetrati da una giovanissima Modesta a danno della madre e di due figure chiaramente materne: madre Leonora e la principessa Gaia. Nella prefazione a Le fil d‟une vie (Editions Viviane Hamy), opera che raccoglie le prime due opere autobiografiche di Goliarda Sapienza, Nathalie Castagné (traduttrice francese della Sapienza), dopo aver rievocato l‟importanza della figura genitoriale e aver tracciato tutti gli omaggi testuali che la scrittrice le rivolge, affronta proprio la questione degli omicidi affermando:«que l‟émancipation de Modesta passe par le meurtre de trois figures maternelles, on ne s‟en étonnera pas, une fois mesurée la force du sur-moi représenté par Maria Giudice». 122 ricerca della gioia. La sua volontà di non lasciarsi etichettare e di non cedere a nessun ricatto, nemmeno a quello più insidioso che può provenire dall‟amore verso i figli, la costringe anche a scelte dolorose. Il suo essere anarchica, lontano dal significare una ribellione aprioristica, rappresenta solo il desiderio di sfuggire a qualsiasi automatismo, a qualsiasi rigidità, imposta o autoinflitta. Nina Compagna di cella di Modesta, è una romana dall‟esplosiva vitalità. Personaggio molto positivo, aiuta la protagonista nei momenti di difficoltà e ne diventa socia in affari una volta superate le fasi cruente della guerra. Entra a far parte con naturalezza della famiglia Brandiforti ed è lei che presenta a Modesta Marco, l‟amore maturo. Pietro Fedelissimo servitore dei Brandiforti, si lega in un rapporto di devozione con Modesta. Uomo onesto e fidato, sposa Argentovivo con cui concepisce Crispina. Muore serenamente alla fine del romanzo di vecchiaia, circondato dai suoi cari. Stella Levatrice e balia, è madre di „Ntoni, ma ha un atteggiamento materno anche con la principessa Modesta. Si prende cura un po‟ di tutti, ma in età adulta commette “peccato “ con Prando, restando incinta e provandone immensa vergogna. Sconterà la colpa morendo dopo il parto. Timur Fratellastro di Joyce, personaggio inquietante, ambiguo, minaccioso e seducente allo stesso tempo. È un pericoloso nazista, arruolato nelle SS al seguito di Himmler. Ha un incontro teso con Modesta, durante il quale fa un lungo monologo sulle ragioni del nazismo. 123 Tuzzu Appare solo nelle prime pagine del romanzo e alcune volte successivamente come interlocutore immaginario di Modesta. È un ragazzino poco più grande della protagonista da piccola, quando ancora vive con la madre ed è per lei una sorta di primo amore. È a lui che risponde a Modesta che gli chiede come sia il mare, ed è sempre lui che risponde alle prime curiosità sessuali della ragazzina. 3.4 La traduzione in francese Nella traduzione dall‟italiano al francese, uno degli elementi più difficoltosi è senz‟altro il passaggio da una lingua elastica 281 (l‟italiano) a una piuttosto rigida (il francese). Gli ostacoli maggiori alla flessibilità del francese sono da ricercarsi nel centralismo linguistico e nello scrupolo accademico, che si manifesta attraverso una fortissima esigenza di rispetto della norma, sia essa sintattica, ortografica o lessicale, tanto che il codice linguistico francese risulta avere una struttura ferrea e poco incline ai cambiamenti. Non bisogna d‟altronde dimenticare che i “colonizzatori” francesi, per indicare la poca dimestichezza con la lingua, sono soliti dire parler petit nègre282, a testimonianza che neanche l‟espressione orale sfugge al rigoroso autocontrollo linguistico, che si mantiene sempre sulla falsariga del modello scritto. Ne è riprova anche quanto affermato da Raymond Queneau, che ha fatto della manipolazione linguistica il proprio cavallo di battaglia: «on pouvait prévoir un moment où la différence entre français parlé et français écrit serait tel qu‟il se produirait une véritable catastrophe […] Tout d‟un coup, il y aurait deux langues: l‟une, le français écrit, deviendrait l‟équivalent du latin ; et l‟autre, dûment codifiée, serait à son tour enseignée dans les écoles. On reconnaîtrait dans le néo-français un idiome 281 Secondo Calvino l‟italiano è una «lingua di gomma con la quale pare di poter fare tutto quel che si vuole», per cui « una buona traduzione [in italiano] di un libro straniero può conservare un qualche saporino dell‟originale; un libro di scrittore italiano tradotto il meglio possibile in qualsiasi altra lingua conserva del suo sapore originale una parte molto minore, o nulla del tutto», in Italo Calvino, L‟italiano, una lingua tra le altre lingue, in Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 1965, p. 142. 282 Cfr. Ahmadou Kourouma, Allah n‟est pas obligé, Paris, Seuil, 2000, p. 3: «Et d‟abord… et un… M‟appelle Birahima. Suis p‟tit nègre. Pas parce que suis black et gosse. Non! Mais suis p‟tit nègre parce que je parle mal le français. C‟é comme ça. Même si on est grand, même vieux, même arabe, chinois, blanc, russe, même américain ; si on parle mal le français, on dit on parle p‟tit nègre, on est p‟tit nègre quand même. Ça, c‟est la loi du français de tous les jours qui veut ça». 124 indépendant. Cette thèse que je me suis plu à soutenir à plusieurs reprises il y a une vingtaine d‟années, ne me paraît plus aussi bien fondée» 283. Lo scrupolo accademico, la volontà di padroneggiare la lingua e possederla interamente caratterizza quindi anche dell‟espressione orale, nella quale non si è verificato, come pure si poteva ipotizzare, un abisso creato dalla prepotente distanza esistente tra ortografia e pronuncia. Questo è indubbiamente un dato da tenere a mente quando si deve operare una traduzione da una lingua come quella della Sapienza, che a tratti e in determinati contesti comunicativi si produce in scarti notevoli dall‟italiano standard, e cioè quando si muove in un ambito diafasicamente e diastraticamente connotato, trascolorando nel dialetto. In opposizione a quanto affermato, si potrebbero citare la forza e la vitalità anche letteraria – basti pensare a Céline – dell‟argot. Questo però se si dimenticasse che l‟argot nasce innanzitutto come linguaggio di rivolta e di trasgressione sociale ma soprattutto che è una lingua “da adulti”, certo non usata per cantare berceuses o per raccontare fiabe284. Il centralismo linguistico, che rende Parigi, per ragioni storiche ampiamente messe in luce285, unico riferimento linguistico credibile, emargina le lingue di provincia, bollandone la cadenza e il lessico. Ciò non toglie che esista un patrimonio linguistico regionale, denso di valenze semantiche, diffuso in vaste zone del paese, di cui spesso i parlanti hanno una conoscenza a volte solo inconscia. In Le pré des langues, Annie Salanger scrive: J‟ai été plongée dans les mots de la langue vernaculaire dès l‟enfance, puia je les ai oubliés, je les ai en partie reconnus qui surnageaient dans mon accent […]. Il arrive plus souvent qu‟on ne le croit que le travail d‟écriture soit aussi recherche d‟une autre langue sous celle qui l‟exprime. On la cherche sans le savoir, on nourrit sa propre langue d‟une fine distance avec l‟autre jamais rattrappée, qui tient en alerte le désir de dire, voué à une insatisfaction inépuisable mais jouissive. […] Une langue, deux mêlées plutôt s‟attachaient à trouver là-bas leur espace commun, une sorte de chant des limites qui me retenait, captive et libre»286. 283 Raimond Queneau, Curieuse évolution de la langue française, in Le voyage en Grèce, Gallimard, 1973, p. 224. 284 Cfr. Alain Rey, Fréderic Duval, Gilles Siouffi, Mille ans de langue française. Histoire d‟une passion, op.cit. pp. 1225-33. 285 Cfr. § 2.1. 286 Annie Salager, Le pré des langues, Martel, éditions du Laquet, 2001, p. 24-6 125 Evocare due lingue intrecciate nell‟universo creativo della scrittrice, sembra quanto mai adeguato alla realtà comunicativa di Goliarda Sapienza, che si muove con consapevolezza nell‟amplissima gamma espressiva a sua disposizione, adeguandola di volta in volta ai differenti contesti d‟uso, e facendola muovere dal dialetto catanese al registro colto287. E se questo può apparire più o meno scontato nel quadro linguistico dell‟italiano, lo è sicuramente molto meno in quello del francese. La lingua della Sapienza copre un vasto ventaglio di varietà del repertorio linguistico italiano, dall‟italiano regionale (con incursioni popolari) fino ad arrivare a un registro più alto, intessuto di citazioni colte e di rimandi intertestuali, riferiti al patrimonio filosofico-letterario europeo. La lingua si adegua al contesto comunicativo: ad esempio la prima parte del romanzo, nella quale la protagonista interagisce con un ambiente socioculturale diastraticamente connotato verso il basso, è caratterizzata da una lingua, tanto a livello lessicale (termini dialettali, proverbi) quanto a livello morfosintattico, costellata da incursioni piuttosto frequenti del dialetto, che servono ad ancorare il romanzo alla cultura di stampo feudale che tanto ha caratterizzato la storia dell‟isola e che sembrano richiamare echi di verghiana memoria. L‟evoluzione del romanzo conduce a un affrancamento della protagonista da un destino di miseria e ignoranza, riscatto che si svolge anche attraverso un cambiamento di registro e attraverso un‟attenuazione dell‟uso del dialetto, relegato a situazioni comunicative particolari e comunque più rarefatte. 287 In tal senso il personaggio di Modesta cerca costantemente e consapevolmente di arricchirsi di nuove possibilità espressive: «Da quel giorno abbandonai tutte quelle brutte parole senza rimpianto. Non fu facile, anche cercando di dimenticarle non mi volevano uscire dalla testa, ma io escogitai un sistema, una disciplina per dirla come madre Leonora (però, che bella parola, disciplina)»; oppure «Ma dopo, la voce di madre Leonora, ricomposta nella sua dolcezza di sempre, avrebbe ricominciato a dire parole belle, come infinito, azzurro, soave, celestiale, magnolie. Che belli i nomi dei fiori: gerani, ortensie, gelsomino, che suoni meravigliosi! Ora poi che le scriveva le parole li sul bianco della carta, nero su bianco, non le avrebbe perdute più, non le avrebbe dimenticate più. Erano sue, solo sue. Le aveva rubate, rubate a tutti quei libri», in Sapienza, L‟arte… cit., pp. 20-1. Ma Modesta, nel suo lavoro di ricerca, va oltre, perché una volta che si è impossessata delle parole le trova corrotte e deprivate del loro senso profondo dalla consuetudine e dalla tradizione: «Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali. E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l'uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel "mio" contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima». Ivi, pp. 1345. 126 Tuttavia l‟evoluzione della lingua non si conclude nel passaggio dal dialetto all‟italiano colto, poiché, nello scorrere delle pagine, il siciliano riacquista una dignità che lo proietta a distanza dalla funzione di indicatore dell‟appartenenza sociale, facendolo diventare portatore di una saggezza tanto primigenia quanto conquistata, che è espressione, più che punto di arrivo, dell‟esistenza della protagonista. Come porsi quindi di fronte a un romanzo come L‟arte della gioia, nel quale se è vero che è ampiamente presente un uso mimetico della lingua, è altrettanto vero che lo stesso linguaggio veicola un contenuto che pervade l‟intero testo di sfumature cariche di significato, evocatrici di un mondo intriso di suoni, odori, colori e gesti, che proprio la lingua fissa al contingente ed eleva a canone universale? Quando Réné de Ceccatty scrive l‟ormai celebre recensione del romanzo, la conclude facendo riferimento allo stile della scrittura e alla sua traduzione in francese: «Un style généreux, si l'adjectif ne paraît pas désormais galvaudé. Et qui nous arrive en français dans une traduction précise, fluide et lyrique» 288. Il concetto di fluidità è senza dubbio quello su cui si è soffermata di più la traduttrice, Nathalie Castagné, quando è stata sollecitata a una riflessione sul suo approccio al romanzo, nello specifico rispetto alla presenza del dialetto 289: «J‟ai fait le choix de ne pas essayer de mettre du dialecte français à la place du dialecte sicilien, parce qu'en fait, il n‟y a pas du tout en France le même rapport entre le français et les lettres dialectales que celui qui existe en italien. Et encore, il y a un problème de fluidité, parce qu‟on peut passer de l‟italien au sicilien avec une certaine fluidité, mais en revanche, en français, ça fait vraiment un arrêt terrible si on met un dialecte, puisqu‟ils ne sont plus utilisés du tout. C‟est des langues dont l‟emploi pèse lourdement. En tout cas, je n‟ai pas une telle connaissance d‟un dialecte pour pouvoir y arriver». La traduttrice, rivendicando le proprie scelte, ha affermato da una parte che il rapporto che la lingua francese ha con i suoi dialetti, essendo molto più distante da quello che l‟italiano intrattiene con le proprie lingue regionali, implicherebbe l‟impossibilità – poiché ne metterebbe a repentaglio la fluidità – dell‟uso di un dialetto nella traduzione dall‟italiano al francese; mentre dall‟altro lato afferma che anche se tale dialetto esistesse, lei non avrebbe le competenze necessarie per servirsene. 288 Réné De Ceccatty, Sapienza, princesse hérétique, in “Le Monde des livres” (inserto culturale al quotidiano “Le Monde”) del 16-09-2001, p.1. 289 Tutte le dichiarazioni della traduttrice qui riportate sono state rilasciate in occasione dell‟intervista già citata che ho fatto a Nathalie Castagné a Montpellier tra il 17 e il 19 giugno 2011. 127 Cercando di chiarire il concetto Nathalie Castagné ha asserito inoltre che «utiliser du dialecte ferait une coupure qu‟on ne sent pas dans le texte original, sauf en effet pour un mot, une expression de temps en temps où on sent que c‟est du pur sicilien, et là je crois que je l‟ai laissé tout le temps en sicilien. Je voulais éviter à tout prix qu‟il y ait une rupture stylistique, dans le son, ou tout simplement dans la lecture, qui n‟existe pas dans le livre. Donc par rapport à mes connaissances, j‟ai été obligée d‟essayer de sentir, d‟entendre au mieux une tonalité, une couleur musicale dans ce qui était dit, mais qui est aussi le caractère de chacun, et d‟essayer de rendre au mieux avec des petites nuances de couleurs, c‟est-à-dire ce qui était en ma possession, vu que je n‟avais utilisé qu‟une seule langue plus quelque mot du Midi qui s‟offraient à moi. A part ça, à coté de ces couleurs très intenses, très caracterisées que Goliarda utilise, je passe à un-deux-trois degrés en dessous en utilisant mes coloris, qui sont des nuances du français, mais c‟est tout! C‟est juste des coloris à coté de couleurs formidables, extraordinaires donnés par l‟accession à un dialecte, ou à un dialecte retravaillé, à une syntaxe différente, que Goliarda Sapienza peut utiliser». Quindi la Castagnè ribadisce con forza che l‟utilizzo del dialetto nella traduzione francese avrebbe nuociuto al romanzo, appesantendolo e creando una rottura sintattico-stilistica; ragione per la quale si è trovata nell‟obbligo di gestire delle sfumature di colori, utilizzando la gamma che aveva a disposizione nella propria tavolozza, che per forza di cose era più esigua rispetto a quella di Goliarda Sapienza. Consapevole del rischio che si corre quando si traduce, Nathalie Castagné continua il suo ragionamento:«Je savais très bien que forcement l‟on perd beaucoup en traduisant, qu‟on allait perdre un degré de couleur en plus en passant de l‟italien – qui peut introduire un dialecte sans que ce soit dérangeant – au français qui selon moi ne le peut pas. Donc il fallait que je me débrouille avec ça! Mais puisque j‟ai bien vu que le sicilien était très important pour Goliarda, que ce livre avait aussi pour fonction parmi tant d‟autres de faire passer et de conserver quelque chose du sicilien, j‟ai voulu garder quelques termes siciliens de temps en temps au lieu de les traduire, en mettant une note, mais pas trop pour que ça ne soit pas trop lourd, que ça n‟arrête pas dans la lecture, parce que c‟est un roman et il faut que ce soit le plus fluide possible. Je sais, je me souviens très bien que j‟ai voulu laisser quelques termes en sicilien précisément parce que je sentais que pour Goliarda c‟était une chose importante. Je savais qu‟il y avait cette mémoire-là aussi dans le livre, que moi je ne pouvais pas beaucoup 128 respecter parce qu‟il fallait bien faire passer le texte en France et pour des lecteurs français.». Il concetto di fluidità ritorna quindi come elemento centrale e filo conduttore che ha determinato ogni decisione legata alla traduzione. Per chiarire il senso della sua scelta, la traduttrice ha mantenuto il punto anche quando le si sono chiesti lumi relativamente a una scelta traduttiva, legata a un passaggio abbastanza semplice, caratterizzato essenzialmente da una posposizione del verbo. Il testo che in originale dice: «Te cercavo, e scema non sono! Te cercavo, hai finito?», viene reso in francese con le seguenti parole: «Je te cherchais, et je ne suis pas une crétine! Je te cherchais, tu as fini?» Alla traduttrice è stato quindi chiesto se la traduzione sarebbe stata la stessa se il testo originale avesse recitato: «Ti cercavo e non sono una scema, ti cercavo, hai finito?». Nathalie Castagné risponde: «bien sûr, je ne pouvais pas trouver d‟autres solutions, parce qu‟ il y en avait pas. C‟est même pas que j‟aie eu du mal, il y a des choses qui m‟ont donné du mal parce qu‟il y avait éventuellement une autre solution, alors là je ne pouvais pas». Fermo restando l‟apprezzamento per la qualità della traduzione in francese dell‟Arte della gioia, le granitiche certezze di Nathalie Castagné lasciano qualche perplessità, e questo per una serie di ragioni. Innanzitutto affermare che i dialetti non sono più utilizzati in Francia sembra quantomeno imprudente, poiché come è stato ampiamente dimostrato 290, per quanto la politica linguistica fortemente accentratrice dello Stato francese ne abbia segnato un forte declino, le lingue regionali in Francia mantengono una certa vitalità e molte di esse hanno perfino visto nascere al loro interno opere letterarie di un certo spessore. Dichiararne quindi la morte quasi aprioristicamente appare se non altro azzardato. Allo stesso modo, sembra eccessivo escludere la possibilità di trovare soluzioni alternative rispetto ad alcune scelte fatte. Si potrebbero citare infatti diversi casi di traduzioni verso il francese di testi in cui è presente una lingua regionale italiana, che si sono mosse in direzioni diverse rispetto alla scelta di standardizzare la lingua. Per restare nell‟ambito linguistico del siciliano, si potrebbe citare ad esempio il caso della traduzione verso il francese di Andrea Camilleri che, pur partendo da presupposti linguistici molto differenti da quelli che caratterizzano la scrittura di 290 Cfr. § 2.2. 129 Goliarda Sapienza, ne condividono tuttavia la stessa radice culturale, e si prestano a soluzioni che potrebbero essere interessanti anche nella prospettiva linguistica della scrittrice catanese. Dominique Vittoz è tra i maggiori traduttori di Camilleri in francese. Ovviamente diversi studi sono stati fatti sulla sua opera, ma qui interessa maggiormente dare conto di alcune sue dichiarazioni rispetto alle proprie strategie traduttive: «mi sono messa a guardare alla mia lingua, il francese, un po‟ diversamente, ricordando ad un tratto che, tutto sommato, in qualche remotissima zona della mia memoria, possedevo anch‟io parole portatrici dello stesso effetto deflagrante [come quelle usate da Camilleri]: quelle del mio patois per usare la spregiativa parola francese, oppure in termini linguistici più nobili, la parlata francoprovenzale di Lione. […] Grandissimo merito dei libri di Camilleri per il traduttore francese è di obbligarlo ad andare a rivangare campi abbandonati. E di liberarsi dall‟ossessione della pureté de la langue. Si tratta quindi di coniare spudoratamente un francese meticcio. Ma non inventandolo come ho già detto […]. Per quanto mi riguarda, ho voluto creare un francese meticcio attingendo a quelle parlate, dal francese accademico trascurate e disprezzate, censurate, eppure piene di vitalità. A un livello più modesto, e tragedia della colonizzazione a parte, l‟operazione è gemella di quella praticata da vari scrittori francofoni delle Antille o d‟Africa, come Patrick Chamoiseau della Martinica o Ahmadou Kourouma della Costa d‟Avorio per esempio, quando scrivono in francese, integrandovi con vendicativa e esuberante disinvoltura parole di creolo o di lingua malinkè, spiegandole se necessario ma il più delle volte dosandole e disponendole in modo che il lettore francofono non creolo o non malinkèfono possa capire lo stesso la frase o il paragrafo»291. E quella di una lingua costruita in modo tale che l‟inserto di elementi dialettali sia portatore di arricchimento semantico, piuttosto che fonte di difficoltà interpretativa, è senza dubbio una delle direttrici sulle quali si è mossa l‟autrice dell‟Arte della gioia il cui romanzo, per ammissione della sua stessa traduttrice non pone problemi di comprensione a chi non è dialettofono 292: «c‟est bizarre, parce que 291 Dominique Vittoz, Quale francese per tradurre l‟italiano di Camilleri? Una proposta non pacifica, in AA.VV., Il caso Camilleri. Letteratura e Storia, Palermo, Sellerio editore, 2004, p. 193. 292 A questo proposito capita, girovagando tra vari siti e blog di recensioni e commenti al libro, di incappare in dichiarazioni simili: «Dorota Scrive: 29 ottobre 2008 alle 11:52. Ho iniziato di leggere questo libro con una certa difficolta‟ per la questione della lingua (non sono italiana, ma durante la 130 vraiment quand je me suis lancée dans le texte j‟ai presque tout compris, pas tout le temps car après il y a des choses que j‟ai demandées, mais je sais qu‟il y en a que j‟ai comprises comme ça, parce qu‟il y avait quand même un sens qui venait. Je pensais que je ne me trompais pas de beaucoup et je me disais: “bon, je vais reprendre, de toute façon je reverrai après”, et en réalité il y a des choses sur lesquelles j‟ai pas eu besoin de revenir». Alla luce di tutto ciò è sembrato interessante tentare di percorrere una via alternativa a quella battuta da Nathalie Castagné, ricordando soprattutto quanto insegna Paul Ricoeur: «une bonne traduction ne peut viser qu‟à une équivalence présumé, non fondée dans une identité de sens démontrable. Une équivalance sans identité. Cette équivalance ne peut être que cherchée, travaillée, présumée. Et la seule façon de critiquer une traduction – ce qu‟on peut toujours faire –, c‟est d„en proposer une autre présumée, prétendue, meilleure ou différente»293. Muovendosi nel senso proposto dalla Vittoz, resta da capire quale impalcatura linguistica possa sostenere al meglio il tentativo di una traduzione alternativa. Un bagno linguistico di diversi anni nella zona wallonne del francese, che ha condotto a una conoscenza empirica ed empatica di tale lingua regionale, ha spinto a una ricerca in quella direzione. Gli elementi che sembrano corroborare tale scelta rilevano almeno da tre ragioni: innanzitutto il wallon possiede una grande varietà lessicale (oltre 10.000 parole, secondo la stima della Société de Langue et Littérature Wallonne), del tutto distinta dal francese; inoltre non presenta soluzioni fonetiche che potrebbero urtare la sensibilità dell‟udito francofono; e infine è una lingua dalla ricca tradizione letteraria294. L‟esperimento ovviamente è solo un tentativo di muoversi all‟interno del concetto di diversalité, egregiamente espresso nell‟ Éloge de la créolité,: «Et si nous [la lingua francese e il creolo usati insieme con lo scopo di raggiungere la creatività lettura non me ne sono neanche accorta delle parole incomprensibili). Il mondo della Modesta mi ha travolto completamente». Cfr. sul sito http://www.spaccaforno.it/archivio/304/larte-della-gioia-digoliarda-sapienza-racconto-saro-fronte/. 293 Paul Ricœur, Le paradigme de la traduction, in “Esprit”, giugno 1999, p. 15. 294 Si citano solo alcuni degli autori più noti, insieme alla loro opera più rappresentativa: Charles Duvivier (Li pantalon trawé), Nicolas Defrecheux (Lèyîz-m‟ plorer ), Édouard Remouchamps (Tâti l'pèriquî), François Duysinx (Tchèdôre èt Babète), Joseph Vrindts (Li passeû d‟êwe), Henri Simon (Li mwért di l‟åbe), Théodore Chaelier (Po passez l‟ håhê), Jean Wisimus (Lu mureû), Louis Lagauche (Ine plêhante famile), Émile Wiket (Li p‟tit banc), Jules Claskin (Lès neûrès gades), Robert Grafé (Flibotes), Jean Rathmès (Ètér‟mint), Louis Remacle (A l‟ prumîre eûre), Albert Maquet (Fåt si pô d‟ tchwè d‟èsse ureûs), Jenny D‟Inverno (Ranguinne po on dîmègne qu‟i ploût), Èmile Gilliard (Èt nos r‟vik‟rans). 131 letteraria] recommandons à nos créateurs cette exploration de nos particularités c‟est parce qu‟elle ramène au naturel du monde, hors du Même et de l‟Un, et qu‟elle oppose à l‟Universalité, la chance du monde diffracté mais recomposé, l‟harmonisation consciente des diversités préservées: la DIVERSALITÉ»295. 3.5 Biografia della traduttrice Nathalie Castagné Scrittrice e traduttrice, nata a Montpellier, dove vive tutt‟ora, Nathalie Castagné sceglie inizialmente, per tradizione familiare, di frequentare la facoltà di Filosofia. Essendo cultrice e praticante, sin dall‟infanzia, del bel canto, abbandona presto gli studi universitari, per seguire la sua prima vocazione, dedicandosi così allo studio della sua arte preferita, alla quale consacra anche il proprio destino professionale. Parallelamente, scrive. Nel 1980 e nel 1982 pubblica per le Éditions de la Différence. Sotto lo pseudonimo di Eilathan, un romanzo, Sebastian ou la perdition, e un racconto in versi, Perséphone. Diversi viaggi in Italia – principalmente a Roma – hanno scandito la sua vita tra il 1963 e il 1980. Nel 1983 mette al mondo Esther. Ritorna a Montpellier dopo dieci anni trascorsi a Parigi. Alla fine la scrittura ha la meglio sul canto ma, avendo bisogno di un salario regolare, comincia, quasi per caso, a fare delle traduzioni, eleggendo successivamente quest‟attività a occupazione principale. Gli anni 80 e 90 sono infatti ampiamente dedicati alla traduzione. Alcuni dei suoi lavori principali sono: Mort de Pasolini, di Dario Bellezza (éditions Persona), Pinocchio, di Collodi (Gallimard Jeunesse), il Canzoniere di Saba (L‟Âge d‟Homme) et Poésies (1943-1970) di Pasolini (Gallimard) [in co-traduzione], La première extase, La fin de la bataille et L‟autre maîtresse d‟Elisabetta Rasy (Rivages), Conversations avec Federico Fellini, di Costanzo Costantini (Denoël), La Briganta di Maria Rosa Cutrufelli (Viviane Hamy). Del 2000 è la traduzione Petit guide sentimental de Venise, di Paolo Barbaro (Seuil). 295 Jean Bernabé, Patrick Chamoiseau et Raphaël Confiant, Éloge de la créolité, Parigi Gallimard, 1990, p. 54. 132 Nel 2001 pubblica, per le Éditions du Seuil, un romanzo che narra la storia di un cantante: L‟Harmonica de cristal. In seguito compie per le Éditions du Seuil diverse traduzioni: Le Bateau pour Kobé eRetour à Bagheria di Dacia Maraini; Pasolini, mort d‟un poète, di Marco Tullio Giordana Voyage en Europe, raccolta di lettere giovanili di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Di imminente pubblicazione, per la stessa casa editrice, la traduzione di un racconto di Susanna Colussi, madre di Pasolini: Une famille romanesque. Nel 2005 per le éditions Viviane Hamy, Nathalie Castagné ha tradotto L‟Art de la joie di Goliarda Sapienza. Successivamente, sempre per Viviane Hamy, Lettre ouverte e Le fil de midi, ancora di Goliarda Sapienza, pubblicati insieme col titolo di Le fil d‟une vie. Il seguito di questo ciclo autobiografico, composto da L‟université de Rebibbia e da Les certitudes du doute, le cui traduzioni sono state consegnate alla casa editrice, come concordato, nell‟ottobre del 2008, non sono state ancora pubblicate. Nathalie Castagné ha in corso molti progetti di scrittura e di traduzione. 133 4. Analisi linguistica Come è stato detto nel § 3, la traduzione de L‟arte della gioia pone non pochi problemi a chi si accinga a operarne la transcodificazione da una lingua a un‟altra, non solo perché ogni processo traduttivo è «une opération de méta-communication assurant l‟identité de la parole à travers la différence des langues» 296, ma perché la lingua della Sapienza – ricca di riferimenti letterari e, al tempo stesso, così radicata all‟ambiente socioculturale siciliano – rappresenta uno degli assi portanti del romanzo. La straordinaria parabola che il personaggio principale, Modesta, compie – affrancandosi da una condizione miserabile per diventare una donna libera, che non si piega né ai ricatti dei giovani, né a quello dei vecchi 297 – passa prima di tutto attraverso la lingua: dalla povertà culturale e materiale del tugurio in cui vive insieme alla madre e alla sorella, fino al “firmamento” delle parole che le si schiude per la prima volta in convento con madre Leonora e poi, più tardi, al palazzo dei Brandiforti. Questo riscatto tuttavia non implica l‟abbandono della dimensione dialettale, che permea al contrario l‟intero romanzo: il dialetto non è più necessità espressiva, ma una delle possibilità che la lingua offre, una varietà del repertorio linguistico non più connotata negativamente, ma fortemente espressiva e mai veramente dimenticata, al punto di diventare, quindi, una voce – una tra le più espressive – che, a quasi sessant‟anni, Modesta è in grado di piegare per rappresentare, raccontare, pensare. Nell‟ultima parte del romanzo la dimensione dialettale sembra assumere una dimensione primigenia: non è un caso che il dialetto in bocca a Prando, figlio di Modesta e di Carmine, riemerga dalle profondità di questa terra, al punto che la protagonista, ascoltando il figlio che parla in dialetto, può affermare: «Dove trovava Prando quel linguaggio dimenticato? La voce di Carmine lui l‟aveva mai sentita?» 298. 296 Ladmiral, Théorèmes… cit., p. 106. «Come quando alla tua età non ho subito il ricatto dei vecchi, oggi vecchia nei tuoi confronti, non ho intenzione di subire il ricatto dei giovani!», in G. Sapienza, L‟arte… cit., p. 371. 298 Ivi, p. 459. 297 134 Ma quella dialettale, che pur fa da protagonista in questo romanzo, non è l‟unica varietà del repertorio rappresentata: nel romanzo si moltiplicano registri espressivi che vanno dal colloquiale informale a quello più formale e ricercato. Come appare evidente quindi la traduzione de L‟arte della Gioia pone non pochi problemi a chi si accosti a un testo così denso non solo di stili, ma di riferimenti culturali interni ed esterni alla lingua stessa. E ciò non solo perché, come afferma Calvino, la lingua italiana – con un repertorio così ampio e vitale – è più duttile della lingua francese, ma perché in questo romanzo la dimensione diatopica funge da sostrato sul quale la lingua di buona parte dei personaggi si muove, si modella e, in alcuni casi, si evolve. Eliminare questo sostrato equivale a cancellare la matrice socioculturale dell‟intero romanzo: standardizzare L‟arte della gioia significa quindi sottrarre senso alla narrazione. In questo capitolo l‟analisi linguistica comparata dall‟italiano al francese, pur privilegiando la dimensione diatopica, terrà conto delle altre dimensioni di variazione linguistica, ovvero della dimensioni diamesica, diafasica e, laddove presente, diastratica. L‟analisi verrà pertanto articolata sui livelli fonetico-fonologico, morfosintattico e lessicale. La griglia dei fenomeni indagati è stata ripresa e adattata dal Gaetano Berruto, Sociolinguistica dell‟italiano contemporaneo 299, e dal lavoro di Grassi, Sobrero e Telmon, Introduzione alla dialettologia italiana. 300 Nell‟analisi della traduzione dall‟italiano al francese si tenterà di interpretare di volta in volta le scelte della traduttrice che, come si è detto nel § 2, affrontando marginalmente sia il problema del rapporto tra testo tradotto e testo di partenza, che quello tra il testo tradotto (come testo primario) e le pratiche di significazione nell‟ambito della tradizione della cultura di arrivo, ha proposto al lettore francese un testo piuttosto fluido, operando privandolo tuttavia della sua coloritura regionale. 4.1. Il corpus Il corpus su cui è stata condotta l‟analisi linguistica e stilistico-espressiva è costituito dall‟intero romanzo L‟arte della gioia, pubblicato da Einaudi nella collana Supercoralli nel 2008. Per la traduzione francese è stata adoperata l‟edizione de L‟art 299 Cfr. Gaetano Berruto, Sociolinguistica dell‟italiano contemporaneo, Roma, Carocci, 200413. Cfr. Corrado Grassi, Alberto A. Sobrero, Tullio Telmon, Introduzione alla dialettologia italiana, Roma-Bari, Laterza, 2003. 300 135 de la joie pubblicata da Viviane Hamy, Paris, 2005 e tradotta da Nathalie Castagné. Pertanto, le citazioni testuali e il relativo rimando alle pagine fanno riferimento alle edizioni citate. 4.2 Livello fonologico Un elemento interessante per la nostra ricerca è rappresentato dalla fonologia che, come si vedrà, influenza in modo piuttosto evidente la scrittura della Sapienza: l‟ambientazione siciliana, la necessità di raccontare anche grazie al dialetto l‟evoluzione culturale di Modesta, non poteva non passare anche attraverso questo livello di analisi, mediante la resa grafica di alcuni dei tratti fonetici tipici del siciliano. Se l‟autrice de L‟arte della gioia riproduce in modo piuttosto convincente la realtà linguistica dei personaggi del romanzo, in particolare di quelli poco o per nulla alfabetizzati, non si può dire altrettanto per la traduttrice francese, Nathalie Castagné, che – come si vedrà – tende a standardizzare e ad appiattire il sostrato dialettale. Alla dimensione regionale vanno poi aggiunti i tratti tipici del parlato meno sorvegliato e più orientato sul versante della colloquialità; anche per questi fenomeni la Castagné predilige, nel complesso, opera delle scelte orientate alla fluidità e alla standardizzazione. In questa sede quindi prenderemo in considerazione i tratti maggiormente presenti nel romanzo come l‟aferesi, il troncamento, l‟assimilazione, i legamenti e la realizzazione cacuminale di alcuni nessi in -ll-. Dei suddetti fenomeni – vista anche la discreta presenza nel corpus – si renderà conto solo in modo tendenziale. 136 4.2.1 Aferesi Fenomeno tipico dell‟italiano parlato301 e dell‟italiano colloquiale 302 è l‟aferesi di „sto (e forme flesse) per questo303, che si appoggia come proclitico al sostantivo che segue. Il fenomeno è molto presente nel romanzo, specie nelle situazioni comunicative più informali e rilassate ed è, in genere, largamente usato dai personaggi parzialmente alfabetizzati come Carmine, Tuzzu e Nina. Le forme aferetiche, come „sto, „sta, „sti e ste, tanto per questo quanto per questa (e il loro plurale), sebbene connotino ancora «la lingua in senso colloquiale, […] sono certamente panitaliani» 304, a buon diritto rientrano tra i trentacinque tratti dell‟italiano dell‟uso medio. Inoltre il loro uso è favorito da forme ormai consolidate nello standard305, come stamattina, stanotte, stamani, stasera, stavolta. Nel corpus le forme aferetiche di questo e questa, e il loro plurale, trovano una buona realizzazione. Solo per citare alcuni dei moltissimi esempi si ricorderanno: (1a) Non sto tranquillo a vederti girare intorno a „sto pozzo. [p. 35] (1b) Je ne suis pas tranquille de te voir tourner autour de ce puits [p. 59] (2a) Ma quale destino e destino! „Sta terra era destinata a restare un deserto di lava e noi in tre generazioni l‟abbiamo resa fertile come a valle. Destino! [p. 60] (2b) Mais qu‟est-ce que c‟est que cette histoire de destin! Cette terre était destinée à rester un désert de lave et nous en trois générations nous l‟avons rendue fertile comme dans la vallée. Le destin! [p. 98] (3a) „Na vera mosca cavallina quando vuole sapere qualcosa „sta picciridda [p. 23] (3b) Une vraie mouche de coche quand elle veut savoir quelque chose, cette petiote. C‟est vrai en partie que l‟insomnie est une punition que Dieu inflige à qui a péché [p. 38] 301 Cfr. Ilaria Bonmi, Andrea Masini, Silvia Morgana e Mario Piotti, Elementi di linguistica italiana, Roma, Carocci, 2003, pp. 49-50. 302 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., pp. 151-2. 303 Le forme aferetiche „sto, „sta, „sti e ste, tanto per questo quanto per questa (e il loro plurale), sebbene connotino ancora «la lingua in senso colloquiale, […] sono certamente panitaliani», a buon diritto rientrano tra i trentacinque tratti dell‟italiano dell‟uso medio. Cfr. Francesco Sabatini, L‟”italiano dell‟uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in Holtus, Günter, Radtke, Edgar (a cura di), Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen, Gunter Narr, 1985, p. 158. 304 Ibidem. 305 Ibidem. 137 Si può notare come nella traduzione in francese, la Castagné si sia preoccupata esclusivamente di mantenere le forme del dimostrativo francese standard, tralasciando di far emergere la connotazione in senso colloquiale che il testo ha invece nella sua forma originale. Oltre a quelle citate, un‟altra forma aferetica molto produttiva nel romanzo è „na per una, per la quale traduttrice francese non opera alcun tipo di intervento in modo da marcare a livello diafasico la lingua, come si vede negli esempi citati: (1a) Cosa? E dai, parla! „Na gallina ca sta per essere strangolata mi pari! E che sarà mai, parla! [p. 7] (1b) Quoi? Et va, parle! On dirait une poule à qui on va tordre le cou [p. 13] (2a) Appena l‟ha vista s‟è sbiancata come „na morticina, e appena lei ha accennato a quel fattaccio, ecco che l‟attacco le riprende [p. 16] (2b) Dès qu‟elle vous a vu elle est devenue blanche comme une petite morte, et à peine faites-vous allusion à l‟horrible événement, voilà sa crise qui la reprend [p. 27] (3a) Vedi, figghia, l‟amore non è come dicono tanti ca uomini non sono e anche donne ca donne non sono, e vanno sbattendo da „na banna all'altra senza quasi niente provare [p. 109] (3b) Tu vois, ma fille, l‟amour n‟est pas comme le disent tant d‟hommes qui n‟en sont pas et aussi des femmes qui ne sont pas des femmes, et qui se précipitent d‟un côté à l‟autre sans presque rien sentir [p.177] (4b) Est-ce que je dois devenir comme cette chiffe molle de Mattia, qui ne fait que se surveiller comme une petite femme de santé délicate? [p. 776] (4a) E che devo fare la fine di quello smidollato di Mattia, che non fa che riguardarsi come „na femminuccia di salute cagionevole? [p. 491] (5a) Io rubo le tue idee sulla letteratura anglosassone, ci aggiungo qualche cosa di mio e mi vendo la merce a Nicola che è ricco e non sa „na minchia! [p. 484] (5b) Je chipe tes idées sur la littérature anglo-saxonne, j‟y ajoute quelque chose de mon cru et je vends la marchandise à Nicola qui est riche et ne sait rien de rien! [p. 766] In (5b) si assiste al dileguo della forma aferetica e allo svuotamento del valore semantico del sostantivo minchia, fortemente connotato in senso colloquiale e 138 volgare, che viene invece normalizzato nella trasposizione 306 dal sostantivo alla locuzione avverbiale rien de rien. Esiste anche un caso di aferesi con l‟uso di „nto Ŕ forma più specificamente proveniente dal dialetto di area meridionale – per nel, peraltro usato in una locuzione verbale tipica del dialetto, che la traduttrice risolve nel dileguo sia della forma aferetica, sia della locuzione verbale connotata diatopicamente, entrambe sciolte in una forma verbale standard del francese: (1a) Chi fai scimuzza, cascasti „nt‟o sonnu? [p. 7] (1b) Qu‟est-ce que tu fais, bécassote, tu dors? [p. 13] (dileguo) 4.2.2 Troncamento Il troncamento o apocope307 consiste nella caduta di un elemento fonico, come una vocale, una consonante, o una sillaba alla fine di una parola. Si tratta di un fenomeno abbastanza comune nei registri più bassi 308 e molto più frequente nel parlato che nello scritto309, ove si riscontra invece la tendenza a rispettare l‟integrità e l‟autonomia lessicale delle parole. Il fenomeno è piuttosto limitato nel romanzo ed è essenzialmente presente nell‟italiano regionale trascurato di Nina. In questo caso la traduttrice francese adotta delle strategie compensative per rendere più informale o più connotato lo stile comunicativo del personaggio, come si può vedere dagli esempi che seguono: (1a) Chi sei? Perché ti faceva tante smancerie quella zozzona di suor Giuliana? E poi io non sono del continente: so' romana! [p. 420] (1b) Qui es-tu? Pourquoi est-ce qu‟elle te faisait tant de grâces, cette salope de sœur Giuliana? Et puis je ne suis pas du continent: j‟suis romaine! [p. 663] 306 La trasposizione è quel procedimento traduttivo che consiste nel sostituire una parte del discorso, o una categoria grammaticale, con un‟altra. Per i vari tipi di trasposizione cfr. Josiane Podeur, La pratica della traduzione. Dal francese in italiano e dall‟italiano in francese, Napoli, Liguori Editore, 1993, pp. 33-70. 307 Cfr. Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989, pp. 19-22. 308 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 151. 309 Cfr. Sabatini, L‟italiano… cit., p. 157. 139 (2a) E no, principessa! T'hai da sveglià! Io fino a qua t'ho accompagnata, t'ho lasciata in pace perché non farneticavi, ma è pericoloso 'sto parlare a vacca! Porca vacca, se ci fosse 'na lampadina vera e non 'sto lumicino blu da purgatorio, tutte le inventano! [p. 423] (2b) Eh non, princesse! Faut que tu te réveilles! Jusque-là je t‟ai accompagnée, je t‟ai laissée en paix parce que tu ne délirais pas, mais c‟est dangereux cette façon de dérailler! Putain, s‟il y avait une vraie petite lampe et pas cette petite lumière bleue de purgatoire, ils en ratent pas une! [p. 666] (3a) Eh sapessi, fijetta, quanto me piace de parlà! Come al padre mio ch'era anarchico e ci ha insegnato il parlare schietto e a non venerare i falsi profeti. [p. 424] (3b) Eh, si tu savais, ma fille, comme ça me plaît de parler! Comme mon père qu‟était anarchiste et qui nous a appris à parler franc et à ne pas vénérer les faux prophètes. [p. 668] In tutti gli esempi, siamo in presenza – nella versione in italiano – di apocope verbale, che non trova corrispettivo nella traduzione in francese. La Castagné opera tuttavia delle compensazioni, spostando in (1b) l‟apocope dal verbo all‟elisione del pronome personale soggetto je, che in francese si elide solo davanti a vocale o h aspirata310, fenomeno classificato come tipico dell‟oralità 311. In questo caso particolare la traduttrice quindi rispetta l‟informalità del testo di partenza. Analogo rispetto si riscontra in (2b), dove la soppressione del pronome personale soggetto testimonia il mantenimento di un registo informale. In (3b) il fenomeno compensativo è più blando, poiché l‟aspetto informale viene reso mediante la traduzione letterale del testo di partenza, con il mantenimento quindi del vocativo ma fille e addirittura dell‟elisione del pronome relativo che/que davanti a vocale. 310 Cfr. Cfr. Sylvie Poisson-Quinton, Reine Mimran, Michèle Mahéo-Le Coadic, Grammaire expliquée du français, Tours, CLE International, 2007, p. 46. 311 Cfr. Françoise, Gadet, La variation sociale en français, Paris, Éditions Ophrys, 2007, p.124. 140 4.2.3 L‟assimilazione Fra le caratteristiche fonetiche generali di molte, se non addirittura di tutte le regioni del Sud, vi è la tendenza all‟assimilazione 312 di alcuni gruppi consonantici313, come ad esempio nd che viene pronunciato nn oppure mb che viene reso con mm. Molto frequenti sono i casi di assimilazione di questi nessi, specie nei contesti più connotati diatopicamente e diastraticamente; la traduzione, come si vede dagli esempi, rimane quasi sempre ancorata allo standard: (1a) No, Mody, staiu aspittannu me figghia. Dopo, quannu l‟avrò vista, me ne potrò andare. Quanto tempo è che l‟aspetto, Bambolina? [p. 488] (1b) Non, Mody, j‟attends après ma fille. Après, quante je l‟aurai vue, je pourrai m‟en aller… Ça fait combien de temps que je l‟attends, Bambolina? [p. 772] (2a) Era snello e bionnu come un arcangelo, poi a furia di inchini ai fascisti e di tradimenti s‟era ridotto gonfio e sudato come un maiale, e come un maiale con „sta mano l‟ho levato di mezzo [p. 488] (2b) Il était mince et blond comme un archange, et puis à force de courbettes aux fascistes et de trahisons il était devenu bouffi et suant comme un cochon, et comme un cochon, de cette main, je l‟ai liquidé [p. 773] (3a) Granni come un uomo, forte e bravo [p. 248] (3b) Grand comme un homme, fort et habile [p. 393] (4a) Manco le parlo ca già gira l‟occhi scappannu pi banni e banni. [p. 459] (4b) A peine je lui parle qu‟elle détourne les yeux et s‟enfuit à droite et à gauche [p. 725] In (1b) l‟aspetto progressivo della forma verbale stare + gerundio non viene reso, e la traduttrice preferisce utilizzare la forma semplice del verbo al presente 314 . In (4b) la proposizione subordinata modale viene resa attaverso una coordinata introdotta dalla congiunzione et e dalla trasposizione dal modo gerundio all‟indicativo. 312 Secondo Gaetano Berruto l‟assimilazione è un fenomeno tipico anche dei registri più informali, oltre che essere caratteristico dell‟italiano popolare. Cfr. Gaetano Berruto, Varietà diamesiche, diatratiche, diafasiche, in Alberto A. Sobrero (a cura di), Introduzione all‟intaliano contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 52. 313 Grassi, Sobreo, Telmon, op. cit., p. 150. 314 In genere il francese per esprimere l‟aspetto progressivo del verbo utilizza la forma être en train de, anche se questa espressione in francese non ha un carattere sempre naturale. Cfr. Martin Riegel, JeanChristophe Pellat, René Rioul, Grammaire méthodique du français, Parigi, Puf, 1994, p. 296. 141 Interessante appare il caso dell‟avverbio di tempo quando che, diversamente dagli altri casi, viene trattato dalla traduttrice in modo diverso. Nel testo infatti sono presenti ben 25 casi di quannu per quando, che nel traduzione della Castagné vengono resi con lo standard quand, come si può vedere negli esempi che seguono: (1a) L‟ho divinato. Nel mio futuro l‟ho visto, ca sparavo e fumavo e correvo come a Carmine quannu era giovane. T‟ho visto, sai, quannu eri giovane, e poi mi sono vista vecchia come tu ora sei, ma più vecchia, tanto più vecchia [p. 201] (2a) Sì, sì, cose così dice, ma quannu torna con me deve stare! E se no lo studio a chi lo lascio io? [p. 493] (1b) Je l‟ai deviné. Dans mon avenir je l‟ai vu, que je tirais et fumais et courais comme Carmine quand il était jeune. Je t‟ai vu, tu sais, quand tu étais jeune, et puis je me suis vue vieille comme tu es maintenant, mais plus vieille, bien plus vieille [p. 319] (2b) Oui, oui, il dit des choses comme ça, mais… Il doit s‟installer avec moi quand il revient! Sinon, à qui est-ce que je le laisse, mon cabinet, moi? [p. 779] In cinque casi tuttavia la traduttrice sceglie una via alternativa allo standard, la forma quante315, conferendo al testo una sfumatura colloquiale, nel tentativo di produrre nel lettore francofono un effetto simile a quello prodotto sul lettore italofono. Di seguito vengono riportati i casi esaminati: (1a) “Quannu dai gioia ai bambini, loro subito te la ridanno centuplicata”. Elena era felice qui con loro [p. 275] (1b) “Quante tu donnes de la joie aux enfants, ils te la rendent tout de suite au centuple”. Elena était heureuse ici avec eux [p. 436] (2a) – Aspetta, io, io non t‟ho detto tutto. Io t‟ho da dire quello ca succede quannu non ci sei… – Che altro succede, sentiamo? [p. 277] (2b) – Attends, je… je ne t‟ai pas tout dit. J‟ai à te dire ce qui se passe quante tu n‟y es pas… – Que s‟est-il passé d‟autre, voyons un peu? [p. 438] (3a) Lo sai che diceva quannu io mi scantavu delle novità? [p. 285] (3b) Tu le sais ce qu‟il disait quante je m‟effrayais des nouveautés? [p. 450] 315 Tale forma è, secondo le parole usate dalla traduttrice in un e-mail in cui dava spiegazioni di alcune sue scelte, «un mot inventé, simplement pour rendre le discours un peu plus heurté et mettre un mot qui n'est pas du pur français, même s'il ne correspond à rien (aucun dialecte de ma connaissance, du moins)». 142 (4a) Anche questo è vero! Finalmente sorridi, mamma. Quannu sorridi ridiventi giovane come quannu ero bambino [p. 492] corretto (4b) C‟est vrai aussi! Tu souris enfin, maman. Quante tu souris tu redeviens jeune comme quante j‟étais petit [p. 777] (5a) No, Mody, staiu aspittannu me figghia. Dopo, quannu l‟avrò vista, me ne potrò andare. Quanto tempo è che l‟aspetto, Bambolina? [p. 488] (5b) Non, Mody, j‟attends après ma fille. Après, quante je l‟aurai vue, je pourrai m‟en aller… Ça fait combien de temps que je l‟attends, Bambolina? [p. 772] 4.2.4 I legamenti Contrariamente agli altri fenomeni finora indagati, i legamenti tra preposizione e articolo – ad eccezione di col (da con + il), che regge bene la concorrenza di con il – come per le forme collo, colla, coi, cogli e colle «sono ormai confinate all‟uso letterario o al toscano popolare»316. Lo spoglio linguistico ha evidenziato una certa alternanza tra le due forme, come si può notare nella tabella che segue, in cui sono riportate il numero di occorrenze nel testo italiano: Tabella 1: Distribuzione dei legamenti FENOMENO OCCORRENZE con il 11 col 173 con la 180 colla 2 con lo 11 collo ø con i 18 coi 69 con gli 64 cogli 1 con le 93 colle 1 316 Serianni, op. cit., p. 187. 143 Come si vede, la Sapienza predilige la forma non marcata col, mentre sono decisamente più rare le forme letterarie colla, cogli e œ, di cui vi sono pochissime occorrenze, come si può notare nei passi che vengono di seguito riportati: (1a) Ascoltavo la voce di madre Leonora che parlava, ma non colla sua voce di un tempo. Si era un po‟ stinta quella voce, come logorata [p. 39] (1b) J‟écoutais la voix de mère Leonora qui parlait, mais pas avec sa voix d‟autrefois. Elle s‟était un peu décolorée, cette voix, comme usée [p. 64] (2a) E dai, Mody, colla radio! Invenzione diabolica la radio. Fai conto io e la mia fijetta si sta a cucinare, a rassettare casa e non di spiare che so? [p. 427] (2b) Ben voyons, Mody, avec la radio! Une invention diabolique, la radio. Suppose: ma petite fille et moi on est là à cuisiner, à ranger la maison et y a un truc pas mal, qu‟est-ce que je sais? [p. 673] (3a) Era arrivata cogli occhi da pecora terrorizzata. Non parlava. Ora corre e salta come un capretto [p. 445] (3b) Elle était arrivée avec des yeux d‟agneau terrorisé. Elle ne parlait pas. Maintenant elle court et saute comme un cabri… [p. 702] (4a) Mio nonno, mio padre e io, per ottenere quello che s‟ha da ottenere, abbiamo dovuto farci rispettare colle mani e col fucile. Io tante volte la Certa l‟ho sfiorata. E come fischiava la lupara o il coltello di notte! Ma sono qua con te, e non me ne curo [p. 216] (4b) Mon grand-père, mon père et moi, pour obtenir ce qu‟on a à obtenir, nous avons dû nous faire respecter avec nos mains et notre fusil. Je l‟ai frôlée bien souvent, la Certa. Et comme le fusil ou le couteau sifflaient dans la nuit! Mais je suis ici avec toi, et je ne m‟en soucie plus [p. 317] Ancora una volta, la Castagné adotta la soluzione dello standard: sebbene la traduzione avec + articolo sia l‟unica soluzione praticabile, visto che, diversamente dall‟italiano, il francese non ammette la doppia forma, la traduttrice non opera alcun tentativo di modificare nessun‟altra parte del testo per rendere lo stesso effetto prodotto nell‟originale. 144 4.2.5 Realizzazione cacuminale del gruppo -llCome si sa, uno dei tratti caratteristici del dialetto siciliano è la resa cacuminale 317 del gruppo intervocalico -ll- che, viene reso con , come si vede negli esempi tratti dal romanzo: (1a) Chi lassa la strata vecchia pi la nova, sapi chiddu ca lassa, ma non sapi chiddu ca trova [p. 60] (1b) “ Qui laisse la vieille route pour la nouvelle, sait ce qu‟il laisse, pas ce qu‟il trouve ” [p. 97] (2a) Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda ca parra comu „na signura [p. 101] (2b) Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda ca parra cornu318 „na signura [p. 164] (3a) Bedda p‟amari a tia „stu cori chianci. Sinceramenti senza ca si fingi… Cugghiennu alivi pi „sti munti santi… Bedda p‟amari a tia „stu cori chianci… [p. 460] (3b) Ma belle, de t‟aimer ce cœur pleure. Avec sincérité et sans faire semblant… En cueillant des olives sur ces collines saintes… ma belle, de t‟aimer ce coeur pleure…319 [p. 726] (4a) Quantu è laria la mi zita, malanova di la sua vita… Ah, laria è, cchiù laria d‟idda nun ci nn‟è… Havi i spaddi vasci vasci ca mi parunu du casci… Ah, laria è, cchiù laria d‟idda nun ci nn‟è… [p. 460] (4b) Qu‟elle est moche ma fiancée, oh disgrâce de sa vie… Ah, qu‟elle est laide, il n‟y a pas plus laid… Ses épaules s‟affaissent, je croirais voir des caisses… Ah, qu‟elle est laide, il n‟y a pas plus laid…320 [p. 727] (5a) E detto ca ddà tutto si può trovare, tutto si può comprare: dalle sete più fini, alla cera pei morti, dall'oro a cento carati, ai coltelli più affilati, dal picciotto senza viso ca con poche lire t‟ammazza chi s‟è messo in testa d‟attraversarti la strada, dalle vellute dai capelli profumati, ai cadaveri freschi freschi, se proprio hai intenzione di studiare per tuo conto anatomia [p. 459] (5b) Il est dit que là-bas on peut trouver de tout, on peut tout acheter : des soies les plus fines, à la cire pour les morts, de l‟or à cent carats aux couteaux les plus effilés, du gosse sans visage qui te descend pour quelques lires celui qui s‟est mis en tête de te barrer la route, et des vellute aux cheveux parfumés, aux cadavres tout frais, si tu as vraiment l‟intention d‟étudier l‟anatomie pour ton propre compte… [p.726] 317 Cfr. Giovanni Ruffino, Profili linguistici delle regioni. Sicilia, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 51-2. Così nel testo. Trattasi chiaramente di un refuso per comu. 319 La traduttrice lascia it testo in dialetto inserendo in nota la traduzione. 320 Anche in questo caso la traduttrice lascia il testo in siciliano inserendo una nota esplicativa. 318 145 (6a) – Uno sciccareddu sugnu oggi zia. – Asinello vuoi dire eh, Carluzzu? Prima o poi la dobbiamo imparare qualche parola d‟italiano, no? [p. 466] (6b) – Un sciccareddu, je aujourd‟hui, tata. – Un petit âne, tu veux dire, Carluzzu? Tôt ou tard il faudra apprendre quelques mots d‟italien, [p.737] (7a) Voscenza mi conforta, principessa, come „sto pianto d‟angeli che Dio ha deciso di mandarci dal cielo. C‟è una frescura di paradiso! Jacopo non suda più, povero picciriddu! [p. 240] (7b) Madame me rassure, comme ces larmes d‟anges que Dieu a décidé de nous envoyer du ciel. Il fait une fraîcheur de paradis! Jacopo ne transpire plus, pauvre pitchounet! [p.380] Essendo un tratto specifico del siciliano, l‟uso della cacuminale - suis hein, bien non? - si trova in termini ripresi dal dialetto. Tali parole o espressioni vengono spesso lasciate in originale dalla traduttrice, che poi ne spiega il senso in nota, come del resto accade in (3b) e (4b). A questo proposito si segnala come in una versione precedente alla traduzione pubblicata, per rendere l‟esempio (2a) la Castagné avesse tentato di creare una lingua artificiale derivante dall‟unione di alcune parole del provenzale con forme linguistiche inventate321, ottenendo quanto segue: Ah, Carmela, Carmela cerca, quela qua qué parla come una dama322. In (6b) il fenomeno non viene per nulla preso in considerazione dalla traduttrice, che non mette in atto alcuna strategia compensativa. Al contrario, appare molto felice in (7b) l‟uso del regionalismo di area provenzale pitchounet per picciriddu. 4.3 Livello morfosintattico In questa sezione verranno presi in considerazione tutti quei fenomeni afferenti alle diverse dimensioni di variazione linguistica, dall‟italiano standard fino alle varietà colloquiali e regionali che caratterizzano la scrittura della Sapienza. Si cercherà 321 È stata la stessa Nathalie Castagné, in occasione dell‟incontro avvenuto a Montpellier nel giugno 2011, a fornire una copia della traduzione del romanzo antecedente a quella definitiva. 322 Altri passi erano stati tradotti usando lo stesso espediente: «Ma chi dici chista „cca! Iu nun la capisciu, e tu?» diventa «Mas quace qu‟ale dit quela qua! La compréné pas, et tus?»; «Ma chi dici? „Na straniera havi a essiri, e chi voli?» viene tradotto «Mas quace qu‟ale dit? Deu estre oune estrangière, quas qué vol?». Cfr. Sapienza, L‟art… cit., p. 64. 146 quindi, attraverso la comparazione del testo italiano con quello francese, di evidenziare quali siano state le scelte stilistico-traduttive che hanno guidato Nathalie Castagné nella sua versione de L‟art de la joie, volta per lo più alla semplificazione e alla standardizzazione, a tutto vantaggio – come si è già detto nel § 4.2 – della fluidità. 4.3.1 Fenomeni di ridondanza pronominale: a me mi, a te ti Tratto estremamente interessante dell‟italiano dell‟uso medio, tipico tanto dello scritto quanto del parlato323, è il fenomeno di ridondanza pronominale 324, nella sequenza a me mi e a te ti, «che nella lingua colloquiale è diventata pressoché normale»325, in cui il primo elemento, a me, a te, equivale a «per quanto riguarda questo fatto»326. Nel romanzo i fenomeni di ridondanza pronominale sono abbastanza frequenti, facendo registrare nel complesso 52 occorrenze. Ricorderemo alcuni tra gli esempi più significativi: (1a) O forse erano tutte e due, ma a me non me ne importava niente [p. 9] (1b) Ou peut-être s‟y étaient-elles mises toutes les deux, mais ça m‟était complètement égal [p.21] (2a) Ma a me piace quando mi fai delle domande! [p. 74] (2b) Mais j‟aime quand tu me poses des questions! [p.119] (3a) Non ti offendere, Beatrice, ma a me Argentovivo mi infastidisce un poco [p. 192] (3b) Ne sois pas blessée, Beatrice, mais moi, Vif-argent m‟agace un peu [p.305] (4a) A me sul principio non mi garbava l‟idea, e per tanti anni dissi a tutti, fuori casa, che il tre ero nato [p. 198] (5a) Fammi anche a me riposare [p. 205] (4b) A moi, au début, l‟idée ne me plaisait pas, et pendant des années j‟ai dit à tout le monde, en dehors de la maison, que j‟étais né le trois [p. 315] (5b) Laisse-moi me reposer moi aussi [p.327] 323 Cfr. Sabatini, L‟italiano… cit., p. 162. Cfr. Berretta, op. cit., p. 261. 325 Sabatini, L‟italiano… cit., p. 162. 326 Ibidem. 324 147 (6a) Allora a me mi ami? [p. 214] (6b) Alors tu m‟aimes? [p.341] (7a) Vecchio lupo! Vile Carmine! Te aveva, e non contento d‟avere rovinato Vincenzo, anche a me un‟altra scimunita mi voleva dare [p. 221] (7b) Vieux loup! Sale Carmine! Il t‟avait, et non content d‟avoir démoli Vincenzo, il voulait me donner une autre crétine, à moi aussi [p. 351] (8a) Carmine sempre in cuore vi portava, a te, Mattia, e a te, Vincenzo [p. 218] (8b) Carmine vous avait toujours dans le cœur, toi, Mattia, et toi, Vincenzo [p. 347] (9a) Voci sconsiderate, Tudia. Carmine uomo d'onore era, e grandi servizi a noi Brandiforti ci ha reso [p. 218] (9b) Des bruits sans fondement, en effet, Tudia. Carmine était un homme d‟honneur, et il nous a rendu de grands services à nous autres Brandiforti [p. 347] (10a) Già, e morì ammazzato. Ma a me non mi ammazzano, Mody! a noi non ci ammazzano, grazie a te, a Jacopo [p. 486] (10b) Oui, et il est mort assassiné. Mais moi on ne me tuera pas, Mody! Nous, on ne nous tuera pas, grâce à toi, grâce à Jacopo [p. 769] Come si vede, la ridondanza pronominale è un fenomeno presente nei contesti comunicativi più informali e meno sorvegliati; in francese Nathalie Castagné approccia il problema in modi differenti: in (1b) la ridondanza nominale viene sostituita dalla locuzione verbale m‟être égal, mediante la quale la traduttrice cerca di mantenere il contesto colloquiale presente nel testo di partenza; in (2b), (5b) e in (6b) il fenomeno viene neutralizzato a vantaggio di forme standard. Infine, negli altri casi la traduttrice si serve dei fenomeni di dislocazione della frase con distaccamento del pronome personale tonico che viene ripreso da un pronome personale clitico. 148 4.3.2 Ci attualizzante La particella ci, oltre ad avere in italiano la funzione di pronome, spesso «ha un effetto più propriamente attualizzante»327, ed anzi è obbligatorio «quando si descrive un evento specifico del quale implicitamente sono richiamati aspetti materiali e localizzabili»328, come nell‟esempio riportato da Francesco Sabatini «C(i) ho fame»329. Tale funzione è molto più evidente col verbo avere e il suo uso è obbligatorio quando si voglia evitare ambiguità 330. Nell‟italiano dell‟uso medio, l‟uso del verbo avere in unione con la particella ci si è notevolmente estesa, come in alcune espressioni sovente ritrovate nel romanzo (per un totale di 39 occorrenze), che conferiscono al testo una coloritura piuttosto colloquiale e, in ogni caso, vengono sempre usate in situazioni più informali e rilassate. Di seguito vengono riportati alcuni tra i casi più rappresentativi: (1a) Che sei cascata dal letto stamattina che ci hai „sti pensieri poetici? [p. 8] (1b) Serais-tu tombée du lit ce matin pour avoir ces pensées poétiques? [p. 14] (dileguo) (2a) E facciamo questa frittata. Io non ci ho paura! Sei tu che ci hai paura. Altro che uomo sei! Tremi tutto [p. 9] (2b) Eh bien, faisons-le ce gâchis. Je n‟ai pas peur! C‟est toi qui as peur. Un homme, tu parles. Tu trembles des pieds à la tête. [p. 16] (dileguo) (3a) Oggi dopo il solfeggio e gli esercizi al pianoforte impariamo anche a scriverle le note. Ma che ci hai, picciridda, stamattina? [p. 22] (3b) Aujourd‟hui après le solfège et les exercices au piano nous apprendrons aussi à écrire les notes… mais qu‟est-ce que tu as, ce matin, pitchounette? [p.36] (dileguo) (4a) Sacrificio! Ci avevo dormito per anni io con Tina [p. 106] (4b) Sacrifice! J‟avais dormi des années avec Tina, moi [p. 172] (dileguo) 327 Sabatini, L‟italiano… cit., p. 161. Ibidem. 329 Ivi, p. 160. 330 Ibidem. 328 149 (5a) No, no. È che c‟ho paura Carmine, paura! [p. 196] (5b) Non, non. C‟est que j‟ai peur, Carmine, peur! [p. 313] (dileguo) (6a) E che vuol dire „sto discorso? Donna sei e che c‟hai a che fare con pipa e tabacco tu? [p. 200] (6b) Et que signifie ce discours? Tu es une femme, qu‟est-ce que tu as à faire d‟une pipe et de tabac? [p. 319] (dileguo) (7a) No, tu non ci hai colpa, sei novellina tu, ma io. Cristo! E che m‟hai commossa, ecco cos‟è, se lo vuoi sapere [p. 430] (7b) Non, ce n‟est pas de ta faute, tu es novice, toi, mais moi… Bon Dieu! C‟est que tu m‟as émue, voilà ce qu‟il y a, si tu veux le savoir [p. 678] (dileguo) (8a) Eh, voi ricchi! O non sapete quello che ci avete o sfottete: la campagna, la bicocca, questa è una reggia, cavolo! [p. 443] (8a) Eh, vous les riches! Ou vous ne savez pas ce que vous avez ou vous vous payez la tête du monde: la maison de campagne, la bicoque, mais c‟est un palais, ça, mazette! [p. 699] (dileguo) Come si può notare, la traduttrice ha ignorato il fenomeno in italiano, e ha scelto di volta in volta la soluzione del dileguo, senza alcun tipo di compensazione, deprivando chiaramente il testo di quella connotazione colloquiale di cui sono invece permeate le pagine della Sapienza. 4.3.3 Uso generalizzato del pronome gli per a lei/a loro Il pronome personale atono gli, forma pronominale dativale, ha oggigiorno un uso generalizzato331 ed è impiegato in modo assai ampio in tutti i suoi valori: a lui, a lei, a loro, tanto per il maschile. Monica Berretta, nel tentativo di mettere in luce i tratti peculiari del parlato, afferma che «tra le terze persone atone nel parlato di persone molto colte è categorico gli quale dativo plurale […] mentre l‟estensione della stessa forma al femminile singolare è frequente ma non categorica»332. Nel romanzo questa forma pronominale ha impiego molto limitato e viene adoperato in contesti assai informali e da parlanti semicolti, come si può apprezzare dagli esempi sotto riportati: 331 332 Cfr. Sabatini, L‟italiano… cit., p. 158. Berretta, op. cit., p. 262. 150 (1a) Che so! Pensavo ca il principe in qualche modo istruito era sul suo compito di uomo. E allora, chiudendo l‟occhi e senza levarmi la veste, ci sono quelli che gli piace di spogliare… [p. 102] (1b) Qu‟est-ce que je sais! Je pensais que le prince était instruit d‟une façon ou d‟une autre sur ce qu‟il avait à faire en tant qu‟homme. Et alors, en fermant les yeux et sans enlever ma robe, il y en a que ça leur plaît, de déshabiller… [p. 165] (2a) Tutto si sono mangiati e non gli posso dare torto. Gli uccelli sono spariti, per via dei bombardamenti, dici? Vabbè… Su, ancora un pezzettino, fa conto che è „na medicina! [p. 439] (2b) Ils ont tout mangé et je ne peux pas leur en vouloir. Les oiseaux ont disparu… à cause des bombardements, tu dis? Peutêtre… Allez, encore un petit morceau, considère que c‟est un médicament! [p. 693] (3a) Come capiscono se gli parli chiaro! Prima pensavo che i miei fossero tanto svegli per via del modo come li avevo cresciuti. Ma vedo che non è così [p. 439] (3b) Comme ils comprennent si on leur parle clairement! Avant je pensais que les miens étaient si éveillés à cause de la façon dont je les avais élevés. Mais je vois que ce n‟est pas vrai [p. 694] (4a) Non vedo l‟ora di raccontarti quanto so‟ diventata brava a derubare quei citrulli d‟americani. Basta che gli dici che è una cosa popolare, antica, giù a sborsare [p. 474] (4b) Il me tarde de te raconter comme je suis devenue forte pour voler ces crétins d‟Américains. Il suffit qu‟on leur dise que quelque chose est populaire, ou ancien, et allez, ils achètent [p. 749] Poiché in francese esiste un solo pronome personale dativale per la terza persona singolare maschile e femminile, e uno per la terza persona plurale maschile e femminile, la traduttrice ha applicato le regole dello standard, senza cercare di compensare in altro modo. In francese l‟opposizione lui/leur resiste benissimo perché il leur francese è privo di accento tonico e può occupare le medesime posizioni di lui nella frase. Invece in italiano loro è dotato di accento tonico e, in quanto pronome debole333, non può occupare le stesse posizioni di gli all‟interno delle frase. Dall‟analisi del testo si può notare (1a) l‟uso fortemente connotato del pronome gli (ridondante rispetto al dimostrativo quelli) preceduto dal che polivalente (col significato di a cui), che viene reso in francese attraverso l‟uso di una proposizione completiva costruita con la forma invariabile presentativa (il y a) + la 333 Cfr. Anna Cardinaletti, L‟italiano contemporaneo: cambiamento in atto e competenza dei parlanti, in Anna Cardinaletti, Fabrizio Frasnedi (a cura di), Intorno all‟italiano contemporaneo. Tra linguistica e didattica, Milano, Franco Angeli, 2004. 151 congiunzione que + il pronome dimostrativo neutro (derivante dalla forma composta cela). Procedimento che, come si può facilmente rilevare, attenua, se non annulla del tutto, la valenza più marcatamente popolare del testo italiano. 4.3.4 Estensione della particella ci per gli/le Totalmente inaccettabile, anche se largamente impiegate nelle varietà diastratiche basse334 o nell‟italiano regionale di area mediana 335, è l‟estensione del ci a discapito di gli/le; queste forme – giudicate ancora oggi inaccettabili da tutte le grammatiche normative, dal momento sono circoscritte al livello linguistico più popolare336 – oggi sono abbastanza diffuse in tutta Italia. Nel romanzo il fenomeno è presente in un solo contesto, quando cioè Tuzzu, uno dei personaggi che presenta una lingua più connotata dal punto di vista diastratico e diatopico, nelle primissime pagine de L‟arte della gioia mostra alla piccola Modesta una distesa d‟erba che ondeggia, simile al mare che la bambina non ha mai visto: (1a) Chi scemuzza ca è „sta picciridda! Prima t‟ossessiona come „na mosca perché vuole vedere il mare, e quando ce la porti non se ne accorge nemmeno [p. 28] (1b) Quelle crétine que c‟est cette petiote! D‟abord elle vous harcèle comme une mouche parce qu‟elle veut voir la mer, et puis quand on l‟y amène elle ne s‟en rend même pas compte [p. 47] Ancora una volta la traduttrice agisce nel senso della standardizzazione, trasponendo la forma del tu impersonale del testo in italiano con il pronome indefinito impersonale di terza persona on, e sfruttando il valore locativo del pronome avverbiale y (standard in francese) che sostituisce il ce, anch‟esso con valore locativo, però con forte connotazione verso il basso. Il risultato è che la marcatezza diastratica del fenomeno presente nel testo di partenza non è in alcun modo ravvisabile in quello di arrivo. 334 Tra i fenomeni della morfologia flessionale uno dei casi più caratterizzanti dell‟italiano popolare è rappresentato dall‟estensione di ci, «che tende a diventare un clitico tuttofare, essendo anche usato con alta frequenza come dativo generalizzato, con neutralizzazione di tutte le opposizioni di genere e numero previste dal paradigma dei clitici obliqui», in Berruto, La variazione… cit., pp. 62-3. 335 Cfr. Berretta, op. cit., p. 262. 336 Cfr. Manlio Cortelazzo, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana. Problemi e metodi, Pisa, Pacini, 1969, pp. 90-2. 152 4.3.5 I pronomi allocutivi di cortesia Accanto ai pronomi personali, generalmente considerati come allocutivi naturali poiché espressamente riferiti a uno o più destinatari, l‟italiano, come molte altre lingue, dispone di allocutivi referenziali o di cortesia337, impiegati principalmente in una situazione comunicativa in cui i partecipanti non sono in rapporti di confidenza tra loro. Per alcuni secoli, dal „500 al „900, l‟italiano possedeva tre allocutivi: tu, voi, lei, sebbene, fino al periodo fascista, fosse più in uso il voi. In questo sistema tripartito era possibile distinguere tra allocutivi reciproci, attraverso i quali gli interlocutori si danno del tu, del voi o del lei reciprocamente, e quelli non reciproci, in cui l‟interlocutore dà del tu ricevendo del voi o del lei, o viceversa. In esso l‟elemento referenziale appariva piuttosto evidente: nel caso del voi il singolo, in virtù dei suoi meriti e del suo prestigio, è come se valesse per due; nel secondo caso invece ci si indirizza astrattamente alla signoria, all‟eccellenza dell‟altro, come se fosse troppo ardito rivolgersi a lui direttamente. Oggi l‟italiano contemporaneo ha semplificato tale sistema tripartito giungendo a due allocutivi, il tu, usato con persone che si conoscono bene, e il lei, adoperato in circostanze comunicative più formali. Nel romanzo, coerentemente con la sua ambientazione regionale, accanto ai tradizionali tu e lei, comapre in 11 occasioni il voi. Mentre infatti il tu e il lei vengono regolarmente adoperati come reciproci, il voi è un elemento indicato da molti studiosi della lingua come tratto essenziale dell‟italiano regionale di area centromeridionale338. Tra gli esempi più rappresentativi si ricorderanno: (1a) Perché, principessa, mi costringete a questo tavolo? Io ne soffro più di voi, mi dovete credere! Sotto questa divisa c'è un uomo che soffre a vedervi così stanca, ma purtroppo è il mio dovere. Vi prego ancora una volta: cercate di ricordare qualcosa di preciso. Che forse qualcuno s‟è voluto vendicare coinvolgendovi in cose da uomini? Un innamorato respinto? Col fascino vostro non ci sarebbe da 337 338 (1b) Pourquoi, princesse, me retenez-vous à cette table? J‟en souffre plus que vous, croyez-moi! Sous cet uniforme il y a un homme qui souffre de vous voir aussi fatiguée, mais malheureusement c‟est mon devoir. Je vous en prie encore une fois: essayer de vous rappeler quelque chose de précis. Quelqu‟un aurait-il voulu se venger en vous impliquant dans des affaires d‟hommes? Un amoureux Cfr. Serianni, Grammatica… cit., p. 169. Ivi, p. 168-9; p. 171. 153 meravigliarsi! A volte gli uomini respinti possono divenire implacabili. Cercate di ricordare, ci bastano due nomi, tre. Li consegniamo alla giustizia e voi ve ne tornate a casa in quattro e quattr'otto! [p. 421] éconduit? Avec le charme qui est le vôtre, il n‟y aurait pas à s‟en étonner! Parfois les hommes que l‟on repousse peuvent devenir implacables… Essayez de vous souvenir, il nous suffit de deux ou trois noms. Nous les livrons à la justice et vous retournez chez vous en moins de deux! [p. 664] Come si vede dall‟esempio proposto, la scelta della traduttrice è quella di mantenere il voi che, in francese, è l‟allocutivo di cortesia per eccellenza. Al contrario, più interessanti appaiono i casi di allocutivi di cortesia mutuati dal dialetto339, ormai sempre meno usati, come vossia (1 sola occorrenza), vossignoria (3 occorrenze) e il più produttivo voscenza (41), di cui si riportano alcuni esempi: (1a) Vossia mi scusasse, don Mattia, ma ho l‟ordine di stare a due passi dalla principessa. Brutti tempi corrono per le nostre strade [p. 261] (1b) Mille escuses, Don Mattia, mais j‟ai ordre de rester à deux pas de la princesse. Il fait mauvais dans nos rues ces temps-ci [p. 414] (dileguo) (2a) Non sta male, ringraziando Dio, non sta male. Allora posso andare? Bacio le mani a vossignoria. [p. 44] (2b) Il ne va pas mal, Dieu merci, il ne va pas mal. Alors je peux m‟en aller? Je baise les mains de mademoiselle [p. 118] (3a) Vossignoria mi perdoni, principessa, se la disturbo e giuraddio che non l‟avrei fatto se non fosse per una faccenda della massima urgenza. [p. 175] (3b) Veuillez bien me pardonner, princesse, si je vous dérange, pardieu je vous assure que je ne l‟aurais pas fait si ce n‟était pas pour une affaire de la plus grande urgence [p. 279] (dileguo) (4a) Io innamorato d'una signorina così istruita e a posto? Vossignoria mi perdoni principessa, ma in errore é caduta pensando a questo. [p. 175] (4b) Moi amoureux d‟une demoiselle aussi instruite et comme il faut? Veuillez me pardonner, princesse, mais vous commettez une erreur en pensant à ça. [p. 279] (dileguo) 339 «Quando ci si rivolge a una persona per la quale si mostra rispetto, si usa vui oppure vossìa/vassìa, vossignoria o voscenza (voscenza bbinidica! Saluto di grande rispetto). Si tratta di forme della tradizione dialettale, ormai sempre meno usate», in Ruffino, op. cit., p. 60. 154 (5a) Che voscenza ha bisogno di qualche servizio, principessina? [p. 73] (5b) Auriez-vous peut-être besoin de quelque service, principessina? [p. 118] (dileguo) (6a) Col suo permesso, io in questi tre giorni non ho fatto che il mio dovere. Purtroppo di queste ne accadono a fottìo. Oh! Voscenza scusi, volevo dire che io, beh, sì, ne ho viste tante e tante che non le conto più [p. 16] (6b) Pardonnez-moi, ma Mère, mais la politique n‟a rien à voir ici. Si vous permettez, durant ces trois jours je n‟ai fait que mon devoir. Malheureusement, des choses comme ça, il en arrive par tripotée… Oh! toutes mes excuses, je voulais dire que… eh bien, oui, quant à moi j‟en ai vu tant et tant que je ne les compte plus [p. 26] (dileguo) (7a) Visto che voscenza ci tiene tanto, ma visto pure che „na scazzidda di carusa è, posso almeno chiamarla padroncina? [p. 90] (7b) Vu que Votre Honneur y tient tellement, mais vu aussi que c‟est une gamine de rien du tout, puis-je au moins l‟appeler petite patronne? [p. 145] (8a) Pazienza deve avere! Gli uomini, tutti così! Anche mio padre buonanima, a incantarsi dietro a ogni sottana nuova! Ma mi deve credere, il mio principe voscenza ama. Imbarazzato sono a parlarle di queste cose. Ecco, io, a come stanno le cose, credo che a Catania, voscenza mi perdoni, bisognerà distrarlo con qualche picciotta, beh, sì, come si faceva ai tempi della principessa buonanima perché qui sta il punto, quella torinese vergine è. Ma che fa, piange? [p. 125] (8b) Il faut être patiente! Les hommes, tous les mêmes! Mon regretté père aussi, à rester en extase devant chaque nouveau jupon! Mais croyez-moi, c‟est vous qu‟aime mon prince… Je suis embarrassé de parler de ces choses. Voilà, moi, au point où on en est, je pense qu‟à Catane, que Madame me pardonne, il faudra le distraire avec quelques petites, ben, oui, comme on faisait du temps de feu la princesse parce que – voilà le hic – cette Turinoise est vierge… mais que faitesvous, vous pleurez? [p. 201] (dileguo) (9a) – Chi è padrone in questa casa, Pietro? – Voscenza, principessa. – E allora calmati. Qua si fa quello che dico io [p. 232] (9b) – Qui est le maître dans cette maison, Pietro? – Vous, princesse. – Et alors calme-toi. Ici on fait ce que je décide [p. 368] La traduttrice, evidentemente a disagio con la presenza di allocutivi sconosciuti alla lingua francese, ha optato nella maggior parte dei casi per il dileguo (6/10); una volta, (9b), sceglie l‟allocutivo di cortesia tipico del francese vous; una 155 volta utilizza madame e una mademoiselle340; infine, facendo una scelta unica in tutto il romanzo, usa Votre Honneur341, enfatizzando la portata dell‟espressione mutando la minuscola in maiuscola, per delle ragioni che risultano incomprensibili 342. 4.3.6. Posposizione dell‟aggettivo possessivo In italiano l‟aggettivo possessivo può essere preposto o posposto al sostantivo343. L‟anteposizione o la posposizione rispetto al sostantivo non è indifferente, ma anzi, il più delle volte, modifica più o meno lievemente il significato della frase. Al di là infatti di alcune formule cristallizzate, il possessivo generalmente rappresenta una scelta stilisticamente o diatopicamente marcata. Infatti, la collocazione dell‟aggettivo possessivo dopo il nome è «rilevabile in tutta l‟Italia centro-meridionale, con l‟eccezione, a quanto pare, dell‟italiano regionale delle colonie galloitaliche»344. Tralasciando le sequenze obbligatorie 345 in cui la posposizione dell‟aggettivo è ormai cristallizzata in formule fisse, nel romanzo sono presenti un discreto numero di casi (127 occorrenze) in cui si riscontra il fenomeno, che risulta marcato diatopicamente. Tra gli esempi più rappresentativi si ricorderanno: 340 A questo proposito, il Trésor de la langue française (TLF) registra sotto la voce madame la seguente accezione: «Appellation employée pour désigner des femmes de la (haute) bourgeoisie, de la noblesse, d‟une classe supérieure ou pour s'adresser à elles»; mentre sotto la voce mademoiselle si può leggere: «Titre employé pour désigner la première princesse de sang tant qu‟elle n‟est pas mariée ou pour s‟adresser à elle». 341 Il TLF tra le accezioni di honneur cita la seguente: «Transcription française d'un titre usité en Angleterre Votre honneur». 342 In occasione dell‟intervista a Nathalie Castagné, quest‟ultima, sollecitata sulla questione, ha risposto che non conosceva nessun modo per rendere efficacemente il termine, e di essersi quindi affidata a espressioni che le sembravano efficaci. 343 Cfr. Serianni, op. cit., p. 172. 344 Telmon, Varietà… cit., pp. 126-7. Inoltre, secondo Castellani esiste «una linea che comincia press‟a poco all‟altezza di Roma, risale il corso del Tevere, attraversa obliquamente l‟Umbria (a oriente di Perugina) e le Marche settentrionali e raggiunge la costa adriatica nella zona di Pesaro». Tuttavia, nel corso di un quarantennio la situazione, con ogni probabilità, si è attenuata. Cfr.: A. Castellani, O. C. Pollidori, Ricerche sui costrutti del possessivo italiano, in SLI, VII, 1966, p. 7. 345 Cfr. Jacquile B. Brunet, Grammaire critique de l‟italien, III, (Le possessif), Parigi, Università di Parigi, VIII, 1980, pp. 19-20 e pp. 107-117. 156 (1a) Sarà un‟eccezione. Sebbene Giovanni mio dice che là, nel continente, ce n‟è tanti di questi medici e maestri e avvocati che stanno dalla parte del popolo [p. 36] (1b) C‟est peut-être une exception. Quoique mon Giovanni me dise que làbas, sur le continent, il y en a tant de ces médecins et maîtres et avocats qui sont du côté du peuple [p. 58] (2a) Se Vincenzo mi si ribellava, veramente dico, io, quella Modica in casa non la facevo entrare. Io, a tempo mio, sulla donna il voler di mio padre contrastai [p. 210 ] (2b) Si Vincenzo s‟était rebellé contre moi, je le dis pour de vrai, je ne la faisais pas entrer dans notre maison, cette Modica. Moi, en mon temps, rapport à ma femme, je me suis opposé à la volonté de mon père [p. 334] (3a) Allora qualche pregio me l‟attribuisci, perché sempre figlio mio è, no? Che forza ha quel ragazzino! [p. 493 ] (3b) Alors tu m‟en attribues une part de mérite, parce que tout de même c‟est mon fils, non? Quelle force a ce petit! [p. 779] (4a) E va bene. Ma „na vota sola! Ti conosco, tosta come „na roccia sei, e io senza la pipa mia non campo! [p. 129] (4b) Bon, d‟accord. Mais une seule fois! Je te connais, tu es obstinée comme un roc, et moi sans ma pipe je ne vis pas! [p. 319] (5a) Non la chiamare Cavallina! Beatrice mia grande è, e donna felice [p. 205] (5b) Ne l‟appelle pas Pouliche! Ma Beatrice est grande, et c‟est une femme heureuse [p. 327] (6a) E tu ridi. Proprio come Linuzza mia sei! Sempre a volere sapere, a chiedere [p. 206] (6b) Eh bien ris. Tu es vraiment comme ma Linuzza! Toujours à vouloir savoir, à questionner… [p. 328] (7a) Ccà vicinu a mia hai a stari: madre mi sei e miniera mia! [p. 459] (1b) Que tu dois rester près de moi: tu es ma mère et ma mine d‟or! [p. 725] Dai casi indagati, si evince come la traduttrice non abbia mai cercato di dare alla posizione del possessivo una connotazione simile a quella che assume invece nella versione in italiano, preferendo collocarlo in posizione neutra, cioè prima del sostantivo, laddove un uso più marcato, oltre che rispettare maggiormente la volontà dell‟autrice, non sarebbe stato né di difficile impiego né avrebbe compromesso la leggibilità del romanzo. 157 4.3.7. Costruzione dativale La costruzione dativale – chiamata anche accusativo preposizionale o oggetto preposizionale – è «diffusa in modo abbastanza uniforme in tutte le regioni del Centro-Sud ed è giunta dalla Spagna attraverso il Napoletano» 346 ed è pertanto uno dei tratti che connota la lingua in senso regionale. Il romanzo che, come si è detto più volte, è influenzato dal sostrato dialettale, presenta ben 43 occorrenze di tale costrutto, come si può vedere anche dagli esempi riportati di seguito: (1a) Lo sai a chi devi ringraziare di potere almeno uscire all‟aria? [p. 33] (1b) Tu sais qui tu dois remercier de pouvoir au moins sortir à l‟air libre? [p. 54] (dileguo) (2a) Ebbene, ieri ha acconsentito, malgrado i tre figli che ha. Il risultato? Che mentre le altre non le guardava nemmeno, a Carmela la stava per strozzare se non c‟era Pietro [p. 96] (2b) Ah, quand même. Eh bien, hier elle a accepté, malgré les trois enfants qu‟elle a. Le résultat? C‟est que tandis qu‟il ne regardait même pas les autres, Carmela, il l‟aurait étranglée si Pietro n‟avait pas été là [p. 155] (dileguo) (3a) Lo so che per la religione cose vili dico, ma non fare come a me che troppo ho confidato [p. 103] (3b) Je sais que pour la religion je dis de mauvaises choses, mais ne fais pas comme moi qui ai eu trop confiance… [p. 166] (dileguo) (4a) Bella sei, e forte, e a me vuoi. Lo sai che a me vuoi? [p. 109] (4b) Tu es belle, et forte, et tu me veux. Tu le sais que tu me veux? [p. 176] (dileguo) (5a) E no, micia, se fai accussì la voglia mi riprende, e poi tu – vi conosco a voi donne – con la mano mi fermi [p. 200] (5b) Eh non, minette, si tu fais comme ça l‟envie me reprend, et puis toi – je vous connais à vous les femmes – tu m‟arrêtes avec la main [p. 318] (6a) Io me ne vado o ti ammazzo! Altro che desiderio! T‟ammazzo, quanto è veriddio! A te e a tutti gli amici tuoi [p. 245] (6b) Je m‟en vais, ou je te tue! Le désir, tiens! Je te tue, aussi vrai que Dieu est Dieu! toi et tous tes amis. Je m‟en vais [p. 388] (dileguo) 346 Telmon, Varietà… cit., p. 119. Secondo Telmon la costruzione dativale è un‟estensione logica e analogica di formule limitate almeno inizialmente al pronome personale. 158 (7a) Lei col suo passato chiamerà a noi folle di donne, lei sarà una delle prime donne deputato [p. 450] (7b) Avec votre passé, vous attirerez à nous des foules de femmes, vous serez l‟une des premières femmes député [p. 711] Di fronte a una scelta che procede evidentemente nel senso della normalizzazione del fenomeno – che viene essenzialmente ignorato nel passaggio dall‟italiano al francese, senza che si apprezzino casi di compensazione – si rileva una circostanza, (5b), in cui invece la Castagné traduce letteralmente, ottenendo lo stesso effetto ricercato dall‟autrice del romanzo. In (7b) la traduttrice aggira l‟ostacolo, procedendo a una trasposizione sintattica 347: la traduzione risulta letterale, ma muta la funzione logica che le diverse parti del discorso assumono. In tal modo la presenza del dativo, che viene mantenuta nel testo di arrivo, rientra nella categoria dello standard. 4.3.8 Che cosa, che, cosa Che cosa, che e cosa sono pronomi interrogativi ed esclamativi usati tanto nelle interrogative dirette quanto in quelle indirette348. Tuttavia l‟uso di che cosa, specie nelle interrogative dirette, nell‟italiano contemporaneo sta perdendo terreno rispetto a cosa, «di provenienza settentrionale, mentre il che, di provenienza meridionale, è ovviamente predominante da Roma in giù, a livello nazionale si è fissato più che altro in formule come che so? […] che dire? […] di che si tratta? […] che importa?»349. La minore fortuna di che può essere imputabile alla possibile ambiguità specie nelle interrogative indirette, o a questioni di ritmo. Nel romanzo l‟alternanza tra i tre pronomi interrogativi ed esclamativi è piuttosto evidente e mette bene in rilievo come essa vada collegata all‟ambientazione dello stesso. Nella tabella che segue vengono riportate le occorrenze per ciascun fenomeno: 347 Cfr. Podeur, op. cit., p. 57. Sabatini, op. cit., p. 165. 349 Ibidem. 348 159 Tabella 2: Distribuzione “che cosa”/“che”/“cosa” PRONOME che cosa NUMERO DI 58 OCCORRENZE che cosa 421 86 Come si vede il pronome che è assai presente (421 occorrenze), confermando quindi sulla lingua della Sapienza l‟influenza dell‟italiano regionale di Sicilia, a tutto discapito delle altre due forme. Di seguito vengono riportati alcuni esempi dello standard che cosa e di come esso viene tradotto dalla Castagné: (1a) Sapevo da come mi fissava che cosa voleva [p. 12] (1b) A la façon dont il me fixait je savais ce qu‟il voulait [p. 20] (2a) Che diceva adesso? Che cosa dovevo fare? [p. 17] (2b) Que disait-elle à présent? Que devais-je faire? [p. 28] (3a) Eh, la giovinezza, che cosa bella e raggiante che è! [p. 22] (3b) Eh, quelle belle chose rayonnante que la jeunesse! [p. 36] (4a) Battendo i denti e tremando cercavo di capire che cosa mi era successo [p. 27] (4b) Tout en claquant des dents et tremblant, j‟essayais de comprendre ce qui m‟était arrivé [p. 45] (5a) Ma ormai non avevo più tempo per le parole, dovevo solo pensare che cosa era quella nostalgia [p. 30] (5b) N‟ayant rien d‟autre à faire, je me mis à chercher à comprendre ce qu‟était cette nostalgie [p. 49] (6a) Che cosa mi pesa ancora sul petto? [p. 41] (6b) Qu‟est-ce qui me pèse encore sur la poitrine? [p. 67] (7a) Già, ecco che cosa era quel riposo che sotto forma di astrazione felice il corpo mi imponeva in sieme ai lunghi sonni [p. 121] (7b) Eh oui, voilà ce qu‟était ce repos que sous forme d‟heureuse abstraction de toute chose mon corps m‟imposait en même temps que les longs sommeils [p. 195] 160 La traduzione dello standard che cosa viene reso con altrettante forme standard: in (1b), (4b), (5b), (7b) con l‟utilizzo del pronome dimostrativo ce come antecedente di una relativa o di una subordinata interrogativa (4 casi su 8); in (3b) con la traduzione letterale in una frase esclamativa; in (6b) con la forma interrogativa parziale, costruita con l‟uso di un termine complesso (qui/qu‟est/-ce qui/que) in cui a inizio del termine si trova il pronome interrogativo che determina una distinzione semantica (qui = animato, que = non animato) e alla fine il pronome relativo che opera una distinzione sintattica (qui = soggetto, que = attributo o oggetto); in (2b) con il pronome interrogativo e la semplice inversione verbosoggetto (tipica delle interrogative totali) 350. Per quanto riguarda il già citato pronome che, largamente impiegato a tutto svantaggio delle altre due forme, vengono riportati alcuni esempi in modo da evidenziare le strategie adoperate dalla traduttrice: (1a) Ah, perché, pensi pure? Scemuzza cu i pensieri, eh! E a che pensavi? Si può avere l‟onore di saperlo? [p. 7] (1b) Ah, parce qu‟en plus tu penses, toi? Bécassote que t‟es avec tes pensées, tiens! Et à quoi pensais-tu? On peut avoir l‟honneur de le savoir? [p. 13] (2a) E a che ti servirebbe se sei donna? La donna non può arrivare mai alla sapienza dell'uomo [p. 20] (2b) Et à quoi cela te servirait-il, quand tu es une femme? La femme ne peut jamais parvenir au savoir de l‟homme [p. 33] (3a) Ma che ci hai, picciridda, stamattina? [p. 22] (3b) Mais qu‟est-ce que tu as, ce matin, pitchounette? [p. 36] (4a) Ma che dici, locca che sei! Quei pozzi di tavola appizzati ai muri sono finti, falsi e menzogneri. La natura non si può né pittare né comprare. E poi che ti vuoi aspettare da quelle mummie rinsecchite (4b) Mais que dis-tu, bécasse que tu es! Ces puits de tableau suspendus aux murs sont feints, faux et mensongers. La nature, on ne peut pas la peindre ni l‟acheter. Et puis que peux-tu attendre de ces momies 350 Per la forma interrogativa in francese cfr. Riegel, Pellat, Rioul, op. cit., pp. 391-401. 161 che, come dice mio padre e la buonanima di mio nonno, che sapevano leggere e scrivere anche, hanno tradito e la loro natura e la natura tutta? [p. 28] desséchées qui, pour parler comme mon père et feu mon grand-père, qui savaient lire et même écrire, ont trahi et leur propre nature et la nature elle-même? [p. 46] (5a) Che? Il pozzo? Ti dà pensiero „sto pozzo? Stanne lontana, figliola! [p. 35] (5b) Quoi? Le puits? Il te soucie, ce puits? Restes-en éloignée, ma fille! [p. 57] (6a) E che vuol dire „sto discorso? Donna sei e che c'hai a che fare con pipa e tabacco tu? [p. 200] (6b) Et que signifie ce discours? Tu es une femme, qu‟est-ce que tu as à faire d‟une pipe et de tabac? [p. 319] (7a) – Che è novità? Sempre così è stato fra noi – E sempre così sarà! Perché ridi eh, vecchiaccio? Che ti ride negli occhi? – Mi ride il tuo odio, fìgghia. Avessi avuto una figghia come a tia! – Che vuol dire? – Che mi odi perché, come la principessa buonanima aveva capito… – Che aveva capito? [p. 207] (7b) – C‟est une nouveauté? Ça a toujours été ainsi entre nous. (dileguo) – Et ce sera toujours ainsi! Pourquoi ris-tu, hein, maudit vieillard? Qu‟est-ce qui rit dans tes yeux? – Ta haine, ma fille. Si j‟avais eu une fille comme toi! – Qu‟est-ce que ça veut dire? – Que tu me hais parce que, comme feu la princesse l‟avait compris… – Qu‟avait-elle compris? [p. 330] (8a) Fosse solo Carlo! E quel Pasquale che viene a fare qua, eh? E quella mezza donna e mezzo carusu che esce sola e t‟accompagna all‟università. Che vuole da te? Non è che pure qua viene? [p. 245] (8b) S‟il n‟y avait que Carlo! Et ce Pasquale, qu‟est-ce qu‟il vient faire ici, hein? Et cette moitié-femme moitié-garçon qui sort seule et t‟accompagne à l‟Université. Que veut-elle de toi? Est-ce qu‟elle ne viendrait pas même jusqu‟ici? [p. 388] Anche in quelle che nel testo italiano si configurano come forme marcatamente legate all‟uso regionale della lingua, la Castagné compie scelte che non si allontanano dall‟uso standard. Negli esempi riportati la traduttrice ripropone le stesse casistiche viste sopra, appiattendo la lingua, quando probabilmente avrebbe potuto operare scelte diverse: in (3b), (6b), (7b), (8b) si rileva l‟uso dell‟interrogativa parziale con termine complesso; in (4b), (6b), (7b), (8b) vi è l‟uso del pronome interrogativo con la semplice inversione verbo-soggetto, in particolare in (1b) e (2b) il 162 pronome interrogativo (quoi = usato in riferimento a oggetti e cose non animati) è usato nella forma di complemento preposizionale. Passiamo ora osservare alcuni casi in cui l‟autrice utilizza il pronome cosa: (1a) Lo sai cosa sono questi piccoli gonfiori? [p. 13] (1b) Tu sais ce que sont ces petits gonflements? [p. 21] (2a) Cosa ha detto? [p. 14] (2b) Qu‟est-ce qu‟il a dit? [p. 29] La traduttrice conferma anche in questo caso lo stesso tipo di approccio: i due casi presi in considerazione vengono resi con l‟uso del pronome dimostrativo ce come antecedente di una subordinata interrogativa (1b), e con l‟utilizzo dell‟interrogativa parziale con termine complesso (2b); a dimostrazione del fatto che qualunque sia l‟uso che ne faccia la Sapienza, la traduzione si pone sempre sullo stesso piano e cioè quello più prossimo possibile allo standard. 4.3.9 Uso scorretto delle preposizioni Fenomeno ascrivibile all‟italiano regionale di area meridionale è l‟uso di preposizioni351 diverse rispetto allo standard, come ad esempio la presenza della preposizione a in contesti in cui altrove troviamo di. Nel romanzo il tratto è poco frequente (21 occorrenze) e ascrivibile ai soli contesti più marcati tanto dal punto di vista sia diastratico che diatopico, come del resto è possibile osservare dagli esempi sotto riportati: (1a) Doveva aver preso il coltello di cucina e la voleva squartare come a Pasqua la mamma squartava con l'aiuto di Tuzzu l‟agnello [p. 14] (1b) Il devait avoir pris le couteau de cuisine et il voulait la dépecer comme à Pâques maman dépeçait l‟agneau avec l‟aide de Tuzzu [p. 24] (2a) È tutto infervorato di queste idee nuove [p. 35] (2b) Il est tout enflammé de ces nouvelles idées de rébellion [p. 58] 351 Cfr. Telmon, Varietà… cit., p. 122. 163 (3a) Tempi neri s‟affacciano a questo convento [p. 50] (3b) Des temps sombres s‟annoncent pour ce couvent [p. 80] (4a) E se prima della disgrazia, a quello che ci ha detto Tuzzu, non ne soffriva, questa disgrazia l'ha rovinata per sempre [p. 16] (4b) Et si avant l‟horreur qui l‟a frappée, à ce que nous a dit Tuzzu, elle n‟en souffrait pas, cette horreur l‟a détruite pour toujours [p. 28] L‟uso delle preposizioni è, negli esempi riportati, perfettamente standard. Anzi, in (3b) la traduttrice non solo inserisce la preposizione corretta in francese, ma fa un uso del lessico che eleva il registro verso alto. 4.3.10 Il superlativo Com‟è noto, i concetti espressi dagli aggettivi qualificativi, così come quelli espressi da molti avverbi, possono essere soggetti a una gradazione 352: il grado positivo, in cui la quantità è espressa senza particolare riguardo alla sua quantità o intensità; il grado comparativo, in cui la gradazione intensiva della qualità viene messa a confronto con quella posseduta da un altro termine di paragone o con un‟altra qualità posseduta dallo stesso soggetto; infine, il grado superlativo in cui la gradazione intensiva viene espressa al suo massimo, in senso assoluto o relativo. Secondo quanto prescritto dalle grammatiche normative, il superlativo assoluto si può formare in modo sintetico attraverso il suffisso in -issimo353 oppure attraverso l‟uso dell‟avverbio di quantità molto. Nel dialetto siciliano, al contrario, manca il superlativo assoluto sintetico con il suffisso in -issimo, che può essere variamente sostituito354 da altre forme quali assai (avverbio di quantità), veru (con valore avverbiale) oppure aggiungendo il suffisso in uni (come, ad esempio, in ). Nel romanzo, benché prevalgano le forme standard del superlativo, tuttavia non mancano alcuni casi di superlativo ricalcato sul siciliano, come ad esempio il 352 Cfr. Serianni, Grammatica… cit., pp. 136-7. Accanto a questo suffisso è presente il superlativo in -errimo, di uso certamente colto, che ricalca direttamente il modello latino degli aggettivi della seconda classe uscenti al nominativo in -er. Ivi, p. 138. 354 Cfr. Ruffino, op. cit., p. 60. 353 164 superlativo formato con assai (3 occorrenze). Totalmente assenti i superlativi con veru e -uni. (1a) È che quella signora curiosa è, curiosa assai! [p. 278] (1b) C‟est que cette dame est curieuse, très curieuse! [p. 439] (2a) – Solo tre pallottole in mezzo agli occhi: una per Turi, una per Ciccio, una per Vincenzo. Si deve sapere che delitto politico fu. Quanto può costare? – Se delitto politico, ci vuole un tiratore fino. Costa assai, Mody mia [p. 257] (2b) – Seulement trois balles entre les yeux : une pour Turi, une pour Ciccio, une pour Vincenzo. Il faut qu‟on sache que ça a été un crime politique. Combien cela peut-il coûter? – Si c‟est un crime politique, il faut un fin tireur. C‟est assez cher, ma Mody [p. 408] (3a) È che… non so da dove attaccare l‟argomento. È una faccenda senza capo né coda, ma complicata, giuraddìo principessa assai complicata [p. 175] (3b) C‟est que… je ne sais pas par quel bout le prendre. C‟est une affaire sans queue ni tête, mais compliquée, pardieu, je vous assure, princesse, bien compliquée [p. 279] In francese non esiste, tranne in sporadici casi, la formazione sintetica (cioè con il suffisso -issime) del superlativo, che può avvenire: tramite l‟uso di avverbi volti a marcare una forte intensità del significato dell‟aggettivo (i più comuni sono très, fort e bien355); con l‟uso di prefissi (archi-, extra-, super-, hyper-); con la ripetizione senza pausa e espressivamente cumulativa dell‟aggettivo; infine, con espressioni idiomatiche che completano il senso dell‟aggettivo. Rispetto alle scelte della traduttrice, si può notare che in (1b) e (3b) è stato adoperato l‟uso dell‟avverbio, mentre in un caso, vale a dire in (2b), si è optato per attenuare il valore superlativo dell‟aggettivo mediante un avverbio che marca una quantità e un‟intensità sufficiente 356. Quindi, lontano dall‟operare in senso marcato, la Castagné ha preferito normalizzare il testo, utilizzando le forme più comuni della formazione del superlativo, mitigandone addirittura, in un caso, la valenza semantica. 355 356 Cfr. Riegel, Pellat, Rioul, op. cit., pp. 362-363. Cfr. TLF s.v. assez. 165 4.3.11 Sostituzione del pronome relativo che con ca Il pronome relativo, come si sa, ha la funzione di mettere in relazione 357 una proposizione reggente con una subordinata, richiamando un termine già espresso antecedente. Mentre in italiano il pronomi relativi sono il quale, che, cui, in dialetto siciliano vengono adoperate le forme chi o ca358. Nel romanzo sono stati rilevate 57 occorrenze di ca in luogo del pronome relativo che, adoperato specialmente da quei personaggi semicolti che non possiedono un‟adeguata competenza della lingua, come si vede dagli esempi riportati: (1a) Quello ca mio padre non a parole, ma con gli occhi diceva quannu la sentiva nominare… [p. 221] (1b) Ce que mon père disait, non pas avec des mots mais avec les yeux, quand on parlait de vous… [p. 351] (1a) Pure Vincenzo, ca mi è fratello, a volte estraneo mi sembra [p. 225] (2b) Vincenzo aussi, qui est mon frère, me paraît parfois un étranger [p.356] (1a) È detto ca ddà tutto si può trovare, tutto si può comprare: dalle sete più fini, alla cera pei morti, dall'oro a cento carati, ai coltelli più affilati, dal picciotto senza viso ca con poche lire t‟ammazza chi s‟è messo in testa d'attraversarti la strada, dalle vellute dai capelli profumati, ai cadaveri freschi freschi, se proprio hai intenzione di studiare per tuo conto anatomia [p. 459] (3b) Il est dit que là-bas on peut trouver de tout, on peut tout acheter : des soies les plus fines, à la cire pour les morts, de l‟or à cent carats aux couteaux les plus effilés, du gosse sans visage qui te descend pour quelques lires celui qui s‟est mis en tête de te barrer la route, et des vellute aux cheveux parfumés, aux cadavres tout frais, si tu as vraiment l‟intention d‟étudier l‟anatomie pour ton propre compte… [p. 726] La forma canonica del pronome relativo in francese, accanto a quella composta (lequel, laquel), prevede l‟uso di qui e que (a seconda della funzione sintattica svolta, qui = sogg., que = compl. ogg.). In maniera del tutto aderente alla norma, la Castagné ha utilizzato il pronome relativo in base alla funzione logica che svolgeva nel testo, non operando nessun tipo di compensazione che desse conto della connotazione in senso diastratico che il pronome possedeva nel testo di partenza. 357 358 Cfr. Serianni, Grammatica… cit., p. 312. Cfr. Ruffino, op. cit., p. 61. 166 4.3.12 Che polivalente Accanto al che, «originariamente pronome relativo con significato di cui, in cui, a cui359 oggigiorno viene sempre più frequentemente adoperato il che polivalente come connettivo generico con molte funzioni360. Gli usi del che come connettivo generico «costituiscono un continuum che va dall‟italiano ancien régime […] all‟italiano popolare regionale basso dove il che tutto fare ha una gamma amplissima di impieghi»361. Infatti il che polivalente, oltre a essere un tratto interessante e peculiare della lingua media parlata e scritta, è anche fra le congiunzioni subordinate più frequenti nel parlato colloquiale362, «col quale si istituisce una relazione sintattica di debole subordinazione con valore semantico vago»363. Inoltre, è tipico dei contesti colloquiali specie quando abbia un generico valore esplicativo364 oppure come marca di una frase relativa, in senso debole o in senso stretto. In questa sede prenderemo in esame le quattro funzioni principali attribuite al che polivalente da Francesco Sabatini, vale a dire: a) il che con valore temporale, «equivalente a “in cui”, “dal momento in cui”, “dal momento in”»; b) il che atto a congiungere le due parti di una frase scissa; c) il che con apparente funzione di soggetto o di complemento oggetto, «contraddetta da una successiva forma pronominale che ha la funzione di complemento indiretto»365; d) il che sostitutivo di una congiunzione finale, consecutiva o causale. All‟interno del romanzo abbiamo riscontrato una buona frequenza del che polivalente con le sue quattro funzioni principali, la cui distribuzione è rappresentata nella tabella che segue: 359 Sabatini, L‟italiano… cit., p. 164. Cfr. Rosanna Sornicola, Sul parlato, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 61-74. 361 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 69. 362 Cfr. Berretta, op. cit., p. 254. 363 Ibidem. 364 Cfr. Berruto, Varietà… cit., p. 47. 365 Ibidem. 360 167 Tabella 3: Valore del “che” polivalente e relative occorrenze CHE CA TOT. Valore temporale Che della frase scissa Che apparente soggetto o complemento Che sostitutivo di congiunzione finale, consecutiva o causale 17 1 18 298 11 309 2 2 56 32 88 Come si vede, i fenomeni che presentano maggiori occorrenze sono il che atto a congiungere la frase scissa, molto produttivo in italiano e meno in dialetto, e il che sostitutivo di una congiunzione finale, consecutiva o causale. Dallo spoglio emerge quindi che mentre ca, atto a congiungere le due parti di una frase scissa, è poco usato nel romanzo, al contrario ca con valore di congiunzione finale, consecutiva e causale è molto più produttivo, dal momento la struttura morfosintattica è piuttosto usata – con lo stesso valore – anche nel dialetto366. Di seguito vengono riportati alcuni casi di che polivalente con la relativa traduzione in francese, in modo da poter rendere conto delle scelte della traduttrice: a) Che/ca polivalente con valore temporale (1a) Per anni l‟avevo sentita urlare così senza badarci, sino al giorno che, stanca di trascinare quel legno, buttata in terra, avvertii a sentirla gridare come una dolcezza in tutto il corpo [p. 5] (1b) Pendant des années je l‟avais entendue hurler ainsi sans y faire attention, jusqu‟au jour où, fatiguée de traîner ce bois, m‟étant jetée par terre, je ressentis à l‟entendre crier comme une douceur dans tout le corps [p. 9] (2a) Ma ora, in queste tre notti che ho girato intorno, ero sicuro che ci fosse qualcuno accanto a te, e non speravo. Anche per questo prudente sono stato a non bussare alla tua porta [p. 196] (2b) Mais maintenant, durant ces trois nuits où j‟ai tourné dans les parages, j‟étais sûr qu‟il y avait quelqu‟un auprès de toi, et je n‟espérais pas. C‟est aussi pour ça que j‟ai été prudent et n‟ai pas frappé à la porte [p. 311] 366 Telmon, Varietà… cit., p. 124. 168 (3a) E certo, e non solo l‟ho vista, ma per tre anni, all‟età che spunta il primo pelo sul mento, come mio padre e mio nonno tutti di grande ossatura noi Tudia fino a oggi siamo stati! [p. 204] (3b) Eh bien sûr, et non seulement je l‟ai vue, mais pendant trois ans, à l‟âge où le premier poil m‟a poussé au menton, comme mon père et mon grand-père – jusqu‟à aujourd‟hui nous autres Tudia nous avons tous été de grande ossature! [p. 324] (4a) Mi trovasti malata o imbruttita quella notte che sei tornato? [p. 202] (4b) Tu m‟as trouvée malade ou enlaidie la nuit où tu es revenu? [p. 333 ] (5a) No, sta buona e dormi, dobbiamo aspettare il giorno che ci danno l‟uovo [p. 431] (5b) Non, reste tranquille et dors, nous devons attendre le jour où ils nous donneront un œuf à manger [p. 680] (6a) La mattina che mi arrestarono cominciai a fumare e mi piaceva tanto! [p. 477] (5b) Le matin où on m‟a arrêtée j‟ai commencé à fumer et ça m‟a beaucoup plu! [p. 755] La scelta della traduttrice, relativamente alla resa del che polivalente con valore temporale si è orientata sull‟uso dell‟avverbio pronominale relativo où. Contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, questa scelta appare essere la più rispettosa del testo originale, in quanto l‟uso del que temporale in francese appartiene a un registro più alto 367. b) Che/ca polivalente atto a congiungere una frase scissa La frase scissa viene considerata da Francesco Sabatini come uno dei quattro procedimenti di natura sintattica in cui si tende a operare un processo di enfasi all‟interno del periodo 368. Come per la dislocazione, anche la frase scissa o spezzata prevede la messa in rilievo di un elemento «che viene a costituire una unità frasale»369, cioè la “testa”, costruita col verbo essere, che mette in forte rilievo il “nuovo”, seguita da un‟altra unità frasale, ovvero il complemento, introdotto da un 367 «En emploi temporel où est concurrencé par que, plus soutenu: les jours que nous nous sommes rencontrés», in Riegel, Pellat, Rioul, op. cit., p. 209. 368 Cfr. Sabatini, L‟italiano… cit., pp. 161-3. 369 Bazzanella, op. cit., pp. 128-9. 169 falso che relativo370, nel quale è contenuto il “noto”, come nell‟esempio «È Mario che canta»371. Tale costruzione inoltre «non solo porta al massimo grado l‟enfasi sul “nuovo”, ma amplia la durata dell‟enunciato»372, producendo quindi «quello “spezzettamento dell‟informazione” che facilita la ricezione» 373. Tuttavia, la frase scissa è stata in genere condannata dalle grammatiche come gallicismo, sebbene oggigiorno essa vada considerata «del tutto integrata nello standard» 374. Secondo Carla Bazzanella le frasi scisse vanno distinte375 in frasi scisse propriamente dette, come nell‟esempio «È Giorgio che mangia la mela»376,e frasi pseudo-scisse, come in «Quello che ti dico è la pura verità»377. All‟interno del nostro corpus le frasi scisse trovano un largo impiego: sono state ritrovati ben 123 casi di frasi scisse e 11 casi di frasi scisse con ca in luogo di che. Di seguito vengono riportati alcuni tra i casi più significativi di frasi scisse nel testo di partenza, con la corrispettiva traduzione della Castagné: (1a) Ah! Allora è madre Leonora che soffre di insonnia? [p. 23] (1b) Ah! Alors c‟est mère Leonora qui souffre d‟insomnie? [p. 38] (2a) Non era madre Leonora che rimpiangevo, ma tutti i privilegi e le attenzioni che quelle donne mi avevano concesso solo per paura di madre Leonora [p. 30] (2b) Ce n‟était pas mère Leonora que je regrettais, mais tous les privilèges et toutes les attentions que ces femmes m‟avaient accordés uniquement par peur de mère Leonora [p. 49] (3a) Ma è Pietro, Modesta! È Pietro che grida, che è successo? [p. 83] (3b) Mais c‟est Pietro, Modesta! C‟est Pietro qui crie, que s‟est-il passé? [p. 135] (4a) Buongiorno, padroncina. Sono proprio felice che s'è decisa ad affrontare il cavallo. Le lascio Rosario, è il più bravo cavallerizzo che abbiamo, e le insegnerà (4b) Je vous laisse Rosario, c‟est le meilleur maître d‟équitation que nous ayons, et il vous apprendra vraiment comme il faut [p. 174] 370 Ibidem, p. 129. Sabatini, L‟italiano… cit., p. 163. 372 Sabatini, L‟italiano… cit., p. 169. 373 Ibidem. 374 Ibidem. 375 Cfr. Bazzanella, op. cit., pp. 129-30. 376 Ibidem, p. 129. 377 Ibidem, p. 130. 371 170 proprio a dovere [p. 108] (5a) È Melo che mi dà pensiero. Com'è che ancora non è tornato e non scrive? Il signor Carlo da Roma è tanto che è arrivato [p. 239] (5b) C‟est Melo qui m‟inquiète. Comment ça se fait-il qu‟il est pas encore rentré et qu‟il ne m‟écrit pas? Monsieur Carlo, ça fait longtemps qu‟il est revenu de Rome [p. 380] (6a) È Timur che temo [p. 358] (6b) C‟est Timur que je crains [p. 568] Analogamente a quanto avviene in italiano, la frase scissa presenta in francese l‟estrazione di un costituente della frase, che viene spostato all‟inizio e posto tra c‟est e il pronome relativo qui o que. Questa struttura è standard nel francese 378, e per dare una connotazione maggiormente informale, la traduttrice avrebbe potuto procedere all‟utilizzo di forme più marcate, quali le frasi pseudo-scisse, in cui si combinano il fenomeno dell‟estrazione e quello della dislocazione di un costituente 379. c) Che/ca apparente soggetto o complemento (1a) Pensavo ca il principe in qualche modo istruito era sul suo compito di uomo. E allora, chiudendo l‟occhi e senza levarmi la veste, ci sono quelli che gli piace di spogliare [p. 102] (1b) Qu‟est-ce que je sais! Je pensais que le prince était instruit d‟une façon ou d‟une autre sur ce qu‟il avait à faire en tant qu‟homme. Et alors, en fermant les yeux et sans enlever ma robe, il y en a que ça leur plaît, de déshabiller [p. 165] (2a) Beh, sì, col suo coso fuori che se lo toccava, smaniava. Insomma, appresi che non sapeva che fare col suo coso, che, duro duro, certamente dolore gli doveva fare [p. 102] (2b) Ben, oui, avec son truc dehors que, s‟il le touchait, il était dans tout ses états. Enfin bref, j‟ai compris qu‟il ne savait pas que faire avec son truc, qui, tout dur tout dur, devait sûrement lui faire bien mal [p. 165] 378 Cfr. Riegel, Pellat, Rioul, op. cit., p. 430. Un esempio di tale costrutto si può ravvisare nella frase ce que je sais, c‟est qu‟elle est malade, nel quale si può notare che la frase è divisa in due parti: l‟intonazione sale fino a c‟est, che è preceduto da una pausa, poi ridiscende. Generalmente, il primo elemento della frase è una relativa perifrastica e il secondo, introdotto da c‟est, è una sequenza che svolge la funzione di complemento al verbo della relativa. 379 171 Per l‟analisi di (1b) si veda quanto scritto al § 4.3.3. Osservando invece l‟esempio (2a), si può notare l‟uso del che in funzione di falso complemento oggetto; infatti ricostruendo il periodo secondo l‟ordine frasale corretto, si avrà: «(lui) smaniava col suo coso fuori che (= il quale coso) se lo toccava». Nella traduzione (2b) si può notare probabilmente una cattiva interpretazione del testo in italiano da parte della Castagné, la quale aggiunge una virgola dopo il pronome relativo que (usato con valore di complemento oggetto), rendendo subordinata con valore ipotetico la proposizione che segue. Se la Castagné riesce in qualche modo a rendere l‟effetto di tema sospeso presente nella versione italiana, va del tutto perso il senso di contemporaneità delle azioni, poiché nel testo di partenza l‟atto dello smaniare avviene contemporaneamente a quello del toccarsi; invece nella traduzione viene introdotta la consequenzialità dell‟azione sottoposta a ipotesi, cioè l‟atto dello smaniare avviene a condizione che ci si tocchi. d) Che/ca sostitutivo di una congiunzione finale, consecutiva o causale (1a) Chetati ca debbo lavorare! [p. 74] (1b) Calme-toi que je dois travailler! [p. 120] (2a) Vieni, ca t‟insegno [p. 200] (2b) Viens, que je t‟apprenne [p. 319] (3a) Per farla breve e meno vergognosa per te e per me, io e non mi guardare accussi ca mi vergogno!io quando ci andai pensavo ca gente istruita era. [p. 102] (3b) Pour aller vite et nous gêner moins toi et moi, – et ne me regarde pas comme ça que j‟ai honte! – quand j‟y suis allée je pensais que c‟étaient des gens instruits [p. 165] (4a) Tu torna al lavoro ca qua rischiamo di perdere la giornata, cerco io di accordarmi con la principessina [p. 108] (4b) Retourne au travail, toi, que nous risquons de perdre la journée avec tout ça, moi j‟essaie de me mettre d‟accord avec la princesse [p. 175] 172 (5a) E tu domani col giorno vieni ca te lo faccio vedere il mio Carmine giovane [p. 223] (5b) Eh bien, reviens demain avec le jour, je te le ferai voir mon Carmine enfant [p. 354] (dileguo) (6a) Pregalo che ti protegga e basta! Che vuoi sapere? Pregalo e basta [p. 7] (6b) Prie-le de te protéger, voilà tout! Que veux-tu savoir? Prie-le et voilà [p. 12] Negli esempi citati, in (2a) e (6a) il che/ca è sostitutivo della congiunzione finale; in tre casi, cioè in (1a), (3a) e (4a) è sostitutivo di una congiunzione causale e in un caso (5a) di una congiunzione consecutiva. Per quanto concerne la traduzione, si può notare che in (2b) si è ricorso all‟uso, standard in francese, ricorrendo al que come congiunzione quando la principale è una frase imperativa e la secondaria ha il verbo al congiuntivo. Infatti la Castagné muta il modo del verbo della subordinata trasponendolo dall‟indicativo al congiuntivo. In (6a) la traduttrice, aggirando l‟ostacolo posto dal che, rende implicita la subordinata finale e la introduce in maniera standard con l‟uso della preposizione de. Procedimento analogo in (5a), dove il rapporto di subordinazione viene azzerato e trasposto in una coordinazione per asindeto. Il francese popolare presenta comunque costruzioni analoghe all‟italiano in cui è presente l‟uso del che polivalente, che la Castagné impiega, come introduttore generico di una proposizione dipendente380, in (1b), (3b), (4b). 4.3.13 Dislocazioni Fenomeni certamente interessanti, nei quali è più evidente il processo di «ristandardizzazione»381 che ha investito e continua ad investire l‟italiano contemporaneo, sono le dislocazioni e i processi di segmentazione, che scardinano l‟ordine non marcato382 delle parole o «dei costituenti di frase»383, ovvero la sequenza Soggetto-Verbo-Complemento. In essi «si tende in genere a porre in prima posizione 380 Cfr. Pierre Guiraud, Le français populaire, Parigi, Les Presses universitaires, 1986, p. 72. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 65. 382 Cfr. Bazzanella, op. cit., p. 123. 383 Ibidem. 381 173 il “tema” (ciò di cui si parla) e a farlo seguire dal “rema” (ciò di cui si predica nel “tema”), secondo una progressione che va dal “dato” al “nuovo” dal punto di vista informativo»384, dando luogo a «un ordine dei costituenti diversi rispetto a quello tipico per l‟italiano»385. In questa sede si prenderanno in esame le dislocazioni a destra e a sinistra (avendo già trattato la frase scissa e il che polivalente al § 4.2.13 punto b), ovvero i «fenomeni d‟enfasi» che «sono ben presenti nella lingua italiana parlata e in quella scritta che riflette più direttamente la prima»386. a) La dislocazione a sinistra Le dislocazioni a sinistra sono fenomeni di segmentazione «con tematizzazione (a sinistra) del dato “noto” assunto come “tema”, e ripresa di esso mediante un pronome nella frase che predica “l‟informazione nuova”, cioè il “rema”»387, come in quest‟esempio: «Queste parole non le ho mai dette»388. Più in generale nella dislocazione a sinistra un oggetto o un complemento è spostato a sinistra, vale a dire all‟inizio dell‟enunciato, e ripreso successivamente da un pronome atono389. Tale costruzione sarebbe inoltre marcata «perché porta a “tema” […] l‟elemento dislocato a sinistra ripreso nella frase con un pronome clitico» 390, e che potrebbe essere interpretata come «una tipica topicalizzazione» 391. Nel romanzo le dislocazioni a sinistra trovano un impiego assai limitato, per un totale di 12 occorrenze. In questa sede ricorderemo: (1a) Parola per acquietare i miserabili è! Il destino te lo puoi maneggiare come vuoi, se valente sei [p. 216] (1b) C‟est un mot pour rassurer les malheureux! Le destin, tu peux le manipuler comme tu veux, si tu en as la force [p. 343] (2a) La rivoltella sul tavolo l‟ho messa, principessa, a come vedo che vivi, ti può servire [p. 223] (2b) J‟ai mis le pistolet sur la table, princesse, il peut te servir, à la façon dont je vois que tu vis [p. 355](dileguo) 384 Ivi, p. 124. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 65. 386 Sabatini, L‟italiano… cit., p. 161. 387 Ivi, p. 162. 388 Ibidem. 389 Cfr. Bazzanella, op. cit., p. 124. 390 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 66. 391 Ibidem. 385 174 (3a) Io prima i ricchi non li guardavo, o li guardavo e non li vedevo avendo gli occhi foderati dal prosciutto di questo luogo comune populista [p. 469] (3b) Moi, avant, les riches, je les regardais pas, ou je les regardais et ne les voyais pas, avec mes yeux bouchés par ce lieu commun populiste [p. 741] (4a) Sì, sì, cose così dice, ma… quannu torna con me deve stare! E se no lo studio a chi lo lascio io! [p. 493] (4b) Oui, oui, il dit des choses comme ça, mais… Il doit s‟installer avec moi quand il revient! Sinon, à qui est-ce que je le laisse, mon cabinet, moi? [p.779] L‟elemento dislocato a sinistra non sarebbe altro che «il frutto della messa a centro d‟attenzione del parlante»392, ove si colloca al primo posto ciò di cui si parla, sebbene non si trovi «nello statuto grammaticale di soggetto»393, al fine di «stabilire il topic frasale […] e comunque per richiamare su di esso l‟attenzione» 394. Inoltre, secondo Gaetano Berruto la dislocazione a sinistra deve essere considerata come «un ottimo sostituto della costruzione passiva, notoriamente non amata nel parlato»395. La dislocazione (a destra o a sinistra) è un fenomeno abbastanza comune in francese, adoperato – come accade per l‟italiano – per mettere in rilievo dei segmenti della proposizione spostandoli in testa o alla fine della frase, e riprendendoli attraverso delle forme pronominali. In quest‟ambito la Castagné opera in (1b) (3b) una traduzione quasi letterale del testo originale, insistendo per giunta sul valore informale non anteponendo nella forma negativa il ne al verbo. In (4b), pur mantenendo il fenomeno, la dislocazione muta di direzione, spostandosi a destra, ma conservando comunque l‟enfasi pronominale. In (2b) infine opta però per il dileguo del fenomeno, rispettando comunque la stessa costruzione sintattica del testo di partenza. b) La dislocazione a destra 392 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 66. Bazzanella, op. cit., p. 125. 394 Ibidem. 395 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 66. 393 175 Nella dislocazione a destra l‟oggetto o il complemento è spostato dalla sua posizione canonica all‟interno della frase, sicché esso viene posto alla fine dell‟enunciato ed anticipato da un pronome clitico 396, come in quest‟esempio: «Lo conosco bene quell‟imbroglione»397. Sebbene essa appaia decisamente meno frequente nell‟uso «concreto»398, la dislocazione a destra condivide in pieno la sorte della dislocazione a sinistra 399, ed anzi «con la dislocazione a destra si riprende con un nome pieno il referente del pronome già utilizzato nel contesto precedente, come per chiarire ed esplicitare il riferimento che non è risultato chiaro»400. Nel nostro corpus le dislocazioni a destra propriamente dette – come pure quelle a sinistra – sono poco impiegate (appena 9 occorrenze). A tal proposito, coerentemente con la definizione di Berruto, ricorderemo alcune dislocazioni a destra propriamente dette, come: (1a) Oh, Mody, Beatrice un‟altra volta mi ha cacciato! È segno che proprio non lo vuole! Non lo vuole il bambino del mio signor principe [p. 231] (1b) Oh, Mody, Beatrice m‟a de nouveau chassé! C‟est le signe que vraiment elle n‟en veut pas! Elle n‟en veut pas, de l‟enfant de mon prince [p. 368] (2a) Vorrei seguirla quella voce e continuare a sognare mentre lei parla [p. 469] (2b) Je voudrais suivre cette voix et continuer à rêver tandis qu‟elle parle [p. 741] (dileguo) (3a) Io ti conosco, Prando, vogliamo giocarla allo scoperto questa partita? [p. 492] (3b) Je te connais, Prando, tu es d‟accord pour que nous la jouions cartes sur table, cette partie? [p. 778] (4a) Ho imparato a non contrastarla la mia natura [p. 209] (4b) J‟ai appris à ne pas contrarier ma nature [p. 332] (dileguo) In (1b) e in (3b) viene mantenuta la dislocazione a destra, con la sola mutazione, nel primo caso, del pronome personale lo nel pronome avverbiale en, che viene combinato col verbo vouloir in una forma molto comune in francese. 396 Cfr. Bazzanella, op. cit., p. 124. Sabatini, L‟italiano… cit., p. 162. 398 Bazzanella, op. cit., p. 124. 399 Ibidem. 400 Ivi, p. 125. 397 176 In (2b) e in (4b) la traduttrice opta per il dileguo, azzerando la, seppur debole, connotazione informale del testo di partenza. A proposito dei fenomeni di segmentazione Gaetano Berruto fa una distinzione tra la dislocazione a destra propriamente detta e la pseudo dislocazione a destra. Mentre la dislocazione a destra propriamente detta non possiede né «pausa né variazione della curva intonativa fra la frase e il sintagma dislocato»401, instaurando «un retroterra comunicativo posto come condiviso e getta tra il parlante e interlocutore un filo internazionale di cordialità, confidenzialità» 402, come nel caso di «Le mangio le mele». Al contrario, la pseudo dislocazione a destra, frutto di un “ripensamento”, è caratterizzata da una pausa e dall‟interruzione della curva intonativa tra la frase e l‟elemento dislocato, come nel caso «Le mangio, le mele». Quest‟ultimo fenomeno appare decisamente «legato ai problemi di pianificazione del parlato, in quanto avrà la funzione di richiamare un “tema” già in corso»403, colmando così possibili ambiguità nel testo. Di seguito viene proposto l‟unico esempio di pseudo dislocazione a destra: (1a) Era fatta. Avevo in mano – quello sì miracolo vero – qualcosa non per perderla, ma per cambiarla a modo mio, la vocazione [p. 85] (1b) C‟était fait. J‟avais en main – cela, oui, c‟était un vrai miracle – quelque chose, non pour la perdre, mais pour la transformer à ma manière, ma vocation [p. 138] Come si vede, solo in (1a) il periodo viene spezzato da una pausa sintattica, resa mediante la virgola: in questo particolare caso la cesura, creata attraverso la virgola, ha lo scopo di mettere in rilievo l‟eccezionalità dell‟occasione offerta a Modesta,: sposando Ippolito e sacrificando la propria vita alla “cosa”, potrà mutare la sua vocazione monacale in vocazione al sacrificio, sottraendosi così all‟obbligo di prendere i voti. Come si vede in (1b) a Castagné rispetta in toto il costrutto nella versione in francese, praticando una traduzione letterale, se si omette la trasposizione dell‟articolo (la) nell‟aggettivo possessivo (ma), con evidente intento rafforzativo. 401 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 67. Ibidem. 403 Ibidem. 402 177 4.3.14 C’è presentativo Accanto alle strutture dislocate e scisse il c‟è presentativo è una costruzione decisamente molto diffusa nell‟italiano contemporaneo. Tale struttura è costituita da un c‟è desemantizzato404 (molto diverso dal normale significato del verbo esserci) che introduce un sintagma nominale specificato da una (pseudo) relativa esplicativa, come nella frase «C‟è un gatto che gioca nel giardino»405. Gaetano Berruto, a proposito del c‟è presentativo afferma che esso «pare funzionare da segnale rematico che serve a spezzare una frase politematica (“Un gatto gioca nel giardino”) in due blocchi monotematici più semplici (C‟è un gatto che gioca nel giardino)»406, mettendo in rilievo un elemento attraverso il procedimento di segmentazione. In tal modo si evita che una frase contenga troppa informazione nuova, «facilitando sia la codificazione (enuncia un oggetto di discorso e poi predica qualcosa su di esso, in maniera vantaggiosa per la ridotta gittata di pianificazione tipica del parlato), che la decodificazione»407, attraverso la distribuzione dell‟informazione su due frasi. Inoltre, sebbene il c‟è presentativo e le frasi scisse abbiano in comune la tendenza a spezzare la frase in due blocchi monotematici ben distinti mediante l‟uso di un che pseudo-relativo – come giustamente sottolinea Monica Berretta – «una differenza d‟uso tra frasi scisse e strutture con c‟è presentativo è data dal fatto che solo le prime possono servire da ripresa anaforica»408. Nel romanzo il c‟è presentativo è abbastanza frequente (compare in 67 casi), come si vede dagli esempi sotto riportati: (1a) Bene ragazza! Ma purtroppo ora dobbiamo parlare del tuo stato. Non c‟è tempo da perdere. Di quanti mesi sei? [p. 180] (1b) Bien, jeune fille! Mais malheureusement nous devons maintenant parler de ton état. Il n‟y a pas de temps à perdre. A combien de mois en es-tu? [p. 286] (2a) C‟è verità in quello che dici, Carmine, ma c‟è verità anche in quello che dice Carlo. E la sua verità mi si confà di più [p. (2b) Il y a du vrai dans ce que tu dis, Carmine, mais il y a aussi du vrai dans ce que dit Carlo. Et sa vérité me convient 404 Cfr. Berretta, op. cit., p. 257. Ibidem. 406 Ibidem. 407 Ibidem. 408 Ibidem. 405 178 208] davantage [p. 331] (3a) Che c‟è figghia ca mi fermi così? L‟ira t‟ha gelata tanto ca non puoi perdonare? [p. 196] (3b) Qu‟y a-t-il, ma fille, que tu m‟arrêtes comme ça? La colère t‟a tant glacée que tu ne peux pas pardonner? [p. 313] (4a) Che c‟è da ridere, tosta carusa? [p. 197] (4b) Qu‟est-ce qui te fait rire, fille effrontée? [p. 313] (5a) Non c‟è bisogno di spiare, Mattia! Levami „sti occhi dal viso, che vuoi sapere? Non rispondi? Io di tuo padre a lungo sono stata [p. 221] (5b) Il n‟est pas besoin d‟épier, Mattia! Arrête de me regarder comme ça, que veux-tu savoir? Tu ne réponds pas? J‟ai eu une longue histoire avec ton père [p. 351] (6a) Allora qualche pregio me l'attribuisci, perché sempre figlio mio è, no? Che forza ha quel ragazzino! E che rettitudine! Mettiamo col servizio militare. Potevo con quattro soldi farlo riformare e invece. Parte, oh! fra qualche mese parte e non c‟è niente da fare. Ma perché? [p. 493] (6b) Alors tu m‟en attribues une part de mérite, parce que tout de même c‟est mon fils, non? Quelle force a ce petit! Et quelle rectitude! Prenons le service militaire… Je pouvais d‟un tour de main le faire réformer, et non… Il part, oh! d‟ici quelques mois il part et il n‟y a rien à faire. Mais pourquoi? [p. 779] In francese, i presentativi servono a presentare un gruppo nominale o un costituente equivalente che funziona come loro complemento. Questa struttura viene spesso adoperata nel parlato, perché serve a designare un referente nella situazione di enunciazione409. Negli esempi presi in considerazione, Nathalie Castagné mantiene quasi sempre il valore presentativo del c‟è traducendolo nelle omologhe forme francesi (declinate secondo la funzione positiva, negativa o interrogativa). Bisogna fare tuttavia qualche annotazione: in (3b) la traduttrice usa la forma interrogativa del presentativo in maniera standard, facendola seguire da un construtto sintattico e da un uso lessicale altrettanto standard. Se si osserva (3a) si può notare come il presentativo sia invece seguito, soprattutto da un punto di vista lessicale, da 409 Cfr. Riegel, Pellat,Rioul, op. cit., p. 454. 179 termini distraticamente molto connotati, il cui valore non è per nulla ripreso nella versione in francese. Da segnalare anche come il presentativo di (4a) sia stato reso con una interrogativa parziale 410, sicuramente meno caratteristicadell‟orale 411 di quanto non lo sia il c‟è presentativo. 4.3.15 Alternanza tra indicativo e congiuntivo L‟indicativo, oltre a essere definito come il modo per eccellenza della realtà e dell‟obbiettività, è anche il modo fondamentale delle frasi semplici, sebbene sia certamente molto frequente anche nelle subordinate412, e inoltre, nell‟italiano contemporaneo, è certamente il modo verbale che resiste meglio 413. Anzi, oggigiorno in italiano l‟indicativo tende a prevalere sul congiuntivo414, e in particolare in determinati costrutti415 come nelle interrogative indirette, nelle proposizioni dipendenti da verbi di opinione o da verbi come sapere e dire al negativo, oltre che nelle relative restrittive e nelle ipotetiche dell‟irrealtà. La prevalenza dell‟indicativo sul congiuntivo è ormai normale nel parlato e nello scritto medio 416, e anzi ha alle spalle «una tradizione secolare di buona letteratura»417. Nel romanzo si registra una buona tenuta del congiuntivo, che cede il posto all‟indicativo solo nelle circostanze comunicative più informali, come si vede negli esempi riportati: (1a) E com‟è che sei ancora qua? Pensavo che eri andata al negozio [p. 478] (1b) Et comment se fait-il que tu sois encore là? Je pensais que tu étais allée au magasin [p. 756] (2a) Che vuoi che ne so io del tuo risveglio! [p. 8] (2b) Mais qu‟est-ce que tu veux que j‟en sache, moi, de ton réveil! [p. 15] (3a) Mi pare il solo che non ha perso la testa [p. 380] (3b) Modesta : – Mais que s‟est-il passé? Tais-toi, Stella, laisse parler Jacopo! Il me 410 Cfr. § 4.3.8 Cfr. Riegel, Pellat, Rioul, op. cit., p. 397. 412 Cfr. Serianni, Grammatica… cit., pp. 295-6. 413 Cfr. Sabatini, L‟italiano… cit., pp. 166-7. 414 Ivi, p. 166. 415 Ibidem. 416 Ibidem. 417 Ivi, p. 167. 411 180 semble être le seul à n‟avoir pas perdu la tête [p. 602] (4a) Allora è giocoforza, anche se non l‟aggrada, che lei monta davanti a me… [p. 104] (4b) Alors il est nécessaire, même si ça ne vous plaît pas, que vous montiez devant moi… [p. 168] (5a) Spero ca solo la bestia le fa paura e non il padrone della bestia [p. 104] (5b) J‟espère que seul l‟animal vous fait peur et pas le maître de l‟animal [p. 168] (6a) Scusasse, voscenza, Scusasse, non pensavo che sapeva già darsi lo slancio [p. 108] (6b) Pardonnez, madame, pardonnez, je ne pensais pas que vous saviez déjà prendre votre élan [p.174] Anche se il francese standard già ammette l‟uso dell‟indicativo in frasi in cui l‟italiano esige il congiuntivo, nel francese popolare418 è riscontrabile la tendenza alla sparizione del subjonctif. Relativamente agli esempi citati, in tre casi (2b), (4b), (6b) la traduttrice opta per la standardizzazione utilizzando correttamente il congiuntivo nella subordinata; in (1b) l‟uso dell‟indicativo nella subordinata positiva retta dal verbo penser è standard in francese419; così come, in situazione analoga, lo è l‟uso del verbo espérer + indicativo420 nell‟esempio (5b). In (3b) la Castagné traforma la subordinata da esplicita in implicita, superando ovviamente il problema della resa del modo, senza peraltro operare nessun tipo di compensazione, come del resto non ha fatto in nessuno dei casi analizzati. 4.3.16 Passato prossimo e passato remoto Le funzioni del passato prossimo e di quello remoto sono state oggetto, nel corso degli anni, di parecchi dibattiti, dal momento che il passato remoto può indicare un‟azione molto più recente di quel che accade col passato prossimo 421. Il passato remoto individua generalmente un‟azione sempre collocata in un momento anteriore rispetto a chi parla e priva di legami temporali422, obiettivi o generici col presente, mentre il passato prossimo esprime un‟azione che, pur riferendosi al passato, non è 418 Cfr. Guiraud, op. cit., p.37. Cfr. Poisson-Quinton, Mimran, Mahéo-Le Coadic, op. cit., p. 412. 420 Ivi, p. 407. 421 Serianni, Grammatica… cit., pp. 298-99. 422 Ivi, p. 299. 419 181 necessariamente anteriore al momento dell‟enunciazione 423 e in cui emerge «la rilevanza attuale del processo, considerato psicologicamente attuale nei suoi perduranti effetti»424. In generale si può dire che nell‟italiano centro-settentrionale, tanto nello scritto quanto nel parlato, i parlanti anche molto colti tendono a non adoperare il passato remoto425, mentre nelle regioni meridionali «il passato remoto è molto più tenace, anche se la tendenza verso un‟espansione del passato prossimo ai danni del passato remoto è ugualmente presente»426. Nello specifico, l‟uso del passato remoto – un tempo esteso e frequente in tutta l‟Italia meridionale – oggi sembrerebbe vitale soprattutto in Sicilia, così com‟è evidente anche nel romanzo di Goliarda Sapienza, dove l‟uso del passato remoto in luogo del passato prossimo è molto produttivo. Diversamente dall‟uso dell‟indicativo in luogo del congiuntivo, il passato remoto non è adoperato dai personaggi semicolti, ma trova un largo impiego specie nelle situazioni comunicative più inforlamli, oppure viene usato in espressioni cristallizzate mutuate dal dialetto come «ti scantasti?» e simili. Di seguito sono riportati alcuni tra gli esempi più rappresentativi: (1a) Che c‟è? Ti scantasti? Ti scantasti al pensiero della perdizione a cui sarei andata incontro restando nel mondo? Ma la Madonna mi ha illuminata in tempo, come farà con te [p. 27] (1b) Qu‟arrive-t-il? Tu es épouvantée? Tu es épouvantée à la pensée de la perdition dans laquelle j‟aurais été entraînée en restant dans le monde? Mais la Vierge m‟a éclairée à temps, comme elle le fera pour toi [p. 31] (2a) E se ti scantasti com‟è che il cuore non s'è rotto? Non rispondi? Io lo so perché non rispondi [p. 212] (2b) Et si tu as eu peur comment se fait-il que ton cœur ait tenu? Tu ne réponds pas? Je sais pourquoi tu ne réponds pas [p. 338] (3a) Perché venisti al Carmelo? Venisti a rubare? Perché l‟hai baciato [p. 237] (3b) Pourquoi es-tu venue au Carmel? Tu venais voler? Pourquoi l‟as-tu embrassé? [p. 376] 423 Cfr. Bertinetto, op. cit., p. 429. Ivi, p. 437. 425 Cfr. Berretta, op. cit., pp. 258-9. 426 Ivi, p. 259. 424 182 (4a) Quando stramazzasti a terra fulminata, come al cinematografo, capii, mannaggia se Nina lo capì che la cosa era grave [p. 442] (4b) Quand tu t‟es abattue au sol foudroyée, comme au cinéma, j‟ai compris, nom de Dieu que Nina l‟a compris que la chose était grave! [p. 697] (5a) Non ti ricordi quella sera a casa mia che venisti con Carlo, e poi a teatro? [p. 498] (5b) Tu ne te souviens pas de cette soirée où tu es venue chez moi avec Carlo, puis au théâtre? [p. 787] (6a) Queste idee straniere sono. Modesta. E mai niente di buono da fuori nell'isola è venuto. Tu bene facesti di imparentarti con qualcuno di valore che domani amico degli amici ci può diventare. [p. 207] (6b) Ces idées sont des idées étrangères, Modesta. Et jamais rien de bon n‟est venu du dehors pour notre île. Tu as bien fait de prendre pour parent quelqu‟un de valeur qui demain peut devenir ami de nos amis [p. 330] (7a) Già, e morì ammazzato. Ma a me non mi ammazzano, Mody! a noi non ci ammazzano, grazie a te, a Jacopo [p. 486] (7b) Oui, et il est mort assassiné. Mais moi on ne me tuera pas, Mody! Nous, on ne nous tuera pas, grâce à toi, grâce à Jacopo. idéalisme. C‟est seulement que… [p. 769] Il passé simple è il tempo dell‟indicativo oggi meno utilizzato in francese. È praticamente assente dalla lingua parlata, dove gli viene preferito il passé composé, ed è presente principalmente nello scritto letterario, ma anche giornalistico 427. In nessuno degli esempi riportati la traduttrice ha optato per la conservazione del passato remoto, preferendo sostituirgli il passato prossimo, di più larga diffusione. Come si vede, anche in questo caso non compaiono in alcun modo fenomeni compensativi, a conferma che la presenza di elementi della lingua popolare in francese è sempre parallela agli omologhi italiani, e mai usata in maniera autonoma per controbilanciare la mancata resa di alcune sfumature linguistiche. Se la Castagné deve fare una scelta, quando non trova in francese l‟esatto corrispettivo del fenomeno linguistico, opta sempre nel senso della normalizzazione. 427 Emmanuelle Labeau, Carl Vetters, Patrick Caudal, Sémantique et Diachronie du Système Verbal Français, Amsterdam / New York, Éditions Rodopi, 2007, p.125. 183 4.2.17 Uso del congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente Altro tratto caratteristico dell‟italiano regionale di area centro-meridionale428 è l‟uso del congiuntivo imperfetto in luogo del congiuntivo presente. Il tratto, presente nel corpus con 15 occorrenze, è tipico dei personaggi meno colti, come Tuzzu, Mattia e Carmine, mentre è del tutto assente nei personaggi più colti. Di seguito sono stati riportati alcuni esempi: (1a) Scusasse, voscenza, scusasse, non pensavo che sapeva già darsi lo (1b) Pardonnez, madame, pardonnez, je ne pensais pas que vous saviez déjà slancio. Per fortuna che non s'è fatta niente! [p. 108] prendre votre élan. Par bonheur que vous ne vous êtes rien fait! [p. 174] (2a) Vossia mi scusasse, don Mattia, ma ho l'ordine di stare a due passi dalla principessa. Brutti tempi corrono per le nostre strade. [p. 261] (2b) Mille escuses, Don Mattia, mais j‟ai ordre de rester à deux pas de la princesse. Il fait mauvais dans nos rues ces temps-ci [p. 414] Nella traduzione, la Castagné utilizza in (1b) l‟imperativo presente con valore di preghiera/supplica429, non ricorrendo a fenomeni compensativi, ed elevando quindi . il registro, anche a causa dell‟uso del congiuntivo nella subordinata oggettiva introdotta da je ne pensais que. In (2b) la traduttrice ha eseguito una trasposizione verbo /nome, senza operare, neanche in questo caso, compensazioni linguistiche che rendessero conto del registro diatopicamente connotato. 4.3.18 Andare + gerundio Caso presente – seppure con un numero di occorrenze limitato – è la perifrasi aspettuale realizzata attraverso il verbo andare + gerundio, con aspetto durativo 430, che rimanda allo svolgimento di un‟azione. Il tipo andare + gerundio è oggi 428 Cfr. Telmon, Varietà… cit., p. 126. Cfr. Poisson-Quinton, Mimran, Mahéo-Le Coadic, op.cit., p.157. 430 Cfr. Alfonso Leone, L‟italiano regionale in Sicilia, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 142. 429 184 considerato un tratto caratterizzante dell‟italiano regionale di area meridionale, presente nel romanzo in 13 occorrenze, di cui si offrono alcuni esempi: (1a) Spalancai la porta e correndo per il corridoio andavo urlando il mio odio [p. 123] (1b) J‟ouvris la porte toute grande et je courus dans le couloir en hurlant ma haine [p. 198] (2a) E invece mi trovo a disputare con un lazzarolo che solo parole melense va cercando [p. 222] (2b) Tu me déçois. Je croyais parler avec le fils de Carmine. Et je me retrouve à discuter avec un blanc-bec qui ne cherche que de sottes paroles [p. 353] (3a) Non posso non abbracciarla, anche se quel Renan sussurrato nel buio che va calando mi gela le ossa, i pensieri. Rimpicciolita nel mio grembo trema aggrappandosi al collo [p. 384] (3b)Je ne peux pas ne pas l‟embrasser, même si ce Renan murmuré dans l‟obscurité qui tombe me glace les os, les pensées. Devenue toute petite entre mes bras, elle tremble, agrippée à mon cou [p. 608] (4a) No, la valigia posata sul letto era reale e si andava riempiendo di piccoli animaletti scuri: cimici [p. 39] (4b) Non, la valise posée sur le lit était réelle et était en train de se remplir de petits insectes sombres : des punaises [p. 63] (5a) Mi dispiacque un po‟, ma dato che lui andava dicendo a chi lo commiserava: – E che sarà mai! Niente di grave [p. 39] (5b) Cela m‟ennuya un peu, mais étant donné qu‟il disait à ceux qui le plaignaient: – Mais qu‟est-ce que c‟est! Rien de grave [p. 64] (6a) La mattina dopo mi svegliai con un forte mal di testa e nell'impossibilità di ingoiare cibo. E buttando tutte le pillole, le gocce e i purganti che il medico mi portava, resistetti alle lacrime di Beatrice disperata, alle richieste della principessa che ormai andava dicendo: – Senza di lei mi sento senza un braccio, alle suppliche di Pietro che non ce la faceva più a reggere il suo signor principe [p. 95] (6b) Le matin suivant je m‟éveillai avec un fort mal de tête et dans l‟impossibilité d‟ingurgiter de la nourriture. Et, jetant tous les comprimés, les gouttes et les purgatifs que le médecin m‟apportait, je résistai aux larmes de Beatrice désespérée, aux appels de la princesse qui désormais déclarait partout: – Sans elle, je me sens amputée d‟un bras –, aux supplications de Pietro qui n‟arrivait plus à tenir son prince. Lequel en faisait de toutes les couleurs depuis qu‟il ne me voyait plus dans sa chambre [p. 153] (7a) Ormai la bestia la conosci, e io ti (7b) Maintenant tu connais l‟animal, et je 185 voglio dare gusto come tu lo dai a me. Vedi, figghia, l‟amore non è come dicono tanti ca uomini non sono e anche donne ca donne non sono, e vanno sbattendo da „na banna all'altra senza quasi niente provare [p. 110] veux te donner du plaisir comme tu m‟en donnes à moi. Tu vois, ma fille, l‟amour n‟est pas comme le disent tant d‟hommes qui n‟en sont pas et aussi des femmes qui ne sont pas des femmes, et qui se précipitent d‟un côté à l‟autre sans presque rien sentir [p. 177] Ancora una volta, nella traduzione non si trova traccia né del fenomeno presente nel testo di partenza né di forme compensative. In particolare, in (7b) laddove la lingua è diastraticamente molto connotata – a parlare è Carmela, la contadina/prostituta che andava da Ippolito, il figlio mongoloide della principessa Gaia – si può notare una neutralizzazione dei tratti substandard, non solo con la resa di se précipitent per vanno sbattendo, ma per l‟asseza di qualunque forma di compensazione dei tanti elementi colloquiali e regionali presenti nel passo citato. 4.3.19 Uso transitivo di verbi intransitivi Fra i tratti dell‟italiano regionale di area meridionale Tullio Telmon indica anche l‟uso transitivo di alcuni verbi intransitivi quali scendere, salire, uscire ed entrare. L‟uso transitivo di uscire, salire e scendere è attestato nel romanzo rispettivamente con 8, 5 e 1 occorrenze, mentre per entrare il fenomeno è del tutto assente. Di seguito vengono riportati alcuni tra gli esempi maggiormente significativi: (1a) Faceva uscire dei suoni così dolci dalla tastiera che era come ascoltare la voce di madre Leonora… [p. 21] (1b) Elle faisait sortir des sons si doux du clavier que c‟était comme écouter la voix de mère Leonora… [p. 34] (2a) Appena morta la principessa lo feci uscire da quella stanzaprigione e, come avevo previsto, appena fuori, guidato da Pietro, la sua attenzione si distrasse dalla mia persona [p. 121] (2b) Dès la mort de la princesse, je l‟avais fait sortir de sa chambre-prison et, comme je l‟avais prévu, dès qu‟il fut dehors, guidé par Pietro, son attention s‟écarta de ma personne [p. 195] (3a) Cazzi mia, stronza! M‟hai fatto uscire il sangue. Ma so‟ contenta. Non sei „na spia se t‟incazzi a „sto modo. Ora (3b) Tu casses les couilles, connasse! Tu m‟as fait saigner. Mais j‟suis contente. T‟es pas une moucharde si tu te mets en 186 dormi. Domani parliamo noi due [p. 422] rogne de cette façon. Dors maintenant. Demain nous parlerons toutes les deux [p. 663] (4a) Era il momento di far andare via Stella. Stavo cercando un modo per farla uscire dalla stanza [p. 299] (4b) C‟était le moment de faire partir Stella. Je cherchais un moyen de la faire sortir de la pièce [p. 473] (5a) Ma il sospetto che solo in quanto l‟avevano tenuto rinchiuso s'era perduto alla vita, e il constatare i progressi che aveva fatto anche alla sua età solo perché qualcuno si occupava di lui, mi fecero salire tanti di quei singhiozzi alla gola che dovetti tornare subito nella mia stanza dove piansi per ore e ore. Piangevo per Ippolito? [p. 136] (5b) Mais soupçonner qu‟il s‟était retrouvé incapable de vivre à cause du seul fait qu‟on l‟avait gardé enfermé, et constater les progrès qu‟il avait faits à son âge simplement parce que quelqu‟un s‟occupait de lui, me fit monter à la gorge tant de sanglots que je dus retourner immédiatement dans ma chambre où je pleurai des heures et des heures durant. Je pleurais pour Ippolito? [p. 216] (6a) Mi svegliai solo quando il mio intestino, da un ammasso duro che era stato nelle prime ventiquattro ore, si stava trasformando in tanti tentacoli infuocati, e la lingua non sapevo prima di avere una lingua così gonfia e secca che a fatica la suora infermiera con un cucchiaino riusciva a farmi scendere giù un liquido tiepido e profumato [p. 47] (6b) Je ne m‟éveillai que lorsque mon intestin, de l‟amas dur qu‟il avait été dans les premières vingt-quatre heures, se mit à se transformer en un tas de tentacules enflammées, et ma langue – je ne savais pas jusque-là que j‟avais une langue – à être si gonflée et si sèche que la sœur infirmière ne parvenait qu‟à grand peine à me faire descendre dans le gosier un liquide tiède et parfumé [p. 77] In francese l‟uso di sortir, monter e descendre come verbi transitivi431 è tipica dello standard, così nei casi citati la traduttrice ha mantenuto la transitività del verbo, senza operare forme compensative. In (3b), la traduttrice scegli di fare una trasposizione nome/verbo, conservando la sinonimia. 4.3.20 Posposizione del verbo Nell‟italiano regionale di area meridionale è particolarmente vitale la posposizione del verbo alla fine di una frase, fenomeno che all‟interno del romanzo ha 431 Cfr. Trésor de la Langue Française, s.v. sortir, monter, descendre. 187 un‟ampia vitalità. La «collocazione del verbo in fondo alla frase, e in modo particolare la collocazione della copula dopo il nome del predicato […] è elemento caratterizzante dell‟italiano di Sicilia»432. La posposizione del verbo costituisce anzi una delle cifre stilistiche del romanzo, poiché è usata nei più svariati contesti comunicativi, da quelli più informali a quelli più formali, specie laddove l‟autrice ha ritenuto opportuno conferire al testo una coloritura regionale più marcata. Non è un caso infatti che a usare la posposizione del verbo siano non solo personaggi come Tuzzu, Carmine e Pietro, ma anche personaggi della lavatura della principessa Gaia, di Modesta e di Prando. Scegliere di adoperare questo tratto, ricononosciuto universalmente da tutti i lettori italofoni come regionale, è la conferma che la lingua della Sapienza rimane saldamente ancorata alla matrice dialettale. Un traduttore, dunque, non può non misurarsi con questa precisa scelta stilistica dell‟autore. Di seguito viene offerta una selezione di alcuni esempi che rendono conto del fenomeno in italiano e della loro resa in francese: (1a) Ecco così, con questi occhi belli mi devi guardare [p. 15] (1b) Voilà, c‟est ça, tu dois me regarder de ces beaux yeux [p. 29] (2a) Io, principessa, prudente per natura sono [p. 36] (2b) Moi, princesse, je suis prudent par nature [p. 59] (3a) Io un tempo ho dovuto farti torto e farmi torto, ma niente finisce e Carmine a te ha tenuto. E ora che t‟ho visto e ti ho parlato, appagato torno dalle mie parti anche perché la tua voce è stata dolce nel rispondermi [p. 194] (3b) J‟ai dû te faire du tort et m‟en faire autrefois, mais rien ne finit et Carmine a tenu à toi. Et maintenant que je t‟ai vue et que je t‟ai parlé, je retourne chez moi satisfait parce que ta voix m‟a répondu avec douceur [p. 308] (4a) Un corpo senza vita ripugnante è, anche pei morti. E visto che notte di parole è, e non di abbracci, una cosa mi devi promettere. Se domani, dopodomani, non mi vedi con la notte arrivare [p. 216] (4b) Un corps sans vie est répugnant, même pour les morts. Et vu que c‟est une nuit de paroles, et pas d‟étreintes, il faut que tu me promettes une chose. Si demain, ou après-demain, tu ne me vois pas arriver avec la nuit [p. 344] (5a) Se ti colpiscono la fantasia tuoi sono [p. 489] (5b) S‟ils te frappent l‟imagination, ils sont à toi [p. 774] 432 Telmon, Varietà… cit., p. 127. 188 (6a) Va ad aprire la porta, Bambù, Crispina è arrivata! Appena in tempo è arrivata [p. 490] (6b) Va ouvrir la porte, Bambù, Crispina est arrivée! Elle est arrivée juste à temps [p. 775] (7a) Eppure lo sai che se manza fossi stata, tutta tua come Amalia, anche di me come di lei ti saresti stancato [p. 492] (7b) Et pourtant tu sais que si j‟avais été une bonne pâte, toute à toi comme Amalia, tu te serais lassé de moi comme tu l‟as fait d‟elle [p. 778] Dagli esempi si può facilmente evincere che in nessun caso il fenomeno presente nel testo di partenza sia stato reso in quello di arrivo, nel quale inoltre non si riescano a ravvisare elementi compensativi. 4.4 Il Lessico Diversamente dalla morfologia e dalla sintassi, il lessico è il livello d‟analisi più esteriore della lingua, e dunque molto più esposto «alle influenze extralinguistiche e alle mode transeunti»433: non solo tale settore dell‟indagine linguistica è molto eterogeneo e in veloce trasformazione, ma i fatti lessicali sono molto meno interessanti al fine di cogliere le tendenze interne del sistema linguistico 434. Inoltre, nel raccogliere isolatamente gli elementi pertinenti a una data varietà, si rischia di peccare per eccesso o per difetto: com‟è noto infatti «molti vocaboli sono di per sé polivalenti e solo nel contesto più stretto acquistano una specifica valenza»435. Tuttavia, specie per alcune dimensioni di variazione linguistica – come, nel nostro caso, quella diatopica – il lessico può costituire un ambito di ricerca assai valido, dal momento che pone non solo il lettore italofono di fronte a termini di cui non conosce il significato (oppure di cui può ricavarlo mediante il contesto comunicativo), ma costringe il traduttore a confrontarsi con un sistema di significati e di riferimenti culturali talvolta estranei al proprio sistema linguistico. In questa sede, nel tentativo di tracciare un quadro quanto più esauriente possibile dei fenomeni lessicali presenti ne L‟arte della gioia, si prenderanno in esame 433 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 84. Ibidem. 435 Sabatini, L‟italiano…, cit., p. 170. 434 189 i livelli descritti da Maurizio Dardano nel saggio Lessico e semantica, 436 vale a dire gli aulicismi, i tecnicismi, i neologismi, i forestierismi, i colloquialismi, le voci gergali, i dialettismi e i regionalismi. I fenomeni individuati saranno pertanto messi a confronto con la traduzione francese, al fine di individuare le strategie traduttive messe in atto da Nathalie Castagné che – come si è già visto in § 4.2 e § 4.3 – sono orientate prevalentemente verso una resa standard. Infine, per l‟analisi di questo livello linguistico ci si è avvalsi di alcuni importanti supporti, che verranno citati attraverso le seguenti sigle: SAB-COL Francesco Sabatini, Vittorio Coletti, Dizionario della lingua italiana, Milano, Rizzoli-Larousse, 2009 GRADIT Tullio De Mauro, Grande dizionario italiano dell‟uso, Torino, UTET, 2000 PIC-TRO Giorgio Piccitto, Giovanni Tropea, Salvatore C. Trovato, Vocabolario siciliano, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1957-2002 TLF Collectif, Trésor de la langue française, Dictionnaire du CNRS, Paris, Gallimard, 1971-1994. LP-R Paul Robert, Alain Rey, Josette Rey-Debove, Le Petit Robert, Paris, Le Robert Editions, 2011. Accanto a ciascun lemma italiano, tra parentesi quadre, verrà riportato il numero di occorrenze; seguirà il termine usato dalla traduttrice francese, la definizione offerta dai dizionari consultati, i passi in cui il termine compare, con relativa traduzione, nonché una valutazione sull‟adeguatezza del registro tra il testo di partenza e il testo di arrivo. In non molti casi è emerso che una cattiva interpretazione del testo in intaliano ha portato la traduttrice a compiere scelte non sempre riuscite. 2.4.1 Gli aulicismi 436 Maurizio Dardano, Lessico e semantica, inSobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo. Le strutture, Roma-Bari, Laterza,1993, vol. I, pp. 291-370. 190 Gli aulicismi sono ascrivibili alle varietà più colte dell‟italiano e, secondo lo schema di Berruto, è la varietà della lingua più alta all‟interno della dimensione diatratica e diafasica, modellata com‟è sull‟uso scritto e letterario 437. Esso, in quanto registro alto della lingua, è caratterizzato principalmente da un‟ampia variazione lessicale, «con distribuzione delle unità in insieme assai differenziati e con uso di lessemi non appartenenti al vocabolario di base»438, e include tutti quei termini che, nel parlato, presentano un basso uso e una ricercatezza che cozza inevitabilmente con le varietà più informali della lingua. Nel romanzo gli aulicismi – espressione di uno stile elevato – sono discretamente presenti e vengono adoperati prevalentemente dai personaggi colti (come Modesta, Timur, Joyce), oppure sono attestati nelle situazioni comunicative più formali. Talvolta, come si vedrà nel § 5, la mescidanza di stili diversi, la commistione cioè di termini letterari e di vocaboli più familiari, colloquiali e finanche marcatamente regionali, sarà una cifra caratteristica dello stile del romanzo. Di seguito saranno riportati in ordine alfabetico i lemmi italiani più ricercati e letterari, il loro significato, il passo in cui si trovano e la corrispettiva traduzione in francese. In tal modo si cercherà di indagare non solo le scelte stilistiche dell‟autrice, ma anche quelle della traduttrice. Abbuiarsi [2] ~ Embrumer GRADIT s.v. abbuiarsi, v. pronom. intr. che figuratamente significa «rattristarsi» [BU]. TLF s.v. embrumer, v. trans. fig. «rendre triste, assombrir». Miracolo che solo la donna può fare! Anche a casa mia, quando morì mia madre, tutto s‟abbuiò di polvere e lacrime. E solo quando quell'anima santa di mia zia venne a vivere con noi tornò la pulizia e l'allegrezza [p. 92] Un miracle que seule peut faire une femme! Chez moi aussi, quand ma mère est morte, tout s‟est embrumé de poussière et de larmes. Et ce n‟est que lorsque ma tante, cette bonne âme, est venue vivre avec nous qu‟ont reparu la propreté et la gaieté… [p. 149] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 437 438 Ivi, p. 292. Berruto, Sociolinguistica… cit., 152. 191 Accantucciato [1] ~ Recroquevillé GRADIT s.v. accantucciarsi, p. pass. e agg. che propriamente significa «rifugiarsi, nascondersi in un luogo appartato, in un cantuccio» [BU]. TLF s.v. (se) recroviller, v. pronom. «se replier, se tasser sur soi-même». Forse lo sforzo di trattenere il respiro fa piangere Modesta accantucciata contro il legno: un pianto muto sale lento alle labbra e presto sarà un grido [p. 345] Peut-être l‟effort de retenir sa respiration fait-il pleurer Modesta recroquevillée contre le bois: des pleurs muets montent lentement à ses lèvres et bientôt se transformeront en un cri [p. 547] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Adombrare [2] ~ Assombrir GRADIT s.v. adombrare, v.tr. e intr., che figuratamente significa «offuscare» [BU]. TLF s.v. assombrir, v. trans. fig. «[en parlant de pers., de leurs comportements, projets etc.] Devenir triste, soucieux». Ecco così, con questi occhi belli mi devi guardare. Belli e limpidi. E non pensare più a quel fuoco che ti adombra lo sguardo. [p. 17] Voilà, c‟est ça, tu dois me regarder de ces beaux yeux. Beaux et limpides. Et ne pense plus à ce feu qui t‟assombrit le regard. [p. 29] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Allegrezza [9] ~ Joie GRADIT s.v. allegrezza, sost. femm. che propriamente significa «gioia, letizia» [BU]. TLF s.v. joie, subst. fém. «émotion vive, agréable, limitée dans le temps; sentiment de plénitude qui affecte l'être entier au moment où ses aspirations, ses ambitions, ses désirs ou ses rêves viennent à être satisfaits d'une manière effective ou imaginaire». Vengo al punto, anzi, due punti. Uno di grande allegrezza per Pietro e per la sua sposa. Uno dolente che oscura l'allegrezza che ho in cuore [p. 92] Voilà l‟affaire, ou plutôt les deux affaires. L‟une de grande joie pour Pietro et sa femme. L‟autre douloureuse qui assombrit la joie que j‟ai dans le cœur. [p. 429] 192 Annidare [2] ~ Nicher GRADIT s.v. annidare, v. tr. che figuratamente significa: «accogliere, albergare nel proprio animo un sentimento e sim.» [BU]. TLF s.v. nicher, fig. «[le suj. désigne un inanimé abstr.] Se trouver habituellement, résider (à tel endroit)». Brava Modesta. Vedo che hai reagito in maniera giusta, e non ti sei lasciata cullare peccaminosamente dalla dolcezza della convalescenza. Mi compiaccio proprio di vedere come sei cresciuta in questi mesi. A letto sembravi piccola piccola, come un tempo. Alta e forte sei diventata. Ma non te ne fare un vanto. Anche nella salute del corpo si possono annidare tentazioni. Prega! [p. 40] C‟est bien, Modesta. Je vois que tu as réagi de la bonne manière, et que tu ne t‟es pas laissée bercer de coupable façon par la douceur de la convalescence. Je me réjouis vraiment de voir comme tu as grandi durant ces derniers mois. Au lit, tu semblais toute petite, comme autrefois. Tu es devenue grande et forte. Mais ne t‟en enorgueillis pas. Dans la santé du corps peuvent aussi se nicher des tentations. Prie! [p. 66] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Ardire [1] ~ Audace GRADIT s.v. ardire, v. tr. e intr. che significa «osare, aver coraggio di fare qalcosa» TLF s.v. audace, v. tr «sur le plan moral en parlant d'une force morale qui résiste à l'émotion, à la peur, à l'intimidation». Voscenza mi perdoni, madre Leonora, se ho l‟ardire di contraddirla. Per una volta ascolti un vecchio che, anche se ignorante, ne sa di queste cose [p. 45] Veuillez me pardonner, mère Leonora, si j‟ai l‟audace de vous contredire. Pour une fois, écoutez un vieillard qui, même s‟il est ignorant, s‟y connaît dans ces choseslà. [p. 73] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 193 Comunicarsi [7] ~ Communiquer GRADIT s.v. comunicarsi, v. pronom. intr., che propriamente significa «diffondersi, trasmettersi» [FO]. TLF s.v. communiquer, v. pronom. intr. avec valeur passive p. anal. «[le suj. désigne un mouvement de masse] Synon. se répandre, se développer». Già da lontano quell'uomo mi aveva fatto paura, ma vicino, mentre ballavamo la contraddanza, con quei tagli che mi ricordavano i suoi delitti, l‟orrore che si nascondeva dietro quelle divise smaglianti, rilucenti di medaglie e gradi, si comunicò allo splendore delle sete, dei candelabri, dei diademi delle donne, rivelandomi l'orgia di peccato e di delitto che quel lusso nascondeva [p. 26] De loin déjà cet homme m‟avait fait peur, mais de près, tandis que nous dansions une contredanse, avec ces entailles qui me rappelaient ses crimes, l‟horreur qui se cachait derrière ces uniformes rutilants, brillants de décorations et de galons, se communiqua à la splendeur des soies, des candélabres, des diadèmes des femmes, me révélant l‟orgie de péché et de crime que ce luxe cachait. [p. 43] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Ditirambo [1] ~ Dithyrambe GRADIT s.v. ditirambo, sost. m. che figuratamente significa «scritto o discorso che loda enfaticamente qualcosa o qualcuno» [CO]. TLF s.v. dithyrambe, subst. masc. fig. péj. «éloge enthousiaste, souvent excessif, pompeux et emphatique». Fischia! Oh, scusa! Allora io infilo tre o quattro ditirambi alla Miller, il grande Henry blasfemo, e tutto soddisfatto dei miei utensili culturali filo dritto da te che me li hai dati. E ora andiamo, ti porto al ristorante, tuo nipote è ricco oggi [p. 484] Mince alors! Oh, pardon! Alors j‟enfile trois ou quatre dithyrambes à la Miller, le grand Henry blasphémateur, et tout satisfait de mes outils culturels je file droit chez toi qui me les as donnés… Et maintenant allons, je t‟emmène au restaurant, ton petit-fils est riche aujourd‟hui. [p. 765] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 194 Divisato [1] ~ Projeté GRADIT s.v. divisare, v. tr. che propriamente significa «pensare, immaginare» [LE]. TLF s.v. projeter, v. tr. «avoir l'intention de faire quelque chose et concevoir les moyens nécessaires pour y parvenir; former le projet de…». E va bene. Cavallina, solo che mi pesi sul petto e sono stanca. Non è che questa piccola Cavallina avrebbe nella sua testolina sventata ma pertinace divisato di farmi restare tutta la notte in piedi, in mezzo alla stanza? [p. 478] Bien, entendu, Pouliche, seulement tu me pèses sur la poitrine et je suis fatiguée. Ne serait-ce pas que cette petite Pouliche aurait projeté, dans sa petite tête étourdie mais obstinée, de me faire rester debout toute la nuit, au milieu de cette pièce? [p. 296] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Efebo [1] ~ Éphèbe GRADIT s.v. efebo, sost. m. che estensivamente significa «giovanetto, adolescente; spregiativo, ragazzo di aspetto e di modi effeminati» [CO]. TLF s.v. éphèbe, subst. masc. «jeune garçon d'une grande beauté». Carlo: Oh, Nina, una volta tanto hai un amico forzuto, com‟è? Ti stai ravvedendo sul concetto di virilità? T‟ho sempre visto accanto efebi e ninfette [p. 499] Carlo: Oh, Nina, pour une fois tu as un ami costaud, comment ça se fait? Tu es en train de te raviser à propos du concept de virilité? J‟ai toujours vu près de toi des éphèbes et des nymphettes. [p. 789] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Ferina [1] ~ Sauvage GRADIT s.v. ferino, agg., che estensivamente significa «selvaggio, animalesco» [LE]. TLF s.v. sauvage, adj. «[en parlant d'un individu ou d'un groupe hum.] Qui vit à l'écart des formes de civilisation dites évoluées, qui est proche de l'état primitif». Nina, Nina. La Nina bruna, ferina dell'isola, la Nina dorata, sorridente del Carmelo. Finalmente posso correre accanto a lei, godermi con gli occhi la sua armonia liberata, il suo passo che disegna volute melodiose d'energia vitale [p. 445] Nina, Nina… La Nina brune, sauvage de l‟île, la Nina dorée, souriante du Carmel. Enfin je peux courir à côté d‟elle, savourer des yeux son harmonie libérée, son pas qui dessine des volutes mélodieuses d‟énergie vitale [p. 703] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 195 Fumigare [1] ~ Fumer GRADIT s.v. fumigare, v. intr. che propriamente significa «esalare fumo» [BU]. TLF s.v. fumer, v. intr. «dégager de la fumée». La calura si stava alzando di nuovo, la terra fumigava e le montagne si allontanavano di nuovo azzurre [p. 9] La chaleur montait de nouveau, la terre fumait et les montagnes s‟éloignaient, à nouveau bleutées. [p. 15] La traduzione rispetta il significato ma non il registro Lindore [1] ~ Propreté GRADIT s.v. lindore, sost. m. che propriamente significa «l‟essere lindo; pulizia meticolosa, aspetto lindo e ordinato» [BU]. TLF s.v. propreté, subst. fém. «caractère de ce (celui, celle) qui est propre, net(te), sans trace de souillure». - Si sta bene qua, eh micia? Con tutti questi alberi l‟occhio si riposa. Verde fuori, e dentro che pulizia! Ti ricordi come grattavano quelle zoccole nere? Sei stata proprio brava a non parlarne mai, Mody, te lo devo dire. - Non c‟era che ignorarle. - Certo, ma ora che miro tutto questo lindore quasi esagerato capisco di più il tuo coraggio [p. 444] - On est bien ici, hein, minette? Avec tous ces arbres, l‟œil se repose. Du vert dehors, et dedans, quelle propreté! Tu te souviens comme ils grattaient, ces rats d‟égout noirs? Tu as été vraiment courageuse de n‟en jamais parler, Mody, il faut que je te le dise. - Il n‟y avait qu‟à les ignorer. - Bien sûr, mais maintenant que je vois toute cette propreté presque exagérée je comprends mieux ton courage. [p. 701] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 196 Lucore [2] ~ Lueur GRADIT s.v. lucore, sost. m. che propriamente significa «luce vivida e intensa | luminosità tenue e diffusa» [LE]. TLF s.v. lueur, subst. fém. «lumière qui n'a pas un plein éclat, une grande intensité, mais qui est durable». Diderot metteva in guardia contro certi filosofi: “Le grandi astrazioni diceva non contengono altro che un fioco lucore. C‟è un tipo d'oscurità che potremmo definire l'affettazione dei grandi maestri. È un velo che a essi piace stendere fra il popolo e la natura” [p. 91] Diderot mettait en garde contre certains philosophes: “Les grandes abstractions – disait-il – ne contiennent rien d‟autre qu‟une faible lueur. Il existe un type d‟obscurité que nous pourrions définir comme l‟affectation des grands maîtres. C‟est un voile qu‟il leur plaît d‟étendre entre le peuple et la nature… ”. [p. 148] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Lussureggiare [1] ~ Luxuriance GRADIT s.v. lussureggiare, v. intr. che propriamente significa «spec. di vegetazione, essere rigoglioso, florido» [BU]. TLF s.v. luxuriance, subst. fém. anal. «caractère luxuriant de quelque chose, de ce qui présente une grande richesse de formes et donne l'impression d'une grande vigueur». Nel silenzio di pace indifferente che avvolge i campi sterminati mi trovo a vagare sola in mezzo a quel lussureggiare beffardo di frutta, ortaggi, fiori carnosi che deridono i morti seppelliti dalle macerie [p. 448] Dans le silence de paix indifférente qui enveloppe les champs immenses, je me retrouve à errer seule au milieu de cette luxuriance goguenarde de fruits, de légumes, de fleurs charnues qui raillent les morts ensevelis par les décombres. [p. 707] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 197 Macilento [1] ~ Émacié GRADIT s.v. macilento, agg., che propriamente significa «molto magro, smunto, emaciato specialmente per prolungate sofferenze fisiche o morali» [CO]. TLF s.v. émacié, adj. «amaigri, très maigre». Ma che c'entra Rousseau o Dio, io temo per Bambù! Oh Modesta, tu non puoi sapere. A Parigi, in quei ritrovi di omosessuali, corpi macilenti ammassati, visi gialli, congestionati, segnati dalla vergogna, tra il fumo e il fiato denso di alcol. Vera anticamera dell'inferno, se l‟inferno esistesse! Tu non puoi sapere [p. 347] Mais qu‟est-ce que Rousseau ou Dieu ont à y voir, j‟ai peur pour Bambù! Oh, Modesta, tu ne peux pas savoir. A Paris, dans ces boîtes d‟homosexuels… des corps émaciés amassés, des visages jaunes, congestionnés, marqués par la honte, entre la fumée et l‟haleine chargée d‟alcool… une véritable antichambre de l‟enfer, si l‟enfer existait! Tu ne peux pas savoir. [p. 550] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Metropolitano [1] ~ Agent de police GRADIT s.v. metropolitano, s.m., che propriamente significa «vigile urbano» [BU]. TLF s.v. agent de police, subst. masc., domaine adminstr. «fonctionnaire préposé à la police administrative c'est-à-dire la surveillance, le maintien de l'ordre et la tranquillité dans une ville, une commune, etc.». A volte mi sono scoperto a contemplare, dimentico di un appuntamento, i gesti essenziali e aerei che un nostro qualsiasi metropolitano ha nel dirigere il traffico. [p. 372] Parfois je me suis surpris à contempler, oublieux d‟un rendez-vous, les gestes essentiels et aériens que le moindre agent de police a chez nous pour diriger la circulation. [p. 574] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 198 Mondarsi [3] ~ Purger GRADIT s.v. mondarsi, v. pronom. intr. che propriamente significa «purificarsi, liberarsi dal peccato» [CO]. TLF s.v. purger, v. tr. emploi pronom. fig. vielli ou littér. «débarrasser l'âme de ce qui la souille, l'esprit de ce qui l'encombre». Insieme avremmo pregato per mondarci (che brutta parola, pensai) anche di questo peccato. Se mi avesse tenuta lì e fatto studiare come una volta, ben volentieri avrei pregato [p. 40] Nous allions prier ensemble pour nous purger (quel vilain mot, pensai-je) de ce péché. Si elle m‟avait gardée là et fait étudier comme autrefois, j‟aurais prié bien volontiers. [p. 65] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Ninfetta [1] ~ Nymphettes GRADIT s.v. ninfetta, sost. f. che propriamente significa «ragazza giovane e bella» [voc. raro BU]. TLF s.v. nymphette, subst. fém. littér. «jeune fille, jeune femme gracieuse et bien faite». Carlo: Oh, Nina, una volta tanto hai un amico forzuto, com‟è? Ti stai ravvedendo sul concetto di virilità? T‟ho sempre visto accanto efebi e ninfette [p. 499] Carlo: Oh, Nina, pour une fois tu as un ami costaud, comment ça se fait? Tu es en train de te raviser à propos du concept de virilité? J‟ai toujours vu près de toi des éphèbes et des nymphettes. [p. 789] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Obliosa [1] ~ Oublieuse GRADIT s.v. oblioso, agg. che propriamente significa «che induce alla dimenticanza, che procura oblio» [LE]. TLF s.v. oublieux, adj. «qui n'a pas de mémoire». – La voce di chi? – Dell'acqua obliosa del pozzo, principessa, e ci si sono buttate. Due, con queste braccia, ne ho ripescate io [p. 35] – La voix de qui? – De l‟eau oublieuse du puits, princesse, et elles s‟y sont jetées. J‟en ai repêché deux, moi, de ces bras-ci que tu vois. [p. 58] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 199 Trina [3] ~ Dentelle GRADIT s.v. trina, s.f. che propriamente significa «merletto, pizzo» [CO]. TLF s.v. embrumer, subst. fém. «tissu sans trame ni chaîne, généralement en fil de soie, nylon ou fibres plus riches selon les cas, exécuté à la main ou à la machine, à l'aide de points semblables ou non formant un dessin, à bords dentelés ou non». I vestiti erano tre: uno rosa, uno bianco con delle trine meravigliose, uno color blu, appariscente e lucido, ma almeno era il più accollato. Peccato! Il rosa e il bianco delle trine l'attraevano, ma doveva essere prudente. E si accontentò vestendosi e pettinandosi non aveva molto tempo di guardarli continuamente. Non aveva mai visto niente di così bello, le veniva da piangere [p. 56] Il y avait trois robes : une rose, une blanche avec de merveilleuses dentelles, une de couleur bleue, voyante et brillante, mais qui avait pour elle d‟être la moins décolletée. Dommage! La rose et la blanche aux dentelles lui plaisaient, mais il fallait être prudente. Et en s‟habillant et se peignant – elle n‟avait pas beaucoup de temps – elle se contenta de les regarder sans arrêt. Elle n‟avait jamais rien vu d‟aussi beau, des larmes lui en montaient aux yeux. [p. 90] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Tumido [1] ~ Charnu GRADIT s.v. tumido, agg. che propriamente significa «gonfio, ingrossato» [BU]. TLF s.v. charnu, adj. «qui présente, dans sa configuration extérieure, une certaine abondance de chair, des formes plus ou moins rebondies». Ecco che lo ritirava fuori e strabuzzando gli occhi se lo premeva sulle labbruzze tumide a forma di cuore [p. 460] Voici qu‟elle le tirait dehors à nouveau et roulant des yeux se le pressait sur sa petite bouche charnue en forme de cœur [p. 284] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 200 Vergare [1]~ Inscrire GRADIT s.v. vergare, v. tr. che estensivamente significa «scrivere a mano» [CO] TLF s.v. inscrire, v.tr. «écrire, noter sur un document, un registre ou tout autre support». Come allora al Carmelo potevamo fare tutto quello che si voleva, vero Cavallina? Ma solo nelle ore che quella calligrafia vergava con decisione su quel foglio di carta lucente come seta [p. 490] Comme autrefois au Carmel nous pouvions faire tout ce que nous voulions, n‟est-ce pas, Pouliche? Mais seulement dans les heures que cette écriture inscrivait avec décision sur cette feuille de papier brillant comme de la soie. [p. 775] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 4.4.2 I tecnicismi I tecnicismi hanno la precipua funzione di «mettere a disposizione un inventario di segni per la comunicazione circa determinati argomenti e ambiti di esperienza e attività, in modo che questa sia il più possibile univoca, precisa ed economica, e quindi più efficace e funzionale riguardo a termini specifici» 439. I sottocodici sono varietà diafasiche caratterizzate principalmente da un lessico speciale, in relazione a particolari domini extralinguistici e alle corrispondenti aree di significato. L‟italiano tecnico-scientifico, può essere definito dunque come una lingua speciale in senso stretto e, al tempo stesso, come un sottocodice, dal momento che è formato e contrassegnato «da un proprio lessico particolare ed eventualmente da tratti di morfosintassi e testualità caratteristici» 440. Il suo è dunque un lessico specifico, molto marcato tecnicamente, strettamente legato a un gruppo particolare di utenti e destinato quasi esclusivamente a coloro che conoscono bene la materia trattata e che sono specialisti, anche se, come vedremo, alcuni vocaboli dell‟italiano tecnicoscientifico sono ormai entrati nell‟uso comune e vengono adoperati senza il loro significato originario, poiché notevolmente semplificati. All‟interno del romanzo i lessemi del linguaggio tecnico-scientifico non sono molto frequenti, come si può vedere dalla tabella: 439 440 Berruto, Sociolinguistica…, cit., p. 154. Ivi, p. 155. 201 Tabella 4: Tecnicismi TECNICISMI NUMERO MEDICINA PSICANALISI AGRICOLUTURA STORICO TEATRALE DIRITTO CHIMICA RELIGIOSO 4 1 1 1 1 1 1 1 Angina [1] ~ Angine GRADIT s.v. angina pectoris, sost. f. che propriamente significa «sindrome caratterizzata da violenti dolori al torace, con irradiazioni spec. al braccio e alla spalla sinistra e con grave senso di costrizione, causata in genere da ischemia del miocardio» [TS med.]. TLF s.v. angine, subst. fém. méd. «angine de poitrine ou, angine de cœur. Douleur aiguë dans la région du cœur qui produit une impression de suffocation imminente». Sono condannato, figghia, qua al petto: angina. E nel tempo che m‟hanno dato, tre mesi, quattro, m‟è venuta fantasia di vederti, sempre che tu mi riconosca [p. 194] Je suis condamné, ma fille, là à la poitrine: angine. Et dans le temps qu‟ils m‟ont donné, trois, quatre mois, la fantaisie m‟est venue de te revoir, si toutefois tu me reconnais. [p. 308] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Artrite deformante [1] ~ Arthrite déformante GRADIT s.v. artrosi, loc. sost. f. che propriamente significa «processo degenerativo delle articolazioni (spec. ginocchia, piedi, mani, colonna cervicale e lombosacrale), più frequente con l'avanzare dell'età, che dà luogo a strutture che limitano i movimenti e ad alterazioni delle superfici articolari» [TS med.]. TLF s.v. arthrite, subst. fém. méd. «inflammation qui affecte chez l'homme ou l'animal une ou plusieurs articulations». A quello che mi hanno detto si ammalò di artrite deformante e…poi la tisi, che so, il cuore credo e se n'è andato. Se vuoi conoscerlo meglio là c‟è la fotografia [p. 61] D‟après ce qu‟on m‟a dit il a eu une arthrite déformante et… ensuite la phtisie, qu‟est-ce que je sais, le cœur – je crois – et il est parti… Si tu veux le connaître mieux il y a là sa photo. [p. 99] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 202 Autosvalutazione [1] ~ Auto-dépréciation GRADIT s.v. autosvalutazione, sost. f. che propriamente significa «svalutazione attuata dal soggetto sui propri stati d'animo o sul proprio comportamento» [TS psic.]. TLF s.v. dépréciation, subst. fém. fig. «déconsidération, perte de valeur que subit une chose, plus rarement une personne». – Senti Nina, anche tu non m‟hai raccontato perché hai smesso di studiare. – Mah! Arminio dice per antica autosvalutazione donnesca. È vero, mi sono fatta scoraggiare! [p. 441] – Dis-moi, Nina, toi non plus tu ne m‟as pas raconté pourquoi tu as cessé de faire des études. – Bof! Arminio dit que c‟est par une vieille auto-dépréciation féminine. C‟est vrai, je me suis laissée décourager! [p. 696] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Coppale [1] ~ Copal GRADIT s.v. coppale, sost. m. e f. che propriamente significa «pelle verniciata per scarpe e altri accessori, detta così perché un tempo veniva trattata con la vernice di copale» [BU]. TLF s.v. copal, subst. masc. «résine extraite de divers arbres des régions tropicales, utilisée pour la fabrication des vernis». Come per incanto di quel busto che mi aiutava a stare eretta, o degli stivaletti di coppale più lucenti del marmo del pavimento, ero proprio molto più alta di Beatrice [p. 86] Comme par la magie de ce corset qui m‟aidait à me tenir droite, ou des bottines de copal plus brillantes que le marbre du sol, j‟étais beaucoup plus grande que Beatrice. [p. 141] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Difterite [1] ~ Diphtérie GRADIT s.v. bazzecola, sost. f. che significa «malattia infettiva contagiosa delle prime vie respiratorie, spec. delle tonsille e della laringe» [TS med.]. TLF s.v. diphtérie, subst. fém. méd. «grave maladie microbienne (bacille de Löffler), fébrile et contagieuse, touchant surtout les enfants et caractérisée par l'apparition de fausses membranes sur les muqueuses (celle de la gorge en particulier) et par des phénomènes d'intoxication». Eh sì. Ti ricordi quando Bambù ebbe la difterite? [p. 442] Eh oui. Tu te souviens quand Bambù a eu la diphtérie? [p. 622] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 203 Gabellotto [1] ~ Garde-champêtre GRADIT s.v. gabellotto, sost. m. che propriamente significa «in Sicilia, affittuario di un‟azienda agricola che spesso subaffitta a piccoli lotti o amministra attraverso varie forme di compartecipazione» [TS agr.]. TLF s.v. champêtre, adj. admin. garde champêtre «agent chargé de la garde et de la surveillance des campagnes». – Ma chi è? Il giardiniere? – No, il gabellotto! Non vedi che porta lo schioppo? [p. 77] – Mais qui est-ce? Le jardinier? – Non, le garde-champêtre! Tu ne vois pas qu‟il porte un fusil? [p. 125] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Littoriale [7] ~ Littorale GRADIT s.v. littoriale, sost. m. che propriamente significa «relativo al fascio littorio come simbolo del partito o del regime fascista» [TS stor.]. TLF s.v. embrumer. Già, i pochi che sanno parlare sono quelli che l‟hanno fatto come me ai Littoriali, si insomma, nell'ambito del fascismo [p. 358] Eh oui, les seuls qui sachent parler sont ceux qui l‟ont fait comme moi aux Littoriali, bref, dans le cadre du fascisme. [p. 587] Loggione [1] ~ Poulailler GRADIT s.v. loggione, sost. m. che propriamente significa «nei teatri di struttura tradizionale, il settore più alto e lontano dal palcoscenico, posto al di sopra dei vari ordini di palchi, in cui i posti sono più economici» [CO]. TLF s.v. poullalier, subst. masc. théâtre fam. «galerie supérieure, très éloignée de la scène, où les places sont les moins chères». E poi mantenne la promessa. Tutte le domeniche pomeriggio lassù in loggione, con tutti quei vecchi originali che sfogliano gli spartiti e cantano a bassa voce, sempre mi diceva: “Ecco qua piccola, per prepararsi alla rivoluzione si deve bere tanta e tanta fantasia”. Grande anarchico, Ottavio! [p. 438] Et il a tenu promesse. Tous les dimanches après-midi là-haut au poulailler, avec tous ces vieux originaux qui feuilletaient les partitions et chantaient à voix basse, il me disait toujours: “Et voilà, petite, pour se préparer à la révolution il faut s‟abreuver de plein, plein de rêveries”. Un grand anarchiste, Ottavio! [p. 692] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 204 Mongolismo [2] ~ Mongolisme GRADIT s.v. mongolismo, loc. s. f. che propriamente significa «anomalia congenita dovuta a un difetto del cromosoma 21, caratterizzata da deficienza più o meno grave dello sviluppo psichico, ipotonia muscolare, vistose malformazioni somatiche e, sovente, cardiopatia» [TS med.]. TLF s.v. mongolisme, subst. masc. pathol. «encéphalopathie par anomalie chromosomique caractérisée par un faciès mongolien, des malformations diverses et une débilité mentale importante». Tina non era un mostro o una “cosa”, era solo malata. Il medico al convento me lo aveva detto: mongolismo [p. 84] Tina n‟était pas un monstre ou une “chose”, elle était seulement malade. Le médecin au couvent me l‟avait dit: mongolisme. [p. 136] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Moroso [1] ~ Débiteurs retardataires GRADIT s.v. moroso, agg. che propriamente significa «che ritarda, che si trova in stato di mora» [TS dir.]. TLF s.v. débiteur, subst. masc. fig. «(personne) qui est redevable de quelque chose à quelqu'un». La crisi del carbone, debitori morosi dell‟Inghilterra, per salvare la situazione occorre concludere un prestito con gli Stati Uniti. Tutto per arrivare al ricatto: “Rivolta fascista contro l'intollerabile regime bolscevico” [p. 231] La crise du charbon, les débiteurs retardataires de l‟Angleterre, pour sauver la situation il faut conclure un prêt avec les Etats-Unis… Tout pour arriver à ce chantage: “Révolte fasciste contre l‟intolérable régime bolchevique”. [p. 366] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 205 Muezzin [1] ~ Muezzin GRADIT s.v. muezzin, s.m. che propriamente significa «persona che, dall'alto del minareto, invita i fedeli musulmani alla preghiera canonica cinque volte al giorno» [TS relig.]. TLF s.v. débiteur, subst. masc. «fonctionnaire musulman attaché à une mosquée, ayant pour principale fonction l'appel des fidèles à la prière, cinq fois par jour, depuis le haut du minaret.». Spesso, mentre passeggio, ho la sensazione precisa di sentire il lamento del muezzin e mi trovo ad alzare lo sguardo in cerca di quel grido di pietra puntato contro il cielo, che per i religiosi in Turchia è il minareto. [p. 282] Souvent, quand je me promène, j‟ai la sensation précise d‟entendre la plainte du muezzin et je me retrouve à lever les yeux à la recherche de ce cri de pierre lancé contre le ciel, qu‟est pour les religieux en Turquie le minaret. [p. 447] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Varechina [2] ~ Eau de Javel GRADIT s.v. varechina, sost. f. che propriamente significa «soluzione a base di ipoclorito di sodio, usata spec. per detergere tessuti e fibre tessili» [TS chim.]. TLF s.v. javel (eau de), subst. fém. «mélange d'hypochlorite et de chlorure de sodium, utilisé comme décolorant, désinfectant, microbicide, etc.». Attente, Bambolina, Crispina, Olimpia, attente! Fra venti, trent'anni non accusate l'uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varechina [p. 471] Attention, Bambolina, Crispina, Olimpia, attention! D‟ici vingt ou trente ans, n‟accusez pas les hommes quand vous vous retrouverez à pleurer dans les quelques mètres carrés d‟une petite pièce, les mains mangées par l‟eau de Javel. [p. 744] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 4.4.3 I neologismi La linguistica moderna considera il neologismo come il protagonista dell‟evoluzione linguistica: «la parola nuova è considerata come un arricchimento del lessico, che in tal modo può indicare con precisione ogni cosa, ogni concetto, ogni sfumatura del pensiero»441. 441 Maurizio Dardano, Pietro Trifone, La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2007, p. 564. 206 In questa sede verranno indagati i neologismi di nuova formazione, vale a dire i lemmi ricavati da altre parole italiane mediante i processi di derivazione, mentre i prestiti dalle lingue straniere saranno trattati nel § 4.3.4. Benché i neologismi presenti nel romanzo della Sapienza siano solo due, è necessario non solo rilevarli e spiegarne la derivazione, ma verificarne la traduzione in francese. Come si vedrà, nei due casi indagati la formazione del neologismo avviene attraverso dei processi combinatorii442, mediante cioè procedimenti di suffissazione e prefissazione. Incancellare [1] Protéger par des barreau [ø GRADIT e SAB-COL] Verbo trans. formato da in + cancello + -are con il significato di “chiudere o proteggere all‟interno di un recinto con delle inferriate” che ricalca la forma obsoleta cancellare (GRADIT, s.v. cancellare), «chiudere con una grata, con un cancello». Esiste anche l‟aggettivo di uso letterario incancellato (GRADIT, s.v. incancellato), «chiuso con cancelli». TLF s.v. barreau, subst. masc. «barre de bois, de métal, à profil cylindrique ou rectangulaire, pouvant servir de clôture ou de support». No, quelle dopo le hanno messe. Come si dice a Catania, Sant‟Agata prima l‟hanno rubata e poi l‟hanno incancellata… [p. 34] Non, elles les ont fait mettre après. Comme on dit à Catane, sainte Agathe, on l‟a d‟abord volée et puis on l‟a protégée par des barreaux… [p. 55] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 442 Cfr. Dardano, Trifone, op. cit., p. 564 207 Stentorietà [1] ~ Vociférer [Assente sul GRADIT e sul SAB-COL] Sostantivo f. formato da stentoreo + -ità, con il significato di “attitudine della voce a essere forte, potente, tonante”. TLF s.v. vociférer, v. intr. littér. vieilli. «parler d'une voix forte avec colère et emportement». Qui abbiamo bisogno di tutti, tutti, e non per la tanto sospirata chimera della rivoluzione, ma per sopravvivere. Tu e la tua Joyce, cara mamma, parlate tanto di fascismo ma siete fasciste anche voi! Lo stesso fanatismo, la stessa stentorietà nei discorsi [p. 370] Nous avons besoin de tout le monde, tout le monde, et pas pour la chimère tant désirée de la révolution, mais pour survivre. Toi et ta Joyce, chère maman, vous parlez tant et plus de fascisme, mais vous êtes fascistes vous aussi! Le même fanatisme, la même façon de vociférer dans les discours. [p. 586] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 4.4.4 I prestiti La lingua italiana si arricchisce a livello esogeno attraverso i prestiti da altre lingue. In particolare, si parla di prestito linguistico quando la nostra lingua utilizza e finisce per assumere un tratto linguistico che esisteva precedentemente in un‟altra lingua e che non esisteva nella nostra443. A partire dal secondo dopoguerra i forestierismi ebbero una maggiore diffusione rispetto al passato, dal momento che vennero notevolmente incrementati i contatti internazionali, le innovazioni scientifiche, quelle tecnologiche e di costume 444. Nel romanzo della Sapienza i prestiti, sia quelli integrati che quelli non integrati, sono piuttosto esigui e riguardano principalmente lingue grande prestigio, come l‟inglese e soprattutto il francese, in quanto lingua molto diffusa presso l‟aristocrazia siciliana di inizio Novecento. Come si vedrà, nel romanzo sono più frequenti i prestiti integrali, cioè quei prestiti che mantengono in tutto o in parte le caratteristiche grafiche, fonetiche e morfologiche della lingua di provenienza. 443 444 Dardano, Trifone, op. cit., pp. 566-7. Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 86. 208 Biscuit [1] ~ Biscuit GRADIT s.v. biscuit, s. m. invariabile (dal francese) che propriamente significa «gelato semifreddo che si serve in coppe». TLF s.v. biscuit, subst. masc. «pâtisserie cuite au four, composée d'un mélange de farine, d'œufs et de sucre». Lo sai ca potrei con una vera stretta farti a pezzi? Ma poi all‟occorrenza dove trovare una colla adatta per incollare „sto collo di biscuit? [p. 459] Tu le sais que je pourrais te casser en morceaux avec une vraie prise? Mais après, dans ce cas, où trouver une colle adaptée pour recoller ce cou de biscuit? [p. 726] La traduttrice mantiene il termine, che nel testo di partenza sembra avere una sfumatura di significato diversa. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo. Breakfast [1] ~ Breakfast GRADIT s.v. breakfast, s. m. invariabile (dall‟inglese) che propriamente significa «prima colazione, specialmente abbondante secondo l‟uso inglese». TLF s.v. breakfast, subst. masc. «petit déjeuner à l'anglaise». Buongiorno, signorina. Ha dormito bene? La principessina s‟è svegliata come un fiore questa mattina, un fiore! Le fa sapere che dopo il breakfast verrà il maestro di musica [p. 71] Bonjour, mademoiselle. Vous avez bien dormi? La principessina s‟est réveillée comme une fleur ce matin, comme une fleur! Elle vous fait savoir qu‟après le breakfast viendra le maître de musique. [p. 115] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Cachet [1] ~ Cachet 209 GRADIT s.v. cachet, s. m. invariabile che propriamente significa «capsula di farina d'amido contenente farmaci in polvere da prendere per bocca»; per estensione può significare anche «compressa, specialmente analgesica». TLF s.v. cachet, subst. masc., pharm. «capsule de pain azyme permettant l'absorption du médicament en poudre qu'elle renferme». Forse avevo ingoiato troppe di quelle pillole? Vi spiego: per riuscire a dormire così a lungo avevo mandato giù ogni sera e ogni mattina, durante quei tre giorni, qualcuno di quei cachet che fanno dormire. Il medico me li aveva fatti conoscere tanto tempo prima [p. 48] Peut-être avais-je avalé une trop grande quantité de ces pilules? Je vous explique : pour arriver à dormir aussi longtemps j‟avais ingurgité chaque soir et chaque matin, pendant ces trois jours, l‟un de ces cachets qui font dormir. Le médecin me les avait fait connaître bien longtemps auparavant. [p. 77] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza, ma bisogna notare che, pur trattandosi di un prestito integrale, la traduttrice non lo segnala in nessun modo. Happy few [1] ~ Happy few GRADIT s.v. happy few, locuzione sostantivale m. pl. (dall‟inglese) usata con il significato di «ceto privilegiato». Sul TLF tale voce è assente. Nuvole dorate, festeggiamenti! E come se non bastasse via Veneto con quegli happy few che fingono un‟allegria macabra a vedersi [p. 475] Réceptions, poudre aux yeux! Et comme si cela ne suffisait pas, via Veneto avec ces happy few qui feignent une gaieté macabre à voir. [p. 751] Impasse [1] ~ Impasse 210 GRADIT s.v. impasse, s. f. invariabile (dal francese) usato con il significato di «situazione difficile da cui non si sa come uscire». TLF s.v. impasse, subst. fém. «position ou situation qui ne présente pas d'issue favorable». Speravo che Joyce avesse avuto la gentilezza di evitarci quest‟impasse sgradevole. E non le ha detto se ha intenzione di scrivere? [p. 361] J‟espérais que Joyce aurait eu la gentillesse de nous éviter cette désagréable impasse*. Et elle ne vous a pas dit si elle a l‟intention d‟écrire? [p. 571] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo e un asterisco in apice. Jeep [1] ~ Jeep GRADIT s.v. jeep, s. f. invariabile usato per indicare una «grossa camionetta scoperta a quattro ruote motrici, predisposta per la marcia su terreni impervi | estens., qualunque vettura fuoristrada». TLF s.v. jeep, subst. fém. «véhicule automobile tous terrains, à quatre roues motrices, utilisé d'abord par l'armée dans des missions de liaison et de reconnaissance». Almeno ci saremmo levati da davanti le vecchie facce, anche se ora stanno arrivando quelle nuove dall'America. Ieri per poco non mi compromettevo. Su una jeep ho visto i fratelli D'Alcamo di buona memoria [p. 448] Au moins on aurait été débarrassés des vieilles têtes, même si maintenant il y en a de nouvelles qui nous arrivent d‟Amérique. Hier pour un peu je me faisais avoir. J‟ai vu sur une jeep les frères D‟Alcamo, de triste mémoire. [p. 707] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Maman [1] ~ Maman 211 GRADIT s.v. maman, s. f. invariabile (dal francese) usata con il significato di «mamma». TLF s.v. biscuit, subst. fém. «mère, dans le langage de l'enfant et dans celui de l'adulte pour désigner la mère de famille, sa propre mère ou celle qui en tient lieu». Ti assicuro, maman, che è carina, un po‟ tetra ma carina, te l‟assicuro! [p. 56] Je t‟assure, maman*, qu‟elle est mignonne, un peu sombre mais mignonne, je te l‟assure! [p. 91] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo e un asterisco in apice. Fou rire [1] ~ Fou rire GRADIT s.v. fou rire, s. m. invariabile (dal francese) usata con il significato di «riso irrefrenabile, ridarella». TLF s.v. fou rire, subst. masc. «rire qu'on ne peut réprimer ou maîtriser». E che dovevo fare? Mi ha preso un fou rire tale, lasciami sfogare [p. 230] Et que devais-je faire? Un tel fou rire* m‟a prise, attends, ça va passer. [p. 361] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo e un asterisco in apice. Organdis [1] ~ Organdi GRADIT s.v. organdis, s. m. invariabile (dal francese) usata con il significato di «organza». TLF s.v. organdi, subst. masc. «mousseline de coton légère, claire et apprêtée». Ma quella sera, indossando il vestito di organdis bianco, immacolato, come si usa per le debuttanti, cominciai a provare un‟angoscia suprema e a tremare tutta [p. 26] Mais ce soir-là, vêtue de la robe d‟organdi blanche, immaculée, que portent traditionnellement les débutantes, je commençai à éprouver une angoisse suprême et à trembler tout entière. [p. 42] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo e un asterisco in apice. Religeuse [1] ~ Religieuse 212 GRADIT s.v. religeuse, agg. (dal francese) usato con il significato di «religioso, membro di un ordine o di una congregazione religiosa». TLF s.v. religeux, subst. masc. e fém. «personne qui a prononcé des vœux de religion qui s'est engagée à suivre une règle autorisée par l'Église». Così anche il precettore, che solo sette od otto mesi prima mi era sembrato un genio, mi apparve un piccolo filisteo del quale diffidare. E se madre Leonora non era che una religeuse, lui mi apparve un povero Candide felice e contento del suo servaggio, pieno di entusiasmo e candore [p. 93] C‟est ainsi que le précepteur, qui sept ou huit mois seulement auparavant me semblait un génie, m‟apparut comme un petit philistin dont il fallait se méfier. Et si mère Leonora n‟était qu‟une religieuse*, lui m‟apparut comme un pauvre Candide heureux et content de son esclavage, plein d‟enthousiasme et de candeur. [p. 151] La traduttrice mantiene il termine, che ha lo stesso senso e lo stesso registro del testo di partenza. Per indicare che il termine è in francese nell‟originale, usa il corsivo e un asterisco in apice. Da notare che religeuse nel testo originale non ricalca esattamente il francese religieuse. Viene infine riportato l‟unico esempio di prestito integrato all‟interno del romanzo. Di seguito viene infine riportato l‟unico caso di prestito adattato presente nel romanzo: Bordò [1] ~ Bordeaux GRADIT s.v. bordò, agg. e s. invariabile (dal francese) usato con il significato di «colore rosso scuro tendente al bruno». Ma non è rosso. Modesta, è bordò. Oh, scusa, queste sono tutte cose che a te non interessano. Proprio per questo non mi decidevo a dirti perché questa stanza non è allegra come la mia. Tu preghi sempre e sei così seria! [p. 59] Mais ce n‟est pas rouge, Modesta, c‟est bordeaux. Oh, excuse-moi, ce sont rien que des choses qui ne t‟intéressent pas… C‟est justement à cause de cela que je ne me décidais pas à te dire pourquoi cette chambre n‟est pas aussi gaie que la mienne. Tu pries sans arrêt et tu es si sérieuse! [p. 96] 213 4.4.5 I colloquialismi L‟italiano parlato colloquiale «costituisce il nucleo principale dell‟italiano substandard»445; anzi, poiché condividono «in parte gli stessi o analoghi tratti, le due varietà risultano parzialmente in sovrapposizione» 446. Tuttavia, il tratto discriminante fra le due varietà, secondo Gaetano Berruto, «consiste nella correlazione o meno con la provenienza sociale dei parlanti: l‟italiano colloquiale è adoperato in maniera indipendente dalla classe sociale di appartenenza da parlanti di ogni ceto e di ogni grado di istruzione»447. Mentre i parlanti culturalmente sfavoriti hanno a disposizione solo l‟italiano popolare come varietà alta della lingua, «l‟italiano colloquiale è varietà non degli strati bassi» 448. Essendo inoltre principalmente una varietà situazionale, legata cioè al canale orale, l‟italiano parlato colloquiale copre una gamma molto ampia e poco marcata dei registri449 che vanno dal lievemente formale al marcatamente informale e trascurato. Inoltre, se una buona parte dei tratti dell‟italiano neo-standard o dell‟uso medio sono stati da tempo caratteristici dell‟italiano colloquiale, avendo perduto la loro marcatezza sub-standard450, è altrettanto vero che «alcuni dei tratti del neo-standard trovano la loro manifestazione più piena proprio nell‟italiano colloquiale, che pare caratterizzarsi precipuamente come una varietà per certi versi intermedia, quanto ai tratti linguistici, fra l‟italiano neostandard e l‟italiano popolare» 451. L‟italiano colloquiale sembra dunque caratterizzarsi soprattutto sul piano lessicale, ove gli «elementi coesistono con almeno un termine sinonimico standard: ciò che denota l‟uso della varietà colloquiale è la scelta del termine sub-standard»452. Si tratta dunque di un lessico di uso comune, non relativo a oggetti, cose o attrezzi specifici, che accoglie al suo interno lemmi familiari e vagamente disfemici. Di seguito sono stati quindi isolati i colloquialismi presenti nel romanzo. 445 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 139. Ibidem. 447 Ibidem. 448 Ibidem. 449 Ivi, p. 148. 450 Ibidem. 451 Ivi, p. 139. 452 Ivi, p. 141. 446 214 Acchiappare [1] ~ Retenir GRADIT s.v. acchiappare, v. tr. che propriamente significa «prendere, afferrare velocemente» [AU]. TLF s.v. retenir, v. tr. fig. «garder en mémoire». Dalle labbra rosee e tenere di madre Leonora – a volte mi permetteva di toccargliele – seppi tante parole nuove e belle che nei primi tempi, a furia di stare attenta per acchiapparle, mi girava la testa e mi mancava il fiato [p. 20] Des lèvres roses et tendres de mère Leonora – elle me permettait parfois de les lui toucher – j‟appris tant de mots nouveaux et beaux que dans les premiers temps, à force d‟être attentive pour les retenir, la tête me tournait et le souffle me manquait. [p. 33] La traduttrice utilizza il verbo retenir, che nel TLF viene così definito: «Au fig.1. Garder en mémoire». Andare dietro a una sottana [1] ~ Rester en extase devant chaque jupon GRADIT s.v. sottana, loc. v. scherz. che figuratamente significa «andare dietro a ogni donna» [CO]. TLF s.v. jupon, subst. masc. méton. pop. et fam. «femme, fille». Gli uomini, tutti così! Anche mio padre buonanima, a incantarsi dietro a ogni sottana nuova! Ma mi deve credere, il mio principe voscenza la ama. Imbarazzato sono a parlarle di queste cose [p. 125] Mon regretté père aussi, à rester en extase devant chaque nouveau jupon! Mais croyez-moi, c‟est vous qu‟aime mon prince… Je suis embarrassé de parler de ces choses. [p. 201] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 215 Bazzicare453 [1] ~ Crecher SAB-COL s.v. bazzicare, v. tr. che propriamente significa «frequentare qualcuno o qualche luogo assiduamente» [fam.]. TLF s.v. crecher, v. intr. arg. et fam. «coucher, habiter». Scusa compagna, ma chi ci crede più alle principesse siciliane! E proprio una disdetta, ma è partito da una settimana. Dove? Capirai, con Jose è una parola sapere dove bazzica! [p. 277] Excuse, camarade, mais qui y croit encore, aux princesses siciliennes? C‟est vraiment de la malchance, il est parti depuis une semaine. Où? Tu vois comme ça peut être commode, avec José, de savoir où il crèche! [p. 439] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Buscarsi [2] ~ Attraper GRADIT s.v. buscarsi, v. pronom. tr., fam., con valore intens. che propriamente significa «ottenere» [CO]. SAB-COL s.v. buscare, v. rifl. Con valore intensivo, con il significato di «prendersi, ricevere qualcosa di inaspettato, spec. di negativo»; [fam.] buscarmi una malattia TLF s.v. attraper, v. tr. fam. «[en parlant d'une maladie ou d'une chose considérée comme telle] Être contracté». Forse per me sarebbe stata una liberazione Peut-être que ç‟aurait été pour moi une buscarmi una bella polmonite doppia e délivrance d‟attraper une bonne pneumonie andarmene con Dio [p. 36] et de m‟en aller près de Dieu… [p. 59] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Cazzata454 [1] ~ Connerie GRADIT s.v. cazzata, sost. f., volg. che propriamente significa «stupidaggine, sciocchezza» [CO]. TLF s.v. connerie, subst. dém. fam., vulg. «bêtise». Questo è anche vero. Tu scrivi, insegni, ma che scrivi? Cazzate, Nina, per far passare il tempo [p. 434] C‟est vrai aussi. Toi, tu écris, tu enseignes, mais qu‟est-ce que tu écris? Des conneries, Nina, pour faire passer le temps. [p. 685] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 453 Il lemma fa parte dell‟elenco di colloquialismi lessicali e semantici proposti da Gaetano Berruto nella Sociolinguistica dell‟italiano contemporaneo, p. 143. 454 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 145. 216 Cazzo455 [9] ~ Putain GRADIT s.v. cazzo, sost. m. colloq., volg. che propriamente significa «con valore interiettivo, per esprimere meraviglia, impazienza e sim., o anche rabbia, ira: stupidaggine, sciocchezza» [CO]. TLF s.v. putain, interj., pop., vulg., «marque la surprise, l'étonnement, l'admiration ou l'indignation». Angelo Tasca, quando disse allora che coi patti del Laterano la Chiesa non tanto si alleava al fascismo quanto si preparava ad assumerne l'eredità. Oh, cazzo che paura, Bambolina! E che siete matti a spuntare come fantasmi e accendere la luce così di botto? [p. 465] Angelo Tasca, quand il a dit autrefois qu‟avec les accords du Latran l‟Eglise ne s‟alliait pas tant au fascisme qu‟elle se préparait à en assumer l‟héritage… Oh, quelle peur, putain, Bambolina! Vous n‟êtes pas fous de surgir comme des fantômes et d‟allumer la lumière comme ça d‟un seul coup? [p. 735] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Cesso456 [2] ~ Cabinets SAB-COL s.v. cesso, sost. m., pop. che propriamente viene usato con il significato di «gabinetto, latrina». TLF s.v. cabinet, subst. masc. rem. vieilli. cabinet(s) (d‟aisances) «pièce, endroit réservé aux besoins naturels». E se mia madre cosa rara usciva, bisognava chiuderla nello stanzino del cesso, perché non voleva saperne di staccarsi da lei. E in quello stanzino urlava, si strappava i capelli, sbatteva la testa ai muri fino a che lei, mia madre, non tornava, la prendeva fra le braccia e l'accarezzava muta [p.3] Et si ma mère – chose rare – sortait, il fallait l‟enfermer dans les cabinets, parce qu‟elle refusait de se détacher d‟elle. Et dans ces cabinets elle hurlait, elle s‟arrachait les cheveux, elle se tapait la tête contre les murs jusqu‟à ce qu‟elle, ma mère, revienne, la prenne dans ses bras et la caresse sans rien dire. [p. 9] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 455 456 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 145. Ivi, 143. 217 Cirullo [2] ~ Crétin GRADIT s.v. citrullo, agg. volg. che propriamente «che, chi è poco intelligente» [CO] TLF s.v. crétin, subst. masc. «personne atteinte de crétinisme, stupide». Cosa dice nella lettera? “T‟ho vista sul giornale, eri proprio buffa Mody! Tanti baci dalla tua bottegaia piena di soldi. Non vedo l‟ora di raccontarti quanto so‟ diventata brava a derubare quei citrulli d‟americani. Basta che gli dici che è una cosa popolare, antica, giù a sborsare.” [p. 474] Que dit-elle dans sa lettre? “Je t‟ai vue dans le journal, tu étais vraiment drôle, Mody! Plein de baisers de ta boutiquière bourrée de thunes. Il me tarde de te raconter comme je suis devenue forte pour voler ces crétins d‟Américains. Il suffit qu‟on leur dise que quelque chose est populaire, ou ancien, et allez, ils achètent…”. [p. 749] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Cocco457 [1] ~ Coco GRADIT s.v. cocco, sost. m., scherz., fam. che propriamente significa «persona prediletta, spec. bambino» [CO]. TLF s.v. coco, subst. masc. «[en emploi d'apostrophe, le plus souvent avec un adj. possessif ou une épithète à valeur affective] Terme d'affection désignant un enfant ou plus rarement un adulte, à qui on s'adresse». Nina: E no, cocco bello! Tutta la sera te l'abbiamo lasciata, ma ora Mody sta con noi. Prando: Ma è stanca, Nina! [p. 497] Nina: Eh non, mon coco! Nous te l‟avons laissée toute la soirée, mais maintenant Mody reste avec nous. Prando: Mais elle est fatiguée, Nina! [p. 786] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 457 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 143. 218 Coglione [1] ~ Couillon GRADIT s.v. coglione, sost. m., volg. che figuratamente significa «persona sciocca e incapace, usato spec. come insulto» [CO]. TLF s.v. couillon, subst. masc. fig. «sot, imbecile». Era disperato! Sei partita senza nemmeno Il était désespéré! Tu es partie sans même telefonargli e voleva sapere dal tuo coglione di figlio che non sa niente, se è lui téléphoner et il voulait savoir de ton couillon de fils qui ne sait rien s‟il était vero che hai intenzione di lasciare tutto [p. 475] vrai que tu avais l‟intention de tout abandonner. [p. 751] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Conciare per le feste [1] ~ Arranger de la belle manière GRADIT s.v. conciare, loc.v. che propriamente significa «malmenare, ridurre a mal partito» [CO]. TLF s.v. arranger, v. tr., par antiphrase, fam. et iron. gén. avec un adv. ou compl. de manière «arranger qqn. le maltraiter, le mettre en mauvaise posture». Niente, eh! Bella di mamma, niente! Vai e vieni da là senza un graffio, i capelli ben pettinati, neanche uno sbaffo di rossetto, eh principessa! Chi sei spia? A Nina lo devi dire! Devi parlare o ti concio io per le feste, chi sei? [p. 422] Rien du tout, hein! Jolie petite à sa maman, rien! Tu vas et viens de là-bas sans une écorchure, les cheveux bien peignés, sans même une traînée de rouge à lèvres, hein, princesse! Qui es-tu, moucharde? Faut le dire à Nina! Faut que tu parles ou je vais t‟arranger de la belle manière, moi, qui es-tu? [p. 666] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 219 Cretino patentato [1] ~ Crétin patenté GRADIT s.v. patentato, agg. e p. pass., scherz., che propriamente significa «ben noto a tutti per le sue caratteristiche spec. negative» [CO] TLF s.v. patenté, adj., fig., fam., iron. ou péj. «qui, par habitude, semble avoir reçu le titre ou le monopole de quelque chose». Ma io lo sai che gli ho detto a quel cretino patentato? Che senza il mio lavoro che mi ubriaca più del vino e senza la motocicletta non posso vivere [p. 490] Mais tu sais ce que je lui ai dit, à ce crétin patenté? Que sans mon travail qui m‟enivre plus que le vin et sans moto je ne peux pas vivre. [p. 776] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Culo458 [1] ~ Cul SAB-COL s.v. culo, s.m. pop. che propriamente significa «parte del corpo costituita dalle natiche». TLF s.v. cul. subst. masc. très fam. ou trivial «partie du corps comprenant les fesses et le fondement». E datte „na mossa, su, muovi il culo! A morta de sonno! Non faccio per dire ma noi romani ci ritroviamo uno spirito proprio raffinato, quasi alla Eden, alla Bond Street come diceva Arminio [p. 440] Eh, remue-toi, allez, bouge le cul! Eh mollassonne!… C‟est pas pour dire, mais nous autres Romains nous possédons un esprit vraiment raffiné, quasiment à la Eden, à la Bond Street, comme disait Arminio. [p. 695] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Dannato [5] ~ Damné SAB-COL s.v. dannato, s. m. e f. che propriamente significa «scellerato, reietto». TLF s.v. damné, subst. masc., p. ext. «(celui, celle, ce) qui est maudit, qui est rejeté». Mai Argentovivo era stata così rispettosa, parlava più lentamente tenendo gli occhi bassi e non si agitava più come una dannata per la stanza [p. 100] Jamais Vif-argent n‟avait été aussi respectueuse, elle parlait plus lentement en tenant les yeux baissés et ne s‟agitait plus comme une damnée à travers la pièce. [p. 161] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 458 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 143. 220 Ditalino [1] ~ Branlette GRADIT s.v. ditalino, sost. m. volg. che propriamente significa «masturbazione femminile» [CO]. TLF s.v. branlette, subst. fém. trivial «masturbation». Lavarsi il più possibile, non farsi prendere né dalla malinconia né dall'euforia. Specialmente l'euforia è deleteria, lì per lì sembra che faccia bene come il vino e poi, per carità! Stanca forse di più che farsi un ditalino [p. 430] Se laver le plus possible, ne pas se laisser prendre par la mélancolie et pas davantage par l‟euphorie. L‟euphorie surtout est nuisible, sur le moment on croit que ça fait du bien comme le vin et puis, bonté divine! ça fatigue peut-être plus que de se faire une branlette. [p. 679] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Fare buon sangue [2] ~ Se faire mauvais sang GRADIT s.v. sangue, loc. verbale colloquiale usata con il significato di «rinvigorire, corroborare». TLF s.v. sang, subst. masc., fig. ou p. méthph., fam. «se faire du mauvais sang. Se faire du souci, se tourmenter». Sicuramente la preoccupazione gli aveva levato il gusto d'imbastire quattro chiacchiere con qualcuno che gli faceva buon sangue [p. 37] L‟inquiétude lui avait sûrement enlevé le goût de faire un brin de causette avec quelqu‟un qui lui faisait se faire tant de mauvais sang. [p. 60] La scelta della traduttrice risulta di difficile comprensione, poiché muta l‟espressione italiana fare buon sangue in se faire mauvais sang, ribaltandone quindi il significato, che in questo brano, nella versione in francese, sembra essere il seguente: l‟inquietudine gli aveva tolto il piacere di conversare un po‟ con qualcuno che gli faceva fare il sangue cattivo = inquietarlo, avere delle preoccupazioni. Da sottolineare inoltre che in francese esiste invece, con le medesime connotazioni della precedente, ma di significato opposto, l‟espressione se faire du bon sang. 221 Fare la frittata [2] ~ Faire un gâchis GRADIT s.v. frittata, loc. verbale familiare usata in senso figurato con il significato di «pasticcio, guaio». TLF s.v. gâchis, subst. masc. «situation embrouillée, due au désordre, à la mauvaise organisation, et dont il est difficile de se tirer». Un uomo sono e se non mi molli, ti accarezzo io così facciamo la frittata [p. 9] Je suis un homme et si tu ne me lâches pas, c‟est moi qui te caresse et comme ça nous faisons un beau gâchis. [p. 16] La traduttrice ha voluto rispettare il costrutto verbo fare + sost., ma risulta non del tutto convincente la scelta del sostantivo gâchis, sia perché non esiste questo tipo di locuzione in francese, sia perché il senso non sembra corrispondere bene al termine italiano. Fottuto [5] ~ Foutu GRADIT s.v. fottuto, agg., e p.pass., volg. che propriamente significa «spec. in epiteti ingiuriosi: dannato, maledetto» [CO]. TLF s.v. foutu, adj. vulg. emploi épithète antéposé. «[s'emploie pour indiquer que le référent du nom est qqc. dont on dit «foutre!»] Quel foutu style!; un foutu toupet. Synon. bon dieu de (pop.), fichu (fam.), putain de (vulg.), vache de (pop.)». - Libero ti posso dire che è uno dei pochi veri marxisti che ho incontrato a Roma. - Un individualista fottuto, ecco cos‟è! [p. 475] - Je peux te dire que Libero est l‟un des rares vrais marxistes que j‟aie rencontrés à Rome. - Un foutu individualiste, voilà ce qu‟il est! [p. 752] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 222 Fregare459 [4] ~ S‟en taper SAB-COL s.v. fregare, v. pronom. intr. pop. che propriamente significa «non preoccuparsi per nulla di qualcosa o di qualcuno». TLF s.v. taper, v. pronom., pop. «se moquer, ne pas faire cas de quelque chose ou de quelqu‟un». Non me ne frega niente d‟Amalia, io voglio sapere cosa hai deciso [p. 476] Je m‟en tape complètement d‟Amalia, je veux savoir ce que tu as décidé. [p. 753] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Furia [1] ~ Impatiente SAB-COL s.v. furia, s. f. fam. che figuaratamente significa «fretta impellente». TLF s.v. impatient, adj. «incapable de supporter l'attente». Ma vedo che furia hai. Se s‟accorgono che sei scappata, guai sono per te e per me [p. 102] Mais je vois que tu es impatiente. S‟ils se rendent compte que tu t‟es échappée, c‟est des embêtements pour toi et pour moi. [p. 165] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Impestare [1] ~ Infecter SAB-COL s.v. impestare, v. tr. pop. che letteralmente significa «contaminare qualcuno con la peste o con qualche altra malattia». TLF s.v. infecter, v. tr., méd. «communiquer des germes pathogènes ou des microbes susceptibles de produire une infection générale ou locale». Ti si legge negli occhi, malsana è. E ti dico pure perché: primo, Catania ancora impestata è, e poi perché è meglio se ti presenti in groppa a un bel maschio Brandiforti [p. 77] On te la lit dans les yeux, elle est malsaine. Et je vais te dire pourquoi : d‟abord, Catane est encore infectée, ensuite, parce que c‟est mieux si tu t‟y présentes montée sur un beau garçon Brandiforti. [p. 193] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 459 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 144. 223 Incazzarsi [7] ~ Mettre en rogne GRADIT s.v. incazzarsi, v. pronom. intr., volg. che propriamente significa «arrabbiarsi, andare in collera» [CO]. TLF s.v. rogne, subst. fém., fam. «être, (se) mettre, ... en colère, dans une grande colère». Ma che c‟ha quella Inés, Mody, da incazzarsi così? che forse è innamorata di Jacopo? [p. 462] Mais qu‟est-ce qu‟elle a, Mody, cette Inès, de se mettre en rogne comme ça? [p. 730] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Infinocchiare [1] ~ Entuber GRADIT s.v. infinocchiare, v.tr. coll. che significa «imbrogliare, raggirare» [CO]. TLF s.v. entuber, v. tr., pop. «duper, escroquer (quelqu‟un)». Certo, come diceva mio padre, fragile di mente e di corpo, e quelle fantasie dei preti infinocchiare, allora per forza terrore dà [p. 199] se nasci da tutte ti fai la Certa Bien sûr, comme disait mon père, si on naît fragile d‟esprit et de corps, et qu‟on se laisse entuber par toutes ces imaginations de prêtres, alors forcément la Certa donne de la terreur. [p. 317] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Mattana [1] ~ Folie SAB-COL s.v. mattana, s. f. fam. che propriamente rimanda a un «bizzarro e repentino cambiamento d‟umore; improvvisa manifestazione d‟ira, di eccitazione, di allegria». TLF s.v. folie, subst. fém., p. meton. «acte, action contraire au bon sens, à la raison ou considéré comme tel». E appunto per questo che dici, perché dovremmo con mattana di picciriddi lei e tutti turbare? [p. 205] Et justement à cause de ce que tu dis, pourquoi est-ce que nous devrions les troubler elle et les autres avec un moment de folie? [p. 327] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 224 Merda [5] ~ Merde SAB-COL s.v. merda, s. f. volg. che in senso figurato si riferisce a «persona o cosa spregevole, di nessun conto o valore». TLF s.v. merde, subst. fém., trivial, en fonction de déterm. «[qualifie une chose ou une pers. considérée comme méprisable, gênante ou irritante]». Hai ragione, non si trova più niente in quest'isola di merda [p. 437] Tu as raison, on ne trouve plus rien sur cette île de merde! [p. 691] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Mettere zizzania [1] ~ Zizanie GRADIT s.v. zizzania, loc. v. che figuratamente significa «mettere discordia» [CO]. TLF s.v. zizanie, subst. fém., fig., littér. «mésentente; cause de discorde, de désunion». Bambù: Vedi che ho ragione? Vedi che è antipatico e mette zizzania dove arriva, il tuo Andrea? Un vecchiaccio acido è! Ma perché vai con questi amici tanto più vecchi di te? [p. 367] Bambù: Tu vois que j‟ai raison? Tu vois qu‟il est antipathique et met la zizanie où il passe, ton Andrea? Un sale vieux aigri, voilà ce qu‟il est! Mais pourquoi vas-tu avec ces amis tellement plus âgés que toi? [p. 581] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Minchione [3] ~ Abruti SAB-COL s.v. minchione, s. m. e agg. volg. usato propriamente con il significato di «persona sciocca, ingenua». TLF s.v. abruti, subst. masc., fam. «personne tout à fait stupide». In seguito realizzai che questi uomini con la gonna erano i preti dei quali parlava sempre mia madre con amore, ed erano l'odio del padre di Tuzzu che spesso diceva: “Porco prete, prete fottuto, minchione d‟un prete”. Che brutte parole! [pp. 18-9] Par la suite je compris que ces hommes en jupe étaient les prêtres dont ma mère parlait toujours avec amour, et que détestait le père de Tuzzu, qui disait souvent : «Sale prêtre, enculé de prêtre, abruti de prêtre». Quels vilains mots! [p. 32] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 225 Mummia [4] ~ Momie SAB-COL s.v. mummia, loc. v. che figuratamente significa «persona dall‟aspetto rinsecchito e invecchiato e dalla mentalità rigida». TLF s.v. momie, subst. fém., p. anal. «personne figée dans une immobilité, une inactivité presque totale et qui semble d'un autre âge; vieillard figé dans les conventions, le passé, l'inaction». Bene, anche spiritosa diventiamo! E che succede? L'ultima volta sembravi una mummia! Che ti sei svegliata di botto stanotte? [p. 8] La dernière fois on aurait dit une vraie momie! Tu t‟es tout à coup réveillée cette nuit? [p. 15] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Pappare460 [1] ~ Boulotter SAB-COL s.v. pappare, v. rifl. fam. che figuratamente e con valore intensivo significa «appropriarsi indebitamente». TLF s.v. boulotter, v. tr., arg. «manger». Domanda per domanda, e a te ti hanno portato niente quei cialtroni? Eppure le tue lezioni se le pappano [p. 439] Question pour question, et à toi, ils ne t‟ont rien porté, ces goujats? Pourtant ils les boulottent, tes leçons. [p. 693] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Perdinci [1] ~ Sapristi GRADIT s.v. passerotto, inter. che propriamente viene usata per «esprime disappunto, impazienza o meraviglia» [CO]. TLF s.v. sapristi, interj., pop., fam. «juron exprimant la surprise, la contrariété, l'agacement ou l'impatience». Ora andiamo a prendere altro vino, Nina. Perdinci, che ospite sei? Non vedi che si sono scolati tutto e cercano bibite e vino come assetati? [p. 462] Maintenant allons chercher d‟autres bouteilles, Nina. Sapristi, quelle hôtesse es-tu? Tu ne vois pas qu‟ils ont tout descendu et cherchent des boissons et du vin comme des assoiffés? [p. 731] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 460 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 144. 226 Satanasso [4] ~ Diablesse/ Démon SAB-COL s.v. satanasso, s. m. pop. che figuratamente «designa chi ha una personalità malvagia». TLF s.v. diablesse, subst. fém. «femme (en particulier petite fille) turbulente, espiègle ou malicieuse». TLF s.v. démon, subst. masc. p. anal. «individu qui incarne le mal; personne méchante, néfaste». (1a) Satanasso d‟una carusa! Fiato mi fai sprecare invece di abbracciarmi. [p. 216] (1b) Diablesse de fille! Tu me fais gâcher du souffle au lieu de m‟embrasser. [p. 343] (2a) T‟ammazzo, quanto è veriddio! A te e a tutti gli amici tuoi. Me ne vado. Non dici niente, satanasso d‟un Giuda? Prima almeno t‟arrabbiavi [p. 245] (2b) Je te tue, aussi vrai que Dieu est Dieu! toi et tous tes amis. Je m‟en vais. Tu ne dis rien, démon de Judas? Avant au moins tu te mettais en colère…[p. 388] (3a) Jacopo: In faccia? Stupefacente, piccola gentile fanciulla, la sua improprietà di linguaggio! Faccia è volgare quasi come dire muso! Dovevi dire viso, perdindirindina! E poi non è vero. Bambù, non puoi allarmarmi così, satanasso d‟una fanciulla! Non puoi buttarla così fra un pasticcino e un sorriso questa insinuazione [p. 365] (3b) Jacopo : – En face? Stupéfiante, charmante petite fille, votre impropriété de langage! Parler de face est presque aussi vulgaire que parler de museau! Il fallait dire visage, saperlipopette! Et puis ce n‟est pas vrai, Bambù, tu n‟as pas le droit de m‟alarmer ainsi, satanasse de fille! Tu ne peux pas jeter ainsi cette insinuation entre un petit gâteau et un sourire. [p. 579] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 227 Sbafare461 [2] ~ Bâfrer SAB-COL s.v. sbafare, v. tr. usato propriamente con il significato di «mangiare con avidità e in gran quantità», ma anche – come in questo caso – «mangiare e bere a spese degli altri». TLF s.v. bâfrer, fam. et pop., emploi pronom. vielli «manger gloutonnement et avec excès». A Roma si muore di fame. Vi devo dire la verità: più che per Carluzzo sono venuto per sbafare, come dicono a Roma… [p. 270] A Rome on meurt de faim. Il faut que je vous dise la vérité : plus que pour Carluzzo je suis venu pour me bâfrer, comme ils disent à Rome…[p. 650] È di non chiara interpretazione la scelta dell‟uso pronominale del verbo, che in quella forma è desueto, mentre più appropriata semrbrerebbe l‟uso transitivo, che rispetterebbe peraltro il testo di partenza. Scimunito [8] ~ Abruti GRADIT s.v. scimunito, agg. che propriamente significa «che, chi è incapace di ragionare, deficiente, scemo» [CO]. TLF v. minchione. E se proprio s‟offende mi mandi quell‟altro scimunito di suo figlio a pulire l'offesa [p. 221] Et si vous êtes offensée, envoyez-moi cet autre abruti qu‟est votre fils pour laver l‟offense. [p. 501] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Scolare [2] ~ Descendre SAB-COL s.v. scolare, v. rifl. usato con valore intensivo nel senso di «bere qualcosa con gusto fino all‟ultima goccia». TLF s.v. descendre, v. tr., pop. «avaler, ingurgiter». Ora andiamo a prendere altro vino, Nina. Perdinci, che ospite sei? Non vedi che si sono scolati tutto e cercano bibite e vino come assetati? [p. 462] Maintenant allons chercher d‟autres bouteilles, Nina. Sapristi, quelle hôtesse es-tu? Tu ne vois pas qu‟ils ont tout descendu et cherchent des boissons et du vin comme des assoiffés? [p. 731] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 461 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 144. 228 Scordare [36] ~ Oublier SAB-COL s.v. scordare, v. tr. usato propriamente con il significato di «non ricordare più qualcuno o qualcosa». TLF s.v. oublier, v. tr. «perdre, de façon volontaire ou non, définitive ou momentanée, normale ou pathologique, le souvenir d'une personne ou d'une chose». - Cosa ha detto? - Di scordare t‟ha detto, scordare tutto. Se lo farai io ti insegnerò… La voce prometteva una ninna nanna calda e morbida di lenzuoli profumati e racconti avventurosi di regine e reggenti, assedi e guerre e tormenti [p. 18] - Qu‟est-ce qu‟il a dit? - Il t‟a dit d‟oublier, de tout oublier. Si tu le fais, je t‟apprendrai… La voix promettait une berceuse chaude et douce de draps parfumés et de récits aventureux de reines et de rois, d‟assauts, de guerres et de tortures. [p. 29] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Sfacchinare [1] ~ Trimer SAB-COL s.v. sfacchinare, v. intr. fam. usato propriamente con il significato di «compiere un lavoro pesante, sgobbare». TLF s.v. trimer, v. intr. fam. «travailler très durement pour assurer sa subsistance». È in gamba, oh! Non so come fa a sfacchinare tutto il giorno dietro a papà e a tenersi sempre informata. Che testa fina! Io non capisco come una donna così possa subire tuo figlio, nonna, non capisco! Tu non l‟hai subito [p. 485] Elle est formidable, oh! je ne sais pas comment elle fait pour trimer toute la journée derrière papa et se tenir toujours informée. Ah, c‟est quelqu‟un! Je ne comprends pas comment une femme comme ça peut supporter ton fils, grandmère, je ne comprends pas! Toi, tu ne l‟as pas supporté. [p. 768] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 229 Sfottete [1] ~ Vous vous payez la tête SAB-COL s.v. sfottere, v. tr. pop. usato propriamente con il significato di «prendere in giro, deridere qualcuno». TLF s.v. payer, loc. «se payer la tête de qqn. Se moquer de lui». Eh, voi ricchi! O non sapete quello che ci avete o sfottete: la campagna, la bicocca, questa è una reggia, cavolo! [p. 443] Eh, vous les riches! Ou vous ne savez pas ce que vous avez ou vous vous payez la tête du monde : la maison de campagne, la bicoque, mais c‟est un palais, ça, mazette! [p. 699] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Zoccola [1] ~ Pute SAB-COL s.v. zoccola, s. f. volg. che figuratamente significa «prostituta». TLF s.v. pute, subst. fém., trivial «synon. de prostitute, putain». E vabbè tocca, ma poi sotto a passeggiare, su, datte „na mossa, Mody, oltretutto a quest‟ora quella zoccola di suor Giuliana può arrivare. Su, dobbiamo fare almeno dieci volte da un muro all‟altro [p. 433] Eh ça va, touche, mais après il faut se promener, allez, faut bouger, Mody, en plus à cette heure cette pute de sœur Giuliana peut arriver. Allez, il faut que nous allions au moins dix fois d‟un mur à l‟autre…[p. 682] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 4.4.6 Le voci gergali Con l‟etichetta “italiano gergale” Gaetano Berruto raggruppa tutte quelle varietà definite come colloquiali-espressive, proprie di categorie o gruppi particolari di utenti, che ai tratti dell‟informale trascurato aggiungono tipicamente un lessico peculiare «valido sia per affermare e rinforzare il senso di appartenenza al gruppo», sia per manifestare una sorta di contro-cultura o anti-cultura polemica, contestatrice o dissacrante nei confronti della cultura standard, sia nei casi in cui si voglia impedire la partecipazione alla comunicazione ai membri estranei al gruppo o alla categoria 462. 462 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 25. 230 La sua precipua funzione di «controlingua»463, espressione di una società alternativa formatasi in seno a una data società, si esplica nell‟essere «un segno di riconoscimento sociopsicologicho del gruppo stesso» 464. Si tratta dunque di una varietà decisamente molto poco stabile, mutevole «col mutare del gruppo e dei valori attorno a cui esso si consolida»465. All‟interno del romanzo l‟uso del gergo propriamente detto è limitato a un solo esempio, come si vede dal passo che è riportato di seguito: Bugliolo [1] ~ Seau GRADIT s.v. bugliolo, s. m. che nel gergo carcerario significa «secchio per i bisogni corporali dei detenuti». TLF s.v. seau, subst. masc. «récipient généralement de forme cylindrique, largement ouvert dans sa partie supérieure et muni d'une anse mobile, qui sert à recueillir et à transporter des liquides ou des substances en poudre, en grains ou en morceaux»? Su, su, di che ti vergogni? Non siamo che noi due. E se te scaraventavano in mezzo a dieci tutte a dover caca nello stesso bugliolo in mezzo alla stanza che avresti fatto? [p. 429] Allez, allez, de quoi as-tu honte? Il n‟y a que nous deux. Et s‟ils t‟avaient balancée au milieu de dix femmes – toutes à devoir faire caca dans le même seau au milieu de la pièce – qu‟est-ce que tu aurais fait, hein? [p. 669] La traduzione non rispetta il registro e solo in maniera parziale il significato. 4.4.7 Il baby talk Tra i registri semplificati466 rivolti da parlanti competenti a riceventi ritenuti poco competenti vi è il baby talk, che presenta caratteri di semplificazione e chiarificazione accompagnati a tratti espressivo-affettivi. Questa varietà, legata principalmente alla dimensione di variazione diafasica, è caratterizzata da forme infantili e vezzeggiative prodotte attraverso i diminutivi, forme brachilogiche e l‟uso da parte del parlante della terza persona quando si riferisca a se stesso. 463 Sanga, Gerghi…, cit., vol. II, p. 167. Marcato, op. cit., vol. II, p. 757. 465 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 25. 466 Ivi, p. 45. 464 231 Nel romanzo il baby talk è presente in misura assai ridotta e limitata a contesti comunicativi molto piuttosto informali, così come si può apprezzare negli esempi che seguono. Paparino [2] ~ Papounet GRADIT s.v. paparino, s. m. derivato di papà con -arino che propriamente significa «papà, babbo, specialmente come appellativo affettuoso» [CO]. Papounet, secondo le parole usate dalla traduttrice in un e-mail in cui dava spiegazioni di alcune sue scelte, «est un mot occitan, un mot du Sud pour “petit papa”». È inutile che strilli, cretina! Vedi che vuole stare qui vicino al suo paparino? Eh, la voce del sangue non mente mai, mai! [p. 11] Ça ne sert à rien que tu piailles, crétine! Tu ne vois pas qu‟elle veut rester ici près de son papounet? Eh, la voix du sang ne ment jamais, jamais! [p. 20] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Papuccio [2] ~ Petit papa GRADIT s.v. papà, s. m. derivato di papà con -uccio che propriamente significa «papà, babbo», specialmente come appellativo affettuoso [CO]. TLF s.v. papa, subst. masc. «terme familier et affectueux qu'emploient les enfants pour parler à/ou de leur père, et qu'emploient également les adultes pour parler à leur père ou pour parler de son père à un enfant». È inutile che strilli, cretina! Vedi che vuole stare qui vicino al suo paparino? Eh, la voce del sangue non mente mai, mai! È vero che vuoi stare vicino al tuo papuccio? [p. 12] Ça ne sert à rien que tu piailles, crétine! Tu ne vois pas qu‟elle veut rester ici près de son papounet? Eh, la voix du sang ne ment jamais, jamais! C‟est vrai que tu veux rester près de ton petit papa? [p. 20] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 232 Passerotto [3] ~ Moineau GRADIT s.v. passerotto, s. m. che figuratamente significa «come epiteto affettuoso, specialmente riferito a bambini o alla persona amata» [CO]. TLF s.v. moineau, subst. masc. «petit passereau, au plumage généralement brun strié de noir, très répandu dans les villes et dans les campagnes». Bravo passerotto, m‟ha obbedito. Tu me la curi dopo, vero Bambù? Me la guidi? Lei è così, tanti sono così. Non è ca sono meno valenti degli altri, è che sono miti per natura e hanno bisogno d‟essere guidati [p. 489] Gentil petit moineau, il m‟a obéi. Tu me prendras bien soin d‟elle, après, hein, Bambù? Tu me la guideras? Elle est comme ça, beaucoup sont comme ça. C‟est pas qu‟ils soient moins bien que les autres, c‟est qu‟ils sont doux par nature et qu‟ils ont besoin d‟être guidés. [p. 773] In francese moineau non viene in genere utilizzato come epiteto affettuoso, anche se in questo contesto è abbastanza semplice evincerne il senso. Tata [17] ~ Nounou SAB-COL s.v. tata, s.f. usato propriamente con il significato di «bambinaia e, in generale, chi si prende cura di un bambino». TLF s.v. nounou, subst. fém. «avec valeur hypocoristique, fam. Nourrice». – Perché mi stai cantando la ninna nanna che mi cantava la tata? – La tata? – Si, la mamma di latte, la balia. Si dice tata nel continente e così mi hanno insegnato a chiamarla. A loro sembra più elegante, solo che la mia tata era siciliana, e io so che c'è una brutta parola in quella ninna nanna [p. 66] – Parce que tu me chantes la berceuse que me chantait ma nounou. – Votre nounou? – Oui, la mère de lait, la nourrice. On dit nounou sur le continent et on m‟a appris à l‟appeler ainsi. Ça leur semble plus élégant, sauf que ma nounou était sicilienne, et je sais qu‟il y a un gros mot dans cette berceuse. [p. 107] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 233 4.4.8 I regionalismi Come si è detto nel § 4.3 il lessico è il livello d‟analisi più esteriore della lingua, dal momento che è più esposto alle influenze extralinguistiche e alle mode transeunti467. Il fatto poi che tale settore dell‟indagine linguistica sia molto eterogeneo e in rapida trasformazione, pone non pochi problemi a chi voglia analizzare i fatti lessicali al fine di cogliere le tendenze interne del sistema linguistico. Ciò è ancor più vero quando si voglia analizzare il lessico dell‟italiano regionale, poiché sono intense le interferenze sia di elementi dialettali sulla lingua nazionale sia, al contrario, di elementi che, provenendo dall‟italiano, vengono a interessare i sistemi dialettali 468. Com‟è ampiamente noto le varietà regionali dell‟italiano vanno strettamente collegate alla storia della lingua italiana e alla travagliata unità nazionale, quando l‟italiano cominciò a «essere sottoposto, proprio nel momento del suo faticoso trionfo, a processi di frammentazione, di divisione, di destandardizzazione» 469 sul fronte della diatopia, cioè della variabilità spaziale. Il sostrato dialettale influì in modo significativo sulla lingua, dando luogo a varietà regionali diverse, fortemente connotate sul versante diatopico, al punto che Tullio Telmon definisce gli italiani regionali470 come «sistemi dialettali intermedi (interlingue), autonomi, coerenti, dinamici e relativamente strutturati, nei quali l‟interferenza di completamento è costituita dal sostrato dialettale “primario”»471. Nel romanzo la dimensione diatopica costituisce non solo un elemento centrale del romanzo, ma rappresenta un elemento di sicuro interesse per chi si occupi della traduzione de L‟arte della gioia, in cui il dialetto e l‟ambientazione regionale costituiscono uno dei cardini attorno cui ruota la narrazione. In questo paragrafo quindi tratteremo i vari fenomeni lessicali che interessano le varietà regionali della lingua, e cioè i regionalismi, i dialettismi, gli ibridimi lessicali, le espressioni fisse trasferite nella lingua nazionale, e gli innesti fraseologici dialettali riadattati in italiano. 467 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 84. Cfr. Telmon, Varietà… cit., p. 129. 469 Ibidem. 470 Id., Guida… cit., p. 12. 471 Telmon, Varietà… cit., p. 100. 468 234 4.4.8.1 I regionalismi lessicali In questa sezione verranno inseriti i regionalismi lessicali, vale a dire tutti quei termini il cui uso è ascrivibile a una data area geografica e che vengono quindi trasferiti472 da un sistema linguistico (il dialetto) a un altro (l‟italiano). Essi verranno poi analizzati nella loro traduzione in francese, al fine di indagare le scelte stilistiche della Castagné che, come si è detto, nella stragrande maggioranza dei casi predilige una resa standard alla possibilità di connotare la lingua in senso diafasico, diastatico e diatopico. Accussì [11] ~ Comme ça PIC-TRO s.v. accussì, avv. usato propriamente con il significato di «così»; [11 occorrenze]. TLF s.v. comme, syntagme adv., fam. «peut indiquer la manière désinvolte, facile, irréfléchie, insoupçonnée, dont une chose a été faite ou le ton d'indifférence dont une chose a été dite». Per farla breve e meno vergognosa per te e per me, io – e non mi guardare accussì ca mi vergogno! [p. 102] Pour aller vite et nous gêner moins toi et moi, – et ne me regarde pas comme ça que j‟ai honte! [p. 165] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Appizzari [1] ~ Suspendre PIC-TRO s.v. appizzari, v. tr. usato propriamente con il significato di «appendere, ad esempio di un quadro» [1 occorrenza]. TLF s.v. suspendre, v. tr. «faire tenir une chose de manière à ce qu'elle pende». Quei pozzi di tavola appizzati ai muri sono finti [p. 28] Ces puits de tableau suspendus aux murs sont feints [p. 46] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 472 Cfr. Leone, op. cit., pp. 25, 85, 102. 235 Astutare [2] ~ Éteindre PIC-TRO s.v. astutari, v. tr. usato propriamente con il significato do «spegnere». TLF s.v. éteindre, v. tr. «faire cesser la combustion de ce qui est en ignition, en flammes et, par voie de conséquence, (faire cesser) la lumière». Speravo che in una mesata „sto fuoco di paglia per la torinese s‟astutasse [p. 125] J‟espérais qu‟en un mois ce feu de paille pour la Turinoise s‟éteindrait [p. 201] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Banni e banni [2] ~ Murs PIC-TRO s.v. bbanna, s.f. che propriamente significa «lato, parte»; esiste anche la loc. bbanni bbanni con il significato di «or qua or là, dove sì dove no». TLF s.v. mur, subst. masc., verbe + prép. + le/les mur(s) «se cogner, se taper la tête contre les murs. Se désespérer». E dai a sbattere la testa pi banni e banni, a correre dalle vellute che a pagamento ti fanno godere. Ma per godere un poco, il tuo nome ripetevo nella mia mente [p. 203] Et allez, à me cogner la tête contre les murs, à courir chez les vellute qui te font jouir pour de l‟argent. Mais pour jouir un peu, je répétais ton nom dans mon esprit. [p. 323] Anche se il significato della locuzione italiana non viene reso nella traduzione in senso letterale, il suo valore semantico è abbastanza rispettoso del testo di partenza; tuttavia il registro non corrispondente. Camurria [1] ~ Horreur PIC-TRO s.v. camurria, s. f. che propriamente significa «malattia venerea, gonorrea»; ma è usato comunemente col significato di «fastidio, noia». GRADIT s.v. camurria, s. f. col significato di «noia» [RE]. TLF s.v. horreur, subst. fém., «p. ext et p. hyperb. synon. anthipathie, répugnance». Mattia, finalmente sei tornato! Abbracciami, è un anno che non ti vedo, vecchio! Ti pesa „sta camurria di parola, eh? Chi ce lo doveva dire che saremmo invecchiati insieme! [p. 478] Mattia, tu es enfin revenu! Embrasse-moi, ça fait un an que je ne t‟ai pas vu, vieux! Elle te pèse, cette horreur de mot, hein? Qui nous l‟aurait dit, que nous vieillirions ensemble! [p. 755] La traduzione in questo caso pare poco rispondente al testo originale, sia nel significato che nel registro. 236 Carusa [17] ~ Fillette PIC-TRO s.v. carusa, s. f. che propriamente significa «fanciulla, ragazza». TLF s.v. fillette, subst. fém. «petite fille». Guarda, carusa, ca i nervi mi fai saltare. Giuraddìo ca me figghiu pari! Lazzarolu e cocciu di tacca come a Mattia [p. 201] Fillette, tu vas me faire sortir de mes gonds. Pardieu qu‟on dirait mon fils! Lazzarolu et cocciu di tacca comme Mattia. [p. 320] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Carusu [25] ~ Gamin/Garçon PIC-TRO s.v. carusu, s. m. che propriamente significa «fanciullo, giovanetto» [15 occ.]; ma può essere usato «in opposizione a vero uomo» [10 occ.]. TLF s.v. gamin, subst. masc., p. ext. «jeune homme ou jeune fille dont on souligne la jeunesse». (1a) Come ti permetti, tu, carusu, ti dare giudizi sulla vita mia e di tuo padre? La bugia volevi ascoltare, eh? Mi deludi. Io col figlio di Carmine credevo di parlare. E invece mi trovo a disputare con un lazzarolo che solo parole melense va cercando. Gira i tacchi e dalle femmine va‟ a farti consolare! [p. 222] (1b) Comment te permets-tu, toi, gamin, d‟émettre des jugements sur ma vie et celle de ton père? Tu voulais entendre un mensonge, hein? Tu me déçois. Je croyais parler avec le fils de Carmine. Et je me retrouve à discuter avec un blanc-bec qui ne cherche que de sottes paroles. Tourne les talons et va te faire consoler par les femmes! [p. 353] Certa [11] ~ Certa PIC-TRO s.v. certa, s. f. che propriamente significa «testimonianza; spesso “fari la certa” significa “testimoniare”»; come traslato può anche il significato di «certificato: quella scrittura che si fa da‟ preti in testimonianze di messe celebrate». TLF s.v. embrumer. Non ti angustiare, principessa! A tutto c‟è rimedio, meno che alla Certa! [p. 31] Ne t‟inquiète pas, princesse! Il y a remède à tout, sauf à la Certa1! [p. 50] 1 Celle qui vient à coup sûr : la Mort. 237 Ceusa [2] ~ Mûres PIC-TRO s.v. ceusa, s. f. che propriamente significa «frutto di gelso». TLF s.v. mûre, subst. fém. «infrutescence (s.v. in-2) du mûrier (v. ce mot A 1) et de quelques genres voisins et en particulier fruit du mûrier noir utilisé comme colorant alimentaire, en confiserie et en gargarisme sous la forme d'un sirop astringent». Senza la giacca azzurra le spalle sembravano le rocce bianche della fiumara al tempo delle ceusa, quando il sole alto restava inchiodato in mezzo al cielo per giorni e giorni e mesi [p. 13] Sans sa veste bleue ses épaules semblaient les roches blanches de la rivière au temps des mûres, quand le soleil haut restait cloué en plein milieu du ciel pendant des jours et des jours et des mois. [p. 22] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Chiana [14] ~ Plaine PIC-TRO s.v. chiana, s. f. che propriamente significa «piana, pianura; per antonomasia la Chiana di Catania, la pianura di Catania». TLF s.v. plaine, subst. fém. «grande étendue de terrain sans relief ou légèrement ondulée, d'altitude peu élevée par rapport au niveau de la mer ou d'altitude moindre que les régions environnantes». Nella chiana aveva temuto le ire della madre, l‟indifferenza di Tuzzu. In convento aveva temuto di restare prigioniera e dopo, in quell‟altro convento di seta, aveva avuto paura di Gaia, Argentovivo, di Beatrice stessa [p. 193] Dans la plaine elle avait craint les colères de sa mère, l‟indifférence de Tuzzu. Au couvent elle avait craint de rester prisonnière et après, dans cet autre couvent de soie, elle avait eu peur de Gaia, de Vif-argent, de Beatrice même. [p. 307] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 238 Cottarola [2] ~ béguineuse Béguineuse, secondo le parole usate dalla traduttrice in un e-mail in cui dava spiegazioni di alcune sue scelte, «est un mot inventé, à partir de "béguin". J'ai le béguin pour quelqu'un signifie qu'on en est tombé amoureux (pas très sérieusement). J'ai pensé que ça pouvait aller pour Nina, cette gentille coureuse au grand coeur». La tua Nina, almeno per due giorni s‟era innamorata, e perché è una cottarola, come diceva suo padre. La verità è che quello sì che è „n‟omo! [p. 443] Ta Nina était tombée amoureuse pour deux jours au moins, et pas parce que c‟est une béguineuse, comme disait son père. La vérité, c‟est que celui-là, ça oui, c‟est un homme! [p. 699] Fagoniu [1] ~ Sirocco PIC-TRO s.v. faògna, s. m. che propriamente significa «foschia sul mare»; il sostantivo deriva da fagoniu < lat. FAVONIU(M) «zéphyr, vent d‟Ouest». TLF s.v. sirocco, météor. «vent du sud chaud et sec venant du Sahara et qui souffle en Afrique du Nord et en Méditerranée occidentale; manifestation de ce vent (à un moment donné)». Una grande distesa a perdita d‟occhio. Ecco: come „sta petraia che ti sta davanti da mattina a sera. Solo che invece di questi massi e fango e, non ne parliamo!, c'è acqua, acqua blu. Ora calma come l'acqua del pozzo, ora infuriata come il canneto quando soffia il fagoniu [p. 28] C‟est une grande étendue à perte de vue. Voilà : comme ce terrain pierreux que tu as devant toi du matin au soir. Sauf qu‟au lieu de ces blocs de pierre et de cette boue et, mais n‟en parlons pas!, il y a de l‟eau, de l‟eau bleue. Tantôt calme comme l‟eau du puits, tantôt déchaînée comme la cannaie quand souffle le sirocco. [p. 46] La traduzione non rispetta né il significato né il registro. 239 Figghia [35] ~ Fille PIC-TRO s.v. figghia, s. f. che propriamente significa «figlia». TLF s.v. fille, subst. fém., appellatif, vielli. ma fille «appellation affectueuse ou condescendante employée à l'égard d'une personne de sexe féminin (notamment dans les rapports de maître à domestique)». Non è per soldi, figghia, ca ti dico queste cose. È che a nessuno vorrei fare passare quello che passai io aspettando d‟entrare in quella stanza… [p. 102] Ce n‟est pas pour l‟argent, ma fille, que je te dis ces choses. C‟est qu‟à personne je ne voudrais faire passer ce que j‟ai passé en attendant d‟entrer dans cette chambre… [p. 165] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Figghiu [3] ~ Enfant PIC-TRO s.v. figghiu, s. m. che propriamente significa «figlio». TLF s.v. enfant, subst. masc. «fils ou fille». Non dovrebbe dispiacerti perché, a mio parere, proprio giusto t‟è arrivato „stu figghiu. Con quello nato, specie se maschio, chiuderai la bocca a tutti a Catania [p. 120] Tu ne devrais pas être mécontente parce que, à mon avis, il tombe à point pour toi, cet enfant. Avec lui, surtout si c‟est un garçon, tu fermeras la bouche à tout le monde là-bas à Catane. [p. 193] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Fischia [3] ~ Mince TLF s.v. mince, interj. pop. et fam. «exprime la surprise, l'étonnement, l'admiration, p.euphém. de merde». Fischia! Oh, Mody, lo sai che a Roma è la moda dei giovani dire “fischia!”. Nicola me l‟ha riferito, è orribile ma s‟attacca alla mente come il ritornello di una brutta canzone [p. 484] Mince alors! Oh, Mody, tu sais qu‟à Rome c‟est la mode chez les jeunes de dire “mince alors!”. Nicola me l‟a rapporté, c‟est horrible mais ça te colle à l‟esprit comme le refrain d‟une mauvaise chanson. [p. 765] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 240 Fiumara473 [1] ~ Rivière GRADIT s.v. fiumara, s. f. usato principalmente nelle varietà regionali meridionali usato con il significato di «fiume o torrente tipico dell'Italia meridionale a letto largo e ciottoloso, quasi completamente asciutto per la maggior parte dell'anno e caratterizzato da piene abbondanti nel periodo delle piogge». TLF s.v. rivière, subst. fém. «cours d'eau moyennement abondant qui se jette dans un fleuve, dans la mer ou parfois dans un lac». Non avevo mai visto un uomo nudo. Senza la giacca azzurra le spalle sembravano le rocce bianche della fiumara al tempo delle ceusa, quando il sole alto restava inchiodato in mezzo al cielo per giorni e giorni e mesi [p. 9] Je n‟avais jamais vu un homme nu. Sans sa veste bleue ses épaules semblaient les roches blanches de la rivière au temps des mûres, quand le soleil haut restait cloué en plein milieu du ciel pendant des jours et des jours et des mois. [p. 22] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Fottío [1] ~ Tripotée PIC-TRO s.v. futtìo, s. m. estensivo che significa «grande quantità, grande abbondanza». TLF s.v. tripotée subst. fém. pop., fam. «grand nombre, grande quantité de». Col suo permesso, io in questi tre giorni non ho fatto che il mio dovere. Purtroppo di queste cose ne accadono a fottìo… [p. 16] Si vous permettez, durant ces trois jours je n‟ai fait que mon devoir. Malheureusement, des choses comme ça, il en arrive par tripotée… [p. 26] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 473 Il lemma italiano fiumana, col significato di «grande quantità di persone o cose che si susseguono» è attestato nel corpus in 2 occorrenze. 241 Giufà [52] ~ Giufà PIC-TRO s.v. Giufà, s. m. che significa «persona goffa, sciocca e, nello stesso tempo, lepida e bizzarra (personaggio della novellistica popolare siciliana)». Il termine Giufà rimane inalterato in francese, ma la traduttrice lo inserisce nel glossario 474 che si trova alla fine dell‟edizione francese del romanzo. - Io non ho paura di mia madre. - Che scoperta! la scoperta di Giufà mi fai. Non hai paura perché donna sei, e anche se picciridda sai il tuo potere [p. 350] Je n‟ai pas peur de ma mère. Quelle découverte! Tu me fais une découverte à la Giufà. Tu n‟as pas peur parce que tu es femme, et même si tu n‟es qu‟une petiote tu connais ton pouvoir. [p. 555] Imparare [1] ~ Apprendre PIC-TRO s.v. „mparari, v. tr. col significato di «insegnare». TLF s.v. apprendre, v. tr. «recevoir, donner un enseignement». E se lei si fa sentire troppo è capace di svoltarsi d'umore e di farci rompere l'osso del collo. S'appoggi a me con la schiena. Certo, con le gonne è difficile. Ecco, così. sente come faccio io? Le cosce e i ginocchi attaccati e leggeri ai fianchi. E brava! Così. Scommetto che in una mesata starà dritta come e meglio della principessina Beatrice. Quando vuole glielo imparo [p. 103] Et si vous vous faites trop sentir il est capable de changer complètement d‟humeur et de nous faire casser les os du cou. Appuyez-vous à moi avec le dos. Bien sûr, c‟est difficile avec les jupes. Voilà, comme ça… vous sentez comment je fais moi? Les cuisses et les genoux attachés et légers contre les flancs. Et voilà, bravo! Comme ça. Je parie qu‟en un mois vous vous tiendrez droite aussi bien et mieux que la principessina Beatrice. Je vous apprends quand vous voulez. [p. 168] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 474 Cfr. Goliarda Sapienza, L‟art de la joie, op. cit. p. 827: «Personnage de fable sicilien, qui s‟inscrit dans la tradition orale. Le cycle de ses aventures est d‟influence arabe, comme en témoingne le nom du protagoniste, personnage ignorante t oisif, à qui il arrive nombre d‟aventures qui finissent toujours bien, sans même qu‟il s‟en rende compte. Giufà a été repris par Italo Calvino dans ses Fables italiennes. 242 Impunito [4] ~ Fripon GRADIT s.v. impunito, agg. e s. m. e f. usato propriamente con il significato di «sfrontato, birbante, briccone» [RE centrale]. TLF s.v. fripon, subst. masc. avec un sens atténué, fam. «enfant enclin à l'espièglerie, à la malice; personne éveillée, délurée, quelquefois portée à des attitudes ou des propos lestes, grivois». Che fa il mio micio impunito, dorme o mi prepara qualche tiro birbone? [p. 160] Que fait mon fripon de minou, il dort ou il me prépare un tour pendable? [p. 684] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Lastima [3] ~ Simagrée PIC-TRO s.v. lastima, s. f. che significa «afflizione, pena». TLF s.v. simagrée, subst fém, le plus souvent au plur., fam. «attitudes, gestes, paroles affectées qu'on utilise pour se faire valoir, pour atteindre son but ou tromper». Un Tudia deve avere orgoglio di cavalcare dall‟alba al tramonto senza mai sortire dai suoi possedimenti, e non farsi intristire da lastime di femmine. Cavalcare e cercare fuori casa il proprio piacere [p. 205] Un Tudia doit être fier de chevaucher de l‟aube au crépuscule sans jamais sortir de ses domaines, et de ne pas se laisser abattre par des simagrées de bonnes femmes. Chevaucher et chercher ailleurs son plaisir. [p. 329] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Lazzarolu [4] ~ Lazzarolu PIC-TRO s.v. lazzarolu, s. m. gerg. che significa «giovane prepotente; anche teppista, malvivente». Guarda, carusa, ca i nervi mi fai saltare. Giuraddio ca me figghiu pari! Lazzarolu e cocciu di tacca come a Mattia [p. 201] Fillette, tu vas me faire sortir de mes gonds. Pardieu qu‟on dirait mon fils! Lazzarolu et cocciu di tacca comme Mattia. [p. 320] 243 Locca [5] ~ Sotte PIC-TRO s.v. lloccu, s. m. che significa «allocco, sciroccato». TLF s.v. sot, subst. masc. «Qui est dénué d'intelligence, de bons sens». Locca sei e pure se non fussi locca, le femmine, come dice mio padre, da quando mondo è mondo non capiscono niente [p. 8] Tu es sotte et même si t‟étais pas sotte, les femmes, comme dit mon père, depuis que le monde est monde, ne comprennent rien à rien. [p. 14] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Maccu [1] ~ Maccu PIC-TRO s.v. maccu, s. m. che indica una «minestra di fave sgusciate e cotte in brodo ristretto; purè di fave». E giuraddio che mai maccu buono come quello di lei, dopo morta, mangiai! [p. 199] Et je t‟assure que jamais je n‟ai mangé de maccu1 aussi bon que le sien, après sa mort! [p. 316] 1 Soupe épaisse à base de fèves. Manso/manzo [2] ~ Doux/Bonne pâte PIC-TRO s.v. manzu, agg. che indica una «persona mite». TLF s.v. doux, adj. «qui agit sans brusquerie, qui a des mouvements, des gestes mesurés, des manières délicates; qui est d'un caractère facile, d'une humeur égale, qui montre de la modération, de la bienveillance envers autrui». TLF s.v. pâte, subst. fém., Expr. et loc. fig., fam., Une bonne pâte (d'homme, de fille...) «Une personne bonne et accommodante; une personne docile». Vincenzo! Fosse vivo Carmine per vedere chi era il suo pupillo! Da manso che era, una furia è diventato [p. 241] Vincenzo! Si Carmine pouvait vivre pour voir qui était son chouchou! De tout doux qu‟il était, c‟est devenu une furie. [p. 382] Eppure lo sai che se manza fossi stata, tutta tua come Amalia, anche di me come di lei ti saresti stancato [p. 492] Et pourtant tu sais que si j‟avais été une bonne pâte, toute à toi comme Amalia, tu te serais lassé de moi comme tu l‟as fait d‟elle. [p. 778] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 244 Maredda [2] ~ Gamine PIC-TRO s.v. maredda, s.f. che propriamente significa «amarena, varietà di ciliegia»; gerg. può anche significare «ragazza». TLF cfr. carusu. Capriccio è questo. Capriccio di tosta maredda! Morta di sonno sei, e io devo andare [p. 200] C‟est un caprice, ça. Un caprice d‟effrontée de gamine! Tu es morte de sommeil, et moi je dois partir. [p. 318] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Marranzanu [2] ~ Marranzanu GRADIT s.v. marranzano, s.m. che propriamente significa «scacciapensiero» [RE sicil.]. Il fumo raccoglie i pensieri belli della giornata e scaccia quelli perniciosi come „u marranzano [p. 236] La fumée rassemble les pensées heureuses de la journée et chasse les pernicieuses comme „u marranzanu1 [p. 374] 1 La guimbarde, – ancien et rudimentaire instrument de musique. Mesata [3] ~ Mois PIC-TRO s.v. misata, s.f. che propriamente significa «mesata, periodo della durata di un mese». TLF s.v. mois, subst. masc., p. ext. «période d‟environ trente jours». Scommetto che in una mesata starà dritta come e meglio della principessina Beatrice [p. 103] Je parie qu‟en un mois vous vous tiendrez droite aussi bien et mieux que la principessina Beatrice. [p. 169] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 245 Nicu [2] ~ Nicu PIC-TRO s.v. nicu, agg. che propriamente significa «piccolo». Petitou, secondo le parole usate dalla traduttrice in un e-mail in cui dava spiegazioni di alcune sue scelte, «c'est occitan. La terminaison en 'ou' est souvent (me semble-t-il, d'après ce que j'ai entendu) affectueuse». Non la voglio contrariare. Tante cose sa! E al mio „Ntoni ha promesso d'insegnare come a Prando, che già accussì nicu parla e s‟esprime come uno grande [p. 248] Je veux pas la contrarier. Elle sait tant de choses! et elle a promis d‟enseigner à mon ‟Ntoni comme à Prando, qui déjà si petitou parle et s‟exprime comme un grand. [p. 394] Nicaredda [1]~ Pitchounette Composto dall‟aggettivo nicu + suffisso -eddu. TLF s.v. pitchounet, subst., région. (Provence), fam. «petit(e) enfant». - Come sta Beatrice? S‟è ripresa? - Benissimo Stella. - E la nicaredda? - Bene anche lei, almeno speriamo [p. 247] - Comment va Beatrice? Elle s‟est remise? - Très bien, Stella. - Et la pitchounette? - Bien elle aussi, espérons-le du moins. [p. 392] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Pampina [3] ~ Pampre PIC-TRO s.v. pampina, s.f.. che propriamente significa «foglia, in particolare di vite»; al plurale significa «fogliame, fronda». TLF s.v. pampre, subst. masch. bot. «branche, rameau de vigne portant ses feuilles, ses vrilles et, souvent, ses grappes de raisin». Nel giardino cercai rose e pampini ma il buio era sceso a nascondere i colori e le mie dita non trovarono che spine [p. 442] Dans le jardin je cherchai des roses et des pampres, mais l‟obscurité était tombée, effaçant les couleurs, et mes doigts ne trouvèrent que des épines. [p. 306] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 246 Petraia [1] ~ Terrain pierreux PIC-TRO s.v. petraia, s.f.. che propriamente significa «pitrera, pietraia». TLF s.v. pierreux, adj. «qui contient des pierres; couvert, rempli de pierres». Una grande distesa a perdita d‟occhio. Ecco: come „sta petraia che ti sta davanti da mattina a sera [p. 28] C‟est une grande étendue à perte de vue. Voilà : comme ce terrain pierreux que tu as devant toi du matin au soir. [p. 165] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Picciridda [21] ~ Petiote PIC-TRO s.v. picciridda, s.f. che propriamente significa «bambina». TLF s.v. petiot, subst., fam., hypocor. «petit ou jeune enfant considéré avec affection ou attendrissement». E brava! Logica fina! Attenta picciridda, lasciami il braccio o peggio per te. Mi sta salendo il sangue al cervello, attenta! [p. 9] Ah, bravo! Logique subtile! Attention, petiote, laisse mon bras ou tant pis pour toi. Le sang me monte au cerveau, attention! [p. 16] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Picciriddu [14] ~ Pitchounet PIC-TRO s.v. picciriddu, s.m. che propriamente significa «bambino». TLF cfr. nicaredda. Tu non sei né un picciriddu né un animale [p. 215] Mais tu n‟es ni un pitchounet ni un animal. [p. 342] 247 Pomelie [1] ~ Frangipaniers GRADIT s.v. pomelia, s. f. var. plumeria che propriamente significa «pianta arbustiva del genere Plumeria (Plumeria alba o Plumeria acutifolia) con fiori bianchi e talvolta rosa» [RE merid.]. TLF s.v. frangipanier, subst. masc. «arbrisseau, originaire de l'Amérique tropicale, dont les fleurs ont un parfum rappelant celui de la frangipane». Tante volte, voltando lo sguardo da un balcone pieno di pomelie dove due occhi di fuoco il giorno prima hai fissato, sono sfuggito a questa parola che più del vino e del gioco può rovinarti la vita [p. 214] Tant de fois, détournant le regard d‟un balcon plein de frangipaniers où j‟avais fixé deux yeux de feu le jour d‟avant, j‟ai fui devant ce mot qui peut vous démolir la vie plus que le vin et le jeu. [p. 341] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Salma [2] ~ Hectares GRADIT s.v. salma, s.f. usato con il significato di «antica unità di misura di liquidi e aridi, usata specialmente in Sicilia prima dell'adozione del sistema metrico decimale» TLF s.v. hectares, subst. masc. «mesure de superficie égale à cent ares (symbole : ha). A sud della Valle del Bove una colata di lava aveva distrutto salme e salme di uliveti [p. 90] Au sud de la Vallée du Bœuf une coulée de lave avait détruit des hectares et des hectares d‟oliveraies. [p. 145] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Scantare [9] ~ Épouventer PIC-TRO s.v. scantari, v. intr. che propriamente significa «spaventarsi». TLF s.v. épouventer, v. tr., emploi pronom. à valeur passive ou subjective «èprouver de l'épouvante». Che c'è? Ti scantasti? Ti scantasti al pensiero della perdizione a cui sarei andata incontro restando nel mondo? Ma la Madonna mi ha illuminata in tempo, come farà con te [p. 27] Qu‟arrive-t-il? Tu es épouvantée? Tu es épouvantée à la pensée de la perdition dans laquelle j‟aurais été entraînée en restant dans le monde? Mais la Vierge m‟a éclairée à temps, comme elle le fera pour toi. [p. 31] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 248 Scarrozzata [1] ~ Course en voiture PIC-TRO s.v. scarruzzari, v. trans. che propriamente significa «portare qualcuno su un veicolo o anche a piedi e lasciarlo lì ad aspettare». TLF s.v. course, subst. fém. «action de courir». Domani, invece di farti quella scarrozzata fino al paese, puoi venire a messa con noi, a mezzogiorno [p. 57] Demain, au lieu de t‟infliger cette course en voiture jusqu‟au village, tu peux venir à la messe avec nous, à midi. [p. 92] La traduzione non rispetta né il significato né il registro. Scazziddu475 [1] ~ De rien du tout PIC-TRO s.v. scazziddu, agg. che significa «persona di piccola statura; moccioso» TLF s.v. rien, adv. compl. du n. «de peu d'importance, sans valeur, sans intérêt». Visto che voscenza ci tiene tanto, ma visto pure che „na scazzidda di carusa è, posso almeno chiamarla padroncina? [p. 90] Vu que Votre Honneur y tient tellement, mais vu aussi que c‟est une gamine de rien du tout, puis-je au moins l‟appeler petite patronne? [p. 145] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Scazzittula [2] ~ De rien du tout Secondo Rohlfs scazzittula deriverebbe da scazziddu + doppio prefisso 476. TLF cfr. scazziddu. „Na scazzittula di carusa mi parevi, dall‟alto dei miei anni e esperienza [p. 203] Tu me semblais une gamine de rien du tout, du haut de mes années et de mon expérience. [p. 323] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 475 476 Cfr. anche Rohlfs, Nuovo Dizionario dialettale della Calabria, Longo Edizioni, Ravenna, 1977. Ibidem. Cfr. il sito della Université de Nice Sophia Antipolis: http://www.unice.fr 249 Scerra [2] ~ Dispute PIC-TRO s.v. sciara, s. f. che significa letteralmente «lite». TLF s.v. dispute, subst. fém. «discussion ou débat plus ou moins âpre et violent entre plusieurs adversaires ou plusieurs partis». Non dovevo nominare il vecchio Carmine, lui lo chiamava così, sciarra grande nasceva dicendo quel nome p. [244] Il ne fallait pas que je prononce le nom du vieux Carmine, c‟est lui qui l‟appelait ainsi, une terrible dispute éclatait quand on disait ce nom. [p. 387] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Sciccareddu [2] PIC-TRO s.v. sceccu, s. m. che significa «asino, somaro». Uno sciccareddu sugnu oggi zia [p. 466] Un sciccareddu, je suis aujourd‟hui, tata. [p. 737] Sdilinquiri [1] ~ Chiffes molles PIC-TRO s.v. sdillinari, v. tr. che significa «stancarsi, tanto da perdere il fiato». TLF s.v. chiffe, subst. fém. «personne manquant de caractère, sans volonté, sans courage, sans énergie». – Ma finiscila! – Appunto! Io non ti voglio odiare, ho amore per gli uomini come Jacopo, Mattia… – Sdilinquiti, mamma! – Attento, Prando! perché ti posso anche rompere l'osso del collo se lo dici un'altra volta. – Calmo, Mattia, non ti offendere, non è colpa sua, è cresciuto | nel vivaio del Duce. [p. 480] – Mais arrête! – Justement! Je ne veux pas te détester, j‟ai de l‟amour pour les hommes comme Jacopo, comme Mattia… – Des chiffes molles, maman! – Attention, Prando! Parce que je peux aussi te casser le cou si tu le dis encore une fois. – Du calme, Mattia, ne t‟offense pas, ce n‟est pas sa faute, il a grandi dans le vivier du Duce! [p. 758] La scelta della traduttrice sembra non rispettare molto il testo di partenza, in quanto lo sdilinquiti pronunciato da Prando è rivolto nei confronti della madre (Modesta), con la quale sta litigando. Il verbo contiene il senso di frustrazione del ragazzo che vuole fare tacere la madre, augurandosi e quasi ordinandole che lei esaurisca le proprie forze. Nel testo in francese tutto ciò viene perduto, essendo l‟esclamazione di Prando rivolta agli uomini apprezzati dalla madre (Jacopo, Mattia), nei confronti dei quali la Castagné fa sbottare a Prando che si tratta di pappe molli. 250 Sciapo [1] ~ Insipide GRADIT s.v. sciapo, agg. che figuratamente significa «insulso, sciocco» [RE centr.]. TLF s.v. insipide, adj. «[en parlant d'une pers.] Qui manque de personnalité, de piquant». Sempre nell'acqua a sguazzare eh, Modesta? Mi piace „sto corpo scuro, non l‟avrei mai creduto. Prima mi piacevano le pelli bianche, ora mi sembrano sciapi quei corpi in confronto a te. [p. 245] Toujours dans l‟eau à barboter, hein, Modesta? J‟aime ce corps foncé, je n‟aurais jamais cru. Avant j‟aimais les peaux blanches, maintenant ces corps me semblent insipides à côté du tien. [p. 389] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Sfruculiare [1] ~ Asticoter PIC-TRO ari, s. m. che significa «stuzzicare, molestare; smaliziare con le cose del sesso». TLF s.v. asticoter, v. tr., fam. «agacer, irriter physiquement ou moralement un homme ou un animal par des taquineries ou des tracasseries insignifiantes mais fréquentes». Odiava Catania: catanisi soldu fausu, diceva sempre. E io mi divertivo a sfruculiarla [p. 66] Elle détestait Catane : catanisi soldu fausu 477 disait-elle toujours. Et je m‟amusais à l‟asticoter. [p. 107] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Sortita [2] ~ Sortie GRADIT s.v. sortita, s. f. che propriamente significa «l‟uscire, uscita» [RE centr.]. TLF s.v. sortie, subst. fém. «action de passer du dedans au dehors; action de quitter un lieu; moment où l'on quitte ce lieu». La sortita dal castello era stata una vera battaglia. Dentro le sue mura m‟ero sentita forte e sicura, ma era bastata quella casa, quel bambino all'abbeveratoio per far ritornare il passato [p. 104] La sortie du château avait été une vraie bataille. A l‟intérieur de ses murs, je m‟étais sentie forte et sûre de moi, mais il avait suffi de cette maison, de cet enfant à l‟abreuvoir pour faire ressurgir le passé [p. 170] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 477 Catanais fausse monnaie, pour l‟assonance, et pour le sens : faux jetons. 251 Sucari [2] ~ Devenir fondant/ Sucer la substance PIC-TRO s.v. sucari, v. tr. col significato di «succhiare»; usato come riflessivo assume il significato di «consumare, rinsecchire». TLF s.v. fondant, adj., fig. «tendre, amolli». TLF s.v. sucer, v. tr., «sucer la moelle (des os) de qqn; sucer qqn jusqu'à la moelle; sucer le sang de/à qqn. Dépouiller quelqu'un de toute son énergie (intellectuelle ou physique); exploiter totalement toutes les ressources d'une personne». (1a) Eh, principessa! L‟amore quando è troppo rammollisce. A me è successo una volta. Da lavoratore che ero, m‟ero sucato come „na candela [p. 94] (1b) Eh, princesse! L‟amour ramollit quand il est trop fort. A moi, ça m‟est arrivé une fois. De travailleur que j‟étais, j‟étais devenu fondant comme une bougie [p. 152] (2a) L‟amore suca, come vetro fa diventare! Per questo ti fuggivo al Carmelo. Chi mi cercò allora fino alla soglia della mia casa? [p. 96] (2b) L‟amour suce notre substance, il fait devenir comme du verre! C‟est pour ça que je te fuyais au Carmel. Qui m‟a cherché alors jusqu‟au seuil de ma maison? [p. 341] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Súsirisi [1] ~ Se lever PIC-TRO s.v. súsirisi, v. pronominale col significato di «alzarsi». TLF s.v. lever, v. tr. emploi pronom. «p. oppos. à s'asseoir] Se mettre debout». E brava, mi congratulo! Allora, súsiti e guardati intorno! La vedi la chiana? Come si chiama 'sta chiana, eh? Vediamo se sei degna di imparare [p. 8] Bravo! Félicitations! Alors, lève-toi et regarde autour de toi! Tu la vois cette plaine marécageuse? Comment s‟appelle cette plaine, hein? Voyons si tu es digne d‟apprendre. [p. 14] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 252 Tosto [9] ~ Effronté PIC-TRO s.v. tostu, agg. col significato di «sfacciato, sfrontato, irrequieto, turbolento». TLF s.v. effrontè, adj. «qui n'a honte de rien, qui se conduit d'une façon impudente ou inconvenante». „Sta picciridda ha avuto un‟uscita proprio degna di quella tosta carusa che è! [p. 79] Cette petiote a sorti une énormité vraiment digne de la fille effrontée qu‟elle est! [p. 128] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Vascia [3] ~ Plate PIC-TRO s.v. bbasciu, agg. usato col significato di «basso». TLF s.v. plate, adj. «qui n'est ni concave, ni convexe et ne présente ni creux, ni reliefs (ou peu prononcés)». Eh no! Questa terra vascia è! Che ne sanno qua dei campi di segala e di grano? [p. 204] Eh non! Cette terre est toute plate! Qu‟en savent-ils ici des champs de seigle et de blé? [p. 324] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Velluta [4] ~ velluta PIC-TRO s.v. villuta, s.f. usato propriamente nel significato di «prostituta». TLF s.v. embrumer. Non s'approfitta d'un abbraccio di riconoscenza, o del sonno o del dolore. E così mentre tu dormivi sono andato a calmare la mia arsura dalla velluta. [p. 407] On ne profite pas d‟un baiser de reconnaissance, ou du sommeil ou de la douleur. Aussi, pendant que tu dormais, je suis allé calmer ma brûlure auprès d‟une velluta. [p. 642] 253 Voscenza [41] ~ Madame PIC-TRO s.v. voscenza, allocutivo di cortesia usato propriamente con il significato di «vossignoria, vostra eccellenza». TLF s.v. madame, subst. fém. p. anal. «appellation employée pour désigner des femmes de la (haute) bourgeoisie, de la noblesse, d'une classe supérieure ou pour s'adresser à elles». Voscenza è troppo buona a commuoversi per quella li, non c'è da avere pietà per una sovversiva comunista! [p. 420] Madame est trop bonne de s‟émouvoir pour cette femme-là, il n‟y a pas à avoir de pitié pour une subversive communiste! [p. 662] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Vossignoria [3] ~ Mademoiselle PIC-TRO s.v. vossignoria, pronome allocutivo diseconda persona plurale con cui un soggetto di livello sociale inferiore si rivolge e oggigiorno sempre meno usato; viene usato propriamente con il significato di «vossignoria, vostra eccellenza». TLF s.v. mademoiselle, subst. fém., Vx. «titre employé pour désigner toute femme mariée qui n'était pas noble ou qui était noble mais non titrée ou pour s'adresser à elle». Non sta male, ringraziando Dio, non sta male. Allora posso andare? Bacio le mani a vossignoria [p. 44] Il ne va pas mal, Dieu merci, il ne va pas mal. Alors je peux m‟en aller? Je baise les mains de mademoiselle. [p. 118] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 254 Zoccola [1] ~ Rat d‟égout GRADIT s.v. zoccola, s. f. che propriamente significa «topo di fogna» [RE merid.]. TLF s.v. rat d‟égout, subst. masc., zool. «rat gris, rat d‟égout. Rat de grosse taille, gris clair venu d'Asie centrale en Europe qui vit dans les égouts et les caves et qui constitue l'espèce la plus commune». Si sta bene qua, eh micia? Con tutti questi alberi l‟occhio si riposa. Verde fuori, e dentro che pulizia! Ti ricordi come grattavano quelle zoccole nere? Sei stata proprio brava a non parlarne mai, Mody, te lo devo dire [p. 444] On est bien ici, hein, minette? Avec tous ces arbres, l‟œil se repose. Du vert dehors, et dedans, quelle propreté! Tu te souviens comme ils grattaient, ces rats d‟égout noirs? Tu as été vraiment courageuse de n‟en jamais parler, Mody, il faut que je te le dise. [p. 701] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 4.4.8.2 I dialettismi Con il termine di dialettismi478 o dialettalismi si intendono tutti quei lessemi di origine dialettale ammessi ormai a pieno titolo nella lingua nazionale e che quindi hanno una buona distribuzione su tutto il territorio. Anche in questo paragrafo si procederà all‟analisi del lemma in italiano e alla sua traduzione in francese, al fine di determinare le strategie traduttive che stanno alla base de L‟art de la joie. Coccolone [1] ~ Coup au coeur GRADIT s.v. coccolone, s. m. pop. che propriamente significa «colpo apoplettico; grosso spavento; colpo di sonno» [CO] [GRADIT s.v. coccolone]. TLF s.v. coup, subst. masc., synt., expr. coup + à + subst. coup au coeur (au fig.) «violente douleur morale». Non dormo se posso sentire le loro parole. E potrei fargli prendere un coccolone, come dice Nina, mettendomi a gridare o a ridere [p. 499] Je ne dors pas puisque je peux entendre leur dialogue. Et je pourrais lui faire attraper un coup au cœur, comme dit Nina, en me mettant à crier ou à rire. [p. 789] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 478 Cfr. Leone, op. cit., pp. 25, 85, 102. 255 Coppola [5] ~ Béret PIC-TRO s.v. coppola, s. f. usato col significato di «berretto, copricapo di varie forme». TLF s.v. béret, subst. masc. «coiffure large et plate que portent les hommes (notamment dans le sud-ouest de la France)». S‟era svincolato e si stava alzando. Stranamente non avevo più forza nelle braccia, ma quando lo vidi in piedi che raccoglieva la coppola da terra senza guardarmi, non facendocela ad alzarmi, mi rotolai in terra e con le braccia gli afferrai le caviglie [p. 9] Etrangement, je n‟avais plus de force dans les bras, mais quand je le vis debout, ramassant par terre son béret sans me regarder, n‟arrivant pas à me lever, je me roulai par terre et lui saisit de mes bras les chevilles. [p. 16] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Lupara [2] ~ Fusil PIC-TRO s.v. lupara, s. f. usato propriamente col significa di «pallettone». TLF s.v. fusil, subst. masc. «arme à feu individuelle constituée d'un canon long fixé sur une monture généralement en bois et comportant des dispositifs de visée et de mise à feu». E come fischiava la lupara o il coltello di notte! ma sono qua con te, e non me ne curo [p. 199] Et comme le fusil ou le couteau sifflaient dans la nuit! Mais je suis ici avec toi, et je ne m‟en soucie plus. [p. 317] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Mafia [2] ~ Mafia PIC-TRO s.v. mafia, s. f. usato propriamente nel significato di «organizzazione criminale clandestina siciliana». TLF s.v. mafia, subst. fém. «association généralement clandestine et redoutable d'individus dénués de scrupules». La mafia di Palermo e Monreale diciamo che l‟ha incoraggiato ad aderire all'Evis [p. 451] Disons que la mafia de Palerme et de Monreale l‟a encouragé à adhérer à l‟EVIS [p. 713] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 256 Mafioso [3] ~ Mafieux PIC-TRO s.v. mafiusu, agg. usato col significato «della mafia; caratteristico della mafia». LP-R s.v. mafieux, subst. masc. «membre de la Mafia» Due mafiosi brutti come l‟inferno, così brutti ca prima erano nominati gli angeli, poi erano spariti. Ma come si sa gli angeli volano, e come sono partiti ora sono tornati in braccio allo straniero. E questo ci dice ca niente va a cambiare [p. 175] Deux mafieux laids comme l‟enfer, si laids qu‟avant on les appelait les anges, puis ils ont disparu. Mais comme on sait, les anges volent, et comme ils sont partis ils sont maintenant revenus dans les bras de l‟étranger. Et ça, ça nous dit que rien ne va changer. [p. 707] Zozzona [1] ~ Salope GRADIT s.v. zozzone, s. m. e f. che propriamente significa «chi è molto sporco, chi non cura abitualmente la propria igiene e quella dell'ambiente in cui vive; chi si comporta in modo volgare, scurrile, osceno» [Dialettale romanesco]. TLF s.v. salope, subst. fém. pop. «femme débauchée, de mœurs dépravées, ou qui se prostitue». Chi sei? Perché ti faceva tante smancerie quella zozzona di suor Giuliana? E poi io non sono del continente: so‟ romana! [p. 420] Qui es-tu? Pourquoi est-ce qu‟elle te faisait tant de grâces, cette salope de sœur Giuliana? Et puis je ne suis pas du continent: j‟suis romaine! [p. 663] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 4.4.8.3 Ibridismi lessicali Gli ibridismi lessicali sono delle voci alla cui forma contribuiscono materiali e regole del dialetto, e materiali e regole dell‟italiano 479. Di seguito sono stati riportati i casi di maggiore interesse nel testo della Sapienza e commentati i casi notevoli nel testo in francese. 479 Cfr. Telmon, Varietà… cit., p. 131. 257 Abbruciacchiata [1] ~ Couverte de légeres brûlures PIC-TRO s.v. abbruçiari, v. tr. usato propriamente nel significato di «bruciare»; deriva da abbruçiari + -acchiato TLF s.v. brûlures, subst. fém. «lésion affectant la peau, certains organes et muqueuses, due au contact du feu, du froid, d'une substance chimique caustique, d'une électrode, au rayonnement d'une source de chaleur, à l'irradiation d'éléments radioactifs, etc.». Sotto un'ascella tu e sotto l'altra la povera Tina, tutta abbruciacchiata che sembrava un tozzetto di legna quando si fa il carbone [p. 14] Toi sous un bras et sous l‟autre la pauvre Tina, toute couverte de légères brûlures, on aurait dit un bout de bois quand on fait le charbon. [p. 23] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Addannarsi [6] ~ Enrager PIC-TRO s.v. addannàrisi, v. riflessivo usato propriamente nel significato di «dannarsi, andare all‟inferno»; anche «rodersi, arrabbiarsi»; in senso figurato è usato, come in questo caso, con il senso di «arrovellarsi, ammattire». Il dialettale addannàrisi è formato dal prefisso a + dannare. TLF s.v. enrager, v. tr. «mettre (quelqu'un) en rage, en colère». È questo che mi fa addannare! Anche morto mi farà addannare! [p. 492] C‟est ça qui me fait enrager! Même mort ça me fera enrager! [p. 777] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Labbruzze [5] ~ Jolies lèvres Il lemma è formato da labbra + il suffisso –uzze (modellato, probabilmente sul dialettale vuccuzza/uccuzza, con la ripresa del suffisso dialettale). TLF s.v. lèvre, subst. fém. «partie(s) charnue(s) et colorée(s), au nombre de deux, formant extérieurement le contour de la bouche». E se fossi un‟ape non avrei altro desiderio che di posarmi sul bocciolo di rosa che sono le tue labbruzze [p. 31] Et si j‟étais une abeille je n‟aurais pas d‟autre désir que de me poser sur le bouton de rose que sont tes jolies lèvres. [p. 51] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 258 Malosangue [1] ~ Hostilité PIC-TRO s.v. malusangu, s.m. usato propriamente con il significato di «ruggine, rancore»; a Catania significa anche «persona malefica». Il lemma è formato da malu + sangu con adeguamento fonologico all‟italiano. TLF s.v. hostilité, subst. fém. «sentiment d'inimitié plus ou moins déclarée». E mi fa piacere constatare che voci sconsiderate erano quelle che affermavano che fra i Tudia e i Brandiforti malosangue correva [p. 218] Et je suis heureux de constater que c‟étaient des bruits sans fondement que ceux qui affirmaient qu‟entre les Tudia et les Brandiforti il y avait de l‟hostilité. [p. 347] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Scassapagliai [1] ~ Balourd PIC-TRO s.v. scassapagghjara, s. m. che significa «ladruncolo, ladro da strapazzo»; da scassa + pagghjara (con adattamento fonologico all‟italiano). TLF s.v. balourd, subst. masc et fém. «Personne à l'esprit obtus». Ma sì, principessa, la figlia di quello scassapagliai che fu ammazzato nell‟agrumeto di Licosa, e che dopo sposata non volle più venire, si ricorda? [p. 96] Mais si, princesse, la fille de ce balourd qui a été tué dans l‟orangeraie de Licosa, et qui n‟a plus voulu venir une fois qu‟elle a été mariée, vous vous souvenez? [p. 155] La traduzione non rispetta né il significato né il registro. 4.4.8.4 Espressioni fisse trasferite dal dialetto alla lingua In questo paragrafo verranno inserite le espressioni mutuate dal dialetto che non hanno subito un processo di adattamento fono-morfologico all‟italiano. Si procederà quindi all‟analisi del lemma in italiano e alla sua traduzione in francese, al fine di indagare le scelte stilistiche della Castagné che, come si vedrà, preferisce sovente una resa standard alla possibilità di connotare la lingua mediante scelte linguistiche che sconfinino nel substandard. 259 Cascari „nto‟ sonnu [1] ~ tu dors La locuzione verbale cascari „nto‟ sonnu viene usata col significato di addormentarsi. Chiusi gli occhi in attesa della condanna. Non mi avrebbe più neanche permesso di guardarlo. - Chi fai scimuzza, cascasti „nt‟o sonnu? [p. 7] Je fermai les yeux dans l‟attente de la condamnation. Il ne me permettrait même plus de le regarder. - Qu‟est-ce que tu fais, bécassote, tu dors? [p. 13] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Catanisi soldu fausu [1] PIC-TRO s.v. fausu, agg. che in senso figurato può significare «ingannatore, sleale», ma viene usato anche nell‟accezione di «falso, specialmente di moneta». Piccitto cita, nelle due voci riportate, Trischitta Mangiò Giuseppe, autore di un Vocabolario siciliano italiano per tutti (inedito e compilato tra il 1875 e il 1930, giunto alla voce „a fimminina). Qui soddu fausu ha il significato di «falso, falsificato». Con la tata, quando eravamo sole, „u parravamu sempri. A me piace tanto, ma in casa è proibito: francese, inglese, italiano, ma niente siciliano. Quante cose mi raccontava! Mi parlava sempre in siciliano, anzi in palermitano. Lei era di Palermo, e ne era molto orgogliosa. Odiava Catania: catanisi soldu fausu, diceva sempre. E io mi divertivo a sfruculiarla [p. 66] Avec ma nounou, quand nous étions seules, „u parlavamu sempri, nous le parlions tout le temps. J‟aime beaucoup le parler, mais à la maison c‟est interdit : français, anglais, italien, mais pas de sicilien. Que de choses elle me racontait! Elle me parlait toujours en sicilien, ou mieux en palermitain. Elle était de Palerme, et elle en était très fière. Elle détestait Catane : catanisi soldu fausu 1 [p. 107] 1 Catanais fausse monnaie, pour l‟assonance, et pour le sens : faux jetons. 260 Cancia la vita quannu „u padri mori [1] ~ Le vie change quand votre père meurt L‟espressione non risulta tra le espressioni idiomatiche inserite sul PIC-TRO. Sono il padrone ora e devo essere cauto. Cangia la vita quannu „u padri mori. Mattia s‟è fatto vecchio in poche ore, e le sue radici nella terra da solo deve ripiantare, tu mi devi aiutare Modesta, mi devi insegnare! [p. 240] La vie change quand votre père meurt. Mattia s‟est fait vieux en quelques heures, et il lui faut replanter tout seul ses racines dans la terre, tu dois m‟aider, Modesta, tu dois m‟apprendre! [p. 381] Cocciu di tacca [1] PIC-TRO s.v. cocciu, s. m. che nell‟accezione di cocciu ri tacca significa «birba matricolata». Guarda, carusa, ca i nervi mi fai saltare. Giuraddio ca me figghiu pari! Lazzarolu e cocciu di tacca come a Mattia [p. 201] Fillette, tu vas me faire sortir de mes gonds. Pardieu qu‟on dirait mon fils! Lazzarolu et cocciu di tacca comme Mattia. [p. 320] Infine, per i testi delle canzoni popolari siciliane – come nel caso di Liu-là480, di una ninnananna popolare calabro-siciliana481, di Quant‟è laria la me zita 482 e di Sciccareddu di lu me cori 483 – la traduttrice preferisce non tradurre e inserire una nota in cui parafrasa il contenuto del testo. 480 «Bedda p‟amari a tia „stu cori chianci. Sinceramenti senza ca si fingi. Cugghiennu alivi pi „sti munti santi. Bedda p‟amarì a tia „stu con chianci», p. 460 481 «Ooh, ooh, ooh, dormi figghia, fa la “O”. E si Beatrice nun voli durmiri coppa nno‟culu sa quantu n‟ha aviri. Ooh, ooh, ooh. Dormi bedda, fa la “O”», p. 66. 482 «Quantu è lana la mi zita, malanova di la sua vita. Ah, lana e, cchiù laria d‟idda nun ci nn‟è. Havi i spaddi vasci vasci ca mi paru fiu du cosci. Ah, laria è, cchiù laria d‟idda nun ci nn‟è», p. 460. 483 «Asinello, „u sacciu. La so la canzone io: Sciccareddu di lu me cori», p. 466. TLF s.v. embrumer 261 4.4.8.5 Innesti fraseologici dialettali riadattati in italiano In questa sezione si riporteranno gli innesti fraseologici dialettali che hanno subito un adattamento fonomorfologico perché risultassero comprensibili in italiano. Verranno poi analizzati nella loro traduzione in francese, al fine di indagare le scelte stilistiche della Castagné che, come si è detto, preferisce spesso una resa standard alla possibilità di scelte stilistiche più marcate. Baciare le mani [4] ~ Baiser les mains GRADIT s.v. baciare, loc. verbale usata propriamente con riferimento al valore simbolico del gesto, come formula di saluto ossequioso, nell'Italia meridionale. TLF s.v. baiser v. tr. «effleurer, toucher de ses lèvres quelque partie d'une personne (surtout la main, la joue) ou quelque objet la symbolisant. En signe de politesse, en hommage galant». – No, grazie Pietro, volevo solo sapere di Ippolito. – Non sta male, ringraziando Dio, non sta male. Allora posso andare? Bacio le mani a vossignoria [p. 65] – Non merci, Pietro, je voulais juste avoir des nouvelles d‟Ippolito. – Il ne va pas mal, Dieu merci, il ne va pas mal. Alors je peux m‟en aller? Je baise les mains de mademoiselle. [p. 118] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. Fare meraviglia [3] ~ Surprendre PIC-TRO s.v. maravigghia, loc. verbale nun avi a-ffari maravigghia usato con il significato di «non deve stupire». TLF s.v. surprendre, v. tr. «causer de l'étonnement à quelqu'un (par un comportement, une attitude)». - A misura di mano, Modesta, la pipa ha da essere. Mia nonna una così ne fumava, davanti alla casa, nelle sere d'estate sotto l'albero di gelso. - Tua nonna fumava? Mi fa meraviglia. [p. 111] La pipe doit être à la mesure de la main, Modesta. Ma grand-mère en fumait une comme ça, devant la maison, dans les soirs d‟été sous le mûrier. Ta grand-mère fumait? Ça me surprend. [p. 340] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 262 Guardare le mosche [1] ~ Regarder les mouches PIC-TRO s.v. musca, loc. verb. taliari i muschi usato con il significato di «non far nulla, perdere tempo». TLF s.v. mouches, loc. Gober les mouches, regarder voler les mouches, attraper les mouches, compter les mouches (fam.) «perdre son temps à ne rien faire, s'ennuyer». La calura è proprio andata via e l‟aria è fresca. Il fango in poche ore s‟è seccato, il vento s‟è seccato, il canneto è fermo e non grida come ieri. Devo guardare bene: dove le canne si muovono, c‟è Tuzzu. - Che fai lì come una scema? Guardi le mosche? - Te cercavo, e scema non sono! Te cercavo, hai finito? [p. 7] La grosse chaleur est vraiment passée et l‟air est frais. La boue s‟est asséchée en quelques heures, le vent s‟est asséché, la cannaie est immobile et ne crie pas comme hier. Il faut bien regarder : là où les roseaux bougent, là se trouve Tuzzu. Que fais-tu là comme une crétine? Tu regardes les mouches? Je te cherchais, et je ne suis pas une crétine! Je te cherchais, tu as fini? [p. 12] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. La scopa scopa bene scopa quando è nuova [1] ~ Tout nouveau tout beau PIC-TRO s.v. scupa, loc. che ricalca il proverbio siciliano scupa nova scrusciu fa. TLF s.v. nouveau, adj., exp. Tout nouveau tout beau «ce que l'on découvre paraît plein d'attraits». Eh Mody, la scopa scopa bene quando è nuova! La vedessi ora, un‟arpia con la sua cameriera! E quello che Pietro non può tollerare, dispotica e dura pure col signor principe. Quella ha deciso di farlo fuori e sposarsi: lo vedo io come gira gli occhi a destra e manca! [p. 461] Eh, Mody, tout nouveau tout beau! Si tu la voyais maintenant, une véritable harpie avec sa femme de chambre! C‟est ça que Pietro ne peut pas supporter, despotique et dure y compris avec le prince. Cette femme-là a décidé de se débarrasser de lui et de se marier : je le vois, moi, comme elle regarde à droite et à gauche! [p. 728] La traduzione rispetta sia il significato che il registro. 263 Mamma di latte [1] ~ Mère de lait PIC-TRO s.v. latti, loc. sostantivale mamma i latti usato in riferimento a «bambino allattato da donna diversa dalla madre». - Perché mi stai cantando la ninna nanna che mi cantava la tata. - La tata? - Sì, la mamma di latte, la balia. Si dice tata nel continente e così mi hanno insegnato a chiamarla. [p. 66] - Parce que tu me chantes la berceuse que me chantait ma nounou. - Votre nounou? - Oui, la mère de lait, la nourrice. On dit nounou sur le continent et on m‟a appris à l‟appeler ainsi. [p. 107] Non esistendo un‟espressione equivalente in francese, la traduttrice compie una traduzione letterale, poiché lo stesso testo originale le consente di spiegarne immediatamente il significato. Tornare abbasso [1] ~ Retourner en bas GRADIT s.v. abbasso, avv. meridionale con il significato di «giù, sotto». TLF s.v. bas. loc. adv. en bas «vers le bas, vers la terre». Attenta, signorina! Torni abbasso. L‟ho ammansito. Torni e faccia chiamare il dottore. Non è posto per lei, signorina! [p. 84] Attention, mademoiselle! Retournez en bas. Je l‟ai apaisé. Retournez en bas et faites appeler le médecin. Ce n‟est pas un endroit pour vous, mademoiselle! [p. 135] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. Torno torno [5] PIC-TRO s.v. tornu, loc. avv. tornu e-ttornu usata con il significato di «tutt‟intorno, intorno intorno». Per carità di Dio! A parte che cascherei per le vertigini salendo torno torno per quelle scalette di ferro prima di arrivare in cima a quella torretta esile [p. 12] A part le fait que le vertige me ferait tomber si je montais par ces petites échelles extérieures en fer avant d‟arriver au sommet de cette tourelle étroite. [p. 37] Dileguo della locuzione. 264 Uscire con i piedi davanti [1] ~ Sortir avec les pieds devant PIC-TRO s.v. pedi, loc. verb. nesciri cchi pedi davanti usata con il significato di «morire». TLF s.v. sortir, v. intr., en sortir les pieds devant «quitter mort un lieu». Non è che sei la prima che vedo entrare dentro questo muro ragazzina bella dritta come un fuso e che a poco a poco s‟incurva come somaro carico, finché striminzita se ne esce coi piedi davanti, scusando l‟espressione, senza avere raggiunto il premio di una vecchiaia lunga e serena [p. 32] Ce n‟est pas que tu sois la première que je vois entrer dans ces murs jeunette, belle, et droite comme un cierge, et qui peu à peu se courbe comme un âne trop chargé, jusqu‟à ce que toute ratatinée elle en sorte avec les pieds devant, passe-moi l‟expression, sans avoir gagné la récompense d‟une vieillesse longue et sereine. [p. 53] La traduzione rispetta il significato ma non il registro. 265 5. Analisi sociolinguistica dei registri Il termine “registro” – sulla cui corretta definizione 484 in termini sociolinguistici non tutti sono d‟accordo – oggi pone non pochi problemi, sia perché non sempre è facile delimitare, distinguere ed enumerare i registri, sia perché «il continuum diafasico è oggi meno disperso e meno addensato delle altre dimensioni»485. Ciò nondimeno l‟attualità del dibattito è oggi confermato da una serie di monografie486 piuttosto recenti che prendono in esame la variazione di registro o di stile contestuale in relazione alle singole varietà. Com‟è noto, la variazione dei registri in Italia è molto meno marcata che in altre lingue, ed è rilevabile soprattutto a livello lessicale, dal momento che esso prevede scelte precise, «come mostrano alcuni studi sugli eufemismi, ma anche a livello morfo-sintattico»487. In alcuni casi poi la variazione di registro viene confusa con le variazioni sugli altri ordini linguistici, tanto che le etichette di qualificazione possono anche variare sensibilmente: si parla di registro popolare, colloquiale, familiare, e simili. Alcuni equivoci nascono dall‟applicazione terminologica discorde, visto che nella sociolinguistica italiana talvolta registro è sinonimo di varietà 488. In questa sede, coerentemente con le scelte metodologiche fatte nel corso di questo studio, verrà adottato il modello di registro proposto da Gaetano Berruto, che 484 Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., pp. 148-9. Molto spesso infatti la variazione di registro viene confusa con altre variazioni come l‟italiano popolare, l‟italiano colloquiale, quello familiare. Per il dibattito in atto cfr. Gaetano Berruto, La variabilità sociale della lingua, Loescher, Torino, 1980, pp. 44-55. 486 Sono stati condotti degli studi particolarmente interessanti sui registri sociolinguistici da illustri studiosi, come Maurizio Dardano e Francesco Sabatini. In particolare, Maurizio Dardano, propone una classificazione dei registri in otto categorie ben distinte: il registro aulico (o ricercato), colto, formale (o ufficiale), medio, colloquiale e informale. Il modello, com‟è facile intuire, implica un‟oggettiva difficoltà nello stabilire confini netti e precisi tra i vari registri, senza contare che l‟intersecarsi con le altre dimensioni di variazione complica ulteriormente le cose. Francesco Sabatini invece preferisce parlare di registri informali, di media informalità e informali, mentre Gaetano Berruto e individua registri bassi e alti e registri formali e informali. Cfr. Berruto, Sociolinguistica… cit., pp. 148-53. 487 Ivi, p. 148. 488 Ivi, p. 149. 485 266 distingue tra registri sociolinguistici alti e medioalti489, da quelli che chiama bassi, caratterizzati da una maggiore trascuratezza e informalità. Partendo dal presupposto che i registri più interessanti da indagare sono quelli tendenti verso l‟alto e verso il basso dell‟asse diafasico, nelle pagine che seguono si tenterà di tracciare un quadro, quanto più esauriente possibile, delle variazioni stilistico-espressive all‟interno del romanzo L‟arte della gioia, che presenta una forte escursione stilistica, oltre che, come si è già visto nel § 4.3, lessicale. Parallelamente, verranno indagate anche le scelte traduttive della Castagné che, come si vedrà nelle pagine che seguono, non sempre riesce a riprodurre in francese l‟ampia gamma di varietà stilistico-espressive presenti nel testo di partenza. 5.1 I registri alti I registri alti presentano tanto a livello fonologico, quanto a livello morfologico, sintattico e lessicale un livello di pianificazione molto elevato e accurato490. Essi infatti tendono a coincidere con lo scritto, «e allo vanno scritto tipico ricondotte fondamentalmente le loro caratteristiche» 491. A livello morfosintattico 492, i registri alti sono caratterizzati dalla prevalenza dell‟ ipotassi sulla paratassi, e da una sintassi elaborata e con numerosi incastri. Inoltre, è frequente il ricorso a subordinate implicite, con l‟uso di gerundi, nominalizzazioni e participi; inoltre, sono adoperati dei connettivi che esplicitano i legami tra le varie parti del discorso ed è spiccata la tendenza allo sviluppo argomentativo del discorso. A livello lessicale493, i registri alti sono dominati da un‟ampia variazione di lessemi non appartenenti al vocabolario di base, dall‟alta frequenza di significati astratti, dalla presenza di tecnicismi e da scelte lessicali auliche o lievemente arcaizzanti. È piuttosto frequente la tendenza alla verbosità con conseguente uso di perifrasi, circonlocuzioni e precisazioni. 489 I registri formale e medio coincidono con l‟italiano standard e l‟italiano neo-standard (regionale colto medio). Berruto, Sociolinguistica… cit, p. 148. 490 Ivi, p. 152. 491 Ibidem. 492 Ibidem. 493 Ivi, p. 154. 267 È ciò che accade in questo passo in cui la Sapienza descrive la città, la cui visione – che procede mediante l‟accumulazione di metafore – rimanda all‟idea della morte, esorcizzata attraverso l‟invito di oraziana memoria al carpe diem: (1a) La città insegnava. Quel potere di (1b) La ville instruisait. Ce pouvoir de cupole maestose, di palazzi e torri rapaci appena ingentiliti da trine di cancelli sdegnosi, sbarrava il passo al formicolio miserabile che si dissanguava a servire e sorridere, ricordando a tutti, ricchi e poveri, di accumulare denaro per combattere la paura della morte, una parola che in realtà non è più paurosa della parola malattia, schiavitù, tortura. Non mi sarei più confrontata con la morte, con quel traguardo che non più temuto fa eterna ogni ora goduta pienamente. Ma coupoles majestueuses, de palais et de tours rapaces à peine adoucis par des dentelles de grilles hautaines, barrait le passage au fourmillement misérable qui s‟épuisait à servir et sourire, rappelant à tous, riches et pauvres, d‟accumuler de l‟argent pour combattre la peur de la mort, mot qui en réalité n‟est pas plus effrayant que le mot maladie, esclavage, ou torture. Je ne me confronterais plus avec la mort, avec cette ligne d‟arrivée qui, si on ne la redoute plus, rend éternelle chaque heure pleinement savourée. Mais il fallait être libre, profiter de chaque bisognava essere liberi, approfittare di ogni attimo, sperimentare ogni passo di quella passeggiata che chiamiamo vita. Liberi di osservare, di studiare, di guardare dalla finestra, di spiare fra quel bosco di palazzi ogni luce che dal mare si insinua fra le imposte [p. 131] instant, expérimenter chaque pas de cette promenade que nous appelons vie. Libre d‟observer, d‟étudier, de regarder par la fenêtre, de guetter à travers cette forêt d‟édifices chaque lumière qui de la mer se glisse entre les volets…[p. 208] Si notino le metafore «torri rapaci» e «cancelli sdegnosi» che fanno da preludio al climax «malattia», «schiavitù», «tortura». Infine, va notata la verbosità che deriva dalla variatio «liberi di osservare, di studiare, di guardare dalla finestra, di spiare», ottenuta mediante la ripresa anaforica della preposizione di. La traduttrice si mostra abbastanza a proprio agio con questo tipo di registro, riuscendo a mantenere intatte le metafore «tours rapaces» e «grilles hautaines» e la variatio verbale «d‟observer, d‟étudier, de regarder par la fenêtre, de guetter». Si coglie solo una piccola differenza nella resa dello stile quando, al climax ascendente la Castagné preferisce sostituire un‟altra variatio «maladie, esclavage, ou torture». 268 Come si è detto più volte nel corso di questo studio, nel romanzo i registri alti e mediolati vengono adoperati in contesti comunicativi particolarmente formali da personaggi che padroneggiano la lingua con consapevolezza come Modesta, Timur, Joyce e Carlo. Nel brano che segue la protagonista ricorda i primi momenti trascorsi con madre Leonora, quando era stata accolta nel convento, dopo l‟incendio che Modesta stessa aveva appiccato per affrancarsi dalla condizione di miseria dalla quale – senza la morte della madre e della sorella – non avrebbe mai potuto liberarsi. (2a) La voce prometteva una ninna (2b) La voix promettait une berceuse nanna calda e morbida di lenzuoli profumati e racconti avventurosi di chaude et douce de draps parfumés et de récits aventureux de reines et de regine e reggenti, assedi e guerre e tormenti. Nella voce soave e danzante rois, d‟assauts, de guerres et de tortures. Dans la voix suave et dansante di madre Leonora, eserciti avanzavano con corazze d‟oro e d‟argento. Armate nemiche, orde selvagge fuggivano scacciate dalla sua mano d‟ala di de mère Leonora, des armées avançaient revêtues de cuirasses d‟or et d‟argent. colomba alzata verso il sole. Uomini neri e cattivi, turbe di senzadio da assoggettare alla buona legge dettata dalla Croce. La piccola stanza odorosa colombe levée vers le soleil. Des hommes noirs et méchants, des foules d‟hommes sans Dieu à assujettir à la juste loi dictée par la Croix. La petite di confetto si popolò di paladini e santi e vergini votati a Dio, che, malgrado i tranelli e i tormenti, nessuno riusciva a distogliere dalla loro fede. Sant‟Agata pièce au parfum de dragée se peupla de paladins et de saints et de vierges consacrés à Dieu, que, malgré les embûches et les supplices, personne ne era bellissima [p. 18] parvenait à détourner de leur foi. Sainte Agathe était magnifique. [p. 30] Armées ennemies, hordes sauvages fuyaient chassées par sa main d‟aile de Le parole di madre Leonora sembrano richiamare, almeno nell‟incipit, la cadenza avvolgente di una ninna nanna, in cui si alternano «lenzuoli profumati» a «racconti avventurosi», questi ultimi mutuati – con ogni probabilità – dalle canzoni di gesta epiche. La scansione regolare degli accenti sulla penultima sillaba di ogni parola ricordano il ritmo delle antiche canzoni di gesta: «raccònti avventuròsi di regìne e reggènti, assèdi e guèrre e tormènti». Si noti poi l‟assonanza in e, oltre che l‟uso del polisindeto («assedi e guerre e tormenti») e della figura etimologica (regine e reggenti), con la ripetizione della stessa radice etimologica. 269 Inoltre, l‟accumulo – al limite della ridondanza – di immagini bellicose è mitigato dal ritmo modulato sulla variatio («armate nemiche, orde selvagge»; «uomini neri e cattivi, turbe di senzadio»), sull‟assonanza («dalla sua mano d‟ala di colomba alzata») e sulla consonanza (in particolare delle liquide, come in «eserciti avanzavano con corazze d‟oro e d‟argento»), che sembrano dilatare la narrazione e rallentare il ritmo. I richiami fortemente allitteranti alla guerra («tranelli e tormenti») e – nella seconda parte del testo – alle Crociate si risolvono nell‟immagine rassicurante di «una piccola stanza odorosa di confetto» e, in quella ancor più rassicurante, per la neofita Modesta, della bellissima Sant‟Agata. In francese non sono stati resi né le figure di suono né il ritmo, sia per l‟oggettiva difficoltà di tale operazione, sia per stessa ammissione della traduttrice che, durante l‟incontro più volte citato494, ha dichiarato di non averle ravvisate. Ciononostante, viene conservato un registro alto grazie al mantenimento delle altre figure di stile, quali la variatio «armées ennemies, hordes sauvages» e la figura etimologia «de reines et de rois». Inoltre, l‟uso del lessico è sempre adeguato nel registo e fedele al testo di partenza. Più volte, lungo il romanzo, Modesta viene paragonata a un cantastorie 495 che, com‟è noto, per cercare il contatto con il proprio interlocutore adopera formule fatiche. È ciò che accade nel brano che segue, in cui la voce narrante di Modesta – rivolgendosi direttamente ai propri lettori («non starò a raccontarvi passo per passo la lotta che ognuno conosce per dimenticare») rievoca la ricerca estenuante, non priva di sacrifici, che l‟ha condotta alla conquista delle parole: 494 Cfr. § 3.4. Nell‟incipit del romanzo, quando Modesta chiede a Tuzzu di descriverle il mare, il ragazzo rimane stupito dalla vena affabulatoria della bambina – la cui lingua è ancora fortemente impregnata del dialetto – che paragona il mare a «una chiana d‟acqua blu come i tuoi occhi che si vanno a unire al cielo della tua fronte!». Tuzzu, colpito da tanto acume, risponde così: «Ma guarda che pensieri! Un cantastorie mi pari, giuraddìo ca un cantastorie mi pari!» (p. 8). Questo motivo tornerà diverse volte nel romanzo: «Carmine diceva che gli sembravo un cantastorie, e anche Tuzzu, credo. Si perdono i ricordi, Carlo, è terribile!». Sapienza, L‟arte… cit., p. 243. 495 270 (3a) Non starò a raccontarvi passo per (3b) Je n‟irai pas vous raconter pas passo la lotta che ognuno conosce per dimenticare. Soffrii esattamente come après pas le combat que chacun mène pour oublier. Je souffris exactement tutti. Ma l‟amore non è assoluto e nemmeno eterno, e non c‟è solo amore comme tout le monde. Mais l‟amour n‟est pas absolu et pas davantage fra uomo e donna, possibilmente consacrato. Si poteva amare un uomo, éternel, et il n‟y a pas seulement de l‟amour entre un homme et une una donna, un albero e forse anche un asino, come dice Shakespeare. femme, éventuellement consacré. On pouvait aimer un homme, une femme, Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la un arbre et peut-être même un âne, comme le dit Shakespeare. parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco Le mal réside dans les mots que la tradition a voulu absolus, dans les significations dénaturées que les mots continuent à revêtir. Le mot amour che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali. E poi, ripulirle mentait, exactement comme le mot mort. Beaucoup de mots mentaient, ils mentaient presque tous. Voilà ce que je devais faire : étudier les mots dalla dalle exactement comme on étudie les incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l‟uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, plantes, les animaux… Et puis, les nettoyer de la moisissure, les délivrer des incrustations de siècles de tradition, en inventer de nouveaux, et surtout écarter pour ne plus m‟en servir ceux que l‟usage abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione [p. 134] quotidien emploie avec le plus de fréquence, les plus pourris, comme : muffa, liberarle sublime, devoir, tradition, abnégation, humilité, âme, pudeur, cœur, héroïsme, sentiment, pitié, sacrifice, résignation. [p. 214] Il brano sembra quasi una dichiarazione di poetica personale: se nelle pagine precedenti Modesta si era appropriata delle parole, affrancandosi da una condizione di povertà materiale e, di conseguenza, linguistica, adesso la protagonista può addirittura affermare di voler «ripulire le parole», liberandole dalle incrostazioni del passato. La forte presa di posizione della protagonista è sottolineata dalla ripresa anaforica di mentire Ŕ «mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. 271 Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte» Ŕ con la quale l‟autrice sembra voler chiudere definitivamente con una stagione della vita di Modesta, consegnandola più libera e consapevole alla sua nuova esistenza. Il testo in francese rispetta appieno questo disegno stilistico-semantico, conservando la figura retorica – «le mot amour mentait, exactement comme le mot mort. Beaucoup de mots mentaient, ils mentaient presque tous» – e mantenendo inalterato il registro lessicale. Secondo Modesta quindi bisogna affrancarsi dall‟accumulo dei termini astratti spesso abusati dalla tradizione letteraria, a tutto vantaggio dei neologismi. «Studiare le parole come si studiano le piante» potrebbe essere quindi alla base del “metodo scientifico” di Modesta: è Joyce, la donna inglese di cui la protagonista si innamorerà, che «dipana con la sua voce melodiosa ogni ostacolo, rivelando un mondo impensato di parole rinnovate, di miti rivisitati, emozioni, fatti, passioni radicalmente strappati alla vecchia cultura e fatti scivolare sotto il limpido vetro scientifico dell‟analisi freudiana»496. Se a Joyce è affidato quest‟importante compito, il suo stile comunicativo non potrà non essere orientato verso un registro alto, come si può apprezzare nel brano seguente, in cui le due donne discutono della Sicilia e delle bellezze che questa terra offre: (4a) – Non ero mai stata in Sicilia e non potevo immaginare. – Che cosa Joyce? – Quanto il vostro paese fosse simile al mio. La luce, i visi severi dei contadini, i fantasmi! – Fantasmi? – Sì, qui ogni vicolo, ogni palazzo, forse è il vostro barocco austero e candido, (4b) – Eh oui, heureuse comme alors ! Et peut-être qu‟en parlant avec vous je commence à en comprendre la raison. Je n‟avais jamais été en Sicile et je ne pouvais pas imaginer. – Quoi donc, Joyce ? – Combien votre pays était semblable au mien. La lumière, les visages sévères des paysans, les fantômes ! anche se può sembrare un controsenso, le vostre fontane, le antiche melodie, non – Les fantômes ? – Oui, ici chaque chemin, chaque so, tutto rievoca fantasmi e voci conosciute. Spesso, mentre passeggio, ho palais, peut-être est-ce votre baroque austère et naïf, même si cela peut la sensazione precisa di sentire il lamento del muezzin e mi trovo ad alzare lo sembler un contresens, vos fontaines, les vieilles mélodies, je ne sais pas, tout 496 Sapienza, L‟arte… cit., p. 312. 272 sguardo in cerca di quel grido di pietra évoque puntato contro il cielo, che per i religiosi in Turchia è il minareto. Per me non Souvent, quand je me promène, j‟ai la sensation précise d‟entendre la plainte du sono che gridi pietrificati dal terrore muezzin et je me retrouve à lever les yeux à la recherche de ce cri de pierre per quel cielo spietato che schiaccia l‟anima impaurita al suolo… [p. 282] fantômes et voix connues. lancé contre le ciel, qu‟est pour les religieux en Turquie le minaret.! Pour moi ce ne sont que des cris pétrifiés par la terreur de ce ciel impitoyable qui écrase au sol l‟âme apeurée… [p. 446] Come si vede, il registro della donna algida dai «lineamenti di marmo» 497 è dominato dalla variatio («ogni vicolo, ogni palazzo»), dalle dittologie («il vostro barocco austero e candido»), dalle riprese anaforiche («grido di pietra» che diventa «gridi pietrificati dal terrore per quel cielo spietato che schiaccia l‟anima impaurita al suolo»). Si può notare inoltre che lo stile elevato è ulteriormente confermato dalle figure retoriche presenti nel testo (la sinestesia «gridi pietrificati» Ŕ con l‟uso del plurale gridi ad indicare la bestialità dell‟atto Ŕ e la metafora del cielo che «schiaccia l‟anima impaurita») e dall‟uso di termini specialistici come muezzin (GRADIT s.v. muezzin, s. m. «persona che, dall'alto del minareto, invita i fedeli musulmani alla preghiera canonica cinque volte al giorno» [TS relig.]) e minareto (GRADIT s.v. minareto, s. m. «costruzione a forma di torre, annessa alle moschee musulmane, avente alla sommità un terrazzo o un ballatoio da cui il muezzin chiama i fedeli alla preghiera»[TS relig.]). La traduzione viene condotta con estremo rispetto di tutte le figure di stile presenti nel testo italiano, dalla variatio («chaque chemin, chaque palais»), le dittologie («baroque austère et naïf ») e le riprese anaforiche («cri de pierre» / «cris pétrifiés»), alla sinestesia («cris pétrifiés») e alla metafora («ciel impitoyable qui écrase au sol l‟âme apeurée») unitamente al registro lessicale, che si mantiene elevato. L‟incontro con Joyce, uno dei personaggi centrali del romanzo, permetterà a Modesta di ri-analizzare il passato, non più alla luce del deludente Idealismo o del decrepito Positivismo ma, come si può evincere dal brano qui riportato, attraverso un approccio psicanalitico: 497 Sapienza, L‟arte… cit., p. 347. 273 (5a) La memoria come chiave della nuova (5b) La mémoire comme clef de la visione diviene ora il mezzo primo per consentire il viaggio a ritroso nei boschi nouvelle vision devient maintenant le premier moyen de permettre le voyage à sotterranei dei ricordi apparentemente dimenticati, ma che riportati alla luce, rebours dans les forêts souterraines des souvenirs apparemment oubliés, mais riordinati, liberati da muffe e croste rivelano mosaici di gemme splendenti per la comprensione della vita propria e degli altri. Modesta, delusa dall‟antico qui, ramenés à la lumière, réordonnés, nettoyés de leurs moisissures et de leurs assetto idealistico e dal più giovane ma già decrepito positivismo, non può non sentire la novità e verità che Joyce ha portato nell‟isola, e non cercare di farla sua per sopravvivere in un mondo dove al compréhension de votre propre vie et de celle des autres. Modesta, déçue par le vecchio Dio falsi idoli barbarici si vanno sostituendo nelle strade, nelle piazze, nei nouveauté et la vérité que Joyce a amenée dans l‟île, et ne pas chercher à les faire parchi. Uscire, viaggiare ormai non è che sorbire veleno di frasi vuote, veleno di falso ordine e tronfio eroismo, mentre lì, accanto al nuovo barlume di intelligenza siennes pour survivre dans un monde où de fausses idoles barbares viennent se substituer à l‟ancien Dieu dans les rues, sur les places, dans les jardins publics. che emana dal viso di Joyce immobile davanti a lei, le ore, i mesi, gli anni Sortir, voyager n‟est plus désormais qu‟absorber un poison de phrases vides, un poison de faux ordre et d‟héroïsme bouffi, tandis que là, à côté de cette lueur nouvelle d‟intelligence qui émane du visage de Joyce immobile devant elle, les scorrono su binari oliati di un viaggio ancora più entusiasmante dello spostamento fisico [p. 312] croûtes, révèlent des mosaïques de pierres éblouissantes pour la vieux système de pensée idéaliste et par le positivisme, plus jeune mais déjà décrépi, ne peut pas ne pas sentir la heures, les mois, les années filent sur les rails huilés d‟un voyage encore plus enthousiasmant que le déplacement concret. [p. 496] Riemergono nuovamente le immagini che Modesta aveva usato per il suo “metodo scientifico”: le muffe e le croste del passato – simili alle vecchie incrostazioni del brano (3a) – nascondono metaforicamente «mosaici di gemme splendenti» che si schiudono attraverso l‟uso di varie figure retoriche, quali: il ricorrere di sinonimi («riportati alla luce, riordinati, liberati»), il climax («le ore, i mesi, gli anni»), l‟anafora («veleno di frasi vuote, veleno di falso ordine »), la litote («non può non sentire»), nonché mediante l‟enumerazione – quasi ossessiva – dei particolari («in un mondo dove […] si vanno sostituendo nelle strade, nelle piazze, nei 274 parchi») e l‟uso massiccio delle metafore che, non a caso, con l‟immagine del trascorrere degli anni si fissa nell‟ultima, incisiva, immagine finale degli anni che sembra viaggino su binari oliati. La Castagné, con zelo, registra in francese tutti i fenomeni descritti. Se Joyce è uno dei personaggi centrali del romanzo, un ruolo non meno importante avrà il fratello di lei, Timur, archeologo nazista e fedele seguace di Himmler, il cui stile comunicativo – come si vedrà più avanti – sembra talvolta trascolorare nell‟affettazione espressiva. Di seguito viene riportato il primo incontro tra la protagonista del romanzo e Timur: (6a) Le confesso, principessa, che non (6b) Je vous avoue, princesse, que je finisco mai di stupirmi dell‟eleganza del n‟en finis pas de m‟étonner de l‟élégance nostro popolo. A volte mi sono scoperto a contemplare, dimentico di un appuntamento, i gesti essenziali e aerei che un nostro qualsiasi metropolitano ha de notre peuple. Parfois je me suis surpris à contempler, oublieux d‟un rendez-vous, les gestes essentiels et aériens que le moindre agent de police a chez nous pour nel dirigere il traffico. Può suonare esagerato, ma quei gesti m‟hanno sempre diriger la circulation. Cela peut paraître exagéré, mais ces gestes m‟ont toujours richiamato più i gesti di un grande direttore d‟orchestra che di un soldato. E così lei, non è indiscrezione, mi creda, ma solo ammirazione che mi forza a fissarla così, lei ha una grazia antica, solenne, così rara in quest‟èra tutta protesa a rendere la donna robusta e atletica per metterla in grado di tenere il passo dell‟uomo nelle sfilate [p. 362] rappelé plus les gestes d‟un grand chef d‟orchestre que ceux d‟un soldat. Et ainsi vous – ce n‟est pas de l‟indiscrétion, croyez-moi, mais seulement de l‟admiration qui me force à vous fixer ainsi –, vous avez une grâce antique, solennelle, si rare en cette époque qui tout entière tend à rendre la femme robuste et athlétique pour la mettre en mesure de marcher du même pas que les hommes dans les défilés. [p. 574] Fin dalle primissime battute il registro espressivo di Timur è orientato verso la manierata affettazione che permea, come si vedrà, tutto il suo stile comunicativo. Si noti, ad esempio, come l‟incipit del discorso assuma le movenze di una dichiarazione d‟amore verso l‟Italia, di cui si sente figlio (non a caso usa il possessivo nostro in riferimento al popolo italiano, al quale è legato da una sorta di affinità artisticosentimentale) e verso la quale si profonde in accumuli aggettivali sinonimici («i gesti essenziali e aerei») e in arditi eufemismi (il vigile urbano è chiamato «metropolitano» 275 e i gesti che compie dirigendo il traffico vengono assimilati ai gesti – ben più eleganti – di un direttore d‟orchestra). E se l‟incipit, come si è detto, assume i toni di una confessione quasi sussurrata, nel prosieguo del suo discorso Timur tenta di blandire Modesta con un complimento sulla sua grazia, alla quale l‟uomo attribuisce ben tre aggettivi («lei ha una grazia antica, solenne, così rara»). Da notare infine, la costruzione di una consecutiva molto elegante («è solo ammirazione che mi forza a fissarla così») mediante la personificazione in cui è l‟ammirazione che lo spinge verso la contemplazione estatica di una donna il cui profilo richiama quello di Artemide. A parte il leggero calo di registro nella resa di metropolitano con agent de police, la traduzione in francese mantiene gli stessi stilemi della versione italiana. Il manierismo di Timur, quasi come se fosse l‟aspetto verbale della sua fredda perfidia, continua a manifestarsi nel proseguimento del loro incontro: (7a) Le Olimpiadi di Berlino sono state una rivelazione entusiasmante. Sacrificate le trecce vincolanti, le loro teste libere erano degne delle nostre antiche Diane! Non si rattristi, la capisco perfettamente. Anche a me educato da una cultura esausta e corrotta è costato liberarmi da estetismi e mollezze, e non ho timore a confessarle che a volte nel lungo lavoro (7b) Les Olympiades de Berlin ont été une révélation enthousiasmante. Sacrifiées, les tresses contraignantes : leurs têtes libres étaient dignes de celles de nos antiques Dianes ! Ne vous attristez pas, je vous comprends parfaitement. A moi aussi, éduqué par une di rieducazione che mi sono imposto, alla luce dell‟assoluta verità di nuove idee vitali non più contemplative, la nostalgia di un mondo destinato a perire mi afferra. Ma so come soffocare queste leggere emicranie e rimettermi sulla strada sicura culture épuisée et corrompue, il m‟a coûté de me libérer de ces esthétismes et ces mollesses, et je ne crains pas de vous avouer que parfois, dans le long travail de rééducation que je me suis imposé, à la lumière de l‟absolue vérité des nouvelles idées vitales et non plus contemplatives, la nostalgie d‟un monde dell‟azione che finalmente è stata tracciata! A che servivamo noi piccoli o grandi intellettuali compiaciuti di astratte elucubrazioni poetiche mentre il nostro destiné à périr me saisit. Mais je sais comment étouffer ces légères migraines et me remettre sur le sûr chemin de l‟action enfin tracé ! A quoi servions-nous, nous popolo nella autres petits ou grands intellectuels, nous malattia e nell‟impotenza? […] Gli uomini come noi saranno spazzati via e al complaisant dans d‟abstraites élucubrations poétiques, tandis que nostro posto uomini e donne cresceranno integri e forti di una sola volontà! Se notre peuple continuait à moisir dans la maladie et dans l‟impuissance ? […] Les Joyce tanti anni fa avesse permesso un dialogo fra noi! […] Mi voglia perdonare hommes comme nous seront balayés et à notre place des hommes et des femmes continuava a marcire 276 questo lungo discorso, principessa, grandiront, intègres, et forts d‟une seule ispirato solo dal taglio dei suoi capelli così in contrasto col suo modo di volonté ! Si Joyce avait permis il y a des années qu‟un dialogue ait lieu entre muoversi, con la sua bellezza antica. Tutta la sua persona m‟aveva tratto in nous ! […]Veuillez me pardonner ce long discours, princesse, inspiré seulement par inganno. Ci vuole tempo per datare correttamente un vaso, una mano, un la coupe de vos cheveux, en tel contraste avec votre façon de bouger, avec votre torso mutilato. Osservando l‟assenza di capelli lunghi che il suo profilo evoca, beauté antique. Toute votre personne m‟avait induit en erreur… Il faut du avevo pensato, come dire? una mutilazione. Ma piano piano, in questa ora che la sua gentilezza m‟ha concesso, ho intravisto l‟arditezza di Artemide toxótis nel mento e nel suo collo, temps pour dater correctement un vase, une main, un torse mutilé. En observant l‟absence de ces cheveux longs qu‟évoque votre profil, j‟avais pensé, comment dire ? à une mutilation. Mais sicuramente voluto dal grande scultore che è la natura. Non si imbarazzi, non peu à peu, durant cette heure que vous m‟avez aimablement accordée, j‟ai sono complimenti, ma solo il giudizio distaccato dell‟intenditore. E se esteticamente ho compreso l‟intenzione dello scultore, psicologicamente i suoi entrevu la hardiesse d‟Artémis toxotis dans la ligne de votre menton et de votre cou, très sûrement voulue par ce grand sculpteur qu‟est la nature… Ne soyez pas capelli sacrificati alla libertà dei gesti mi spingono a illudermi che lei non è persa alla nostra causa. Noi abbiamo bisogno di donne come lei, come Joyce… […] Incontrando lei, la convinzione di Himmler, che da frecce e utensili gênée, ce ne sont pas des compliments, mais juste l‟appréciation détachée du connaisseur. Et si esthétiquement j‟ai compris l‟intention du sculpteur, psychologiquement, vos cheveux sacrifiés à la liberté des gestes me risalenti al tempo dei Siculi o prima si potrebbe dedurre una presenza germanica in quest‟isola, non mi appare più così priva di fondamento come al poussent à rêver que vous n‟êtes pas perdue pour notre cause. Nous avons besoin de femmes comme vous, comme Joyce…[…] Maintenant que je vous ai principio [p. 363] rencontrée, la conviction de Himmler, qu‟à partir de flèches et d‟outils remontant au temps des Sicules ou à plus tôt encore, on pourrait déduire une présence germanique dans cette île, ne me paraît plus aussi privée de fondement qu‟au début. [p. 574] In questo lungo passo Timur torna ancora una volta sulla bellezza di Modesta, benché lo faccia aprendo una parentesi sulle atlete della “Gioventù hitleriana”, le cui «teste libere erano degne delle nostre antiche Diane». L‟andamento aulico è senza 277 dubbio sottolineato dai frequenti riferimenti alla civiltà greca («antiche Diane», «Artemide toxótis»), e a al mondo classico, visto come ideale depositario di ogni bene («bellezza antica»). Si noti ancora come lo stile espressivo del personaggio sia dominato da un‟altissima concentrazione di dittologie, anche a breve distanza («una cultura esausta e corrotta è costato liberarmi da estetismi e mollezze»), di termini astratti («elucubrazioni poetiche», «l‟arditezza», «la sua bellezza antica») e di riferimenti culturali precisi, come, ad esempio all‟Artemide toxótis (dal gr. toxóτης, cioè arciere, che rimanda alla rappresentazione di Artemide con arco, frecce e faretra), alla psicanalisi e, non da ultimo, all‟Idealismo tedesco. Non meno significativo è l‟uso di una sintassi piuttosto articolata che si svolge intorno all‟ipotassi attraverso l‟uso di un periodare ampio in cui si arriva al secondo grado di subordinazione («non ho timore a confessarle che a volte nel lungo lavoro di rieducazione che mi sono imposto, alla luce dell‟assoluta verità di nuove idee vitali non più contemplative, la nostalgia di un mondo destinato a perire mi afferra»), mentre l‟oggettiva, introdotta dal verbo confessare, è posposta alla fine del periodo. Infine, va notato come Timur sciolga ogni dubbio sul legame – di cui aveva parlato in (6a) – che lega italiani e tedeschi: ammirando il profilo di Modesta può quasi «dedurre una presenza germanica in quest‟isola». Nella versione francese, Nathalie Castagnè riprende tutti gli artifici retoricostilistici segnalati, rispettando sia i costrutti sintattici che il registro lessicale. Molti anni più tardi, durante un viaggio in Turchia, Modesta e Timur si incontreranno in modo del tutto casuale e ancora una volta il registro espressivo di un nostalgico Timur sarà piuttosto alto, come si può vedere da questo esempio: (8a) – Le persone che posseggono una grande tensione morale invecchiano sì, ma integre come i marmi immortali dei templi. No, non vada via, mi conceda (8b) - Les personnes qui possèdent une grande tension morale vieillissent, certes, mais intactes comme les marbres immortels des temples. Non, ne vous en ancora qualche attimo del suo tempo prezioso. Il suo sorriso è un balsamo allez pas, concédez-moi encore quelques instants de votre temps précieux. Votre alla mia nostalgia. – Nostalgia, Timur? sourire est un baume sur ma nostalgie. - De la nostalgie, Timur ? – Sì, lo confesso, nostalgia per le vostre - Oui, je l‟avoue, de la nostalgie pour distese di sole e d‟ombra, per i vostri spazi umani e metafisici. De Chirico non vos étendues d‟ombre et de soleil, pour vos espaces humains et métaphysiques… De Chirico ne pouvait poteva che essere italiano. 278 – Il suo italiano, se possibile, è être qu‟italien. migliorato. – La lontananza insegna. Solo quello che - Votre italien, si c‟est possible, s‟est encore amélioré. s‟è perduto si comprende fino in fondo. – Non è più tornato in Sicilia? - L‟éloignement donne la connaissance. On ne comprend entièrement que ce – No, mi è bastato lo scempio che ho visto a Roma e a Napoli. Temo di non qu‟on a perdu. - Vous n‟êtes plus retourné en Sicile ? ritrovare più la terra che esaltò il nostro Goethe, la nostra terra. La terra come - Non, le massacre que j‟ai vu à Rome et à Naples m‟a suffi. Je crains de ne plus l‟arte sono di chi le comprende. – De Chirico è siciliano, principessa? – Non lo so. – Deve esserlo perché in Sicilia è la chiave di tutto. Noi avremmo fatto della retrouver la terre qu‟a exalté notre Goethe, notre terre. La terre comme l‟art appartiennent à qui les comprend. De Chirico est sicilien, princesse ? - Je ne sais pas. vostra isola un giardino, e non l‟immondizzaio, si dice così? che ho - Il doit l‟être, parce que la Sicile est la clef de tout… Nous aurions fait de votre visto a Napoli. Ma perché parlare del passato? Questo sole smagliante fuga le nubi e spinge al futuro, e il futuro sarà nostro. Peccato, però, trent‟anni perduti. île un jardin, et pas la décharge – on dit comme ça ? – que j‟ai vue à Naples. Mais pourquoi parler du passé ? Ce soleil Noi avremmo fatto un lavoro rapido, pulito e scientifico e non questo salasso lento che chiamano democrazia. Hitler fu tradito, ma il suo sogno si avvererà: un‟Europa unita con a capo il genio germanico. Ma lei deve andare, éblouissant fuit les nuages et pousse vers l‟avenir, et l‟avenir sera à nous. Dommage, pourtant, trente ans de perdus. Nous aurions fait un travail rapide, propre et scientifique au lieu de procéder à cette lente saignée qu‟on appelle démocratie. Hitler a été trahi, mais son principessa? – Sì, proprio devo andare. – Lei trema, è colpa mia che l‟ho tenuta a questo tavolino. Qui sul Bosforo a volte rêve se réalisera : une Europe unie avec à sa tête le génie germanique… Mais vous devez partir, princesse ? - Oui, il faut vraiment que je m‟en aille. ho l‟illusione di essere nella dolce Palermo. Palermo dolce e maestosa cullata dalla corolla rosa dei suoi monti… Ma appena il sole cala, il freddo - Vous tremblez, c‟est ma faute, je vous ai retenue à cette table. Ici sur le Bosphore j‟ai parfois l‟illusion d‟être dans la douce Palerme. Palerme douce et majestueuse, vento barbaro delle pianure asiatiche mi riporta alla realtà. bercée par la corolle rose de ses montagnes… Mais dès que le soleil [p. 502] baisse, le froid vent barbare des plaines asiatiques me ramène à la réalité. [p. 794] 279 Ancora una volta lo stile di Timur è dominato dall‟accumulo aggettivale («per i vostri spazi umani e metafisici», «Noi avremmo fatto un lavoro rapido, pulito e scientifico», «Palermo dolce e maestosa cullata dalla corolla rosa dei suoi monti») e dal ricorso alle figure retoriche come la similitudine («le persone che posseggono una grande tensione morale invecchiano sì, ma integre come i marmi immortali dei templi») e alle metafore («Il suo sorriso è un balsamo alla mia nostalgia»; «non questo salasso lento che chiamano democrazia»). Ancora una volta sono presenti termini astratti come nostalgia, arte, democrazia, genio, illusione, solo per citare alcuni esempi. Il registro alto è ulteriormente confermato dall‟uso del verbo fugare, stilisticamente più alto di allontanare: «Questo sole smagliante fuga le nubi e spinge al futuro, e il futuro sarà nostro», con ripresa anaforica di futuro, anch‟esso un termine astratto. Da segnalare anche la presenza di riferimenti all‟ideale mondo della civiltà classica (« i marmi immortali dei templi») . Interessante appare poi la simulazione – da parte della Sapienza – di una piccola imperfezione nell‟italiano di Timur che, al posto di immondezzaio, dice immondizzaio. Il termine è evidentemente forma analogica su immondizia; in questo modo l‟autrice cerca di imprimere una certa veridicità nella lingua quasi patinata del suo personaggio. L‟unica sbavatura presente nella traduzione in francese si riferisce proprio a quest‟ultimo esempio, in quanto la Castagné probabilmente non coglie l‟errore commesso da Timur e rende il termine con il francese standard décharge. Per il resto, la traduttrice compie un‟opera di assoluto rispetto nei confronti del testo italiano. La dicotomia tra il sistema di valori di Modesta (socialista militante) e quello di Timur (hitleriano e amico di Himmler) sembra risolversi a tutto svantaggio del secondo: lontano dalla Germania e dall‟Italia, costretto alle gelide sere sul Bosforo, a Timur non rimane che l‟esilio e la speranza che l‟Europa unita sia riunificata dal genio germanico. La passione politica, che permea le pagine de L‟arte della gioia, è uno dei fil rouge che percorre trasversalmente tutto il romanzo. E tuttavia l‟interesse per il socialismo e, di conseguenza, il consolidarsi di una coscienza politica è per la protagonista del romanzo una conquista: dai libri proibiti dello zio Jacopo, che Modesta leggeva clandestinamente, fino ad arrivare a uno dei personaggi più rappresentativi, Carlo. 280 Attratta dalle idee del giovane medico socialista, Modesta troverà in lui una valida guida e un buon amico. Di seguito viene riportato il passo in cui Carlo parla all‟amica-amante della missione del medico-socialista: (9a) - Bisogna ammettere che a lei non (9b) - Il faut admettre que rien ne vous sfugge niente. La diagnosi era quasi esatta. No, pigrizia, no! ma una certa échappe. Le diagnostic était presque exact. Non, la paresse, non ! mais une solidità economica che mi ha permesso di vedere chiaro nelle mie azioni. Le spiego. Da molti anni la mia vocazione di medico ha cozzato contro molte realtà che l‟hanno spogliata dell‟aureola di santità con cui mi era apparsa in giovinezza. Mi sono reso conto che fare il medico in questa società non è altro che rappezzare i guasti che le condizioni di lavoro nelle miniere e nelle fabbriche, i pregiudizi o lo stato di povertà e sporcizia ricreano con una velocità superiore, troppo superiore certaine solidité économique qui m‟a permis d‟y voir clair dans mes actions. Je vous explique. Depuis de longues années ma vocation médicale s‟est heurtée à beaucoup de réalités qui l‟ont dépouillée de l‟auréole de sainteté dont je la voyais parée dans ma jeunesse. Je me suis rendu compte qu‟être médecin dans cette société n‟est rien d‟autre que réparer tant bien que mal les dégâts que les conditions de travail dans les mines et les usines, les préjugés et un état de pauvreté et de saleté alle nostre buone intenzioni di piccoli medici individualisti. Che vale in una vita salvare cento persone, delle quali novantanove sono ricche o benestanti, quando hai capito che la medicina deve innanzitutto prevenire i mali di tutti, indiscriminatamente? La professione di medico a queste condizioni equivale a recréent à une vitesse supérieure, bien trop grande pour nos bonnes intentions de petits médecins individualistes. Que vaut – dans une vie – de sauver cent personnes, dont quatre-vingt dix neuf sont riches ou aisées, quand on a compris que la médecine doit avant toute chose prévenir les maux de chacun, sans quella del missionario che va in Africa per curare i lebbrosi, salvare qualche anima. Soprattutto la sua! A pensarci bene non sono degli sciocchi: estirpando veramente il dolore, come potrebbero continuare a divertirsi coi loro trastulli che chiamano anima, male e redenzione? Scherzavo. Anche perché discrimination ? La profession de médecin dans ces conditions équivaut à celle du missionnaire qui va en Afrique soigner les lépreux, sauver une âme ou deux… surtout la sienne ! A bien y réfléchir, ce ne sont pas des idiots : s‟ils extirpaient vraiment la douleur, comme pourraient-ils continuer à s‟amuser avec sto diventando pedante. E per chiudere questo pedantissimo discorsetto: il mestiere del medico è valido solo se è leurs jouets qu‟ils appellent âme, mal et rédemption ? Je plaisantais. D‟autant que je suis en train de verser dans la affiancato da un‟azione politica che ha il fine di dare a tutti case salubri, vivibili, pédanterie. Et pour en finir avec ce petit discours archi-pédant: le métier de ospedali veramente efficienti. Per fare médecin n‟a de valeur que s‟il est 281 questo bisogna agire, agire in profondità. accompagné d‟une action politique ayant Non c‟è altra strada. - È questo il socialismo? pour fin de donner à tous des maisons salubres, vivables, des hôpitaux vraiment [p. 142] efficaces. Pour y arriver, il faut agir, agir en profondeur. Il n‟y a pas d‟autre chemin. - C‟est cela, le socialisme ? [p. 225] Attraverso uno stile asciutto e sobrio Carlo offre a Modesta la propria definizione di socialismo: «il mestiere del medico è valido solo se è affiancato da un‟azione politica che ha il fine di dare a tutti case salubri, vivibili, ospedali veramente efficienti». Come si può vedere in questo passo – che ben esemplifica lo stile comunicativo di Caro – non vi sono quasi mai accumuli aggettivali né si riscontra l‟uso di vocaboli particolarmente ricercati; al contrario, il suo «pedantissimo discorsetto» è costellato, qui e là, da termini ed espressioni velatamente colloquiali («vedere chiaro», «rappezzare i guasti», e i «trastulli che chiamano anima, male e redenzione»), tendenza questa controbilanciata da una sintassi semplice ma funzionale. Anche in questo caso, la traduzione della Castagné riporta fedelmente lo stile misurato del testo originale, rispettandone anche il registro. Dai vari esempi illustrati, si può notare come, a parte lievissime sbavature, la traduzione della Castagné aderisca molto bene al testo di partenza, dimostrando una buona capacità di interpretazione e resa dei vari fenomeni linguistici che si articolano nell‟esecuzione di un registro alto. 5.2 I registri bassi Secondo Gaetano Berruto i registri bassi «sono solamente orali» 498 e vengono principalmente adoperati nel parlato improvvisato «con assenza totale o un grado minimo di pianificazione, una processazione in tempo reale, e una dipendenza minima dagli schemi macrosintattici e strutturali della lingua» 499. Il loro emergere inoltre è imputabile a due situazioni differenti: da una parte vi è il parlante disattento, «con 498 499 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 150. Ibidem. 282 scarso interesse per l‟enunciazione e i suoi contenuti»500; dall‟altro il parlante con «fortissimo coinvolgimento emotivo, in situazioni di alta partecipazione emozionale, o di particolare stanchezza, ira, paura ecc.»501. La variazione di registro dipende dunque da una parte dall‟attenzione e dal controllo «relativi sul parlare» 502, dall‟altro è pertinente al contesto comunicativo e situazionale. Coerentemente con quanto affermato sopra, i registri bassi presentano a livello fonologico una fortissima tendenza ai troncamenti, alla semplificazione dei nessi consonantici difficili e alle realizzazioni anche marcatamente regionali di alcuni fonemi. A livello morfosintattico i registri bassi prediligono frasi brevi e spesso ellittiche, il discorso è concentrato sull‟io, con frequenti riferimenti impliciti al contesto e alle conoscenze condivise. Prevalgono i verbi rispetto ai sostantivi, agli aggettivi o agli avverbi, mentre sono molto più frequenti i sostantivi concreti rispetto ai termini astratti. Si prediligono poi le strutture spezzate come dislocazioni, frasi scisse e pseudoscisse, temi sospesi, ecc. Più interessanti sembrano, anche in riferimento alle finalità di questo studio, gli aspetti relativi al lessico (cfr. § 4.4). Tra essi si ricorderà la «scarsa gamma di variazione lessicale»503 con ripetizione di una serie limitata di parole passepartout, (come cosa, faccenda, trucco) e di termini generici ad alta disponibilità; la preferenza per voci sommarie mutuate dal vocabolario di base e con ampia disponibilità; gli «epiteti, commenti e imprecazioni escatologici e pornolalici, marcatamente disfemici»504; termini fortemente connotati, a volte paragergali, spesso sinonimici, con termini corrispondenti di derivazione colloquiale o standard (come crepare per morire, ganzo per bello, piantare per cessare). Ne L‟arte della gioia i registri bassi – mimeticamente rappresentati da Tuzzu e Carmine – trovano un largo impiego specie per i personaggi semicolti o quasi totalmente incolti, operando un procedimento di mimesi della conversazione più informale e dunque più vicina alla quotidianità. In simili circostanze i personaggi di estrazione sociale meno elevata tendono a usare registri bassi, che vanno 500 Berruto, Sociolinguistica… cit., p. 150. Ibidem. 502 Ibidem. 503 Ivi, p. 150. 504 Ibidem. 501 283 dall‟informale a quello più disattento e poco controllato, con coloriture marcatamente regionali. L‟ambientazione regionale è ulteriormente confermata dall‟alternanza tra codici diversi505 come il code switching, cioè «l‟uso alterno di due lingue […] da parte dello stesso interlocutore durante una conversazione»506, il code mixing e il tag switching, che investono la «dimensione del comportamento nella sua dimensione di comportamento sociale»507. La giustapposizione di italiano e dialetto viene dunque fortemente condizionata da variabili contestuali e/o situazionali 508 che cercheremo di isolare e analizzare. Come si vedrà, nel romanzo della Sapienza l‟alternanza tra lingua nazionale e dialetto ha precise motivazioni psicologiche, rispondendo alla chiara volontà di permeare l‟opera di quella lingua e di quella cultura che accompagnerà Modesta nel proprio percorso di maturazione personale: «in Sicilia è la chiave di tutto»509. Ed è proprio quell‟idioma da cui, progressivamente la protagonista si affrancherà, che nel corso del romanzo diventerà una voce – quella forse più espressiva – che le permetterà di piegare la realtà per rappresentare, raccontare e finanche pensare. Se da un lato Modesta ci accompagna passo passo tra i motivi che la spingono ad adottare scelte espressive tanto composite (dall‟italiano formale e ricercato al dialetto), dall‟altro dovrebbe essere la traduttrice a sciogliere i problemi legati alla resa del passaggio da una lingua che possiede un‟ampia gamma di varietà espressive, come l‟italiano, e una lingua meno duttile, almeno sul versante diatopico, come il francese. Com‟è facile capire, le maggiori difficoltà traduttive riguardano non tanto il contesto socioculturale del romanzo, quanto il dialetto, adoperato da personaggi come Tuzzu, Carmine, Mattia, Pietro, Prando e dalla stessa Modesta. 505 I fenomeni di giustapposizione sono spiegabili se si tiene conto del gruppo di appartenenza in cui il soggetto s‟inserisce all‟interno del sistema d‟interazione costituito dalla comunità. Un individuo può far parte contemporaneamente di gruppi diversi e il suo comportamento «è regolato dal sistema di atteggiamenti, norme, valori e scopi del gruppo di cui egli fa parte, sistema che è acquisito attivamente nel processo di socializzazione», in R. Sornicola, La competenza multipla. Un‟analisi micro-sociolinguistico, Napoli, Liguori Editore, 1977, p. 102. 506 G. Alfonzetti, Il discorso bilingue. Italiano e dialetto a Catania, Pavia, Franco Angeli Edizioni, 1992, p. 11. 507 Sornicola, op. cit., p. 11. 508 Ivi, p. 36. 509 Sapienza, L‟arte… cit., p. 503. 284 Ed è proprio tra le primissime pagine del romanzo, tra il mutismo della madre e le urla della sorella, che il dialetto fa la sua comparsa, come unica possibilità espressiva tra Tuzzu, giovane agricoltore analfabeta e la piccola e selvaggia Modesta: (10a) – „Na gallina ca sta per essere (10b) – On dirait une poule à qui on va strangolata mi pari! E che sarà mai, parla! tordre le cou ! Et de quoi s‟agit-il, parle ! – Oh rien, rien. Je voulais te demander ce – Oh, niente, niente. Ti volevo chiedere che cos‟è il mare. – E dai cu „stu mari! Cocciuta sei! Cento volte te lo spiegai, cento volte! Il mare è una distesa d‟acqua fonda come l‟acqua del pozzo che sta fra il nostro que c‟est que la mer. – Et allez avec cette mer ! Entêtée que podere e quella catapecchia che è la vostra casa. Solo che è blu, e che per quanto giri l‟occhi non puoi vedere dove finisce. Ma che vuoi capire! Locca sei e pure se non fussi locca, le femmine, come dice mio padre, da quando mondo è mondo non capiscono niente. – E invece capisco: un‟acqua fonda come quella del pozzo ma blu. – E brava, mi congratulo! Allora, sùsiti e guardati intorno! La vedi la chiana? Come si chiama „sta chiana, eh? Vediamo se sei degna di imparare. – „Sta chiana si chiama Chiana del Bove [p. 7] tu es ! Cent fois je te l‟ai expliqué, cent fois ! La mer est une étendue d‟eau profonde comme l‟eau du puits qui se trouve entre notre ferme et cette masure qu‟est votre maison. Sauf qu‟elle est bleue, et qu‟on a beau tourner les yeux dans tous les sens, on ne peut pas voir où elle finit. Mais qu‟estce que tu veux comprendre ! Tu es sotte et même si t‟étais pas sotte, les femmes, comme dit mon père, depuis que le monde est monde, ne comprennent rien à rien. – Pas du tout, je comprends, moi : une eau profonde comme celle du puits mais bleue. – Bravo ! Félicitations ! Alors, lève-toi et regarde autour de toi ! Tu la vois cette plaine marécageuse ? Comment s‟appelle cette plaine, hein ? Voyons si tu es digne d‟apprendre. Cette plaine s‟appelle Plaine du Bœuf. [p. 13] Nel passo appena citato Tuzzu alterna due lingue, il dialetto e l‟italiano regionale trascurato, attraverso l‟uso del code switching: nel primo switching – che, non a caso si verifica dopo la richiesta di Mody di sapere del mare – viene marcata la divergenza espressiva ed emozionale tra il parlante e il codice del proprio interlocutore («Modesta: Ti volevo chiedere che cos‟è il mare. Tuzzu: E dai cu „stu mari!»). Con la successiva commutazione di codice (dialetto > italiano regionale 285 sciatto) Tuzzu attua una strategia altamente coesiva che si risolve in una descrizione mediante una similitudine nostrana: «il mare è una distesa d‟acqua fonda come l‟acqua del pozzo»; la presenza dei registri bassi è quindi confermata dall‟impiego di voci generiche e legate a contesti concreti. Non a caso l‟estensione della distesa marina viene assimilata a termini di paragone che Modesta può verificare nella concretezza dell‟esperienza quotidiana: «il mare è una distesa d‟acqua fonda come l‟acqua del pozzo che sta fra il nostro podere e quella catapecchia che è la vostra casa». La realtà viene misurata dunque attraverso termini di paragone afferenti alla sfera naturale: l‟incertezza e l‟imbarazzo di Modesta viene accostato all‟immagine di una gallinella spaventata che sta per essere strozzata. Dopo averle spiegato cos‟è il mare Tuzzu conclude il suo discorso con un sillogismo mutuato dal mondo contadino: «Locca sei e pure se non fussi locca, le femmine, come dice mio padre, da quando mondo è mondo non capiscono niente». A livello lessicale si notino, nello stile espressivo di Tuzzu, i regionalismi locca per allocca (PIC-TRO s.v. lloccu, s. m. «allocco, sciroccato»), chiana per pianura (PIC-TRO s.v. chiana, s. f. «piana, pianura; per antonomasia la Chiana di Catania, la pianura di Catania»), la locuzione verbale girare gli occhi per volgere lo sguardo – che tende ad abbassare il registro della conversazione –, l‟allocazione del verbo alla fine della frase («„Na gallina ca sta per essere strangolata mi pari!») e l‟innesto dialettale sùsiti per alzati. Nella resa del registro basso, la Castagné si dimostra decisamente meno a proprio agio rispetto alla traduzione di quello elevato, in quanto, come da lei stessa dichiarato, non possiede la conoscenza di nessun dialetto francese e soprattutto è convinta che qualunque uso di una lingua regionale peserebbe in maniera tale sul testo, da renderlo di difficile fruizione 510. Ne deriva che, tranne in rarissimi casi, i fenomeni di switching vengono dileguati, con compensazioni che in genere riguardano la sfera lessicale: dovendo riprodurre un registro che avverte come basso, la Castagné ricorre alle varietà colloquiali del francese moderno, attingendo a vocaboli del lessico familiare, senza operare una transcodificazione dei rifermenti culturali, che riflettono situazioni concrete di vita quotidiana. 510 Cfr. § 3.4. 286 In sostanza, la Castagné tenta sempre di realizzare una traduzione letterale, sostituendola, laddove le possibilità linguistico-espressive del francese non la sostengono, con locuzioni mutuate dal registro basso. Infatti, se si guardano i fenomeni analizzati per l‟italiano, si noterà come il code switching che intesse tutta la modalità espressiva di Tuzzo viene perso, e sostituito con locuzioni più genericamente colloquiali («Et allez avec cette mer ! Entêtée que tu es !). E se da un lato vengono mantenuti i riferimenti alla sfera pratica del vivere quotidiano, dall‟altro cadono, senza fenomeni specifici di compensazione, l‟allocazione del verbo alla fine della frase, l‟uso del passato remoto («On dirait une poule à qui on va tordre le cou », «Cent fois je te l‟ai expliqué, cent fois !»), la standardizzazione lessicale di alcune forma dialettali (leve-toi per susiti, mér per mari, plaine per chiana, solo per citarne alcuni). Tra le scelte traduttive tendenti alla resa del registro basso si possono annoverare l‟uso connotato dell‟interrogativa indiretta («Je voulais te demander ce que c‟est que la mer») e l‟assenza del primo dei due termini, ne, che contengono una frase negativa («si t‟étais pas sotte»). Se, come si è detto, il mondo di Modesta prima di incontrare madre Leonora era fatto di silenzi poiché «né la mamma né Tina parlavano mai» 511, l‟unico con cui Modesta può parlare è questo ragazzo dai denti bianchissimi di nome Tuzzu. In questo passo il registro è piuttosto dimesso, effetto che la Sapienza riesce ad ottenere anche con un uso piuttosto parco del dialetto: (11a) La calura si stava alzando di nuovo, la terra fumigava e le montagne si allontanavano di nuovo azzurre. Non (11b) La chaleur montait de nouveau, la terre fumait et les montagnes s‟éloignaient, à nouveau bleutées. Il ne dovevo lasciarlo andare via, dovevo chiedergli perché quando lo guardavo prima e ora che tenevo il suo braccio, mi nasceva quel desiderio di accarezzarmi fallait pas le laisser partir, il fallait que je lui demande pourquoi – quand je le regardais, d‟abord – et maintenant que je tenais son bras, ce désir me venait de me là dove… – Ma guarda se sono domande da fare! E alla tua età! Una peste sei! Ha ragione mio padre, una peste! Non ti vergogni? – E perché mi dovrei vergognare? Se io l‟ho scoperto che nessuno me l‟ha detto, caresser là où… Mais regarde un peu si ce sont des questions à poser ! Et à ton âge ! Une peste, voilà ce que tu es ! Une peste, mon père a raison ! Tu n‟as pas honte ? Et pourquoi est-ce que je devrais avoir vuol dire che tutti lo scoprono. honte ? Si je l‟ai découvert quand 511 Sapienza, L‟arte… cit., p. 8. 287 – E brava! Logica fina! Attenta personne ne me l‟a dit, ça veut dire que picciridda, lasciami il braccio o peggio per te. Mi sta salendo il sangue al tout le monde le découvre. Ah, bravo ! Logique subtile ! Attention, cervello, attenta! – Attenta perché? Non ho paura di te e tu petiote, laisse mon bras ou tant pis pour toi. Le sang me monte au cerveau, mi devi rispondere. E rispondimi, lo sapevi? attention ! Attention pourquoi ? Je n‟ai pas peur de – E certo che lo sapevo! Che m‟hai preso per un minchione? Un uomo sono e se toi et tu dois me répondre. Réponds-moi, tu le savais ? non mi molli, ti accarezzo io così facciamo la frittata. – E facciamo questa frittata. Io non ci ho paura! Sei tu che ci hai paura. Altro che uomo sei! Tremi tutto [p. 9] Eh bien sûr que je le savais ! Tu me prends pour un blanc-bec ? Je suis un homme et si tu ne me lâches pas, c‟est moi qui te caresse et comme ça nous faisons un beau gâchis. Eh bien, faisons-le ce gâchis. Je n‟ai pas peur ! C‟est toi qui as peur. Un homme, tu parles. Tu trembles des pieds à la tête. [p. 15] In questo passo – in cui si avverte la forte escursione stilistica tra il verbo di basso uso fumigare (GRADIT s.v. fumigare, v. tr. e intr. «esalare fumo») e lo stile colloquiale dei due interlocutori – Modesta chiede a Tuzzu per quale motivo, quando lo guarda intensamente, sente crescere in lei il desiderio amoroso: «dovevo chiedergli perché quando lo guardavo prima e ora che tenevo il suo braccio, mi nasceva quel desiderio di accarezzarmi là dove…». Si noti che alla reticenza di Modesta, Tuzzu risponde con uno stile piuttosto trascurato, quasi al limite della disfemia («Che m‟hai preso per un minchione?»). La coloritura regionale è presente nella posposizione del verbo («Altro che uomo sei!», «Una peste sei!» «un uomo sono!»), nell‟uso di espressioni idiomatiche mutuate dal dialetto («logica fina») e nel ricorso a epiteti affettuosi, come picciridda. Dai registri informali sono prese in prestito delle espressioni familiari512 come «facciamo la frittata» per “combinare un guaio, un pasticcio” e mollare per lasciare («se non mi molli, ti accarezzo io»). Va poi evidenziato il ricorso al ci attualizzante inserito all‟interno di una frase scissa («Io non ci ho paura! Sei tu che ci hai paura»), il che polivalente con valore concessivo («se io l‟ho scoperto che nessuno me l‟ha detto») e il ricorso all‟elisione in «m‟hai preso», tratto quest‟ultimo tipico dell‟oralità. 512 Cfr. § 3.4.5. 288 Nella traduzione, il registro alto del verbo fumigare viene inconsapevolmente513 attenuato dall‟uso del più comune fumer. Se a livello lessicale ci si trova di fronte a un solo caso di standardizzazione (subtile per fina), nella traduzione altri fenomeni vengono azzerati: il che polivalente concessivo viene reso con il corrispettivo connettivo standard quand («Si je l‟ai découvert quand personne ne me l‟a dit, ça veut dire que tout le monde le découvre»); il ci attualizzante, benché venga mantenuta la frase scissa – abbastanza tipica del francese – subisce il dileguo («C‟est toi qui as peur»). A livello lessicale, la Castagné si sforza di trovare corrispettivi più adeguati al registro linguistico del testo originale, quando utilizza blanc-bec (TLF s.v. dithyrambe, subst. masc. fam. péj. «jeune homme de mince figure, qui allie l'ignorance à la fatuité»), e l‟espressione tu parles (TLF s.v. parler, v. intr,. fam. «marque la surprise l'irritation, l'admiration du locuteur»). Il dialetto, che viene adoperato dalla sapienza con funzione mimetica, diventa nel passo che segue la marca stilistica che contraddistingue i contadini incolti e “coloro che parlano come signori” , adoperando quindi l‟italiano: (12a) – Ma chi dici chista „cca! Iu nun la capisciu, e tu? Come sapevo da quando ero dalle suore, fuori dal muro parlavano un‟altra lingua. – Ma chi dici? „Na straniera havi a (11b) – Ma chi dici chista „cca! Iu nun la capisciu, e tu? Comme je le savais depuis que j‟étais allée chez les sœurs, au-delà du mur on parlait une autre langue. essiri, e chi voli? Per fortuna che allora non ero scappata dal convento. Ma adesso avevo i soldi, e senza più parlare, solo ripetendo il nome – Ma chi dici? „Na straniera havi a essiri, e chi voli? Heureusement qu‟alors je ne m‟étais pas échappée du couvent. Mais maintenant di Carmela Licari, distribuivo monete. – Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda j‟avais de l‟argent, et sans parler davantage, répétant seulement le nom de ca parra comu „na signura [p. 101] Carmela Licari, je distribuais des sous. – Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda ca parra comu „na signura [p. 163] Come si vede la dicotomia tra i due codici, l‟italiano di Modesta e quello di Carmela, «colei che parla comu „na signura», in contrapposizione al dialetto dei contadini analfabeti, rende conto della distanza sociale che intercorre tra quelli che 513 In occasione dell‟incontro avvenuto a Montpellier nel giugno 2011, la Castagné ha dichiarato di non aver colto che fumigare appartenesse un registro più ricercato. 289 vivono al di qua del muro (che per metonimia rimanda a coloro che vivono ben protetti dalle solide mura del castello) e coloro che, invece, ne vivono al di fuori. Quello riportato è uno dei diversi casi in cui la Castagnè decide di lasciare in lingua originale dei passaggi in dialetto siciliano, glossandoli con una nota traduttiva. Tale scelta deriva, secondo quanto affermato dalla stessa traduttrice (§ 3.4, in cui si riporta intervista), dalla consapevolezza che nell‟esperienza compositiva della Sapienza il dialetto assume un ruolo privilegiato, di cui la Castagné voleva lasciare traccia. Uno dei passi in cui l‟oralità emerge in tutta la sua deflagrante potenza è il momento in cui parla Carmela, contadina-prostituta che ha “soddisfatto” gli istinti sessuali del principe Ippolito, primogenito della casata Brandiforti, affetto da una grave forma di mongolismo. Modesta, promessa sposa di quest‟ultimo, decide di recarsi di nascosto al villaggio dove vive la donna, per chiederle quali strategie utilizzare durante l‟approccio fisico con Ippolito. Nel brano che segue Carmela comincia il suo racconto partendo proprio dal grande spavento provato alla vista della «cosa»514: (13a) – Sì, sì, capisco. Pure io grande spavento ebbi la prima volta che mi portarono. E dire tanto fra femmine siamo ca io, e per miseria e per mala sorte, esperta ero quando ci misi piede. E questa esperienza mi salvò. Non è per soldi, figghia, ca ti dico queste cose. È (11b) – Ah oui, oui, je comprends. Moi aussi j‟ai senti une grande épouvante la première fois qu‟on m‟y a amenée. Et dire – nous sommes entre femmes – que moi, par misère et par mauvais sort, j‟étais experte quand j‟y ai mis les pieds. Et cette expérience m‟a sauvée. Ce n‟est che a nessuno vorrei fare passare quello che passai io aspettando d‟entrare in quella stanza… […] Ma vedo che furia hai. Se s‟accorgono che sei scappata, guai sono per te e per me. Senti, figghia, per me non fu difficile, ma ti devi fare forza. Ora ti dico. Devi sapere ca io fui la prima femmina ca quella povera anima pas pour l‟argent, ma fille, que je te dis ces choses. C‟est qu‟à personne je ne voudrais faire passer ce que j‟ai passé en attendant d‟entrer dans cette chambre… […]Mais je vois que tu es impatiente. S‟ils se rendent compte que tu t‟es échappée, c‟est des embêtements pour toi et pour moi. Ecoute, ma fille, pour moi vedeva. Ora, anche se tu donna sei, non so come cominciare la romanza… […] Io quando ci andai pensavo ca gente istruita era. Anche un dottore c‟era, ma ça n‟a pas été difficile, mais il faudra que tu prennes sur toi. Je vais te dire. Tu dois savoir que j‟ai été la première femme qu‟a vu cette pauvre créature. 514 «La cosa» è l‟epiteto che viene usato dalla principessa Gaia in riferimento al rampollo della famiglia. 290 questa è un‟altra questione. Che so! Maintenant, même que tu sois femme, je Pensavo ca il principe in qualche modo istruito era sul suo compito di uomo. E ne sais pas comment commencer la chanson…[…] Quand j‟y suis allée je allora, chiudendo l‟occhi e senza levarmi la veste, ci sono quelli che gli piace di pensais que c‟étaient des gens instruits. Il y avait même un docteur, mais ça c‟est spogliare… allora chiudendo gli occhi – e dire ca a dieci anni m‟hanno messo un une autre question. Qu‟est-ce que je sais ! Je pensais que le prince était instruit uomo fra le gambe –, aspettai. Un secolo passò, e quello, niente. Aprii gli occhi, e d‟une façon ou d‟une autre sur ce qu‟il avait à faire en tant qu‟homme. Et alors, quello povera anima, tutto vestito e col… come devo dire? Beh, sì, col suo coso fuori che se lo toccava, smaniava. Insomma, appresi che non sapeva che fare col suo coso, che, duro duro, en fermant les yeux et sans enlever ma robe, il y en a que ça leur plaît, de déshabiller… alors en fermant les yeux, – et dire qu‟à dix ans on m‟a mis un homme entre les jambes –, j‟ai attendu. certamente dolore gli doveva fare. E allora, la Madonna mi perdoni! con la Un siècle est passé, et l‟autre, rien. J‟ai ouvert les yeux, et cette pauvre créature, santa pazienza. – Che cosa? – Visto che niente sapeva, e per me comodo era, gli imparai a lisciarsi su e tout habillé et avec… comment est-ce que je peux dire ? Ben, oui, avec son truc dehors que, s‟il le touchait, il était dans tout ses états. Enfin bref, j‟ai compris giù come fanno l‟omini. Male non gli poteva fare, perché in questo istruita ero. Un marittimo me lo disse ca l‟omini quando sono sulle navi, imbarcati per mesi e mesi, fanno così. A lui anche il medico di bordo glielo disse che male alla qu‟il ne savait pas que faire avec son truc, qui, tout dur tout dur, devait sûrement lui faire bien mal. Et alors, la Vierge me pardonne ! avec une sainte patience… – Quoi donc ? – Vu qu‟il ne savait rien, et que c‟était salute non faceva. E anzi mi confidò ca quasi quasi gli dava più soddisfazione accussì che in modo regolare. Oh, figghia, che vergogna doverti dire „ste commode pour moi, je lui ai appris à se frotter de bas en haut comme font les hommes. Ça pouvait pas lui faire de mal, parce que je m‟y connaissais là-dedans. cose [p. 102] Un marin me l‟a dit que les hommes font ça, quand ils sont sur les bateaux, embarqués pour des mois et des mois. Et le médecin de bord lui a dit aussi que ça ne faisait pas de mal à la santé. Et même qu‟il m‟a dit en confidence que c‟était pas loin de lui donner plus de satisfaction comme ça que de la façon régulière. Oh, ma fille, quelle honte de devoir te dire tout ça. [p. 164] 291 Il registro di Carmela, «chidda ca parra comu „na signura» 515, si muove tra il regionale molto trascurato e il colloquiale sciatto, intessuto com‟è di tutti quei tratti diastraticamente e diafasicamente connotati indagati nel capitolo precedente. Espressioni colloquiali tipiche del parlato sono «levarmi la veste» per «togliermi la veste», la ridondanza pronominale («A lui anche il medico di bordo glielo disse che male alla salute non faceva»), l‟uso dell‟imperfetto indicativo in luogo del congiuntivo imperfetto («Pensavo ca il principe in qualche modo istruito era sul suo compito di uomo») e mediante l‟uso dell‟aggettivo dimostrativo in forma aferetica («‟ste cose»). A ciò va aggiunto l‟uso di eufemismi come «a dieci anni m‟hanno messo un uomo fra le gambe» e «Beh, sì, col suo coso fuori che se lo toccava, smaniava». Il registro informale è ulteriormente confermato dall‟uso di frasi scisse («È che a nessuno vorrei fare passare quello che passai io aspettando d‟entrare in quella stanza» e «Non è per soldi, figghia, ca ti dico queste cose»), in cui la coloritura regionale emerge attraverso la congiunzione ca in luogo di che, e di vocativi come figghia. Non mancano inoltre esempi di frammentazione sintattica tipici del parlato, con la conseguente riproduzione delle fratture sintattiche che possono prodursi nell‟elocuzione in tempo reale, come l‟anacoluto («E allora, chiudendo l‟occhi e senza levarmi la veste, ci sono quelli che gli piace di spogliare…») con un che con funzione di pseudo soggetto/complemento oggetto e il pronome clitico gli in luogo di a loro. Va poi notata anche l‟infilata del che “a cannocchiale” («Insomma, appresi che non sapeva che fare col suo coso, che, duro duro, certamente dolore gli doveva fare»), tipica dei registri più trascurati. Il dialetto, come si vede, permea tutto il testo: sono frequenti le posposizioni del verbo («tra femmine siamo», «furia hai», «un dottore c‟era», «il principe in qualche modo istruito era», «donna sei», «gente istruita era»), l‟uso del passato remoto in luogo del passato prossimo («Pure io grande spavento ebbi la prima volta che mi portarono»; «che a nessuno vorrei fare passare quello che passai io», «un secolo passò, e quello, niente», «Devi sapere ca io fui la prima femmina ca quella povera anima vedeva»), la presenza del verbo imparare per insegnare e gli inserti 515 Sapienza, L‟arte… cit., p. 101. 292 dialettali (il già citato figghia, uso dilagante di ca in luogo di che, l‟occhi e l‟omini in luogo rispettivamente di «gli occhi» e «gli uomini»). Gli innumerevoli fenomeni linguistici, rilevati nel brano, spesso non trovano nel passaggio verso il francese un corrispettivo adeguato, che ne renda cioè in maniera rispettosa la dimensione stilistico-lessicale. Molti di essi vanno infatti incontro a dileguo o a standardizzazione, che penalizzano la coloritura dialettale che pervade l‟intero testo. Innanzitutto l‟uso connotato del passato remoto viene sempre reso con lo standard passé composé (j‟ai senti per ebbi , m‟a sauvée per mi salvò, j‟ai passé per passai, j‟y suis allée per ci andai, etc.); il ca viene sempre normalizzato in que («Tu dois savoir que j‟ai été la première femme qu‟a vu cette pauvre créature»); la posposizione del verbo viene azzerata a vantaggio della posizione standard («j‟ai senti une grande épouvante», «nous sommes entre femmes», «je vois que tu es impatiente», etc.); le espressioni colloquiali vengono rese in maniera poco connotata («enlever ma robe»), così come la ridondanza pronominale «Et le médecin de bord lui a dit aussi que ça ne faisait pas de mal à la santé». A livello lessicale, la resa di molti termini non pare sempre adeguata («fille per figghia, tu es impatiente per furia hai, les yeux per l‟occhi, hommes per omini, comme ça per accussì), così come non viene colta la differenza tra «imparare» e «apprendre». Le forme di compensazione, ancora una volta sono quelle relative alla fedeltà traduttiva di certi passaggi; il testo rimane quindi deprivato di quelli che invece non vengono mantenuti. Nello specifico la traduttrice mantiene le frasi scisse («C‟est qu‟à personne je ne voudrais faire passer ce que j‟ai passé»); rispetta la forma aferetica „ste rendendolo col pronome dimostrativo neutro di uso familiare ça; rende l‟anacoluto («Et alors, en fermant les yeux et sans enlever ma robe, il y en a que ça leur plaît, de déshabiller…»). Non si ravvisano elementi inseriti dalla traduttrice, e quindi assenti nel testo di partenza, a compensazione delle standardizzazioni da lei effettuate. L‟arte della gioia è costellato di una folta schiera di personaggi minori le cui abitudini linguistiche si riverberano nelle pagine del romanzo. È il caso, ad esempio, di Rosario e di Pietro, rispettivamente stalliere e fedele servitore della casata Brandiforti. Nei due passi che seguono, che si caratterizzano per un uso piuttosto informale dei registri, viene fuori ancora una volta il dialetto: 293 (14a) Rosario subito approntò le mani (14b) Rosario tendit aussitôt ses mains per darmi lo slancio. Ma si vedeva che ce la faceva a stento. Mi prese una pour que je prenne mon élan. Mais on voyait qu‟il se faisait violence. Une telle rabbia tale per quel moccioso riverente, che caddi giù lungo il fianco rage me prit devant ce petit morveux plein de révérence, que je tombai le long dell‟animale. – Scusasse, voscenza, scusasse, non du flanc de l‟animal. Pardonnez, madame, pardonnez, je ne pensavo che sapeva già darsi lo slancio. Per fortuna che non s‟è fatta niente! pensais pas que vous saviez déjà prendre votre élan. Par bonheur que vous ne Perché niente s‟è fatta, evvero? [p. 108] vous êtes rien fait ! Parce que vous ne vous êtes rien fait, vrai, n‟est-ce pas ? [p. 174] (15a) – Amareggiato sono, principessa. Proprio amareggiato! Speravo che in una mesata „sto fuoco di paglia per la torinese s‟astutasse, ma, ah, gli uomini! Lei non se la deve prendere. Pazienza deve avere! Gli uomini, tutti così! (15b) Je suis attristé, princesse. Vraiment attristé ! J‟espérais qu‟en un mois ce feu de paille pour la Turinoise s‟éteindrait, mais… ah, les hommes ! Il ne faut pas que vous vous en fassiez. Il faut être patiente ! Les hommes, tous Anche a les mêmes ! Mon regretté père aussi, à incantarsi dietro a ogni sottana nuova! Ma mi deve credere, il mio principe voscenza ama. Imbarazzato rester en extase devant chaque nouveau jupon ! Mais croyez-moi, c‟est vous qu‟aime mon prince… Je suis sono a parlarle di queste cose. Ecco, io, a come stanno le cose, credo che a embarrassé de parler de ces choses. Voilà, moi, au point où on en est, je Catania, voscenza mi perdoni, bisognerà distrarlo con qualche picciotta, beh, sì, pense qu‟à Catane, que Madame me pardonne, il faudra le distraire avec come si faceva ai tempi della principessa buonanima perché qui sta il punto: quella torinese vergine è… Ma che fa, piange? [p. 124] quelques petites, ben, oui, comme on faisait du temps de feu la princesse parce que – voilà le hic – cette Turinoise est vierge… mais que faites-vous, vous mio padre buonanima, pleurez ? [p. 201] Come si vede in (14a) Rosario, lo stalliere incaricato dalla principessa Gaia di insegnare a Modesta a cavalcare, la fa cadere da cavallo. Il giovane, profondendosi in mille scuse, adopera il congiuntivo imperfetto in luogo del congiuntivo presente – tratto tipico dell‟italiano regionale di area centro-meridionale516 – oltre che 516 Cfr. Telmon, Varietà… cit., p. 126. 294 dell‟allocutivo di cortesia voscenza di area meridionale. Inoltre usa l‟imperfetto indicativo al posto dell‟imperfetto congiuntivo nella subordinata oggettiva. Nella traduzione, in (14b) la Castagné utilizza la forma standard dell‟imperativo presente con valore di preghiera/supplica, non dando vita a fenomeni compensativi, ed elevando quindi il registro, a causa anche dell‟uso del congiuntivo nella subordinata oggettiva introdotta da je ne pensais que. L‟uso dell‟allocutivo madame (TLF s.v. madame, subst. fém. p. anal. «appellation employée pour désigner des femmes de la (haute) bourgeoisie, de la noblesse, d'une classe supérieure ou pour s'adresser à elles»), se da un lato dà conto del significato del termine, dall‟altro non ne rispetta il registro. In (15a), accanto ai tratti più spiccatamente regionali – come la posposizione del verbo alla fine della frase («amareggiato sono», «pazienza deve avere!», «imbarazzato sono a parlarle di queste cose», «il mio principe voscenza ama», «quella torinese vergine è»), l‟uso di innesti dialettali con adeguamento fonologico all‟italiano («s‟astutasse» per «si spegnesse»), l‟allocutivo di cortesia voscenza, il regionalismo picciotta –, coesistono le espressioni colloquiali «incantarsi dietro a ogni sottana nuova!» e l‟uso aferetico di „sto. In (15b), la posposizione verbale alla fine della frase viene sistematicamente neutralizzata («Je suis attristé», « Il faut être patiente », « cette Turinoise est vierge»), e compensata in minima parte dall‟inserimento di una frase scissa («c‟est vous qu‟aime mon prince»). S‟astutasse viene reso col corrispettivo standard s‟éteindrait, mentre l‟allocutivo di cortesia subisce il dileguo in un caso e viene reso con il già citato madame. Della forma aferetica „sto non vi è traccia, così come del regionalismo picciotta, che viene reso con petites. Un lieve coloritura colloquiale viene resa col mantenimento dell‟espressione «incantarsi dietro a ogni sottana nuova!» ben resa con « rester en extase devant chaque nouveau jupon». Uno dei personaggi che più profondamente segnerà l‟evoluzione umana di Modesta sarà certamente il vecchio Carmine, gabellotto della famiglia Brandiforti e uomo di fiducia della principessa Gaia. Tra i due personaggi nascerà una burrascosa storia d‟amore che durerà, a fasi alterne, per diversi anni, fino a quando il “vecchio” canuto non morirà a causa dell‟angina pectoris. In questo passo Modesta chiede a Carmine di insegnarle a fumare la pipa, perché – per sua stessa ammissione – lei è «mezzo carusu e mezza maredda»: 295 (16a) – Vieni, ca t‟insegno. Oh figghia, (16b) – Viens, que je t‟apprenne. Oh ma io ti levo „sto capriccio, ma non è ca tu fille, je te passe ce caprice, mais ce n‟est pas que tu vas te mettre à fumer comme ti metti a fumare come a un carusu? – E perché no? – E perché sì? Dimmelo, perché sì, allora? – Perché io pure carusu sono! – Chista è proprio bella! Pure carusu sei? – Sì. Mezzo carusu e mezzo maredda. – E chi te l‟ha detto? – L‟ho divinato. Nel mio futuro l‟ho visto, ca sparavo e fumavo e correvo come a Carmine quannu era giovane. un garçon ? – Et pourquoi pas ? – Et pourquoi ? Dis-le moi, alors, pourquoi ? – Parce que je suis aussi un garçon ! – Elle est bonne, celle-là ! Tu es un garçon ? – Oui. A moitié garçon à moitié fille. – Et qui te l‟a dit ? – Je l‟ai deviné. Dans mon avenir je l‟ai vu, que je tirais et fumais et courais T‟ho visto, sai, quannu eri giovane, e poi mi sono vista vecchia come tu ora sei, ma più vecchia, tanto più vecchia. Tu devi morire, ma io tre volte la tua vita camperò, il mio futuro me l‟ha detto. […] comme Carmine quand il était jeune. Je t‟ai vu, tu sais, quand tu étais jeune, et – Ma guardatela! Che fantasia t‟ha preso di fumare? E ora che l‟hai accesa, me la vuoi dare? – Eh no, io la tengo! – Guarda, carusa, ca i nervi mi fai saltare. Giuraddio ca me figghiu pari! Lazzarolu e cocciu di tacca come a Mattia. – Che voli diri lazzarolu e cocciu di tacca, Carmine? – Ah, tanto studiammu ca la propria […] –Mais regardez-la ! Quelle fantaisie t‟a pris de fumer ? Et maintenant que tu l‟as allumée, tu me la donnes ? – Eh non, je la garde ! – Fillette, tu vas me faire sortir de mes lingua nni scurdammo, eh? – T‟ho chiesto che vuol dire lazzarolu! – Giovane, bello e senza significato, pure. – E coccio di tacca? – Sempre giovane, audace, ca è come a dire: chicco di fuoco [p. 200]. puis je me suis vue vieille comme tu es maintenant, mais plus vieille, bien plus vieille. Tu dois mourir, mais moi je vivrai trois fois ta vie, mon avenir me l‟a dit. gonds. Pardieu qu‟on dirait mon fils ! Lazzarolu et cocciu di tacca comme Mattia. – Que veut dire lazzarolu et cocciu di tacca, Carmine ? – Ah, nous étudions tant que nous oublions notre propre langue, hein ? – Je t‟ai demandé ce que veut dire lazzarolu ! – Jeune, beau et sans jugeote, aussi. – Et cocciu di tacca ? – Jeune encore, audacieux, c‟est comme de dire : grêlon de feu. [p. 319]. 296 Come si vede, il passo si caratterizza per l‟alternanza tra italiano e dialetto, attraverso strategie di adeguamento + preferenza divergente517 che la Sapienza riesce a calibrare e a riprodurre con una mirabile capacità mimetica. Nella prima battuta Carmine, dopo aver utilizzato un enunciato mistilingue intessuto di elementi dialettali («Vieni, ca t‟insegno. Oh figghia, io ti levo „sto capriccio, ma non è ca tu ti metti a fumare come a un carusu?»), si rivolge a Modesta in italiano, la lingua che sente essere più naturale per la ragazza. Mody inizialmente risponde con l‟adeguamento verso il codice del proprio interlocutore, prima mediante alcuni innesti dialettali («Mezzu carusu e mezza maredda») e poi con l‟adeguamento totale al dialetto quando gli chiede delucidazioni circa due espressioni di cui non conosce il significato («Che voli diri lazzarolu e cocciu di tacca, Carmine?»). Quando però, alla richiesta della ragazza, Carmine risponde chiedendole se, a causa dell‟eccessiva esposizione all‟italiano, abbia dimenticato il dialetto, Modesta reagisce con una commutazione di codice dall‟italiano al dialetto («T‟ho chiesto che vuol dire lazzarolu!»), mediante quella che sembrerebbe una strategia di preferenza divergente per rimarcare il distacco emotivo da Carmine, da cui si sente criticata. Va poi notata la commutazione di codice di Carmine dal dialetto all‟italiano quando glossa518 le espressioni lazzarolu e «cocciu di tacca» («Giovane, bello e senza significato, pure», «Sempre giovane, audace, ca è come a dire: chicco di fuoco»). Il registro del brano tende chiaramente verso il basso: il tessuto linguistico è infatti costellato di termini e locuzioni dialettali (maredda, carusu, carusa, lazzarolu, cocciu di tacca), oltre che di interiezioni colloquiali (giuraddio) e l‟inserimento attraverso il code mixing di elementi dialettali a livello intrafrasale 519 («nel mio futuro l‟ho visto, ca sparavo e fumavo e correvo come a Carmine quannu era giovane»). Va infine notato come Carmine diventi in questo passo la voce di una coscienza popolare che, con fare irridente, la ghermisce: «tanto studiammu ca la propria lingua nni scurdammo». Il dialetto, per la verità, non verrà mai dimenticato dalla protagonista; anzi, molti anni più tardi – come si vedrà più avanti – riemergerà 517 L‟adeguamento + preferenza divergente consiste nella «successione sequenziale di due switchings, il primo dei quali marca l‟adeguamento del parlante al codice dell‟interlocutore, mentre il secondo […] può verificarsi entro lo stesso turno del parlante al codice „preferito‟», in Alfonzetti, op. cit., p. 44. 518 Ivi, p. 105. 519 Ivi, p. 20. 297 dalle profondità della terra attraverso Prando che, non a caso, è il figlio illegittimo di Carmine e suo vero erede. L‟inizio dell‟enunciato di Carmine viene, nella traduzione verso il francese, immediatamente ricondotto verso forme più standard attraverso la neutralizzazione del che polivalente che introduce una subordinata finale con verbo all‟indicativo. La traduttrice utilizza il que come congiunzione preceduta da una principale con verbo all‟imperativo e la secondaria con il verbo al congiuntivo («Viens, que je t‟apprenne»). I vari innesti dialettali vengono resi, in maniera abbastanza sistematica, con una terminologia standard, che non fa cogliere le caratteristiche del testo di partenza («garçon per carusu, fille per maredda, quand per quannu, fillette per carusa, étudions per studiammo, ecc.). Il mantenimento dell‟espressione dialettale lazzarolu e cocciu di tacca è funzionale in questo caso alla successiva spiegazione fatta dallo stesso Carmine. Oltre al mantenimento dell‟interiezione colloquiale («Pardieu»), non si ravvisano altri fenomeni compensativi. Come si è detto più volte nel corso di questo studio il personaggio di Carmine offre alla Sapienza la possibilità di attingere alle varietà più basse della lingua, dal dialetto all‟italiano regionale trascurato e, in alcuni casi, arrivando a soluzioni colloquiali, come si può apprezzare in questo brano in cui Carmine – ormai condannato da una malattia incurabile – confessa a Modesta il proprio amore, svelandole come mai, solo dopo anni, la chiama per nome (e non più con l‟appellativo affettuoso «tosta carusa»): (17a) „Na scazzittula di carusa mi parevi, dall‟alto dei miei anni e esperienza. E confuso dai miei figli che m‟erano tornati – Carmine non ha (17b) Tu me semblais une gamine de rien du tout, du haut de mes années et de mon expérience. Et embarrassé par mes fils qui m‟étaient revenus – Carmine n‟a vergogna a dire – sicuro ti lasciai. Ma in capo a una settimana, la notte ti cercavo, pas honte de l‟avouer – je t‟ai laissée sans hésitation. Mais au bout d‟une e di giorno nei campi ti vedevo. E dai a sbattere la testa pi banni e banni, a semaine, je te cherchais la nuit, et le jour je te voyais dans les champs. Et allez, à correre dalle vellute che a pagamento ti fanno godere. Ma per godere un poco, il me cogner la tête contre les murs, à courir chez les vellute 520 qui te font jouir 520 Nota originale nel testo: «Par transposition – d‟un tissu à l‟autre – on pourrait dire “les soyeuses”». 298 tuo nome ripetevo nella mia mente. E così pour de l‟argent. Mais pour jouir un peu, ora lo sai. La lontananza insegna: il tuo nome imparai. Più lo dicevo e più bella je répétais ton nom dans mon esprit. Et comme ça maintenant tu le sais. nella fantasia mi crescevi [p. 203] L‟éloignement instruit : j‟ai appris ton nom. Plus je le disais et plus belle tu me grandissais dans l‟imagination. [p. 323] Come si vede la lingua di Carmine è costellata da scelte stilistiche connotate diatopicamente: la posposizione del verbo, relegato in fondo alla frase («di giorno nei campi ti vedevo»; «il tuo nome imparai»), la predilezione per il passato remoto in luogo del passato prossimo («sicuro ti lasciai»), gli innesti dialettali «pi banni e banni» (PIC-TRO s.v. bbanna, «or qua or là») e «vellute» per prostitute (PIC-TRO, s.v. villuta) cozzano con la scelta stilistica di costruire un periodo che risponda alle regole dello scritto. In «E confuso dai miei figli che m‟erano tornati – Carmine non ha vergogna a dire – sicuro ti lasciai» la giustapposizione che, di per sé, potrebbe anzi rientrare tra i tratti tipici del parlato – in questo contesto, mediante l‟inserto di un‟incidentale, rende l‟enunciato più orientato verso il polo dello scritto. Nella versione in francese, della posposizione verbale o di un eventuale fenomeno compensativo non v‟è traccia («Tu me semblais une gamine de rien du tou», « je te cherchais la nuit», etc.), così come al passato remoto viene sempre preferito il passé composé (je t‟ai laissée per ti lasciai, j‟ai appris per imparai»). La locuzione dialettale «sbattere la testa pi banni e banni» viene resa con «à me cogner la tête contre les murs» (TLF s.v. mur, subst. masc., verbe + prép. + le/les mur(s) «se cogner, se taper la tête contre les murs. Se désespérer»). Quindi, se da un lato viene rispettato il significato del testo di partenza, dall‟altro non accade lo stesso per il registro. Dopo la sua morte, Modesta avrà una relazione con Mattia, figlio del vecchio Carmine, che però non riuscirà mai ad amare come il padre. Del resto, se Carmine era un personaggio a tutto tondo, Mattia, secondo il metro di paragone attraverso cui Modesta – e i lettori – valutano il giovane, non sarà mai alla sua altezza: 299 (18a) – Anche a quest‟ora a leggere, (18b) – Tu lis encore à cette heure, Modesta? – Non t‟ho sentito, Mattia. Modesta ? – Je ne t‟avais pas entendu, Mattia. – Fai i conti? – No, scrivevo. – Tu fais tes comptes ? – Non, j‟écrivais. – E non m‟abbracci? – Tosto caruso, se mi tieni così da dietro – Et tu ne m‟embrasses pas ? – Garçon borné, si tu me tiens comme ça come ti posso abbracciare? – Sei fredda. par derrière comme puis-je t‟embrasser ? – Tu es froide. – No, è solo che stavo pensando. – Forse sei arrabbiata perché è una settimana che non vengo? – E perché? E sempre stato così fra noi in questi mesi. – Non, c‟est juste que j‟étais en train de penser… – Tu es peut-être fâchée parce que ça fait une semaine que je ne viens pas ? – Et pourquoi ? Il en a toujours été ainsi – Ti desidero tanto. – Sono disturbata. entre nous durant ces mois. – Je te désire tant. – E che fa? Il sangue è cosa naturale. E poi se tu vuoi, se non hai dolore, lo so che a volte vi dà dolore, ti posso entrare libero del guanto, dà più piacere… Ma – Je suis indisposée. – Et qu‟est-ce que ça fait ? Le sang est une chose naturelle. Et puis si tu veux, si ça ne te fait pas mal – je le sais que come t‟è venuta l‟idea di chiamarlo così? Non dovevo nominare il vecchio Carmine, lui lo chiamava così, sciarra grande nasceva dicendo quel nome. – E chi lo sa! Hai avuto molte donne, Mattia? parfois ça vous fait mal – je peux – Una ne ho avuta veramente, quando ero soldato, una che m‟ha fatto capire tante cose! Prima ero picciriddu, schifiltoso. Poi il fronte si spostò e la dovetti nom du vieux Carmine, c‟est lui qui l‟appelait ainsi, une terrible dispute éclatait quand on disait ce nom. – Qu‟est-ce que j‟en sais ! Tu as eu lasciare, la guerra si sposta lenta, ma beaucoup de femmes, Mattia ? – J‟en ai eu une seule pour de vrai, quand j‟étais soldat, une qui m‟a fait comprendre bien des choses ! Avant je tutto cancella, tutto fa deserto: case, colture, sentimenti [p. 244] t‟entrer librement dans le petit fourreau, ça donne plus de plaisir… Mais comment t‟est venue l‟idée de l‟appeler ainsi ? Il ne fallait pas que je prononce le n‟étais qu‟un gamin, un chichiteux… Et puis le front s‟est déplacé et j‟ai dû la laisser ; la guerre se déplace lentement, mais elle efface tout, elle fait de tout un désert : maisons, cultures, sentiments. [p. 386] 300 Dal passo (18a) risulta evidente che il registro di Mattia è molto diverso da quello del padre: al primo la Sapienza affida i tratti colloquiali, al secondo invece la potenza espressiva del dialetto. Èd è come se – alla scelta stilistica dell‟autrice – corrispondesse il preciso intento di marcare, attraverso quest‟idioma antico, i personaggi più pregnanti (Carmine), e di relegare alla colloquialità più anonima Mattia. Nel passo e, più in generale, nel personaggio di Mattia gli innesti dialettali sono marginali: al di là dei regionalismi picciriddu e dell‟uso del passato remoto («il fronte si spostò e la dovetti lasciare»), il suo stile si muove sull‟asse dell‟informalità, come confermano del resto espressioni come «il sangue è cosa naturale» (alludendo al ciclo mestruale) e «ti posso entrare libero del guanto», che rimanda alla consumazione di un rapporto sessuale non protetto. Sul finale, parlando dell‟unica donna che Mattia ha posseduto prima di Mody, il ragazzo eleva il registro attraverso un‟anafora («la guerra si sposta lenta, ma tutto cancella, tutto fa deserto») e un climax («case, colture, sentimenti»). I pochi tratti del dialetto presenti nel brano scelto, vengono ulteriormente alleggeriti nella versione in francese: a fronte di fenomeni compensativi assenti, vengono meno le forme posposte del verbo («elle efface tout»); il passé simple sostituisce il passato remoto (s‟est déplacé per si spostò); i regionalismi vengono tradotti con termini dello standard («gamin per picciriddu). Nel momento in cui il registro si alza, la Castagné ritrova un maggiore agio nella traduzione, rendendo bene l‟anafora che introduce il climax («elle efface tout, elle fait de tout un désert: maisons, cultures, sentiments»). Da notare inoltre una probabile cattiva interpretazione del testo di partenza da parte della Castagné: quando Modesta rifiuta le avances di Mattia dicendo che è indisposta, il ragazzo le propone come soluzione un rapporto sessuale non protetto: «ti posso entrare libero del guanto, dà più piacere». Con il termine guanto, la Sapienza si riferisce senza dubbio al profilattico (GRADIT s.v. guanto, s. m. «preservativo, condom» [CO, gerg.]). La Castagné traduce utilizzando l‟espressione «je peux t‟entrer librement dans le petit fourreau». Sotto la voce fourreau né il TLF né altri dizionari monolingue francesi (Petit Robert, Larousse) riportano definizioni utili a comprendere il senso preciso di tale espressione. Sollecitata sulla questione, la Castagné ha dichiarato: «ce serait comme un étui (disons; je crois que j'avais hésité entre les deux mots, mais fourreau me semblait plus doux) où l'on 'fourre', autrement dit on met, quelque chose. Ici il s'agit, à l'évidence, de l'anus». 301 Tra i personaggi che adottano un registro medio-basso c‟è Nina, una romana dall‟esplosiva vitalità che Modesta incontra in prigione dopo essere stata arrestata per via della sua adesione alla causa socialista. Qui la principessa Brandiforti sarà sottoposta a una prova assai dura, come si può leggere nel passo riportato di seguito: (19a) – È che il tuo pudore – t‟ho osservata, che credi! – me s‟è comunicato e non so come dirtelo…Per farla breve, (19b) C‟est que ta pudeur – je t‟ai observée, qu‟est-ce que tu crois ! – s‟est communiquée à moi et que je ne sais ragazzi, lo senti che pancia dura e tesa che hai? Sembra un tamburo. Devi cacare, comment te le dire… Bon, bref, les enfants !, tu sens le ventre dur et tendu fijetta bella, devi cacare o la testa ti va in fumo e le budella in fuoco. que tu as ? On dirait un tambour. Il faut bene piangere – la dobbiamo fare, nennella! Su, su, di che ti vergogni? Non siamo che noi due. E se te scaraventavano in mezzo a dieci – tutte a dover cacare nello stesso bugliolo in mezzo alla stanza – che avresti fatto, eh? que tu fasses caca, ma belle, il faut que tu fasses caca ou ta tête va partir en fumée et tes boyaux en feu. […] - Quand tu auras fini de pleurer – ça te fait du bien de pleurer – il faut qu‟on le fasse, minouche ! Allez, allez, de quoi as-tu honte ? Il n‟y a que nous deux. Et s‟ils t‟avaient balancée au milieu de dix – Uno per dieci donne, Nina? che orrore! – E mica donne delicate come te, tutte a fissarti per vedere come te la cavi. […] Se non arrivava „sta cosa santa, sta maestra che sta nella cella accanto alla femmes – toutes à devoir faire caca dans le même seau au milieu de la pièce – qu‟est-ce que tu aurais fait, hein ? - Un pour dix femmes, Nina ? Quelle horreur ! nostra, m‟avrebbero succhiata tutta carne e ossa! È lei che m‟ha fatto passare - Et pas des femmes délicates comme toi, toutes à te fixer pour voir comment tu t‟en qua in infermeria. Su, su, dai! Io ora mi metto a letto – si fa per dire! – e mi rivolto contro il muro. Tu chiudi „sto lenzuolo lercio che suor Giuliana chiama tenda e fai sors. […] Si n‟était pas arrivé ce miracle vivant, cette maîtresse d‟école qui est dans la la cacca. Ti va così? No? Fatti „na ragione… Come ti chiami? Porco cane! cellule à côté de la nôtre, elles m‟auraient eue jusqu‟au trognon ! non mi va „sto principessa. Modesta? Mannaggia che nome! E chi te l‟ha C‟est elle qui m‟a fait passer là à l‟infirmerie… Allez, allez, va ! messo? È peggio di principessa. Tu guarda se si può chiamare Modesta una così bella Maintenant je me mets au lit – façon de parler ! – et je me retourne vers le mur. Tu signora che per giunta piange perché non vuole fare la cacca. Ti posso chiamare Mody, dici? E sì, è più carino. Senti Mody ci vogliamo decidere? Che ti preoccupa se fermes ce drap crasseux que sœur Giuliana appelle rideau et tu fais caca. Ça te va comme ça ? Non ? Fais-toi une raison – comment tu t‟appelles ? Sacré io ti giuro che non ti guardo? Il rumore nom d‟un chien ! – ce princesse ne me va […] – Quando avrai finito di piangere – ti fa 302 che puoi fare? O il puzzo? Senti per il pas… Modesta ? Putain, quel nom ! Et puzzo fa‟ così, prendi questo pezzo di giornale e mentre ti liberi, con questo qui te l‟a collé ? C‟est pire que princesse. Voyez un peu si on peut appeler Modesta fiammifero – non ne sprecare, oh! ne abbiamo pochi – brucialo il giornale, une aussi belle dame qui par-dessus le marché pleure parce qu‟elle ne veut pas dico nel bugliolo e vedrai che l‟odore sparisce, d‟accordo? Su alzati e non faire caca… Je peux t‟appeler Mody, tu dis ? Oui, c‟est plus mignon… Ecoute, pensare a me, fa conto che non ci sono, che sono cieca e sorda [p. 424] Mody, on se décide ? Qu‟est-ce qui te préoccupe si je te promets que je ne te regarde pas ? Le bruit que tu peux faire ? Ou l‟odeur ? Ecoute, pour l‟odeur, tu fais comme ça, tu prends ce bout de journal et pendant que tu te libères, avec cette allumette – n‟en gâche pas, oh ! on n‟en a pas beaucoup – tu le brûles, le journal, dans le seau, je veux dire, et tu verras que l‟odeur disparaît, d‟accord ? Allez, lèvetoi et ne pense pas à moi, fais comme si je n‟y étais pas, comme si j‟étais sourde et aveugle [p. 669] Come si vede il passo – che ben rappresenta il registro espressivo di Nina – si caratterizza per le scelte votate alla colloquialità, così come confermano espressioni disfemiche come «devi cacare, fijetta bella, devi cacare o la testa ti va in fumo e le budella in fuoco», «m‟avrebbero succhiata tutta carne e ossa», «Porco cane!». Tratti legati al contesto informale sono, ad esempio, i termini cacca, nennella (appellativo affettuoso che il personaggio adopera frequentemente), puzzo, l‟aferesi del pronome dimostrativo questo («„sto principessa») e dell‟articolo indeterminativo, oltre che la dislocazione a destra («brucialo il giornale»). Afferente invece all‟area dialettale mediana è l‟allocuzione «fijetta bella». Va infine notato, a livello lessicale, l‟uso di un termine bugliolo, di chiara matrice gergale che viene adoperato nelle carceri in riferimento al «secchio per i bisogni corporali dei detenuti» (GRADIT s.v. bugliolo). Alla lingua di Nina, Nathalie Castagné si accosta in maniera molto diversa da come si pone rispetto a tutti gli altri personaggi. Come lei stessa ha dichiarato 521, il fatto che Nina sia una “romanaccia” fa sì che il suo approccio sia del genere «on se laisse aller», in quanto, sempre secondo le parole della Castagné – che ha lungamente 521 Il riferimento è sempre all‟incontro/intervista avvenuto a Montpellier nel giugno 2011. 303 e a più riprese soggiornato a Roma - «le romain est une langue très relâchée et pour Nina, c‟est vrai, j‟ai voulu rendre ce climat romain». Tutto il contrario quindi di ciò che pensa del siciliano, che le sembra «une langue extrêmement structurée, un peu latinisante, digne. Il y a une espèce de dignité dans la langue populaire sicilienne, qui n‟est pas du tout une langue relâchée, d‟après ce qu‟on voit du moins dans L‟art de la joie». A conferma di quanto detto, si nota che nella traduzione la Castagné effettivamente, con piglio quasi divertito, si lascia andare all‟uso di una lingua decisamente popolare. Rende infatti le espressioni disfemiche, con convincente naturalezza («Il faut que tu fasses caca, ma belle, il faut que tu fasses caca ou ta tête va partir en fumée et tes boyaux en feu», « elles m‟auraient eue jusqu‟au trognon », «Sacré nom d‟un chien !», « Putain, quel nom»). Oltre a rispettare i tratti più informali del testo di partenza come la dislocazione a destra («tu le brûles, le journal»), la traduttrice aggiunge elementi originali a sostegno del registro di Nina, come l‟uso del verbo coller quando la stessa si meraviglia dell‟orrendo nome di Modesta («Et qui te l‟a collé»). L‟analisi dei registri sociolinguistici presenti ne L‟arte della gioia e nella sua traduzione in francese non poteva concludersi senza prendere in considerazione la lingua adoperata da Prando, figlio di Modesta e di Carmine. Il ragazzo – che non ha mai conosciuto il padre e che non è mai stato a contatto diretto con il dialetto, almeno quello che abbiamo proposto negli esempi (16a) e (17a) – riesuma l‟antica lingua del padre – come se essa stessa, insieme al temperamento e al corredo genetico, fosse un carattere ereditario da trasmettere alla progenie: (20a) – È inutile che scappi bambina, perché è proprio questo tuo sfuggirmi che mi fa amarti di più. Al fronte ero diventato lo zimbello di tutti! Oh, non è (20b) – Il est inutile que tu te sauves, petite fille, parce que c‟est justement cette façon de te sauver qui me fait t‟aimer encore plus. Sur le front j‟étais devenu la che avessi parlato molto di te, ma tutti se n‟erano accorti e ne ridevano. Oh, con risée de tous ! Oh, ce n‟est pas que j‟aie beaucoup parlé de toi, mais tout le monde rispetto, intendiamoci. E io sai come rispondevo? “Ridete, ridete voi che avete s‟était rendu compte de ma passion pour toi et en riait. Oh, avec respect, delle madri proprio bruttine!”. E poi dicevano fesserie perché anche loro erano tutti innamorati della propria madre. Lo entendons-nous… et tu sais ce que je répondais ? “Riez, riez, vous qui avez des mères moches comme des poux !”. Et vedete come fa la mia mamma bambina? après ça ils disaient des conneries parce 304 Manco le parlo ca già gira l‟occhi scappannu pi banni e banni. Ma unni vai? Ccà vicinu a mia hai a stari: madre mi sei e miniera mia! Forza Pippo, attacca la serenata cortese, forse si qu‟eux aussi étaient tous amoureux de leur mère. Vous voyez comment elle fait, ma mère enfant ? A peine je lui parle squaglia quella pietra preziosa ca tiene al posto del cuore. qu‟elle détourne les yeux et s‟enfuit à droite et à gauche. Mais où vas-tu ? Que tu dois rester près de moi : tu es ma mère et ma mine d‟or ! Allez Pippo, Dove trovava Prando quel linguaggio dimenticato? La voce di attaque la gentille sérénade, peut-être qu‟elle va se dissoudre, cette pierre Carmine lui l‟aveva mai sentita? – Oh Pippo! Mi palpita contro il petto come „na palombella impaurita. – Mi fai male Prando! Lasciami, non respiro! précieuse qu‟elle a à la place du cœur. Où Prando trouvait-il ce langage – Lo sai ca potrei con una vera stretta farti a pezzi? Ma poi all‟occorrenza dove poitrine comme une colombe effrayée. – Tu me fais mal, Prando ! Laisse-moi, je trovare una colla adatta per incollare „sto collo di biscuit? Se sapessi trovarla questa colla! Mi aggradirebbe farti a pezzi per poi, dopo, avere il piacere di n‟arrive plus à respirer ! – Tu le sais que je pourrais te casser en morceaux avec une vraie prise ? Mais après, dans ce cas, où trouver une colle rimontarti a poco a poco. Dove trovarla? Alla Civita la devo cercare, in quella terra di nessuno. È detto ca ddà tutto si può trovare, tutto si può comprare: dalle sete più fini, alla cera pei morti, dall‟oro a cento carati, ai coltelli più adaptée pour recoller ce cou de biscuit ? Si je savais la trouver, cette colle ! Ça me plairait de te casser en morceaux pour, après, avoir le plaisir de te remonter peu à peu. Où la trouver ? A la Civita, il faut que je la cherche, dans ce no man‟s land. affilati, dal picciotto senza viso ca con poche lire t‟ammazza chi s‟è messo in testa d‟attraversarti la strada, dalle vellute dai capelli profumati, ai cadaveri freschi Il est dit que là-bas on peut trouver de tout, on peut tout acheter : des soies les plus fines, à la cire pour les morts, de l‟or à cent carats aux couteaux les plus effilés, freschi, se proprio hai intenzione di studiare per tuo conto anatomia. Ridi eh! Ridi bella, ca quannu il riso ti afferra, senza offesa per femmine schiette e du gosse sans visage qui te descend pour quelques lires celui qui s‟est mis en tête de te barrer la route, et des vellute aux cheveux parfumés, aux cadavres tout maritate, diventi la più bella! [p. 459] frais, si tu as vraiment l‟intention d‟étudier l‟anatomie pour ton propre oublié ? Avait-il jamais entendu la voix de Carmine ? – Oh Pippo ! Elle palpite contre ma compte… Tu ris, hein ! Ris, ma belle, que lorsque le rire te saisit, sans offenser les femmes célibataires et mariées, tu deviens la plus belle ! [p. 725] 305 Il passo si caratterizza per una forte escursività stilistica tra la prima parte – dominata da un italiano piuttosto standard qui e là colorito attraverso inserti colloquiali – e la seconda, caratterizzata dalla presenza del dialetto: si noti infatti, accanto a termini stilisticamente più elevati («mi aggradirebbe» e «collo di biscuit»), e agli innesti colloquiali («fesserie» per sciocchezze, manco per neppure e all‟uso di forme aferetiche), l‟uso di termini dialettali piuttosto connotati. Prando infatti fa uso della posposizione del verbo alla fine della frase («È detto ca ddà tutto si può trovare, tutto si può comprare»), inserisce interi periodi in dialetto («Lo vedete come fa la mia mamma bambina? Manco le parlo ca già gira l‟occhi scappannu pi banni e banni. Ma unni vai?») e, senza aver mai conosciuto Carmine, si rivolge alla madre negli stessi termini, dicendole che lei è la sua miniera 522. A livello lessicale fanno la loro comparsa termini come vellute per prostitute (PIC-TRO s.v. villuta), schiette per nubili (PIC-TRO s.v. schettu) e la locuzione avverbiale pi banni e banni per un po‟ qui, un po‟ là (PIC-TRO s.v. banna). Nel brano (20b) la Castagné trova maggiori difficoltà quando deve confrontarsi con gli aspetti colloquiali e le coloriture dialettali della lingua di Prando. Non riuscendo a rendere in maniera soddisfacente i tratti più connotati, la traduttrice si affida ad altre strategie che tendono ad abbassare il registro, come l‟uso di termini più colloquiali («conneries») di quelli presenti nel testo di partenza («fesserie»), o comunque di registro più basso (me plairait per mi aggradirebbe). Particolarmente interessante appare la strategia traduttiva utilizzata per rendere la locuzione terra di nessuno, per la quale, non trovando nessun corrispettivo soddisfacente in francese, la Castagné decide di azzardare il prestito linguistico di una terza lingua, l‟inglese, nella quale invece la locuzione esiste con la stessa forza semantica che possiede in italiano (no man‟s land). Considerato che nonostante tutto Prando è un parlante colto, l‟inserzione della lingua inglese potrebbe risultare convincente. Tuttavia il contesto comunicativo richiede un registro che si legittima proprio attraverso l‟uso della lingua ancestrale, cosa che sembra del tutto perdersi nella versione in francese. Da notare infine come ci sia stata con tutta probabilità una cattiva interpretazione, da parte della Castagné, dell‟avverbio di luogo ccà verosimilmente percepito come ca (molto più diffuso nel romanzo) e quindi reso con un generico que, 522 Carmine, in un passo del romanzo, dice a Modesta: «Miniera mia, Modesta, fino al cuore ti voglio entrare», p. 203. 306 il quale, se in qualche modo mantiene l‟andamento colloquiale del testo, non rende conto allo stesso tempo del complesso rapporto che esiste tra madre e figlio, in cui l‟uno concepisce l‟affetto come possesso, mentre l‟altra lo vive nel senso del più assoluto rispetto della libertà individuale. 307 6. Ipotesi di traduzione alternativa L‟idea di tentare di ri-tradurre alcuni brevi stralci del romanzo nasce dalle difficoltà rilevate nella traduzione di Nathalie Castagné relativamente soprattutto agli inserti dialettali presenti nel testo di partenza. L‟esperimento che si è effettuato è rivolto al tentativo di rielaborare alcuni tra i brani che sono sembrati più ostici, servendosi dell‟ausilio di un dialetto del francese, il wallon liègeois. Si è cercato in questo modo di riprodurre sui lettori francofoni un effetto simile a quello avuto dai lettori italofoni che si trovino a leggere L‟arte della gioia. Il wallon è, fra i vari dialetti passati in rassegna nel secondo capitolo, uno dei più vitali – è usato attivamente da circa 200.000 locutori, mentre si stima che 800.000 persone ne abbiano una conoscenza passiva – senza contare che la vasta gamma lessicale di cui si componé (oltre 10.000 parole) lo dota di una grande capacità espressiva. Sono stati molti infatti gli scrittori, che si sono serviti di questa lingua per comporre opere letterarie di riconosciuto valore, come Lèyîz-m‟ plorer di Nicolas Defrecheux o Li pantalon trawé di Charles Duvivier. Avendone inoltre una conoscenza personale, per quanto limitata a poche espressioni, si è considerata tale lingua la più adatta allo scopo prefissato. È stato naturalmente richiesto ausilio a una persona molto competente in materia di lingua wallonne, cioè a Marc Duysinx, segretario della Société de Langue et Littérature Wallonne e nipote del celebre autore teatrale François Duysinx. Considerato che la lingua di Goliarda Sapienza si serve solo per brevissimi tratti di inserti dialettali puri poiché preferisce utilizzare nella maggior parte dei casi, come si è potuto constatare nei capitoli IV e V, un italiano siciliannizzato molto rielaborato, si è optato per una scelta analoga riguardo l‟uso del wallon. Infatti, a fronte dei rari casi in cui è stato usato senza essere riadattato, si è preferito spesso un adattamento a partire dal wallon – nel tentativo di mantenere una lettura comunque fluida e il più comprensibile possibile – quando addirittura non si sia usata quella varietà della lingua che viene chiamata dai parlanti français liègeois, cioè quello che 308 secondo le parole di Marc Duysinx è «le français tel qu‟on le parlait (et qu‟on le parle encore souvent dans le peuple) au début du vingtième siècle». Una delle difficoltà maggiori che si sono incontrate è stata quella relativa all‟uso, diffusissimo nel wallon anche tra i membri di una stessa famiglia, del vouvoiement: rarissimi sono infatti casi in cui si usa il tutoiement e sono relativi a rapporti molto amichevoli tra uomini o a momenti di particolare intimità tra uomo e donna. Gli interventi maggiori sono stati effettuati nella sfera lessicale, nel tentativo di lasciare ben comprensibile il contesto, in modo da non inficiare la comprensione. Laddove si è agito sulla morfosintassi, si è cercato di abbassare il registro, abbondando con l‟utilizzo di forme tipiche del parlato, che rendessero conto il più possibile della lingua presente nel testo di partenza. Quanto segue è il frutto di un lavoro a quattro mani che si colloca nell‟ambito dell‟ attività amatoriale, non ambendo in nessun modo a sostituirsi alla traduzione di Nathalie Castagnè, e ponendosi piuttosto come mero tentativo di apportare suggestioni diverse a un testo che non ha convinto del tutto nella resa di alcune sue parti. All‟inizio del romanzo, Modesta è ancora una ragazzina di nove anni che vive in una catapecchia con la madre e la sorella ed ha come unico amico-confidenteinsegnante un giovane pastore, Tuzzu: (1a) – Te cercavo, e scema non sono! Te cercavo, hai finito? – Non ho finito. Mi riposo. Ne approfitto per fumarmi una sigaretta. Pure orba sei, oltre che scema come tua sorella? Non vedi che sto sdraiato all'ombra e che ho una sigaretta in bocca? [p. 7] (1b) – Je te cherchais, et je ne suis pas une crétine! Je te cherchais, tu as fini? – Je n‟ai pas fini. Je me repose. J‟en profite pour me fumer une cigarette. Tu es (1c) – Je vous cherchais et je n‟ suis pas une ènocin.ne. Je te cherchais. Avez-ve fini? – Je n‟ai pas fini. Je me repose. J‟en aveugle ou quoi, en plus d‟être crétine comme ta sœur? Tu ne vois pas que je suis profite pour me fumer une cigarette. Estce que tu es aveûle, ou qwè en plus d‟être étendu à l‟ombre et que j‟ai une cigarette à la bouche?[p. 12] crétine comme ta sœur? Tu ne vois pas que je suis étendu à l‟ombre et que j‟ai une cigarette à la bouche? 309 In questo passo, le modifiche apportate alla traduzione della Castagné sono essenzialmente di natura lessicale: bisogna innanzitutto notare che l‟allocutivo tu, in maniera coerente con l‟uso del wallon, passa al voi. Si osservi quindi l‟inserzione della forma apocopata n‟ per ne, tipica del parlato, e l‟uso delle forme dialettali ènocin.ne, qwè e avez-ve fini come forme compensative dei tratti tipici del siciliano come la posposizione del verbo. L‟uso del wallon aveûle per orba sembra una soluzione più aderente al testo di partenza dello standard francese aveugle. Il rapporto con Tuzzu è l‟unico spiraglio che Modesta ha sul il mondo, e infatti è a lui che chiede, avendone solo sentito parlare, cosa sia il mare: (1a) – „Na gallina ca sta per essere strangolata mi pari! E che sarà mai, parla! – Oh, niente, niente. Ti volevo chiedere che cos‟è il mare. – E dai cu „stu mari! Cocciuta sei! Cento volte te lo spiegai, cento volte! Il mare è una distesa d‟acqua fonda come l'acqua del pozzo che sta fra il nostro podere e quella catapecchia che è la vostra casa. Solo che è blu, e che per quanto giri l‟occhi non puoi vedere dove finisce. Ma che vuoi capire! Locca sei e pure se non fussi locca, le femmine, come dice mio padre, da quando mondo è mondo non capiscono niente. – E invece capisco: un‟acqua fonda come quella del pozzo ma blu. – E brava, mi congratulo! Allora, sùsiti e guardati intorno! La vedi la chiana? Come si chiama „sta chiana, eh? Vediamo se sei degna di imparare. – „Sta chiana si chiama Chiana del Bove. [p. 7] (1b) – On dirait une poule à qui on va tordre le cou! Et de quoi s‟agit-il, parle! – Oh rien, rien. Je voulais te demander ce que c‟est que la mer. – Et allez avec cette mer! Entêtée que tu es! Cent fois je te l‟ai expliqué, cent fois! (1c) – On diraît une poule qu‟on lui va twèrtchî l‟ bûzê! Et de quoi s‟agit-il, parle! – Oh rien, rien. Je voulais te demander ce que c‟est que la mer. – La mer, encore ΄ne fèye! Entêtée que tu La mer est une étendue d‟eau profonde comme l‟eau du puits qui se trouve entre notre ferme et cette masure qu‟est votre maison. Sauf qu‟elle est bleue, et qu‟on a beau tourner les yeux dans tous les sens, on ne peut pas voir où elle finit. Mais qu‟est-ce que tu veux comprendre! Tu es sotte et même si t‟étais pas sotte, les es! Co cint côps, j‟ te l‟ai espliqué, co cint côps! La mer est une étendue d‟eau profonde comme l‟eau du puits qui se trouve entre notre ferme et cette masure qu‟est votre maison. Sauf qu‟elle est bleue, et qu‟on a beau tourner les yeux dans tous les sens, on ne peut pas voir où elle finit. Mais qu‟est-ce que tu veux femmes, comme dit mon père, depuis que comprendre! Vous êtes une mazète, et 310 le monde est monde, ne comprennent rien même, si vous n‟ seriez pas mazète, les à rien. – Pas du tout, je comprends, moi: une eau femmes, comme dit mon père, depuis que le monde est monde, ne comprennent rien profonde comme celle du puits mais bleue. à rien. – Pas du tout, je comprends, moi: une eau – Bravo! Félicitations! Alors, lève-toi et regarde autour de toi! Tu la vois cette profonde comme celle du puits mais bleue. plaine marécageuse? Comment s‟appelle cette plaine, hein? Voyons si tu es digne – Bravo! Proficiat‟! Alors, mettez-vous sur pieds et regardez autour de vous. d‟apprendre. – Cette plaine s‟appelle Plaine du Bœuf. [p. 13] Vous la voyez, cette plâneûr? Voyons si vous êtes digne d‟apprendre. – Cette plaine s‟appelle « Plin.ne dè boûf‟». In (1c) si è cercato di compensare l‟uso della forma aferetica „sta seguita dal ca relativo (per che) e dalla posposizione del verbo attraverso un que polivalente (con funzione di falso soggetto) e l‟espressione wallonne twèrtchî l‟ bûzê (essere strangolata). Si è ricorso al wallon ΄ne fèye anche per compensare l‟espressione dialettale E dai cu 'stu mari. La posposizione del verbo e l‟uso del passato remoto in Cento volte te lo spiegai, cento volte sono stati compensati dall‟espressione wallonne Co cint côps, j‟ te l‟ai espliqué, co cint côps. Il termine locca è stato reso con mazète, mentre la forma dialettale del verbo fussi è stata compensata con la forma apocopata n‟ per ne. Nella parte finale del brano, si è abbassato il registro con l‟uso del wallon proficiat‟ come forma compensativa di „sta, mentre sùsiti è stato reso con la perifrasi mettez-vous sur pieds, e Chiana del Bove col wallon Plin.ne dè boûf‟. Quando Modesta va a vivere nella villa dei Brandiforti fa la conoscenza di Beatrice, sua coetanea e figlia della principessa, con la quale fa subito amicizia. Convinta che i nobili sconoscessero il siciliano, Modesta si stupisce quando invece Beatrice le dimostra il contrario: (1a) – Con la tata, quando eravamo sole, “u parravamu sempri”. A me piace tanto, ma in casa è proibito: francese, inglese, italiano, ma niente siciliano. Quante cose mi raccontava! Mi parlava sempre in siciliano, anzi in palermitano. Lei era di Palermo, e ne era molto orgogliosa. Odiava Catania: catanisi soldu fausu, diceva sempre. E io mi divertivo a sfruculiarla. [p. 66] 311 (1b) – Avec ma nounou, quand nous étions seules,„u parlavamu sempri, nous (1c) – Avec ma nounou, quand nous étions seules, nos-èl djåsî tot l‟ djoû. J‟aime le parlions tout le temps. J‟aime beaucoup le parler, mais à la maison c‟est interdit: beaucoup le parler, mais à la maison, c‟est interdit: français, anglais, italien, mais pas français, anglais, italien, mais pas de sicilien. Que de choses elle me racontait! Elle me parlait toujours en sicilien, ou mieux en palermitain. Elle était de de sicilien. Que de choses elle me racontait! Elle me parlait toujours en sicilien, ou mieux en palermitain. Elle était de Palerme, et elle en était très fière. Palerme, et elle en était très fière. Elle Elle détestait Catane: catanisi soldu fausu, disait-elle toujours. Et je m‟amusais à ricougn‟tèye manôye!», disait-elle. Et je m‟amusais à l‟asticoter. détestait Catane: «Catanais, l‟asticoter. [p. 107] In (1c) sono stati tradotti i due inserti in siciliano del testo originale, u parravamu sempri e catanisi soldu fausu, con delle espressioni in wallon che hanno lo stesso significato, nos-èl djåsî tot l‟ djoû e Catanais, ricougn‟tèye manôye. Quello che segue è uno dei pochi casi in cui nel testo originale si trova un periodo interamente in dialetto siciliano. In questo passo Modesta, che ha tra le braccia Beatrice addormentata, ripensa alle parole di Tuzzu: (1a) – D‟accordo ca nenti pisi, picciridda, ma non poi stari cca tuttu „u santu jornu, e poi t‟haiu a purtari in vrazza menzu addurmintata. [p. 68] (1b) – D‟accord que tu ne pèses rien, (1c) – Dji vou bin qu‟ vos n‟ pèsez wère, petiote, mais tu ne peux pas rester là toute la sainte journée, après ça j‟aurai à te peûtchète, mins vos n‟ polez wère dimorer chal tot l‟ lon dè djoû ; porter chez toi à moitié endormie… [p. 110] adobpwis, i m‟ fårè v‟ ripwèrter è vosse mohone, a mitan èsok‟tèye… Nella traduzione di questo brano si è scelto di utilizzare integralmente il dialetto wallon, che risulta di non semplice comprensione per i francofoni. Del resto neanche il testo di partenza è di agevole fruizione per il lettore italofono. 312 Modesta e Beatrice trascorrono molto tempo insieme intensificando la loro amicizia: (1a) Se non ti cheti ti taglio le trecce e me le vado a vendere al paese. Belle, folte e dure sono. Quant‟è veriddìo, se ci so fare anche una lira ci busco! – Tanto valgono? – Eh sì! – E che ne fanno? – Parrucche per le vecchie. – E che sono le parrucche? – Uffa! Sempre a chiedere, chiedere! Non ho né voglia né tempo di risponderti. Chetati ca debbo lavorare!Chetati, Beatrice! Chetati! Guarda, guarda la sorpresa. Tieni le forcine, su guarda! [p. 74] (1b) – Si tu te calmes pas, je te coupe les tresses et je m‟en vais les vendre au village. Elles sont belles, épaisses et dures. Ma parole, si je sais y faire j‟y (1c) – Si vous n‟ vous calmez pas, je coupe vos tresses et je les vais vendre au village. Elles sont belles, épaisses et dures. Si je m‟y sais prendre, je gagnerai, gagnerai même une lire! – Elles valent si cher? ma frike, bien ΄ne pèce di cinq censes! – Elles valent si cher? – Eh oui! – Et qu‟est-ce qu‟on en fait? – Des perruques pour les vieilles. – Et qu‟est-ce que c‟est que les perruques? – Eh oui! – Et qu‟est-ce qu‟on en fait? – Des perruques pour les vieilles. – Et qu‟est-ce que c‟est que les perruques? – Ouf! Toujours à poser des questions! Je n‟ai ni l‟envie ni le temps de te répondre. Calme-toi que je dois travailler! – Calme-toi, Beatrice! Calme-toi! Regarde, regarde la surprise. Prends les épingles, regarde! [p. 120] – Ouf! Toujours à poser des questions! Je n‟ai ni l‟envie, ni l‟ temps pour vous répondre. Calme-toi qui dj‟ deû ovrer! – Tinez-ve keû, Beatrice, tinez-ve keû! Regarde, regarde la surprise. Prends les épingles, regarde! Gli elementi colloquiali tipici del registro basso presenti in (1a) sono stati resi con la forma apocopata n‟ per ne, con l‟anteposizione dei pronomi personali les e m‟y rispetto al verbo e con le espressioni in wallon ma frike per l‟interiezione veriddìo e ΄ne pèce di cinq censes per anche una lira ci busco. Il ca (per che) polivalente che introduce una dipendente finale Chetati ca debbo lavorare, viene reso con la forma mista francese/wallon calme-toi qui dj‟ deû 313 ovrer; il tratto colloquiale Chetati, Beatrice! Chetati viene tradotto con il wallon Tinez-ve keû, Beatrice, tinez-ve keû. Il rapporto tra Modesta e Beatrice cresce sempre di più, tanto che le due condivideranno per un breve periodo una passione erotica: (1a) – E succhia, su, fa la buona picciridda. Se non mangi non cresci, deperisci e viene la Certa secca secca a raccattarti le ossa. Su, mangia e cresci. Quieta, quieta picciridda. [p. 79] (1b) – Allez, tète, allez, sois une bonne (1c) – Allez, tétez, djans, soyez une petite petite. Si tu ne manges pas, tu ne grandiras pas, tu dépériras et la Certa binamèye. Si vous n‟magnez pas, vous n‟ serez måy grande, vous vous allez dépérir toute toute décharnée arrivera pour ramasser tes os. Allez, mange et grandis… Là, là, bien calme, petitoune. [p. 128] et l‟acèrtinèye toute sèche viendra pour ramasser vos ohês. Djans, magnez èt crèhez! La, la, bien keû, peûtchète! In (1c) per rendere il tono colloquiale frammisto a qualche inserto dialettale del testo di partenza, si è optato per l‟uso di diverse forme dialettali, collocate in modo da non compromettere la comprensione. Si è scelto inoltre di tradurre il termine Certa con il wallon acèrtinèye, che secondo Marc Duysinx rende bene l‟idea del significato originario, in quanto vuol dire « assurée, certaine, donc inévitable». Modesta conquista il rispetto della principessa, che decide di lasciare tutto in mano sua. Per insegnarle ad amministrare i beni, chiede aiuto al gabellotto Carmine, che inizialmente non si mostra entusiasta: (1a) – Visto che voscenza ci tiene tanto, ma visto pure che „na scazzidda di carusa è, posso almeno chiamarla padroncina? [p. 90] (1b) – Vu que Votre Honneur y tient (1c) Vu que nosse dame y tient tellement, tellement, mais vu aussi que c‟est une gamine de rien du tout, puis-je au moins mais vu aussi que c‟est ine båcèle di tot rin, puis-je au moins l‟appeler petite l‟appeler petite patronne? [p. 145] patronne? 314 In questo passo si è reso voscenza con il corrispettivo allocutivo di cortesia in wallon nosse dame, mentre 'na scazzidda di carusa è stato tradotto con un‟altra espressione in dialetto wallon ine båcèle di tot rin. Modesta sa che deve rimanere sempre all‟erta e non cedere al languore che può provenire dal sentimento amoroso, così ricorda le parole del giardiniere del convento, Mimmo: (1a) – Eh, principessa! L‟amore quando è troppo rammollisce. A me è successo una volta. Da lavoratore che ero, m‟ero sucato come „na candela [p. 94] (1b) L‟amour ramollit quand il est trop fort. A moi, ça m‟est arrivé une fois. De travailleur que j‟étais, j‟étais devenu fondant comme une bougie [p. 152] (1c) – Eh, princesse L‟amour ramollit quand il est trop fort. À mioi, ça m‟est arrivé une fois. De travailleur que j‟étais, dj‟èsteû div‟nou fondant come li boûr è l‟ pêle! Per rendere il registro basso del testo di partenza in (1c) è stata usata la forma wallonne del pronone personale complemento di prima persona à mioi. Parallelamente l‟espressione dialettale da lavoratore che ero, m'ero sucato come 'na candela è stata tradotta con una forma mista di francese e wallon de travailleur que j‟étais, dj‟èsteû div‟nou fondant come li boûr è l‟ pêle! Quando viene deciso che Modesta deve sposare Ippolito, il figlio della principessa affetto da mongolismo, si preoccupa di andare a chiedere informazioni a Carmela, la contadina-prostituta che ha “accontentato” le voglie del principino. (1a) – Ma chi dici chista „cca! u nun la capisciu, e tu? Come sapevo da quando ero dalle suore, fuori dal muro parlavano un'altra lingua. – Ma chi dici? „Na straniera havi a essiri, e chi voli? Per fortuna che allora non ero scappata dal convento. Ma adesso avevo i soldi, e senza più parlare, solo ripetendo il nome di Carmela Licari, distribuivo monete. – Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda ca parrà comu „na signura. [p. 101] 315 (1b) – Ma chi dici chista „cca! Iu nun la capisciu, e tu?523 Comme je le savais depuis que j‟étais (1c) – Mins ki dist-èle, cisse-lale? Dji n‟è allée chez les sœurs, au-delà du mur on parlait une autre langue. allée chez les sœurs, au-delà du mur, on parlait une autre langue. – Ma chi dici? „Na straniera havi a essiri, e chi voli?524 Heureusement qu‟alors je ne m‟étais pas échappée du couvent. Mais maintenant j‟avais de l‟argent, et sans parler davantage, répétant seulement le nom de Carmela Licari, je distribuais des sous. – Ah, Carmela, Carmela cerca, chidda ca – Mins ki dist-èle? C‟èst-ine ètrindjîr, po l‟ pus sûr! Èt ki vout-èle? Heureusement qu‟alors, je ne m‟étais pas échappée du couvent Mais maintenant j‟avais de l‟argent, et sans parler davantage, répétant seulement le nom de Carmela Licari, je distribuais des sous. – A! Carmèla,c‟è-st-après Carmèla parrà comu „na signura.525 [p. 164] qu‟èle enn-a, cisse-lale qui djåse come ine barone! pou comrinde. Èt vos? Comme je le savais depuis que j‟étais Carmela spiega a Modesta quali stratagemmi usare per “accontentare” Ippolito: (1a) – Sì, sì, capisco. Pure io grande spavento ebbi la prima volta che mi portarono. E dire tanto fra femmine siamo ca io, e per miseria e per mala sorte, esperta ero quando ci misi piede. E questa esperienza mi salvò. Non è per soldi, figghia, ca ti dico queste cose. E che a nessuno vorrei fare passare quello che passai io aspettando d‟entrare in quella stanza. I soldi li prendo, ma solo la metà. E solo perché, lo vedi? grande bisogno abbiamo. Ma vedo che furia hai. Se s‟accorgono che sei scappata, guai sono per te e per me. Senti, figghia, per me non fu difficile, ma ti devi fare forza. Ora ti dico. Devi sapere ca io fui la prima femmina ca quella povera anima vedeva. Ora, anche se tu donna sei, non so come cominciare la romanza. Per farla breve e meno vergognosa per te e per me, io e non mi guardare accussi ca mi vergogno! io quando ci andai pensavo ca gente istruita era. Anche un dottore c‟era, ma questa è un‟altra questione. Che so! Pensavo ca il principe in qualche modo istruito era sul suo compito di uomo. E allora, chiudendo l‟occhi e senza levarmi la veste, ci sono quelli che gli piace di spogliare. Allora chiudendo gli occhi, e dire ca a dieci anni m‟hanno messo un uomo fra le gambe aspettai. Un secolo passò, e quello, niente. Aprii gli occhi, e quello povera anima, tutto vestito e col… come devo dire? Beh, sì, col suo coso fuori che se lo toccava, smaniava. 523 Mais qu‟est-ce qu‟elle dit celle là!Je ne la comprends pas, et toi? Mais qu‟est-ce qu‟elle dit? ça doit être une étrangère, et qu‟est-ce qu‟elle veuts? 525 Ah, Carmela, c‟est Carmela qu‟elle cherche, celle-là qu‟elle parle comme une dame. 524 316 Insomma, appresi che non sapeva che fare col suo coso, che, duro duro, certamente dolore gli doveva fare. E allora, la Madonna mi perdoni! con la santa pazienza. – Che cosa? – Visto che niente sapeva, e per me comodo era, gli imparai a lisciarsi su e giù come fanno l‟omini. Male non gli poteva fare, perché in questo istruita ero. Un marittimo me lo disse ca l‟omini quando sono sulle navi, imbarcati per mesi e mesi, fanno così. A lui anche il medico di bordo glielo disse che male alla salute non faceva. E anzi mi confidò ca quasi quasi gli dava più soddisfazione accussi che in modo regolare. Oh, figghia, che vergogna doverti dire „ste cose. Ma tu molti soldi m‟hai dato. Ora sai [p. 102] (1b) – Ah oui, oui, je comprends. Moi aussi j‟ai senti une grande épouvante la (1c) – Ah oui, je comprends. Moi aussi, j‟ai senti une grande épouvante la première fois qu‟on m‟y a amenée. Et dire – nous sommes entre femmes – que moi, première fois qu‟on m‟y a amenée. Et dire – nos-èstans inte deûs feumes - pensez par misère et par mauvais sort, j‟étais experte quand j‟y ai mis les pieds. Et cette expérience m‟a sauvée. Ce n‟est pas pour l‟argent, ma fille, que je te dis ces choses. C‟est qu‟à personne je ne voudrais faire passer ce que j‟ai passé en attendant que mi, cåse di misére èt måltchance, j‟étais experte quand j‟y ai mettu526 les pieds. Et c‟est mon espérience qui m‟a sauvéye. Ce n‟est pas pour des brokes, mi fèye, que j‟ vous dis tout ça. C‟est qu‟à personne, je ne voudrais faire passer ce d‟entrer dans cette chambre… Ton argent, je le prends, mais rien que la moitié. Et que j‟ai passé en attendant d‟entrer dans cette chambre… Ton argent, je le prends, seulement parce que, tu le vois? nous en avons grand besoin. Mais je vois que tu es impatiente. S‟ils se rendent compte que tu t‟es échappée, c‟est des embêtements pour toi et pour moi. Ecoute, ma fille, pour moi ça n‟a pas été difficile, mais il faudra que tu prennes sur toi. Je vais te dire. Tu dois savoir que j‟ai été la première femme qu‟a mais rien que la moitié. Et seulement parce que, tu le vois? nous en avons grand besoin. Mais je vois que tu es impatiente. S‟ils se rendent compte que tu t‟es échappée, c‟est des embêtements pour toi et pour moi. c‟est des embêtements pour vous et moi. Hoûtez bin, m‟ fèye, pour moi ça a stu facile, mais il vous faudra vu cette pauvre créature. Maintenant, même que tu sois femme, je ne sais pas comment commencer la chanson… Pour aller vite et nous gêner moins toi et moi, – et ne me regarde pas comme ça que j‟ai honte! – quand j‟y suis allée je pensais pwèrter l‟ dossèye. Je vous l‟ vais dire: Vous d‟vez savoir que j‟ai été la première femme que cette pauvre djin a vu527. À ç‟t-eûre, même que vous êtes une femme, je n‟ sais pas comment attaquer m‟ tchanson… Pour faire rad‟mint et ne que c‟étaient des gens instruits. Il y avait même un docteur, mais ça c‟est une autre nous pas gêner, vos nin pus‟ qui mi – èt ni me regardez pas comme ça, vos question. Qu‟est-ce que je sais! Je pensais que le prince était instruit d‟une façon ou m‟ahontîz! –, quand j‟y ai allé, je pensais qu‟ c‟était des djins qui avaient d‟ 526 527 Adaptation du wallon « mètou »: mis. Pas d‟accord du participe passé. 317 d‟une autre sur ce qu‟il avait à faire en l‟instruction. I n‟y-avait même un tant qu‟homme. Et alors, en fermant les yeux et sans enlever ma robe, il y en a que docteûr, mais ça, c‟è-st-ine ôte afère. Qu‟est-ce que sé-dju? Je comptais que l‟ ça leur plaît, de déshabiller… alors en fermant les yeux, – et dire qu‟à dix ans on prince savait, d‟une manière ou d‟une autre, ce qu‟i d‟vait faire pour être un m‟a mis un homme entre les jambes –, j‟ai attendu. Un siècle est passé, et l‟autre, homme. Adon, en clignant mes yeux, sans bouger ma robe (y-en an qu‟ ça leur rien. J‟ai ouvert les yeux, et cette pauvre créature, tout habillé et avec… comment plaît, de dismoussî)… Adon, en clignant mes yeux, - quand je m‟ rapense528 que j‟ est-ce que je peux dire? Ben, oui, avec son truc dehors que, s‟il le touchait, il était dans tout ses états. Enfin bref, j‟ai compris qu‟il ne savait pas que faire avec son truc, qui, tout dur tout dur, devait sûrement lui n‟avais qu‟ dix ans quand on m‟a mis un homme inte di mès djambes!- j‟ai rattendu. I s‟a passé ΄ne éternité… et encore une autre… Rin! J‟ai drouvert 529 mes yeux et cette pauv‟ djin, tout habillé, faire bien mal. Et alors, la Vierge me pardonne! avec une sainte patience… et avec… Kimint dîreû-dj‟ bin?... Bon! avec son bazår au vent, que s‟il l‟aurait – Quoi donc? – Vu qu‟il ne savait rien, et que c‟était commode pour moi, je lui ai appris à se frotter de bas en haut comme font les jamais adûzé, il aurait été d‟vin lès transes. Djans, j‟ai bien vu qu‟i n‟ savait quoi faire avec son bazår qui était si reû, si reû530 qu‟il lui devait faire bien du mal. hommes. Ça pouvait pas lui faire de mal, parce que je m‟y connaissais là-dedans. Un marin me l‟a dit que les hommes font ça, quand ils sont sur les bateaux, embarqués pour des mois et des mois. Et le médecin de bord lui a dit aussi que ça Adon, qui l‟ sinte Avièrge mi pardone, avec une sainte patience… – De quoi, donc? – Puisqu‟il ne savait rien, et qu‟ c‟était åhèye pour moi, je lui ai appris à froyî dispôy de bas en haut, comme les ne faisait pas de mal à la santé. Et même qu‟il m‟a dit en confidence que c‟était pas loin de lui donner plus de satisfaction comme ça que de la façon régulière. Oh, hommes du mal, d‟dans. hommes ma fille, quelle honte de devoir te dire tout ça. Mais tu m‟as donné beaucoup d‟argent. Maintenant tu sais [p. 164] bateaux, dès meûs å lon. Et l‟ docteûr du bateau m‟a dit en plus que c‟ n‟était pas måva po l‟ cwér! Et même qu‟il m‟a dit inte di nos deûs, que ça leur fait autant du font. Ça ne lui pouvait pas faire paç‟ que j‟ m‟y connaissais làUn marin m‟a raconté qu‟ les font ça quand ils sont sur les bien que de la droite manière. O, m‟ fèye, quelle gêne de vous devoir dire tout ça! Mais vous m‟avez donné beaucoup des censes! A à‟t-eûre, vous savez! 528 Adaptation du wallon « si rapinser »: se souvenir. Adaptation du wallon « drovî »: ouvrir. 530 Si raide. 529 318 (1a) – Vattene, figghia, ca furore di gelosia il mio Michele è. Furore di gelosia lo prende verso tutti quelli del palazzo. No, tutti non li voglio, troppi sono. Ma no, no! E va bene, se proprio vuoi li prendo. Lo vedo che buon cuore hai, e io li accetto, ma solo se mi prometti di pensarmi in debito con te. E ora corri, corri a casa, e non uscire più [p. 103] (1b) – Va-t‟en, ma fille, que mon Michele est furieux de jalousie. Une rage de jalousie le prend envers tous ceux du château… Non, je ne veux pas tout, c‟est (1c) – Ralez-vous-en, m‟ fèye: Mon Michel est raide sot d‟ jalousie. Raide jaloux contre tous tous ceux du château… Non.na, je n‟ veux pas tout ça: c‟est trop. Mais non, non! Eh bien d‟accord, si bêcôp trop‟! Non.na, non.na! Bin djans, vraiment tu le veux je le prends. Je vois que tu as bon cœur, et je l‟accepte, mais je veux bien. Si vous l‟ voulez, je les prends. Je vois que vous avez bon coûr et seulement si tu me promets de penser que je te dois quelque chose. Et maintenant j‟accepte. Mais seul‟ment si vous promettez de penser que j‟ vous dois cours, cours chez toi, et ne sors plus… [p. 166] quéqu‟ chose. A ç‟t-eûre, ralez-è! Ralezè chez vous et n‟en sortez plus. Il rapporto con Carmine è inizialmente molto teso e Modesta avverte un enorme disagio in presenza dell‟uomo, dal quale si sente dominata: (1a) – Vuole dire ca senza sella non ci sa andare? – Io non so andare a cavallo. – Allora è giocoforza, anche se non l‟aggrada, che lei monta davanti a me. Ecco, metta un piede qua. E ora uno slancio. Ma brava! Agile è. Chiedo scusa se dietro di lei devo stare. Un terrore fondo mi dava quella voce. Quando lo sentii dietro di me curvo con le redini in mano fu come se una catena mi avesse circondata da tutte le parti. M‟aveva intrappolata, per questo sorrideva. – E com‟è che trema così, padroncina? Ca forse ha paura del cavallo? A tutti succede la prima volta. Ma lei s‟ha da abituare, perché domani ca principessa sarà, dovrà, non solo sulla carta, ma anche di persona vedere le sue proprietà [p. 103] 319 (1b) – Vous voulez dire que vous ne savez (1c) - Vous m‟ voulez dire que vous n‟ pas monter sans selle? – Je ne sais pas monter à cheval. savez pas monter a crou? - Je ne sais pas monter à cheval. – Alors il est nécessaire, même si ça ne vous plaît pas, que vous montiez devant - Adon, il faudra – min.me si çoula v‟ deût displère – que vous monterez devant moi… Voilà, mettez un pied ici. Et maintenant vous prenez un élan. Mais très moi… Mètez voss‟ pî ici. Et a c‟t-eûre, lancez-vous. Là! Fwért bin! Vous êtes bien! Vous êtes agile… Je vous prie de m‟excuser mais je dois me tenir derrière adrète!... Escusez-moi, j‟ vous en prie, mais je me dois tenir derrière vos. vous. Cette voix m‟inspirait une terreur profonde. Quand je le sentis derrière moi, courbé, les rênes à la main, ce fut comme si une chaîne m‟avait entourée de partout. Cette voix me faisait une terreur arape. Quand je l‟ai sentu531 là, derrière moi, ça a été come si j‟ aurais été antoûrnète d‟une chaîne. Il m‟avait happé dans ses lèces et c‟est pour ça qu‟il souriait. Il m‟avait prise au piège, voilà pourquoi il souriait. – Et d‟où vient qu‟vous tronlez comme ça, nosse pitite dame? Vous avez mutwè eu – Et pourquoi est-ce que vous tremblez comme ça, padroncina? Peut-être que vous avez peur du cheval? Ça arrive à tout le monde la première fois. Mais vous sogne d‟ ch‟val? c‟est l‟ même pour tout l‟ monde, la première fois. Mais vous vous d‟vez vous habituer, paç‟que demain, quand vous aurez dev‟nu devez vous habituer, parce que demain, quand vous serez princesse, vous devrez, non seulement sur le papier, mais aussi en personne, visiter vos propriétés [p. 168] princesse, il vous faudra visiter vos terres, nin seûl‟mint so l‟ papier, mins po l‟ vrè! Tra le altre cose, Modesta cerca di imparare ad andare a cavallo: (1a) – Scusasse, voscenza, scusasse, non pensavo che sapeva già darsi lo slancio. Per fortuna che non s‟è fatta niente! Perché niente s‟è fatta, evvero? [p. 108] (1b) Pardonnez, madame, pardonnez, je ne pensais pas que vous saviez déjà prendre (1c) - Escusez, nosse dame, escusez! je ne savais pas qu‟ vous saviez déjà prendre votre élan. Par bonheur que vous ne vous êtes rien fait! Parce que vous ne vous êtes votre élan. Quelle chance que vous ne vous soyez pas fait du mal! Paç‟que vous rien fait, vrai, n‟est-ce pas? [p. 174] n‟ vous êtes pas fait du mal, èdon? 531 Adaptation du wallon «sintou»: equivale all‟italiano senti. 320 Una volta diventata principessa, Modesta assume un‟infermiera, Inés, affinché si prenda cura del principe. Pietro, il fedele servitore di casa Brandiforti, si preoccupa molto perché Ippolito sembra essersi innamorato di Inés: (1a) – Amareggiato sono, principessa. Proprio amareggiato! Speravo che in una mesata „sto fuoco di paglia per la torinese s‟astutasse, ma…ah, gli uomini! Lei non se la deve prendere. Pazienza deve avere! Gli uomini, tutti così! Anche mio padre buonanima, a incantarsi dietro a ogni sottana nuova! Ma mi deve credere, il mio principe voscenza ama. Imbarazzato sono a parlarle di queste cose. Ecco, io, a come stanno le cose, credo che a Catania, voscenza mi perdoni, bisognerà distrarlo con qualche picciotta, beh, si, come si faceva ai tempi della principessa buonanima perché qui sta il punto quella torinese vergine è… ma che fa, piange? [p. 125] (1b) – Je suis attristé, princesse. Vraiment attristé! J‟espérais qu‟en un mois ce feu de paille pour la Turinoise s‟éteindrait, mais… ah, les hommes! Il ne faut pas que vous vous en fassiez. Il faut être patiente! Les hommes, tous les mêmes! Mon (1c) Je suis tout triste, princesse, vraiment tout triste. Je pensais bien qu‟un mois passé, ce feu de paille pour la Turinwèsse se déteindrait, mais… A! lès-omes! Ne vous en faites pas. Il faut avoir de la patience. Les hommes sont tous lès regretté père aussi, à rester en extase devant chaque nouveau jupon! Mais croyez-moi, c‟est vous qu‟aime mon prince… Je suis embarrassé de parler de ces choses. Voilà, moi, au point où on en est, je pense qu‟à Catane, que Madame me pardonne, il faudra le distraire avec quelques petites, ben, oui, comme on min.mes. Mon père – Que l‟ bon Dieu aie son âme – restait les yeux au large quand il voyait n‟importe quel cotrê! Mais croyez-moi: c‟est vous qu‟notre prince voit vol‟tî… Je suis embarrassée de vous parler d‟ tout ça. Pour moi, dans une si-fête occasion, escusez nosse dame, il faudrait le distraire avec une petite… Ben faisait du temps de feu la princesse parce que – voilà le hic – cette Turinoise est vierge… mais que faites-vous, vous pleurez? [p. 201] oui, comme c‟était du temps de la princesse – Bon Diu åye si åme – paç‟que vola l‟ hic: cette Turinwèsse, èle est vierge!... Mais qu‟est-ce que vous faites? Vos plorez? Modesta ha una relazione con Carmine, dal quale ha un figlio. Nonostante la grande attrazione che li lega, i due hanno visioni delle cose profondamente divergenti: 321 (1a) – Io te lo dovevo dire? Si guarda, figghia, s‟ascolta. Come i signori sei diventata. Sempre persa dietro a cose inutili. In gran pena sono stato in questi quattr‟anni di guerra. Ma come vuole Dio, Mattia tornò quando tu partoristi, e ora mi torna Vincenzo ca per disperso me lo dettero. Anche tu c'hai un figlio, ca te lo scordasti? Vendendo tutto che gli lasci? Puoi avere pane per dieci anni, venti, ma la terra serve per dare uno stato ai figli. E tu un figlio hai! – E anche figlio tuo. – Non porta il mio nome! [p. 133] (1b) – Je devais te le dire? On regarde, ma (1c) – Je devrais vous le dire? On regarde, fille, on écoute. Tu es devenue comme les ma fille, on écoute. Vous êtes devenue beaux messieurs. Toujours perdue à courir derrière des choses inutiles… J‟ai été en comme les beaux messieurs. Toujours perdue à courir derrière les choses grand‟peine pendant ces quatre années de guerre. Mais comme Dieu l‟a voulu, inutiles… J‟ai été en grand-peine pendant ces quatre années de guerre. Mais, come li Mattia est revenu quand tu as accouché, et maintenant voilà que me revient Vincenzo, qu‟on me donnait pour disparu. Toi aussi tu as un fils, est-ce que tu l‟aurais oublié? En vendant tout, qu‟est-ce que tu lui laisses? Tu peux avoir du pain Bon Diu l’ vola, Mattia a rev‟nu. Quand vous vous êtes accouchée, et a c’t-eûre, voila que Vincenzo, qu‟on disait qu‟il était perdu, me revient. Vous avec, vous avez un fils, l’årîz-ve roûvî532? Qu‟est-ce que vous lui laisserez, si vous bazardez pour dix ans, ou vingt, mais la terre sert à donner un statut aux enfants. Et tu as un tout à fait? Vous pourrez manger votre pain pendant dix ou vingt ans, mais la enfant! – C‟est aussi le tien. – Il ne porte pas mon nom! [p. 212] terre, ça sert a assurer un av‟nir aux enfants. Èt vos avez in-èfant! – C‟est aussi le tien. – Il ne porte pas mon nom! Dopo averla lasciata per diverso tempo, Carmine, affetto da un male incurabile, torna da Modesta, che non è mai riuscito a dimenticare davvero: (1a) – Che fai da queste parti? – Eh, sono tre notti che m'aggiro da queste parti! – E perché? – Per vederti. – E non potevi bussare alla porta? – Carmine non bussa alle porte. Aspetta un segno dal destino. – E perché volevi vedermi? 532 L‟auriez-vous oublié? 322 – Sono condannato, figghia, qua al petto: angina. E nel tempo che m‟hanno dato, tre mesi, quattro, m‟è venuta fantasia di vederti, sempre che tu mi riconosca. – Ti riconosco, Carmine. Ma io ti ho ammazzato dentro di me. – Lo so. E anche per questo sono qua. La mia morte ti appartiene. Io un tempo ho dovuto farti torto e farmi torto, ma niente finisce e Carmine a te ha tenuto. E ora che t‟ho visto e ti ho parlato, appagato torno dalle mie parti anche perché la tua voce è stata dolce nel rispondermi. Addio padroncina, e che Dio ti benedica! Su Orlando, vecchio mio, è ora di andare! […] – Sono qua, guardami. – C‟è buio. – Io ti vedo. Hai paura ca tremi così? – Ho freddo Carmine. – È il freddo dell'alba, figghia, torna a casa. – E lontana la casa. Come tu m‟hai detto una volta: scendere è facile, ma risalire. – Te lo ricordi? – Tutto mi ricordo. Come una lepre m‟hai scovata fra i campi. – Eh sì, come una lepre correvi. […] – No, quella luce non era sufficiente, e io volevo vedere, spiare. – E che vuoi vedere, figghia? Non sta bene ca ricevi un uomo a quest‟ora di notte. – In questa casa sono padrona io. Entra. – Visto ca m'hai fatto entrare, mi posso fare 'na fumatina? – Certo che puoi [p. 194] (1b) – Je t‟ai reconnu, Carmine. Que faistu par ici? – Eh, cela fait trois nuits que je rôde par ici! – Et pourquoi? – Pour te voir. (1c) - Je vous ai reconnu, Carmine. Que fais-tu par ici? – Eh! ça fait trois nuits que je rode par ici! – Et pourquoi? – Pour te voir. – Et tu ne pouvais pas frapper à la porte? – Et tu ne pouvais pas frapper à la porte? – Carmine ne frappe pas aux portes. Il attend un signe du destin. – Et pourquoi voulais-tu me voir? – Je suis condamné, ma fille, là à la poitrine: angine. Et dans le temps qu‟ils – Carmine ne frappe pas aux portes. Il attend un signe du destin. – Et pourquoi voulais-tu me voir? – Je suis condamné, ma fille, là, à la poitrine: angine. Et, pour le temps qu‟i m‟ reste, treûs, qwate meûs, j‟ai eu dans m‟ont donné, trois, quatre mois, la fantaisie m‟est venue de te revoir, si l‟idée de te533 revoir, si tél‟fèye vous me reconnaissez534. toutefois tu me reconnais. – Je te reconnais, Carmine. Mais je t‟ai – Je te reconnais, Carmine, mais je t‟ai tué en moi. 533 534 À ce niveau d‟intimité, un tutoiement peut parfois intervenir. Si toutefois vous me reconnaissez. 323 tué à l‟intérieur de moi. – Dj‟èl sé bin. Et c‟est pour ça avec que je – Je le sais. Et c‟est aussi pour ça que je suis là. Ma mort t‟appartient. J‟ai dû te suis là. Ma mort est d‟à toi. J‟ai dû te faire bien du mal et m‟en faire avec, dans l‟ faire du tort et m‟en faire autrefois, mais rien ne finit et Carmine a tenu à toi. Et temps, mais rien n‟est jamais tout à fait oute et Carmine en pinçait pour toi. Et a maintenant que je t‟ai vue et que je t‟ai parlé, je retourne chez moi satisfait parce ç‟t-eûre que j‟ t‟ai vue et que j‟ t‟ai parlé, je m‟en revai chez moi, content, paç‟que que ta voix m‟a répondu avec douceur. Adieu, padroncina, et que Dieu te ta voix m‟a répondu tinrû‟mint. Adieu, Nosse pitite dame et que Dieu vous bénisse! Allez Orlando, vieux, c‟est l‟heure de partir! […] – Je suis là, regarde-moi. – Il fait sombre. bénisse. […] – Je suis là, regarde-moi. – Il fait sombre. – Dji v‟ veû. Avez-ve sogne, qui vos – Je te vois. Tu as peur, que tu trembles ainsi? tronlez insi? – J‟ai froid, Carmine. – J‟ai froid, Carmine. – C‟est le froid de l‟aube, ma fille, rentre chez toi. – La maison est loin. Comme tu me l‟as – C‟est la froideur du petit jour, mi fèye, rentrez adlé vos. – La maison est loin. Comme tu me l‟as dit une fois: descendre est facile, mais dit une fois: descendre est facile, mais remonter… – Tu t‟en souviens? – Je me souviens de tout. Tu m‟as débusquée dans les champs comme un lièvre. remonter… – Tu t‟en souviens? – Je me rappelle de tout. Vos m‟avez levé come on lièvre. – Eh! c‟est que tu courais comme un lièvre. – Eh, c‟est que tu courais comme un lièvre. – […] Non, cette lumière n‟était pas […] Non, cette lumière n‟était pas suffisante et moi, je voulais voir, épier. – Et qu‟est-ce que tu veux voir, mi fèye? suffisante, et moi je voulais voir, épier. – Et que veux-tu voir, ma fille? Ce n‟est pas bien que tu reçoives un homme à cette heure de nuit. Ce n‟est pas bien faire que tu reçoives un homme au beau milieu de la nuit. – C‟est moi qu‟ est maître535, ici. Intrez. – Si que j‟ peux entrer, je peux fumer une – Je suis la maîtresse ici. Entre. – Vu que tu m‟as fait entrer, je peux goutte? – Bien sûr, que tu peux. fumer un peu? – Bien sûr que tu peux [p. 308] 535 Au masculin, même pour une femme. 324 Tra Carmine e Modesta scoppia nuovamente l‟antica passione e i due trascorrono da amanti gli ultimi mesi di vita dell‟uomo. Nonostante la forte attrazione e la profonda intesa, i due litigano spesso per divergenze ideologiche: (1a) Che avesse mentito? No, Carmine era uomo d‟onore. Dovevo avvicinarmi, guardarlo da vicino, ma nuvole di fumo nascondevano il suo viso. Almeno toccarlo quel viso. – Mi vuoi, figghia, ca mi tasti accussi, come se non mi vedessi? Mi vuoi ancora? mai l‟avrei sperato! Io tanto ti desidero, ma non voglio contrastare il tuo intento. […] Ma ho perso l'attimo, e già le sue braccia mi sollevano leggera, l‟odio s‟allontana lasciando solo una stanchezza dolce nelle braccia e nella mente. – E che fai figghia, piangi? 'Na vota t‟arrabbiavi con me e mi graffiavi. Tanto hai sofferto? – Non ho sofferto e ti odio! – E giusto è. Ma non ti vergognare. Non c‟è vergogna a soffrire quando il destino ci contraddice. Pure io, e un vecchio ero, ho sofferto a doverti fare quel torto di lasciarti calda calda, come fra le mani mi eri cresciuta. Ma ora, in queste tre notti che ho girato intorno, ero sicuro che ci fosse qualcuno accanto a te, e non speravo. Anche per questo prudente sono stato a non bussare alla tua porta. […] Smemorato il mio corpo attende e le cosce s‟aprono sotto di lui, ma una lama di ghiaccio si insinua fra le onde calde di godimento e, malgrado me, costringe la mia mano ad arrestare quel pulsare accecante che dà la vita. – Che c'è figghia ca mi fermi così? L'ira t'ha gelata tanto ca non puoi perdonare? […] – No, no. È che c‟ho paura Carmine, paura! – Paura di che picciridda? non ti capisco. […] Come allora non oppone più resistenza, e come allora, bizzarria delle emozioni, mi viene da ridere. – Che c‟è da ridere, tosta carusa? – È che è buffo così piccolo e senza forza! [p. 195] (1b) Aurait-il menti? Non, Carmine était un homme d‟honneur. Il fallait que je m‟approche, que je le regarde de près, mais des nuages de fumée cachaient son visage. Au moins le toucher, ce visage. – Tu me veux, ma fille, que tu me touches (1c) Aurait-il menti? Non, Carmine était un homme d‟honneur. Il fallait que ke m‟approche, que je le regarde de près, mais des nuages de fumée cachaient son visage. Eu moins le toucher, ce visage. – Vos m‟ volez, m‟ fèye, pour me toucher comme ça, comme si tu ne me voyais pas? Tu me veux encore? Jamais je ne l‟aurais comme ça, comme si qu‟ vous n‟ me voyez pas? Vos m‟ volez encore? Je n‟ espéré! Moi je te désire tant, mais je ne l‟aurais jamais osé penser. Moi, je 325 veux pas aller contre ton intention. gériye536 tant après vous, mais je n‟ veux […] Mais j‟ai laissé passer l‟instant, et déjà ses pas aller disconte vos idées. […] bras me soulèvent, légère, la haine s‟éloigne, ne laissant qu‟une douce fatigue Mais j‟ai laissé passer l‟instant, et déjà ses bras me soulèvent, légère, la haine dans mes bras et dans mon esprit. – Et que fais-tu, ma fille, tu pleures? s‟éloigne, ne laissant qu‟une douce fatigue dans mes bras et dans mon esprit. Autrefois tu te mettais en colère contre moi et tu me griffais. Tu as souffert à ce – Mais qu‟est-ce que vous faites, mi fèye? Vous pleurez? Dans l‟ temps, vous vous point? – Je n‟ai pas souffert et je te déteste! – Et c‟est justice. Mais n‟aie pas honte. Il n‟y a pas de honte à souffrir quand le destin nous contrarie. Moi aussi, et j‟étais mettiez en colère après moi et vous m‟ dégrattiez. Avez-vous tellement souffert? – Je n‟ai pas souffert et je te déteste! – Et c‟est justice. Mais n‟aiez pas honte. Il n‟y pas de honte à souffrir quand le destin vieux pourtant, j‟ai souffert de devoir te faire ce tort de te laisser toute toute vous contrarie. Moi avec, et j‟étais vieux, pourtant, j‟ai souffert de vous d‟voir faire chaude, comme tu m‟avais grandi dans les mains. Mais maintenant, durant ces trois nuits où j‟ai tourné dans les parages, j‟étais sûr qu‟il y avait quelqu‟un auprès du tort et d‟vous laisser tote, tote tchôde, comme si vous m‟aviez crèhou dans les mains. Mais a ç‟t-eûre, au long d‟ ces trois nuits où ç‟que j‟ai tourniqué dans de toi, et je n‟espérais pas. C‟est aussi pour ça que j‟ai été prudent et n‟ai pas frappé à la porte. […] Sans mémoire, mon corps attend et mes cuisses s‟ouvrent sous lui, mais une lame les environs, je m‟ disais qu‟il avait sûr‟ment quelqu‟un auprès de toi, et j‟ n‟avais pas d‟espoir. C‟est pour ça, d‟abord, que je n‟ai pas toqué à la porte. […] Sans mémoire, mon corps attend et mes de glace s‟insinue entre les vagues chaudes de la jouissance et, malgré moi, oblige ma main à arrêter cette pulsation aveuglante qui donne la vie. cuisses s‟ouvrent pour lui, mais ne lame de glace d‟insinue entre les vagues chaudes de la jouissance et, malgré moi, oblige ma main à arrêter cette pulsation – Qu‟y a-t-il, ma fille, que tu m‟arrêtes comme ça? La colère t‟a tant glacée que tu ne peux pas pardonner? […] aveuglante qui donne la vie. – Qu‟est-ce qu‟il y a, m‟ fèye, que tu m‟arrêtes ainsi? La colère t‟a tant r‟froidie que tu n‟ me peux pas – Non, non. C‟est que j‟ai peur, Carmine, peur! pardonner? […] – Peur de quoi, petitoune? Je ne te comprends pas. […] Comme dans le temps, il n‟oppose plus de – Non, non. C‟est que j‟ai peur, Carmine, peur! – Sogne di qwè, peûtchète? Je n‟ te comprends goutte. 536 Adaptation du wallon « djèri », vouloir ardemment. 326 résistance, et comme dans le temps, […] bizarrerie des émotions, je me mets à rire. – Qu‟est-ce qui te fait rire, fille effrontée? Comme dans le temps, il n‟oppose plus de résistance, et comme dans le temps, – C‟est qu‟il est drôle si petit et sans force! bizarrerie des émotions, je me mets à rire. – De quoi est-ce que tu ris, donc, [p. 311] afrontèye båcèle? C‟est qu‟il est drôle, si petit et sans force! (1a) – Sei nato il due novembre? – Esattamente figghia. Mia madre diceva che quell'anno come regalo i morti Carmine avevano portato. E chissà perché quella bella vecchia rideva e si divertiva a pensarla così. A me sul principio non mi garbava l‟idea, e per tanti anni dissi a tutti, fuori casa, che il tre ero nato. Poi, pian piano non ci feci più caso, e come mia madre, me la risi e dei morti e dei vivi e di Dio e del diavolo! Mai l'avevo sentito parlare tanto. Tenendo la sua vita fra le mani, quella voce cullava. Non volevo che tacesse. – Come era tua madre, Carmine? – Te l‟ho detto: bella, alta e forte come un uomo. Non sapeva né leggere né scrivere. E quando uno di noi non filava dritto, senza aspettare mio padre, come fanno le donne, giù botte di santa ragione. Più di una volta l‟occhi neri mi ha fatto. E io coi compagni dovevo inventare che coi miei fratelli a pugni m‟ero preso. E che potevo dire ca una donna m'aveva ridotto come un pugile dopo un incontro? E questo anche perché io il pugile volevo fare. – E che ne sapevi di pugilato tu? Uno zio pugile in America, pieno di soldi e di donne, qualcosa m‟aveva insegnato della nobile arte l'ultima volta che venne a trovarci. Io quell'idea fissa avevo, e non riuscivo ad applicarmi ai numeri e alle parole. E ogni tanto andavo da mio padre, gli chiedevo il permesso di andare in America da zio Antonio e col tempo diventare pugile. Devi sapere che zio Antonio non aveva figli e spesso mi richiedeva a mio padre. – E tuo padre? – Ah, lui non rispondeva e mi diceva: "Chiedi il permesso a tua madre". – E lei? – Senza rispondere né ah, né bah, a pugni mi prendeva e io la rispettavo e non ne parlavamo più per qualche mese. – E poi? – Mi riprendeva la fissazione dei guantoni. I campi senza sapore mi diventavano, e andavo da mio padre, e lui mi mandava da mia madre e lei a botte mi faceva passare la fantasia. – Ma eri piccolo? – Beh, quattordici, quindici anni. 327 – E ti facevi picchiare? – Te l'ho detto: la rispettavo. E poi lei ci lavava, ci cucinava le cose, ci cucinava sempre ridendo e cantando. E giuraddio che mai maccu buono come quello di lei, dopo morta, mangiai! […] Il velo del silenzio si fa pesante e io non voglio dormire. – Com'è Carmine che parli ora? Prima sempre zitto stavi. – Che ti disturba, picciridda? Se ti disturbo zitto sto. – No, anzi, mi piace sentire la tua voce. Ma com'è? – E che so, picciridda! O forse lo so. Vedi fìgghia, da quannu quelli giù a Catania mi dissero che tre, quattro mesi potevo durare, ricordi di fatti belli e brutti, di facce amate e scomparse da tanto e di paesi magnifici c'ho visto mi sono tornati alla mente. Come te lo posso spiegare? E come una nostalgia delle belle cose e primavere che il destino e la buona fortuna m‟hanno accordato. Carmine uomo fortunato è stato, e anche nella mala sorte pienamente ha vissuto. E allora, a quella parola fine, desiderio forte di riviverla la vita m‟ha preso. Per farti un esempio, anche 'sta notte, quale vecchio nei dintorni e nel mondo intero poteva avere la buona sorte di sentirsi addosso peso bello come a te? – E non hai paura? – Paura di che, figghia? Mio padre è morto tranquillo. Anche lui, vita aveva avuto a piene mani dalla sorte. Case e terre aveva accumulato per noi e per mia madre che vecchia solo sei anni fa se n'è andata. Certo, come diceva mio padre, se nasci fragile di mente e di corpo, e da tutte quelle fantasie dei preti ti fai infinocchiare, allora per forza la Certa terrore dà. Mio nonno, mio padre e io, per ottenere quello che s'ha da ottenere, abbiamo dovuto farci rispettare colle mani e col fucile. Io tante volte la Certa l'ho sfiorata. E come fischiava la lupara o il coltello di notte! ma sono qua con te, e non me ne curo. – Ma allora tu a Dio non credi? – E che c'entra Dio? La voce liberata dalla morte, unico segno della condanna, mi alita fra i capelli e mi sbatte fra gli scogli dell'emozione. Per non annegare mi aggrappo al suo collo e con le mie labbra chiudo le sue. – E no, micia, se fai accussi la voglia mi riprende, e poi tu vi conosco a voi donne con la mano mi fermi. E io, anche se le tue labbra miele sono, ti voglio entrare dentro fino al cuore. – E allora come facciamo? – Carmine ci pensa a questo, domani provvede, ma ora buona. Capriccio è questo. Capriccio di tosta maredda! Morta di sonno sei, e io devo andare. – Ma torni? – Certo ca torno. Quannu si quieta la casa, come stanotte, torno [p. 198] (1b) – Tu es né le deux novembre? (1c) – Tu es né un deux novembre? – Exactement, ma fille. Ma mère disait que cette année-là, comme cadeau, les – Tout juste, mi fèye. Ma mère disait que, cette année-là, lès mwérts avît apwèrté 328 morts avaient apporté Carmine. Et qui sait Carmine. Et le diable sait pourquoi cette pourquoi cette belle vieille riait et s‟amusait à cette idée-là. A moi, au début, belle vieille femme riait et s‟amusait à cist-idèye. Moi, les premiers temps, ça n‟ l‟idée ne me plaisait pas, et pendant des années j‟ai dit à tout le monde, en dehors me plaisait pas et, des années au long, je disais à tout l‟ monde foû dèl mohone, de la maison, que j‟étais né le trois. Et puis peu à peu je n‟y ai plus fait attention, que j‟avais v‟nu au monde le trois. Et puis, pitchote a midjote, je n‟y ai plus et comme ma mère, j‟ai ri et des morts et des vivants et de Dieu et du diable! fait attention et, come mi mame, je m‟ai moqué des morts et des vivants. Èt dè Jamais je ne l‟avais entendu parler autant. Je tenais sa bite dans mes mains, et cette voix berçait. Je ne voulais pas qu‟elle se taise. – Comment était ta mère, Carmine? Bon Diu, èt dè djâle! Jamais je ne l‟avais entendu parler autant. Je tenais sa vie dans mes mains, et cette voix berçait. Je ne voulais pas qu‟elle se taise. – Je te l‟ai dit: belle, grande et forte comme un homme. Elle ne savait ni lire ni – Comment était ta mère, Carmine? – Je te l‟ai dit: belle, grande, èt fwète écrire. Et quand l‟un de nous ne filait pas droit, sans attendre mon père, comme font les femmes, allez, elle nous flanquait une bonne correction. Plus d‟une fois je lui ai come in-ome. Elle ne savait ni lire ni écrire. Et quand un d‟ nous autres ne rotait pas droit, sans rattendre notre père, comme les femmes font, elle nous dû un œil au beurre noir. Après ça, avec mes camarades, je devais inventer que je m‟étais battu à coups de poings avec mes frères. Eh quoi, est-ce que je pouvais dire qu‟une femme m‟avait mis dans l‟état d‟un boxeur après un match? D‟autant donnait une bonne pingnèye. Plus d‟un coup, je lui ai dû un noir œil. Alors, pour mes camarådes, je d‟vais inventer que j‟ m‟avais battu a côps d‟ pogn‟ avou mès frés. Est-ce que j‟ pouvais dire que c‟était une femme qui m‟avait laissé comme un qu‟en plus je voulais le devenir, boxeur. – Et qu‟en savais-tu, toi, de la boxe? – Un oncle boxeur en Amérique, couvert d‟argent et de femmes, m‟avait appris boxeur après l‟ match! D‟ottant pus qui dji l‟åreûs bin voulou div‟ni, boxeû! – Et qu‟en savais-tu, toi, de la boxe? – Un oncle boxeur en Amérique, avec tout quelque chose du noble art la dernière fois qu‟il est venu nous rendre visite. J‟avais cette idée fixe, et je n‟arrivais pas à m‟appliquer sur les chiffres et les mots. Et plein d‟ brokes et tout plein d‟ femmes, m‟avait aksègnî un peu du « noble art » la dernière fois qu‟il a v‟nu nous rendre visite. C‟était mon makèt et j‟ n‟arivais de temps en temps j‟allais voir mon père, je lui demandais la permission d‟aller en pas à m‟intéresser aux chiffres ou aux mots. Et, di tins-in-tins, j‟allais trouver Amérique chez oncle Antonio et de devenir boxeur. Il faut que tu saches qu‟oncle Antonio n‟avait pas d‟enfants et me réclamait souvent à mon père. mon père, je lui d‟mandais si que j‟ pouvais m‟en aller en Amérique, chez Mononke Antonio, et dev‟nir boxeur. Il vous faut savoir que mon Mononke – Et ton père? – Ah, il ne répondait pas et me disait: n‟avait pas d‟enfant, et qu‟i m‟ réclamait timpèsse à mon père. 329 “Demande la permission à ta mère”. – Et ton père? – Et elle? – Sans répondre ni oui, ni non, elle – Ah Il ne répondait pas et me disait: « demande la permission à ta mère ». m‟administrait une raclée et je la respectais et nous n‟en parlions plus de – Et elle? – Sans dire ni oui, ni non, elle me donnait quelques mois. – Et puis? une bonne pingnèye ; et je la respectais, et on n‟en parlait plus des mois au long. – L‟obsession du ring me reprenait. Les champs devenaient pour moi sans saveur, – Et adon? – Le maket du ring me reprenait. Les et j‟allais voir mon père, et il m‟envoyait voir ma mère et elle me faisait passer ce caprice en me rossant. – Mais tu étais petit? – Eh bien… quatorze, quinze ans. champs ne m‟ goûtaient plus, et j‟allais trouver mon père, et il m‟envoyait trouver ma mère, et elle me faisait passer mon maket en me donnant une pingnèye. – Mais tu étais petit? – Et tu te laissais battre? – Je te l‟ai dit: je la respectais. Et puis elle – Eh bien… quatorze, quinze ans. – Et tu te laissais battre? nous lavait, nous cuisinait cuisinait toujours en riant je t‟assure que jamais je maccu aussi bon que le les choses, elle et chantant. Et n‟ai mangé de sien, après sa – Je te l‟ai dit: j‟ la respectais. D‟abôr, c‟est elle qui nous lavait, nous cuisinait tote sôre d‟afères; elle cuisinait toujours tot riyant et tot chantant. Et j‟te jure mort! Il se tait maintenant. […] Le voile du silence se fait pesant et je ne veux pas dormir. – Comment se fait-il que tu parles, bien qu‟après qu‟elle a mouru, je n‟ai jamais mangé une grosse sope tellement bonne que la sienne! Il se tait, maintenant. […] Le voile du silence se fait pesant et je ne maintenant, Carmine? Avant tu restais toujours silencieux. – Ça te dérange, petiote? Si ça te dérange je me tais. veux pas dormir. – Kimint s‟ fêt-i qu‟ vos parlez, a ç‟teûre, Carmine? Avant, tu n‟ djâsais jamais. – Non, au contraire, j‟aime entendre ta voix. Mais comment cela se fait-il? – Et qu‟est-ce que j‟en sais, pitchounette! Ou peut-être que je le sais. Tu vois, ma – Ça t‟ dérange, peûtchète? Si ça t‟ fille, depuis que ces types là-bas à Catane m‟ont dit que je pouvais durer trois, quatre – Et qu‟est-ce que j‟en sais, peûtchète? Ou p‟t-êt‟ bien qu‟ je l‟ sais. Tu vois, m‟ mois, des souvenirs de choses bonnes et mauvaises, de visages aimés et disparus depuis longtemps et d‟endroits magnifiques que j‟ai vus me sont revenus fèye, depuis qu‟ cès-ôtes la, à Catane, m‟ont dit que j‟ savais encore tenir treûs, qwate mois, des sov‟nances, dès bones èt dès måles, souvenirs de visages que à l‟esprit. Comment est-ce que je peux t‟expliquer? C‟est comme une nostalgie j‟aimais et qui ont disparu il y a lontins, ou bien des belles places que j‟ai vues dérange, dji sére mi hapê! – Non, au contraire, j‟aime entendre ta voix. Mais comment cela se fait-il? 330 des belles choses et des printemps que le m‟ont rev‟nu à la tête. Comment est-ce destin et la chance m‟ont accordés. Carmine a été un homme heureux, et que j‟ peux t‟espliquer? C‟est comme un r‟gret des belles choses et des printemps même dans le malheur il a pleinement vécu. Et alors, à ce mot de fin, un grand qui l‟ dèstinèye èt l‟ tchance m‟ont-stacwèrdé537. Carmine a été in-ureûs-ome, désir m‟a pris de la revivre, cette vie. Rien que pour te donner un exemple, cette nuit et même dans les malheurs, il a plin.mint viké. Adon, quand on a scrî « c‟est fini », encore, quel vieux dans les parages et dans le monde entier pouvait avoir la j‟ai eu une grande envie de la r‟viker, cette vie. Rien que pour un exemple, cette chance de sentir sur lui un beau poids comme toi? – Et tu n‟as pas peur? – Peur de quoi, ma fille? Mon père est mort tranquille. Lui aussi, il avait eu de la nuit encore, qué vî ome dans l‟z-invirons a eu l‟ tchance de sentir pèser sor lu on bê pwès come vos? – Èt vos n‟avez nin sogne? – Sogne di qwè, m‟ fèye? Mon père est vie donnée à pleines mains par le sort. Il avait accumulé maisons et terres pour mort tranquille. À lui aussi, le sort lui avait donné de la vie à tarlarigot. Il avait nous et pour ma mère qui s‟en est allée, bien âgée, il y a seulement six ans. Bien sûr, comme disait mon père, si on naît fragile d‟esprit et de corps, et qu‟on se accumulé maisons èt bins pour nous autres et pour ma mère, qui s‟en est allée, bien âgée, i-n-a seul‟ment six ans. Bien sûr, comme disait mon père, si on vient au laisse entuber par toutes ces imaginations de prêtres, alors forcément la Certa donne de la terreur. Mon grand-père, mon père et moi, pour obtenir ce qu‟on a à obtenir, nous avons dû nous faire respecter avec nos mains et notre fusil. Je l‟ai frôlée bien monde flåwe d‟esprit et de corps, et qu‟on se laisse entuber avec toutes les vûsions dès prièsses538, adon, c‟est sûr que l‟acertinèye fait une terreur folle. Mon grand-père, mon père et moi, pour avoir ce qui nous rev‟nait, nous avons dû nous souvent, la Certa. Et comme le fusil ou le couteau sifflaient dans la nuit! Mais je suis ici avec toi, et je ne m‟en soucie plus. – Mais alors tu ne crois pas en Dieu? faire respecter avou nos mins èt nos fusils. Dès cops, je l‟ai bien frôlée, l‟acèrtinèye. Et les coûtês et les fusils sifflaient dans la nuit. Mais dji sos avec –Et qu‟est-ce que Dieu a à y faire? La voix libérée par la mort, seul signe de la condamnation, me souffle dans les cheveux et me jette au milieu des récifs de vous, èt je ne m‟en soucie plus. – Mais alors, tu ne crois pas en Dieu? – Et qu‟est-ce que Dieu a à y faire? La voix libérée par la mort, seul signe de l‟émotion. Pour ne pas me noyer, je m‟agrippe à son cou et de ma bouche la condamnation, me souffle dans les cheveux et me jette au milieu des récifs de ferme la sienne. – Eh non, minette, si tu fais comme ça l‟envie me reprend, et puis toi – je vous connais à vous les femmes – tu m‟arrêtes l‟émotion. Pour ne pas me noyer, je m‟agrippe à son cou et de ma bouche, ferme la sienne. – A non.na, Minouchette! Si tu fais 537 538 Que le destin et la chance m‟ont accordés (participe passé non accordé comme en W.) Les visions des prêtres. 331 avec la main. Et moi, même si tes lèvres comme ça, l‟èvèye mi r‟prind. Et puis toi sont du miel, je veux t‟entrer dedans jusqu‟au cœur. – dji v‟ connais, vos-ôtès feumes -, tu m‟ repousse avec ta main. Et moi, même si – Et alors, comment faisons-nous? – Carmine y pense, à ça, demain il fait le tès lèpes sont come dèl miel, je veux te rentrer dedans jusqu‟au cœur. nécessaire, mais maintenant, sois sage. C‟est un caprice, ça. Un caprice – Adon, comment fait-on? – Carmine î pense a çoula. Demain, il d‟effrontée de gamine! Tu es morte de sommeil, et moi je dois partir. fera ce qu‟il faut faire. Mais a ç‟t-eûre, sois sage. C‟est un makèt, ça. Un makèt – Mais tu reviendras? – Bien sûr que je reviendrai. Quand la maison reposera, comme cette nuit, je reviendrai. [p. 315] d‟afrontée båcèle. Vous êtes mwète de sommeil et moi, je dois m‟en raler539. – Mins vos r‟vinrez? – Pour sûr, que je r‟viendrai. Quand la maison dormira, comme cette nuit, dji r‟vinrè. (1a) Ogni notte quando la casa si quietava, Carmine tornava. […] – Perché tu sai accenderla e io no. Ho cercato e mi sono bruciata. Solo liquido amaro usciva e non fumo come a te. – E che vuol dire „sto discorso? Donna sei e che c'hai a che fare con pipa e tabacco tu? – E invece vuol dire! Non te la do se tu non mi insegni ad accenderla. – Che s'ha da sentire! 'Na carusa ca pipa in bocca! – 'Na vota sola Carmine, fammi vedere come fai. E va bene. Ma 'na vota sola! Ti conosco, tosta come 'na roccia sei, e io senza la pipa mia non campo! Secondo quelli col camice bianco non dovevo più fumare, né bere, né… lasciamo andare! E tutto, per che cosa? Per racimolare due giornate miserabili in più di vita. Lasciamo andare!. Vieni, ca t'insegno. Oh figghia, io ti levo 'sto capriccio, ma non è ca tu ti metti a fumare come a un carusu? – E perché no? – E perché si? Dimmelo, perché si, allora? – Perché io pure carusu sono! – Chista è proprio bella! Pure carusu sei? – Si. Mezzo carusu e mezzo maredda. – E chi te l'ha detto? – L'ho divinato. Nel mio futuro l'ho visto, ca sparavo e fumavo e correvo come a Carmine quannu era giovane. T'ho visto, sai, quannu eri giovane, e poi mi sono vista vecchia come tu ora sei, ma più vecchia, tanto più vecchia. Tu devi morire, ma io tre volte la tua vita camperò, 539 Adaptation du wallon « m‟ènnè raler »: partir. 332 il mio futuro me l'ha detto. – E brava, se te lo disse il tuo signor futuro non parlo più! Vieni, guarda, così la devi riempire. Morbido il tabacco è, piano, piano, ammaccalo. Ecco, così. Giuraddio ca ridere mi fai con quella pipa in bocca! E ora vediamo. Passaci il fuoco e tira. Guarda ca il fumo solo in bocca deve arrivare! Oh, non è che mi vomiti? Oh, non tirare forte! Ma guardatela! Che fantasia t'ha preso di fumare? E ora che l'hai accesa, me la vuoi dare? – Eh no, io la tengo! – Guarda, carusa, ca i nervi mi fai saltare. – Giuraddio ca me figghiu pari! Lazzarolu e cocciu di tacca come a Mattia. – Che voli diri lazzarolu e cocciu di tacca, Carmine? – Ah, tanto studiammu ca la propria lingua nni scurdammo, eh? – T'ho chiesto che vuol dire lazzarolu! – Giovane, bello e senza significato, pure. – E coccio di tacca? – Sempre giovane, audace, ca è come a dire: chicco di fuoco. – Ah! E tuo figlio è così? – Credo. Una volta pari bello, ma senza sostanza, una volta pari pieno di fuoco e audace. Chi lo sa? Tutto si può conoscere, meno ca il proprio sangue. E ora non mi fare incazzare e dammi 'sta pipa, o con una sberla, come a Mattia, ti faccio tornare la creanza! [p. 200] (1b) Chaque nuit, quand la maison reposait, Carmine revenait. (1c) Chaque nuit, quand la maison reposait, Carmine revenait. […] – Parce que tu sais l‟allumer et pas moi. J‟ai essayé et je me suis brûlée. Seul un liquide amer en sortait et pas de la fumée comme à toi. – Et que signifie ce discours? Tu es une femme, qu‟est-ce que tu as à faire d‟une pipe et de tabac? […] – Parce que tu sais l‟allumer et pas moi. J‟ai essayé et je me suis brûlée. Seul un liquide amer en sortait et pas de fumée, comme à toi. – Qu‟èst-ce qui çoula vou dîre? Tu es une femme et qu‟est-ce que tu as à faire d‟ine pîpe èt d‟ toûbak? – Ça veut dire quelque chose, contrairement à ce que tu penses. Je ne te la donne pas si tu ne m‟apprends pas à l‟allumer. – Qui n‟ fåt-i nin entendre? Ine båcèle – Il signifie quelque chose, contrairement à ce que tu penses! Je ne te la donne pas si tu ne m‟apprends pas à l‟allumer. – Qu‟est-ce qu‟il faut entendre! Une fille avec une pipe à la bouche! – Une seule fois, Carmine, fais-moi voir comment tu fais. – Bon, d‟accord. Mais une seule fois! Je te avec ΄ne pîpe a l‟ boke! – Rien qu‟une fois, Carmine, montre-moi comment tu fais. connais, tu es obstinée comme un roc, et moi sans ma pipe je ne vis pas! Selon ces – Bon, d‟accord. Mins rin qu‟on côp. Je t‟ connais: tu es mak‟tèye comme une types en blouse blanche je ne devais plus fumer, ni boire, ni… laissons tomber! Et pierre et moi, sans ma pîpe, dji n‟ vik‟reu d‟ja! D‟après ces types en blancs 333 tout ça, pour quoi? Pour grappiller deux vantrins, je n‟ devrais plus fumer, ni misérables journées de vie en plus. Laissons tomber!… Viens, que je beûre, ni… Laisson tomber! Et tout ça pour quoi? Po gangnî deûs pôvès pititès t‟apprenne. Oh ma fille, je te passe ce caprice, mais ce n‟est pas que tu vas te djoûrnèyes di pus? Lèyans-l‟ å rés΄! Viens, que j‟ t‟apprenne. Oh, m‟ fèye, je mettre à fumer comme un garçon? – Et pourquoi pas? te passe ce makèt, mais ti n‟ ti va nin mète à foumî come on valèt? – Et pourquoi? pourquoi? Dis-le moi, alors, – Et pourquoi pas? – Et pourquoi? Dis-le moi, alors: Parce que je suis aussi un garçon! – Elle est bonne, celle-là! Tu es un garçon? – Oui. A moitié garçon à moitié fille. – Et qui te l‟a dit? pourquoi? – Paç‟que je suis aussi un valèt. – Èle èst bone, cisse-chal! Vos sèrîz-ston valèt? – Awè. A mitan valèt, a mitan båcèle. – Je l‟ai deviné. Dans mon avenir je l‟ai vu, que je tirais et fumais et courais – Et qui te l‟a dit? – Je l‟ai adviné. Dans mon av‟nir, dji l‟a comme Carmine quand il était jeune. Je t‟ai vu, tu sais, quand tu étais jeune, et puis je me suis vue vieille comme tu es maintenant, mais plus vieille, bien plus vèyou. Je tirais, je fumais, je courais comme Carmine qwand ΄l‟èsteû djon.ne. vieille. Tu dois mourir, mais moi je vivrai trois fois ta vie, mon avenir me l‟a dit. – Et bravo, si monsieur ton avenir te l‟a dit je ne parle plus! Viens, regarde, tu dois la remplir comme ça. Le tabac est tendre, doucement, doucement, tasse-le… Voilà, comme toi a ç‟t-eûre, mais plus vieille, bin pu vîle. I v‟ fåt mori, mins mi, je vivrai trois fois ta vie! C‟est mon avenir qui m‟ l‟a dit. – Proficiat‟! si Moncheû ton av‟nir te l‟a dit, je ne parle plus! Venez, loukî bin. comme ça. Je te jure que tu me fais rire avec cette pipe à la bouche! Et maintenant voyons. Passes-y le feu et aspire… Attention, que la fumée ne doit arriver que Vous devez la remplir comme ça. La toûbak‟ est tendre. Tot doûs, tot doûs, tu le tasse. Voila: tot djusse come çoula. Je t‟ jure que tu m‟ fais rire avou cisse pîpe dans la bouche! Oh, tu ne vas pas vomir? Oh, n‟aspire pas fort! Mais regardez-la! Quelle fantaisie t‟a pris de fumer? Et maintenant que tu l‟as allumée, tu me la è l‟ boke! Et a ç‟t-eûre, voyons. Mettez-y l‟ feû èt tètez. Atincion: la foumîre ne doit venir que dans ta bouche. Oh! Tu n‟ vas pas renârder? Ne tire pas si fort! donnes? – Eh non, je la garde! Mais regardez-la! Qué makèt avez-ve avu d‟aler foumî? Et a ç‟t-eûre que tu – Fillette, tu vas me faire sortir de mes gonds. Pardieu qu‟on dirait mon fils! Lazzarolu et cocciu di tacca comme Mattia. l‟as allumée, tu m‟ la donne? – Non.na: dj‟èl‟ wåde! – Atincion, Båcèle, ca mès nerfs, vos lèsalez fer pèter! Acri Diu, on dirait mon – Que veut dire lazzarolu et cocciu di tacca, Carmine? fils! Branvolé hûzê èt vårin hèrvê comme Mattia. Dji v‟s-a vèyou, savez, qwand v‟s-èstîz djon.ne. Adon, je m‟ suis vue vieille 334 – Ah, nous étudions tant que nous Que veut dire, branvolé hûzê èt vårin oublions notre propre langue, hein? – Je t‟ai demandé ce que veut dire hèrvê, Carmine? – Oho! Nous étudions tellement qu‟ nos lazzarolu! – Jeune, beau et sans jugeote, aussi. roûvians nosse prôpe lingadje, hein? – Dji v‟s-a d‟mandé çou qu‟ vôreût dîre – Et cocciu di tacca? – Jeune encore, audacieux, c‟est comme « branvolé hûzê »! – Jeune, beau et sans jugeote, aussi. de dire: grêlon de feu. – Ah! Ton fils est comme ça? – Et « vårin hervê »? – Jeune encore, audacieux, c‟est comme – Je crois. Une fois il paraît beau, mais inconsistant, une autre fois il paraît plein de feu et d‟audace. Qui sait? On peut tout connaître, sauf son propre sang. Et maintenant ne me mets pas en rogne et de dire: « grêlon de feu ». – Oho! Vosse fi èst come çoula? – Dj‟èl‟ creû. On côp, il paraît beau, mais inconsistant, une autre fois il paraît plein de feu et d‟audace. Qui sait? On peut tout donne-moi cette pipe, ou d‟une bonne gifle, comme à Mattia, je t‟apprends à te connaître, såf si prôpe song‟. Èt a ç‟teûre, ni m‟ fêt nin et donne-moi cette comporter comme il faut! [p. 318] pipe ou bin, d‟ine bone calote, come po Mattia, dji t‟aprind à t‟ tini come i fåt! Gli stralci che seguono riportano un proverbio (1a) e una ninna nanna (2a) molto diffusi in Sicilia. Entrambi sono stati integralmente tradotti in wallon: (1a) "Chi lassa la strata vecchia pi la nova, sapi chiddu ca lassa, ma non sapi chiddu ca trova" [p. 60] (1b) “ Qui laisse la vieille route pour la (1c) « Li ci qui qwite li hové pazê po nouvelle, sait ce qu‟il laisse, pas ce qu‟il trouve ” [p. 97] ΄nn-è prinde in-ôte, i sé çou qu‟i qwite, mins nin çou qu‟i troûv‟rè». (2a) Si Beatrice nun voli durmiri coppa nno' culu sa quanta n'ha aviri. […]Ooh, ooh, ooh, dormi figghia, fa la “O”. E si Beatrice nun voli durmiri coppa nno‟ culu sa quantu n‟ha aviri… ooh, ooh, ooh… dormi bedda, fa la “O”…. [p. 66] (2b) Si Beatrice nun voli durmiri coppa nno' culu sa quanta n'ha aviri. […] Ooh, (2c) Si Bêtri ni s‟ vout nin èsok‟ter, èle ènn-årè tot plin so s‟ cou! […] O, ô, ô, ooh, ooh, dormi figghia, fa la “O”. E si dwèrmez, mi p‟tite fèye, fez dôdô. Èt si 335 Beatrice nun voli durmiri coppa nno‟ culu sa quantu n‟ha aviri… ooh, ooh, ooh… dormi bedda, fa la “O”…. [p. 106] Bêtri ni s‟ vout nin èsok‟ter, èle ènn-årè tot plin so s‟ cou! Ô, ô, ô. 336 Conclusioni L‟arte della gioia, a immagine della sua autrice, è un romanzo tanto affascinante quanto complesso. Una complessità che – al di là delle molteplici tematiche condotte nell‟evolversi dell‟intreccio, accompagnate dalla presenza di personaggi ben delineati e approfonditi – si riscontra soprattutto nella realizzazione linguistica operata dalla Sapienza, di fronte alla quale mi sono spontaneamente chiesta quale francese fosse stato usato per la traduzione del romanzo e quali fossero le strategie traduttive attuate. Nel tentativo di dare una risposta, ho cercato innanzitutto di comprendere quale fosse il tessuto linguistico del testo di partenza, per analizzare in seguito le modalità, le strategie e le scelte che hanno guidato Nathalie Castagnè nella sua opera di traduzione. La lingua della Sapienza si è configurata sin dall‟inizio come un sistema tutt‟altro che lineare e statico, assumendo piuttosto un andamento ondulatorio che oscilla da un registro alto e ricercato a uno basso e colloquiale, dove gli inserti dialettali sono numerosi e significativi. Ma non è tutto. I molti esempi riportati servono a corroborare l‟idea che la dimensione dialettale non sia funzionale solo alla rappresentazione mimetica di un ceto sociale basso. Se il passaggio dall‟uso del dialetto a quello dell‟italiano segna per Modesta la realizzazione concreta della propria elevazione sociale, è altresì vero che il siciliano non viene mai abbandonato dalla protagonista, né dai parlanti più colti che lo usano per identificarsi con la terra di cui sono originari. Identificazione che è espressione di un sistema valoriale che non è legato quindi solo a un territorio, ma a una condizione dello spirito, quella in cui si riconoscono Modesta e le persone che la circondano e che lei ama. Questa alternanza tra italiano e dialetto non rappresenta dunque un aspetto marginale nell‟economia del romanzo, costituendone piuttosto una delle caratteristiche salienti e configurandosi come portatrice di senso. Difficilmente potrebbe essere altrimenti visto che la stessa autrice dichiara all‟interno del romanzo 337 la propria fiducia nella forza delle parole, capaci di destrutturare e rifondare non solo la visione della vita, ma le categorie mentali che filtrano la percezione della realtà, quindi la capacità di guardare a essa, quindi la possibilità di autodeterminarsi nella definizione della propria identità. L‟evoluzione di Modesta inizia dalla scoperta e dall‟appropriazione delle parole: Cosa avevo detto? Ah, si: porco mondo. Da quel giorno abbandonai tutte quelle brutte parole senza rimpianto. Non fu facile, anche cercando di dimenticarle non mi volevano uscire dalla testa, ma io escogitai un sistema, una disciplina per dirla come madre Leonora (però, che bella parola, disciplina). […]Seppi tante parole nuove e belle che nei primi tempi, a furia di stare attenta per acchiapparle, mi girava la testa e mi mancava il fiato. Anche domani mattina chissà quante ne avrei imparate 540 per arrivare a quella presa di coscienza che consente per l‟appunto di vedere la realtà con occhi epurati dalle sovrastrutture culturali, imposte da falsi miti: Attente, Bambolina, Crispina, Olimpia…attente, voi, privilegiate dalla cultura e dalla libertà, a non seguire l'esempio di queste negre perfettamente allineate. Al posto delle mani tagliuzzate dalla varechina, per voi si preparano anni di cupo esercizio mascolino nel legare alla catena di montaggio le più povere, e l'atroce notte insonne dell'efficienza a tutti i costi. E fra venti anni di questo esercizio vi troverete chiuse in gesti e pensieri distorti come questa larva che sorride per dovere d'ufficio – materializzazione né maschile né femminile – inchiodate davanti al vuoto e al rimpianto della vostra identità perduta 541. La lingua, quindi, la parola, l‟espressione sono il mezzo privilegiato attraverso cui la scrittrice realizza la sua missione creativa: raccontare. Non a caso il romanzo, dopo aver ripercorso quasi un secolo di Storia, lancia i ponti verso il futuro che attende la protagonista e il suo amore maturo, concludendosi con un‟apertura che, riverberandosi nell‟eco dell‟atto creativo, di fatto ne impedisce la conclusione: «racconta, Modesta, racconta»542. Si può facilmente intuire quanto ardua sia stata l‟impresa di Nathalie Castagné, alla quale va innanzitutto riconosciuto un merito assoluto: se lei non avesse caldeggiato la pubblicazione del romanzo in Francia, probabilmente, oggi nessuno parlerebbe di Arte della gioia. 540 Sapienza, L‟arte… cit., p. 20. Ivi, p. 471. 542 Ivi, p. 511. 541 338 Bisogna dire che sin dai primi momenti in cui ho letto il romanzo e avuto notizia delle sue vicende editoriali, ben prima di cimentarmi in questo lavoro, mi sono immediatamente chiesta che tipo di traduzione fosse stata operata. Al di là di un approccio più metodico e scientifico, la complessità della lingua della Sapienza salta subito agli occhi, e viene naturale chiedersi quali possano essere i risultati del processo traduttivo. Questo vale ancora di più per chi, come me, conosce il dialetto siciliano in maniera attiva e può comprendere maggiormente le insidie del testo. Mi sono quindi accostata alla versione in francese con estrema curiosità, facendo attenzione, alla prima lettura, di cercare di notare quali fossero, se ve ne fossero, le modalità scelte dalla traduttrice per riprodurre nel lettore francofono quelle sensazioni che la Sapienza aveva voluto trasmettere al lettore italofono. La prima impressione che ne ho avuto, poi corroborata da un esame approfondito della lingua e dalle stesse dichiarazioni della traduttrice, è stata che la Castagné avesse privilegiato il senso generale, il fluire delle parole, senza davvero soffermarsi a indagare il rapporto che legava la Sapienza al dialetto siciliano e alla sua decisione di distribuirlo, certamente con consapevolezza e con uno scopo preciso, all‟interno del testo. Il risultato è che da profonda conoscitrice delle impalcature linguistiche del francese, la Castagné ha reso molto bene, a mio avviso, i passaggi legati al registro medio-alto, all‟interno del quale la sua lingua, libera dalle costrizioni di una sintassi e soprattutto di un lessico che non offre riscontri, le concede diverse possibilità di movimento, che vengono gestite con mano sicura e in maniera essenzialmente appropriata. Le difficoltà maggiori nascono invece, non tanto quando deve misurarsi col registro basso – col quale anzi dimostra una buona dimestichezza, rendendo per esempio in maniera molto efficace il linguaggio di Nina – ma quando si trova ad avere a che fare con l‟apparato linguistico dialettale. In quelle occasioni la Castagné spesso non riesce a trovare soluzioni davvero convincenti, anche perché le sue scelte, lungi dall‟essere sempre coerenti, lasciano a volte spiazzati. Non sapendo come dare conto dell‟uso del siciliano nel testo originale, la traduttrice ha dichiarato di aver optato per la conservazione dei testi integralmente dialettali, ai quali, mantenuti in originale, veniva aggiunta una nota esplicativa. Questo però non è sempre vero, perché se in diversi casi effettivamente la Castagné agisce in questo modo, in altri traduce in francese espressioni interamente dialettali, senza mettere in atto alcun fenomeno compensativo, che lasci anche solo intuire che nel testo di partenza non si stia usando l‟italiano, bensì un suo dialetto. 339 Solo per citare alcuni esempi, si veda quanto segue: (1a) Chi lassa la strata vecchia pi la nova, sapi chiddu ca lassa, ma non sapi chiddu ca trova [p. 34] (1b) “ Qui laisse la vieille route pour la nouvelle, sait ce qu‟il laisse, pas ce qu‟il trouve ” [p. 97] (2a) Cangia la vita quannu 'u padri mori (2b) La vie change quand votre père [p. 240] meurt. [p.381] Altro elemento che pone interrogativi è quello legato all‟onomastica: se quasi tutti i nomi propri di persona vengono lasciati in originale, così non accade per la cameriera Argentovivo, per la quale la Castagnè decide, anche comprensibilmente – visto che con la traduzione ne mantiene trasparente il significato – di usare Vif-argent; in questa prospettiva, appare però molto strana la decisione di non mantenere in originale il soprannome di Beatrice, cioè Cavallina, anch‟esso tradotto in maniera letterale, cioè Pouliche, senza che però stavolta se ne conservi il senso che, dall‟originale sottolineatura della malformazione congenita della ragazza (che la faceva zoppicare), passa ad essere un nomignolo quasi affettuoso e tenero. Un'altra piccola annotazione va fatta in relazione all‟uso del titolo di principessina per il quale la Castagné ha dichiarato di aver voluto mantenere la versione originale perché trovava che fosse completamente trasparente e molto più fluida del petite princesse francese. Premesso che la forma petite princesse si trova comunque nel testo quattro volte (a fronte dei venti principessina) senza ragioni evidenti che ne giustifichino tale uso, non appare tanto trasparente l‟uso ad esempio di padroncina (14 occorrenze) per petite patronne (4 occorrenze), uso ancora una volta alternato, senza che si comprendano le ragioni che abbiano portato a prediligere una forma piuttosto che l‟altra. Queste piccole incongruenze, poco significative di per sé, servono a dimostrare come la Castagné senta probabilmente un certo disagio quando è costretta a calarsi in ambiti linguistici che richiederebbero l‟uso di un francese molto rielaborato. Bisogna ricordare che la biografia della traduttrice ci rivela come la formazione della Castagné non preveda studi specifici nel settore della traduzione, e che la sua attività lavorativa sia nata per caso e in ragione di alcuni soggiorni in Italia, durante i quali ha potuto apprendere la nostra lingua. Il suo approccio alla traduzione pare 340 quindi molto legato all‟altra sua attività in ambito letterario, e cioè a quella di scrittrice, che per l‟appunto da un lato riesce a donarle una raffinata sensibilità per la scelta e la declinazione di certi termini o costrutti sintattici, ma dall‟altro sembra limitarne la capacità di districarsi al di fuori dei contesti che si rivelano lontani dal suo naturale agire. Infatti lungo tutto il corso dell‟analisi comparativa tra il testo italiano e quello francese, attuata tenendo conto di tutte le dimensioni di variazione linguistica (diatopica, diastratica, diamesica, diafasica) è emerso come la Castagnè, nel momento in cui si sia accostata agli inserti dialettali del testo di partenza, abbia trovato notevoli difficoltà, optando non di rado per soluzioni discutibili. A livello fonologico ad esempio, alcuni tratti tipici del dialetto siciliano, come le forme aferetiche di „na per una, „sto o „sta per questo o questa, vengono sempre normalizzate, senza che intervengono fenomeni compensativi: (1a) Non sto tranquillo a vederti girare intorno a „sto pozzo. [p. 35] (2a) Appena l‟ha vista s‟è sbiancata come „na morticina, e appena lei ha accennato a quel fattaccio, ecco che l‟attacco le riprende [p. 16] (1b) Je ne suis pas tranquille de te voir tourner autour de ce puits [p. 59] (2b) Dès qu‟elle vous a vu elle est devenue blanche comme une petite morte, et à peine faites-vous allusion à l‟horrible événement, voilà sa crise qui la reprend [p. 27] La stessa cosa accade con i fenomeni di assimilazione consonantica, che vengono, nel passaggio verso il francese, ancora una volta normalizzati: (3a) Granni come un uomo, forte e bravo [p. 248] (3b) Grand comme un homme, fort et habile [p. 393] In alcuni casi, la Castagné si ingegna per cercare di trovare soluzioni diverse alle difficoltà che incontra. Accade in occasione della traduzione dell‟avverbio di luogo quannu, per il quale in cinque casi, invece della normalizzazione in quand, scelta la maggior parte delle volte, utilizza una forma da lei inventata, quante. A questo proposito però non sembra di poter ravvisare ragioni specifiche e intellegibili – 341 se non una generica volontà di connotare diastraticamente il passaggio – che spieghino l‟utilizzo di questa forma: (1a) Anche questo è vero! Finalmente sorridi, mamma. Quannu sorridi ridiventi giovane come quannu ero bambino [p. 492] (1b) C‟est vrai aussi! Tu souris enfin, maman. Quante tu souris tu redeviens jeune comme quante j‟étais petit [p. 777] A livello morfosintattico si potrebbe segnalare la resa del ci attualizzante, altro tratto tipico della lingua colloquiale, che nel passaggio al francese viene di fatto sempre dileguato: (1a) E facciamo questa frittata. Io non ci ho paura! Sei tu che ci hai paura. Altro che uomo sei! Tremi tutto [p. 9] (1b) Eh bien, faisons-le ce gâchis. Je n‟ai pas peur! C‟est toi qui as peur. Un homme, tu parles. Tu trembles des pieds à la tête. [p. 16] Un altro costrutto tipico dell‟area meridionale è l‟accusativo preposizionale, presente nel romanzo con 43 occorrenze, ma spesso dileguato nella sua traduzione in francese: (1a) Lo sai a chi devi ringraziare di potere almeno uscire all‟aria? [p. 33] (1b) Tu sais qui tu dois remercier de pouvoir au moins sortir à l‟air libre? [p. 54] (dileguo) Interessante pare anche l‟uso dei pronomi interrogativi ed esclamativi Che cosa, che e cosa, che sono distribuiti nel romanzo come segue: PRONOME che cosa NUMERO DI 58 OCCORRENZE che cosa 421 86 La netta prevalenza del che, forma tipica delle zone centro-meridionali d‟Italia, mostra chiaramente l‟influenza dell‟italiano regionale di Sicilia sulla lingua della 342 Sapienza. La Castagné anche in questo caso, opta per soluzioni che si rivolgono allo standard francese, senza operare forme di compensazione: (7a) – Che è novità? Sempre così è stato fra noi – E sempre così sarà! Perché ridi eh, vecchiaccio? Che ti ride negli occhi? – Mi ride il tuo odio, fìgghia. Avessi avuto una figghia come a tia! – Che vuol dire? – Che mi odi perché, come la principessa buonanima aveva capito… – Che aveva capito? [p. 207] (7b) – C‟est une nouveauté? Ça a toujours été ainsi entre nous. (dileguo) – Et ce sera toujours ainsi! Pourquoi ris-tu, hein, maudit vieillard? Qu‟est-ce qui rit dans tes yeux? – Ta haine, ma fille. Si j‟avais eu une fille comme toi! – Qu‟est-ce que ça veut dire? – Que tu me hais parce que, comme feu la princesse l‟avait compris… – Qu‟avait-elle compris? [p. 330] Per citare ancora un esempio, si potrebbe considerare il caso del pronome relativo ca per che, tratto, questo, caratteristico del dialetto siciliano e ancora una volta normalizzato nello standard francese qui o que: (1a) Quello ca mio padre non a parole, ma con gli occhi diceva quannu la sentiva nominare… [p. 221] (1b) Ce que mon père disait, non pas avec des mots mais avec les yeux, quand on parlait de vous… [p. 351] Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ricordando ancora come vengano neutralizzate anche tutte le allocazioni verbali in fine della frase, anche queste tipiche delle parlate meridionali, o come il passato remoto venga quasi sempre reso con la forma più standard del passé composé: (1a) Se ti colpiscono la fantasia tuoi sono [p. 489] (1b) S‟ils te frappent l‟imagination, ils sont à toi [p. 774] (2a) Queste idee straniere sono. Modesta. E mai niente di buono da fuori nell'isola è venuto. Tu bene facesti di imparentarti con qualcuno di valore che domani amico degli amici ci può diventare. [p. 207] (2b) Ces idées sont des idées étrangères, Modesta. Et jamais rien de bon n‟est venu du dehors pour notre île. Tu as bien fait de prendre pour parent quelqu‟un de valeur qui demain peut devenir ami de nos amis [p. 330] 343 Anche per quanto riguarda il piano lessicale, relativamente alla dimensione diatopica, la traduzione della Castagné, pur riuscendo a rispettare il senso, si risolve in genere verso una resa standard del francese. Ad esempio accussì viene reso con comme ça, cammurria con horreur, carusa con fillette, scerra con dispute, susìrisi con se lever, ecc. Sul piano dei registri, si è già accennato al fatto che la traduttrice si dimostri decisamente a suo agio nella resa di quelli medio-alti o anche bassi (si veda il personaggio di Nina, caratterizzata dall‟uso del romanesco), purché non si muovano nell‟ambito dialettale, del siciliano nello specifico, che sembra quasi mettere in soggezione la Castagné. Quest‟ultima infatti parla del dialetto come di una lingua austera, degna, latineggiante543. E questa sua sorta di timore reverenziale trascolora spesso nel suo lavoro di traduzione. Quello che in fin dei conti è emerso con maggiore evidenza durante l‟analisi dei registri è che la traduttrice opta in genere per una traduzione il più possibile letterale; quando però le possibilità linguistico-espressive del francese non la sostengono in questa impresa – cosa che accade spesso quando deve cimentarsi con la traduzione dei passaggi in dialetto – si rivolge a locuzioni mutuate dal registro basso, che tuttavia però lasciano cadere, disperdendola la coloritura dialettale, della cui importanza si è ampiamente parlato. In tal modo, a mio avviso, il romanzo non subisce solamente un torto al livello stilistico, ma viene soprattutto deprivato di una parte importante di senso. Mi piacerebbe concludere questo lavoro lasciando la parola a colei che ne ha ispirato la realizzazione e che troppo a lungo è stata relegata al silenzio:« c‟è una cosa che mi rassicura, una cosa che ho sperimentato molte volte nella vita: so che quelli di voi che si sono annoiati di seguire questo mio sproloquio avranno già distolto lo sguardo. Si resta sempre in pochi» 544. 543 544 Cfr. § 5.2 Goliarda Sapienza, Lettera aperta, Palermo, Sellerio, 1997, p. 31. 344 BIBLIOGRAFIA Opere di Goliarda Sapienza SAPIENZA Goliarda, Lettera aperta, Palermo, Sellerio, 19972 [1° ed. 1967] SAPIENZA Goliarda, Il filo di mezzogiorno, Milano, La Tartaruga, 20032 [1° ed. 1969] SAPIENZA Goliarda, L‟università di Rebibbia, Milano, Rizzoli, 2006 2 [1° ed. 1983] SAPIENZA Goliarda, Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, 2009. SAPIENZA Goliarda, Destino coatto, Torino, Einaudi, 20112 [1° ed. 2002 a cura dell‟Ass. Edizioni Empiria]. SAPIENZA Goliarda, L‟art de la joie (trad. fr. 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