Un argomento al mese su cui riflettere: Marzo 2008 Il triduo pasquale ambrosiano da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°3. «Il triduo pasquale della passione e della risurrezione del Signore ha inizio dalla Messa in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di risurrezione». Con queste parole le Norme Generali per l'ordinamento dell'Anno Liturgico e del Calendario circoscrivono la solenne liturgia ambrosiana della Pasqua annuale, sottolineandone a un tempo la pluralità rituale e l'unità celebrativa. La pluralità rituale Dal tramonto del giovedì santo alla sera della domenica di Pasqua sono tre i momenti rituali su cui focalizzare l'attenzione: la Messa nella cena del Signore; la celebrazione della Passione del Signore; la Veglia pasquale nella notte santa. Completano poi la ricchezza liturgica di questi giorni sacri, la particolare ufficiatura, la liturgia della Parola del sabato santo mattino e le varie celebrazioni eu-caristiche della domenica di Pasqua, con il duplice formulario della Messa del giorno e per i battezzati. La Messa nella cena del Signore si caratterizza per l'inserzione tra i vespri, secondo una peculiarità acquisita dalla Chiesa di Milano nei suoi ripetuti contatti con l'Oriente e conserva-tasi ininterrottamente fino a oggi. L'inizio dei vespri, con cui si apre tutta la celebrazione, comprende il lucernario «O Dio, tu sei la mia luce», l'inno «Sciogliamo a Cristo un cantico», il responsorio in coro «Questa stessa notte» e un'orazione ad libitum tra due proposte. L'inno e il responsorio sono intrisi di allusioni matteane (i trenta denari, il bacio di Giuda, la preferenza accordata a Barabba) e anticipano, in forma lirica, gli avvenimenti drammatici proclamati dalla successiva narrazione evangelica. La conclusione dei vespri, collocata come di solito dopo la comunione, comprende il canto dei salmi 69, 133 e 116 - questi ultimi tipici dei vespri solenni ambrosiani - accompagnato da un'antifona d'ispirazione lucana che ricorda l'ardente desiderio di Gesù di fare la Pasqua con i suoi discepoli. Il programma delle letture bibliche comprende buona parte del libro di Giona, la pagina eucaristica di 1 Cor 11,2034 e la prima sezione della Passione secondo Matteo, fino al rinnegamento di Pietro. L'elemento più originale è certamente la lettura del libro di Giona, già abituale ai tempi di sant'Ambrogio (secolo IV), perché, secondo le parole di Gesù (cf Mt 12,40), il segno di Giona racchiude la totalità del mistero pasquale. A suggello della proclamazione della Parola il coro, circondando l'altare, intona un canto di forte intensità poetica e spirituale (coenae tuae mirabili), erede di un antico tropario greco, che in italiano suona così: «Oggi, Figlio dell'Eterno, come amico al banchetto tuo stupendo tu mi accogli. Non affiderò agli indegni il tuo mistero né ti bacerò tradendo come Giuda, ma ti imploro, come il ladro sulla croce, di ricevermi. Signore, nel tuo regno». Va notato che la liturgia ambrosiana non conosce l'eventuale collocazione romana del rito della lavanda dei piedi al termine dell'omelia, perché, non leggendo Giovanni 13,1-15 come Vangelo, considera tale rito distinto dalla Messa e lo colloca o prima o dopo la Messa tra i vespri. Alla liturgia della Parola segue la liturgia eucaristica, con la sua propria preghiera eucaristica (la quinta), e il rito della riposizione del Santissimo Sacramento dall'altare a un altro luogo convenientemente ornato, che la pietà popolare continuerà a chiamare «sepolcro». Nell'ottica del rinnovamento liturgico conciliare, anche la tradizione ambrosiana, come già quella romana, ordina la celebrazione della Passione del Signore del venerdì santo in un'unica liturgia pomeridiana o serale. Il rito ambrosiano, anche se in modo meno completo della Messa nella cena del Signore, è tra i vespri, come nell'antica prassi della Chiesa di Gerusalemme. L'adorazione della santa croce segue l'annuncio della morte del Signore e precede la grande preghiera universale, creando una forte continuità rituale tra la professione di fede del centurione romano (cf Mt 27,54) e l'adorazione dei fedeli. Infine, il digiuno eucaristico, proprio come nella tradizione ecclesiale più antica, si mantiene rigoroso dalla Messa nella cena del Signore alla Veglia pasquale. Due elementi della proclamazione della Parola meritano un massimo di evidenza. La liturgia ambrosiana prevede, anzitutto, l'annuncio del terzo e quarto carme del Servo (Is 49-50 e 53), come preannunci profetici della passione di Gesù e come pagine adatte a suscitare nei fedeli la consapevolezza del valore redentivo della passione di Gesù. La proclamazione della Passione secondo Matteo riprende dal punto esatto in cui si era interrotta la sera precedente, vale a dire dal racconto del rinnegamento di Pietro, e giunge fino agli avvenimenti straordinari che seguirono la morte di Gesù. È prevista una sospensione rituale dopo le parole «e Gesù, emesso un alto grido spirò», durante la quale colui che proclama il Vangelo genuflette e si raccoglie in silenzio orante insieme a tutta l'assemblea dei fedeli. La Veglia pasquale ambrosiana si struttura in due parti: la prima, che comprende i riti lucernali, le sei letture vigiliari (dall'Antico Testamento) e culmina nel solenne annuncio della risurrezione; la seconda, che include la liturgia della Parola (dal Nuovo Testamento), i riti battesimali e la liturgia eucaristica. Anticamente i riti battesimali erano inseriti nella prima parte, dopo le sei letture vigiliari, e l'annuncio della risurrezione riguardava il passaggio dalla morte alla vita sia di Cristo sia dei battezzati. Non si può che auspicare il ritorno al modulo antico, esplicitamente ricordato dallo stesso preconio. Nella liturgia romana il cero pasquale, acceso e portato processionalmente all'altare, è già «la luce del Cristo che risorge glorioso». Nella liturgia ambrosiana, la simbolica luminosa del cero pasquale è più complessa - il preconio parla di una «luce vespertina», che ci precede «come la stella che fu guida dei magi» - e la presenza del Risorto è annunciata solo al termine delle sei letture veterotestamentarie con i rispettivi salmi e orazioni. Tra i riti lucernai! ha grande rilievo il preconio (testo e melodia), che è una composizione liturgica di area ambrosiana in uso a Milano ininterrottamente dai secoli V-VI. L'exsultet ambrosiano, come quello romano, si apre con il solenne invito al cielo e alla terra alla gioia esultante. Segue un maestoso sviluppo prefaziale nel quale si evidenziano due principali motivi di rendimento di grazie: il dono della nuova e definitiva Pasqua nel sacrificio di Cristo, vero agnello pasquale; il compiersi, «nella rapida corsa di un'unica notte», di «tutti i segni delle profezie antiche». Vengono proclamate le sei letture vigiliari (Gen 1,1-2,3a; Gen 22,1-19; Es 13,18-22; 14,1-8; Es 12,1-11; Is 54,17; 55,1-11; Is 1,16-19), che riprendono, almeno in parte, l'antico ordinamento gerosolimitano. Al termine di questo itinerario di ascolto dell'Antico Testamento, il sacerdote celebrante canta per tre volte dai tre lati dell'altare e in tono sempre più alto le parole «Cristo Signore è risorto». Tale annuncio, parallelo al «Christòs anéste» bizantino, «risale... alla liturgia di Gerusalemme dei secoli V-VI», ed è «testimoniato anche in molte liturgie antiche dell'alta Italia» (NAVONI). Ha inizio a questo punto la liturgia della Parola della Messa, con le tre letture neotestamentarie (At 2,22-28; Rm 1,1-7; Mt 28,1-7) che insistono concordemente sulla verità storica e salvifica della risurrezione di Gesù Cristo. Dopo l'omelia, si apre lo spazio per la liturgia battesimale, che risulta caratterizzata da una specifica formula di benedizione dell'acqua (Ricevi la forza di Dio...), di diretta ispirazione santambrosiana. È infine da segnalare nella liturgia eucaristica della Veglia l'uso di un'apposita anafora ambrosiana (la sesta), ricostruita a partire da alcuni antichi frammenti di testo che erano inseriti nell'unico canone della Messa. L’unità celebrativa Al termine di questa breve presentazione del triduo pasquale ambrosiano merita di essere ripreso il carattere unitario di tutte le celebrazioni tra loro. Il primo elemento di raccordo è il particolare ordinamento del Lezionario: la lectio continua del Vangelo di Matteo, che ritorna uguale ogni anno e comanda la composizione di diversi canti, antifone, responsori e orazioni, e la proclamazione delle diverse pagine dell'Antico Testamento (Giona, i carmi del Servo, il sacrificio di Isacco, ecc.) in chiave tipologica per una migliore penetrazione teologica e spirituale del mistero pasquale cristiano. Il secondo elemento è l'uso insistito della metafora sponsale, per esprimere il rapporto tra Cristo e la Chiesa lungo i giorni del triduo sacro. Nella Messa in Cena Domini si prega così: «Ci hai convocato, o Padre, a celebrare la santa cena nella quale il tuo unico Figlio, consegnandosi alla morte, affidò alla Chiesa come convito del suo amore il nuovo ed eterno sacrificio»; la celebrazione della Passione del Signore è introdotta da questa monizione « Ci troviamo raccolti a commemorare e a rivivere la passione del Signore. La Chiesa contempla il suo Sposo che, morendo, si offre vittima al Padre per liberare tutta l'umanità dal peccato e dalla morte»; all'inizio della Veglia pasquale il preconio canta l'attesa del Risorto con un chiaro rinvio alla parabola tutta nuziale di Mt 25,6-10: «Questa notte dobbiamo attendere in veglia che il nostro Salvatore risorga. Teniamo dunque le fiaccole accese come fecero le vergini prudenti». a cura di Sandro Imparato