F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente F. D'ALESSI Letteratura latina Parte IV,3 : daMarco Aurelio alla fine dell'impero romano di Occidente Agosto 2002 F. D’Alessi © 2002 1 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 2 La cultura cristiana del IV e V secolo: le eresie e i Padri della Chiesa Letture critiche: C. Moreschini, Caratteri della cultura cristiana occidentale del IV -V secolo A partire dal 350 circa, la cristianità occidentale appare percorsa da forti stimoli intellettuali e culturali. Se consideriamo la produzione letteraria cristiana esclusivament e dal punto di vista della cronologia, osserviamo che i secondi cinquant'anni del quarto secolo sono occupati dalle personalità di Ilario, Mario Vittorino, Ambrogio; Gerolamo entro il 400 ha scritto buona parte delle sue opere e Agostino molte delle sue, comprese le Confessioni; se oltrepassiamo l'inizio del quinto secolo e consideriamo in una visione complessiva il periodo che va dalla metà del quarto alla morte di Agostino (430), possiamo far rientrare in questi ottant'anni - certamente pochi nella storia del cristianesimo antico - forse il meglio della produzione cristiana in lingua latina, che è riuscita in così breve tempo ad abbracciare sostanzialmente tutti i generi letterari, anche quelli che fino a quel momento non erano stati tentati, e a rinnovarl i. È grande, nel quarto secolo, e dura fino alla rottura delle tradizioni letterarie, provocata dalle invasioni barbariche, la diffusione della cultura: ad essa provvede soprattutto l'omelia, che è un genere, certo, tipicamente cristiano (derivato dalla spiegazione della Legge nella Sinagoga ebraica), ma per altri aspetti parallelo a quello rappresentato, in ambito profano, dalle orazioni ufficiali e dai panegirici (e del resto, omelie di argomento profano e panegirici furono pronunciati anche da Ambrogio; panegirici in versi furono scritti da Paolino Nolano). Naturalmente, quando parliamo di cultura procurata dall'omelia, si deve tenere presente che soltanto la forma finale del testo elaborato è presentata nella viva voce; in realtà, l'omelia è preceduta da una attenta preparazione scritta; successivamente, dopo che l'omelia è stata pronunciata, i testi, che erano stati trascritti da uno stenografo, sono rielaborati dall'autore e messi nella forma definitiva con le ultime modifiche (questo avvenne, ad esempi o, per i sermoni di Agostino). La grande diffusione dell'omelia nella letteratura cristiana fu, dunque, facilitata dal diffondersi della stenografia, sia per la composizione di opere letterarie sia per i documenti pubblici. A partire dal secondo secolo la stenografia è attestata in alcuni papiri egiziani. Probabilmente alcuni resoconti degli Atti dei Martiri furono stenografati, e questo permise la loro conservazione fino al successivo momento della trascrizione in forma più letteraria; alcuni conservarono, però, l'originaria forma stenografica. A partire dal quarto secolo l'attività degli stenografi ufficiali al servizio della Chiesa è bene attestata: essi si trovavano al seguito dei Padri conciliari, registrando le loro discussioni, o erano impiegati nei c asi di dibattiti pubblici con gli eretici. Ma soprattutto gli stenografi erano impiegati, spesso su richiesta degli stessi oratori, in occasione delle omelie: il predicatore voleva che essi registrassero le sue parole, per poi rivedere la registrazione stessa e pubblicarla in forma di trattato, oppure erano alcune persone del pubblico ad essere particolarmente interessate alle parole dell'oratore. Gregorio di Nazianzo, ad esempio, ricorda esplicitamente gli stenografi sempre presenti alle sue orazioni. L'omelia, di solito costituita dal commento ad un passo scritturistico, ebbe amplissima diffusione nel quarto secolo, rappresentandone uno dei generi letterari più significativi; essa è stata definita come «i mass-media dell'antichità cristiana» (così Fontaine). L'omelia non ha però soltanto la funzione erudita di spiegare la Scrittura, e quindi non implica solo un livello culturale medio -alto; essa deve servire anche all'ammaestramento delle masse, che, impossibilitate a frequentare la scuola, e di conseguenza analfabete e ignoranti, solo grazie all'omelia possono avere una formazione religiosa, e anche profana (religioso e profano insieme, ad esempio, è il contenuto delle omelie ambrosiane Sull'Esamerone). Osserva la Gualandri che l'omileta ha come scopo la memorizzazione di quello che vuole insegnare, in particolare il testo sacro; utilissimo a tal proposito è il canto: «quello che viene cantato si attacca meglio ai nostri sentimenti», dice Ambrogio (Omelia sul Salmo 118, 7, 25), il quale fa presente anche che tutti amano il canto dei Salmi, uomini e donne, vecchi e bambini; atir.o verso di esso si impara senza fatica e si conserva con diletto nella memoria quello che si è appreso. L'utilità del canto e della musica per ottenere la diffusione di una qualunque dottrina era stata colta anche da Ario, che scrisse la Thalia (cf. pp. 47-48), e fu confermata dagli inni di Ambrogio. Un altro aspetto rilevante della cultura latina del quarto secolo è costitutito dal diffondersi delle traduzioni dal greco: Rufino, Gerolamo, e altri, minori o anonimi, vi si dedicarono, e siffatta attività prosegue anche nel quinto secolo. Il motivo ne fu che il greco era sempre meno conosciuto ed era diventato lingua d'élite; l'esempio di Agostino, che certo non fu un illetterato, ma si tr ovò poco a suo agio con il greco e lesse, quando poté, gli autori greci in traduzioni latine, è significativo. Questo significa che fortemente sentita era, in ogni caso, l'esigenza di non perdere il contatto con la cultura F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 3 orientale che, come sempre, appariva ai latini, anche di fede cristiana, fonte e guida del pensiero. Tutto ciò fu possibile finché le condizioni politiche, sociali ed economiche dell'impero mantennero una certa omogeneità, pur essendo le due parti di esso governate spesso da due imperator i diversi. Ma Costanzo II, Giuliano e Teodosio, sia pure con differente fede religiosa, ebbero una visione unitaria dell'impero, e Valentiniano I e Valente governarono in concordia, sì che la vita culturale dell'impero fu sostanzialmente omogenea, pur avviandosi ad una divisione sempre più acutamente sentita tra Oriente e Occidente. Siffatta omogeneità cominciò ad incrinarsi con i due figli e successori di Teodosio, Onorio in Occidente e Arcadio in Oriente, tra i quali si verificarono anche forti motivi di attrito, puntualmente registrati dalla poesia cortigiana dell'epoca (ad esempio, da Claudiano); dopo di loro la scissione tra le due parti dell'impero fu un fatto oramai irreversibile, aggravato dalle invasioni barbariche nell'Occidente, che sopraggiunsero a frantumare l'unità statale, mentre l'Oriente rimase relativamente tranquillo. Agostino fu l'ultimo scrittore di quest'epoca - in Occidente - ad avere ancora un'idea globale del cristianesimo, per cui i suoi rapporti culturali andarono dalla Spagna alla Palestina, e tra i suoi autori vi furono sempre, nonostante la sua protesta di ignorare la lingua greca, scrittori greci. Dopo di lui il mondo latino (e non solo quello cristiano) fu spezzato nei regni romano-barbarici e i legami con la cultura greca furono sporadici e frammentari (ripresero, ad esempio, con il papa Leone Magno, nel quinto secolo, e poi nell'Italia e nell'Africa del periodo bizantino); venne a mancare, inoltre, la convinzione, che fino ad Agostino aveva dominato, della unità della cultura cristiana d'Oriente e d'Occidente. C. Moreschini, in C. Moreschini - E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina, 2/1, Brescia, Morcelliana, 1996, pp. 337-40. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 4 L'eresia di Ario Ario era un prete di Alessandria vissuto fra il 256 e il 336. Si era formato alla scuola teologica di Antiochia ed era discepolo di Luciano di Samosata . I suoi scritti furono veramente pochi e meno ancora quelli che ci restano oggi (due lettere, una ad Eusebio di Nicomedia, l’altra a Alessandro di Alessandria e frammenti della Thalia, probabilmente un prosimetro). Egli sosteneva che Cristo non poteva essere considerato eguale a Dio padre senza introdurre nella religione cristiana elementi di politeismo. In particolare, secondo A. la divinità doveva essere non soltanto increata ma anche ingenerata. Il figlio di Dio, il Logos, non poteva essere veramente Dio; prima delle sue creature, come le altre fu creato dal nulla, non dalla sostanza divina; insomma essenzialmente diverso dal Padre. La Chiesa ufficiale, al contrario, credeva nella identità sostanziale tra Dio padre e Cristo (omousìa). Ario venne sconfessato dal suo vescovo ed esiliato; il Concilio di Nicea, nel 325, condannò definitivamente come eretiche le sue tesi. La disputa, che si connotava per i suoi contenuti specificamente teologici più di altre eresie, ebbe delle conseguenze notevoli nella storia della Chiesa perché le teorie di Ario contarono diverse adesioni sia nella Chiesa Orientale, sia nelle popolazioni germaniche evangelizzate da vescovi ariani, sia in alcuni imperatori d'Occidente, dando luogo a pericolose situazioni di contrasto tra Chiesa e Stato, instabilità e disunione tra le comunità cristiane stesse. Ario stesso fu richiamato dall'esilio da Costantino e fino al 359 l'arianesimo fu religione ufficiale dell'impero. Alcuni scrittori cristiani si batterono con particolare forza in questo periodo contro l'arianesimo, sia in Oriente, sia in Occidente; tra essi san Atanasio, vescovo di Alessandria, Lucifero, vescovo di Cagliari, Eusebio, vescovo di Vercelli (vedi), Zeno(ne), vescovo di Verona (vedi), e Mario Vittorino . Altri autori che si impegnarono su tale fronte in Occidente furono Ossio di Cordova, Fortunaziano (l'autore africano dei Tituli in Evangelia, ricordato da Gennadio in de vir.ill. 97), Febadio di Agennum, attuale Agen (vedi), Gregorio di Elvira (vedi), Potamio di Lisbona. Solo con Teodosio e il concilio di Costantinopoli del 381 si ristabilì l'ortodossia nicena. Mentre la prima fase di diffusione dell'eresia fu soprattutto di carattere politico visto il coinvolgimento diretto di imperatori, dopo il 380 il moltiplicarsi delle invasioni di barbari evangelizzati da ariani diede luogo a una più intensa diffusione e a una relativa produzione di scritti teologici. Personaggio di spicco fu sicuramente Wulfila, il vescovo che tradusse la Bibbia in gotico e che convertì appunto all'arianesimo i Goti. Testi e testimonianze August, de haeres., 49 e 51 XLIX. ARIANI ab Ario, in eo sunt notissimi errore, quo Patrem et Filium et Spiritum sanctum nolunt esse unius ejusdemque naturae atque substantiae, aut, ut expressius dicatur, essentiae, quae oujsiva graece appellatur: sed esse Filium creaturam; Spiritum vero sanctum creaturam creaturae, hoc est, ab ipso Filio creatum volunt. In eo autem quod Christum sine anima solam carnem suscepisse arbitrantur, minus noti sunt: nec adversus eos ab aliquo inveni de hac re aliquando fuisse certatum. Sed hoc verum esse, et Epiphanius non tacuit, et ego ex eorum quibusdam scriptis et collocutionibus certissime comperi. Rebaptizari quoque ab his Catholicos novimus; utrum et non catholicos, nescio. LI. SEMIARIANOS Epiphanius dicit, qui similis essentiae (ojmoiouvsion) dicunt Filium [4 [0039] Lov., dicunt Patrem et Filium.] , tanquam non plenos Arianos: quasi Ariani nec similem velint; cum hoc Eunomiani dicere celebrentur. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 5 49. Gli ARIANI, i quali hanno avuto origine da Ario, sono assai conosciuti perché irretiti in quel particolare errore, in base al quale non vogliono ammettere che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e identica natura e sostanza o, per esprimersi piú precisamente, essenza, termine che in greco si dice ousía; ma [dicono che] il Figlio è una creatura, e lo Spirito Santo è creatura di una creatura, cioè pretendono che Egli sia stato creato personalmente dal Figlio. Codesti eretici, però, sono meno conosciuti per l'altro loro errore, secondo il quale affermano che Cristo ha assunto soltanto la carne senza l'anima (53). E su questo punto non ho trovato che mai da alcuno si sia combattuto contro di loro (54). Tuttavia, anche Epifanio non ha passato sotto silenzio la verità di questa mia affermazione, e pure io, con assoluta certezza, ne sono venuto a conoscenza da alcuni loro scritti e dalle mie dispute. Siamo anche a conoscenza che da costoro si ribattezzano i Cattolici, non so se anche i non Cattolici (55). 51. I SEMIARIANI, come li chiama Epifanio, sono coloro che asseriscono sul Figlio di essere di un'essenza simile [a quella del Padre], poiché questo autore non li ritiene del tutto Ariani: dal momento che gli Ariani non vorrebbero neppure dirlo simile, cosa che, invece, continuamente ripetono gli Eunominiani (57). (53) Questa dottrina non è contenuta nei frammenti delle opere di Ario pervenutici. Altre fonti la riportano: Atanasio (Contra Apollin. 2, 3: PG 26,1136) e Teodoreto (Haeret. fabul. 5, 11: PG 83, 448-453). (54) Lo avevano fatto invece Atanasio (Contra Apollin. l, 15, 2. 3: PG 26, 1120s., 1136 s.) e Teodoreto (Haeret. fabul. 4, 1: PG 83, 414). (55) All'eresia ariana Agostino non dedica molto spazio in questa sua opera. Il movimento divenne preoccupante per la Chiesa africana soltanto negli anni successivi alla morte di Agostino. Ario nacque nella seconda metà del III secolo in Libia. Frequentò le scuole di Antiochia. Nel 306 si schierò con Meleto contro Pietro, vescovo di Alessandria. Si riconciliò poi con questi che, nel 308 circa, lo ordinò diacono. Nel 313 venne ordinato sacerdote. Nel 318 iniziarono le dispute tra Ario e Alessandro, nuovo vescovo di Alessandria, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio. Poiché i tentativi di correggere Ario andarono a vuoto, Alessandro e un sinodo di vescovi egiziani lo scomunicarono. Tuttavia molti vescovi dell'Asia Minore e di Antiochia presero le sue parti. A Nicea, nel 325, le sue dottrine vennero ufficialmente condannate. Ottenne però poi il favore di Costanzo II e Valente. Mori nel 336, quando, su richiesta imperiale, stava per essere riaccolto nella Chiesa. Questi i capisaldi della dottrina ariana: il Padre è la causa increata di tutto, il Figlio non è coeterno al Padre. Da quando il Figlio prese ad esistere nel tempo, la sua sostanza cessò di essere simile a quella del Padre e venne creata da questi dal nulla: è dunque una creatura e non Dio. Il Figlio, Logos, è stato creato affinché fosse possibile creare il mondo: il Padre, infatti, non può creare senza intermediari; al momento della sua creazione il Logos è stato creato come Dio immutabile, ma solo per volontà del Padre che lo ha concesso. Il Padre ha creato soltanto il Figlio, che ha creato a sua volta tutto il resto, anche lo Spirito, terza persona della Trinità. Cf. ATANASIO, Ep. ad Serap. 1, 2: PG 26, 532 s.); EPIF., Panar. 69 (GCS 37, 152-299); Anaceph. (PG 42, 869B). (57) Dopo il Concilio di Nicea si creò un movimento, non unitario, contrario alle decisioni del Concilio e che raccoglieva i nemici di Atanasio. Tre i gruppi principali. Gli Ariani in senso stretto, guidati da Aezio, Eunomius e Eudoxius (Cf. 54). Vi era poi un'ala, guidata da Acacius di Cesarea, che mirava a tenere insieme gli Antiniceni e a precisarne le dottrine. Vi erano infine i Semiariani. Esprimevano la relazione tra Padre e Figlio in termini di «somiglianza» e non di «consustanzialità». A partire dal 360 è attestata anche una corrente interna che nega la divinità dello Spirito Santo: il nome di semiariani divenne corrente per designare quanti hanno dottrine prevalentemente corrette sul Figlio, ma si distaccano dalla Chiesa per quanto riguarda lo Spirito Santo. Cf. EPIF., Panar. 73 (GCS 37, 267-313); Anaceph. (PG 42, 871A). Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003. Letture critiche - S. Pricoco, Il Concilio di Nicea e l'arianesimo. Il primo concilio ecumenico nella storia della chiesa si svolse tra il maggio e il luglio del 325. Vi presero parte circa 300 vescovi, venuti in maggioranza dalle chiese d'Asia e d'Egitto; pochi furono i vescovi dell'Occidente latino, capeggiati dall'autorevole Ossío di Cordova, consulente religioso dell'imperatore; papa Silvestro si limitò a inviare due chierici romani con poteri plenipotenziari; i seguaci di Ario vi costituirono una minoranza F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 6 intimidita. C'era anche un giovane diacono della chiesa di Alessandria, Atanasio, venuto a coadiuvare il suo vescovo e presto distintosi tra le grandi personalità del concilio. Di questo Costantino assunse la presidenza e aprì i lavori con un discorso in latino. Il suo comportamento - oggetto di infinite discussioni tra gli storici obbediva a uno scopo politico, quello di realizzare una base di accordo la più ampia possibile, in modo da por fine alla contesa e ristabilire la pace religiosa; perciò egli accolse, non sappiamo quanto profondamente consapevole dei suoi contenuti teologici, il principio di una professione di fede che obbligasse tutti i cristiani. Questa venne adottata dal concilio il 19 giugno e - modificata in taluni punti dal concilio di Costantinopoli del 381 - divenne il fondamento dogmatico dell'ortodossia cristiana, il Credo recitato dai cattolici da ormai sedici secoli". Non subito, tuttavia. Per lungo tempo il Niceno non fu considerato, come appare oggi a chi si volga a guardare i secoli della storia cristiana, il cardine di un'epocale svolta politico-ecclesiastica, e soltanto i concili successivi, di Costantinopoli, di Efeso e di Calcedonia, ne confermarono l'autorità e ne indicarono il ruolo fondante. La confessione nicena provvedeva in primo luogo a definire il Verbo, Gesù Cristo, figlio di Dio e Dio come il Padre, da Lui generato ma non fatto, consustanziale con Lui (homooìíszós to patrì), e nominava fuggevolmente - lo Spirito Santo; in secondo luogo rifiutava le dottrine di Ario, anatematizzate esplicitamente come le teorie che ritengono il Figlio di sostanza diversa, creato e mutevole, e dicono di Lui: «c'era un tempo nel quale Egli non era». La condanna di Ario fu riconfermata, e furono scomunicati i vescovi che non accettarono il credo niceno; da parte sua l'imperatore esiliò Ario e gli ariani intransigenti. L'incendio sembrava domato. Sembrava, ma non era. In effetti, né la formula della consustanzialità era stata concepita e redatta con la flessibilità necessaria per lasciare spazi di conciliazione con le opposte dottrine, né le divisioni e i contrasti tra le chiese e i loro capi erano stati realmente appianati e conclusi. I teologi orientali avvertivano nel termine ousìa (al pari che nel corrispettivo latino substantaà) echi di concezioni materialistiche e residui stoici; ariani autorevoli come Eusebio di Nicomedia avevano accettato ufficialmente le decisioni conciliari, ma ben presto presero a manifestare dissensi; lo stesso Costantino venne avvicinandosi progressivamente alle idee ariane e sconfessando i difensori della confessione nicena, che egli lasciò deporre uno dopo l'altro (tra gli altri, nel 330 Eustazio di Antiochia, nel 335 Marcello di Ancira e Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria nel 328), mentre gli ariani e lo stesso Ario venivano richiamati dall'esilio e riabilitati. Dopo la morte di Costantino, la situazione si complicò e aggravò. I rapporti difficili e talvolta apertamente ostili dei tre giovani successori - Costantino II, per pochi anni, sino al 340, Costante, che sarà ucciso nel 350, e Costanzo - si rifletterono anche nelle divisioni religiose. Accadde regolarmente che le decisioni prese dall'episcopato di una delle due parti restassero inoperanti nell'altra. L'Occidente, con l'Egitto, rimase pressoché compattamente niceno sotto Costante, fautore della confessione nicena; l'Oriente, sotto Costanzo, filoariano, rifiutò la formula dell'homooùsaós, sentita come una soluzione sabelliana, ma si divise, sempre più problematico e lacerato dal pullulare delle sette. In opposizione alla definizione di Nícea furono proposte formule diverse, moderatamente ariane alcune, radicalmente altre; si susseguirono con frequenza, in Oriente come in Occidente, sinodi grandi e piccoli, in Egitto, a Roma, ad Antiochia, a Milano, a Sirmio. Effetti importanti ebbero le decisioni prese nel 357 nel piccolo concilio di Sirmio, nel quale tre vescovi illirici, Valente, Ursacio e Germinio, consiglieri e fidati rappresentanti di Costanzo, imposero orientamenti graditi all'imperatore. Vi furono proscritti il termine ousìa e i suoi composti, homooùsios e homoioùsios, non legittimati dall'uso scritturistico e perciò causa di errori; fu rimarcata, pur senza affermarla chiaramente, l'inferiorità del Figlio rispetto al Padre accentuando in senso subordinazionista ogni elemento di distinzione. È questa la prima volta che si trova attestato il vocabolo homoioùsios («di natura simile»), che venne assunto come termine distintivo di un gruppo di vescovi dell'Asia Minore e diede il nome alla corrente degli omeousiani, diversi e contrapposti ai niceni, omousiani, sostenitori dell'homooùsios (tanto conflitto - sarebbe stato detto - per uno iota! ). La formula sirmiese (blasphemià Sirmiensis, come fu poi definita) suscitò reazioni ostili in Occidente, ma gli oppositori furono piegati. Cedettero, per stanchezza e sfiducia, anche antichi e strenui fautori dello schieramento niceno, come il papa Liberio, che, fiaccato dall'esilio in Tracia, sottoscrisse la condanna di Atanasio, da lui altre volte coraggiosamente difeso, e il quasi centenario Ossio di Cordova (tra i protagonisti di Nicea e antico consigliere religioso di Costantino), anch'egli portato a Sirmio in esilio e piegato ad accettare le decisioni del concilio. Due anni dopo, nel maggio 359, un nuovo concilio di Sirmio (il quarto!) si risolveva con una formula di compromesso, che sbiadiva sia la formula sirmíese del 357 sia quella recisamente antiariana definita in un concilio ancirano del 358. Il compromesso venne raggiunto F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 7 «piuttosto omettendo che non enunciando» (Simonetti): fu riconfermato il divieto del termine ousìa, ma non quello dei suoi composti, il Figlio fu riaffermato «simile» al Padre, «in tutto, secondo le Scritture», ma con l'impiego di un nuovo termine, hòmoios, che escludeva ogni riferimento alla «sostanza», ousìa. Da questo termine, hòmoios, distintivo rispetto all'altro in uso, homoioùsios, trasse il nome il partito degli omei o omeísti, capeggiato da Acacio, il successore di Eusebio sul seggio di Cesarea. Nei concili che si susseguirono a breve distanza, a Seleucia e a Rimini, nel 359, a Costantinopoli nel 360, le discussioni continuarono aspre e le contrapposizioni non furono sanate. Alla fine Costanzo si schierò per la soluzione acaciana (il Figlio hòmoios rispetto al Padre) e ne impose la solenne proclamazione al concilio di Costantinopoli del 360, procedendo a numerose deposizioni e proscrizioni dei vescovi riluttanti o ostili. Le sedi ecclesiastiche più importanti, come Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cesarea di Palestina, Sirmio nei Balcani, e nell'Italia Milano, ebbero vescovi filoariani. La confessione nicena restava largamente perdente. Ma la crisi continuò ancora, dopo la morte di Costanzo, nel 361, sotto Giuliano, Valentiniano e Valente. I suoi intricati sviluppi possono forse essere rappresentati dall'agitata carriera di Atanasio, cinque volte esiliato e cinque volte restituito al seggio episcopale, da Costantino a Valente. Le chiese occidentali si scontrarono più volte, prima sotto Costanzo, poi sotto Valente, con la politica filoariana degli imperatori e videro i loro vescovi o piegati dalla volontà imperiale o esiliati. Emerse allora l'opposizione di alcuni vescovi e intellettuali di grande personalità come Ilario di Poitiers, Lucifero di Cagliari, Dionigi di Milano, del papa Liberio e, da ultimo, del grande Ambrogio di Milano: si deve alla loro opera se l'Occidente si mantenne in gran parte fedele al credo niceno. S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, L'antichità, a cura di Filoramo e Menozzi, Laterza 1997, pp. 98-301. Bibliografia M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma, Augustinianum, 1975. L. Perrone, Da Nicea (325) a Calcedonia (451), in AA.VV., Storia dei concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 1993. Newman, J. H., Gli ariani del quarto secolo, trad. di M. Ranchetti a cura di G. Colombi e E. Guerriero, Milano: Jaca book, 1981, Già e non ancora. 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D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 8 Duval, Yves Marie, L' extirpation de l'Arianisme en Italie du Nord et en Occident: Rimini (359-60) et Aquilee (381), Hilaire de Poitiers (m. 367-8) et Ambroise de Milan (m. 397) / Yves-Marie Duval, Aldershot [etc.]: Ashgate, c1998, Collected studies series Note Generali: Scritti in parte gia pubbl. Kannengiesser, Charles, Arius and Athanasius: two Alexandrian Theologians / Charles Kannengiesser, London: Variorum, c1991 Autran, Charles, Mithra, Zoroastre et la prehistoire aryenne du christianisme / Charles Autran, Paris: Payot, 1935, Bibliotheque historique Payot Cecchelli, Carlo, L' arianesimo e le Chiese ariane d'Italia / Carlo Cecchelli, Spoleto: [s.n.], 1960 Note Generali: Estr. da: Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, 7.: Le Chiese nei Regni dell'Europa Occidentale e i loro rapporti con Roma sino all'800: Spoleto, 7-13 aprile 1959. 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Fa parte di: Opere / John Henry Newman Bognetti, Gian Piero, La rinascita cattolica dell'Occidente di fronte all'arianesimo e allo scisma / Gian Piero Bognetti, Spoleto: [s.n.], 1960 Note Generali: Estr. da: Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo. 7, Le chiese nei regni dell'Europa occidentale e i loro rapporti con Roma sino all'800: Spoleto, 7-13 Brennecke, Hanns Christof, Studien zur Geschichte der Homoer: der Osten bis zum Ende der homoischen Reichskirche / von Hanns Christof Brennecke, Tubingen: Mohr, c1988, Beitrage zur historischen Theologie Ferrua, Antonio, La polemica antiariana nei monumenti paleocristiani / Antonio Ferrua, Citta del Vaticano: Pontificio istituto di archeologia cristiana, 1991, Studi di antichita cristiana Allegris, Caterina, L' arianesimo e il Concilio di Nicea: tesi per il diploma in scienze religiose / dissertazione storico-religiosa di Allegris Caterina ; relatore: Bernardino Ferrari, Milano: [a cura dell'A.], 1974 Note Generali: Dattiloscritto. In testa al front.: Istituto superiore di Scienze religiose Tilloy, Pierre, Sant'Ilario: Un vescovo per il nostro tempo / Traduzione di Orsola Nemi, Roma: G. Volpe, 1971, Domini canes Potamio di Lisbona ICCU Yarza Urkiola, Valeriano, Potamio de Lisboa : estudio, edicion critica y traduccion de sus obras / Valeriano Yarza Urkiola , Vitoria : Servicio editorial Universidad del Pais Vasco, 1999 Fa parte di: Veleia : revista de prehistoria, historia antigua, arqueologia y filologia clasicas. Anejos. Serie Minor F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 9 Conti, Marco, The life and works of Potamius of Lisbon : a biographical and literary study with English translation and a complete commentary on the extant works of Potamius ... / Marco Conti , Steenbrugis : in Abatia S. Petri, 1998, Instrumenta Patristica =============== Arianesimo - Encarta Arianesimo Eresia cristiana del IV secolo che prende il nome da Ario, il sacerdote alessandrino che negò la natura divina di Gesù Cristo entrando in conflitto con il suo vescovo nel 319 e subendo la condanna all'esilio nel 325. Ario insegnava che, essendo Dio ingenerato e senza principio, il Figlio, seconda persona della Trinità, in quanto generato non può essere considerato Dio come il Padre e non esiste dall'eternità, ma è stato creato, come tutti gli altri esseri, per volontà del Padre, cosicché fra Padre e Figlio non sussisterebbe un legame di natura ma di adozione. Queste dottrine furono condannate nel 325 dal concilio ecumenico di Nicea: i 318 vescovi che vi parteciparono elaborarono un simbolo di fede, tuttora utilizzato dai cristiani, per proclamare il Cristo come Figlio di Dio "generato e non creato, della stessa sostanza del Padre". La condanna solenne non riuscì comunque a fermare la diffusione dell'arianesimo e la sua strumentalizzazione in chiave politica: fu l'imperatore Costantino a richiamare Ario dall'esilio nel 334 e, per influenza di personaggi di spicco quali il patriarca di Costantinopoli Eusebio di Nicomedia e lo stesso imperatore Costanzo II, la fede ariana acquisì per alcuni anni, fino al 359, la dignità di religione ufficiale dell'impero. Nacquero poi all'interno del movimento alcune divisioni fra i cosiddetti "semiariani" che, pur accettando i principi del simbolo niceno, avanzavano perplessità circa l'identità di sostanza fra il Padre e il Figlio, e la corrente più intransigente che non esitava a proclamare la natura totalmente diversa del Figlio rispetto al Padre, mentre un terzo gruppo considerava anche lo Spirito Santo come realtà creata al pari del Figlio. Con l'ascesa al trono di Valente dopo la morte di Costanzo II nel 361, si ebbero i primi segnali di un ritorno all'ortodossia nicena, dichiarata fede unica e ufficiale dall'imperatore Teodosio nel 379, e ribadita come tale dal concilio di Costantinopoli del 381. L'arianesimo sopravvisse comunque per altri due secoli fra i popoli germanici che erano stati convertiti al cristianesimo da missionari ariani. --------------------- Arianesimo. (inizio) Eresia condannata nel Concilio di Nicea I (325). Il suo fautore fu un prete di Alessandria, Ario (circa 250 - 336), il quale sosteneva che il Figlio di Dio non era sempre esistito e perciò non era di natura divina, ma soltanto la prima creatura (cf DS 125-126, 130; FCC 0.503-0.504). Dopo aver turbato seriamente la pace della Chiesa fino al 381, l'Arianesimo sopravvisse in forma mitigata per parecchi secoli fra le tribù germaniche. Cf Anomèi; Concilio di Nicea I; Filioque; Omèi; Omooùsios; Semi-Arianesimo; Subordinazionismo. Semi‑ arianesimo. (inizio) Si chiama così la teoria di Basilio di Ancira (= Ankara) e di altri dopo il Concilio di Nicea I (325). I semi‑ ariani non seguirono la visuale ariana secondo cui Cristo sarebbe solo la prima tra le creature, ma non accettarono nemmeno la dottrina ortodossa del Figlio omooùsios (= della stessa sostanza) del Padre. Essi chiamarono il Figlio omoioùsios (Gr. « di una sostanza simile ») al Padre. Sebbene il loro termine fosse eretico, la differenza di una sola « i » creò una piattaforma di dialogo che portò molti semi‑ ariani alla piena ortodossia. Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I; Omooùsios. --------------------F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 10 Wulfila Cenni biografici Di famiglia cristiana cappadoce, fu rapito dai Goti nel corso di una razzia. Eletto vescovo a trent’anni nel 341, iniziò la cristianizzazione dei Goti, sostenuto soprattutto dai soldati goti stanziati in Illiria. Intervenne al concilio di Costantinopoli del 360, dove aderì alla formula ariana imposta da Costanzo. Morì nel 383. Rappresenta, assieme a figure come quelle di Palladio di Ratiaria, Aussenzio di Dorostorium o Durostorum (autore dell’Epistola c.sotto) e Massimino, una rinascita ariana alla fine del IV secolo anche dopo le condanne dei concili di Costantinopoli (data) e di Aquileia (data). Su di lui Aussenzio di Durostorum. (vedi) Opere Traduzione della Bibbia (dal greco?) in gotico, con caratteri greci. Nulla in latino, lingua conosciuta da U., ci è giunto. Una professione di fede che avrebbe pronunciato in punto di morte ci è stata trasmessa dalla così detta Epistola de fide, vita et obitu Ulfilae attribuita a Aussenzio di D., suo discepolo. Bibliografia Edizioni PL Migne, 1848. Ripresa da CCh, Turnholt, Brepols, 1966 e 1982 Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 88-90 (M. Simonetti). Niente per Ulfila soggetto ICCU per titolo Ulfilas(?) D.N. Jesu Christi Ss. Evangelia ab Ulfila Gothorum in Moesia episcopo circa annum a nato Christo 360. Ex Graeco Gothice translata, nunc cum parallelis versionibus, Sveo-Gothica, Norraena, seu Islandica, & vulgata Latina edita, Stockholmiae : typis Nicolai Wankif regij typogr., 1671 Thompson, Edward Arthur, The Visighots in the time of Ulfila, Oxford : Clarendon Press, 1966 ICCU per Autore Ulfilas F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 11 Bibbia. Ulfilas: Veteris et Novi Testamenti versionis Gothicae fragmenta quae supersunt ad fidem codd. castigata latinitate donata adnotatione critica instructa cum glossario et grammatica linguae Gothicae / coniunctis curis ediderunt H.C. de Gabelentz et J. Loebe , Lipsiae: F.A. Brockhaus Comprende: 2.1: Glossarium der gothischen Sprache / vonH.C. v. d.Gabelentz et J. Loebe 2.2: Grammatik der gothischen Sprache / vonH. C. v.d. Gabelentz et J. Loebe 1 / von H. C. v.d. Gabelentz et J. Loebe Nomi: Ulfilas Gabelentz, Hans Conon: von der<1807-1874> Loebe, Julius<1805-1900> Ulfilas 18: Ulfilae, Gothorum episcopi, opera omnia, sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta quae supersunt...: accesserunt grammatica et glossarium linguae gothicae ... interprete F. Tempestini: praecedunt Martini Turon, Tichonii, Hilari diaconi, Novati catholici, anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi grammatici, Mamertini, Publii Victoris scripta universa et ad s. Ambrosii opera supplementum ...: tomus unicus / accurante J.-P. Migne , Parisiis: venit apud editorem, 1848 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Ulfilas 18: Ulfilae gothorum episcopi opera omnia sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta quae supersunt ... accesserunt Grammatica et Glossarium linguae Gothicae ... praecedunt S. Martini Turonensis, Tichonii, Novati Catholici, Anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi Grammatici, Mamertini, Publii Victoris, Scripta Universa... Turnholti: Brepols, \1966! Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis: Migne, 1848 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Ulfilas 18: Ulfilae, Gothorum episcopi, opera omnia, sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta quae supersunt...: accesserunt grammatica etglossarium linguae gothicae ... interprete F. Tempestini: praecedunt S. MartiniTuronensis, Tichonii, Novati catholici, anonymi, Aurelii Symmachi,Maximi grammatici, Mamertini, Publii Victoris scripta universa ...: tomus unicus Parisiis: venit apud editorem, 1848 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Bibbia. Nuovo Testamento D.N. Jesu Christi Ss. Evangelia ab Ulfila Gothorum in Moesia episcopo circa annum a nato Christo 360. Ex Graeco Gothice translata, nunc cum parallelis versionibus, Sveo-Gothica, Norraena, seu Islandica, & vulgata Latina edita , Stockholmiae: typis Nicolai Wankif regij typogr., 1671 Bibbia. Friedrich Ludwig Stamms Ulfilas, oder Die uns erhaltenen Denkmaler der gothischen Sprache: Text, Grammatik und Worterbuch / neu herausgegeben von Moritz Heyne Edizione: 7. Aufl Paderborn: Ferdinand Schoningh, 1878, Bibliothek der altesten deutschenLitteratur-Denkmaler; 1 Ulfilas 18: Ulfilae gothorum episcopi opera omnia sive Veteris et Novi Testamentiversionis gothicae fragmenta quae supersunt ... accesserunt Grammatica etGlossarium linguae Gothicae ... praecedunt S. Martini Turonensis, Tichonii,Novati Catholici, Anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi Grammatici, Mamertini,Publii Victoris, Scripta Universa... Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig Turnholti: Brepols, 1982, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 18 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis: Migne, 1848 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Bettini, 3, 890 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 12 Filoramo-Menozzi, Storia del Cristianesimo, pp. 394-95 All'arianesimo si erano convertiti i Goti per l'azione di Ulfila, un cappadoce di famiglia cristiana, che era stato rapito, ancora bambino, in una razzia e portato insieme con i genitori oltre il Danubio. Mantenutosi cristiano, Ulfila fu ordinato vescovo a Costantinopoli nel 341, poi, intervenuto al concilio di Costantinopoli del 360, aderì alla formula ariana imposta dall'imperatore Costanzo e detta degli omei. Egli trascrisse la Bibbia nella lingua dei Goti, con caratteri greci e senza la minima traccia dei segni sacri runici, né il suo arianesimo greco sembra avere fatto concessione alcuna al paganesimo gotico. Ma l'indipen denza e la cultura di Ulfila e dei suoi discepoli, capaci di rivaleggiare con il clero ortodosso romano e di costruire l'immagine di una chiesa nazionale, riuscirono ad attrarre i Goti e i loro capi al cristianesimo. La scelta ariana ebbe portata storica e al ruolo di Ulfila nella «arianizzazione» dei Goti si viene oggi riconoscendo importanza sempre maggiore, fino a ritenere che proprio per l'opera di Ulfila l'arianesimo riuscì a sopravvivere alle condanne sanzionate nei concili di Costantinopoli e di Aquileia. Le analisi più rigorose hanno anche precisato che la dottrina di Ulfila (sulla quale siamo informati dalla cosiddetta Epistula de vita, fide et obitu Ulfilae, comunemente attribuita al suo discepolo Aussenzio di Durostorum) solo per una sua voluta prudenza è potuta apparire espressione di un arianesimo moderato, con apporti personali di reale originalità. Ulfila, invece, non era «né ariano moderato, né un ariano sui generis, bensì ariano radicale, fedelmente aderente alla dottrina di Eunomio» (Simonetti). Anche per questo radicalismo dell'arianesimo germanico sembrano da rigettare le tesi di coloro che hanno minimizzato i contrasti tra gli invasori e le popolazioni invase e l'incidenza su quei contrasti della diversità religiosa. Massimino Cenni biografici Nato a Roma tra il 360 e il 365. Vescovo ariano dell'Illiria. Operò tra Dalmazia e Africa, qui al seguito di truppe che dovevano domare l'insurrezione di Bonifacio. Nel 428 Massimino dibattè con Agostino; possediamo il resoconto. nella cosiddetta Collatio Augustini cum Maximino.(=PL Migne 42, 709) e altri scritti di Agostino. Opere Dissertatio Maximini contra Ambrosium, databile al 383, ma pubblicata nel 395. Commento polemico agli atti del Concilio di Aquileia del 381. Alcune omelie. Bibliografia Edizioni PL 42 PL Migne Supplementum 1,693. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 13 Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 90-93 (M. Simonetti). ICCU per Autore e soggetto Maximinus niente Niente per Massimino Niente per Dissertatio Maximini Bettini, 3, 890. Moreschini-Norelli, 2/1, p. 405. Aussenzio di Silistria Cenni biografici E' l'avversario di Ambrogio a Milano. Contro di lui si pronuncia, intorno al 365, anche Ilario di Poitiers. Opere Epistula de fide, vita et obitu Wulfilae. Controllare per attribuzione a Aussenzio di D. Testi e testimonianze Bibliografia ICCU per Autore niente per Assenzio ICCU per Soggetto niente ICCU per Titolo Epistola de fide etc. niente Ilario di Poitiers, CONTRO AUSSENZIO introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo IL VOLUME - Composto tra il 364 e il 365 d.C. negli anni infuocati della controversia ariana, nel Contro Aussenzio Ilario di Poitiers si rivolge ai vescovi cattolici e ai loro fedeli per informarli sull’esito del suo tentativo di allontanare da Milano il vescovo ariano Aussenzio e denunciare la sua dottrina. Di fronte alla situazione attuale di una Chiesa divisa e subordinata all’Impero, l’Autore guarda alla comunità delle origini, indipendente dal potere temporale, punto di riferimento e modello per la Chiesa di ogni tempo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 14 Quindi, accusa Aussenzio di essersi fatto seguace di Ario: ne è prova una sua dichiarazione secondo la quale "il Figlio è simile al Padre". Con logica rigorosa Ilario smaschera l’eresia del vescovo milanese. Un documento significativo per una piena comprensione storica e dottrinale della controversia ariana. Bettini 3, 890 Fortunaziano di Aquileia Cenni biografici Fu vescovo di Aquileia sotto l'imperatore Costanzo e fu tra gli Ariani fino al Concilio di Sardica (342-43). Opere Compose un commento ai Vangeli. Ne restano frammenti Testi e testimonianze Hier., vir.ill., 97 [0697B] Fortunatianus, natione Afer, Aquileiensis episcopus, [j [0698D] Fabricius, imperante Constantino, pro quo ipse rescribi Constantio vellet. Sic vero habent codices nostri omnes, et Martianaeus ipse.] imperante Constantio, in Evangelia, [k [0698D] Id est capitulis sive sectionibus.] titulis ordinatis, [l [0698D] Praeferenda videatur codicum nostrorum lectio, breves rustico sermone, idque fortasse sibi voluit Lipsius, qui interpretatur breves sermone. Rusticum sermonem intellige vernaculum, sive quem militarem, vulgaremque sub initium libri II, contra Rufinum vocat. Vid. Praefat. in Matthaeum.] brevi et rustico sermone scripsit commentarios: et in hoc habetur detestabilis, quod Liberium, Romanae urbis episcopum, pro fide ad exsilium [0697C] pergentem, primus sollicitavit ac fregit, et [m [0698D] Gemblacens. ms. male, et ad suae scriptionem haereseos, etc. Haeresim vocat Sirmiensem formulam [0699C] fidei, cui Liberius subscripsit, et quam notat Hilarius in Fragmentis, Perfidiam apud Sirmium conscriptam, quam dicit Liberius Catholicam, a Demophilo sibi expositam. Nihilosecius catholicum sensum revera pati potuisse, ex ipso Hilario manifestum est.] ad subscriptionem haereseos compulit. Fortunaziano, di origine africana, vescovo di Aquileia, sotto l’imperatore Costanzo, scrisse dei Commenti ai Vangeli, seguendo l’ordine dei vari episodi, con uno stile rude e conciso. Gli si rimprovera il fatto che lui, per primo, sollecitò e riuscì a piegare Liberio, vescovo di Roma, esule per la fede, così da indurlo a sottoscrivere l’eresia. Trad. E. Camisani. Bibliografia Edizioni F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 15 Commenti ai Vangeli, a cura di Giulio Trettel, trad. G. Cuscito, Roma, Citta Nuova; Gorizia: Societa per la conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1 Testo originale a fronte Bettini, 3,884 Fortunatianus<vescovo Di Aquileia>, Commenti ai Vangeli / Fortunaziano, vescovo di Aquileia; a cura di Giulio Trettel . Sermoni / Cromazio, vescovo di Aquileia; introduzione a cura di Joseph Lemarie e Giulio Trettel; traduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta Nuova; Gorizia: Societa per la conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1 Testo originale a fronte TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV RICONTROLLO ICCU ! Solo questo Zeno(ne) di Verona Cenni biografici Di origine africana, fu vescovo di Verona tra il 362 e 370 o 371 e 380. Opere Sermones, noti anche come Tractatus, in due libri. Osservazioni e polemiche in senso antiariano, antigiudaico e antipagano. Stretta osservanza nicena. I sermones, omelie, erano definiti anche tractatus. I due libri ne trasmettono 93 di verosimilmente autentici. Il primo libro raccoglie le omelie su questioni morali, il secondo omelie di argomento scritturistico e liturgico. Da Tertulliano e Cipriano Zenone assume la struttura diatribico-morale di un'omelia retoricamente costruita. Lo stile tradisce peraltro la conoscenza e l'imitazione di Apuleio. Testi e testimonianze Coronato scrive una biografia di Zenone nell'VIII secolo. Bibliografia Edizioni F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 16 ed. B. Lofstedt, Turnholt, Brepols, CchrLat 22, 1971 tr.it. I discorsi, tr. e note G. Banterle, Roma, Citta' Nuova, 1987. Strumenti Lofstedt, B., A Concordance to the sermons of Bishop Zeno of Verona, David W. Packard, New York: published by the American Philological Association, 1975, Philological monographs of the American philological Association Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 117-20 (M. Simonetti). ICCU per Autore Zeno <santo>, I discorsi / san Zenone di Verona; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1987, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio Zeno<santo>, Zenonis Veronensis tractatus / edidit B. Lofstedt, Turnholti: Brepols, 1971, Corpus Christianorum. Series Latina; 22 Nascita e divinita del Signore / S. Zeno vescovo . Ritmo abecedario natalizio / Anonimo veronese di eta carolingia, [S.l.: s.n.], 1978 (Verona: Fiorini), Parole per Natale Note Generali: Trad. italiana a fronte. Parole per Natale / Nascita e divinita del Signore, [di] s. Zeno vescovo; Ritmo abecedario natalizio, [di] Anonimo veronese di eta carolingia, [Verona]: Cassa di risparmio di Verona Vicenza e Belluno, 1978 Note Generali: Trad. italiana a fronte Ed. f. c. . Zeno <santo>, Alteri sermones / San Zeno; a cura di Guglielmo Ederle. [testo latino con traduzione italiana a fronte!, Verona: Ed. di Vita Veronese, 1956 (Tip. Ghidini e Fiorini), Lo scrigno; 12 Zeno<santo>, La vita di coronato (scrino coronati notarii) e il ritmo dei miracoli (rhytmus de S. Zenone): [testo latino, traduzione italiana e note a cura di Mario Carrara], Verona: F. Riva, 1956, Bibliotheca veronensis Zeno <santo>, Sermones: De fide; De spe, fide et caritate; De pudicitia; De continentia / Introduzione, versione [dal latino] e note a cura di Guglielmo Ederle, Verona: Ed. Di vita Veronese, 1955, Tip. Ghidini e Fiorini, Lo scrigno Lofstedt, Bengt, A Concordance to the sermons of Bishop Zeno of Verona / Bengt M. Lofsted, David W. Packard, [New York]: published by the American Philological Association, 1975, Philological monographs of the Americanphilological Association Zeno <santo>, S. Zenonis Sermonum liber 4. / introduzione e note a cura di Guglielmo Ederle, Verona: Ediz. "Vita veronese", 1960, Lo scrigno Zeno <santo>, I Discorsi / San Zenone di Verona; introduzione, traduzione,note e indici di Gabriele Banterle; <recensuit Bengt Lofstedt>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1987 Zeno <santo>, Sermonum liber 3. / Sancti Zenonis, Verona: Ediz. "Vita Veronese", 1958, Lo scrigno Note Generali: Premesse di G. Ederle . Zeno<santo>, Tractatus / Edidit B. Lofstedt, Turnholti: Brepols, 1971, Corpus Christianorum. Series Latina F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 17 Zeno <santo>, S. Zenonis episcopi veronensis sermones / post Sparaverium et Ballerinios Maffeji Vallarsii a Prato Perazzinii ... textum recensuit commentario notisque illustravit Jo. Bapt. Carolus Co. Giuliari Edizione: 2 ed, Veronae: sumptibus Felicis Cinquetti, 1900 Zeno <santo>, S. Zenonis episcopi veronensis Sermones: post Sparaverium et Ballerinos Maffeji Vallarsii a Prato Perazzinii Dionysii aliorumque praesertim veronensium in S. Zenonem studia collegit auxilio codd. et qui Ballerinos latuerant in primis pistoriensis quotquot modo extant vetustioris / textum recensuit commentario notisque illustravit Jo. Bapt. Carolus Co. Giuliari, Veronae: e stereo-typ. episc. F. Colombari in seminario, 1883 Bettini, 3, 884; Conte 539 (cenno). Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 368-69 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 18 L'eresia manichea Mani fu crocefisso in Persia ca. il 276. I suoi seguaci credevano che male e bene fossero da sempre in lotta tra loro e che, dal momento che Dio non poteva volere il male, essi avessero un'origine autonoma e indipendente: in tal modo si andava prefigurando una doppia divinità e quindi si negava il principio dell'unità divina. Integrare Testi e testimonianze August., de haeres., 46. I Manichei. [Migne] XLVI. MANICHAEI a quodam Persa exstiterunt, qui vocabantur Manes: quamvis et ipsum, cum ejus insana doctrina coepisset in Graecia praedicari, Manichaeum discipuli ejus appellare maluerunt, devitantes nomen insaniae. Unde quidam eorum quasi doctiores, et eo ipso mendaciores, geminata N littera, Mannichaeum vocant, quasi manna fundentem [3 [0034] Sic omnino ferunt Mss. At editi, coepisset nomen praedicari: nam antehac Urbicus (imo, Cubricus, ex Epiphanio, haer. 66) vocabatur. Sed in Graecia discipuli ejus vitantes nomen insaniae, quasi doctiores, et eo ipso mendaciores, geminata n littera, Mannichaeum, quasi manna fundentem, pro Manichaeo, id est insano, appellaverunt. Iste duo principia, etc.] . Iste duo principia inter se diversa et adversa, eademque aeterna et coaeterna, hoc est semper fuisse, composuit: duasque naturas atque substantias, boni scilicet et mali, sequens alios antiquos haereticos, opinatus est. Quarum inter se pugnam et commixtionem, et boni a malo purgationem, et boni quod purgari non poterit, cum malo in aeternum damnationem, secundum sua dogmata asseverantes, multa fabulantur, quae cuncta intexere huic [0035] operi nimis longum est. Ex his autem suis fabulis vanis atque impiis coguntur dicere, animas bonas, quas censent ab animarum malarum naturae scilicet contrariae commixtione liberandas, ejus cujus Deus est esse naturae. Proinde mundum a natura boni, hoc est, a natura Dei factum, confitentur quidem, sed de commixtione boni et mali, quae facta est, quando inter se utraque natura pugnavit. Ipsam vero boni a malo purgationem ac liberationem, non solum per totum mundum et de omnibus ejus elementis virtutes Dei [1 [0035] Editi, virtutem Dei. Melius Mss., virtutes Dei: quas nimirum infra Manichaei dicunt esse in sole et luna tanquam in duabus navibus sanctas virtutes. Concerdat in Augiensi exemplari vetus ille de Haeresibus liber, quem indito nomine Praedestinati publicavit Jacobus Sirmondus; qui tamen hoc loco virtutem Dei edidit.] facere dicunt, verum etiam Electos suos per alimenta quae sumunt. Et eis quippe alimentis, sicut universo mundo, Dei substantiam perhibent esse commixtam: quam purgari putant in Electis suis eo genere vitae, quo vivunt Electi Manichaeorum, velut sanctius et excellentius Auditoribus suis. Nam his duabus professionibus, hoc est Electorum et Auditorum, Ecclesiam suam constare voluerunt. In caeteris autem hominibus, etiam in ipsis Auditoribus suis, hanc partem bonae divinaeque substantiae quae mixta et colligata in escis et potibus detinetur, maximeque in eis qui generant filios, arctius et inquinatius colligari putant. Quidquid vero undique purgatur luminis, per quasdam naves, quas esse lunam et solem volunt, regno Dei, tanquam propriis sedibus reddi. Quas itidem naves de substantia Dei pura perhibent fabricatas. Lucemque istam corpoream animantium mortalium oculis adjacentem, non solum in his navibus, ubi eam purissimam credunt, verum etiam in aliis quibusque lucidis rebus, ubi secundum ipsos tenetur admixta, crediturque purganda, Dei dicunt esse naturam. Quinque enim elementa quae genuerunt principes proprios, genti tribuunt tenebrarum: eaque elementa his nominibus nuncupant, fumum, tenebras, ignem, aquam, ventum. In fumo nata animalia bipedia, unde homines ducere originem censent; in tenebris, serpentia; in igne, quadrupedia; in aquis, natatilia; in vento, volatilia. His quinque elementis malis debellandis alia quinque elementa de regno et substantia Dei missa esse, et in illa pugna fuisse permixta; fumo aera, tenebris lucem, igni malo ignem bonum, aquae malae aquam bonam, vento malo ventum bonum. Naves autem illas, id est, duo coeli luminaria, ita distinguunt, ut lunam dicant factam ex bona aqua, solem vero ex igne bono. Esse autem in eis navibus sanctas virtutes, quae se in masculos transfigurant, ut illiciant feminas gentis adversae, et rursus in feminas, ut illiciant masculos ejusdem gentis adversae [2 [0035] Haec pars sententiae, et rursus . . . . . . gentis adversae, restituitur ex Mss. Vide librum de Natura Boni, cap. 44.] ; et per hanc illecebram commota eorum concupiscentia fugiat de illis lumen, quod membris suis permixtum tenebant, et purgandum F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 19 suscipiatur ab angelis lucis, purgatumque illis navibus imponatur ad regna propria reportandum. [0036] Qua occasione, vel potius exsecrabilis superstitionis quadam necessitate, coguntur Electi eorum velut eucharistiam conspersam cum semine humano sumere, ut etiam inde, sicut de aliis cibis quos accipiunt, substantia illa divina purgetur. Sed hoc se facere negant, et alios nescio quos sub nomine Manichaeorum facere affirmant. Detecti sunt tamen in ecclesia, sicut scis, apud Carthaginem, jam te ibi diacono constituto, quando instante Urso tribuno, qui tunc domui regiae praefuit, aliqui adducti sunt [(a) [0036] Vid. Possid. in Vita Augustini, cap. 16.] ; ubi puella nomine Margarita istam nefariam turpitudinem prodidit, quae cum esset annorum nondum duodecim, propter hoc scelestum mysterium se dicebat esse vitiatam [1 [0036] Sic Mss. Editi autem habent, violatam.] . Tunc Eusebiam quamdam manichaeam quasi sanctimonialem, idipsum propter hoc ipsum passam, vix compulit confiteri, cum primo illa se asseruisset integram, atque ab obstetrice inspici postulasset: quae inspecta, et quid esset inventa, totum illud turpissimum scelus, ubi ad excipiendum et commiscendum concumbentium semen farina substernitur (quod Margarita indicante absens non audierat), similiter indicavit. Et recenti tempore nonnulli eorum reperti, et ad ecclesiam ducti, sicut Gesta episcopalia quae nobis misistis ostendunt, hoc non sacramentum, sed exsecramentum, sub diligenti interrogatione confessi sunt: quorum unus nomine Viator, eos qui ista faciunt proprie Catharistas [2 [0036] Hic editi addunt, id est mundatores vel purgatores.] vocari dicens, cum alias ejusdem manichaeae sectae partes in Mattarios [3 [0036] Editi, Macarios: quod erratum secutus est Sirmondus in suo Praedestinato; quanquam Augiense ejusdem Praedestinati exemplar praefert, Mattarios. Sic vero habent hic etiam Augustini Mss. omnes. Nempe quia in mattis dormiunt, Mattarii appellantur, ex libro 5 contra Faustum, cap. 5.] , et specialiter Manichaeos, distribui perhiberet, omnes tamen has tres formas ab uno auctore propagatas, et omnes generaliter manichaeos esse, negare non potuit. Et certe illi libri manichaei sunt omnibus sine dubitatione communes, in quibus libris illa portenta ad illiciendos et per concupiscentiam dissolvendos utriusque sexus principes tenebrarum, ut liberata fugiat ab eis, quae captivata tenebatur in eis divina substantia, de masculorum in feminas et feminarum in masculos transfiguratione conscripta sunt, unde ista, quam quilibet eorum negant [4 [0036] Ita Vaticani duo Mss. At editi, unde ista eorum, quamlibet negant, etc.] ad se pertinere, turpitudo defluxit. Divinas enim virtutes, quantum possunt, imitari se putant, ut purgent Dei sui partem: quam profecto, sicut in omnibus corporibus coelestibus et terrestribus, atque in omnium rerum seminibus, ita et in hominis semine teneri existimant inquinatam. Ac per hoc sequitur eos, ut sic eam etiam de semine humano, quemadmodum de aliis seminibus quae in alimentis sumunt, debeant manducando purgare. Unde etiam Catharistae appellantur, quasi purgatores, tanta eam purgantes diligentia, ut se nec ab hac tam horrenda cibi turpitudine abstineant. Nec vescuntur tamen carnibus, [0037] tanquam de mortuis vel occisis fugerit divina substantia, tantumque ac tale inde remanserit, quod jam dignum non sit in Electorum ventre purgari. Nec ova saltem sumunt, quasi et ipsa cum franguntur exspirent, nec oporteat ullis mortuis [1 [0037] Aliquot Mss., illis mortuis.] corporibus vesci, et hoc solum vivat ex carne, quod farina, ne moriatur, excipitur. Sed nec alimonia lactis utuntur, quamvis de corpore animantis vivente mulgeatur sive sugatur: non quia putant divinae substantiae nihil ibi esse permixtum, sed quia sibi error ipse non constat. Nam et vinum non bibunt, dicentes fel esse principum tenebrarum; cum vescantur uvis: nec musti aliquid, vel recentissimi, sorbent. Animas Auditorum suorum in Electos revolvi arbitrantur, aut feliciore compendio in escas Electorum suorum, ut jam inde purgatae in nulla corpora revertantur. Caeteras autem animas et in pecora redire putant, et in omnia [2 [0037] Sola editio Lov., et omnia; omisso, in.] quae radicibus fixa sunt atque aluntur in terra. Herbas enim atque arbores sic putant vivere, ut vitam quae illis inest, et sentire credant, et dolere, cum laeduntur [3 [0037] In Mss., cum laeditur.] : nec aliquid inde sine cruciatu eorum quemquam posse vellere aut carpere. Propter quod, agrum etiam spinis purgare, nefas habent. Unde agriculturam, quae omnium artium est innocentissima, tanquam plurium homicidiorum ream dementer accusant: suisque Auditoribus ideo haec arbitrantur ignosci, quia praebent inde alimenta Electis suis; ut divina illa substantia in eorum ventre purgata, impetret eis veniam, quorum traditur oblatione purganda. Itaque ipsi Electi, nihil in agris operantes, nec poma carpentes, nec saltem folia ulla vellentes, exspectant haec afferri usibus suis ab Auditoribus suis, viventes de tot ac tantis secundum suam vanitatem homicidiis alienis. Monent etiam eosdem Auditores suos, ut si vescuntur carnibus, animalia non occidant, ne offendant principes tenebrarum in coelestibus colligatos, a quibus omnem carnem dicunt originem ducere: et si utuntur conjugibus, conceptum tamen generationemque devitent, ne divina substantia quae in eos per alimenta ingreditur, vinculis carneis ligetur in prole. Sic quippe in omnem carnem, id est, per escas et potus venire animas credunt. Unde nuptias sine dubitatione condemnant, et quantum in ipsis est, prohibent; quando generare prohibent, propter quod conjugia copulanda sunt, Adam et Evam ex parentibus principibus fumi asserunt natos: cum pater eorum nomine Saclas sociorum suorum fetus omnium devorasset, et quidquid inde commixtum divinae substantiae ceperat, cum uxore concumbens in carne prolis tanquam tenacissimo vinculo colligasset. Christum autem fuisse affirmant, quem dicit nostra Scriptura serpentem, a quo illuminatos asserunt, ut cognitionis oculos aperirent, et bonum malumque dignoscerent: eumque Christum novissimis temporibus venisse ad animas, non ad corpora liberanda. Nec fuisse in carne vera, sed simulatam speciem carnis [0038] ludificandis humanis sensibus praebuisse, ubi non solum mortem, verum etiam resurrectionem similiter mentiretur. Deum qui Legem per Moysen dedit, et in Hebraeis Prophetis locutus est, non esse verum Deum, sed unum ex principibus tenebrarum. Ipsiusque Testamenti Novi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 20 scripturas tanquam infalsatas ita legunt, ut quod volunt inde accipiant, quod nolunt rejiciant, eisque tanquam totum verum habentes [1 [0038] Sic veteres Mss. At editi, eisque tanquam non totum verum habentibus nonnullas, etc.] nonnullas apocryphas anteponant. Promissionem Domini Jesu Christi de paracleto Spiritu sancto (Joan. XVI, 7) in suo haeresiarcha Manichaeo dicunt esse completam. Unde se in suis litteris Jesu Christi apostolum dicit, eo quod Jesus Christus se missurum esse promiserit atque in illo miserit Spiritum sanctum. Propter quod etiam ipse Manichaeus duodecim discipulos habuit, ad instar apostolici numeri, quem numerum Manichaei hodieque custodiunt. Nam ex Electis suis habent duodecim, quos appellant magistros, et tertium decimum principem ipsorum: episcopos autem septuaginta duos, qui ordinantur a magistris; et presbyteros, qui ordinantur ab episcopis. Habent etiam episcopi diaconos. Jam caeteri tantummodo Electi vocantur: sed mittuntur etiam ipsi qui videntur idonei, ad hunc errorem, vel ubi est, sustentandum et augendum; vel, ubi non est, etiam seminandum. Baptismum in aqua nihil cuiquam perhibent salutis afferre: nec quemquam eorum quos decipiunt, baptizandum putant. Orationes faciunt ad solem per diem, quaqua versum circuit: ad lunam per noctem, si apparet; si autem non apparet, ad aquiloniam partem, qua sol cum occiderit, ad orientem revertitur, stant orantes. Peccatorum originem non libero arbitrio voluntatis, sed substantiae tribuunt gentis adversae: quam dogmatizantes esse hominibus mixtam, omnem carnem non Dei, sed malae mentis perhibent esse opificium, quae a contrario principio Deo coaeterna est. Carnalem concupiscentiam, qua caro concupiscit adversus spiritum, non ex vitiata in primo homine natura nobis inesse infirmitatem; sed substantiam volunt esse contrariam, sic nobis adhaerentem, ut quando liberamur atque purgamur, separetur a nobis, et in sua natura etiam ipsa immortaliter vivat: easque duas animas, vel duas mentes, unam bonam, alteram malam, in uno homine inter se habere conflictum, quando caro concupiscit adversus spiritum, et spiritus adversus carnem (Galat. V, 17) . Nec in nobis sanatum hoc vitium, sicuti nos dicimus, nunquam futurum: sed a nobis sejunctam atque seclusam substantiam istam mali, et finito isto saeculo post conflagrationem mundi in globo quodam, tanquam in carcere sempiterno, esse victuram. Cui globo affirmant accessurum semper et adhaesurum quasi coopertorium atque tectorium ex animabus, natura quidem bonis, sed tamen quae non potuerint a naturae malae contagione mundari. 46. 1. I MANICHEI (46) trassero origine da un certo persiano di nome Mani. I suoi discepoli tuttavia, quando cominciarono a predicare in Grecia la sua folle dottrina, preferirono chiamarlo Manicheo (47), per evitare l'omonimia con il termine greco che indica la pazzia. Per la stessa ragione alcuni tra loro, quelli che erano un po' piú dotti e proprio per questo piú mendaci, raddoppiarono la «N» e lo chiamarono Mannicheo, come se egli fosse il largitore della manna (48). 46. 2. Codesto eretico ha congiunto due principi diversi e contrari e, in pari tempo, eterni e coeterni, cioè che sarebbero esistiti da sempre; ed ancora sentenziò che ci sarebbero due nature e, piú precisamente, sostanze, cioè quella del bene e quella del male, seguendo gli altri eretici antichi. La lotta e la mescolanza vicendevole di queste due sostanze, la separazione del bene dal male, e la dannazione eterna del bene che non si sarà potuto separare dal male sono le dottrine che costoro professano e sulle quali cianciano diffusamente; tuttavia, elencare in questa mia opera tutte le loro affermazioni sarebbe un lavoro oltremodo lungo. 46. 3. In conseguenza, poi, di codesti loro stolti ed empi favoleggiamenti sono costretti a dire che le anime buone sono di quella natura che è propria di Dio: infatti ritengono che esse devono venir liberate dalla mescolanza che hanno con le anime cattive, cioè di natura contraria. 46. 4. Essi sostengono dunque che il mondo fu creato dalla natura buona, ovvero dalla natura di Dio, ma che fu costituito di una mistura di bene e male che si originò quando queste due nature presero a combattersi. 46. 5. Dicono pure che non solo le potenze di Dio eseguono la purgazione e la liberazione dal bene da male in tutto il mondo e da tutti i suoi elementi, ma che la compiono anche i loro Eletti per mezzo degli alimenti che mangiano. Infatti ritengono che in questi alimenti, come lo è nell'intero mondo, si trova mescolata la sostanza di Dio, e, quindi, credono, che essa venga liberata dentro i loro Eletti in virtú di quel genere di vita, che fa gli Eletti dei Manichei piú santi e piú pregiati dei loro Uditori. Infatti questi eretici hanno voluto che la loro chiesa fosse formata da queste due categorie: cioè da quella degli Eletti e da quella degli Uditori. 46. 6. Invero ritengono che in tutti gli altri uomini, e perfino nei loro stessi Uditori, la parte della sostanza buona e divina, sopra menzionata, la quale è trattenuta nei cibi e nelle bevande, mescolata e legata ad essi, si trovi imprigionata piú strettamente e con maggior inquinamento; ciò vale soprattutto per le persone che generano figli. Tutte le porzioni di luce, liberate in qualsiasi parte del mondo, sono, quindi, restituite al regno di Dio, come alla loro propria sede, per mezzo di certe navi, che, come essi pretendono, sono la luna e il sole. Ed infatti affermano che pure queste navi sono formate da pura sostanza di Dio. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 21 46. 7. Dicono che è sostanza di Dio anche codesta luce fisica che viene a contatto con gli occhi degli esseri animati mortali, e non solo quella delle sopraddette navi, dove, a loro dire, essa è purissima, ma lo è anche quella di tutti gli altri corpi luminosi, dove, secondo essi, è trattenuta dalla mescolanza [con il male] e, quindi, come credono, deve essere liberata. Attribuiscono, infatti, i cinque elementi, ognuno dei quali generò un suo proprio principe, alla stirpe delle tenebre, e danno a questi elementi i seguenti nomi: fumo, tenebre, fuoco, acqua, vento (49). Nel fumo sono nati gli animali bipedi, dai quali, come essi credono, traggono origine gli uomini; nelle tenebre sono nati i serpenti, nel fuoco i quadrupedi, nell'acqua gli animali natanti, nel vento i volatili. Per debellare questi cinque elementi cattivi sarebbero stati mandati dal regno e dalla sostanza di Dio altri cinque elementi, e, nella guerra che ne segui, si sarebbero mescolati l'aria al fumo, la luce alle tenebre, il fuoco buono al fuoco cattivo, il vento buono al vento cattivo. Riguardo, poi, alle sopraddette navi, cioè i due astri luminari del cielo, fanno questa differenza, cosí che dicono che la luna è fatta di acqua buona, e il sole di fuoco buono. 46. 8. E su quelle navi, poi, ci sarebbero sante potenze che prendono forme maschili per sedurre le femmine della stirpe avversaria, e, di nuovo, forme femminili per sedurre i maschi, sempre della stirpe avversaria. E dopo che la concupiscenza di queste entità nemiche è stata eccitata in seguito al detto adescamento, fuggirebbe la luce che tenevano mescolata alle loro membra, e questa verrebbe accolta dagli angeli della luce per essere purificata, e, una volta, purificata, sarebbe caricata su quelle navi per essere riportata al regno loro proprio. 46. 9. In forza di tale situazione o, piuttosto, per un non so quale necessità imposta dalla loro detestabile falsa religione, i loro Eletti sono costretti a prendere, se si può cosí chiamare, un'eucarestia cosparsa di seme umano, affinché anche da questo, come dagli altri cibi che costoro prendono, sia purificata la anzidetta sostanza divina che è in essi. Ma questi eretici affermano di non fare un tale rito, e dicono che lo fanno non so quali altri, spacciandosi per Manichei. Però come sai, essi furono smascherati nella chiesa di Cartagine, rnentre tu vi eri già in qualità di diacono, allorché alcuni ve ne vennero condotti per ordine del tribuno Orso, che a quel tempo soprintendeva alla prefettura imperiale (50). Qui, quella ben nota adolescente di nome Margherita rivelò codesta nefanda sconcezza, e disse di essere stata violentata, sebbene non avesse ancora dodici anni, a causa di questo scellerato rito. In quella stessa circostanza [il tribuno] riuscí a stento a far confessare a una certa Eusebia, manichea di professione esteriormente ascetica, di aver subíto la stessa violenza per la stessa motivazione: costei, invero, in un primo tempo aveva dichiarato di essere illibata e aveva chiesto di essere visitata da un'ostetrica. La donna fu, dunque, visitata e si scopri che cosa ella fosse, e ugualmente anche lei rivelò tutta quella turpissima nefandezza, nella quale, per raccogliere e impastare il seme umano di coloro che si accoppiano, viene stesa della farina sotto di loro; questa nefandezza Eusebia non l'aveva ascoltata, perché non era presente, quando la rivelò Margherita. Ed ancora ultimamente furono trovati alcuni di loro e, condotti in chiesa, confessarono, sottoposti ad accurato interrogatorio, codesto non sacramento, ma dissacramento, come dimostrano i regesti episcopali che ci hai mandato. 46. 10. Uno di codesti eretici, di nome Viatore, disse che coloro che compiono tali azioni sono chiamati con termine specifico Cataristi, mentre, secondo il suo dire, le altre sezioni della medesima setta manichea si dividerebbero in Mattari e in Manichei in senso stretto; però costui non poté negare che queste tre forme erano state impiantate da un unico fondatore, e che tutti sono, fondamentalmente, Manichei. E certamente tutti i Manichei hanno in comune, senza alcun dubbio, quei libri nei quali sono scritte quelle mostruosità sulle metamorfosi dei maschi in femmine e delle femmine in maschi, al fine di adescare e di disgregare per mezzo della concupiscenza i príncipi delle tenebre, sia quelli maschi, sia quelli femmine, affinché la divina sostanza, trattenuta in essi prigioniera, venga liberata e fugga via da loro; da ciò infatti deriva la sopraddetta sconcezza, riguardo alla quale ognuno di loro dice che non lo riguarda. Credono, appunto, di imitare, per quanto è loro possibile, le potenze divine mettendosi a purgare una porzione del loro dio, poiché sono fermamente persuasi che essa sia trattenuta inquinata allo stesso modo che lo è nei corpi celesti, terrestri e nei semi di ogni specie, anche nel seme umano. E, pertanto, segue che essi debbano, mangiando, liberarla anche dal seme umano cosí come lo fanno dagli altri semi, che prendono nell'alimentarsi. Per questa ragione vengono anche chiamati Cataristi, cioè purgatòri, appunto perché purgano la sostanza divina con tanta diligenza da non astenersi da una cosí schifosa turpitudine di cibo. 46. 11. Costoro, tuttavia, non mangiano alcuna sorta di carne, ritenendo che la divina sostanza sia fuggita da tutto ciò che è morto o ucciso, e vi siano rimaste quelle quantità e qualità, che non meritano piú di essere purgate nella pancia degli Eletti. Neppure prendono mai uova, come se anche queste cessassero di vivere al momento della rottura, né si debbano assolutamente mangiare corpi morti, e della carne rimanga in vita F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 22 soltanto quella parte che viene assorbita dalla farina, cosí che non possa morire. Ma nel loro alimentarsi non fanno uso nemmeno del latte, nonostante che questo sia munto o succhiato dal corpo di un animale vivente: e ciò non perché ritengano che in esso non vi sia mescolato nulla della sostanza divina, ma perché la loro errata dottrina non è coerente con se stessa. Infatti non bevono neanche vino, dicendolo essere il fiele dei príncipi delle tenebre, benché mangino le uve. Neppure assaggiano alcun mosto, nemmeno quello appena spremuto. 46. 12. [I Manichei] credono che le anime dei loro Uditori passino negli Eletti o, attraverso una via corta e, perciò, piú felice, nei cibi mangiati dai loro Eletti, cosí che ormai purgate, di poi non passino piú in alcun altro corpo. Invece riguardo alle altre anime credono che esse passino nel bestiame e in ogni specie di esseri che per mezzo delle radici è fisso e alimentato nella terra. Infatti ritengono che le erbe e gli alberi siano viventi in tal grado da far loro credere che la vita insita in essi, percepisca e soffra, quando viene danneggiata, e che nessuno possa, quindi, svellere o strappare alcuna loro parte, senza procurar loro sofferenza. Per tal motivo ritengono un sacrilegio purgare un campo anche dai rovi. Di conseguenza costoro, nella loro demenza, accusano l'agricoltura, che fra tutte le attività lavorative è la piú innocente, come colpevole di numerosi omicidi. Credono, poi, che tali colpe vengano perdonate ai loro Uditori, solo perché costoro procurano da questa il sostentamento per il loro Eletti, cosí che la già menzionata sostanza divina, purificatasi nella loro pancia, impetra a quelli il perdono, essendo offerta da quelli per essere purgata. Pertanto i loro Eletti, poiché personalmente non fanno alcun lavoro nei campi, né raccolgono frutti e neppure strappano mai una foglia, aspettano che tutti questi generi alimentari siano forniti al loro bisogno dai loro Uditori, e, pertanto, cotali individui vivono, secondo la stolta credenza di questi eretici, degli innumerevoli e gravi omicidi altrui. Esortano, inoltre, i loro stessi Uditori a non uccidere gli animali, quando vogliono mangiar carne, affine di non offendere i principi delle tenebre, tenuti prigionieri nelle regioni celesti, poiché, dicono, da costoro ha origine ogni specie di carne. 46. 13. Li esortano, pure, ad evitare nelle loro relazioni coniugali, il concepimento e la generazione, affinché la divina sostanza, che entra in loro attraverso gli alimenti, non sia imprigionata dai vincoli della carne nella prole. Cosí infatti credono che le anime arrivino in ogni specie di carne, cioè attraverso i cibi e le bevande. Di qui costoro condannano, senza alcuna esitazione, il matrimonio e, per quanto possono, lo proibiscono, per il fatto stesso che vietano di concepire, fine cui tende l'unione matrimoniale. 46. 14. Asseriscono che Adamo ed Eva nacquero da genitori che erano i príncipi del fumo, dopoché il loro padre, di nome Saclas, aveva divorato i feti di tutti i suoi colleghi; e pertanto egli, quando si uní con sua moglie, incatenò nella carne della sua prole, come in un catena saldissima, tutta la divina sostanza che si trovava ad essere mescolata in quelli. 46. 15. Riguardo a Cristo, poi, affermano che egli è stato il serpente menzionato nella nostra sacra Scrittura; e da questo, dicono costoro, sono stati illuminati, cosí che hanno potuto aprire i loro occhi alla conoscenza e a distinguere il bene e il male; quello, poi, venne quale Cristo alla fine dei tempi, per liberare le anime, non i corpi; e non esistette in una vera carne, ma ostentò una parvenza di carne, per trarre in inganno i sensi umani, e in tal modo poter simulare non solo la morte, ma anche la resurrezione; il Dio, che, per mezzo di Mosè, dette la Legge e parlò nei Profeti, non è il vero Dio, ma uno dei principi delle tenebre. Poiché ritengono falsificati gli scritti dello stesso Nuovo Testamento, li leggono in modo da accettare solo quello che vogliono, e da rifiutare quanto non vogliono; ed essi, poi, antepongono alcuni scritti apocrifi, come se questi contenessero l'intera verità. 46. 16. La promessa fatta da nostro Signore Gesú Cristo riguardo allo Spirito Santo, dicono essersi compiuta nel loro eresiarca Manicheo. Perciò costui nelle sue lettere si qualifica apostolo di Gesù Cristo, appunto perché Gesú Cristo avrebbe promesso di inviare lui, e sopra di lui avrebbe inviato lo Spirito Santo. Per questo motivo anche Manicheo ebbe dodici discepoli in corrispondenza al numero degli Apostoli, ed ancor oggi i Manichei mantengono questo numero. Infatti tra i loro Eletti hanno i dodici, che essi chiamano maestri, e come tredicesimo il preside di costoro; quindi hanno settantadue vescovi, che vengono ordinati dai maestri, e, senza alcuna limitazione di numero, i presbiteri, i quali sono ordinati dai vescovi. I vescovi hanno anche i diaconi. Tutti gli altri sono chiamati soltanto Eletti. Ma anche tra costoro sono mandati [in missione] quanti sono giudicati idonei o a sostenere o a incrementare codesta eresia, dove c'è, o anche, dove non c'è, a seminarla. 46. 17. Il battesimo fatto nell'acqua non conferisce, secondo costoro, nessuna salvezza ad alcuno, né credono che si debba battezzare alcuno di quelli che essi riescono ad accalappiare. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 23 46. 18. Fanno le loro preghiere, durante il giorno, rivolti al sole, verso qualunque punto esso stia girando; durante la notte, rivolti alla luna, se è visibile, ma se questa non si mostra, guardano verso la parte settentrionale, attraverso la quale il sole, dopo che è tramontato, ritorna ad oriente. Pregano in piedi. 46. 19. Ascrivono l'origine dei peccati non al libero arbitrio della volontà, ma alla sostanza della stirpe avversaria, che, secondo la loro credenza, si trova mescolata nell'uomo. Affermano che la carne, in ogni sua specie, non è fattura di Dio, ma di una mente cattiva, la quale, essendo da un principio contrario, è coeterna a Dio. Dicono che la concupiscenza carnale, a causa della quale la carne ha desideri contrari a quelli dello spirito, non è un'infermità esistente in noi da quando la nostra natura si corruppe nel primo uomo, ma la vogliono una sostanza contraria, aderente a noi tanto che essa si distacca da noi, quando ne veniamo liberati e purgati, e, tuttavia, anche essa rimane immortalmente viva nella sua propria natura; queste due anime, o due menti, l'una buona l'altra cattiva, sono in conflitto tra loro in ogni singolo uomo, allorché la carne si erge con i suoi appetiti contro lo spirito, e lo spirito contro la carne; né in noi questa corruzione si sana, perché, come noi diciamo, un giorno non ci sarà piú, ma [secondo codesti eretici] questa sostanza viene staccata e separata da noi, e alla fine del tempo presente, dopo che ci sarà stata la conflagrazione del mondo, continuerà a vivere entro una specie di sfera, come in un carcere eterno. E a questa sfera dicono che sempre starà applicata e aderirà una specie di copertura e di tetto, fatto di anime, buone per quanto riguarda la loro natura, che, però, non riuscirono a purificarsi dall'inquinamento causato in loro dal contatto con la natura cattiva. (46) Particolarmente pericolosa per la Chiesa del III e IV secolo, questa è l'eresia a cui Agostino dedica lo spazio maggiore. Egli stesso, dai 19 ai 28 anni, aderí al manicheismo. Le fonti eresiologiche sono comuni al resto del trattato: EPIF., Panar. 66 (GCS 37, 130-132); Anaceph. (PG 42, 868D). Per le fonti agostiniane ci sono tutte le opere antimanichee, che la NBA ha riunito e pubblicato insieme nella raccolta Polemica con i Manichei. (47) Mani, discendente di un ramo della famiglia reale persiana, nacque il 14 aprile del 216 a Mardinu, o a Afrunya, in Babilonia. Due rivelazioni, a 12 e a 24 anni, sono alla base della sua predicazione che iniziò con un viaggio in India. Il re Shapur I, che incontrò personalmente in occasione delle cerimonie di incoronazione, lo protesse. Cosí anche suo figlio Hormizda. Nel 274 però, sotto il regno di Bahram I, cadde in disgrazia e su pressione dei sacerdoti dello zoroastrismo, il 31 gennaio del 277 venne imprigionato. Cominciò per lui un periodo di atroci sofferenze, chiamato dai suoi fedeli la sua passione o crocifissione, durato 26 giorni. Morí il 26 febbraio del 277. Sulla dottrina manichea vedere le varie introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nella raccolta Polemica con i Manichei. (48) Cf. Contra Faust. 19-22. (49) Cf. De natura boni, 46. 18. (50) Possidio, Vita S. Aug., 16; AGOSTINO, De mor. manich., 16 ss Trad. e nota M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV. Bibliografia Studi C. Riggi, s.v. Mani-Manicheismo, in DPAC, 2, col. 2076-79. MANI-MANICHEISMO I. Mani e manicheismo - II. Letteratura manichea. I. Mani e manicheismo. Manes o Manichaeus nacque verso il 14 aprile del 216 da Pàtrik, un principe partico di origine arsacide, e da Maryam, probabilmente giudeocristiana della medesima discendenza reale arsacide. Le fonti discordano nel determinare il luogo di nascita. Al-Bîrúnî lo dice di un distretto della Babilonia settentrionale, Nahr Kutà. A 4 anni il padre lo avrebbe condotto al sud, in Mesenia, a vivere con lui tra i Battisti. A 12 anni avrebbe ricevuto dallo Spirito, suo alter ego celeste (al-Tawn = Gemello), il primo invito a separarsi dagli Elcesaiti, e la rivelazione della guerra tra la luce e le tenebre. A 24 anni avrebbe F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 24 ricevuto l'ordine di proclamarsi apostolo della Luce e della Salvezza. Il suo primo viaggio si svolse in India, per mare, e là entrò in contatto col Buddismo. All'inizio del regno di Shapur I ritornò in Persia e, ricevuto dal re il permesso di predicare la nuova religione, percorse in tutte le direzioni l'impero, l'Egitto, la Margiana e la Battriana. Durante i 30 anni del regno di Shapur I, il manicheismo convisse con lo zoroastrismo all'ombra della corte imperiale. II filosofo neoplatonico Alessandro di Licopoli (III-IV sec.) afferma che Mani fece parte del seguito di Shapur nelle sue campagne in Occidente (Contra Manichaei opiniones IV,20). Tradizioni tardive lo fanno soggiornare in India, nel Tibet, in Cina; ricordano le missioni da lui affidate ai discepoli Adda, Tommaso ed Hermas. Venuto a morire Shapur (273), e morto dopo un anno di regno l'erede al trono Hormizd I (274), Bahràm I gli ordinò di presentarsi a lui. L'interrogatorio tempestoso si concluse col suo arresto; fu incatenato ai polsi, ai piedi e al collo. Il suo fisico non resse. Dopo avere indirizzato alla sua chiesa un ultimo messaggio, raccolto da qualche discepolo presente alla sua agonia, spirò all'età di circa sessant'anni, di lunedì, all'ora undecima. Del suo corpo decapitato e disperso i fedeli non poterono raccogliere che poche reliquie; la sua testa fu esposta ad una delle porte della città (di Belapat?); la pelle strappatagli con punte di canna sarebbe stata rigonfiata e agitata al vento per lungo tempo. La sua ”passione” detta anche «crocifissione» era durata 26 giorni, dal 14 febbraio al 2 marzo del 274 (Henning), o dal 31 gennaio al 26 febbraio del 277 (Taqizadeh). Il manicheismo è un sincretismo di dottrine giudeocristiane ed indoiraniche. La salvezza si esprime in forma apparentemente molto complicata; ma il susseguirsi di sempre nuovi personaggi disposti in schemi simmetrici si riduce alla storia del medesimo eroe precipitato nelle tenebre e richiamato alla luce, «Salvatore e Salvato». Lo svolgimento avviene in tre momenti: precedente alla mescolanza dello Spirito con la Materia; mediano della mescolanza delle due Radici; finale della ricostituzione del Bene e del Male nella loro sussistenza in due Zone separate, quella del Bene a nord, quella del Male a sud. Le due Zone hanno alla testa un re: il Padre delle Luci e il Principe delle Tenebre. Ciascuno dei due regni è costituito di 5 elementi o alberi: di luce divina sono l'Intelligenza, il Pensiero, la Riflessione, la Volontà, il Ragionamento; invece di tenebra demoniaca il Fumo annebbiante, il Fuoco devastatore, il Vento distruttore, l'Acqua torbida, le Tenebre dei baratri. Il Padre quadriforme (maestà-splendore-forza-saggezza) è attorniato da 16 sue emanazioni (poste, a gruppi, ai quattro punti cardinali del mondo luminoso) e da tante altre in numero infinito. Il Principe delle Tenebre si incunea nella Luce che lo stringe dai tre lati. Le ipostasi demoniache, in forme di bipedi o di quadrupedi, di rettili o pesci o uccelli, si dilaniano, in cinque antri rispettivamente differenziati. La Luce, a sua volta, emana sempre nuovi Eoni divini per salvarsi: 1) la Madre della Vita, il Grande Spirito, l'Uomo Primordiale, i cinque suoi Figli che ne costituiscono la panoplia (esca inghiottita dalla Materia perché ne fosse il veleno di morte); 2) l'Amico delle Luci, il Grande Architetto e lo Spirito Vivente o Demiurgo creatore del mondo con le parti degli Arconti demoniaci debellati dai cinque suoi Figli (AtlanteOmoforo regge sulle spalle otto terre); 3) il Terzo Inviato di salvezza attraverso le Ruote del Vento dell'Acqua del Fuoco, le Vergini della Luce; 4) l'Appello e la Risposta, il Desiderio di Vita; 5) il Gesù Luminoso, Salvatore disceso sulla terra in forma umana per risvegliare Adamo. Procreato dal demonio Ashaqlun e dalla diavolessa Namràel dopo aver divorato la Luce contenuta negli aborti, Adamo aveva gridato: «Maledizione a chi ha creato il mio corpo, a colui che vi ha chiusa la mia anima e ai ribelli che mi hanno reso schiavo» (Teodoro Bar Koni). Per salvare l'uomo, Gesù trascendente patisce imprigionato ancora nel mondo della “Croce di Luce”, in attesa che la gigantesca ruota a dodici secchie o tazze (noria) finisca di attingere le anime e di riversarle nei vascelli della Luna e del Sole attraverso la Colonna della Luce. Per liberare definitivamente l'uomo, Mani venne a rivelare la salvezza. L'illuminazione si trasmette nell'Appello alla Giustizia da parte degli Eletti manichei alla massa degli Uditori, integrati ad essi per via delle “elemosine”. Gli Eletti si distinguono in Maestri, Vescovi, Sacerdoti, Veridici: sotto un Archegós, rappresentante in terra di Mani nella sede di Babilonia. Le elemosine, la preghiera e il digiuno contraddistinguono l'etica religiosa manichea: 1.- L'offerta ai Santi assicura il riposo nella Chiesa, liberando gli alimenti nella loro parte luminosa ed ottenendo agli offerenti il perdono del peccati; 2.- la preghiera è come una luce che risale ai cielo, anticipo del viaggio finale nella Colonna della Gloria, sul vascello della Luna, su quello del Sole, e dì là verso il Regno; 3.- il digiuno è espiazione penitenziale che «Schiaccia il leone>., liberando dall'angoscia il peccatore. I peccati (della bocca, delle mani e del petto) sono assolti nella confessione. Altri riti o misteri sono I’augurio di pace, la stretta di mano, il bacio fraterno, la prosternazione di omaggio, l'imposizione della mano; momenti salvifici: 1 - l'Appello dello spirito Vivente alla pace, 2.- la sua offerta della mano destra; 3 - il bacio dato ai suoi; 4.- la venerazione del Dio di verità; 5. - la consacrazione tra i fratelli del nuovo Eone. Principale solennità era il Bema (ultimi giorni di febbraio o a marzo) a ricordo della passione di Mani, la cui immagine e i cui scritti erano esposti su un alto palco drappeggiato e ornato di veli, fornito di cinque gradini , simboleggianti i cinque gradi della gerarchia manichea. Vi si leggeva il Vangelo Vivente, la Lettera del Suggello ; si pregava e si cantava, si implorava la rugiada della gioia di Mani. C. Riggi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 25 ICCU per Soggetto Torchia, Natale Joseph, Creatio ex nihilo and the theology of St. Augustine: the anti-Manichaean polemic and beyond / N. Joseph Torchia, New York [etc.]: P. Lang, c1999, American University studies. Ser. 7, Theologyand religion International association of manichaean studies, Augustine and Manichaeism in the Latin West: Proceedings of the Fribourg-Utrecht Symposium of the International Association of Manichaean Studies (IAMS) / Edited by Johannes Van Oort, Otto Wermelinger and Gregor Wurst, Leiden: Brill, 2001, Nag Hammadi and Manichaean studies; /49 Roche, Deodat, Studi manichei e catari / Deodat Roche; traduzione, introduzione, note aggiuntive, cronologia e glossario a cura di Franco De Pascale, Bologna: Cambiamenti, 2002!, Il giglio e la rosa; 1 Note Generali: Ed. di 500 esempl. piu 20 con numerazione romana Colditz, Iris, Zur Sozialterminologie der iranischen Manichaer: eine semantische Analyse im Vergleich zu den nichtmanichaischen iranischen Quellen / Iris Colditz, Wiesbaden: Harrassowitz, 2000, Iranica Tremblay, Xavier, Pour une histoire de la Serinde: le manicheisme parmi les peuples et religions d'Asie centrale d'apres les sources primaires / Xavier Tremblay, Wien: Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 2001, Sitzungsberichte; 28 Veroffentlichungen der Kommission furIranistik Gulacsi, Zsuzsanna, Manichaean art in Berlin collections: a comprehensive catalogue of Manichaean artifacts belonging to the Berlin State museums of the Prussian cultural foundation, Museum of Indian art, and the Berlin-Brandenburg academy of sciences, deposited in the Berlin State library of the Prussian cultural foundation / Zsuzsanna Gulacsi, Turnhout: Brepols, 2001, Corpus fontium Manichaeorum. Series archaeologica et iconographica Sundermann, Werner, Manichaica iranica: ausgewahlte Schriften / von Werner Sundermann; herausgegeben von Christiane Reck ... \et al.!, Roma: Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente, 2001, Serie orientale Roma; 89 Manichaean texts from the Roman empire / edited by Iain Gardner and Samuel N. C. Lieu, Cambridge: Cambridge university press, 2004 Il manicheismo: antologia dei testi / a cura di Aldo Magris, Brescia: Morcelliana, 2000, Scienze delle religioni Torchia, Natale Joseph, Creatio ex nihilo and the theology of St. Augustine: the anti-Manichaean polemic and beyond / N. Joseph Torchia, New York [etc.]: P. Lang, c1999, American University studies. Ser. 7, Theologyand religion Lieu, Samuel N. C., Manichaeism in Central Asia and China / by Samuel N. C. Lieu, Leiden [etc.]: Brill, 1998, Nag Hammadi and Manichaean studies Mikkelsen, Gunner B., Bibliographia manichaica: a comprehensive bibliography of manichaeism through 1996 / by Gunner B. Mikkelsen, Turnhout: Brepols, c1997, Corpus fontium Manichaeorum. Subsidia Heuser, Manfred, Studies in Manichaean literature and art / by Manfred Heuser and Hans-Joachim Klimkeit, Leiden [etc.]: Brill, 1998, Nag Hammadi and Manichaean studies Atti del terzo Congresso internazionale di studi Manicheismo e Oriente cristiano antico: Arcavacata di Rende-Amantea, 31 agosto-5 settembre 1993 / a cura di Luigi Cirillo & Alois van Tongerloo, [Turnhout]: Brepols, 1997, Manichaean studies Richter, Siegfried G., Die Aufstiegspsalmen des Herakleides: Untersuchungen zum Seelenaufstieg und zur Seelenmesse bei den Manichaern / von Siegfried G. Richter, Wiesbaden: Reichert, 1997, Sprachen und Kulturen des christlichenOrients F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 26 Tardieu, Michel, Il manicheismo / Michel Tardieu; tradizione (sic), introduzione critica e bibliografia a cura di Giulia Sfameni Gasparro Edizione: [2. ed.], Cosenza: L. Giordano, [1996], Saggi 3: Iranian Manichaean Turfan texts in early publications (1904-1934) / edited by Werner Sundermann Edizione: Photo ed, London: published on behalf of Corpus inscriptionum Iranicarum by School of Oriental and African studies, 1996 Fa parte di: Corpus inscriptionum Iranicarum. Supplementary series Mani: auf der Spur einer verschollenen Religion / hrsg. von Ludwig Koenen und Cornelia Romer, Freiburg; Basel; Wien, c1993 Kephalaia, The Kephalaia of the teacher / the edited coptic manichaean texts in translation with commentary by Iain Gardner, Leiden etc.: Brill, 1995, Nag Hammadi and Manichaean studies Puech, Henri Charles, Sul manicheismo e altri saggi / Henri-Charles Puech, Torino: Einaudi, [1995], Einaudi paperbacks Note Generali: Trad. di Augusto Comba. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Codex Manichaicus Coloniensis: atti del secondo Simposio internazionale: Cosenza, 27-28 maggio 1988 / a cura di Luigi Cirillo, Cosenza: Marra, 1990, Studi e ricerche Lieu, Samuel N. C., Manichaeism in Mesopotamia and the Roman East / by Samuel N. C. Lieu, Leiden [etc.]: Brill, 1994, Religions in the Graeco-Roman world Lieu, Samuel N. C., Manichaeism in the later Roman empire and medieval China / by Samuel N. C. Lieu Edizione: 2. ed. rev. and expanded, Tubingen: Mohr, 1992, Wissenschaftliche Untersuchungen zum NeuenTestament Decret, Francois, Essais sur l'Eglise manicheenne en Afrique du nord et a Rome au temps de Saint Augustin: recueil d'etudes / Francois Decret, Roma: Institutum Patristicum Augustinianum, 1995, Studia ephemeridis Augustinianum; 47 Note Generali: Raccolta di saggi gia pubblicati Codex Manichaicus Coloniensis: atti del secondo Simposio internazionale: (Cosenza, 27-28 maggio 1988) / a cura di Luigi Cirillo, Cosenza: Marra, 1990, Studi e ricerche Note Generali: In cop.: Universita degli studi della Calabria, Centro interdipartimentale di scienze religiose Polotsky, Hans Jakob <1905->, Il manicheismo: gnosi di salvezza tra Egitto e Cina / Hans-Jacob Polotsky; a cura di C. Leurini, A. Panaino, A. Piras, Rimini: Il cerchio, c1996, Homo absconditus Der Kolner Mani-Kodex: Uber das Werden seines Leibes: kritische Edition / aufgrund der von A. Henrichs und L. Koenen besorgten Erstedition; herausgegeben und ubersetzt von Ludwig Koenen und Cornelia Romer. \In Zusammenarbeit mit der Arbeitsstelle fur Papyrusforschung im Institut fur Altertumskunde der Universitat zu Koln!, Opladen: Westdeutscher Verlag, c1988, Abhandlungen der RheinischWestfalischenAkademie der Wissenschaften. SonderreihePapyrologica Coloniensia; 14 Note Generali: Con testo greco a fronte Doresse, Jean, Gnosticismo e manicheismo / J. Doresse, K. Rudolph, H.-Ch. Puech, Roma [ecc.]: Laterza, 1988, Biblioteca universale Laterza Note Generali: Trad. di Maria Novella Pierini. Fa parte di: Storia delle religioni / a cura di Henry [i. e. Henri]-Charles Puech TV0083 - Biblioteca comunale - Possagno - TV Klimkeit, Hans-Joachim, Die Begegnung von Christentum, Gnosis und Buddhismus an der Seidenstrasze / Hans-Joachim Klimkeit, Opladen: Westdeutscher Verlag, c1986, Vortrage / Rheinisch-Westfalische Akademie derWissenschaften. Geisteswissenschaften F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 27 Lieu, Samuel N. C., Manichaeism in the later Roman empire and medieval China: a historical survey / Samuel N. C. Lieu; with a foreword by Mary Boyce, Manchester: Manchester university press, c1985 Codex Manichaicus Coloniensis: atti del Simposio internazionale: Rende-Amantea, 3-7 settembre 1984 / a cura di Luigi Cirillo; con la collaborazione di Amneris Roselli, Cosenza: Marra, 1986, Studi e ricerche Note Generali: In cop.: Universita degli studi della Calabria, Centro interdipartimentale di scienze religiose. Tardieu, Michel, Il manicheismo / Michel Tardieu; traduzione italiana, introduzione critica e bibliografia a cura di Giulia Sfameni Gasparro, Cosenza: L. Giordano, 1988 Merkelbach, Reinhold, Mani und sein Religionssystem / Reinhold Merkelbach, Opladen: Westdeutscher Verlag, c1986, Vortrage / Rheinisch-Westfalische Akademie derWissenschaften. Geisteswissenschaften Ries, Julien, Les etudes manicheennes: des controverses de la reforme aux decouvertes du 20. siecle / Julien Ries, Louvain: Centre d'histoire des religions, 1988, Collection Cerfaux-Lefort Manselli, Raoul, L' eresia del male / Raoul Manselli Edizione: 2. ed. riv. ed ampliata, Napoli: Morano, [1980], Collana di storia Klimkeit, Hans-Joachim, Manichaean art and calligraphy / by Hans-Joachim Klimkeit, Leiden: E. J. Brill, 1982, Iconography of religions. Sect. 20,Manichaeism Doresse, Jean, 8: Gnosticismo e manicheismo / Jean Doresse, Kurt Rudolph, Henri-Charles Puech; [a cura di Henri-Charles Puech], Roma; Bari, 1977, Universale Laterza Der Manichaismus / herausgegeben von Geo Widengren, Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1977, Wege der Forschung Arnold-Doben, Victoria, Die Bildersprache des Manichaismus / dargestellt von Victoria Arnold-Doben Edizione: Als Ms. veroff, [Bonn]: Religionswissenschaftliches Seminar der Universitat Bonn, 1978, Arbeitsmaterialien zur Religionsgeschichte =Materials for the study of the history ofreligions Boyce, Mary, A reader in Manichaean Middle Persian and Parthian: textes with notes / by Mary Boyce, Leiden: E.J. Brill, 1975, Acta Iranica: encyclopedie permanente desetudes iraniennes Acta Iranica. 3. ser., Textes et memoires Widengren, Geo, Il Manicheismo / Geo Widegren; traduzione di Quirino Maffi ed Enrichetta Luppis, Milano: Il saggiatore, 1964, Il portolano Manselli, Raoul, L' eresia del male / Raoul Manselli, Napoli: A. Morano, [1963], Collana di storia Escher Di Stefano, Anna, Il manicheismo in S. Agostino / Anna Escher Di Stefano, Padova: Cedam, 1960, Pubblicazioni dell'Istituto universitario dimagistero di Catania. Serie filosofica. Saggie monografie Conte 523 Manicheismo Encarta 1 INTRODUZIONE Manicheismo Antica religione fondata nel III secolo dal persiano Mani (216 ca. - 276 ca. d.C.). Per alcuni secoli ebbe una vasta diffusione e fu tenacemente avversata dai principali teologi cristiani. 2 DOTTRINE Mani si proclamava l'ultimo profeta di una serie che comprendeva Zoroastro, Buddha e Gesù, le cui rivelazioni parziali si completavano nella sua dottrina. Oltre all'influenza dello zoroastrismo e del cristianesimo, il manicheismo rivela una chiara matrice gnostica. L'universo manicheo si suddivide in due regni rivali, quello della Luce (Spirito), governato da Dio, e quello delle Tenebre (Materia), governato da Satana: in origine separati, i due regni si trovarono coinvolti in perpetua lotta dopo che, per una catastrofe primordiale, il regno delle Tenebre invase quello della Luce. La stirpe umana è il risultato di questa lotta, espressa dalla contrapposizione dualistica tra un corpo materiale e F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 28 un'anima spirituale; l'umanità dovrà redimersi mediante la conoscenza del regno della Luce rivelato dal succedersi dei messaggeri divini, da Buddha a Cristo fino a Mani: con tale conoscenza l'anima può dominare i desideri carnali e ascendere al regno divino. I manichei si dividevano in due gruppi secondo il grado di perfezione spirituale: gli "eletti", vegetariani, astemi e tenuti al celibato, si dedicavano esclusivamente alla predicazione, e potevano sperare nell'ascesa al regno della Luce dopo la morte, mentre agli "uditori" era consentito il matrimonio, era prescritto di celebrare una festa settimanale e di servire gli eletti in cambio della possibilità di rinascere come membri della classe superiore. Alla fine dei tempi tutti i frammenti di Luce divina sarebbero stati redenti, il mondo distrutto, e i due regni separati per l'eternità. 3 ESPANSIONE E INFLUENZA Per circa un secolo dopo la morte di Mani il manicheismo si diffuse dall'impero romano fino in Africa settentrionale e in Cina: tra i suoi adepti, prima della conversione al cristianesimo, figurò sant'Agostino. Benché in Occidente fosse già scomparso come religione autonoma nei primi secoli del Medioevo, l'influsso di elementi del manicheismo si può notare nelle eresie dualistiche di albigesi e bogomili; molte convinzioni della fede gnostico-manichea sopravvivono anche in alcuni movimenti moderni, come la teosofia e l'antroposofia. 4 TESTI A Mani sono attribuiti numerosi testi sacri in lingua iraniana, dei quali furono ritrovati alcuni frammenti nel Turkestan cinese e in Egitto all'inizio del XX secolo, assieme a inni, catechismi e altri testi scritti dai suoi seguaci; utili per ricostruire le dottrine manichee sono anche le opere di sant'Agostino e di altri scrittori cristiani oppositori del manicheismo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 29 L'eresia donatista Per tutto il IV secolo fu una delle eresie più pervicaci da combattere, soprattutto nella sua terra d'origine, l'Africa dove si sviluppò come naturale conseguenza delle persecuzioni di Diocleziano. A Cartagine, in particolare, si riteneva che il comportamento di alcuni cristiani e dello stesso vescovo Mensurio di fronte a queste fosse stato proditorio e privo di coraggio. Alla morte di Mensurio venne eletto in gran fretta come vescovo il diacono Ceciliano, ritenuto tuttavia un elemento troppo moderato, soprattutto dalla chiesa di Numidia. A Ceciliano fu quindi contrapposto nel 312 un antivescovo, Maggiorino, alla cui morte, nel corso dello stesso anno, venne eletto da 70 vescovi della Numidia un altro antivescovo, Donato appunto, che però venne sconfessato da due concili (Roma e Arles). Nonostante questo i Donatisti non si piegarono, anche quando Costantino impiegò contro di loro la forza e condannò all’esilio i capi. Questi poterono tornare in patria solo con un editto di tolleranza nel 321 e Donato approfittò del fatto per riorganizzare le fila, anche contando sulla debolezza della chiesa cattolica locale. Dopo un periodo di relativa tolleranza, i Romani arrivarono a una decisa persecuzione nel 347 con l'imperatore Costante. Donato e gli altri capi furono nuovamente esiliati, fino a quando un nuovo editto imperiale di Giuliano, nel 362, li autorizzò a ritornare. Sotto la guida di Parmeniano, successore di Donato, essi si riorganizzarono rapidamente a danno della chiesa cattolica, nonostante proprio a quel periodo risalgano le maggiori discordie interne e le più significative scissioni tra le fila stesse dei donatisti. Dal 393 Agostino intervenne con decisione nella questione; a fronte di una notevolissima diffusione dell'eresia in Africa, si ebbe da parte imperiale, soprattutto con Onorio, una dura reazione che si manifestò prima relative leggi sanzionatorie (405) poi con numerose esecuzioni capitali. Con il 411, a seguito di un confronto tra chiesa ortodossa e donatista indetto da Onorio sotto il giudizio di un pubblico funzionario, l'eresia fu ufficialmente condannata e vennero stabilite pene severissime per i suoi adepti (412), molti dei quali piuttosto di abiurare si tolsero la vita. Gli ultimi gruppi donatisti sopravvissero fino all'arrivo dei Vandali (degli Arabi, secondo altri). Donato richiedeva ai Cristiani una rigorosa disciplina e una perfezione spirituale, riservando di fatto la religione cristiana a una serie di puri e di eletti e negandone quindi la vocazione universale cattolica. Ma il donatismo si connotò chiaramente fin da subito anche di caratteri di rivolta nazionale sociale e antiromana con episodi di violenza contro i ricchi e contro il clero, perpetrati in molti casi da una setta nota come circoncellioni. Benchè i donatisti abbiano composto diverse opere di diffusione delle loro tesi, le fonti scritte di parte donatista giunte fino a noi sono relativamente poche e molte informazioni vanno cercate nelle opere di polemica o comunque di ispirazione antidonatista, in particolare quelle di S. Agostino e di Ottato di Milevi. Tra gli autori donatisti vanno ricordati Parmeniano, Petiliano e Ticonio. Testi e testimonianze August., de haeres., 69 [Migne] [0043] LXIX. DONATIANI vel Donatistae sunt, qui primum propter ordinatum contra suam voluntatem Caecilianum Ecclesiae Carthaginensis episcopum schisma fecerunt: objicientes ei crimina non probata, et maxime quod a traditoribus divinarum Scripturarum fuerit ordinatus. Sed post causam cum eo dictam atque finitam falsitatis rei deprehensi, pertinaci dissensione firmata, in haeresim schisma verterunt: tanquam Ecclesia Christi propter crimina Caeciliani, seu vera, seu quod magis judicibus apparuit, falsa, de toto terrarum orbe perierit, ubi futura promissa est, atque in Africana Donati parte remanserit, in aliis terrarum partibus quasi contagione communionis exstincta. Audent etiam rebaptizare Catholicos: ubi se amplius F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 30 haereticos esse firmarunt, cum Ecclesiae catholicae universae placuerit, nec in ipsis haereticis Baptisma commune rescindere. Hujus haeresis principem accipimus fuisse Donatum, qui de Numidia veniens, et contra Caecilianum christianam dividens plebem, adjunctis sibi ejusdem factionis episcopis, Majorinum apud Carthaginem ordinavit episcopum. Cui Majorino Donatus alius in eadem divisione successit, qui eloquentia sua sic confirmavit hanc haeresim, ut multi existiment propter ipsum potius eos Donatistas vocari. Exstant scripta ejus, ubi apparet eum etiam non catholicam de Trinitate habuisse sententiam, sed quamvis ejusdem substantiae, minorem tamen Patre Filium, et minorem Filio putasse Spiritum sanctum. Verum in hunc, quem de Trinitate habuit, ejus errorem Donatistarum multitudo intenta non fuit; nec facile in eis quisquam, qui hoc illum sensisse noverit, invenitur. Isti haeretici in urbe Roma Montenses vocantur, quibus hinc ex Africa solent episcopum mittere: aut hinc illuc Afri episcopi eorum pergere, si forte ibi eum ordinare placuisset. Ad hanc haeresim in Africa et illi pertinent, qui appellantur Circumcelliones, genus hominum agreste et famosissimae audaciae, non solum in alios immania facinora perpetrando, sed nec sibi eadem insana feritate parcendo. Nam per mortes varias maximeque praecipitiorum et aquarum et ignium se ipsos necare consuerunt; et in istum furorem alios quos potuerint sexus utriusque seducere, aliquando ut occidantur ab aliis, mortem, nisi fecerint, comminantes. Verumtamen plerisque Donatistarum displicent tales, nec eorum communione contaminari se putant, qui christiano orbi terrarum dementer objiciunt ignotorum crimen Afrorum. Multa et inter ipsos facta sunt schismata, et ab iis se diversis coetibus alii atque alii separarunt; quorum separationem caetera grandis multitudo non sensit. Sed apud Carthaginem Maximianus contra Primianum ab ejusdem erroris centum ferme episcopis ordinatus, et a reliquis trecentis decem, cum eis duodecim qui ordinationi ejus etiam praesentia corporali interfuerunt, atrocissima criminatione damnatus, compulit eos nosse etiam extra Ecclesiam dari posse Baptismum Christi. Nam quosdam ex eis cum [0044] eis quos extra eorum Ecclesiam baptizaverant, in suis honoribus sine ulla in quoquam repetitione Baptismatis receperunt, nec eos ut corrigerent per publicas potestates agere destiterunt, nec eorum criminibus per sui Concilii sententiam vehementer exaggeratis communionem suam contaminare timuerunt. 69. 1. I Donaziani o, meglio, Donatisti sono coloro, che hanno fatto, in un primo tempo, scisma a causa di Ceciliano, il quale venne ordinato vescovo della Chiesa di Cartagine contro la loro volontà (77), accusandolo di crimini non dimostrati e, soprattutto, di essere stato ordinato da traditores delle sacre Scritture. Ma dopo che la causa, a lui fatta, fu discussa e conclusa, e fu palese che essi erano colpevoli di falso (78), si rafforzò il loro caparbio dissenso, ed essi mutarono il loro scisma in eresia, ritenendo che la Chiesa di Cristo, in conseguenza dei crimini di Ceciliano, siano essi veri, o siano falsi, cosa, quest'ultima, che apparve piú evidente ai giudici, era andata distrutta in tutta la terra, dove, invece, secondo la promessa divina, la Chiesa è destinata a rimanere; e pertanto essa sarebbe rimasta nella fazione di Donato, che è in Africa, essendosi estinta nelle altre parti della terra, per essere stata contagiata dalla comunione [con Ceciliano]. Hanno, inoltre, l'ardire, di ribattezzare i Cattolici (79), e con ciò hanno dato una maggiore conferma di essere eretici, dal momento che l'intera Chiesa cattolica ha definito di non annullare la comunione di battesimo, neppure nel caso degli eretici. 69. 2. Dai documenti pervenutici sappiamo che l'iniziatore di questa eresia è stato Donato. Costui, venuto dalla Numidia, creò una divisione tra i fedeli di Cristo nei riguardi di Ceciliano, e, aggregati a sé alcuni vescovi del suo stesso partito, ordinò vescovo di Cartagine Maiorino. Successore di questo Maiorino fu un altro Donato (80), sempre della stessa fazione. Codesto con la sua eloquenza rafforzò tanto questa eresia, che molti credono che codesti eretici si chiamino Donatisti a causa di lui. Ci restano i suoi scritti, nei quali risulta che egli anche sulla Trinità non ha avuto una concezione cattolica, ma ha ritenuto il Figlio minore rispetto al Padre, e lo Spirito Santo minore rispetto al Figlio, benché della medesima sostanza. Tuttavia, la folla dei Donatisti non ha posto attenzione a questo suo errore riguardante la Trinità, né tra di loro si trova facilmente alcuno che sappia di questa sua professione [di fede] (81). 69. 3. Nella città di Roma codesti eretici sono chiamati Montenses: ad essi dalla nostra Africa [i Donatisti] sono soliti mandare il vescovo; oppure i vescovi donatisti africani partono da qui alla volta di Roma, nel caso che abbiano deciso di ordinarne uno là (82). 69. 4. In Africa fanno parte di questa eresia anche coloro che vengono chiamati Circoncellioni (83), una razza di uomini rozza e di una violenza assai malfamata, poiché non solo perpetrano immani delitti sugli estranei, ma non hanno riguardo neppure di se stessi in questa loro pazza ferinità. Infatti sono soliti suicidarsi con vari generi di morte, e soprattutto gettandosi in un precipizio, nell'acqua e nel fuoco; parimenti a commettere tale folle gesto cercano di indurre quante persone possono dell'uno e dell'altro sesso, e per farsi uccidere dagli altri, minacciano a questi, talvolta, perfino la morte, se non vogliono farlo. Ma tali persone sono sgradite alla maggioranza dei Donatisti, i quali però non si sentono contaminati dalla loro comunione, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 31 anzi, nella loro demenza, rinfacciano all'intero mondo cristiano un crimine, commesso da Africani sconosciuti. 69. 5. Anche tra costoro si sono avuti molti scismi (84); da loro si sono separati altri e poi altri, cosí da formare gruppi diversi, tuttavia del loro distacco non si sono accorti i Donatisti rimasti. Però l'ordinazione, avvenuta a Cartagine, di Massimiano in contrapposizione a Primiano, fatta da circa cento vescovi, seguaci del suo stesso errore, e la sua condanna, in base a terribili incriminazioni, pronunziata dai rimanenti trecentodieci [vescovi], ed estesa ai dodici che avevano partecipato all'ordinazione di lui anche con la loro presenza fisica, li costrinse a sapere che anche al di fuori della Chiesa c'è la nossibilità di dare il battesimo di Cristo. Infatti hanno accolto [nella loro comunione] alcuni di questi scismatici e con quelli anche le persone che essi avevano battezzato, mentre erano fuori della chiesa donatista, conservando a ciascuno i grandi senza affatto ripetere il battesimo su alcuno. Neppure hanno desistito dall'intentare contro di loro cause, affine di farli ravvedere, ricorrendo alle pubbliche autorità; né, inoltre, hanno temuto di contaminare la loro comunione per effetto dei crimini di quelli, crimini oltremodo gonfiati dalla sentenza pronunciata dal loro concilio. (77) Ceciliano venne eletto vescovo di Cartagine (311) dopo la morte di Mensurio. Questi era stato vescovo al tempo della persecuzione di Diocleziano del 303 e all'invito da parte imperiale a consegnare gli scritti sa cri, aveva risposto fornendo, al posto di quelli, altri scritti: eretici. Assieme a Ceciliano aveva inoltre combattuto la tendenza ad onorare senza accertamento alcuno i molti presunti martiri. Molti erano scontenti del suo operato, ma fino all'elevazione di Ceciliano a vescovo non si giunse ad uno scontro aperto tra le due fazioni. I nemici di Ceciliano, con l'aiuto dei vescovi della Numidia, al Concilio di Cartagine (312), lo deposero e fecero vescovo Maggiorino. Per le fonti agostiniane ci sono tutte le opere antidonatiste, che la NBA ha riunite e pubblicate insieme nella raccolta Polemica con i Donatisti. Sulla stessa eresia cf. FIL., Div. her. (CSEL 38, 45, 46), Optatus, Libri VII ovvero De schismate Donatistarum adversus Parmeniamm (CSEL 51, 3-15). (78) Nel 312 uscí l'editto di tolleranza che, in Africa, venne applicato alla Chiesa guidata da Ceciliano. I Donatisti si appellarono all'Imperatore: il caso venne affrontato a Roma: nel 313 Ceciliano venne ritenuto non colpevole di traditio (ovvero di aver consegnato le sacre Scritture). La stessa sentenza venne pronunciata di nuovo a Milano nel 316. (79) Sulla dottrina manichea vedere le varie introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nella raccolta Polemica con i Manichei (cf. sopra, 38). (80) Si tratterebbe di Donato di Casae Nigrae contrapposto a Donato I Grande. Recentemente è stato posto in dubbio che si tratti di due persone distinte, soprattutto perché quando compare sulla scena il secondo il primo scompare del tutto. Inoltre non vi sono documenti in merito anteriori al Concilio di Cartagine del 411. Agostino accetta la distinzione, seppure con riserva (Retract. 1, 213), e da quel momento essa diventa tradizionale. (81) Che però professassero questa dottrina è confermato da Girolamo, Vir. ill. 93 (PL 23, 696). Forse, sostiene Mueller, Donato perseguiva soltanto lo scopo di allearsi agli Ariani del Nordafrica. (82) Donato fece fare vescovo di Roma (nel 320 circa) Vittore di Garba. II gruppuscolo dei Donatisti veniva chiamato dei Montesi, dal luogo in cui si riunivano, in una grotta fuori città. Mantennero un vescovo a Roma fino al concilio del 411: una procedura particolare valida solo per Roma. (83) Si tratta di gruppi ribelli che vivevano in Africa depredando i contadini: il loro nome deriva dalla circostanza che usavano vagabondare attorno alle case dei contadini (circurn cellas). A guidarli, spesso, c'erano vescovi donatisti. Chi moriva combattendo veniva onorato come martire. Optato (3, 4: CSEL 26, 81-85) sostiene che simulassero anche il martirio uccidendosi. Cf. anche FiLASTRIO, Haer. 85 (CSEL 38, 46) e TEODORETO, Haer. fab. 4, 6 (PL 83, 424). (84) Verso la fine del quarto secolo i Donatisti cominciarono a dividersi in varie fazioni. Ticonio pubblicò tra il 370 e il 375 due scritti (De bello intestino e Expositiones diversarum causarum) in cui presentava una accesa critica del donastismo e delle tesi donatiste. Rifiutò però di rientrare in seno alla Chiesa di Roma e fondò a sua volta una setta. Rogato, vescovo di Cartennae, in Mauritania, ruppe con i Donatisti nel 370 perché disapprovava la loro tolleranza della violenza. Attorno al 380 vi furono altri numerosi scismi interni: gli Urbanesi in Numidia, gli Arzugi in Tripolitania, i Claudianisti a Cartagine. Questi ultimi erano i seguaci di Claudio, capo della comunità donatista di Roma che, esiliato dall'Italia, prese a tramare contro i Parmeniani a Cartagine. Quando nel 392 Parmeniano morí, prese il suo posto Primiano che, arbitrariamente, scomunicò quato diaconi. Si formò una vasta opposizione: si chiese il giudizio di un vescovo donatista, ma Primiano non accettò la sua autorità. Oltre 100 vescovi donastisti si riunirono nel 393 e lo scomunicarono. Nuovo vescovo venne eletto Massimiano: da quel momento a Cartagine si trovano due aggruppamenti di Donatisti. Trad. e nota M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV. Bibliografia F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 32 Actes de la conférence de Carthage en 411, ed. S.Lancel, Paris, 1972, SCh 104-105 I, Introduction générale par Serge Lancel, 1972 collaboration(s) : Adeotdatus de Milev Alypius de Thagaste Augustin d'Hippone Aurèle de Carthage Emeritus de Caesarea Fortunantianus de Sicca Gaudentius de Thamugadi Serge Lancel Flavius Marcellinus Montanus de Zama Novatus de Sitifis Petilianus de Constantine Primianus de Carthage En mai 411, près de six cents évêques, pour motié catholiques, pour motié donatistes, s’affrontèrent physiquement à la Conférence de Carthage sous la présidence d’un représentant impérial. Les actes de 411 sont une mosaïque de pièces d’origines diverses qui furent jointes aux procès-verbaux sténographiés. Actes de la Conférence de Carthage en 411, IV Addimentum criticum, notices sur les sièges et les toponymes, notes complémentaires et index par S. Lancel , 1991, SCh 373. Il testo latino del precedente corrisponde a CCL 149A, Turnhout 1974. Studi. P. Monceaux, Histoire littéraire de L'afrique Chretienne, 4-6, Paris 191. Maier, J. L., Le dossier du donatisme, Berlin: Akademie-Verlag, 1987-1989, Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur Pincherle, A., Il donatismo, Roma, Ediz. Ricerche, ????, Corsi universitari Frend, W. H. C., The Donatist Church: a movement of protest in Roman North Africa, Oxford, Clarendon Press, 1952, Oxford scholarly classics. Agostino di Ippona, Polemica con i donatisti. In Opere polemiche di S. AgostinoVoll. 15 e 16 Vol. 15/1 Comprende: Salmo abecedario, Contro la lettera di Parmeniano, Sul battesimo: testo latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum; intr. R. A. Markus; trad. e note A. Lombardi , Roma, Citta Nuova, 1998. Vol. 15.2: Contro le lettere di Petiliano; Lettera ai cattolici sulla setta dei Donatisti, intr., trad. e note A. Lombardi; indici di Franco Monteverde Vol. 16.1: Contro Cresconio grammatico donatista; Unicità del battesimo; Contro Petiliano, intr., trad. e note E. Cavallari; indici di Franco Monteverde Vol. 16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti; Ai Donatisti dopo la conferenza; Discorso ai fedeli della chiesa di Cesarea; Atti del confronto con Emerito; Contro Gaudenzio; intr., trad. e notedi E. Cavallari; indici di FrancoMonteverde W.H.C. Frend e E. Romero Pose, s.v. Donatismo, in Dizionario Patristico e delle antichità cristiane, 1, col. 1014-26. DONATISMO I. Origini e storia - II. Dottrina - III. Un movimento di protesta - IV. Nelle regioni extra africane. Scisma che colpì la chiesa nell'Africa del nord nel IV sec. e all'inizio del V sec., che perdurò tuttavia almeno fino al volgere del VII sec. e fu il riflesso di divisioni tanto sociali ed economiche che religiose tra i cristiani nordafricani. Confutando i donatisti, Agostino elaborò la sua teologia della chiesa e dei suoi sacramenti e anche le sue idee sulla coercizione dei dissenzienti religiosi da parte dello stato. I. Origini e storia. La causa immediata dello scisma si collega agli eventi dell'Africa del nord durante la «grande» persecuzione del 303-305. Molti membri del clero, vescovi inclusi, obbedirono alle autorità e consegnarono i libri delle Scritture. Agli occhi di quanti avevano resistito, essi furono considerati traditores, «traditori» e apostati, indegni della condizione clericale. La persecuzione in Africa del nord fu breve ma violenta (Euseb., HE VIII, 6,10), costò la vita a «molti martiri» e quando essa si concluse agli inizi della primavera del 305, la gente ricordò l'ammirevole condotta dei confessori, particolarmente di quelli di Abitina (presso Membressa, nella Tunisia occidentale). Questi cristiani avevano continuato a radunarsi dopo la caduta del loro vescovo, erano stati arrestati e imprigionati a Cartagine. Sebbene in prigione, essi avevano F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 33 condannato solennemente i traditores e quanti ricevevano i sacramenti dai traditores. Questi, dichiaravano, non avrebbero avuto parte con loro al regno dei cieli (Acta Saturnini 18: PL 8,701). Di più, l'arcidiacono di Cartagine, Ceciliano, fu accusato di avere brutalmente impedito ai cristiani di portare cibo ai confessori prigionieri (ibidem, c. 17). Nel 311-12 morì Mensurio, vescovo di Cartagine, e Ceciliano fu eletto al suo posto (Ott., De schismate donatistarum I, 18: CSEL 26,20). L'opposizione fu immediata: anche se in essa vi era della faziosità (Ott., ibidem, 18); Ceciliano era stato evidentemente consacrato in gran fretta, in particolare senza la presenza dei vescovi di Numidia, il cui primate aveva ottenuto il privilegio di consacrare ogni nuovo vescovo di Cartagine (cfr. Agost., Psalmus contra partem Donati 11,44-46: PL 43,26); per di più, uno dei vescovi consacranti di Ceciliano, Felice di Apthungi, era sospettato di essere un traditor. Nel 312, dopo l'assassinio dell'interventor (amministratore temporaneo) che aveva nominato per la sede di Cartagine (Agost., Ep. 44,4,8), il primate di Numidia, Secondo di Tigisis, riunì un concilio di 70 vescovi e dichiarò deposto Ceciliano (Ott., I,19; Agost., Ad catholicos Epist. 18,46: CSEL 52,291; Anon., Contra Fulgentium donatistam 26: PL 43,774 e CSEL 53,309). Un lettore, di nome Maiorino, cappellano di Lucilla, ricca matrona spagnola che Ceciliano aveva una volta offeso (Ott., I, 19), venne eletto al suo posto. «Un altare fu eretto contro l'altro» (Ott., I, 15 e 19) e Costantino dovette affrontare questa situazione nel tardo autunno del 312 quando l'Africa del nord gli si consegnò senza colpo ferire. Forse per suggerimento del suo consigliere, il vescovo Ossio di Cordova (Agost., Contra Ep. Parmeniani I, 4,6 e 5,10), Costantino sostenne fin dal principio Ceciliano e minacciò di punizione i suoi oppositori (Euseb., HE. X, 6; von Soden, Urkunden, 8). Quando tuttavia l'imperatore mostrò l'intenzione di liberare il clero in comunione con Ceciliano dai gravami finanziari municipali (munera; Euseb., HE. X, 7; von Soden, Urkunden, 9), i suoi avversari si appellarono a lui (15 aprile 313) perché lasciasse ai vescovi di Gallia, che non erano stati colpiti dalla persecuzione, di giudicare la questione (Ott., I, 22: Agost., Ep. 88,2: CSEL 24,2, p. 408, e von Soden, Urkunden, 11). Non molto dopo Maiorino morì e gli successe il molto più formidabile Donato di Casa Nigrae (Gesta apud Zenophilum 1; Ott., De schismate, app. 1: CSEL 26,185). Costantino delegò il caso al vescovo Milziade di Roma, anch'egli africano, il cui concilio del 2-5 ottobre 313 si pronunciò a favore di Ceciliano (Ott., I, 23-24). Il 1 agosto 314 un più ampio concilio riunito per ordine dell'imperatore ad Arles assolse ugualmente Ceciliano e manifestò orrore per gli atteggiamenti violenti degli avversari (Ott., app. 4; von Soden, Urkunden, 1G). II 15 febbraio 315 anche Felice di Apthungi fu assolto formalmente dall'accusa di traditio, nel corso di un'udienza a Cartagine davanti al proconsole Eliano (Acta Purgationis Felicis: Ott., app. 2; von Soden, Urkunden, 19; cfr. Agost., Ep. 88,4 e Contra Cresconium III, 70,81). Dopo un altro appello di Costantino e un riesame dell'intero caso, lo stesso imperatore diede un giudizio definitivo in favore di Ceciliano il 10 novembre 316 (C. Cresconium III, 56,67 e 71,82. Per la sequenza degli avvenimenti, cfr. Frend, The Donatist Church, pp. 141-159). Dopo questo, Costantino promulgò «una legge severissima» contro i donatisti (Agost., Ep. 105,2,9; cfr. von Soden, Urkunden, 26). Ci furono attacchi contro le assemblee donatiste a Cartagine (cfr. Passio Donati: PL 8,753 ss.). Nel dicembre 320 la causa donatista si trovò in una posizione potenzialmente ancora più difficile quando Nundinario, uno dei diaconi della chiesa di Costanti nopoli-Cirta, capitale della Numidia, accusò il proprio vescovo Silvano e altri capi donatisti della Numidia di essere essi stessi traditores e colpevoli di altri gravi delitti (Gesta apud Zenophilum: Ott., app. 1; cfr. von Soden, Urkunden, 28). II caso, sottoposto a Zenofilo, consularis di Numidia, fu provato, ma apparentemente i donatisti non ne furono svantaggiati e nel maggio 321 Costantino desistette dai suoi tentativi di coercizione (Euseb., Vita Constarztirzi I, 45; Agost., Ad Donat. post Collat. 31,54 e 33,56; von Soden, Urkunden, 30). Nel resto del regno di Costantino, i donatisti guadagnarono terreno. Nel febbraio 330 rilevarono la principale chiesa di Costantina (Ott., app. 10: CT XVI, 2,7) e nel 336 Donato radunò a Cartagine un concilio di 270 vescovi (Agost., Ep. 93,43). Nello stesso tempo, Girolamo ammette (De vir. ill. 93: PL 23,734) che Donato aveva fatto sua la religione di «quasi tutta l'Africa». La situazione si mantenne così per i successivi sessanta anni. Nonostante l'esilio di Donato nel 347, la severa repressione dei donatisti ad opera dei commissari imperiali Paolo e Macario e la conseguente influenza cattolica dal 347 al 361 (Ott., III, 3 e 12; VII, 6; cfr. Frend, op. cit., pp. 176-187), l'appoggio per i donatisti difficilmente vacillò. I capi donatisti tornarono trionfalmente sotto Giuliano (Ott., II, 1G-18). Parmeniano, successore di Donato, provvide a un governo fermo e assicurò la stabilità della chiesa donatista. Alla sua morte nel 391-2, però, scoppiò uno scisma maggiore. II suo successore, Primiano, era un uomo rozzo e ignorante, che rappresentava i numidi e gli elementi più estremisti della chiesa, mentre il suo avversario, Massimiano, era un parente di Donato e rifletteva le opinioni più moderate dei donatisti dell'Africa proconsolare e della Bizacena. Il vantaggio fu inizialmente dei massimianisti e 100 vescovi, principalmente della Bizacena, condannarono Primiano per varie infrazioni disciplinari, nel concilio di Cebarsussa (24 giugno 393; Agost., Ep. 43,9,26 e Enarr. 2 in Ps. 36 19-20; cfr. Frend, op. cit., pp. 213-220). Ma fu al concilio di Bagai, nella Numidia del sud (24 aprile 394), cui presero parte 310 vescovi primianisti, che lo scisma fu consumato (Agost., C. Cresconium III, 56,62 e IV, 4,5; 7,9). Nei successivi tre anni, i sostenitori di Primiano vinsero una serie di processi contro i massimianisti e furono allo stesso tempo in grado di ridurre a nulla la legislazione antieretica da parte di Teodosio (C. Cresconiuna III, 56,62; IV, 47,57; 48,58) che avrebbe potuto essere applicata contro di loro. Nonostante lo scisma massimianista, il 390 vide la chiesa donatista al culmine della sua potenza e prosperità. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 34 Il sostegno di alcuni donatisti, quali il vescovo Ottato di Thamugadi (Timgad), alla rivolta di Gildone, nel 393, offrì ai cattolici un'occasione unica per rovesciare le posizioni nei confronti degli avversari. In Aurelio, vescovo di Cartagine, ebbero un abile organizzatore e un capo che rafforzò la disciplina della chiesa e ne aumentò la sicurezza mediante i concili annualmente radunati a Cartagine. In s. Agostino, vescovo di Ippona, trovarono un pastore e teologo capace di avere la meglio nel dibattito con i donatisti. Dall'estate del 403, i cattolici si sentirono sufficientemente forti per costringere gli avversari a prendere parte a una conferenza intesa a decidere quali dei due partiti avesse la pretesa più valida di essere la chiesa «cattolica» nell'Africa del nord (per il testo, cfr. PL 11, 1200-1201 e , per la discussione, cfr. P. Monceaux, Histoire littéraire de I'Afrique chrétienne, IV, pp. 263-264 e S. Lancel, Actes de la Conférence de Car-thage, I, pp. 1416). Primiano rifiutò, ma l'anno successivo i cattolici riuscirono a richiamarsi alla legislazione antieretica contro i donatisti e, tra i1 12 febbraio e il 5 marzo 405, l'imperatore Onorio inviò in Africa editti e decreta supplementari intesi a mettere al bando la chiesa donatista e a confiscarne le proprietà (CT XVI, 5,37 e 38; 6,3-4 e 5). Nei sei anni successivi í donatistí persero terreno, specialmente tra i ceti più abbienti, che trovarono prudente uniformarsi ai voleri dell'imperatore (cfr. P. Brown, Augustinus of Hippo, pp. 240-241, l'esempio di Celere). Quando, nel maggio 411, la conferenza di Cartagine ebbe luogo sotto la presidenza del rappresentante imperiale, il tribuno e notaio Marcellino, i donatisti potevano ancora radunare 285 vescovi, uno solo in meno rispetto agli avversari (cfr. S. Lancel, op. cit., I, pp. 117-118). I cattolici uscirono tuttavia vittoriosi e il donatismo fu di nuovo bandito con un editto (CT XVI, 5,52: 30 genn. 412), questa volta con efficacia maggiore. Per quanto una trentina di vescovi numidi riuscissero a riunirsi in concilio a Círta, verso il 414 (Agost., C, Gaudentiaem I, 37,47) e il vescovo Gaudenzio di Thamugadi rifiutasse di consegnare la propria cattedrale alle autorità nel 420/21 (Agost., C. Gaudentium), i cattolici erano evidentemente in ascesa. Parecchie comunità donatiste si riunirono ad essi (Ibidem I, 12,13). L'ultima iscrizione donatista datata conosciuta viene dalla città di presidio di Ala Milaria (Benian) in Mauretania, ma commemora la costruzione di una chiesa tra il 434 e il 439 in onore di una martire donatista, la sanctimonialis Robba, e che conteneva i corpi di membri del clero donatista (CIL VIII, 21570-4; cfr. S. Gsell, Les fouilles de Benian, Alger 1901). A prescindere dalle edizioni finali del Liber Genealogus, datate tra il 455 e 463 (MGH AA, IX, 196; cfr. P. Monceaux, Histoire littéraire, IV, 102 e VI, 247-248), l'occupazione dei Vandali e la restaurazione bizantina forniscono solo poche notizie solide sui donatisti In Numidia (p. es. ad Ain Fakroun: CIL VIII 18742) sono state trovate comunque iscrizioni di tipo donatista di epoca bizantina, e vi sono chiese rurali nella provincia che mostrano tracce di occupazione ininterrotta tra IV e VI sec. Il donatismo rinnovò inaspettatamente il suo vigore nella Numidia del sud durante il pontificato di Gregorio I (Greg., Epp. I, 33; III, 32; IV, 35; VI, 34): ciò non era in complesso sorprendente, ma le cause restano oscure (sulla questione se vi fu una rinascita donatista in questo tempo, cfr. R.A. Markus, Donatism, the last phase: Studies in Churcb History, I, 1964, pp. 118-127). Nel VII sec. e all'epoca della invasione araba scende di nuovo l'oscurità. II. Dottrina. La discussione tra donatisti e cattolici verteva sulla natura della chiesa in quanto società e sulle relazioni col mondo e le sue istituzioni. I donatisti si consideravano gli autentici eredi della chiesa dell'Africa del nord quale era stata prima della grande persecuzione e, in particolare, quale era stata al tempo di Cipriano. Erano dunque conservatori nella loro liturgia, e celebravano l'agape, così come l'eucaristia, ignorando le nuove festività accettate dai cattolici, come l'Epifania (Agost., Sermo 202,2), opponendosi al monachesimo (Agost., C. litt. Petiliani III, 40,48 ed Enarr. in Ps. 132,3) e mantenendo la Bibbia africana mentre i cattolici usavano la Volgata. Essi rimanevano una fraternitas dedita a combattere il demonio e aspiravano al martirio come í loro progenitori prima della conversione di Costantino. Fin dall'inizio della sua storia, verso il 180, la chiesa dell'Africa del nord si era rallegrata dei martiri e del martirio e si vantava della sua compatta costituzione e del suo carattere esclusivista (cfr. Tertull., De spect. 1 e Apol. 50, 13, «comunità» = secta). «Noi siamo una società (corpus) con un comune sentimento religioso, una disciplina unitaria e un comune legame di speranze», proclamava Tertulliano (Apol. 39,1). Questa concezione della chiesa implicava il rifiuto completo della cultura greco-romana e della filosofia (De praesc. 7), l'accettazione della chiesa come dimora vivente dello Spirito santo e del martirio come la morte più gradita allo Spirito (De Fug. 5), in grado di cancellare l'impronta di ogni peccato post- battesimale (Apol. 50,16; De An. 55,5). Tertulliano sottolinea sempre la natura spirituale della chiesa (De Pud. 21) e l'esigenza di santità per i suoi membri, come anticipazione della fine imminente. I sacramenti, specie il battesimo, devono essere amministrati da «un ministro esente dal biasimo del peccato» (De Exhort. Cast. 10 e De Bapt. 15) e il contrassegno distintivo della chiesa stessa era la purezza e l'integrità (De Pud. 18, «nec habentem maculam aut rugam»). Con Cipriano, tra il 248 e i1258, queste stesse idee ricevettero un carattere istituzionale. Confessori e martiri meritavano la commemorazione da parte della chiesa, ma Cipriano considerava la maggior gloria (del martirio) appartenente al vescovo (Ep. 13, 1, ed. W. Hartel, CSEL 3,2, pp. 504-505). Solo la chiesa, rappresentata dai suoi vescovi, può rimettere i peccati. I confessori, per quanto illustri, non hanno tale diritto (Ep. 27,3) e il martirio volontario (cioè non regolato dalla chiesa) era disapprovato (Ep. 81). D'altro lato, Cipriano insisteva sull'integrità e purezza della chiesa. «Giardino chiuso» e «fontana sigillata» (Ep. 69,2; 74,11), arca di Noè: queste le principali immagini che aveva a disposizione nel1'AT per descrivere la natura F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 35 esclusivista della chiesa. Di più, nella sua disputa col papa Stefano nel 254-5G, Cipriano trovò i vescovi africani pronti a convenire in primo luogo che nessun prete in peccato mortale avrebbe potuto amministrare validamente un sacramento e che era dovere di una comunità separarsi da un prete peccatore, pena il rischio di una contaminazione nel peccato (Ep. G7,4); secondariamente, non ci poteva essere un battesimo valido amministrato fuori dalla chiesa e quanti ricevevano il battesimo da eretici o scismatici lo dovevano ricevere di nuovo al momento in cui entravano nella chiesa cattolica (Cipr., Epp. G9-74 e Sententiae episcoporum, passim). La dottrina donatista sulla chiesa combina aspetti tanto di Tertulliano che di Cipriano. I donatisti condividevano le opinioni di Cipriano sull'importanza assoluta dell'integrità della chiesa e si appellavano alla sua autorità a sostegno della loro teologia battesimale (Agost., De Baptismo I, 1, «de beatissimi martyris Cypriani auctoritate»: PL 43, 109). Alla conferenza di Cartagine del 411 il loro Mandatum (Coll. Carth. III, 258: SCh 224,1196) affermava: «... mostriamo piuttosto che nelle sacre Scritture la chiesa di Dio è proclamata dappertutto santa e immacolata» («...magis ostendimus Ecclesiam Domini in scripturis divinis sanctam et immaculatam fore ubique nuntiatam»). In primo luogo viene tuttavia l'integrità. Solo la chiesa pura dovrebbe essere proclamata all'esterno. Le chiese al di fuori dell'Africa, essendo in comunione con Cecilíano, avevano apostatato. Il cristianesimo rimaneva soltanto in Africa (Agost., Ad Cathol. Epist. 9,23). Seguendo Cipriano, Parmeniano affermava che la chiesa donatista era veramente il «giardino chiuso e la fontana sigillata» (hortum conclusum et fontem signatum: Ott., I, 10) e possedeva le doti (dotes) richieste (ibidem). Da ciò seguiva che solo i sacramenti amministrati da un «ministro santo» cioè un donatista, erano validi (Petiliano, citato da Agost., C. litt. Petiliani II, 2,4; 7,14: CSEL 52,24,25). Il battesimo ricevuto da qualcuno al di fuori della chiesa era come se fosse stato ricevuto «da un morto» (ibidem II, 7,14 e cfr. Cipr., Ep. 71,1). Di conseguenza, il battesimo e gli altri sacramenti dispensati dal clero traditor (cioè dai cattolici) erano invalidi e í cattolici che entravano nella chiesa donatista dovevano essere ribattezzati, una richiesta che suonava particolarmente scandalosa per Agostino. Similmente i donatisti accettavano da Cipriano una solida tradizione episcopale, dando grande autorità a quanto era insegnato dai loro vescovi («Quod volumus sanetum est», cit. da Agost., C. Ep. Parmeniani II, 13,30 e confermato da Crispino di Calama, che parla con «patriarchali sermone», Agost., C. Cresconium III, 4G,50). Parmeniano insegnava, come Cipriano, che il vescovo è intermediario tra il popolo cristiano e Dio (Agost., C. Ep. Parmen. II, 8,15: PL 43,59-GO). Nella concezione donatista, il vescovo era un uomo biblico, «che aveva sempre il vangelo sulle labbra e il martirio nel cuore» (Passio Marculi: PL 8, 7G2). Seguendo ancora Cipriano, la comunione con Roma era mantenuta attraverso una successione di «veri vescovi» (Ott., li, 4) che durò fino alla conferenza di Cartagine. Il vescovo donatísta di Roma, però, veniva per importanza dopo i primati di Cartagine e di Numidia. Finalmente, i donatisti rigettavano le eresie condannate in passato dalla chiesa. Da un altro importante punto di vista, tuttavia, la tradizione dottrinale donatista era radicata, a prima di Cipriano, nelle concezioni originali dei cristiani nordafricani. Come aveva fatto Tertulliano, consideravano la propria separazione dai cristiani lapsi e la persecuzione da parte dello stato come segni distintivi della rettitudine. Per citare di nuovo il Mandatum donatista del 411, essi affermavano anzitutto che si trattava di «vescovi della verità cattolica, che soffre persecuzione, non che perseguita» (Januarianus et caeteri, episcopi veritatis catbolicae quae persecutionem patitur, non quae facit: SCh 224,1194 = PL 11,1408 B). Essi non riconoscevano i «tempi cristiani» dovuti alla conversione degli imperatori al cristianesimo. Petiliano di Costantina, come Donato (Quid est imperatori cum ecclesia?»: Ott., III, p. 73), considera i magistrati secolari come irrevocabilmente ostili alla chiesa, e la chiesa donatista come quella che continua la tradizione del giusto sofferente che si può rintracciare fino all'epoca di Caino e Abele (Petiliano di Costantína, cit. da Agost., C. litt. Petiliani II, 92,202). II ruolo del popolo di Dio sofferente implicava l'ideale del martirio, compreso il martirio volontario, deprecato da Cipriano (Ep. 81). La cosa è chiara, come altre volte, in Petiliano: «Perciò io dico che egli (Cristo) ha ordinato che noi dobbiamo subire la morte per la fede che ciascuno deve mantenere per essere in comunione con la chiesa. II cristianesimo infatti progredisce grazie alla morte dei suoi seguaci» (Agost., C. litt. Petiliani II, 89,196; cfr. Tertull., ApoZ. 50,13, «II sangue dei cristiani è seme»). Nella Numidia rurale, le cappelle donatiste non mancavano di avere il corpo di un martire (vero o presunto) sotto l'altare e, vicinissimo, un vaso sigillato o un'urna contenente reliquie (cfr. per molti esempi, A. Berthier e al., Les Vestiges du Christianisme). Era la «successione dei martiri» che importava (Acta Saturnini 20: PL 8,703) e, come al tempo di Tertulliano, il martirio era accettato volentieri quale indicazione del continuo lavoro dello Spirito santo nella chiesa. «Nella nostra chiesa» affermava l'autore degli Acta Saturnini (c. 20) «le virtù del popolo sono moltiplicate dalla presenza dello Spirito. La gioia dello Spirito è vincere nei martiri e trionfare nei confessori» (cfr. Tertull., De Spect. 29, «ad tubam angeli erigere, ad martyrum palmas gloriare»). La liturgia donatista, pertanto, sembra aver lasciato spazio a canti estatici o entusiastici di lode così come alla celebrazione dell'eucaristia. «Lodate il Signore ed esaltatelo, o giusti, gloriamoci nel Signore e rallegriamoci»; questa iscrizione di una chiesa di Thamallula, in Mauretania, riassume la convinzione di molti donatisti ordinari nel IV sec. (S. Gsell, Bull. arch. du Comité des travaux historiques et archéologiques, 1908, p. CCXVI); «lode a Dio», Deo laudes, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 36 era la parola d'ordine e il grido di guerra dei donatisti, immediatamente riconoscibile come tale (Agost., Ep. 108,5,14; C. litt. Petiliani II, 65,146; 84,188; Enarr. in Ps. 132,61cfr. Monceaux, Histoire littéraire, IV, pp. 439443 e A. Berthier e al., op. cit., p. 77). Nel medesimo tempo i donatisti formarono laici intellettuali e ben preparati (cfr. Agost., Epp. 43 e 44), come Cresconio, al cui trattato in difesa di Petilíano Agostino dedicò quattro libri di risposta, e abili teologi come Vitellío Afer (Gennad., De Script. Eccles. 4: PL 59,1059) e Ticonio. Quest'ultimo sviluppò 1a dottrina secondo cui il popolo di Dio era stato diviso da tempo immemorabile in veri e falsi fratelli, e che Donato aveva giustamente insistito su questa separazione, in una maestosa teoria sulla stessa società umana. Le due chiese rappresentavano due tipi di umanità, definiti meno dalle obbedienze esteriori che dalle volontà degli individui riguardo alla giustizia o riguardo al male. Queste idee, per quanto ripudiate dai donatisti, influenzarono la concezione agostiniana delle «due città» (cfr. A. Pincherle, Da Ticonio a Sant'Agostino: Ricerche Religiose 1 [19251443-466). L'esegesi biblica di Ticonio, riassunta nelle sue Regulae, ebbe pure grande influsso sulla più tarda esegesi medievale, specie quella di Beato di Liébana e di Beda. III. Un movimento di protesta. Per quanto originariamente e principalmente movimento religioso, che considerava Donato un riformatore e purificatore della chiesa (Agost., C. Cresconium III, 56,62) e traeva i suoi aderenti da ogni classe all'interno della chiesa nordafricana, il d. aveva un forte richiamo sociale e culturale. Il recupero della psicologia del martire e della tradizione apocalittica del cristianesimo nordafricano richiamava in modo particolare i cristiani delle comunità rurali, per i quali la riforma amministrativa e fiscale di Diocleziano e Costantino significava tasse più forti e un maggior carico di debiti. « Non sono stati gli storici moderni a inventare la Numidia donatista» (Lancel, op. cit., I, p. 155). Le testimonianze contemporanee concordemente ammettono che il d. ha avuto origine dalla Numidia e dalla Mauretania Sitifense, specialmente nelle aree rurali (così Agost., Epp. 58,1 e 129,6; Enarr. in Ps. 36,11,19: «Adtende nunc Caecilianum: tu servasti Numidiam, ille orbem terrarum», ed l:p. ad Catbol. 19,5 1, «Numidia ubi vos praepolletis»; cfr. Petiliano, Coll. Carth. I, 165, e Alipio, ibidem, I, 181 [diocesi rurali donatiste]; Praedestinatus, De Haeres. 69, riguardo ai circoncellioni, «in partibus Numidiae superioris et Mauretaniae»). L'identità ecclesiastica della Numidia, risalente alla fine del III sec., rifletteva le differenze economiche e geografiche rispetto all'Africa proconsolare. Il versante sud dell'Atlante costiero e le vallate fluviali si dispongono in un elevato altopiano che i Romani, nel II sec., erano riusciti a trasformare in una zona di colture secche, in particolare di olivo e orzo. Dal sec. IV questa regione si era fittamente popolata di villaggi (cfr. S. Gsell, Atlas archéologique de l'Algérie, Paris 1911, spec. feuille, Constantine, e A. Berthier e al., op. cit., pp. 23-31). Gli edifici rimasti e i saggi di scavo nella Numidia centrale, particolarmente ad opera di André Berthier e colleghi dal 1930 in poi hanno rivelato una popolazione cristiana uniforme. Le chiese e cappelle dedicate ai martiri costituivano, insieme con i frantoi privati per le olive, le costruzioni più significative dei villaggi (A. Berthier e al., op. cit., pp. 166-171). Nonostante l'insufficienza dei criteri di datazione, sembrerebbe che molte di queste cappelle fossero in uso contemporaneamente, tra il 380 e il 450 (Berthier, op. cit., p. 170). Prima della «grande persecuzione», il cristianesimo in Numidia tendeva a essere senza compromessi nei suoi atteggiamenti (cfr. Acta Maximiliani, ed. II. Musurillo, Oxford 1972, p. 244). L'appoggio per il d. rappresentato dallo stesso Donato di Casae Nigrae era da aspettarsi. Agostino riteneva che lo scisma avesse avuto origine in Numidia (Serm. 46,15,39: PL 38,293). Quando verso il 340 Fecero la prima comparsa i circoncellioni (Ott., III, 4), essi mostrarono che i gravami economici e sociali (debiti e senso di ingiustizia sociale) avevano trovato il loro sbocco attraverso il d. Tuttavia, l'antagonismo nei confronti dei proprietari terrieri si espresse in termini religiosi. I capi dei círconcellioní si designavano come duces sanctorum mentre gli altri erano gli agonistici (Ott., III, 4, p. 81). Gli imperatori che avrebbero voluto reprimere i donatisti erano detti «precursori dell'Anticristo», rappresentanti del saecultsna (Passio Maximiani et Isaaci: PL8, 768 A; Passio Marculi, ibidem, 761 D) al quale í cristiani avevano il dovere di opporsi eternamente. Nel V sec. la stessa ostilità nei confronti delle autorità secolari si manifestò contro Genserico e i dominatori vandali (Liber Genealogus, 627: ed. MGH, AA, IX, 19G). Alcuni capi donatisti appoggiarono il capo ribelle dei Cabili, Firmo, nel 372-375 (Agost., Ep. 87,10 e C. Ep. Parnem. I, 10,16 e 11,17) e si è stabilito che una delle cause della rivolta furono le tasse esorbitanti (Zos., Hist. nova IV, 16). Anche la rivolta di Gildone ricevette sostegno in Numidia (Agost., C. Ep. Parmera. II, 2,4 e C. litt. Petiliani II, 23,53; 83,184; e 92,209) ma sarebbe anacronistico considerare il d. una rivolta politica contro l'impero o anche frutto del particolarismo nordafricano. In termini di vita culturale dell'Africa del nord, il d. numida segnò una vigorosa rinascenza dell'arte tradizionale indigena nordafricana, specie di quella della scultura in legno (cfr. Frend, The Revival of Berber Art: Antiquity 16 [1942J 342- 352); la lingua della liturgia e della predicazione della chiesa donatista era il latino. I capi donatisti, quali Petiliano o Emerito, provenivano dalla stessa classe che parlava latino e si era formata sui classici, come gli stessi avversari cattolici. Nondimeno, il movimento stesso dei circoncellioni non sarebbe apparso credibile senza una reale per quanto non pienamente articolata connessione tra la tradizione rigorista del cristianesimo in Africa del nord, riflessa dai donatisti, e il malcontento politico ed economico. I vescovi donatisti, come Macrobio, rivale di Agostino a Ippona, erano pronti a identificarsi col movimento dei circoncellioni, nonostante le differenze di F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 37 cultura o anche di lingua (cfr. Agost., F.p. 108, 5,14 ed Fp. 111,1). Agostino, d'altronde, si trovava più a suo agio con le classi più ricche o di governo della sua diocesi (cfr. Frend, The Donatist Church, c. 20). Conclusione: Il d. cominciò come una rivolta contro ciò che molti cristiani in Africa del nord consideravano un tradimento della fede da parte dei propri capi, e continuò come protesta contro gli effetti dei chszstiana tempora iniziati con Costantino; trasse la sua forza dalle tradizioni puritane e apocalittiche della teologia nordafricana. Tanto il laicato e il clero colto che i circoncellioni della campagna poterono trovare la propria identità all'interno della chiesa donatista. Di più, il d. fu sostenuto da forti memorie popolari, quella del dies traditionis/tburificationis (cfr. CIL VIII, 6700) e della «persecuzione di Paolo e Macario» (i tempora macariana). Il fatto che il d. non sia divenuto la religione della popolazione nordafricana - così come il monofisismo divenne la religione dei copti - dipese da un'avversa combinazione di circostanze. Al momento cruciale del fallimento della rivolta di Gildone nel 398, i donatisti si trovarono a confronto con una chiesa cattolica ravvivata e riorganizzata, abilmente guidata da Agostino e dai suoi amici e sostenuta dal potere coercitivo dell'autorità imperiale. Dopo il 429, la prevalenza di nuovi fattori religiosi, politici e militari sotto i Vandali e i Bizantini impedì l'efficace rinascita del d., finché lo stesso cristianesimo in Africa del nord volse irrimediabilmente al declino. L'eredità donatista di puritano non conformismo che associava la preoccupazione per l'integrità cristiana con la giustizia sociale è però sopravvissuta e ha continuato a influenzare il pensiero e l'azione cristiana in Occidente fino ai nostri giorni. W.H.C. Frend IV. Nelle regioni extra africane. Si hanno notizie di gruppi donatisti in Italia, Spagna e Gallia, sparuti quanto a numero e pochissimo attivi. In Roma riorganizzarono la comunità dei montenses, donde le dominazioni di montenses, campitae e campenses. Secondo Ottato (Il, 4), il gruppo romano fu fondato nel 320; in un primo momento guidato da un amministratore temporaneo (interventor), poi da un vescovo. Agostino (Contra litt. Petiliani II, 108,246; Ep. ad, cath. secta donat. 3,6) attesta che i donatisti inviarono un vescovo a Roma e nella Spagna. La Coll. Car'hag, ci ha riportati i nomi di questi vescovi: Víttorino, Bonifacio, Eucolpio, Macrobio, Luciano, Claudiano e Felice. Claudiano si costituì papa dei donatisti, sostenuto dai partigiani dell'antipapa Ursino, e si oppose a llamaso, papa della Cattolica, il quale, con l'aiuto del braccio secolare, cercò di esiliarlo; ma Claudiano riuscì a rimanere a Roma fino al 378 quando, in occasione del concilio romano, venne espulso. Nel concilio di Roma del 386, si riconciliarono donatisti e cattolici, e i pochi donatisti esistenti si unirono ai cattolici. In Spagna, non sappiamo dove si stabilirono. Probabilmente qui, o nelle Gallie, morì Donato il Grande e fu ordinato Parmeniano (Ott., II, 7). È tradizionale (così i Maurini e Monceaux) l'affermazione che Lucilla, fautrice dello scisma, fosse spagnola, nonostante divergano le notizie che ci vengono in merito da Ottato, Agostino e dal processo contro Silvano. I rapporti dei donatistí con la Spagna lasciarono tracce tra i priscillianisti. In Gallia, cominciarono a vivere in gruppi durante la dominazione e la persecuzione dei Vandali e durante la emigrazione degli scismatici. Nel concilio di Arles (314), si chiarì la contesa tra Ceciliano e Donato. Il vescovo cui si riferisce Agostino (Cotatra Cresc. III, 63,70) doveva vivere certamente in Gallia. Leone Magno e Avito ci informano che nel 458 e nel 502 esistevano ancora dei donatisti a Narbona e a Lione, che finirono, forse, con l'essere assorbiti dai cattolici. E. Romero Pose ICCU per Soggetto Donatismo Maier, Jean Louis, Le dossier du donatisme / Jean-Louis Maier, Berlin: Akademie-Verlag, 1987-1989, Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur Note Generali: V. 1: Des origines a la mort de Costance 2. (303-361); v. 2: De Julien l'Apostat a saint Jean Damascene (361-750). Caputo, Tommaso, Il processo a Ceciliano di Cartagine: indagine storico-giuridica sulla prima fase della contoversia donatista, 312-316 / Tommaso Caputo Edizione: Roma: Pontificia universita lateranense, 1981, , 52 p.; 24 cm (( Estr. dalla tesi di dottorato) Descrizione fisica: In testa al front.: Pontificia universitas Lateranensis, Intitutum utriusque juris . Pincherle, Alberto <1894-1979>, Il donatismo, Roma: Ediz. Ricerche, Corsi universitari Brisson, Jean-Paul, Autonomisme et christianisme dans l'Afrique romaine de Septime Severe a l'invasion vandale / Jean-Paul Brisson, Paris: E. De Boccard, 1958 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 38 Boyer, Charles<1884-1980>, Sant'Agostino e i problemi dell'ecumenismo / Carlo Boyer, Roma: Studium, 1969!, Universale Studium; 109-110 Frend, William Hugh Clifford, The Donatist Church: a movement of protest in Roman North Africa / by W. H. C. Frend, Oxford: at The Clarendon press, 1952, Oxford scholarly classics Optatus: Milevitanus <santo>, La vera Chiesa / Ottato di Milevi; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici Tilley, Maureen A., The bible in christian north Africa: the donatist world / Maureen A. Tilley, Minneapolis: Fortress press, c1997 Augustinus, Aurelius <santo> : 15.1: Polemica con i donatisti : Salmo abecedario, Contro la lettera di Parmeniano, Sul battesimo: testo latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum; introduzione generale di Robert A. Markus; introduzioni particolari, traduzioni e note di Antonio Lombardi , Roma : Citta Nuova, [1998! Parte 1., Opere polemiche, volume 15/1 - Fa parte di: Opere di sant'Agostino 15.2: Contro le lettere di Petiliano; Lettera ai cattolici sulla setta dei Donatisti / sant'Agostino; introduzioniparticolari, traduzione e note di AntonioLombardi; indici di Franco Monteverde 16.1: Contro Cresconio grammatico donatista; Unicita del battesimo; Contro Petiliano /sant'Agostino; introduzioni particolari, traduzione e note di Eugenio Cavallari; indici di Franco Monteverde 16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti; Ai Donatisti dopo la conferenza; Discorso ai fedeli della chiesa di Cesarea; Atti delconfronto con Emerito; Contro Gaudenzio /sant'Agostino; introduzione generale,introduzioni particolari, traduzione e notedi Eugenio Cavallari; indici di FrancoMonteverde TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Conte 523; Bettini 920-21. Donatismo Encarta Donatismo Movimento ereticale cristiano sorto in Africa settentrionale nel 311 per iniziativa di 70 vescovi che consideravano non valida la consacrazione del nuovo vescovo di Cartagine Ceciliano. Quest'ultimo, durante la persecuzione di Diocleziano, si era sottomesso alle autorità romane, consegnando i libri sacri invece di resistere fino al martirio. Proclamando il dovere della Chiesa di escludere dal numero dei suoi membri i fedeli che si erano macchiati di gravi peccati e l'invalidità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni, i seguaci del movimento riuscirono nel 315 a fare eleggere vescovo di Cartagine Donato, da cui il nome di donatisti. Tuttavia, l'imperatore Costantino ratificò l'elezione di Ceciliano e tentò di piegare i donatisti con la forza. Dopo le persecuzioni di Costante I, si cercò invano nel 411 di ricomporre lo scisma con un'assemblea: nel 414 i donatisti furono privati dei diritti civili e ogni loro attività fu proibita con la minaccia della pena di morte; il movimento incominciò allora a declinare, sopravvivendo comunque fino alla conquista islamica dell'Africa settentrionale. Donato (il Grande) F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 39 Cenni biografici Avrebbe avuto un'ottima educazione letteraria e sarebbe stato fornito di una straordinaria eloquenza. Controllo e adeguamento con quanto specificato sopra. Fin dal 313 aveva sostituito Maggiorino a capo dei dissidenti. Mandato in esilio morì nel 335 ???.o 368? Opere Scrisse intorno al 336??? una Epistula de baptismo in cui sosteneva che i cattolici non potevano essere considerati cristiani perché privi della grazia divina. Una delle conseguenze era che il battesimo da loro amministrato non aveva valore e quindi i cattolici che passavano ai donatisti dovevano essere nuovamente battezzati. Testi e testimonianze Hier., vir.ill., 93 [0695B] 929 Donatus, a quo Donatiani per Africam sub Constantio [i [0696D] Ita legunt codices nostri omnes, et quos passim alii inspexere. Martianaeus post Victorium, sub Constante Constantinoque, perperam, ut etiam aliae editiones, quae sub Constante et Constantio legunt. Schismatis Donatistarum originem a Constantini aevo repetendam, quis nescit?] Constantinoque principibus pullulaverunt, [0695C] asserens, a nostris Scripturas in persecutione Ethnicis traditas, totam pene Africam et maxime Numidiam, sua persuasione decepit. Exstant ejus multa ad suam haeresim pertinentia opuscula, et de Spiritu sancto liber, Ariano dogmati [j [0696D] Donati scripta omnia jamdiu interciderunt. Recolendus porro est insignis Augustini locus haeresi 69, quem et Fabricius describit: Exstant scripta ejus (Donati) ubi apparet, cum etiam non Catholicam de Trinitate habuisse sententiam, sed quamvis ejusdem substantiae, minorem tamen Patre Filium, et minorem Filio putasse Spiritum sanctum. Verum in hunc quem de Trinitate habuit, errorem, Donatistarum multitudo intenta non fuit, nec facile in eis quisquam qui hoc illum sensisse noverit, invenitur. congruens. Donato, dal quale i donatisti si diffusero nell’Africa sotto gli imperatori Costantino e Costanzo, sosteneva che, durante la persecuzione, da parte dei Cristiani erano state consegnate ai pagani le Sace Scritture. Riuscì ad ingannare, con le sue arti seduttrici, quasi tutta l’Africa, e particolarmente la Numidia. Di lui restano molti scritti riguardanti la sua eresia e un libro Sullo Spirito Santo, conforme all’eresia ariana. Trad. E. Camisani, Roma, Città Nova, 2000. Bibliografia Controllo Migne ICCU per Soggetto mirata a Donatisti, -ismo Niente per Donato il Grande, troppo per Donato F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 40 Parmeniano Cenni biografici Di origine galliche o spagnole. Successe a Donato come vescovo di Cartagine nel 368 (secondo altri capo dei donatisti dal 362). Tra i massimi rappresentanti del Donatismo, visse fino al 391-92. Le sue tesi furono confutate da Ottato di Milevi e da Agostino. Opere Adversus ecclesiam traditorum. Opera perduta, in 5 libri, composto intorno al 362. Una ricostruzione di materie e temi è possibile attraverso la confutazione di Ottato di Milevi. La vera chiesa è quella dei Donatisti; quella cattolica è già stata condannata dai profeti. Caratteri del battesimo. Storia degli avvvenimenti dello scisma donatista. Epistula ad Tyconium. Perduta, era rivolta a Ticonio, donatista dissidente. Composta nel 378 fu confutata da Agostino, attraverso il cui Contra epistolam Parmeniani riusciamo a ricostruire temi e contenuti. Salmi di sostegno alle dottrine. Testi e testimonianze Bibliografia Edizioni Controllo ed. C. Ziwsa, CSEL 26, 1893 PLS, 1, 184-87. ICCU per Soggetto Parmeniano Niente anche per autore ita/lat/ Iccu per Titolo Autore: Augustinus, Aurelius <santo> Titolo: 15.1: Polemica con i donatisti : Salmo abecedario, Contro la lettera di Parmeniano, Sul battesimo : testo latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum / Sant'Agostino ; introduzione generale di Robert A. Markus ; introduzioni particolari, traduzioni e note di Antonio Lombardi , Roma : Citta Nuova, [1998! Parte 1., Opere polemiche, volume 15/1 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 41 Fa parte di: Opere di sant'Agostino Comprende: 15.1: Salmo abecedario ; Contro la lettera diParmeniano ; Sul battesimo / sant'Agostino ;introduzione generale di Robert A. Markus ;introduzioni particolari, traduzione e notedi Antonio Lombardi 16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti ;Ai Donatisti dopo la conferenza ; Discorso aifedeli della chiesa di Cesarea ; Atti delconfronto con Emerito ; Contro Gaudenzio /sant'Agostino ; introduzione generale,introduzioni particolari, traduzione e notedi Eugenio Cavallari ; indici di FrancoMonteverde 15.2: Contro le lettere di Petiliano ;Lettera ai cattolici sulla setta deiDonatisti / sant'Agostino ; introduzioniparticolari, traduzione e note di AntonioLombardi ; indici di Franco Monteverde 16.1: Contro Cresconio grammatico donatista ;Unicita del battesimo ; Contro Petiliano /sant'Agostino ; introduzioni particolari,traduzione e note di Eugenio Cavallari ;indici di Franco Monteverde TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Bettini, 3, 669 e 888 (cenni breviss.). Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 345-346. Petiliano di Costantina Cenni biografici Fu l’elemento di punta del donatismo tra IV e V secolo ed ebbe un ruolo di primo piano nel concilio di Cartagine del 410. Opere Epistula ad presbyteros. Composta nel 401, contiene una rassegna delle questioni dibattute tra cristiani e donatisti. Fu confutata a più riprese da Agostino nel Contra litteras Petiliani, anche quando nella controversia tra i due si inserì Cresconio, cui pure Agostino rispose con il Contra Cresconium. De unico baptismo (410 ca.) Bibliografia Controllo ed. C. Ziwsa, CSEL 26, 1893 PLS, 1, 184-87. Ticonio Cenni biografici F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 42 Pressochè nulla si sa di questo che forse fu tra i più significativi autori donatisti per cultura, specie scritturistica. Fu attivo tra il 370 e il 390: per le sue posizioni di conciliazione, entrò in polemica con Parmeniano e fu scomunicato in un sinodo donatista intorno al 380, ma rimase fedele alla causa del donatismo. Opere Gennadio cita due opere, verosimilmente da collocare nel 370 e 375, De bello intestino e Expositiones diversarum causarum, per noi perdute e al centro delle polemiche con gli altri donatisti. Altre opere: Liber regularum (Liber de septem regulis). Scritto intorno al 380, secondo altri intorno al 392. Si può considerare il primo trattato di ermeneutica biblica di una certa sistematicità apparso nell'Occidente latino: ebbe un forte influsso su Agostino (che ne dà dettagliata notizia del De doctrina christiana) e viene citato con rispetto da Cassiodoro. Le regole dovevano aiutare a interpretare in modo allegorico testi sacri di problematica interpretazione. Così si legge nella praefatio: "Necessarium duxi ante omnia quae mihi videntur, libellum Regularum scribere et secretorum leges, veluti claves et luminaria fabricare. Sunt enim quaedam regulae mysticae, quae universae legis recessus obtinent, et veritatis thesauros aliquibus invisibiles faciunt. Quarum si ratio regularum sine invidia, ut communicamus, accepta fuerit, clausa quaeque patefient, et obscura dilucidabuntur, ut quis prophetiae universam silvam perambulans, his regulis quodammodo lucis tramitibus deductus, ab errore defendatur. Sunt autem regulae istae. I. De Domino et corpore ejus.II. De Domini corpore bipartito.III. De promissis et lege.IV. De specie et genere.V. De temporibus.VI. De recapitulatione.VII. De diabolo et ejus corpore." Commento all'Apocalisse. In tre libri. Di esso ci restano solo alcune citazioni e alcuni excerpta. Il commento ebbe in ogni caso una notevole fortuna fra il V e il VII secolo. Era di tipo prevalentemente allegorico. Testi e testimonianze August.. contr. Epist. Parmen. lib. I, cap. 1, [Migne] «Hominem ait [(b) [0013C] Aug. contr. Epist. Parmen. lib. I, cap. 1, opp. tom. IX, pag. 11.] fuisse et acri ingenio praeditum et uberi eloquio, sed tamen Donatistam. Qui aliquando sanctarum paginarum vocibus circumfusus, evigilavit; ut propterea adversus ipsos suos calamum strinxerit. Hoc ergo suscepto, subdit sanctus Doctor, Tichonius cum vehementer copioseque dissereret, et ora contradicentium multis et magnis ac manifestis sanctarum scripturarum testimoniis oppilaret, non vidit quod consequenter videndum [0013B] fuit. Nimirum, inquit [(c) [0013C] Id. de Doctr. Christ. lib. III, cap. 30, num. 42, tom. III, pag. 57.] , contra Donatistas invictissime scripsit, cum fuerit Donatista; et illic invenitur absurdissimi cordis, ubi eos non omni ex parte relinquere voluit.» Traduzione Agostino Gennad., de vir.ill. 18 [Migne] TICHONIUS natione Afer, in divinis litteris eruditus, juxta historiam sufficienter, et in saecularibus non ignarus fuit; in ecclesiasticis quoque negotiis studiosus. Scripsit de Bello intestino libros tres et Expositiones diversarum causarum, in quibus ob suorum defensionem, antiquarum meminit synodorum. E quibus omnibus agnoscitur [d [1071C] Ms. Corb., Donatistarum partis.] Donatianae partis fuisse. Composuit et F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 43 Regulas ad investigandam [e [1071C] Verba et inveniendam desunt in Corbei] et inveniendam intelligentiam Scripturarum, septem, quas in uno volumine conclusit. Exposuit et Apocalypsin Joannis [f [1071C] Id., ad integrum, . . . . sed tantum intelligens spiritalem. In qua exponens dixit.] ex integro, nihil in ea carnale, [1071B] sed totum intelligens spiritale. In qua expositione dixit, angelicam stationem corpus esse. Mille quoque annorum regni in terra justorum post resurrectionem futuri suspicionem dulit; neque tuas in carne [g [1071C] Ms. Corbei., Suspicionem tulit. Neque duas in carne resurrectiones futuras inter justos et inter injustos, sed unam et in semel omnium. In qua resurrectione abortivi deformati resurgant (infra c. 38) . Distinctionem sane duabus resurrectionibus, etc.] mortuorum resurrectiones futuras, unam justorum, et aliam injustorum, sed unam et semel omnium, in qua resurgent etiam abortivi [h [1071C] Al. reformati, et mox, ne quid humani generis deformatum et animatum substantia intereat, vel animatae [1071D] substantiae intereat.] deformati, ne quid humani generis animatae substantiae intereat, ostendit. Distinctionem sane duarum resurrectionum ita facit: Primam, quam justorum, Apocalypsis dicit, [1072A] credimus modo in Ecclesiae incremento agi, ubi justificati per fidem a morticinis peccatorum suorum per baptismum ad vitae aeternae stipendium [i [1071D] Ms. Corb., homines suscitantur. Duo vero genera omnium hominum, justorum et peccatorum. Floruit, etc.] suscitantur, secundam vero generaliter omnis hominum carnis. Floruit hic vir aetate qua jam memoratus Ruffinus, Theodosio [j [1071D] Theodosio cum filiis suis.] et filio ejus regnantibus. Cassiod., Comm. in Psal., praef. 13 Caeterum delicta a Christo probantur funditus aliena: unde Tichonius in libris Regularum latius diligenterque [0018B] disseruit (Vide D. August. lib. III de Doctr. Chr., cap. 30) . Isid., Sententiae, 19 (de septem regulis) in realtà non lo cita? [ Nota MigneCAP. XIX.—N. 1. Has septem regulas veluti claves aperiendi sensus divinae Scripturae reconditos excogitavit Ticonius. August., lib. III de Doctrina Christiana, c. 30: Ticonius, inquit, quidam, qui contra Donatistas invictissime scripsit, cum fuerit Donatista; et lib. II Contra epistol. Parmeniani, cap. 28, vocat eum magistrum, ejusque interpretandi divinam Scripturam, leges et formulas, tanti fecit, ut Cypriani expositionibus praetulerit, ut constat lib. II Retractat., et lib. III de Doctrina Christiana, cap. 30, ubi de harum regularum utilitate sic inquit: Necessarium duxi ante omnia quae mihi videntur, libellum Regularum scribere, et secretorum leges, veluti claves et lumina, fabricare; sunt enim quaedam regulae mistae, quae universae legis recessus obtinent, et veritatis thesauros aliquibus visibiles faciunt. Quarum si ratio regularum, sine invidia, ut communicamus, accepta fuerit, clausa quaeque patefient, et obscura dilucidabuntur, ut quisque prophetiarum immensam silvam perambulans, his regulis quodammodo quasi lucis tramitibus deductus ab [0581D] errore defendatur. Et subdit: Caute sane legendus est, non solum propter quaedam, in quibus, ut homo, erravit, sed maxime propter illa quae sicut Donatista haereticus loquitur. Meminit et Cassiodorus harum regularum in Praefat. comment. in Psalm. Scripsit idem Ticonius expositiones in Apocalyp. Joannis, ut auctor est Gennadius et Beda in Apoc.] Beda, Apoc. ? Osservazioni "colui che fu forse il più significativo degli scrittori donatisti, la cui importanza sta acquistando sempre maggior rilievo con il progredire degli studi sull'antica esegesi cristiana". Moreschini, 2/1, pp. 348-49 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 44 Predilige esegesi allegorica, applicata al Commento all'Apocalisse (Bettini) Bibliografia Edizioni Liber de septem regulis. PL Migne vol 18, 15-66. PLS 1, 621-52. (Comm.Apoc.?) Ed. e trad. F. C. Burkitt, Cambridge: at the University press, 1894, Texts and studies; 3.1 Ed. trad. e comm. W. S. Babcock, Atlanta, Scholars Press, 1989, Texts and translations. Early Christian literature series Trad. e comm. J-M. Vercruysse, Paris, Les editions du Cerf, 2004, Sources chretiennes; 488 Trad. L. e D. Leoni, Bologna: EDB, 1997, Epifania della Parola. N. S Studi M. Simonetti, Lettera e/o allegoria, Augustinianum, Roma 1985. Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 109-112 (M. Simonetti). ICCU per Soggetto Ticonio? ICCU per Autore: Tyconius Ticonius, The Turin fragments of Tyconius commentary on revelation / ed. by the late Francesco Lo Bue; and prepared for the press by G. G. Willis, Cambridge: Cambridge University Press, 1963 Fa parte di: Text and studies: contributions to Biblical and Patristic literature. #New series . Ticonius, Text and studies: contributions to Biblical and Patristic literature. #New series Comprende: The Turin fragments of Tyconius commentary onrevelation / ed. by the late Francesco Lo Bue; and prepared for the press by G. G. Willis Ticonius, The book of rules of Tyconius: newly edited from the mss with an introduction and examination into the text of the biblical quotations / by F. C. Burkitt, Cambridge: at the University press, 1894, Texts and studies; 3.1 Ticonius, Le livre des Regles / Tyconius; introduction, traduction et notes par Jean-Marc Vercruysse, Paris: Les editions du Cerf, 2004, Sources chretiennes; 488 Titolo uniforme: Liber regularum Tyconii Afri Donatistae liber regularum, Cambridge: Burkitt, 1894, Texts and studies Titolo uniforme: Liber regularum Tyconius: the book of rules / translated, with an introduction and notes by William S. Babcock, Atlanta: Scholars Press, 1989, Texts and translations. Early Christianliterature series Texts and translations Note Generali: Testo latino e traduzione inglese del: Liber regularum Ticonius, Sette regole per la Scrittura / Ticonio; a cura di Luisa e Daniela Leoni, Bologna: EDB, [1997], Epifania della Parola. N. S F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 45 ICCU per Titolo: Tyconius Hahn, Traugott, Tyconius-studien: ein Beitrag zur Kirchen und Dogmengeschichte des 4. Jahrhunderts / Traugott Hahn Edizione: Neudruck der Ausgabe Leipzig 1900, AAlen: Scientia, 1971, Studien zur Geschichte der Theologie und derKirche Note Generali: Rist anast. dell'ed.: Leipzig, 1900. Rauh, Horst Dieter, Das Bild des Antichrist im Mittelalter: von Tyconius zum deutschen Symbolismus, Munster: Aschendorff, 1973, Beitrage zur Geschichte der Philosophie undTheologie des Mittelalters. N. F; 9 Rauh, Horst Dieter, Das Bild des Antichrist im Mittelalter: Von Tyconius zum Deutschen Symbolismus / Horst Dieter Rauh Edizione: 2. verb. und erw. Aufl, Munster: Aschendorff, 1979, Beitrage zur Geschichte der Philosophie undTheologie des Mittelalters. N. F; 9 Cazier, Pierre, Cassien auteur presume de l'epitome des Regles de Tyconius / Pierre Cazier, Paris: [s.n., 1976?! Note Generali: Estr. da: Revue des etudes augustiniennes, v. 22(1976) Steinhauser, Kenneth B., The Apocalypse commentary of Tyconius: a history of its reception and influence / Kenneth B. Steinhauser, Frankfurt am Main <etc.>: Peter Lang, c1987, Europaische Hochschulschriften. Reihe 23.,Theologie Bright, Pamela, The Book of rules of Tyconius: its purpose and inner logic / Pamela Bright, Notre Dame, IN, Christianity and judaism in antiquity Bettini 3, 891. Moreschini, 2/1, pp. 348-50 Ottato di Milevi Cenni biografici Originario di Milevi, in Numidia. L'unica ?notizia ci arriva da Agostino (Contra Parmen., 1,3,5). Secondo Girolamo (de vir.ill. 110) il Contra Parmenionem Donatistam è scritta sotto Valentiniano e Valente (date). Già morto intorno al 400. Opere La sua confutazione del donatismo è raccolta nei sei libri (frammentario è un settimo) del Contra Parmenianum Donatistam, pubblicato nel 366. Nell'opera compresi: Storia dello scisma donatista Esiste una sola chiesa, quella cattolica. I cattolici non sono responsabili dei provvedimenti presi dal governo contro i ribelli. Confutazione dell'interpretazione scritturale di Parmeniano Validitò del battesimo e in genere dei sacramenti. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 46 Odio e fanatismo dei donatisti verso i cattolici. Esiste una seconda redazione dell'opera, che presenta un settimo libro ai precedenti, ma può ritenersi allo stadio preliminare. Testi e testimonianze Hier., de vir.ill., 110 Testo latino Ottato, africano, vescovo di Milevi, di parte cattolica, sotto gli imperatori Valentiniano e Valente, compose sei libri Contro la calunnia della setta donatista. Ivi, sostiene che l’accusa dei donatisti si scaglia falsamente contro i cattolici. Trad. E. Camisani. August., dottrina cristiana 2,40,61 (per lode stile) August., contra Parmen. Bibliografia Edizioni Contra Parmenianum Donatistam, Appendix decem monumentorum veterum – ed. C. Ziwsa 1893, CSEL Vol. 26 controllo ed. L. Dattrino, Roma, Città Nuova, 1988 Traité contre les donatistes, I, Livres I et II Introduction, texte critique, traduction et notes par Mireille Labrousse, 95, SCh 412. Traité contre les donatistes, II, Livres III à VII Texte critique, traduction, notes et index par Mireille Labrousse, 96, SCh 413. Studi Mazzucco C., Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive, Bologna, Patron, 1993. Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive , "Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia, linguistica e tradizione classica" 3, Bologna, Pàtron, 1993, 205 pp.; Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 113-116 (M. Simonetti). ICCU per Soggetto Ottato ICCU per Nome F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 47 S. Optati afri milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem / [edidit et commentariis auxit H. Hurter], Londini: David Nutt, 1870, Sanctorum Patrum opuscula selecta Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ... quibus accessere Historia donatistarum ... opera & studio M. Lud. Ell. Dupin ... Edizione: Cum ejusdem notis, ut & Gab. Albaspinaei, & aliorum singulis paginis in hac nova editione subjectis, Antuerpiae: apud G. Gallet, praefectum typographiae Huguetanorum, 1702 Delibatio Africanae historiae ecclesiasticae siue Optati Mileuitani libri 7. ad Parmenianum de schismate Donatistarum. Victoris Vticensis libri 3. De Persecutione vandalica in Africa, cum annotationibus Ex Fr. Balduini I.C. Commentariis rerum ecclesiasticarum, Parisiis: apud Michaelem Sonnium, sub scuto Basiliensi via Iacobaea, 1569 S. Optati Milevitani libri 7. / recensuit et commentario critico indicibusque instruit Carolus Ziwsa; accedunt decem Monumenta vetera ad Donatistarum historia pertinentia Edizione: Rist. anast, New York: Johnson Reprint corporation, 1972, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum; 26 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: F. Tempsky, 1893 1: Livres 1. et 2. / Optat de Mileve; introduction, texte critique, traduction et notes par Mireille Labrousse, Paris: Les editions du cerf, 1995, Sources chretiennes Fa parte di: Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve, Paris: Les editions du cerf Titolo uniforme: De schismate Donatistarum libri septem Comprende: 1: Livres 1. et 2. / Optat de Mileve ;introduction, texte critique, traduction etnotes par Mireille Labrousse 2: Livres 3. a 7. / Optat de Mileve; textecritique, traduction, notes et index parMireille Labrousse Nomi: Optatus: Milevitanus<santo> Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ad manuscriptos codices et veteres editiones collati; et innumeris locis emendati. Quibus accessere historia donatistarum ... Opera & studio M. Ludovici Ellies Dupin .., Lutetiae Parisiorum apud Andream Pralard, bibliopolam, via SanJacobaea, ad insigne occasionis, 1700 \Expliciunt Optati Episcopi libri numero septem, & Gesta purgationis Caeciliani episcopi et Felicis ordinatoris eiusdem: necnon Epistolae Constantiniimperatoris!, (1564) Sancti Optati Milevitani ... Opera cum observationibus et notis integris G. Albaspinaei Aurelianens. ... Accedunt Facundi Hermianensis ... pro tribus capituli Concilii Calched. libri 12. cum annotationibus Jacobi Sirmondi S.J. Et alia ejusdem Facundi opuscula. Huic quoque editioni adjectae sunt Gab. AlbaspinaeiObservationes ecclesiasticae, cum aliis ejusdem operibus, quorum elenchum post praefationem pagina sequens exhibebit, Lutetiae Parisiorum: apud viduam Joannis du Puis, via Jacobaea, sub signo Coronae aureae, 1676 2: Livres 3. a 7. / Optat de Mileve; texte critique, traduction, notes et index par Mireille Labrousse, Paris: Les edition du cerf, 1996, Sources chretiennes Fa parte di: Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ad manuscriptos codices et veteres editiones collati; et innumeris locis emendati. Quibus Accessere Historia donatistarum ... Opera & studio M. Lud. Ell. Dupin .., Lutetiae Parisiorum: apud Andream Pralard, bibliopolam, via San-Jacobaea, 1702 Optatus: against the Donatists / translated and edited by Mark Edwards, Liverpool: Liverpool university press, 1997, Translated texts for historians La vera chiesa; introduzione traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino / Ottato di Milevi, Roma: Citta Nuova editrice, 1988, Collana di testi patristici Autore: Brunus, Conradus<1491?-1563> F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 48 D. Conradi Bruni iureconsulti Libri sex, de haereticis in genere. D. Optati Afri episcopi quondam Mileuitani, Libri sex de Donatistis in specie, nominatim in Parmentanum . Ex bibliotheca Cusana. Adiuncto utrobique indice, & breui correctorio ..., Apud S. Victorem prope Moguntiam: ex officina Francisci Behem typographi, 1549 (Franciscus Behem typographus aedidit haec apud S. Victorem prope Moguntiam, 1549) La vera Chiesa / Ottato di Milevi; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV S. Optati Milevitani Libri 7. / recensuit et commentario critico indicibusque instruxit Carolus Ziwsa; accedunt decem monumenta vetera ad donatistarum historiam pertinentia, Pragae; Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1893, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 26 Autore: Saxer, Victor Un sermon medieval sur la Madeleine: reprise d'une homelie antique pour Paques attribuable a Optat de Mileve (+ 392) / V, Saxer, Maredsous!: Abbaye de Maredsous, 1970 Note Generali: Con il testo dell'omelia Estr. da: Reue benedictine, 80 (1970), n. 1-2 Autore: Optatus: Milevitanus <santo> La vera Chiesa / Ottato di Milevi; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici Autore: Zeno<santo> 11: Sanctorum Zenonis et Optati, prioris Veronae, alterius Milevi episcoporum, opera omnia: nunc primum cura qua par era redacta, Parisiis: Vrayet, 1845 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Autore: Zeno<santo> 11: Sanctorum Zenonis et Optati, prioris Verona, alterius Milevi episcoporum, opera omnia, nunc primum cura qua par erat redacta ... Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Brepols, 1993 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Paris, 1845 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Bettini, 3, 888; Moreschini-Norelli 2/1, p. 347. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 49 L'eresia di Priscilliano La setta di Priscilliano si diffuse in Spagna e parzialmente in Gallia per tutto il IV secolo. La fonte principale, ma tutto sommato non sufficientemente chiara, sui contenuti di questa eresia resta Sulpicio Severo nei suoi Chronicorum libri. Il "caso" dei priscillianisti scoppia intorno al 380 con il concilio di Saragoza, riunito da Febadio di Agen, nel corso del quale vennero stabiliti otto canoni tesi a condannare le pratiche ascetiche sostenute dal laico Priscilliano. Le tesi dei priscillianisti, che crearono parecchie divisioni all'interno del clero spagnolo, contenevano molti elementi manichei e mistici. Forte la componente ascetica, al punto da suggerire elementi di contiguità con le teorie manichee di contrapposizione tra vita spirituale e vita secondo il corpo. I suoi seguaci si ritenevano particolarmente ispirati dallo Spirito Santo nell'interpretazione delle Sacre Scritture. Dopo varie vicende, che videro il coinvolgimento, tra gli altri, anche di Damaso, di Ambrogio e di Sulpicio Severo, Priscilliano fu condannato a morte nel 385 per intervento imperiale con l'accusa di stregoneria, manicheismo e dissolutezza. I Priscillianisti continuarono ad avere adepti, soprattutto in Spagna, fino alla seconda metà del VI secolo. I Visigoti ne determinarono la scomparsa, ravvisando elemento di pericolo nell'accusa di manicheismo mossa ai Priscillianisti. Opere Un manoscritto di Wurzburg, databile al V- VI secolo ha di recente riproposto all'attenzione degli studiosi una decina di scritti attribuiti a Prisciliano o relativi alla sua condanna. Tra essi una professione di fede, forse presentatata al Concilio di Saragoza del 380, in cui Priscilliano (?) rifiuta le accuse di sabellianismo, docetismo, manichesimo e lettura di testi apocrifi. Il secondo testo è una dichiarazione di ubbidienza a Papa Damaso e raccoglie una ricostruzione dei fatti del Concilio di Saragoza. Il terzo scritto, dedicato a una tale Amanzia, difende la necessità di studiare scritti canonici, ma anche apocrifi. I numeri 4-10 sono tractatus, cioè omelie per la quaresima. Vengono attribuiti a Priscilliano anche i Canoni sulle epistole di Paolo; i cosiddetti prologhi monarchiani ai Vangeli; un De Trinitate fidei Christianae, in cui si sostengono tesi fortemente monarchiane. Testi e testimonianze Hier., vir.ill., 121 [0711A] 947 [c [0711C] Hunc Priscillianum Abulensem in Hispania ulteriori episcopum etiam in prologo ad libros contra [0711D] Pelagianos memorat ac suggillat. Vide Severum Sulpitium sub finem secundi libri.] Priscillianus, Abilae episcopus, qui factione [d [0711D] Erasm., Hythacii et Hithatii; sed et Hydiati et Idatii invenitur.] Hidacii et Ithacii Treveris a Maximo tyranno caesus est, edidit [e [0711D] Ad nos usque nulla pervenerunt.] multa opuscula, de quibus ad nos aliqua pervenerunt. Hic usque hodie a nonnullis Gnosticae, id est Basilidis et [f [0711D] Hactenus editi falso legerant Marcionis cum Graeco interprete. Sed Marci rescribendum, ut emendamus nostrorum omnium codicum auctoritate, probat etiam Irenaei locus lib. I, cap. 8, de Haeresibus ab ipso Hieronymo locis infra notandis, laudatus atque exscriptus. Ita habere etiam codices regios testatur doctiss. Cotelerius. Vide epist. 65, ad Theodoram, et in Isaiae cap. LXIV. Severius Sulpicius F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 50 lib. supra laudato, Primus, inquit, eum intra Hispanias Marcus intulit Aegypto profectus, etc.] Marci, de quibus Irenaeus scripsit, haereseos accusatur, defendentibus aliis, non ita eum sensisse, ut arguitur. Priscilliano, vescovo di Avila, fu messo a morte, a Treviri, dal tiranno Massimo, dietro la spinta della fazione di Idazio e Itacio. Pubblicò numerosi scritti, alcuni dei quali ci sono pervenuti. A tutt’oggi, lo si accusa di essere stato seguace dell’eresia gnostica, cioè di Basilide o Marco dei quali trattò nei suoi scritti Ireneo. Altri, invece, sostengono che egli non ha mai condiviso l’errore, di cui viene accusato. Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 200. August. de haeres., 70. [Migne] LXX. PRISCIELIANISTAE, quos in Hispania Priscillianus instituit, maxime Gnosticorum et Manichaeorum dogmata permixta sectantur. Quamvis et ex aliis haeresibus in eos [1 [0044] Sola editio Lov., in eas.] sordes, tanquam in sentinam quamdam horribili confusione confluxerint. Propter occultandas autem contaminationes et turpitudines suas habent in suis dogmatibus et haec verba: Jura, perjura, secretum prodere noli. Hi animas dicunt ejusdem naturae atque substantiae cujus est Deus, ad agonem quemdam spontaneum in terris exercendum, per septem coelos et per quosdam gradatim descendere principatus, et in malignum principem incurrere, a quo istum mundum factum volunt, atque ab hoc principe per diversa carnis corpora seminari. Astruunt etiam fatalibus stellis homines colligatos, ipsumque corpus nostrum secundum duodecim signa coeli esse compositum, sicut hi qui mathematici vulgo appellantur; constituentes in capite Arietem, Taurum in cervice, Geminos in humeris, Cancrum in pectore, et caetera nominatim signa percurrentes, ad plantas usque perveniunt, quas Piscibus tribuunt, quod ultimum signum ab astrologis nuncupatur. Haec et alia fabulosa, vana, sacrilega, quae persequi longum est, haeresis, ista contexit. Carnes tanquam immundas escas etiam ipsa devitat: conjuges, quibus hoc malum potuerit persuadere, disjungens, et viros a nolentibus feminis, et feminas a nolentibus viris. Opificium quippe omnis carnis non Deo bono et vero, sed malignis angelis tribuunt: hoc versutiores etiam Manichaeis, quod nihil Scripturarum canonicarum repudiant, simul cum apocryphis legentes omnia et in auctoritatem sumentes, sed in suos sensus allegorizando vertentes quidquid in sanctis Libris est quod eorum evertat errorem. De Christo Sabellianam sectam tenent eumdem ipsum esse dicentes, non solum Filium, sed etiam Patrem, et Spiritum sanctum. 70. 1. I Priscillianisti, fondati da Priscilliano nella Spagna (85), seguono soprattutto le dottrine degli Gnostici e dei Manichei, mescolandole fra loro, benché altro sudiciume da altre eresie sia confluito in loro, come in una fogna, orrida nella sua mistura (86). A fine, però, di occultare le contaminazioni e le turpitudini, hanno tra i loro placiti anche queste parole: « Giura e spergiura, ma non tradire il segreto » (87). Codesti eretici dicono che le anime sono della medesima natura e sostanza, che ha Dio; esse discendono [dall'empireo] passando attraverso sette cieli e vari principati, disposti a gradini, per dedicarsi sulla terra come ad una gara volontaria; ed incappano nel principe del male, dal quale, come essi pretendono, è stato fatto questo mondo, e da questo principe sono seminate nei vari corpi di carne. Sostengono, inoltre, che gli uomini sono vincolati alle stelle, le quali ne decretano il destino, e che lo stesso nostro corpo è disposto in modo corrispondente ai dodici segni zodiacali, come affermano coloro che comunemente sono chiamati Matematici, e, cosí, collocano l'Ariete nella testa, il Toro nel collo, i Gemelli nelle spalle, il Cancro nel petto, e, elencando per nome gli altri segni zodiacali, arrivano alle piante dei piedi, che essi assegnano ai Pasci, perché questo segno è nominato per ultimo dagli astrologi. Questa eresia ha voluto tener coperte dal segreto queste e le altre sue dottrine fantastiche, insulse, sacrileghe, la cui enumerazione sarebbe troppo lunga. 70. 2. Anche questa eresia rifugge dal mangiar carne, ritenendola immonda; e cosí provoca dissenso tra i coniugi, ai quali essa è riuscita a far credere questa malsana dottrina, cioè fa dissentire i mariti dalle mogli che non vogliono accettarla, e le mogli dai mariti che non vogliono accettarla. Ed infatti attribuiscono la formazione di ogni specie di carne non al Dio buono e vero, ma agli angeli del male; in ciò sono piú subdoli perfino dei Manichei, perché [i Priscillianisti] non ripudiano alcun testo delle Sacre Scritture Canoniche, leggendole tutte unitamente agli apocrifi e prendendole come testi probativi, ma, mediante l'interpretazione allegorica, piegano nel senso che loro aggrada, ogni affermazione dei Libri Sacri atta a demolire il loro F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 51 errore. Riguardo a Cristo professano l'eresia di Sabellio, dicendo che Egli è nella sua stessa identità non solo Figlio, ma anche Padre e Spirito Santo. (85) Priscilliano cominciò a diffondere le sue idee attorno al 370-375 nei pressi di Cordova, in Spagna. Attorno a lui si raccolsero numerosi adepti, tra cui molte donne, e alcuni vescovi. Nel 380 il Concilio di Saragoza condannò gli errori che gli erano attribuiti e, sebbene il suo nome non figuri negli atti del concilio, vennero prese delle misure contro la sua setta. Ciò nonostante Priscilliano divenne vescovo di Avila. Un decreto di espulsione emanato contro i Manichei forní il destro per regolare i conti anche con i Priscillianisti. Nel 381 Priscilliano venne esiliato insieme a Instanzio e a Salvanio. Diretti verso l'Italia, fecero dei proseliti anche in Aquitania. Papa Damaso non li ricevette e Ambrogio non prestò loro ascolto. Riuscirono però ad ottenere che l'editto di Graziano contro di loro fosse revocato. L'usurpatore Magno Massimo diede ordine che tutti gli etici comparissero al concilio di Bordeaux (385). Priscilliano si appellò a Magno Massimo, ma questi diede ascolto agli intransigenti: Priscilliano confessò, sotto tortura, di essere dedito allo studio di discipline eretiche e pratiche immorali. Venne condannato a morte e, insieme a lui, vennero giustiziati anche un diacono, vari laici e una donna. Instanzio ed altri Priscillianisti vennero condannati all'esilio. Priscilliano deve parte della sua fama proprio alla circostanza di esser tradizionalmente considerato il primo eretico della cristianità messo a morte per via delle sue convinzioni religiose non ortodosse. Nel 415 Agostino scrive la Ep. 237 e il Contra mendacium volti a confutare gli errori dei Priscillianisti. L'eresia si estinse neI 563, quando, al concilio di Braga, vennero emanati 17 anatemi contro Priscillianisti. Un altro scritto di Agostino contro i Priscillianisti: Ad Orosium contra Priscillianistas et Origenistas (PL 42, 669-678). Cf. anche FIL., a. her. 84 (CSEL 38, 45). (86) Girolamo (Ep. 133, 3: CSEL 56, 244-247) e Sulpicio Severo (Chron. 2, 50: CSEL 1, 103) accusano le dottrine di Priscilliano di immoralità. (87) Parte degli scritti di Priscilliano vennero editi nel 1889 da G. SCHEPSS: Priscilliani quae supersunt (CSEL 18). I suoi testi sono talvolta contraddittori (cf. MUELLER, p. 200) e confermano solo in minima parte le accuse rivoltegli in occasione del concilio di Braga. Quanto però ci è giunto non rappresenta la totalità della sua opera e la prassi della dissimulazione sembra comunque fosse ricorrente nei suoi scritti e in quelli dei suoi adepti. Un'attenta ricostruzione del pensiero e della biografia di Priscilliano è contenuta nell'ampio e dettagliato articolo: B. VOLLMANN, Priscillianus, in Realenzyklopaedie der klassischen Altertumswissenschaften, Suppl. XIV (1974), cc. 485-559. Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV. Sulp.Sev. , chron., 46-51. L'eresia di Priscilliano XLVI. Sequuntur tempora aetatis nostrae gravia et periculosa, quibus non usitato malo pollutae Ecclesiae [0155C] et perturbata omnia. Namque tum primum infamis illa Gnosticorum haeresis intra Hispanias deprehensa, superstitio exitiabilis, arcanis occultata secretis. Origo istius mali Oriens ac Aegyptus. Sed quibus ibi initiis coaluerit, haud facile est disserere. Primus eam intra Hispanias Marcus intulit, Aegypto profectus, Memphi ortus. Hujus auditores fuere Agape quaedam non ignobilis mulier et rhetor Elpidius. Ab his Priscillianus est institutus, familia nobilis, praedives opibus, acer, inquies, facundus, multa lectione eruditus, disserendi ac disputandi promptissimus: felix profecto, si non pravo studio corrupisset optimum ingenium. Prorsus multa in eo animi et corporis bona cerneres: vigilare multum, famem ac sitim ferre poterat: habendi minime cupidus, utendi [0155D] parcissimus. Sed idem vanissimus, et plus justo inflatior profanarum rerum scientia: quin et magicas artes ab adolescentia eum exercuisse creditum est. Is ubi doctrinam exitiabilem aggressus est, multos nobilium pluresque populares auctoritate persuadendi et arte blandiendi allicuit in societatem. Ad hoc mulieres novarum rerum cupidae, fluxa fide, et ad omnia curioso ingenio, catervatim ad eum confluebant: quippe humilitatis speciem ore et habitu praetendens, honorem sui et reverentiam cunctis injecerat. Jamque paulatim perfidiae istius tabes pleraque Hispaniae pervaserat: quin et nonnulli episcoporum depravati; inter quos Instantius et Salvianus Priscillianum non solum consensione, sed sub quadam [0156A] etiam conjuratione susceperant: quoad Hyginus, episcopus Cordubensis, ex vicino agens, comperta ad Idacium Emeritae sacerdotem referret. Is vero sine modo, et ultra quam oportuit, Instantium sociosque ejus lacessens, facem quamdam nascenti incendio subdidit: ut exasperaverit malos potius quam compresserit. XLVII. Igitur post multa inter eos et digna memoratu certamina, apud Caesaraugustam synodus congregatur: cui tum etiam Aquitani episcopi interfuere. Verum haeretici committere se judicio non ausi: in absentes tum lata sententia, damnatique Instantius et Salvianus episcopi, Elpidius et Priscillianus laici. Additum etiam, ut si quis damnatos in communionem recepisset, sciret in se eamdem sententiam [0156B] promendam. Atque id Ithacio Sossubensi episcopo negotium datum, ut decretum episcoporum in omnium notitiam deferret, maximeque Hyginum extra communionem faceret: qui cum primus omnium insectari palam haereticos coepisset, postea turpiter depravatus in communionem eos recepisset. Interim Instantius et Salvianus F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 52 damnati judicio sacerdotum, Priscillianum, etiam laicum, sed principem malorum omnium, una secum Caesaraugustana synodo notatum, ad confirmandas vires suas episcopum in Abilensi oppido constituunt: rati nimirum, si hominem acrem et callidum sacerdotali auctoritate armassent, tutiores fore sese. Tum vero Idacius atque Ithacius acrius instare, arbitrantes posse inter initia malum comprimi; sed parum sanis consiliis [0156C] saeculares judices adeunt, ut eorum decretis atque exsecutionibus haeretici urbibus pellerentur. Igitur post multa et foeda certamina, Idacio supplicante elicitur a Gratiano tum imperatore rescriptum, quo universi haeretici excedere non ecclesiis tantum aut urbibus, sed extra omnes terras propelli jubebantur. Quo comperto, Gnostici diffisi rebus suis, non ausi judicio certare, sponte cessere qui episcopi videbantur: caeteros metus dispersit. XLVIII. At tum Instantius, Salvianus et Priscillianus Romam profecti, ut apud Damasum Urbis ea tempestate episcopum objecta purgarent; sed iter eis praeter interiorem Aquitaniam fuit, ubi tum ab imperitis magnifice suscepti, sparsere perfidiae semina, maximeque Elusanam plebem, sane tum bonam et [0156D] religioni studentem, pravis praedicationibus pervertere. A Burdigala per Delphinum repulsi, tamen in agro Euchrotiae aliquantis per morati, infecere nonnullos suis erroribus. Inde iter coeptum ingressi, turpi sane pudibundoque comitatu, cum uxoribus atque alienis etiam feminis, in queis erat Euchrotia, ac filia ejus Procula: de qua fuit in sermone hominum, Priscilliani stupro gravidam partum sibi graminibus abegisse. Hi ubi Romam pervenere Damaso se purgare cupientes, ne in conspectum quidem ejus admissi sunt. Regressi Mediolanum, aeque adversantem sibi Ambrosium repererunt. Tum vertere consilia, ut (quia duobus episcopis, quorum ea tempestate summa auctoritas erat, non illuserunt) largiendo et [0157A] ambiendo ab imperatore cupita extorquerent. Ita corrupto Macedonio tum magistro officiorum, rescriptum eliciunt, quo calcatis quae prius decreta erant, restitui Ecclesiis jubebantur. Hoc freti Instantius et Priscillianus repetivere Hispanias (nam Salvianus in urbe obierat), ac tum sine ullo certamine Ecclesias quibus praefuerant, recepere. XLIX. Verum Ithacio ad resistendum non animus, sed facultas defuit: quia haeretici corrupto Volventio proconsule vires suas confirmaverant. Quin etiam Ithacius ab his quasi perturbator Ecclesiarum, reus postulatus, jussusque per atrocem exsecutionem deduci, trepidus profugit ad Gallias. Ibi Gregorium praefectum ad iit; qui compertis quae gesta erant, rapi ad se turbarum auctores jubet, ac de omnibus ad imperatorem refert, [0157B] ut haereticis viam ambiendi praecluderet. Sed id frustra fuit, quia per libidinem et potentiam paucorum cuncta ibi venalia erant. Igitur haeretici suis artibus, grandi pecunia Macedonio data, obtinent ut imperiali auctoritate praefecto erepta cognitio Hispaniarum vicario (nam jam proconsulem habere desierant) . . . . . missique a magistro officiales, qui Ithacium tum Treveris agentem ad Hispanias retraherent; quos ille callide frustratur: ac postea per Pritannium episcopum defensus illusit. Jam tum rumor incesserat, Clementem Maximum intra Britannias sumpsisse imperium, ac brevi in Gallias erupturum. Ita tum Ithacius statuit, licet rebus dubiis, novi imperatoris adventum exspectare: interim sibi nihil agitandum. Igitur ubi Maximus oppidum Treverorum [0157C] victor ingressus est, ingerit preces plenas in Priscillianum ac socios ejus invidiae atque criminum. Quibus permotus imperator, datis ad praefectum Galliarum atque ad vicarium Hispaniarum litteris, omnes omnino quos labes illa involverat, deduci ad synodum Burdegalensem jubet. Ita deducti Instantius et Priscillianus: quorum Instantius prior jussus causam dicere, postquam se parum expurgabat, indignus esse episcopatu pronuntiatus est. Priscillianus vero, ne ab episcopis audiretur, ad principem provocavit; permissumque id nostrorum inconstantia, qui aut sententiam in refragantem ferre debuerant, aut si ipsi suspecti habebantur, aliis episcopis audientiam reservare, non causam imperatori de tam manifestis criminibus permittere. Ita omnes quos causa involverat, [0157D] ad regem deducti. L. Secuti etiam accusatores Idacius et Ithacius episcopi: quorum studium in expugnandis haereticis non reprehenderem, si non studio vincendi plus quam oportuit certassent. Ac mea quidem sententia est, mihi tam reos quam accusatores displicere. Certe Ithacium nihil pensi, nihil sancti habuisse definio: fuit enim audax, loquax, impudens, sumptuosus, ventri et gulae plurimum impertiens. Hic stultitiae eo usque processerat, ut omnes etiam sanctos viros, quibus aut studium inerat lectionis, aut propositum erat certare jejuniis, tamquam Priscilliani socios aut discipulos, in crimen arcesseret. Ausus etiam miser est ea tempestate Martino episcopo, [0158A] viro plane Apostolis conferendo, palam objectare haeresis infamiam: namque tum Martinus apud Treveros constitutus, non desinebat increpare Ithacium, ut ab accusatione desisteret; Maximum orare, ut sanguine infelicium abstineret; satis superque sufficere, ut episcopali sententia haeretici judicati Ecclesiis pellerentur; novum esse et inauditum nefas, causam Ecclesiae judex saeculi judicaret. Denique quoad usque Martinus Treveris fuit, dilata cognitio est; et mox discessurus egregia auctoritate a Maximo elicuit sponsionem, nihil cruentum in reos constituendum. Sed postea imperator per Magnum et Rufum episcopos depravatus, et a mitioribus consiliis deflexus, causam praefecto Evodio permisit, viro acri et severo, qui Priscillianum [0158B] gemino judicio auditum, convictumque maleficii, nec diffitentem obscoenis se studuisse doctrinis, nocturnos etiam turpium feminarum egisse conventus, nudumque orare solitum, nocentem pronuntiavit, redegitque in custodiam, donec ad principem referret. Gestis ad palatium delatis, censuit imperator Priscillianum sociosque ejus capitis damnari oportere. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 53 LI. Caeterum Ithacius videns quam invidiosum sibi apud episcopos foret, si accusator etiam postremis rerum capitalium judiciis astitisset (etenim iterari judicium necesse erat), subtrahit se cognitioni: frustra, callido jam scelere perfecto. At tum per Maximum accusator apponitur Patricius quidam, fisci patronus: ita eo insistente Priscillianus capitis [0158C] damnatus est, unaque cum eo Felicissimus et Armenius, qui nuper a catholicis, cum essent clerici, Priscillianum secuti desciverant. Latronianus quoque et Euchrotia gladio perempti. Instantius quem superius ab episcopis damnatum diximus, in Sylinam insulam, quae ultra Britannias sita est, deportatus. Itum deinde in reliquos sequentibus judiciis, damnatique Asarinus et Aurelius diaconus gladio. Tiberianus, ademptis bonis, in Sylinam insulam datus. Tertullus, Potamius et Joannes, tamquam viliores personae et digni misericordia, quia ante quaestionem se ac socios prodidissent, temporario exsilio intra Gallias relegati. Hoc fere modo homines luce indignissimi, pessimo exemplo, necati aut exsiliis mulctati: quod initio jure judiciorum et [0158D] egregio publico defensum, postea Ithacius in jurgiis solitus, ad postremum convictus, in eos retorquebat, quorum id mandato et consiliis effecerat, solus tamen omnium episcopatu detrusus: nam Idacius, licet minus nocens, sponte se episcopatu abdicaverat: sapienter id et verecunde, nisi postea amissum locum repetere tentasset. Caeterum Priscilliano occiso non solum non repressa est haeresis, quae illo auctore proruperat, sed confirmata, latius propagata est: namque sectatores ejus, qui eum prius ut sanctum honoraverant, postea ut martyrem colere coeperunt. Peremptorum corpora ad Hispanias relata, magnisque obsequiis celebrata eorum funera. Quin et jurare per Priscillianum summa religio putabatur. [0159A] Ac inter nostros perpetuum discordiarum bellum exarserat, quod jam per quindecim annos foedis dissensionibus agitatum, nullo modo sopiri poterat. Et nunc, cum maxime discordiis episcoporum turbari aut misceri omnia cernerentur, cunctaque per eos odio aut gratia, metu, inconstantia, [0160A] invidia, factione, libidine, avaritia, arrogantia, somno, desidia essent depravata: postremo plures adversum paucos bene consulentes, insanis consiliis et pertinacibus studiis certabant: inter haec plebs Dei et optimus quisque probro atque ludibrio habebatur. Traduzione Sulpicio Severo P. Oros., comm., 2. Orosio. ad Agostino su Priscilliano [Migne] 2. Priscillianus, primum in eo Manichaeis miserior, quod ex veteri quoque Testamento haeresim confirmavit, docens animam quae a Deo nata sit, de [1213B] quodam promptuario procedere, profiteri ante Deum se pugnaturam, instrui [b [1213D] Ita Vaticani mss. At editi, adoratu.] adhortatu angelorum: dehinc descendentem per quosdam circulos a principatibus malignis capi, et secundum voluntatem victoris principis in corpora diversa contrudi, eisque ascribi chirographum. Unde et Mathesim praevalere firmabat, asserens quod hoc chirographum solverit Christus, et affixerit cruci per passionem suam: sicut ipse Priscillianus in quadam epistola sua dicit: «Haec prima sapientia est, in animarum typis divinarum virtutum intelligere naturas, et corporis dispositionem. In qua obligatum coelum videtur et terra, omnesque principatus saeculi videntur astricti sanctorum dispositiones superare. Nam primum Dei circulum et mittendarum [1213C] in carne animarum divinum chirographum, angelorum et Dei et omnium animarum consensibus fabricatum patriarchae tenent, [c [1213D] Sola editio Lov., quae.] qui contra formalis militiae opus possident:» et reliqua. Tradidit autem nomina patriarcharum membra esse animae, eo quod esset Ruben in capite, Juda in pectore, Levi in corde, Benjamin in femoribus: et similia. Contra autem in membris corporis, coeli signa esse disposita, id est, arietem in capite, taurum in cervice, geminos in brachiis, cancrum in pectore, etc. Volens subintelligi tenebras aeternas, et ex his principem mundi processisse. Et hoc ipsum confirmans ex libro quodam, qui inscribitur Memoria apostolorum, ubi Salvator interrogari a discipulis videtur secreto, et ostendere, quia de parabola evangelica [1213D] quae habet: Exiit seminans seminare semen suum (Matth. XIII, 46) , non fuerit seminator bonus: asserens, quia si bonus fuisset, non fuisset negligens; [1214A] non vel secus viam, vel in petrosis, vel in incultis jaceret semen: volens intelligi hunc esse seminantem, qui animas captas spargeret in corpora diversa quae vellet. Quo etiam in libro de principe humidorum et de principe ignis plurima dicta sunt, volens intelligi, arte, non potentia Dei, omnia bona agi in hoc mundo. Dicit enim esse virginem quamdam lucem, quam Deus, volens dare pluviam hominibus, principi humidorum ostendat: qui dum eam apprehendere cupit, commotus consudet, et pluviam faciat, et destitutus ab ea, mugitu suo tonitrua concitet. Trinitatem autem solo verbo loquebatur: nam unionem absque ulla existentia aut proprietate asserens, sublato [d [1213D] In Vaticanis mss., sublato et Patre, Filium, etc.] et, Patrem, Filium, et Spiritum sanctum, hunc esse unum Christum dicebat. Traduzione Orosio F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 54 Cf. anche Sulp. , Dialogi III, 11-12; [Migne] Vere, iste Christi discipulus, gestarum a Salvatore virtutum, quas in exemplum sanctis suis edidit, aemulator, Christum in se monstrabat operantem, qui sanctum suum usquequaque glorificans, diversarum munera gratiarum in unum hominem conferebat. Testatur Arborius ex praefecto, vidisse se Martini manum sacrificium offerentis, vestitam quodammodo nobilissimis gemmis, luce micare purpurea, et ad motum dextrae collisarum inter se fragorem audisse gemmarum. XI. Veniam ad illud quod propter notam temporum semper occultavit; sed nos celare non potuit: in quo illud est miraculi, quod facie ad faciem cum eo est angelus collocutus. Maximus imperator, [0217D] alias sane bonus, depravatus consiliis sacerdotum, post Priscilliani necem Ithacium episcopum Priscilliani accusatorem caeterosque illius socios, quos nominari non est necesse, vi regia tuebatur, ne quis ei crimini daret, opera illius cujuscumquemodi hominem fuisse damnatum. Interea Martinus multis gravibusque laborantium causis ad comitatum ire compulsus, procellam ipsam totius tempestatis incurrit. Congregati apud Treveros episcopi tenebantur, qui quotidie communicantes Ithacio communem sibi causam fecerant. His ubi nuntiatum est inopinantibus adesse Martinum, totis animis labefacti mussitare et trepidare coeperunt. Et jam pridie imperator ex eorum sententia decreverat, [0218A] tribunos summa potestate armatos ad Hispanias mittere, qui haereticos inquirerent: deprehensis vitam et bona adimerent. Nec dubium erat, quin sanctorum etiam maximam turbam tempestas ista depopulata esset, parvo discrimine inter hominum genera; etenim tum solis oculis judicabatur, cum quis pallore potius aut veste, quam fide haereticus aestimaretur. Haec nequaquam placitura Martino episcopi sentiebant: sed male consciis illa vel molestissima erat cura, ne se ab eorum communione adveniens abstineret, non defuturis qui tanti viri constantiam praemissa auctoritate sequerentur. Ineunt cum imperatore consilium, ut missis obviam Magistri officialibus urbem illam propius vetaretur accedere, nisi se cum pace episcoporum ibi consistentium [0218B] adfore fateretur. Quos ille callide frustratus profitetur, se cum pace Christi esse venturum. Postremo ingressus nocturno tempore, adiit ecclesiam tantum orationis gratia: postridie palatium petit. Praeter multas, quas evolvere longum est, has principales petitiones habebat: pro Narsete comite, et Leucadio praeside, quorum ambo Gratiani partium fuerant, pertinacioribus studiis, quae non est hujus temporis explicare, iram victoris emeriti. Illa praecipua cura, ne tribuni cum jure gladiorum ad Hispanias mitterentur: pia enim erat sollicitudo Martino, ut non solum Christianos qui sub illa erant occasione vexandi, sed ipsos etiam haereticos liberaret. Verum primo die atque altero suspendit hominem callidus imperator, sive ut rei pondus imponeret, [0218C] sive quia nimis sibi implacabilis erat, seu quia, ut plerique tum arbitrabantur, avaritia repugnabat: siquidem in bona eorum inhiaverat. Fertur enim ille vir multis bonisque actibus praeditus, adversus avaritiam parum consuluisse: nisi fortasse regni necessitate, quippe exhausto superioribus principibus reipublicae aerario, pene semper in expeditione atque procinctu bellorum civilium constitutus, facile excusabitur, quibuslibet occasionibus subsidia imperio paravisse. XII. Interea episcopi quorum communionem Martinus non inibat, trepidi ad regem concurrunt, praedamnatos se conquerentes: actum esse de suo omnium statu, si Theognisti pertinaciam, qui eos solus palam lata sententia condemnaverat, Martini armaret [0218D] auctoritas: non oportuisse hominem recipi moenibus, illum jam non defensorem haereticorum esse, sed vindicem: nihil actum morte Priscilliani, si Martinus exerceat illius ultionem. Postremo prostrati cum fletu et lamentatione potestatem regiam implorant, ut utatur adversus unum hominem vi sua. Nec multum aberat, quin cogeretur imperator Martinum cum haereticorum sorte miscere. Sed ille, licet episcopis nimio favore esset obnoxius, non erat nescius, Martinum fide, sanctitate et virtute cunctis praestare mortalibus: alia longe via sanctum vincere parat: ac primo secreto accersitum blande appellat: haereticos jure damnatos more judiciorum publicorum potius quam insectationibus sacerdotum; non [0219A] esse causam, qua Ithacii caeterorumque partis ejus communionem putaret esse damnandam; Theognistum odio potius quam causa fecisse discidium; eumdemque tamen solum esse qui se a communione interim separarit, a reliquis nihil novatum; quin etiam ante paucos dies habita synodus Ithacium pronuntiaverat culpa non teneri. Quibus cum Martinus parum moveretur, rex ira accenditur, ac se de conspectu ejus abripuit: et mox percussores his pro quibus Martinus rogaverat, diriguntur. Traduzione Sulpicio Sulpic., Vita Martini 16 e 20. [Migne] XVI. Curationum vero tam potens in eo gratia erat, ut nullus fere ad eum aegrotus accesserit, qui non continuo receperit sanitatem: quod vel ex consequenti liquebit exemplo. Treveris puella quaedam dira F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 55 paralysis aegritudine tenebatur, ita ut jam per multum tempus nullo ad humanos usus corporis officio fungeretur: omni ex parte praemortua, vix tenui spiritu palpitabat. Tristes ad solam funeris exspectationem assistebant propinqui, cum subito nuntiatur ad civitatem illam venisse Martinum. Quod ubi pater puellae comperit, cucurrit exanimis, pro filia rogaturus. Et forte Martinus jam Ecclesiam fuerat ingressus. Ibi inspectante populo multisque aliis episcopis praesentibus, ejulans senex genua ejus amplectitur, dicens: Filia mea moritur misero [0169C] genere languoris, et quod ipsa est morte crudelius, solo spiritu vivit, jam carne praemortua; rogo ut eam adeas, atque benedicas, confido enim quod per te reddenda sit sanitati. Qua ille voce confusus obstupuit, et refugit dicens: Hoc suae non esse virtutis; senem errare judicio; non esse se dignum, per quem Dominus signum virtutis ostenderet. Perstare vehementius flens pater, et orare ut exanimem visitaret. Postremo a circumstantibus episcopis ire compulsus descendit ad domum puellae. Ingens turba pro foribus exspectabat quidnam Dei servus esset facturus. Ac primum, quae erant illius familiaria in istiusmodi rebus arma, solo prostratus oravit; deinde aegram intuens dari sibi oleum postulat; quod cum benedixisset, in os puellae vim sancti liquoris infudit, [0169D] statimque vox reddita est. Tunc paulatim singula contactu ejus coeperunt membra viviscere, donec firmatis gressibus, populo teste, surrexit. XX. Atque ut minora tantis inseram (quamvis, ut est nostrorum aetas temporum, quibus jam depravata omnia atque corrupta sunt, pene praecipuum sit, adulationi regiae sacerdotalem non cessisse constantiam): [0171B] cum ad imperatorem Maximum, ferocis ingenii virum et bellorum civilium victoria elatum, plures ex diversis partibus episcopi convenissent, et foeda circa principem omnium adulatio notaretur, seque degeneri inconstantia regiae clientelae sacerdotalis dignitas subdidisset, in solo Martino apostolica auctoritas permanebat: nam et si pro aliquibus supplicandum regi fuit, imperavit potius quam rogavit: et a convivio ejus frequenter rogatus abstinuit, dicens, se mensae ejus participem esse non posse, qui duos imperatores, unum regno, alterum vita expulisset. Postremo, cum Maximus se non sponte sumpsisse imperium affirmaret, sed impositam sibi a militibus divino nutu regni necessitatem armis defendisse; et non alienam ab eo Dei voluntatem videri, [0171C] penes quem tam incredibili eventu victoria fuisset, nullumque ex adversariis nisi in acic occubuisse; tandem victus vel ratione vel precibus, ad convivium venit; mirum in modum gaudente rege, quod id impetrasset. Convivae autem aderant, veluti ad diem festum evocati, summi atque illustres viri, praefectus idemque consul Evodius, vir quo nihil umquam justius fuit; Comites duo summa potestate praediti, frater regis et patruus: medius inter hos Martini presbyter accubuerat: ipse autem sellula juxta regem posita consederat. Ad medium fere convivium, ut moris est, pateram regi minister obtulit. Ille sancto admodum episcopo potius dari jubet, exspectans atque ambiens, ut ab illius dextera poculum sumeret; sed Martinus ubi ebibit, pateram presbytero suo tradidit, [0171D] nullum scilicet existimans digniorem qui post se prior biberet, nec integrum sibi fore, si aut regem ipsum aut eos qui a rege erant proximi, presbytero praetulisset. Quod factum imperator omnesque qui tunc aderant, ita admirati sunt, ut hoc ipsum eis, in quo contempti fuerant, placeret: celeberrimumque per omne palatium fuit; fecisse Martinum in regis prandio quod in infirmorum judicum conviviis episcoporum nemo fecisset; eidemque Maximo longe ante praedixit futurum, ut si ad Italiam pergeret, quo ire cupiebat, bellum Valentiniano imperatori inferens, sciret se primo quidem impetu futurum esse victorem, sed parvo post tempore esse periturum. Quod quidem ita vidimus: nam primo adventu ejus Valentinianus [0172A] in fugam versus est: deinde post annum fere resumptis viribus, captum intra Aquileiae muros Maximum interfecit. Traduzione Sulpicio Letture critiche - S. Pricoco, Il priscillianismo Intorno al 370-375 un aristocratico spagnolo, Priscilliano, cominciò a predicare nella Spagna meridionale una dottrina ascetica di grande rigore. Sulpicio Severo, che ne è la fonte più ricca e visse da vicino, se non direttamente, il dramma priscillanista, lo descrive come un uomo ricchissimo, molto colto ed eloquente, ma assai fatuo e troppo gonfio della sua cultura profana (vanissimus et plus iusto inflatior profanarum rerum scientia), e aggiunge che la sua predicazione ottenne successo sia tra i nobili che tra il popolo, in particolare tra le donne, che accorrevano in massa, catervatim, attratte, oltre che dalla novità, dalla sua ostentata umiltà e dalla naturale riverenza che egli ispirava. Quando Priscilliano, fatti proseliti, oltre che nella Spagna, anche nella Gallia meridionale, attrasse anche dei vescovi, il suo successo preoccupò le gerarchie ecclesiastiche e nell'ottobre 380 un sinodo ispano-aquitano riunito a Saragozza sconfessò il movimento e condannò Priscilliano e i due vescovi che lo avevano seguito, Istanzio e Salviano. I suoi avversari, i più agguerriti dei quali erano i vescovi Idazio di Merida e Itacio di Ossonuba, si rivolsero all'imperatore Graziano e ottennero F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 56 che in un decreto contro i manichei venissero coinvolti anche i priscillianisti. Priscilliano si fece ordinare dai vescovi suoi fautori vescovo di Avila, nella Lusitania, e continuò la sua battaglia. Venne in Italia a chiedere appoggio sia a papa Damaso che ad Ambrogio, senza riuscirci, ma ottenne che venisse annullato il decreto di Graziano e che fosse arrestato il suo più accanito oppositore, Itacio. Ma poco dopo, morto Graziano, Itacio accusò Priscilliano presso l'usurpatore Massimo, a Treviri, e lo convinse a convocare un nuovo sinodo a Bordeaux, nel 384. Nuovamente condannato come manicheo, Priscilliano si appellò a Massimo e accettò di presentarsi al processo a Treviri. Qui le accuse di eresia diventarono accuse di magia e Priscilliano, attaccato implacabilmente dai suoi avversari di sempre, Itacio e Idazio, fu trovato colpevole di maleficium. Massimo, cattolico devoto e interessato a dar prova di fedeltà all'ortodossia, consigliato da vescovi spagnoli e gallici, lo condannò a morte assieme ai suoi seguaci più in vista. Per alcuni la pena capitale fu commutata, Istanzio e altri furono esiliati, ma Priscilliano ed Eucrozia, una ricca proprietaria dell'Aquitania che lo aveva seguito dall'inizio, furono giustiziati. Fu vana l'intercessione presso Massimo di Martino di Tours, accorso due volte a Treviri, prima e dopo la conclusione del processo, nei primi mesi e nell'autunno del 385. Era la prima volta che un eretico veniva messo a morte per le sue dottrine e che la decisione veniva presa ed eseguita dal braccio secolare; era - come hanno giudicato molti storici moderni - il precorrimento di uno stile medievale, che sanzionava l'ingresso nelle questioni ecclesiastiche e religiose di una politica di violenza e di sanIgue. I; esito sanguinoso suscitò sconcerto e reazioni negli ambienti cristiani; gli accusatori furono disapprovati anche da Ambrogio e dal nuovo papa, Siricio; molti vescovi della Gallía ruppero i rapporti con loro e alla fine Itacio fu deposto e Idazio si dimise spontaneamente. Il priscillianismo sopravvisse a lungo al suo fondatore; nel 400 il concilio di Toledo condannò esplicitamente come eresia la sectra Prascilliani e ancora nel 563 il movimento era vitale se un concilio tenuto a Braga in quell'anno emise una nuova condanna. Probabilmente la fine per mano del carnefice, facendo di Priscilliano un martire, contribuì alla fortuna della setta, alla quale invece è difficile attribuire una precisa e solida base dottrinale. Questa non emerge con chiarezza dalle testimonianze dei contemporanei né dalle confutazioni che ne fecero Orosio e Agostino. Gli otto rapidi canoni o sententaàe del concilio di Saragozza del 380, che vietano (senza nominare esplicitamente Priscilliano, ma riferendosi senza dubbio a lui) la promiscuità delle riunioni, talune pratiche di digiuno, il ritiro in luoghi solitari, di camminare a piedi scalzi, di attribuirsi i l titolo di maestro e cose simili, fanno pensare a un ascetismo eccentrico e fanatico, spoglio di contenuti di pensiero innovatori. Gli anatemi del sinodo di Toledo accrescono i connotati eterodossi del movimento e lo accusano di tendenze sabelliane, docetiste, encratite, di sopravvalutare gli apocrifi, di praticare l'astrologia. Sulpicio Severo definisce il priscillianismo un'eresia gnostica, infamis Gnosticorum haeresis, e ne attribuisce le prime origini a un egiziano di Memfi, Marco, del quale Priscillia no sarebbe stato originariamente discepolo; Girolamo conferma che l'accusa mossa era quella di gnosticismo, ma appare nutrire dubbi sulla reale natura eretica della dottrina di Priscilliano. Una compiuta e sicura ricostruzione di questa non è stata resa possibile neanche dai ritrovamenti moderni di scritti attribuiti al circolo priscillianista (i più importanti dei quali sono gli undici trattati ritrovati nel 1885 in un manoscritto di Wurzburg, anonimi, ma attribuibili con certezza all'ambiente, e probabilm ente a un unico autore), sia perché pongono problemi di attribuzione, sia perché si tratta di testi o apologetici (come i primi e più lunghi dei trattati di Wúrzburg), che mirano a presentare il movimento come perfettamente ortodosso, o liturgici o, ancora, di esegesi scritturistica piuttosto anodina e complessivamente corretta. In definitiva, l'opposizione al priscillianismo, assai più che uno scontro tra ortodossia ed eresia, fu uno degli episodi della lotta ingaggiata in Occidente dalle gerarchie ecclesiastiche contro la versione spirituale del monachesimo e il fascino dei modelli orientali. La chiesa accusò il priscillianismo di errori gnostici, sabelliani, manichei e, più tardi, pelagiani, in realtà ne temette gli aspetti individualistici, carismatici, elitari e lo combatté secondo il suo generale disegno di dare al moto monastico ordinamenti rigidi e farne una società al suo servizio. S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, L'antichità, a cura di Filoramo e Menozzi, Laterza 1997, pp. 318-320. ' Girolamo, De virz's zllustribus 121. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 57 Bibliografia Edizioni Trinità della fede cattolica, PL Migne Supplementum, 2. Cambridge 2, 769 dà indicazione per G. Schepps, Priscilliani quae supersunt, Wien 1889 (CSEL), pp. 151-57, in merito a un Commonitorium de errore Priscillianorum et Origenistarum di Paolo Orosio. Tractatus, Canones – ed. G. Schepss 1889, CSEL Vol. 18 Studi H. Chadwick, Priscillian of Avila, Oxford, Clarendon, 1976. ICCU per Soggetto Burrus, Virginia, The making of a heretic: gender, authority, and the priscillianist controversy / Virginia Burrus, Berkeley [etc.]: University of California Press, c1995, The transformation of the classical heritage Chadwick, Henry, Priscillian of Avila: the occult and the charismatic in the early church / Henry Chadwick, Oxford: Clarendon press, 1976 Priscilliani Quae supersunt / maximam partem nuper detexit adiectisque commentariis criticis et indicibus primus edidit Georgius Schepss; accedit Orosii Commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum , Pragae; Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1889, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 18 Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Orosii Commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum. Priscilliani quae supersunt / maximam partem nuper detexit adiectisquecommentariis criticis et indicibus primus edidit Georgius Schepss; acceditOrosii commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum, Mediolani [etc.]: Ulricus Hoeplius, 1889 , Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum.Nova Series; 3 Paret, Friedrich, Priscillianus: ein Reformator des vierten Jahrhunderts: eine kirchengeschichtliche Studie zugleich ein Kommentar zu den erhaltenen Schriften Priscillians / von Friedrich Paret Wurzburg: Stuber, 1891 Edling, Ernst Gustaf, Priscillianus och den aldre Priscillianismen: Akademisk Afhandling .. Upsala: [s.n.], 1902 Conte 523, niente Treccani. Moreschini_Norelli, pp. 407-10. Priscillianismo. (inizio) Un'eresia del IV secolo capeggiata dallo spagnolo Priscilliano, predicatore e già vescovo di Avila. Questa eresia dualistica mutuava elementi dallo Gnosticismo e dal Manicheismo e seguiva le tendenze sabelliane nell'interpretare « Padre », « Figlio » e « Spirito Santo » come tre puri modi o aspetti, cioè, tre maniere di considerare lo stesso Dio. La reazione a questa eresia accelerò gli sviluppi della dottrina trinitaria e la Spagna fu la prima nazione cattolica a fare uso del « Filioque » nella sua professione di fede. Nel 386, nonostante le proteste di san Martino di Tours (morto nel 397), Priscilliano fu messo a morte dalle autorità civili di Treviri (cf DS 188‑ 208, 283‑ 286, e 451‑ 464; FCC 3.001, 3.003, 3008, 5.006, 6.019‑ 6.023). Cf Dualismo; Gnosticismo; Manicheismo; Modalismo; Patripassianismo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 58 L'eresia di Pelagio L'eresia di Pelagio si sviluppò notevolmente nella prima parte del V secolo. Pelagio era un monaco di origini britanniche, attivo però a Roma nei primi anni del secolo, dove fu in rapporti stretti con molti scrittori cristiiani del tempo tra cui Paolino da Nola. Ciò che rese sostanzialmente inevitabile lo scontro con la Chiesa ortodossa, in particolare con S.Agostino, fu la teoria che le opere buone da sole possono far meritare il paradiso: in questo modo nel conseguimento della gioia eterna veniva a perdere valore non solo il ruolo della grazia, divina ma anche quello di mediazione della Chiesa. Il pelagiaesimo nasce sulla base delle questioni origeniste che si dibattevano a Roma nei primi decenni del secolo, specie tra Gioviniano e Girolamo: Pelagio diede una relativa unità a tesi come la negazione del peccato originale, quella del traducianesimo del peccato di Adamo, a posizioni particolari circa il battesimo dei bambini e, come già rilevato, nell’intendere la grazia di Dio. Tali questioni suscitarono, soprattutto quando esportate in ambiente africano, a contatto con la forte personalità di Agostino e con le soluzioni ecclesiologiche e sacramentarie in fase di definizione contro donatisti e traducianesimo, una vasta eco e una decisa reazione antieretica concretizzatasi con una prima condannna sinodale nel 411, seguita da altre, nel 417, nel 418, nel 431, fino a dopo la morte di Donato stesso ??, nel 529 ??. Le maggiori adesioni al pelagianesimo si ebbero tra le fila dell'aristocrazia e nel monachesimo, naturalmente interessate a forme di ascesi indipendenti dalla Chiesa ufficiale. Geograficamente il pelagianesimo si diffuse in Italia, a Roma, in Sicilia (Siracusa), in Campania (Nola ed Eclano), in Veneto (Aquileia), ma anche in Gallia, in Britannia e in Africa. In Oriente, specie a Gerusalemme, riscosse le maggiori adesioni. Da Pelagio ha tratto nome una serie di autori dalle posizioni dottrinali e dalle opere assai diverse; i più rappresentativi possono considerarsi Celestio (vedi) e Giuliano di Eclano (vedi). Alcuni propongono una periodizzazione del pensiero pelagiano in tre fasi: a) prima del 411, cioè anteriore alla prima condanna, b) dal 411 al 418, cioè dalla condanna di Celestio alla lettera Tractoria di papa Zosimo, c) dopo il 418: questa fase viene indicata da qualcuno come semipelagianesimo. Letture critiche - S. Pricoco, Il pelagianesimo e il semipelagianesimo Ancor più di quella su Origene, la controversia che nell'Occidente (assai meno in Oriente) mobilitò i cristiani fu quella sul libero arbitrio e la grazia e sulle questioni di antropologia e soteriologia che si legavano a questo tema. Ne furono protagonisti da una parte Pelagio, un monaco di origine britannica e di buona cultura, dall'altra Agostino, il grande vescovo di Ippona. Nato inrorno alla metà del IV secolo, verso il 385 Pelagio venne a Roma, vi ricevette il battesimo e vi si stabilì per qualche tempo con un suo discepolo irlandese, Celestio, conquistandosi un grande ascendente per il rigore ascetico della sua vita e l'opera sapiente di direttore spirituale. Si legò alle grandi famiglie romane e trovò i suoi patroni nella potente gens Anicia, nel presbitero Sisto, che poi sarebbe stato papa, in Paolino di Nola e nella cerchia di aristocratici che gli erano vicini. Forse fu nella biblioteca di Paolino che ebbe modo di leggere gli scritti antimanichei di Agostino. A Roma compose il commento alle lettere di san Paolo (Expositiones tredecim epístularum Pauli); richiestone, scrisse per una fanciulla della casa Anicia che aveva deciso di votarsi alla verginità consacrata quella Epistula ad Demetriadem che costituisce «il suo manifesto più pensato» (P Brown): sono due dei pochi scritti che si possono assegnare con sicurezza a Pelagio tra i molti attribuiti confusamente a lui e ai suoi discepoli. Nel 410 Pelagio lasciò Roma minacciata da Alarico e si rifugiò in Africa. Qui le sue tesi trovarono l'opposizione crescente di Agostino e suscitarono la prima condanna ufficiale in un sinodo del 411, nel quale venne interrogato e condannato Celestio. Spostatosi in Palestina, Pelagio fu attaccato da Girolamo, ma trovò appoggio in Giovanni di Gerusalemme, e nel 415 un sinodo di Diospoli, riunito sotto la presidenza del F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 59 metropolita di Cesarea, lo riabilitò. Ma la sua dottrina venne nuovamente condannata in due sinodi africani e poi, nel 417, da papa Innocenzo (402-417), il quale, sollecitato da Agostino, definì inaccettabili le tesi di Pelagio e Celestio e decretò che essi sarebbero stati scomunicati se avessero persistito nei loro errori. Tuttavia, l'anno successivo questo orientamento fu ribaltato dal nuovo papa, il greco Zosimo (417-418), il quale, prestando fede a nuove dichiarazioni di Pelagio e Celestio, giustificò le loro tesi e sconfessò le decisioni africane. A questo punto, traendo occasione dai disordini scoppiati a Roma all'arrivo di Celestio, intervenne l'imperatore Onorio. Un editto dell'aprile 418 bandì da Roma Pelagio e Celestio e ne condannò la dottrina come superstitio; nel contempo un sinodo tenuto a Cartagine riconfermò le precedenti condanne degli africani. Il mese dopo anche Zosimo si allineò e in una lunga enciclica detta Epistula tractoria formulò la definitiva condanna del pelagianesimo. Accolta quasi da tutti, l'enciclica non fu sottoscritta da diciotto vescovi italiani, i quali furono prontamente esiliati da Onorio. Tra loro era Giuliano di Eclano, che si rivelò il più appassionato e sistematico tra i fautori di Pelagio e scrisse, attaccando duramente Agostino, specialmente sul peccato originale e la concupiscenza. I pelagiani esiliati si rifugiarono in Oriente. Nel 430 un decreto di Teodosio II li cacciò da Costantinopoli. Pelagio, espulso dalla Palestina, andò a morire forse in un monastero egiziano. Il dibattito continuò ancora, specialmente in Occidente, e le teorie pelagiane o che tali sembrarono furono condannate in diversi sinodi: nel 431 a Efeso; all'inizio del V secolo in una epistola sinodica dei vescovi africani esiliati in Sardegna dal re vandalo Trasamondo; nel 529 dal secondo concilio di Orange, presieduto da Cesario di Arles. L'incerta attribuzione degli scritti rende difficile la ricostruzione puntuale del pensiero di Pelagio e il suo svolgersi nel tempo. Nelle grandi linee, il pelagianesimo invitava l'uomo a impegnarsi nella ricerca continua della perfezione, nella lotta incessante contro il peccato, credendo nella libertà che il Creatore gli ha concesso e fidando ottimisticamente nella propria capacità di conseguire gli ideali morali del Vangelo e di raggiungere uno stato di impeccantaà. L'esaltazione del «perfezionismo» e la rivalutazione della responsabilità dell'uomo e del libero arbitrio si scontravano con i temi del peccato originale, che si negava fosse stato trasmesso da Adamo a tutti i suoi discendenti, dell'elezione e della predestinazione, della grazia soprannaturale e sembravano richiamare pericolosamente le dottrine pagane e stoiche della morale naturale. Ammettere che il peccato di Adamo abbia nuociuto a lui solo, non a tutto il genere umano, conduceva a rifiutare il battesimo degli infanti e a ritenere che la morte di un bambino non battezzato non comporti la perdita della vita eterna, a sostenere che anche prima della venuta di Cristo ci fossero stati uomini senza peccati e che anche la legge mosaica potesse condurre al paradiso come il Vangelo: significava, dunque, sminuire l'alta importanza che il cristianesimo attribuisce all'opera redentrice del Salvatore. Contro queste dottrine insorse Agostino, che alla polemica contro Pelagio dedicò i suoi ultimi decenni di vita e alcuni dei suoi scritti maggiori. Profondamente convinto della indegnità dell'uomo in seguito al peccato originale e della sua incapacità di operare il bene e salvarsi senza l'aiuto divino, Agostino concesse all'uomo come unica libertà quella di sottomettersi a Dio, irrigidì il concetto della grazia - dalla quale unicamente deriva la salvezza - e della predestinazione e sostenne che gli uomini sono destinati a perdersi, massa damnationis, e che solo pochi eletti si salveranno, predestinati secondo l'imperscrutabile giudizio divino. In un primo scritto sul peccato e il battesimo dei bambini (De peccatorum merit??s et remissione et de baptismo parvulorum), redatto nel 412, egli indicò quanto la dottrina morale dei pelagiani minacciasse verità fondamentali della fede in Cristo e delineò la sua dottrina sulla redenzione, il peccato originale, la grazia; in scritti successivi, talvolta nati come epistole in risposta a quesiti che gli erano stati posti, affrontò punti specifici o controbatté scritti pelagiani (come il De natura et gratia, redatto in risposta a un De natura pelagiano). Con grande impegno rispose a Giuliano di Eclano e all'accusa di negare il matrimonio. I sei libri del Contra Iulianum sono tra le elaborazioni più alte di tutta la controversia pelagiana. Altri scritti Agostino dedicò agli ambienti monastici, nei quali creavano disagio e resistenze talune sue radicali posizioni, mentre suscitavano approvazione la considerazione ottimistica di Pelagio della natura umana e il suo appello alla volontà d'azione dell'uomo. Si riluttava a credere nella predestinazione e nella limitazione dell'universalità della vocazione divina; riusciva penoso a monaci impegnati nella pratica quotidiana dell'ascesi negare la partecipazione della volontà all'opera della salvezza e il merito delle virtù pragmatiche. Negli ultimi anni della sua vita il vescovo di Ippona indirizzò ai monaci di Adrumeto i fondamentali trattati De gratia et libero arbitrio e De correptione et gratia; ai monaci della Provenza destinò il De praedestinatione sanctorum e il De dono perseverantiae. Queste correnti sono state giudicate spesso eterodosse e definite, per distinguerle dagli errori più radicali dei pelagiani, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 60 «semipelagiane»: espressione, cioè, di una dottrina compromissoria, fatta di proposizioni pelagiane attenuate o camuffate. Di questa eresia dissimulata sono stati trovati infetti in particolare í monaci provenzali di Marsiglia e di Lérins, e dunque i massimi rappresentanti della cultura ecclesiastica occidentale nel V secolo, come Cassiano, Ilario d'Arles, Vincenzo di Lérins, Fausto di Riez, Salviano di Marsiglia. In realtà, «semipelagianesimo» è un termine che non ricorre nei testi antichi, ma fu coniato negli ultimi anni del XVI secolo e divenne comune nel successivo. Né l'antiagostinismo degli scrittori provenzali fu una ripresa dell'eresia pelagiana, da questa diversa solo per la moderazione di alcune tesi e la prudenza dei sostenitori. Di fatto, nei loro scritti non solo non si scorge nessuna reale collusione con il pensiero pelagiano, ma questo viene sempre criticato e rifiutato (come nel De gratia di Fausto di Riez, che si apre con una convinta ripulsa della dottrina di Pelagio) e accade anche di trovare Pelagio e Celestio bollati come eretici e posti (per esempio, nel Commonitorium di Vincenzo di Lérins) nel catalogo degli eresiarchi più infausti, come Ario, Nestorio, Sabellío, Novaziano e Priscilliano. L'estraneità di questi ambienti al pelagianesimo esce confermata anche dall'atteggiamento delle gerarchie eccl esiastiche. Papa Celestino I (422-432), che fu zelante persecutore dell'eresia, pur sollecitato da troppo appassionati e interessati fautori delle tesi agostiniane (come Prospero di Aquitania), non credette di intervenire e in una lettera inviata ai vescovi della Gallia si limitò a generiche esortazioni alla prudenza, senza un solo cenno a temute deviazioni pelagiane. In definitiva, il cosiddetto «semipelagianesimo» non fu che una forma di resistenza contro le tesi più radicali del grande «dottore della gra zia». Cassiano e Fausto non attaccano mai Agostino, ma ne considerano le tesi con costante cautela e rispetto. A discuterle li spinge la convinzione di essere loro i custodi della genuina tradizione cristiana. Era questa - essi affermavano - a concedere che l'uomo potesse per sua natura tendere con la volontà alla fede e all'insieme di sentimenti e di atti che essa provoca - la preghiera, la contrizione, il desiderio e la speranza della vita eterna - e potesse, messo in presenza del Vangelo, dare inizio all'opera della salvezza e con l'aiuto divino perfezionarla mediante la pratica della virtù. S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, L'antichità, a cura di g: Filoramo e D. Menozzi, Laterza 1997, pp. 335-339. Bibliografia ICCU per Soggetto? Pelagio Cenni biografici Nacque intorno al 360, altri dice verso il 354, in Britannia, secondo alcuni Irlanda, verosimilmente da funzionari romani immigrati. Dal 390 circa (altri sostiene tra il 380 e il 384, altri ancora tra il 375 e il 380) è a Roma, ereditando in qualche modo, presso le grandi famiglie, la posizione di prestigio culturale e spirituale che era stata poco prima di Girolamo, suscitandone il risentimento. Ci appare nell'ambiente romano un fervido sostenitore della continenza e della povertà, più che un'intelligenza in materia teologica e dottrinale. Gli furono discepoli Celestio (vedi) e Rufino di F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 61 Siria, con i quali si confrontò su materie quali la predestinazione e il libero arbitrio ben prima di scontrarsi pubblicamente con Agostino nel 402. Nel 410, dopo la caduta di Roma, si rifugiò in Africa, a Cartagine, dove nel 411 si ebbe una prima condanna. Pelagio quindi partì per Gerusalemme. Qui, nel 415, il vescovo Giovanni lo difese dalle accuse mossegli da Orosio e da altri esuli latini; sempre qui si ripropose lo scontro tra fautori di Origene, di cui Pelagio era capofila, e antiorigenisti, capeggiati da Girolamo. Innocenzo I condannò Pelagio e Celestio; morì nel 417 e gli successe Zosimo, che scagionò i due, ma a Ravenna si ebbe un rescritto di condanna nel 418, un secondo nello stesso anno, con cui il pelagianesimo è considerata superstitio; tale fermezza imperiale convinse anche il papa. Del 418 è la Tractoria (lettera circolare) di Papa Zosimo, con cui si chiede a tutti i vescovi occidentali e orientali di rispettare la decisione del predecessore Innocenzo I. Giuliano di Eclano non la sottoscrive e viene condannato. In Africa, a Cartagine, nel 418 nuovo concilio ribadisce la condanna del 411 Segue nel 419 un rescritto imperiale di Onorio. Dopo questa data Giuliano si spostò in Oriente, Pelagio in Egitto. Nel 425 un nuovo rescritto di Valentiniano III contro il pelagianesimo. La morte di Pelagio va collocata intorno al 427, forse ad Alessandria. rivedere Opere Non pochi i problemi di attribuzione a Pelagio per opere di discepoli. Grossi (Patrologia) propone una distinzione in a) opere certe, b) scritti vicini a Pelagio, c) scritti “pelagiani” ma di altri autori. A) Expositiones XIII epistularum Pauli: ed. A. Souter, Pelagius's Expositions of Thirteen Epistles of St. Paul: TSt IX, 2, Cambridge 1926 (PLS I, 1110-1374). Liber de induratione cordis Pharaonis: ed. G. Morin, in G. De Plinval, Essai sur le style et la langue de Pélage, Fribourg 1947, 137-203 (PLS I, 1506-1539). Expositio interlinearis libri Iob, in PL 23, 1475-1538 da distinguere da quello attribuito al presbitero Filippo (PL 26, 619-802) e dall'altro di Giuliano di Eclano, studiato dal Vaccari (Un commento a Giobbe di Giuliano di Eclano, Roma 1915). De vita christiana: PL 50,383-402. Epistula ad Demetriadem: PL 30, 15-45. De divina lege: PL 30, 105-116. Epistula de virginitate: CSEL I, 224-250. Epistula ad Marcellarm: CSEL 29, 429-436. Epistula ad Celantiam: CSEL 29,436-459. Libellus fidei, ed J. Garnier: PL 48, 488-491 e PI. 45, 1716-1718. Di altri scritti di Pelagio conserviamo frammenti trasmessici soprattutto da Agostino: F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 62 De fide trinitatis o Libri tres de Trinitate, frag. VI, ed. C. Martini, Arnbrosiaster, de auctore, operibus, theologica, Roma 1944, pp. 189-210 (PLS I, 1544-1560). Liber Testimoniorum o Eglogarum liber, in Hieronimus, Dial. adv. Pel. I, 25-32: PL 23, 542-550. De gestis Pel. III, 6-7, in Augustinus, ed J. Garnier: PL 48,594-596; CSEL 42, 57-59. De libero arbitrio, in Augustinus, De gratia Christi et de peccato originali: CSEL 42, 125-206, ed. J. Garnier, in PL 48, 611-613; Fram. III, ms. parisiensis 633, ed. A. Souter, in Proceeding of the British Acad. 11 (1905) 437-438 e in JThSt 12 (1910-1911) 32-35 (PLS I, 1539-1543). De natura, in Augustinus, De natura et gratia: CSEL 60, 233-299, ed. J. Garnier, in PL 48,599-606 incompleto. De amore; De bono constantiae, in: Beda, In Cantica Canticorum: PL 91, 1065-1077; in A. Briickner, Julian von Aeclanurn (TU XV, 3, 74-75). Epistula ad Livianam, in Aug. De gestis 6, 16, è interpolato (CSEL 42, 68); in Mercator, Commonitorium II (ACO I, V, 1 p. 69). Epistula ad Innocentium, in Aug. De gratia Christi I, 31, 33, ed. J. Garnier, in PL 48, 610-611). Epistula ad amicum, in Aug De gestis Pel. 30, 54: CSEL 42, 107. Epistula ad discipulos, in Aug De peccato originali 15, 16: CSEL 42, 177-178. Fragmenta Vindobonensia, frag. brevia duo: PLS I, 1561-1570. B) Epistula ad adolescentem Tractatus de divitiis Epistula de malis doctoribus Epistula de possibilitate non peccandi Epistula de castitate Consolatio ad virginem Epistula ad Claudiam Epistula ad Oceanum C) Epistula ad virginem devotam Epistula de contemnenda haereditate (pseudo-Girolamo) Epistula de vera circumcisione (pseudo-Girolamo) Epistula ad Pammachium et Oceanum de renuntiatione saeculi Epistula de vera paenitentia Epistula “Honorificentiae tuae”. In base al contenuto le opere pelagiane possono essere divise in tre gruppi: Scritti esegetici Scritti teologici Scritti ascetico-morali. Contestò duramente il manicheismo; sensibile alla sapienza e all'ascesi pagana (Sententiae di Sisto [v. Rufino]) Importanti per la figura di "direttore spirituale" presso nobiltà romana: Epistula ad Demetriadem (413): rinuncia al matrimonio. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 63 Epistula ad Celantiam. Epistula ad Claudiam de virginitate (già attribuita a Ilario, Sulpicio Severo, Girolamo, Atanasio) Commentarii in epistulas s: Pauli, datato 411. De natura, datato 414 (frammenti) De libero arbitrio, in quattro libri, datato 417 (frammenti) De vita Christiana Oltre ai già citati Migne vol. 21, con rinvio a vol. 48 LIBELLUS FIDEI AD INNOCENTIUM 1. EPISTOLA AD DEMETRIADEM. LIBER DE VIDUAM. EPISTOLA AD AMICUM. EPISTOLA, SEU CHARTULA PURGATIONIS, AD SANCTUM AUGUSTINUM. Vedi inoltre testimonianza di Gennadio. Testi e testimonianze Gennad., script.eccl., 42 PELAGIUS haeresiarcha, antequam proderetur haereticus, scripsit studiosis viris [c [1083C] Al., necessaria.] , necessarios tres de Fide Trinitatis libros: et pro actuali conversatione [d [1083C] Eulogiae sive Eclogae, electa, selectae sententiae. Vide W., Wallii Historiam paedobaptismi Anglice editam, p. 201, ubi de hoc Pelagii libro, sed qui pridem cum libris de Fide Trinitatis est amissus, disserit.] Eulogiarum ex Divinis Scripturis librum unum, capitulorum indiciis, [e [1083C] Respicit tres libros Testimoniorum S. Cypriani [1083D] ad Quirinum.] in modum S. Cypriani martyris praesignatum. Post haereticus publicatus scripsit haeresi suae faventia. Hieron., ep. 50. Controllare da traduzione e ediz. recente se effettivamente si parla di Pelagio, cui Girolamo si rivolgerebbe astiosamente. Hieron., ep. 130 e 133. August., ep. 177 e 186 August., de haeres., 88. [Migne] I Pelagiani. LXXXVIII. PELAGIANORUM est haeresis, hoc tempore omnium recentissima a Pelagio monacho exorta. Quem magistrum Coelestius sic secutus est, ut sectatores eorum Coelestiani etiam nuncupentur. Hi Dei gratiae, qua praedestinati sumus in adoptionem filiorum per Jesum Christum in ipsum (Ephes. I, 5) , et qua eruimur de potestate tenebrarum, ut in eum credamus atque in regnum ipsius transferamur (Coloss. I, 13) , propter quod ait, Nemo venit ad me, nisi fuerit ei datum a Patre meo (Joan. VI, 66) , et qua diffunditur charitas in cordibus nostris (Rom. V, 5) , ut fides per dilectionem operetur (Galat. V, 6) , in tantum inimici sunt, ut sine hac posse hominem credant facere omnia divina mandata: cum si hoc verum esset, frustra F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 64 Dominus dixisse videretur, Sine me nihil potestis facere [3 [0047] In plerisque Mss. deest, cum si hoc verum esset, frustra Dominus dixisse videretur, Sine me nihil potestis facere.] (Joan. XV, 5) . Denique [0048] Pelagius a fratribus increpatus, quod nihil tribueret adjutorio gratiae Dei ad ejus mandata facienda, correptioni eorum hactenus cessit, ut non eam libero arbitrio praeponeret, sed infideli calliditate supponeret, dicens, ad hoc eam dari hominibus, ut quae facere per liberum jubentur arbitrium, facilius possint implere per gratiam. Dicendo utique, Ut facilius possint, voluit credi, etiam si difficilius, tamen posse homines sine gratia divina facere jussa divina. Illam vero gratiam Dei, sine qua nihil boni possumus facere, non esse dicunt nisi in libero arbitrio, quod nullis suis praecedentibus meritis ab illo accepit nostra natura, ad hoc tantum ipso adjuvante per suam legem atque doctrinam, ut discamus quae facere, et quae sperare debeamus, non autem ad hoc ut per donum Spiritus sui [1 [0048] Sic Mss. Editi vero, Spiritus sancti.] , quae didicerimus esse facienda [2 [0048] Sic ex Mss. [non autem ad hoc per donum Spiritus sui, ut quae didicerimus esse facienda, etc.]] , faciamus. Ac per hoc divinitus nobis dari scientiam confitentur, qua ignorantia pellitur, charitatem autem dari negant, qua pie vivitur: ut scilicet cum sit Dei donum scientia quae sine charitate inflat, non sit Dei donum ipsa charitas, quae ut scientia non inflet, aedificas (I Cor. VIII, 1) . Destruunt etiam orationes, quas facit Ecclesia, sive pro infidelibus et doctrinae Dei resistentibus, ut convertantur ad Deum; sive pro fidelibus, ut augeatur in eis fides, et perserverent in ea. Haec quippe non ab ipso accipere, sed a se ipsis homines habere contendunt, gratiam Dei qua liberamur ab impietate, dicentes secundum merita nostra dari. Quod quidem Pelagius in episcopali judicio Palaestino damnari metuens, damnare compulsus est; sed in posterioribus suis scriptis hoc invenitur docere. In id etiam progrediuntur, ut dicant vitam justorum in hoc saeculo nullum omnino habere peccatum, et ex his Ecclesiam Christi in hac mortalitate perfici, ut sit omnino sine macula et ruga (Ephes. V, 27) ; quasi non sit Christi Ecclesia, quae toto terrarum orbe clamat ad Deum, Dimitte nobis debita nostra (Matth. VI, 12) . Parvulos etiam negant, secundum Adam carnaliter natos, contagium mortis antiquae prima nativitate contrahere. Sic enim eos sine ullo peccati originalis vinculo asserunt nasci, ut prorsus non sit quod eis oporteat secunda nativitate dimitti: sed eos propterea baptizari, ut regeneratione adoptati admittantur ad regnum Dei, de bono in melius translati, non ista renovatione ab aliquo malo obligationis veteris absoluti. Nam etiamsi non baptizentur, promittunt eis extra regnum quidem Dei, sed tamen aeternam et beatam quamdam vitam suam. Ipsum quoque Adam dicunt, etiamsi non peccasset, fuisse corpore moriturum, neque ita mortuum merito culpae [3 [0048] Lov., neque mortuum merito culpae; omisso, ita.] , sed conditione naturae. Objiciuntur eis et alia nonnulla, sed ista sunt maxime, ex quibus intelliguntur etiam illa vel cuncta, vel pene cuncta pendere. 88. 1. In questo nostro tempo c'è l'eresia dei PELAGIANI, l'ultima fra tutte, proveniente dal monaco Pelagio (108). Celestio ha seguito tanto codesto suo maestro, che i loro seguaci sono designati anche come Celestiani (109). 88. 2. Costoro sono ostili alla grazia di Dio: per mezzo di essa noi, infatti, siamo stati predestinati all'adozione di figli di Lui per mezzo di Gesú Cristo; e per mezzo di essa veniamo strappati dal potere delle tenebre, affinché crediamo in Lui e siamo trasferiti nel suo regno, e riguardo a ciò Gesú ha detto: Nessuno viene a me, se non gli viene dato dal Padre mio; e per mezzo di essa la carità viene riversata dentro i nostri cuori, cosí che la fede agisce sotto l'impulso .dell'amore. Costoro sono tanto ostili alla grazia, che credono che l’uomo può mettere in pratica tutti i precetti di Dio senza il suo aiuto (110). Se una tale affermazione fosse vera, il Signore avrebbe detto evidentemente invano: Senza di me non potete far nulla. Infine Pelagio, rimbrottato dai suoi confratelli di non assegnare parte alcuna all'aiuto dato dalla grazia di Dio per l'adempimento dei suoi precetti (111), cedette alle loro rimostranze, ma solo fino a questo punto, che non antepose la grazia al libero arbitrio, ma, con l'astuzia da miscredente la subordinò ad esso: disse, infatti che essa è data agli uomini unicamente al fine che essi, mediante la grazia, possano piú facilmente adempiere i precetti; precetti che essi sono tenuti ad osservare, mediante il libero arbitrio: dono che la nostra natura ha ricevuto da Dio, senza alcun merito precedente da parte di essa; ed, invero, costoro sono d'avviso che essa lo ha ricevuto soltanto a questo fine, cioè che noi, con l'aiuto di Dio datoci attraverso la sua Legge e il suo insegnamento, apprendiamo quel che dobbiamo fare e quel che dobbiamo sperare, ma non perché noi, in virtú del dono dello Spirito Santo, siamo messi in grado di fare quanto abbiamo appreso essere nostro dovere fare. 88. 3. E con ciò costoro vengono ad ammettere che da Dio ci è data la scienza, per opera della quale viene cacciata l'ignoranza; ma rifiutano di ammettere che ci sia data la carità, in virtú della quale si vive piamente: e, pertanto evidentemente si ha, che mentre la scienza, la quale senza la carità fa insuperbire, sarebbe dono di Dio, non sarebbe dono di Dio proprio la carità, la quale edifica, facendo in modo che la scienza non porti alla superbia. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 65 88. 4. Costoro giungono, di fatto, a distruggere anche le preghiere che fa la Chiesa, sia quelle per gli infedeli e per quanti sono renitenti alla dottrina di Dio, fatte per la loro conversione, sia quelle per fedeli, fatte affinché si accresca la loro fede e rimangono perseveranti in Lui (112). Codesti eretici, invero, sostengono che gli uomini non ricevano queste mozioni da Dio direttamente, ma le abbiano da se stessi, in quanto che, secondo le loro affermazioni, la grazia di Dio, ad opera della quale siamo liberati dall'empietà, ci viene data proporzionalmente ai nostri meriti. Pelagio, però, nel processo fattogli dai vescovi della Palestina, per timore di esservi condannato, fu costretto a condannare codesta sua proposizione. Tuttavia, egli nei suoi scritti posteriori la professa apertamente (113). 88. 5. Giungono perfino alla bestemmia di dire che la vita dei giusti su questo mondo non ha assolutamente alcun peccato, e che !a Chiesa di Cristo, in questa sua condizione mortale, risulta formata da costoro, cosí da essere completamente senza macchia e ruga, come se non fosse la Chiesa di Cristo colei che in tutto il mondo grida a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. 88. 6. Affermano ancora che i bambini, discendenti per via di generazione da Adamo, non contraggono, in conseguenza di questo loro primo modo di nascere, l'infezione prodotta dall'antica colpa mortifera (114). Asseriscono, infatti, con tanta risolutezza che i bambini nascono senza un qualsiasi legame con il peccato commesso all'origine, che non c'è assolutamente nulla che debba venir loro rimesso, mediante una loro seconda nascita; ma dicono che sono battezzati solo al fine di essere adottati mediante la rigenerazione e, così, venire ammessi al regno di Dio, cioè essi sono trasferiti da una buona condizione ad un'altra migliore, senza però che vengano, mediante il sopraddetto rinnovamento, liberati da un qualche male dovuto ad un debito antico (115). Ed infatti promettono anche a quei bambini, che non sono battezzati, una propria sorta di vita, la quale sebbene vissuta fuori del regno di Dio è, pur tuttavia, eterna e beata. 88. 7. Costoro dicono che lo stesso Adamo, anche se non avesse peccato, sarebbe morto fisicamente, e, pertanto, non è morto per effetto della colpa, ma a causa della qualità della sua natura (116). Ci sono ancora altre affermazioni di costoro contro la dottrina della Chiesa, che però sono comprese, tutte o quasi tutte, in queste che abbiamo esposte. (108) Pelagio nacque tra il 350 e il 354 e giunse a Roma tra il 382 e il 385. Cominciò la sua opera di proselitismo soltanto nel 394. Mori tra il 423 e il 429. Tutto ciò che si sa sulla prima parte della sua vita è che era un bretone (AGOSTINO, Ep. 186, 1; OROSIO, Apol. 12: CSEL 5, 620). Fu monaco, ma quanto pare, non fece parte di nessun ordine preciso. Il successo del pelagianesimo in Africa, in Sicilia e a Rodi fu frutto, probabilmente, .dell'attività di Celestio, da cui anche il nome di eresia dei Celestiani. (109) Per le fonti agostiniane ci sono tutte le opere antipelagiane, che a NBA ha riunite e pubblicate insieme nelle raccolte Natura e grazia; Grazia e libertà; Polemica con i Pelagiani. (110) Sulla dottrina pelagiana vedere le varie introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nelle raccolte Natura e grazia; Grazia e lipertà; Polemica con i Pelagiani. (111) Si tratta forse di un riferimento a Girolamo che, sui Pelagiani, scrisse una lettera a Ctesifonte (Ep. 133) nel 415 e, poco dopo, il Dialogus contra Pelagianos. In risposta Pelagio scrisse i suoi quattro libri del De libero arbitrio. Pelagio era giunto in Palestina dopo esser stato a Cartagine con Celestio, nel 411, per partecipare all'incontro tra Donatisti e Cattolici. I due erano fuggiti da Roma poco prima dell'arrivo di Alarico e nel 409 .erano a Siracusa. A questi anni risalgono il De natura di Pelagio e le Defitiniones di Celestio. (112) La preghiera secondo Pelagio è solo un modo per mostrare all'uomo cosa desiderare e cosa amare (cf. AGOSTINO, De gratia Christi 30, 32; 41, 45). Poiché a suo avviso tutto dipendeva dalla volontà, la preghiera non faceva neppure parte dei doveri del fedele (cf. AGOSTINO, De natura et gratia 58, 68). (113) Delle opere tarde abbiamo il Libellus fidei ad Innocentium pavam (PL 45, 1716-1718), scritto nel 417; quanto venne in seguito, tranne pochi frammenti, è andato perduto (l'Epistula ad Augustinum e l'Epistula ad amicum quemdam presbyterum sono in AGOSTINO, De gestis Pel. 32, 57 e 30, 54). L'Epistula ad Innocentium (cf. AGOSTINO, De gratia Christi 30, 32) a il De libero arbitrio vennero scritti nel 417. In tutti questi testi Pelagio torna a spiegare le sue dottrine. (114) Poiché, secondo Pelagio, il peccato è sempre il risultato di un atto di libera volontà, non vi è alcun peccato originale. Nel suo De gr. Chr. et de p. o. 2, 14, Agostino spiega che, anche dopo il sinodo di Palestina, Pelagio ha continuato a sostenere le sue tesi sul peccato originale come testimoniato nel primo libro del suo De libero arbitrio. (115) Cf. De pecc. mer. et rem. 1, 30, 58. (116) Cf. De gest. Pel. 17, 23. Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 66 Bibliografia Edizioni PL Migne, vol. 21 Che cosa? o.o. PL Supplementum, 1. Scritti di Pelagio e sostenitori ed. da A. Hamman in Patrologiae Latinae Supplementum 1, 1958, coll. 1101-1704 Lettere PL 30 Migne tra le lettere di Girolamo PL 33 Migne tra le lettere di Agostino. De vita Christiana PL Migne 50 e 40. Studi G. De Plinval, Pélage, ses éctits, sa vie et sa réforme, Lausanne - Génève, 1943. S.Prete, Pelagio e il Pelagianesimo, Brescia, Morcelliana, 1961. Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 439-58 (V. Grossi). ICCU per Titolo: Pelagius Pelagius' commentary on St. Paul's Epistle to the Romans / translated with introduction and notes Theodore de Bruyn, Oxford: Clarendon press, 1998, Oxford early Christian studies Rees, B. R., Pelagius: a reluctant heretic / B. R. Rees, Woodbridge: The Boydell press, 1988 Rees, Brinley Roderick, Pelagius: a reluctant heretic / B. R. Rees, Woodbridge: Boydell, 1991 Rees, B. R., The letters of Pelagius and his followers / B. R. Rees, Woodbridge: Boydell, 1991 Augustinus, Aurelius <santo>, Four anti-pelagian writings: On nature and grace, On the proceedings of Pelagius, On the predestination of the saints, On the gift of perseverance / saint Augustine; translated by John A. Mourant and William J. Collinge; with introduction and notes by William J. Collinge, Washington: The Catholic University of America Press, c1992, The Fathers of the Church; 86 Rees, Brinley Roderick, Pelagius: life and letters / B. R. Rees, Woodbridge: Boydell, 1998 Pelagius, Pelagius's commentary on St. Paul's Epistle to the Romans / translated with introduction and notes by! Theodore de Bruyn, Oxford: Clarendon, 1993, Oxford early Christian studies Thier, Sebastian, Kirche bei Pelagius / von Sebastian Thier, Berlin; New York: De Gruyter, 1999, Patristische Texte und Studien; 50 Evans, Robert F., Pelagius: Inquiries and reappraisals / Robert F. Evans, New York: The Seabury Press, c1968 Ferguson, John, Pelagius, Cambridge: Heffer, 1956 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 67 Frede, Hermann Josef, Pelagius, der irische Paulustext, Sedulius Scottus / von Hermann Josef Frede, Freiburg: Herder, 1961, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 3 Note Generali: Con i testi Greshake, Gisbert, Gnade als konkrete Freiheit: eine untersuchung zur Gnadenlehre des Pelagius / Gisbert Greshake, Mainz: Grunewald, 1972 Tinnefeld, Franz Hermann, Untersuchungen zur altlateinischen Uberlieferung des 1. Timotheusbriefes: der Lateinische Paulustext in der Handschriften DEFG und in den Kommentaren des Ambrosiaster und des Pelagius / von Franz Hermann Tinnefeld, Wiesbaden: Harrassowitz, 1963 Fa parte di: Klassisch-Philologische Studien . Wermelinger, Otto, Rom und Pelagius: die theologische Position der romischen Bischofe im pelagianischen Streit in den Jahren 411-432 / von Otto Wermelinger, Stuttgart: Hiersemann, 1975, Papste und Papsttum Geiger, Arhur, Das Chorherrestift St. Pelagius zu Bischlszell im Zeitalter der Katholischen, Reform 15001700: dissertation / Von Geiger Arthur, Bern: Hallwag AG, 1958 Note Generali: In testa al front di: Universitat Freiburg Philosophische Fakultat. Evans, Robert F., Four letters of Pelagius / Robert F. Evans, New York: Seabury, 1968, Studies in Pelagius / New York: Seabury. Zimmer, Heinrich, Pelagius in Irland: texte und Untersuchungen zur patristischen Litteratur/ von Heinrich Zimmer, Berlin: Weidmannsche Buchhandlung, 1901 3: Pseudo-Jerome interpolations / by Alexander Souter, Cambridge: University Press, 1931, Texts and studies; 9.3 Fa parte di: Pelagius 's expositions of thirteen epistles of St. Paul Dempsey, John J., Pelagius's commentary on Saint Paul: a theological study / by J. J. D.; (Pontificia Universitas gregoriana), Romae: Typis Pontificiae Universitatis Gregorianae, 1937 Souter, Alexander, 2: Text and apparatus criticus / by Alexander Souter, Cambridge: at the University press, 1926, Texts and studies; 9/2 Fa parte di: Pelagius 's expositions of thirteen epistles of St. Paul Souter, Alexander, 1: Introduction / by Alexander Souter, Cambridge: at the University press, 1922, Texts and studies; 9/1 Fa parte di: Pelagius 's expositions of thirteen epistles of St. Paul Hassler, Otto, Ein Heerfuhrer der Kurie am Anfang des 13. Jahrhunderts Pelagius Galvani Kardinalbischof von Albano: Inaugural Dissertation der philos. Fakultat zu Basel, Berlin: E. Ebering, [1901] ICCU per Soggetto Rees, Brinley Roderick, Pelagius : a reluctant heretic / B. R. Rees, Woodbridge : Boydell, 1991 Guzzo, Augusto, Agostino contro Pelagio, Torino : Ediz. di "Filosofia", 1958, Studi e ricerche di storia della filosofia Conte 523, Bettini 3, 892 segg.. Moreschini-Norelli, 2/1, 452-55 557 segg.. niente Treccani Pelagio Encarta Pelagio (Britannia 354 ca. - Alessandria ? 427 ca.), monaco asceta e teologo inglese; giunto a Roma verso il 390, godette di grande considerazione nei circoli dell'aristocrazia romana divenuta cristiana. Scrisse numerose opere tra le quali un Commento alle lettere di san Paolo, facendosi promotore di un ideale di vita F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 68 cristiana rigorosa e di forte impegno morale. Secondo le teorie da lui sostenute, la natura umana, in quanto dotata di libero arbitrio, può adempiere ai comandamenti di Dio perché il peccato originale fu in realtà un peccato personale (cioè del solo Adamo) che esercita la sua influenza sull'umanità solo come cattivo esempio. Quindi l'uomo, se volesse, potrebbe evitare il peccato anche senza il sostegno della grazia. Ne consegue che il battesimo, che toglie solo le colpe personali, non è necessario per gli infanti inconsapevoli. Le tesi di Pelagio vennero duramente combattute da sant'Agostino, ma si diffusero in Italia, in Africa e dell'Oriente cristiano. Il pelagianesimo fu condannato dal concilio di Cartagine del 418. -----------------Pelagianesimo. ( Eresia riguardante la grazia, iniziata con Pelagio (vissuto verso il 400), monaco bretone o irlandese il quale, prima a Roma e poi nel Nord Africa, insegnò che gli esseri umani possono raggiungere la salvezza coi loro soli sforzi. Il peccato originale non sarebbe altro che un cattivo esempio dato da Adamo ma che non recò nessun danno spirituale ai suoi discendenti e, in particolare, lasciò intatto l'uso naturale della libera volontà. Riducendo la grazia al buon esempio dato da Cristo, Pelagio esortava ad una vita ascetica intensa e patrocinava una Chiesa elitaria. Sant'Agostino di Ippona (354‑ 430) gli si oppose strenuamente. Il Pelagianesimo fu condannato in vari concili del Nord Africa (DS 222‑ 230; FCC 3.049‑ 3.050, 8.001‑ 8.007), da due papi e dal Concilio di Efeso nel 431 (DS 267‑ 268). Cf Agostinianismo; Messaliani; Peccato originale; Semi‑ pelagianesimo. Semi‑ pelagianesimo. (inizio) Teoria proveniente da san Giovanni Cassiano di Marsiglia (circa 360‑ 435), san Vincenzo di Lérins (morto prima del 450) e da altri monaci del Sud della Francia. Secondo essi, gli esseri umani possono fare da sé il primo passo verso Dio senza l'aiuto della grazia divina. Mentre ammettevano che la grazia è indispensabile alla salvezza e rigettavano così il Pelagianesimo, coloro che svilupparono il semi‑ pelagianesimo (come fu chiamata questa visuale alla fine del XVI secolo), si comportarono così almeno in parte per la loro opposizione alla versione estremista della predestinazione sostenuta da sant'Agostino di Ippona (354‑ 430). Il semi‑ pelagianesimo finì per essere condannato nel secondo Concilio di Orange (529). L'insegnamento ufficiale della Chiesa, mentre seguì l'insegnamento di Agostino sulla grazia (cf DS 370‑ 397; 2004‑ 2005; 2618; 2620; FCC 3.052‑ 3.053; 8.031‑ 8.040, 8.139‑ 8140), non ha mai approvato la sua interpretazione della predestinazione. Cf Antropologia; Grazia; Pelagianesimo; Predestinazione. Dall’introd. di L. Dattrino alle Conlationes di Cassiano, Roma, Città Nuova, 2000Egli [Fausto di Riez] appartenne a quell'indirizzo del monachesimo della Gallia meridionale che rifiutò di accettare la dottrina di Agostino pur non aderendo, ovviamente, alle teorie di Pelagio, donde, uttavia, ebbe origine il nome, attribuito a quella categoria, di semipelagiani. Tre sono le tesi fondamentali di Fausto: 1) con la creazione, l'uomo ha ricevuto da Dio il libero arbitrio, ed è quindi capace di operare anche nel piano della salvezza; 2) l'uomo può scegliere il male; per operare il bene non ha una semplice facoltà negativa o pura possibilità, bensì una dotazione positiva che lo rende incline per natura al bene; 3) infine, dopo il peccato originale, tali doni rnrtrrrali risultano non distrutti, ma solo indeboliti e attenuati. Persiste nell'uomo una certa capacità di bene. Essendo essa douta alla creazione, interessa tutti gli uomini, senza distinzione: a mali è offerta la possibilità di salvarsi. Anche solo da questa sintetica premessa appare chiaro che a Fausto di Riez potrebbe, .semmai, essere applicato con più ragione il giudizio negativo che il Pichery, impropriamente, aveva rivolto a Cassiano: «L'errore fondamentale del Presente capitolo (il 12 della Conferenza XIII ) è di non distinguere, tra i due ordini, quello naturale e quello soprannaturale. Dio ha creato l'uomo libero, l'ha costituito in grazia e l'ha arricchito di doni premrnaturali. Ma l'uomo, peccando, ha perduto tutto quello che non era dovuto alla natura umana, vale a dire, la grazia e i doni preternaturali. Da quel momento egli si rendeva incapace delle opere di salvezza. Egli ha conservato indubbiamente, con la libertà, il potere di produrre atti moralmente buoni, ma questi non conducono alla vita. Soltanto la grazia restituisce la possibilità di compiere il bene nell'ordine della salvezza». F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 69 Quello che Cassiano ammetteva, che cioè l'uomo aveva conservato qualche tendenza iniziale a decidersi per il bene, Fausto di Riez lo estende ad una possibilità ben maggiore al punto da toccare i limiti del pelagianesimo. «Per lui, anche dopo il peccato d'origine, l'uomo ha conservato qualcosa della bontà originaria. I doni del Creatore risultano attenuati e indeboliti, ma non annientati. L'uomo conserva una qualche capacità di dirigersi al bene salvifico; Agostino, invece, lo attribuisce solo alla grazia, la quale crea la buona volontà e ne asseconda gli sforzi. Il ragionamento di Fausto si fonda sulla convinzione che ciò che è naturale ed essenziale e costitutivo della natura potrà subire attenuazioni, ma non venir meno del tutto, altrimenti vien meno la natura stessa». E ancora: «Fausto, non accettando la predestinazione (quale appariva nella dottrina di Agostino), considera tutti gli uomini chiamati alla salvezza e dotati di una possibilità innata di dirigersi al bene o al male. In tutti i tempi, chi .ha cercato Dio, lo ha trovato, e chi sembrò non trovarlo, in realtà non l'aveva cercato. L'esempio di Nabucodonosor e dei Niniviti; ai quali Giona predicò, mostra che il principio della salvezza è nell'uomo in forza della struttura umana stessa voluta da Dio». Appare chiaro come ormai fosse divenuta grave la complessità dei problemi relativi alla caduta dell'uomo, al libero arbitrio e alla predestinazione. Già apparivano varie le possibili soluzioni di quei problemi, sicché, di fronte ai pronunciamenti di Agostino, immediate si manifestarono le reazioni, a cominciare dalle obiezioni sorte in Africa nel monastero di Adrumeto. Fu allora che Agostino rispose a quei monaci con due opere, nel 426 e 427: il De gratia et libero arbitrio e il De correptione et gratia. L'accoglienza di quest'ultima opera, ad Adruzneto, contribuì a rimettere gli animi in quiete. Non così a Marsiglia e nella Provenza in generale. Già da tempo in quella regione la dottrina di Agostino sulla grazia aveva suscitato alcune reazioni, manifestate però con una certa riserva. «Ma quando essi ebbero tra le mani il testo del De correptione et gratia, videro chiaramente che una radicale antinomia separava il loro pensiero dal pensiero di Agostino, e dichiararono il loro rifiuto di fronte a una teologia così eccessi va e pericolosa». «Dalle lettere di Prospero e di Ilario risulta che Marsiglia era il centro di questo movimento. Prospero aggiunge che gli oppositori si trovavano fra "i religiosi di Cristo", e che abitavano ira quella città. Con questo egli designa senza alcun dubbio i monaci del convento di San Vittore, del quale Cassiano era fondatore e abate. Cassiano, in verità, non è nominalo in quelle Lettere, ma la reazione (ad Agostino) veniva sicuramente da lui». Da Marsiglia il movimento antiagostiniano s'era propagato nella Provenza, come pure nel' monasteri' della costa mediterranea, nelle isole d'Hyères e a Lérins. Relazioni molto strette legavano ormai Cassiano con gli abati di quei monasteri, e lo dimostrano chiaramente le dediche delle Conferenze, indirizzate appunto da Casszàno a quegli abati. Nell'Immediato perdurare di quelle controversie, ecco insorgere la figura di Cesario d'Arles il quale attese con impegno a ricolvere tali persistenze. Egli, nato verso il 470, entrò nelle file del clero, poi si fece monaco a Lérins, ma lasciò il monastero dopo pochi anni. Ad Arles fu diacono, prete e abate di un monastero; infine divenne vescovo della città (500 ca). Della sua attività letteraria e pastorale ci interessa soprattutto l'opera De gratia, intesa a sostenere la tesi dell'agostinismo radicale, secondo cui la grazia, necessaria per la salvezza dell'uomo, è concessa solo ad alcuni predestinati indipendentemente dai meriti e secondo un imperscrutabile giudizio divino, che l'uomo non può sindacare. Fu per opera soprattutto di lui che avvenne l'indizione del concilio d'Orange (529), che segnò, secondo il giudizio del Simonetti; la fine del semipelagianesimo 96. Il Concilio, tenuto sotto la presidenza di Cesario con la partecipazione di 14 vescovi, emise otto canoni, seguiti da 17 proposizioni dogmatiche, intese a condannare le dottrine semipelagiane. Dopo tutto, però, «il concilio d'Orange, non accettando l'intera dottrina agostiniana sulla grazia, non prese decisioni sul punto principale controverso e sulla differenza essenziale tra agostinismo e semzpelagzànesimo... Quindi Fausto di Riez e i semipelagiani del sec. V non possono essere detti formalmente eretici». Comunque, la divergenza di queste concezioni, sviluppatesi soprattutto nella Gallia meridionale sotto l'influenza di Cassiano e di Fausto di Riez contro l'estremismo della posizione agostiniana in rapporto alla predestinazione e all'assoluta gratuità della salvezza, fu per lungo tempo giudicata con severità, e prese il nome di semipelagianesimo. Il termine, in ogni caso, ebbe origine assai tarda ed entrò nell'uso sola all'inizio del secolo XVII. Finalmente oggi si è cercato di far giustizia a Cassiano, sia riconoscendo la sua convergenza col pensiero dei Padri greci, sia confinando nel punto giusto la sua ammissione all'inizio del concorso umano come semplice attitudine dell'uomo verso il bene della propria anima. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 70 Celestio Cenni biografici Celestio , giurista romano, prima di conoscere Pelagio viveva in un monasterium. Si rifugia in Africa con Pelagio dopo il sacco di Roma (410). Si stabilisce a Cartagine, ma lì si trova in forte opposizione con Agostino e vi viene condannato da un concilio nel 411-12. Sei i punti sui cui si fonda la condanna, tra cui i più rilevanti sono natura della morte corporale, traducianesimo del peccato di Adamo sui posteri, motivi del battesimo dei bambini. Viene esaminato tra gli altri da Paolo Orosio. Con l'intervento compromissorio di Pelagio si arriva a una condanna di Celestio. Dopo la condanna Celestio si stacca da Pelagio e compone quasi tutte le sue opere dopo questa data. Nel Concilio di Diospoli del 415 Celestio viene condannato con Pelagio da Innocenzo I. Nel 416, data in cui C. si trova ad Efeso, esso è condannato nuovamente con Pelagio nei due concili di Cartagine e Milevi. I due furono poi inviati a Roma dove ricevettero un trattamento più benevolo da parte del nuovo papa Zosimo. Nel 418 un editto imperiale condannò i due eretici e papa Zosimo li scomunicò con l'Epistula tractatoria. Celestio cercò invano una riabilitazione dal nuovo papa Celestino I (422-32), intorno al 423-24. La data ante quem per la morte è collocabile al 429. Il concilio di Efeso del 431 condannò definitivamente le dottrine pelagiane. Opere Il ruolo di Celestio è pari a quello di P. nella diffusione delle ide pelagiane, anche se il suo pensiero non è ancora stato definito nei particolari. Su alcuni punti egli doveva presentarsi più radicale e anche la dissociazione di Pelagio nel 411 e nel 415 lo conferma. Dei testi di Pelagio abbiamo frammenti in alcune opere di Agostino e in Girolamo. De monasterio??? Definitiones. Ne abbiamo frammenti in Agostino (de perfect.iustit. hominis) Libellus fidei. Ne abbiamo frammenti in Agostino (de peccat.orig.) Migne LIBELLUS FIDEI ZOSIMO OBLATUS. BREVIARIUM EPISTOLAE AD CLERICOS ROMANOS. LIBER ADVERSUS PECCATUM ORIGINALE. SENTENTIAE COELESTII. DEFINITIONES DE IMPECCANTIA. Testi e testimonianze Gennad., script.eccl., 44 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 71 COELESTIUS antequam [j [1083D] Corbei., Coelestius antequam Pelagio concurreret.] Pelagianum dogma incurreret imo adhuc adolescens, scripsit ad parentes suos [1084A] de Monasterio epistolas, in modum [k [1084B] Id., in modum libri.] libellorum, tres, in omnibus Deum desiderantibus necessarias. [l [1084B] Quae sequuntur desunt in Corbei., et loco eorum leguntur haec verba: postea vero haereticus publicatus a papa Zosimo condemnatus est.] Moralis siquidem in eis dictio nil vitii postmodum proditi, sed totum ad virtutis incitamentum tenuit. M. Mercat., commonit., I e II. Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 21; cf. 48. Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 458-59 (V. Grossi). ICCU per Soggetto Celestio Niente Titolo Autore Soggetto Celestio/Coelestius Bettini 3,892. Moreschini-Norelli, 2/1, p. 455. Giuliano di Eclàno Cenni biografici Nacque tra il 380 e il 390 (alcuni restringono al 380-85) da una nobile famiglia dell'Italia meridionale, nella regione della Apulia. Il padre era Memore, vescovo, la madre Giuliana, Notevole la sua formazione culturale in entrambe le lingue. Si sposa con Tizia, figlia del vescovo di Benevento nel 403 (nozze celebrate da un epitalamio di Paolino di Nola [c.25]). Diventò prima diacono nel 408, quindi nel 416 vescovo di Eclano (BN). La sua notorietà è in stretto rapporto con la Tractoria (lettera circolare) con cui papa Zosimo I condannò i pelagiani. Quando Giuliano chiese al pontefice delle chiarificazioni per sottoscrivere il documento e Zosimo rifiutò di fornirle scattò per Giuliano ed altri 18 vescovi italiani la condanna come pelagiani. Giuliano fu per questo bandito e lasciò l'Italia nel 419, alla volta prima della Cilicia, poi di Costantinopoli. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 72 Rientrato in Italia visse, insegnando, i suoi ultimi anni in Sicilia. Fallito, intorno al 439, un tentativo di rientrare nella comunità ecclesiale, pare per intervento del diacono Leone, futuro papa Leone Magno. Opere Opere tutte legate alla contesa pelagiana e quindi in polemica con Agostino. EPISTOLA AD ZOSIMUM. Composta 418 EPISTOLA AD RUFUM. Composta nel 419, assieme a un aepistula ad Romanos. La prima ripete l’accusa di manicheismo alla concezione africana della natura umana. Agostino risponde con il Contra duas epistolas pelagianorum. AD TURBANTIUM EPISCOPUM, ADVERSUS LIBRUM PRIMUM SANCTI AUGUSTINI DE CONCUPISCENTIA, LIBRI QUATUOR. Composto nel 419. AD FLORUM ADVERSUS LIBRUM II SANCTI AUGUSTINI DE NUPTIIS LIBRI OCTO. Accusa Agostino di manicheismo e di voler risolvere con la forza la questione pelagiana. LIBER DE AMORE. (framm.?) LIBER DE CONSTANTIAE BONO, CONTRA PERFIDIAM MANICHAEI. Opera esegetica (Commento ai profeti minori e a Giobbe). Furono attribuite a Giuliano: Praedestinatus (anonimo del V secolo); attribuito anche a Arnobio il Giovane Libellus fidei (composto da vescovi del Nord Italia al metropolita di Aquileia contro la Tractoria. Testi e testimonianze Genn., script.eccl., 45 JULIANUS, episcopus [n [1084C] Sigeberg., Campanus. Cui lectioni suffragatur Beda praef. libr. in Cantica Canticor. ubi meminit Juliani Celanensis a Campania. In ms. Corbei. nulla episcopatus mentio, sed tantum legitur: Julianus vir acer ingenio. Pro Celanensi apud Bedam alii ex Mario Mercatore legunt Eclanensem. Vide quae notata sunt a Benedictinis in praef. ad partem II tomi X S. Augustini.] Capuanus, vir acris ingenii, in divinis Scripturis doctus, Graeca et Latina lingua scholasticus, priusquam impietatem Pelagii in se aperiret, clarus in doctoribus Ecclesiae fuit. Postea vero [o [1084C] Corbei., cum haeresim Pelagii defenderet adversus beatum Augustinum impugnatorem illius.] haeresim Pelagii defendere nisus, scripsit adversus Augustinum impugnatorem illius libros quatuor et iterum libros septem. Est etiam liber [p [1084C] Id., altercationum. Non videtur hoc opus diversum fuisse a superiore. Vide Garnerium ad Mercatorem tom. I, p. 387.] altercationis amborum partes suas defendentium. Hic Julianus eleemosynis tempore famis et angustiae indigentibus omnibus suis erogatis, multos miserationis specie, [1084B] nobilium praecipue et religiosorum, illiciens haeresi suae sociavit. Moritur Valentiniano et Constantino, filio ejus, imperante. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 73 Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 21, cf. 48 Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 458-64 (V. Grossi). V. Grossi, s.v. Giuliano d’Eclano, in DPAC, 2, col. 1609-11. Marandino, R., Giuliano da Aeclanum, S. Angelo dei Lombardi: De Sanctisiana, 1987 Lossl, J., Julian von Aeclanum: Studien zu seinem Leben, seinem Werk, seiner Lehre und ihrer Uberlieferung, Leiden, Brill, 2001, Supplements to Vigiliae Christianae ICCU Marandino, Romualdo, Giuliano da Aeclanum / Romualdo Marandino, S. Angelo dei Lombardi: De Sanctisiana, 1987 Vaccari, Alberto, Nuova opera di Giuliano Eclanese: commento ai Salmi / A. Vaccari, Roma: Civilta Cattolica, 1916 Note Generali: Estr. da: Civilta Cattolica . D'Amato, Antonio, S. Agostino e il vescovo Pelagiano Giuliano / prof. Antonio D'Amato, Avellino: Pergola, 1930 D'Amato, Antonio, S. Agostino e il vescovo Pelagiano Giuliano / Antonio D'Amato, Monza: Scuola tip. Artigianelli, 1917 Note Generali: Estr. da: La scuola cattolica, Milano febbraio 1917. Lossl, Josef, Julian von Aeclanum: Studien zu seinem Leben, seinem Werk, seiner Lehre und ihrer Uberlieferung / von Josef Lossl, Leiden [etc.]: Brill, 2001, Supplements to Vigiliae Christianae Bouwman, Gisbert, Des Julian von Aeclanum Kommentar zu den Propheten Osee, Joel und Amos: ein Beitrag zur Geschichte der Exegese / Gisbert Bouwman, Roma: Pontificio istituto biblico, 1958, Analecta Biblica Soggetti: Giuliano: di Eclano . Commentarius in prophetas minores Bettini, 3, 894 ricc., Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 562-566 (per controversia con Agostino, in cap. Agostino) Fastidio F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 74 Cenni biografici Viaggio in Sicilia tra il 413 e il 418, poi ritorna in Britannia come vescovo. Opere FASTIDII BRITANNORUM EPISCOPI DE VITA CHRISTIANA LIBER UNUS. Gennadio parla di un De viduitate Testi e testimonianze Genn., script.eccl., 66 [a [1091A] Fastidius a Joanne Pitseo, doctore theologo, Liverduni in Lotharingia decano, in libro de Illustribus Britanniae Scriptoribus, vocatur episcopus Londinensis. Praeter Gennadium, Honorius quoque Augustodunensis et Trithemius in Catalogo Fastidii meminerunt, et ipsum anno quadringentesimo vicesimo [1091B] floruisse tradunt. Ex Fastidii operibus nil hactenus est editum. Idem Pitseus libro citato de Bachario seu Bachiario, quem supra cap. 24. Gennadius memoravit, haec refert: Bacharius Maccaeus, natione Britannus, S. Patricii discipulus, videns patriam suam continuis calamitatibus afflictam, divinam opem imploraturus, longissimis itineribus sacras peregrinationes suscepit. Sed non defuerunt obtrectatores, qui levitatis et inconstantiae hominem accusaverunt. Unde se scripto purgavit; scripsitque ad Leonem I pontificem Romanum (ut ex Gennadio, Honorio, Joanne Capgravio, et aliis colligo) apologiam suae peregrinationis; de Reparatione Lapsisve, de Fructu poenitentiae, ad Januarium; et de Fide perseverante, et alia: claruitque senex anno quadringentesimo sexagesimo. Sic fere Pitseus. Si divinare licet, videtur Bacharius subduxisse se ex Britannia, ob variarum nationum incursiones, tunc afflictissima. Nam sub annum quadringentesimum quadragesimum primum, Angli, Saxones, Jutae et Frisii, Germaniae populi (a Procopio, Beda, aliisque [1091C] vetustis scriptoribus commemorati) in Britanniam transierunt. Tiro Prosper a Pithoeo et Canisio tom. I, editus ad annum 18 Theodosii, sic scribit: Britanniae, usque ad hoc tempus variis cladibus eventibusque laceratae, in ditionem Saxonum rediguntur. Nec multo ante fortasse ex Hibernia sua venerant Scoti: quorum nomen, aeque ac Pictorum, aevo Julii Caesaris ignotum fuit. Primus sane cujus scripta nunc exstant, Scotos Pictosque nominat panegyrista Constantii Caesaris; videnturque Picti communi olim Britannorum epitheto, ut proprio tandem a Romanis nuncupati Borealium insulae partium populi, qui antiqua Britonum (ut Tertullianus vocat) stigmata, picturamque corporis ferro expressam retinebant: cujus picturae et Herodianus l. III meminit. Scio Gildam et alios rerum Britannicarum scriptores aliter de Pictis sentire. Sed conjecturam hanc non aspernabitur qui Pictorum nomen sub Diocletiani tempora natum, et Caledonios ac Vecturiones, antiquos illius [1091D] orae incolas, inter Pictos ab eodem panegyrista et ab Ammanio Marcellino censeri meminerit; adeoque Pictorum gentem vetustam, appellationem novam et indititiam videri. Denique Pictos ab ea pictura dici, aperte nobiscum sentit Claudianus de bello Getico: Venit et extremis legio praetenta Britannis, Quae Scotto dat trena truci terroque notatas Perlegit exsangues, Picto moriente, figuras. Sic fere Sirmondus in notis ad Sidonianum Aviti panegyricum. De Scottis et Pictis Idem Ammianus lib. XXVII legi poterit. MIRAEUS. FASTIDIUS, [b [1091D] Ms. Corbei., Fastidius Britto scripsit.] Britannorum episcopus, scripsit ad Fatalem [c [1091D] Quemdam non legitur in Corbei. et mulier est ac vidua ad quam scribit Fastidius.] quemdam [d [1092A] Vitiose editum in editt. quibusdam contra mss codicum fidem de Fide.] de Vita Christiana librum unum, et [e [1092A] Videtur Gennadius ex uno Fastidii libro duos fecisse: nam liber cujus capite ultimo sive 15 de viduitate servanda praecipit, de Vita Christiana inscribitur. Fastidio assertus ab Holstenio Rom. 1663. [1092B] Exstat et in appendice ad tom. VI Augustini edit. Benedictin.] alium de Viduitate servanda, sana et Deo [f [1092B] Ms. Corbei., sana et digna doctrina. Pelagio tamen favere notant Benedictini in praef.] digna doctrina. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 75 Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 50. ICCU Fastidii episcopi De vita christiana liber, denuo editus ... studio Lucae Holstenii, Romae : typis J. Dragondelli, 1663 Bettini 3, 895, niente Conte An(n)iano di Celeda Cenni biografici Sostenitore del pelagianesimo. Si pensa che in lui debba essere identificato il personaggio citato da Girolamo e da Paolo Orosio come protettore e discepolo di Pelagio. Sarebbe con questi al Concilio di Diospoli. Alcuni propone l’identificazione di Aniano con un cronografo greco Anniano di cui si conservano alcuni frammenti. Opere Autore di alcuni scritti di G.Crisostomo (? Bettini in cui vedeva un sostenitore di P.) tra il 415 e il 420. E’ lui verosimilmente a tradurre in latino sette Omelie su Matteo di Giovanni Crisostomo. Testi e testimonianze Hier., ep. 133 (=Pelagio?) Oros., lib. Apol. 2 Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 21 cf. 48 Studi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 76 Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 464-65 (V. Grossi) [non partic. chiaro]. S.J. Voicu, s.v. Anniano di Celeda, in DPAC, 1, col. 210 ANNIANO di Celeda, Aniano nei mss. Diacono di una località non identificata, noto soprattutto per aver tradotto in latino due opere di Giovanni Crisostomo, le Homiliae in Matthaeum 1-25 (CPG 4424; Anniano sembra affermare di aver tradotto l'intero commento, ma le om. 26-90 sono probabilmente andate perse) e le 7 omelie De laudibus s. Pauli apostoli (CPG 4344). Queste traduzioni sarebbero state fatte poco dopo il 418 (Primmer, p. 285). Nelle epistole dedicatorie premesse alle due traduzioni, l'una a Oronzio vescovo (Primmer, pp. 279-282; cfr. PG 58,975-978), l'altra ad Evangelio presbitero (PG 50, 471-472), A. manifesta esplicitamente la sua opposizione alle dottrine traducianiste di Agostino. Cronologia e posizioni teologiche coincidono con quel che afferma Girolamo, che nel 419 (Epist. 143: CSEL 56, p. 293; cfr. PL 22,1181) accusa il nostro di pelagianesimo. L'esame però del lavoro di traduzione di A. sembra indicare che il suo pelagianesimo non era molto marcato. Ad A. viene talvolta attribuita la versione latina di altre opere crisostomiane. È certo che alcune delle traduzioni in questione presentano degli spunti che avrebbero potuto attirare l'attenzione dei pelagiani e che almeno una di esse (l'omelia Ad neophytos: CPG 4467) è stata da essi effettivamente utilizzata in tal senso, ma la loro attribuzione ad A. rimane tuttora da dimostrare. CPL 771-772; DTC 1,1303-5; Patrologia III, pp. 464-65; et al. S.J.Voicu ICCU per Soggetto Niente Anianus/Aniano/ A. di Celeda Prova con Anniano Bettini 3, 895; Moreschini- Norelli solo cenni. Mario Mercatore Cenni biografici Molto scarsi e legati essenzialmente alla controversia pelagiana, in cui M. fu vicino ad Agostino. Fu di origini italiane, forse di Eclano e in stretta relazione con Giuliano. Nel 418 è a Roma e conosce Celestio che si sta difendendo davanti a Papa Zosimo. Nel 429 è in Tracia dove compone i suoi Commonitoria ( o pro memoria) su Celestio, Pelagio e Giuliano di Eclano. Dopo il 431 (concilio di Efeso) non si ha più notizia di lui. Opere Compose due opere antipelagiane, per noi perdute, di cui ci dà notizia Agostino (Epist. 193). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 77 Commonitorium super nomine Coelestii Apparsa in greco nel 429, fu tradotta in latino nel 431 dallo stesso Mercatore. E’ un memorandum delle condanne subite dai Pelagiani. Commonitorium adversus haeresim Pelagii et Coelestii vel etiam scripta Iuliani. Scritta verosimilmente nel 431, visto che accenna alla recente morte di Agostino. Si ricordano le condanne inflitte ai pelagiani, la rivolta di Giuliano e le confutazioni di Agostino, utilizzate dallo stesso Mercatore, che pure non manca di avanzarne di proprie Testi e testimonianze Bibliografia Edizioni Migne 48 (ed. Garnier) E. Schwartz S. Prete, M.Mercatore, Commonitoria, Bologna 1959 (ed. Schwartz). Tr.it. S. Prete, I memoriali antipelagiani, Siena 1960. Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 471-73 (V. Grossi). V. Grossi, DPAC, 2, col. 2121-22. MARIO MERCATORE. Le notizie della sua vita sono legate alla polemica pelagiana. Nel 418 è a Roma e conosce Celestio che difende le sue posizioni presso papa Iosimo; nel 429 è in Tracia presso un monastero latino dove scrive i suoi Commonitoria ( = pro memoria) su Celestio, Pelagio e Giuliano d'Eclano, nei quali difende le posizioni della chiesa contro i pelagíani e i nesteriani. Dopo la condanna del concilio di Efeso del 431 contro quest'ultimi, non si hanno più notizie di lui. Dato il suo antipelagianesimo convinto è comunemente ritenuto di origine africana ma, date le strette relazioni che egli ci riferisce con la famiglia di Giuliano, molto più probabilmente era compaesano di Giuliano. I suoi scritti, trasmessici nella compilazione fattane prima del 550, nota come la Collectio Palatina (ms. Cod. Pal. lat. 234 della Biblioteca Vaticana), sono: Commonitorium super nomine Coelestii (tratta di Celestio, ma più che una compilazione biografica degli eventi relativi a Celestio ci viene riferito un pro memoria di ciò che andava in giro come pelagiano); Commonitorium adversum haeresim Pelagii et Coelestii vel etiam scripta Juliani (una confutazione di affermazioni di Giuliano sulla falsariga di quella di Agostino). Due scritti contro Teodoro di Mopsuestia, riferitici da Agostino (Ep. 193,1), sono andati perduti. Dall'insieme dell'attività letteraria di M. M. risulta che egli scrisse per gli ambienti ecclesiastici ed imperiali di Costantinopoli, preoccupati allora della questione pelagiana e nestoriana, lasciandoci una preziosa testimonianza latina soprattutto per il pensiero di Nestorio oltre che per il movimento pelagiano. PI. 48, 63-172; ACO I 5,1 pp- 3-70; S. Prete, M Mercatore. Commonitoria, Bologna 1959; S. Prete, M. Mercator. I memoriali antipelagiani, Siena 1960; S. Prete M- Mercatore polemista antipelagìano, Torino 1958; O. Wermelinger, Marius Mercator, DSp 10,610-615; V. Grossi, Patrologia III, 471-473 V. Grossi, DPAC, 2, col. 2121-22. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 78 ICCU Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris s. Augustino aequalis opera omnia sive monumenta ad pelagianam nestorianamque haeresim pertinentia... / accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne Edizione: Editio novissima , Lutetiae Parisiorum : Migne, 1862 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris S. Augustino aequalis opera omnia : sive monumenta ad Pelagianam Nestorianamque haeresim pertinentia , Paris : Migne, 1846 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Mercator, Marius , 48.: Marii Mercatoris opera omnia sive Monumenta ad Pelagianam Nestorianamque haeresim pertinentia: editio novissima, juxta eruditissimam Garnerii recensionem adornata, cujus amplissimis praesertim commentariis dissertationibusque commendatur ... / accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne Edizione: Rist. anast , Turnhout : Brepols, 1976 Ripr. facs. dell'ed.: Paris : J. P. Migne, 1846 Marius : Mercator , Commonitoria : dall'edizione E. Schwarz / con note di Serafino Prete , Bologna : R, Patron, 1959 Note Generali: In testa al front.: Storia del Cristianesimo Marius : Mercator , I memoriali antipelagiani / Mario Mercatore ; a cura di Serafino Prete , Siena : E. Cantagalli, stampa 1960 , I classici cristiani. Sez. 1, Padri e scrittoridella Chiesa Altri titoli collegati: [Titolo originale] Commonitorium adversum haeresim Pelagii et Caelestii vel etiam scripta Juliani, Commonitorium super nomine Caelestii . Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris S. Augustino aequalis opera omnia, sive monumenta ad pelagianam nestoriamque haeresim pertinentia ... Edizione: Editio novissima , Turnhout : Brepols, 1981 , Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum ; 48 Ripr. facs Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 79 Ilario di Poitiers Cenni biografici Nato a Poitiers tra il 310 e il 320 da una famiglia benestante pagana, seguì un corso di studi regolari, si sposò ed ebbe una figlia. La conversione al cristianesimo si maturò in età adulta e già nel 350 Ilario divenne vescovo della sua città natale. Fu da subito fortemente antiariano e in contrasto particolare con Saturnino, vescovo di Arles, tanto da subire nel 356 un esilio in Frigia, da cui fu rimpatriato prima del 359. Proprio durante questo esilio ebbe l'opportunità di confrontarsi, meglio di altri in Occidente, con l'autentico pensiero di Origene e di studiare con attenzione le posizioni della chiesa orientale sulla questione ariana. Continuò tuttavia la sua lotta antiariana, in particolare contro Saturnino di Arles e il vescovo ariano di Milano Aussenzio, nonostante la politica imperiale filoariana. Secondo Girolamo morì intorno al 367. Opere L’attività letteraria di Ilario spazia dalla dottrina all’esegesi alla poesia. Opere teologiche De trinitate (altro titolo, più antico, era De fide contra Arianos), in dodici libri, scritto verosimilmente tra il 356 e il 359, quindi durante il periodo dell’esilio. E' l'opera dottrinale più importante di Ilario, quella che maggiormente trae frutto dalle riflessioni sui padri orientali e su Origene. Vi si sostiene con energia l'unità della natura di Padre e figlio e la distinzione tra le due persone. L’opera può essere letta come un tentativo di rendere meno ampio il divario tra occidentali niceni e omeusiani. Ilario comprende che è necessaria da parte della Chiesa una decisa presa di posizione non solo contro l’Arianesimo, ma anche contro il monarchianismo sabelliano. E’ ben consapevole, in effetti, che la teologia nicena dell’homoousion viene avvertita in oriente con sospetto proprio per la sua vicinanza alle teorie sabelliane. L’opera, preceduta nel primo libro da un prologo con il sommario, può dividersi, non senza incertezze e scompensi che ne tradiscono una storia compositiva in più tempi, in tre parti, la prima delle quali (libri II-III) presenta la problematica sul rapporto tra Padre e Figlio e sulla condizione divina del figlio; la seconda (libri IV-VII) confuta la professione di fede di Ario e illustra testimonianze veterotestamentarie sulla presenza del Figlio, come vero Dio, accanto al Padre, e testimonianze neotestamentarie secondo cui Cristo è vero Figlio di Dio, che è vero Dio come il Padre e che costituisce un solo Dio assieme a lui. La terza parte (libri VIII-XII) è dedicata ai principali argomenti proposti dagli Ariani. Tra le fonti di Ilario vi sono Novaziano, Tertulliano (Adversus Praxeam). "Opera teologica latina più imponente fino ad Agostino, che la conobbe e se ne servì." (Mariotti) De synodis: Illustra questioni sulla polemica antiariana, in particolare le varie posizioni orientali tra il 341 e il 358; risale in effetti al 359, mentre si stanno preparando i sinodi di Rimini e Seleucia. L’intento di I. è quello di riunificare le posizioni occidentali e orientali contro l'eresia, in non pochi casi enfatizzando gli elementi di accordo e minimizzando i punti di dissenso, sostenendo la sostanziale identità dei termini homoiousion e homoousion. Ciò attirò su I. il disaccordo dei più intransigenti, in particolare di Lucifero di Cagliari (vedi). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 80 Liber ad Constantium imperatorem. Composto nel 359, consta in realtà di due scritti distinti; il primo è una lettera inviata a Costanzo dai vescovi occidentali riuniti nel concilio di Serdica (343) per far cessare le persecuzioni contro i fautori del credo niceno; il secondo, di Ilario, narra di un episodio relativo al Concilio di Milano del 355. Contra Constantium. Composto nel 361 è un aperto e reciso invito all'imperatore Costanzo II ad aderire all'ortodossia. L'opera provocò l'allontanamento di Ilario dal suo esilio. Contra Arianos vel Auxentium Mediolanensem. Risale al 364 e rammenta, in forma di lettera circolare ai vescovi cattolici i fatti relativi ai rapporti tra Aussenzio e Valentiniano. Collectanea antiariana Parisina (al. Fragmenta historica). Sono una serie di scritti concernenti la controversia ariana in Occidente, sicuramente la fonte documentale più importante per al questione relativamente al periodo 343-366. Ancora in discussione l’origine della raccolta, tratta forse da un’opera ilariana o rappresentante forse dei materiali parzialmente raccolti e commentati da Ilario. Opere esegetiche Commento In Matthaeum. Compiuto tra il 353 e il 356, è il primo commento continuo a un libro della scrittura redatto in Occidente. Commento In Psalmos (=Tractatus super Psalmos?). Collocabile tra il 364 e il 367, quindi posteriore all'esilio è fortemente influenzato da Origene. Tractatus mysteriorum, più o meno coevo al precedente. Tutta la scrittura espone l’incarnazione di Cristo e l’interpretazione dell’A.T. va guidata in tal senso. Anche quest’opera è fortemente influenzata da Origene. Liber hymnorum: Scoperti solo nell'Ottocento, nello stesso codice del De misteriis, sono i primi, a nostra conoscenza, di un autore di lingua latina e nascono anch’essi a margine della questione ariana, in emulazione di inni che eretici e ortodossi orientali utilizzavano per diffondere le loro teorie. Il tono decisamente dottrinale e complicato fino all’oscurità è decisamente diverso da quello, volutamente semplice, degli inni ambrosiani. Si conservano 3 inni, lacunosi, due dei quali abecedari. Ante saecula qui manes, Ci sono rimaste le prime quattro strofe tetrastiche, composte da due gliconei e due asclepiadei minori alternati. Molte le libertà metriche e prosodiche. Sviluppa temi trinitari. Fefellit saevam Sono le parole iniziali della sesta strofa, quella da cui comincia quanto ci resta del secondo inno, dove l’anima esalta la vittoria di Cristo sulla morte ed esprime la speranza di poter risorgere alla vita eterna. Adae carnis. Composto in strofe tristiche di settenari trocaici. Ci sono rimaste le prime dieci strofe, l’ultima delle quali mutila. Opere perdute Tractatus in Iob (framm.). Opera eegetica derivata dal commento di Origene a Giobbe. Ricordata da Girolamo. Ne restano frammenti di trad. indiretta. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 81 Liber ad praefectum Sallustium sive contra Dioscorum. Ricordata da Girolamo. Expostio epistulae ad Timotheum (framm.). Sono spuri due inni tramandati sotto il suo nome e una epistola ad Abram filiam. Migne Qualis Hilarii ad Salustium liber, cujusve conditionis Dioscorus fuerit, Hieronymus epist. 84, ad Magnum, explicat his verbis: Brevi libello, quem scripsit contra Dioscorum medicum, quid in litteris posset ostendit. Illius autem Hymni qua de re tractaverint, breviter perstringit Concilium Toletanum IV, can. 13, ubi ait: Nonnulli hymni humano studio in laudem Dei, atque Apostolorum et Martyrum triumphos compositi [0020B] esse noscuntur, sicut hi quos beatissimi doctores Hilarius atque Ambrosius ediderunt. De iisdem Hieronymus praefat. in lib. II, Comm. ad Gal. hoc unum indicat, quod Hilarius latinae eloquentiae Rhodanus, Gallus ipse, et Pictavis genitus, in hymnorum carmine Gallos indociles vocet. Sed cum Isidorus Hispal. lib. I Off. eccl. c. 6, hoc ei laudis tribuit, quod hymnorum carmine claruit primus, in unos Latinos respexisse intelligendus est. Scripta Hilarii quae supersunt, secundum temporis seriem: Ad Constantium liber primus [0209C] an. 355; Commentarius in Evangelium Matthaei circa an. 356; De Synodis sive de fide Orientalium, in editionibus vetustis: de synodis Graeciae an. 358; De Trinitate l. XII, an. 359, sive 360 absoluti. Ad Constantium liber secundus an. 360; Adversus Constantium an. 361: Adversus Auxentium Mediolani Ep. an. 365; Expositiones in Psalmos, extrema senectute compositae, auctiores post edit. Veronensem per Edmundum Martene redditae; Fragmenta Hilarii ex libro historiam Concilii Ariminensis et Seleuciensis complex et adversus Valentem et Ursacium inscripto. Falso tribuuntur Hilario: Epistola ad Apram filiam et Hymnus matutinus ad eamdem, quamquam a Benedd. pro genuinis accepta; Carmen in Genesim, liber de Patris et Filii unitate, liber de essentia Patris et Filii, [0209D] uterque e libris de Trinitate consarcinatus, confessio de Trinitate, Alcuini potius, cujus libris de Trinitate adhaesit: denique Epistola sive libellus et sermo de dedicatione Ecclesiae a Trombello vulgati. Deperditorum non exiguus est numerus, in quibus tituli aliquot valde speciosi. Nimirum Liber ad Sallustium, contra Dioscorum medicum Hymnorumque liber, liber Mysteriorum, Epistolae in volumen collectae, Tractatus in Job ex Graeco Origenis translati, et, de quibus tamen dubitare licet, in Epistolas Pauli. Aiunt quidam, Hieronymus inquit [(1) [0209D] De Vir. ill. cap. C.] , scripsisse eum et in Cantica Canticorum; sed a nobis hoc opus ignoratur. [0210A] De singulis post Constantium prolixe et docte egit Oudinus, tom. I, cap. 5, pag. 452, sqq. Testi e testimonianze Hier., vir.ill. 100 [0699B] Hilarius, urbis [e [0700C] Veronens., Pictaviorum Aquitaniae: tum pro Biterensi, alii Byterensi, et Biturensi. Synodus isthaec haec habita est anno 356.] Pictavorum Aquitaniae episcopus, factione Saturnini Arelatensis episcopi, de synodo Biterrensi in Phrygiam relegatus, duodecim adversus Arianos confecit libros et alium librum de Synodis, quem ad Galliarum episcopos scripsit, et in psalmos commentarios, primum videlicet, et secundum, et [f [0700C] Vatican. a quinquagesimo dumtaxat. Sed et alii sunt tractatus Hilarii in Psalmos, puta 9, 13 et 14, etc., qui Hieronymo non innotuerunt.] a quinquagesimo primo usque ad sexagesimum secundum, et a centesimo decimo octavo usque ad extremum, in quo opere imitatus Origenem, nonnulla etiam de suo addidit. Est ejus et ad Constantium libellus, quem [g [0700D] Veronensis viventi eo (leg. ei) Constantinopoli, etc. Sed etiam, qui subsequitur, alius in Constantium liber eo vivente, contra ac Hieron. sentit, scriptus videatur, si reputes auctoris ipsius verba num. 2, ubi se notat scribere quinquennio post exsilia Eusebii, Luciferi, et Dionysii, anno scilicet 360, cum insequente 361 contigerit Constantii obitus. Fortassis autem ille quinquennii terminum paulo latius accepit.] viventi Constantinopoli porrexerat, et alius in Constantium, quem post mortem ejus scripsit, et [h [0700D] Item Veron., et alius liber adversum Valentem, etc. Graec. bivbloi, plurium numero.] liber adversum Valentem et Ursacium, historiam Ariminensis [i [0700D] A Vatic. absunt, et Seleuciensis, tum legit adversum Praefectum, male, et caeteris F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 82 contradicentibus mss. si quaedam editiones consentiunt. Hic autem liber, ut et duo sequentes, jam non exstant, et superioris contra Valentem, etc., fragmenta tantum hodie [0701C] superant, quemadmodum et libri in Job. Porro satis supine Graecus interpres legit libertinorum, libertiðnwn, pro liber hymnorum.] et Seleuciensis [0701A] synodi continens: et ad praefectum Salustium, sive contra Dioscorum, et liber Hymnorum et Mysteriorum alius, et commentarii in Matthaeum, et tractatus in Job, quos de Graeco Origenis ad sensum transtulit, [a [0701C] Vatic. perperam, et alios electos libellos. Ex Epistolis ad diversos pleraeque interciderunt. Subsequens opus in Cantic. cantic. plane ignoratur.] et alius elegans libellus contra Auxentium, et nonnullae ad diversos epistolae. Aiunt quidam, scripsisse eum et in Cantica canticorum; sed a nobis hoc opus ignoratur. Mortuus est Pictavis, [b [0701C] Puta an. 367. Eximium hunc Patrem passim in epistolis aliisque libris Hieronymus laudat.] Valentiniato et Valente regnantibus. Ilario, vescovo di Poitiers, in Aquitania, relegato in Frigia dal sinodo di Béziers, ad opera della setta di Saturnino, vescovo, di Arles, compose dodici libri Contro gli Ariani ; un altra Sui Sinodi, rivolto ai vescovi delle Gallie, inoltre, Commenti ai Salmi, e precisamente ai seguenti: 1, 2, dal 51 al 62, dal 118 al 150, dove imitò Origene, pur integrandolo con aggiunte personali. Anche a lui appartiene un opuscolo indirizzato a Costanzo, che egli aveva presentato a Costantinopoli quand'era ancora vivo, e un altro Contro Costanzo, composto dopo la sua morte; inoltre, un libro Contro Valente e Ursacio, che racchiude la storia dei sinodi di Rimini e di Seleucia; uno scritto Al prefetto Sallustio contro il medico Dioscoro; un libro di Inni, e un altro di Misteri, il Commento a Matteo , e il Commento a Giobbe, modellato su quello greco di Origene; e ancora, un elegante libro Contro Aussenzio, e alcune lettere a diverse persone. Secondo alcuni, egli scrisse altresì dei commenti al Cantico dei Cantici, ma l'opera ci resta del tutto sconosciuta. Morì a Poitiers, sotto gli imperatori Valentiniano e Valente. Trad. E. Camisani (Sulp. Sev. lib. II Hist. sac.) controllo testo Et vero reditu ipsius in nihilum cessit, quidquid ante in Italia, Illyrico, Gallia tentaverat: et apud omnes constitit, unius Hilarii beneficio nostras (nominatim) Gallias a piaculo haeresis liberatas. Hieron., ep. 6, ad Florentium. Interpretationem quoque psalmorum Davidicorum et prolixum valde librum de Synodis sancti Hilarii, quem ei apud Treviros manu mea ipse descripseram, aeque ut mihi transferas peto. Hieron., ep. 7, ad Laetam. Athanasii epistolas et Hilarii libros inoffenso decurrat pede: illorum tractatibus, illorum delectetur ingeniis, in quorum libris pietas fidei non vacillet. [0203B] Caeteros sic legat, ut magis judicet, quam sequatur. Hieron., ep. 12, ad Paulinum. Sanctus Hilarius Gallicano cothurno attollitur: et cum Graeciae floribus adornetur, longis interdum periodis involvitur, et a lectione fratrum simpliciorum procul est. Hieron., Apologia adversus Rufinum. Si auctoritatem suo operi praestruebat, volens quos sequeretur ostendere; habuit in promptu Hilarium confessorem, qui quadraginta ferme millia versuum Origenis in Job et psalmos transtulit. Hieron., ep. 83, ad Magnum. Hilarius meorum confessor temporum et episcopus duodecim Quintiliani libros et stylo imitatus [0203C] est, et numero: brevique libello, quem scripsit contra Dioscorum medicum, quid in litteris posset ostendit. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 83 Hieron., ep. 89, ad Augustinum. Apud Latinos autem Hilarius Pictavensis et Eusebius Vercellensis episcopus Origenem et Eusebium transtulerunt. Hieron., ep. 141, ad Marcellam. Miror te in Hilarii commentariis non legisse, excussorum filios, credentium populos interpretari . . . . . Quid igitur faciam? Tantum virum et temporibus suis disertissimum reprehendere non audeo, qui et confessionis suae merito, et vitae industria, et eloquentiae claritate, ubicumque Romanum nomen est, praedicatur, etc. Hieron., ep. 147, ad Amandum. [0203D] Miror te hoc a me quaerere voluisse, cum sanctus Hilarius Pictavensis episcopus undecimum librum contra Arianos hac quaestione et solutione compleverit. Hier., praef.. in lib. VIII, Comment. in Esaiam. Si flumen eloquentiae et concinnas declamationes desiderant; legant Tullium, Gallionem, Gabinianum, et, ut ad nostros veniam, Tertullianum, Cyprianum, Minutium, Arnobium, Lactantium, Hilarium. Hier., praef. in lib. II. Comment. ad Galatas. Hilarius latinae eloquentiae Rhodanus, Gallus ipse Gallos indociles vocat. [0204A] et Pictavis genitus, in Hymnorum carmine, Rufini de adulteratione librorum Origenis. Hilarius Pictavensis episcopus, confessor fidei catholicae fuit. Hic cum ad emendationem eorum, qui Ariminensi perfidiae subscripserant, librum instructionis plenissimae conscripsisset, etc. August., de Trinit. 6, 10. [0204B] Quidam cum vellet brevissime singularum in Trinitate personarum insinuare propria, Aeternitas, inquit, in Patre, species in imagine, usus in munere. Et quia non mediocris auctoritatis in tractatione Scripturarum et assertione fidei vir exstitit, Hilarius enim hoc in libris suis posuit, horum verborum, id est patris et imaginis et muneris et aeternitatis et speciei et usus abditam scrutatus intelligentiam, etc. Ejusdem lib. I, contra Julianum, c. 3. Audi adhuc quod te possit amplius commovere atque turbare, et utinam in melius commutare. Ecclesiae catholicae adversus haereticos acerrimum defensorem venerandum quis ignoret Hilarium episcopum [0204C] Gallum? Qui cum de Christi carne ageret, attende quid dixerit. Et lib. II, cap. 8, n. 26, 27 et 28. Audi et beatissimum Hilarium ubi speret hominis perfectionem . . . In quadam vero homilia de libro sancti Job attende quid dicat . . . In expositione autem primi psalmi idem doctor non dubitat dicere . . . Catholicus loquitur, insignis Ecclesiarum doctor loquitur, Hilarius loquitur. Cassiani lib. VII de Incarn., cap. 24, cujus verba exscripserunt Alcuinus lib. IV, contra Felicem, et Ratramnus Spicil. tom. I, p. 335. Hilarius vir virtutum omnium atque ornamentorum; et sicut vita, ita eloquentia insignis: qui et [0204D] magister Ecclesiarum et sacerdos, non per sua tantum merita, sed etiam per profectus crevit aliorum: et inter procellas persecutionum ita immobilis perstitit, ut per invictae fidei fortitudinem etiam Confessoris coeperit dignitatem, in libro fidei primo testatur, etc. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 84 Vincentii Lirinensis in Commonitorio. Tertullianus catholici dogmatis, id est, universalis ac vetustae fidei parum tenax, ac disertior multo quam felicior, mutata deinceps sententia fecit ad extremum, quod de eo beatus confessor Hilarius quodam loco scribit: Sequenti, inquit, errore detraxit scriptis probabilibus auctoritatem (In Matth. c. V, n. 1) . Cassiod., de Instit. divin., 17 e 18.. Tunc in illo choro sanctissimo Patrum tibi eum eligere poteris, cum quo suavissime, colloquaris. Difficile [0205B] dictu est quam frequenti occasione reperta Scripturas sanctas locis aptissimis potentes aperiant; ut subito transiens discas, quod te negligenter praeteriisse cognoscis. Testes sunt doctissimi viri diversa laude praecipui, quibus, velut stellis micantibus coelum, fulget Ecclesia: inter quos sanctus Hilarius Pictaviensis urbis episcopus nimia profunditate subtilis et cautissimus disputator incedit, altasque divinarum Scripturarum abyssos in medium reverenter adducens facit. Allora fra questa santissima e facondissima schiera di Padri potrai sceglierti uno col quale colloquiare in maniera piacevolissima. Sarebbe inoltre difficile a dirsi in quante numerosissime occasioni essi abbiano illustrato in maniera efficace nei punti più idonei le sacre Scritture, in modo che durante la lettura tu possa apprendere inaspettatamente ciò che riconosci di aver negligentemente trascurato. Ne sono testimoni scrittori dottissimi che si distinguono per vari meriti, mediante i quali, come per mezzo di stelle lucenti, il cielo della Chiesa risplende. 18. Fra questi sant'Ilario, vescovo di Poitiers, pensatore profondo, sottile e prudentissimo, avanza e, adducendo davanti a noi in maniera riverente i profondi misteri della sacra Scrittura, fa sì che, con l'aiuto di Dio, siano visti con chiarezza gli argomenti che prima erano velati da oscure parabole. Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV] Venant. Fort., de Vita S. Martini, 1. [Migne] Et quia summus apex fidei, virtutis, honoris, Hilarius famae radios jaculabat in orbem, Rite [(a) [0205D] Editi, sacerdotis.] sacerdotii penetralia jura gubernans Buccina terribilis, tuba legis, praeco tonantis, [0205C] Pulchrior electro, ter cocto ardentior auro, Largior Eridano, Rhodano torrentior amplo, Uberior Nilo, generoso sparsior Histro, Cordis inundantis docilis ructare fluenta, Fontibus ingenii [(b) [0205D] Ed. sitientibus.] sitientia pectora rorans, Mens [(c) [0205D] Ed. Evangelii.] evangelici bis bini plena libelli, Quattuor ore suo manans nova flumina mundo, Ornatum Ecclesiae, pollens diadema coruscum In membris Christi capitis velut infula fulgens, Pectore belligerans, adamantinus arte topazos, Ad virtutis opus mens inconcussa palaestris, Gemmifer eloquiis, radiantior ore lapillis, Doctor apostolicus vacuans ratione sophistas, Dogmate, luce, fide, informans virtute sequaces. Hostibus hic quoniam gravis insuperabilis esset, [0205D] Ducitur exilio, [(d) [0205D] Ed. quia longa silentia.] qua longa Seleucia tendit. Regis et auxilio petit [(e) [0205D] Ed. hic.] hinc sua praemia miles, Cujus in abscessu errori vaga Gallia cedit, Et regio titubat tanta se turre movente. Hoc ubi praepropere Martinus comperit, inde Constituit cellam sub vertice Mediolani, etc. Traduzione F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 85 Alcuini Poem. 63. Hoc altare pater praesul Hilarius ornat, Notus in orbe procul, doctor ubique pius. Hac magis victor meritis memoratur in ara, Cassiod., inst., 1,18 Inter quos sanctus Hilarius Pictaviensis episcopus nimia profunditate subtilis et cautissimus disputator incedit altasque divinarum Scripturarum abyssus in medium reverenter adducens, facit praestante Deo illuminata mente conspici, quae prius parabolis velabantur obscuris. Hilar., de trin., 1,1-4. Alla ricerca di Dio. 1. Circumspicienti mihi proprium humanae vitae ac religiosum officium, quod vel a natura manans, vel a prudentum studiis profectum, dignum aliquid hoc concesso sibi ad intelligentiam divino munere obtineret, multa quidem aderant, quae opinione [(b) [0025D] Pervetustus codex Colbertinus cum Germanensi, communione; forte, communiore.] communi [0026C] efficere utilem atque optandam vitam videbantur, maximeque ea quae et nunc et semper antea potissima inter mortales habentur, otium simul atque opulentia, quod aliud sine altero mali potius materies, quam boni esset occasio; quia et quies inops prope quoddam vitae ipsius intelligatur esse exsilium, et opulens inquietudo 2 tanto plus calamitatis afferat, quanto majore indignitate his caretur, quae maxime et optata et quaesita sunt ad utendum. Atque haec quidem quamquam in se summa atque optima vitae blandimenta contineant, tamen non multum videntur a consuetudine esse beluinae oblectationis aliena: quibus in saltuosa loca ac maxime pabulis laeta [(c) [0026D] In iisdem mss. vacantibus; quae vox Hilarii menti, bestiarum scilicet otio designando, optime congruit, sed non ita orationi.] evagantibus, adsit et securitas a labore, et satietas ex pascuis. Nam si hic optimus et absolutissimus [0026D] vitae humanae usus existimabitur, quiescere et abundare; necesse est hunc eumdem, secundum sui cujusque generis sensum, nobis atque universis rationis expertibus beluis esse communem: quibus omnibus, natura ipsa in summa rerum copia et securitate famulante, sine cura habendi copia redundat utendi. 2. Ad alia natos se senserunt plerique homines.—Ac mihi plerique mortalium non ob 3 aliam quidem [0027A] causam hanc ineptae ac beluinae vitae consuetudinem et respuisse a se, et coarguisse in aliis videntur, quam quod, natura ipsa auctore impulsi, indignum homine esse existimaverunt, in officium se ventris tantum et inertiae natos arbitrari; et in hanc vitam non ob aliqua praeclari facinoris aut bonae artis studia esse deductos, aut hanc ipsam vitam non ad aliquem profectum esse aeternitatis indultam [(a) [0027D] Martinus Lipsius post Erasmum ob quam, addita particula ob praeter fidem mss. Mox apud eosdem refutandum: in editione Badii Ascensii, reputandum vel refutandum, quomodo exstat in uno e Colbertinis mss. In edit. Parisiensi an. 1605, et pluribus mss. reputandam. At in mss. vetustioribus, reputandum. Quod in his ad munus, in aliis eodem sensu ad vitam refertur. Deinde [0028D] in mss. Colb. et Germ., languoribus, non angoribus.] quam profecto non ambigeretur munus Dei non esse reputandum, cum tantis afflictata angoribus, et tot molestiis impedita, sese ipsa atque intra se a pueritiae ignoratione usque ad senectutis deliramenta consumeret): et idcirco ad aliquas se patientiae et continentiae et placabilitatis virtutes et doctrina et opere transtulisse, quod bene agere atque intelligere, id demum [0027B] bene vivere esse opinabantur: vitam autem non ad mortem tantum ab immortali Deo tribui existimandam; cum boni largitoris non esse intelligeretur, vivendi jucundissimum sensum ad tristissimum metum tribuisse moriendi. 3. In Dei cognitionem ardet Hilarius.—Et quamquam non ineptam hanc eorum esse sententiam atque inutilem existimarem, conscientiam ab omni culpa liberam conservare, et omnes humanae vitae molestias vel providere prudenter, vel vitare consulte, vel ferre patienter: tamen hi ipsi non satis mihi idonei ad bene beateque vivendum auctores videbantur, communia tantum et convenientia humano sensui doctrinarum praecepta statuentes: quae cum non intelligere beluinum esset, intellecta tamen [0027C] non agere, ultra beluinae immanitatis esse rabiem videretur. Festinabat autem animus, non haec tantummodo agere, quae non egisse, et criminum esset plenum, et dolorum: sed hunc tanti muneris Deum parentemque cognoscere, cui se totum ipse deberet, cui famulans nobilitandum se existimabat, ad quem omnem spei suae opinionem F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 86 referret, in cujus bonitate inter tantas praesentium negotiorum calamitates, tamquam tutissimo sibi portu familiarique requiesceret. Ad hunc igitur vel intelligendum, vel cognoscendum, studio flagrantissimo animus accendebatur. 4. Variae antiquorum de Deo opiniones. Hilario non probantur, pro certo habenti Deum non esse nisi unum. —Namque plures eorum numerosas incertorum [0027D] deorum familias introducebant: et virilem ac muliebrem sexum in divinis naturis agere existimantes, ortus ac successiones ex diis deorum asserebant. Alii majores ac minores et differentes pro potestate deos praedicabant. Nonnulli nullum omnino Deum esse affirmantes, eam tantum, 4 quae fortuitis motibus atque concursibus in aliquid exsisteret, naturam [0028A] venerabantur. Plerique vero Deum quidem esse opinione publica loquebantur, sed hunc eumdem incuriosum rerum humanarum ac negligentem pronuntiabant. Aliqui autem ipsas illas creaturarum corporeas conspicabilesque formas in elementis terrenis et coelestibus adorabant. Postremo quidam in simulacris hominum, pecudum, ferarum, volucrum, serpentum, deos suos collocabant, et universitatis Dominum atque infinitatis parentem intra angustias metallorum et lapidum et stipitum coartabant. Dignumque jam non erat, auctores eos veritatis [(b) [0028D] Bad., Er., Lips., et mss. non pauci, existimare. At potiores cum Par. exsistere.] ex sistere, qui ridicula et foeda et irreligiosa sectantes, ipsis illis inanissimarum sententiarum suarum opinionibus dissiderent. Sed inter haec animus sollicitus, utili ac necessaria ad cognitionem Domini sui [0028B] via nitens, cum neque incuriam Deo rerum a se conditarum dignam esse arbitraretur, neque naturae potenti atque incorruptae competere sexus deorum, et successiones satorum atque ortorum intelligeret: porro autem divinum et aeternum nihil nisi unum esse et indifferens pro certo habebat, quia id quod sibi ad id quod esset auctor esset, nihil necesse est extra se quod sui esset praestantius reliquisset: atque ita omnipotentiam aeternitatemque non nisi penes unum esse; quia neque in omnipotentia validius infirmiusque, neque in aeternitate posterius anteriusve congrueret; in Deo autem nihil nisi aeternum potensque esse venerandum. 1. [1] Quando mi guardavo attorno alla ricerca di quello che deve essere il fine caratteristico, e nel contempo sacro, della vita umana, il fine che mi permettesse, o perché scaturisce dalla nostra natura, o perché risulta dalle meditazioni dei filosofi, di ottenere qualche risultato degno di questo dono divino che ci è stato dato per conoscere, trovavo che molti erano i beni giudicati capaci, secondo l'opinione comune, di rendere la vita utile e desiderabile. Soprattutto mi trovavo dinanzi quei beni che ora, e sempre nel passato, sono considerati i più importanti fra i mortali, cioè l'ozio unito alla ricchezza. L'uno di essi senza l'altro suole apparire motivo di sofferenza, anziché occasione di felicità. Perché, da un lato, la vita tranqui lla di un povero viene considerata, direi, come una specie di esilio dalla vita; e dall'altro lato, la vita tormentata di un ricco è tanto più dolorosa quanto maggiore è il disappunto con cui subisce la privazione di quei beni che sono stati e desiderati e cercati per poterne godere. Inoltre, i due beni di cui ho fatto cenno, pur recando in sé le maggiori e migliori gioie della vita, non sembrano molto diversi da ciò che costituisce la felicità ordinaria degli animali, i quali, vagando per balze coperte di boschi e oltremodo rigogliose di erbe, vivono affrancati dalla fatica e saziati dai pascoli. Sta di fatto che, se si considererà il vivere nell'ozio e nell'abbondanza come l'ideale perfetto e assoluto della vita umana, necessariamente questo medesimo ideale, tenuto conto del diverso grado di sensibilità di ciascuna specie, sarà comune a noi e a tutti gli animali privi di ragione. Senonché questi, tutti quanti, godono di beni a profusione e non hanno l'incomodo di procurarseli, perché la natura stessa è al loro servizio e li offre ad essi senza alcun risparmio e senza fastidio alcuno. [2] Io credo però che gli uomini, nella maggior parte abbiano rifiutato per sé, e condannato negli altri, questo modo di vivere stolto e bestiale per nessun'altra ragione se non questa: essi (ed è stata la natura stessa ad orientarli in tal senso) hanno giudicato cosa indegna dell'umanità il credersi nati al solo scopo di servire al ventre e all'inerzia; il pensare di non essere venuti a questo mondo per qualche Illustre impresa o per qualche nobile occupazione; oppure il ritenere che questa vita stessa ci sia stata data senza alcuna prospettiva d'eternità. Se così fosse, senz'altro, la vita non dovrebbe essere giudicata un dono di Dio, dal momento che essa, colpita com'è da grand i dolori ed impigliata in tante difficoltà, non farebbe che consumarsi da sé, ed entro i suoi angusti limiti, dall'incoscienza della puerizia all'imbecillità della vecchiaia. Per questa ragione gli uomini si sono dedicati alle virtù della pazienza, della moderazione e della clemenza, perché hanno ritenuto che il ben vivere fosse tutt'uno col bel fare e col ben pensare. Inoltre, non si doveva credere che Dio, il quale è immortale, avesse concesso la vita al solo fine della morte, perché è chiaro che non sarebbe cosa degna di un donatore generoso elargire il dolcissimo sentimento della vita in vista del timore molto avvilente della morte. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 87 [3] Io non giudicavo insensate e vane queste idee da loro professate, che consistevano nel conservare la coscienza libera da ogni colpa e nel prevedere con saggezza, o evitare con senno, o sopportare con pazienza, tutti gli inconvenienti della vita umana. Costoro, però, non mi sembravano abbastanza capaci di dare consigli per una vita assolutamente buona e felice, perché fissa vano soltanto dei precetti generici e adatti al limitato ambito del pensiero umano. Se era da bestie il non intenderli, il non metterli in pratica, una volta capiti, mi appariva come un andare oltre l'irrazionalità degli animali feroci. Inoltre, la mia anima era ansiosa non solo di fare ciò che sarebbe stato assolutamente delittuoso e doloroso non fare, ma di conoscere colui che era Dio ed autore di sì gran dono e a cui il mio animo doveva tutto il suo essere. Riteneva di potersi nobilitare se a lui serviss e, se in lui riponesse tutta intiera la sua speranza, se, fra così gravi miserie del momento attuale, riposasse nella sua bontà come in un porto assolutamente sicuro e familiare. Pertanto la mia anima bruciava dal desiderio ardente e di intenderlo e di conoscerlo. [4] Infatti, molti fra gli antichi ammettevano un gran numero di dèi piuttosto indefiniti, raggruppati in famiglie; e poiché ritenevano che nelle nature divine potesse trovarsi il sesso maschile e femminile, parlavano di nascite e di successioni di dèi da altri dèi. Altri dicevano che c'erano degli dei maggiori e degli dèi minori e che si diversificavano tra di loro in quanto al potere. Alcuni affermavano che non esisteva assolutamente alcun dio e veneravano soltanto quella natura che manifestava l a sua esistenza con movimenti ed incontri casualî. I più, poi, parlavano dell'esistenza di un dio secondo le credenze comuni, ma dichiaravano che questo stesso dísdegnava e trascurava le vicende umane. Alcuni, a loro volta, adoravano, negli elementi della terra e del cielo, perfino le forme materiali e visibili del mondo creato. Infine, alcuni ponevano i loro dèi in statue che raffiguravano uomini, animali, fiere, uccelli, serpenti e chiudevano negli angusti limiti di un metallo, di una pietra, di un pezzo di legno, il Signore dell'universo e il Padre dell'infinito. In conseguenza di ciò, non sarebbe stata cosa degna che si atteggiassero a maestri di verità coloro che seguivano queste idee ridicole, turpi, sacrileghe e che erano perfino in disaccordo nella formulazione di quelle loro opinioni senza fondamento. Ma tra questi pensieri la mia anima era angustiata e cercava con pena la via utile e necessaria per giungere a conoscere il suo Signore: pensava che non fosse degno di Dio il non curarsi delle cose da l ui create e capiva che ad una natura potente e incorruttibile non si confacevano il sesso degli dèi, le genealogie e le nascite. D'altra parte, teneva per certo che niente è divino ed eterno se non è unico ed indifferenziato, perché ciò che è cagione a se stesso del proprio essere, necessariamente non può lasciare fuori di sé niente che sia superiore a sé. Così, pensava, l'onnípotenza e l'eternità non può esistere se non in un solo essere, perché non sarebbe logico, trattandosi di onnipotenza, parlare di pi ù forte e di più debole; né, trattandosi di eternità, parlare di posteriorítà o anteriorità: in Dio, dunque, non si poteva venerare altro che l'essere eterno ed onnipotente. Trad. G. Tezzo, La Trinità, Torino, Utet, 1971. Hilar., de trin., 1,14-19. Contro le eresie. —In hoc ergo [(d) [0035D] Excusi, conscia: refragantibus mss.] conscio securitatis suae otio mens spebus suis laeta requieverat: intercessionem mortis hujus usque eo non metuens, 12 ut etiam reputaret [(e) [0035D] Unus codex Remig. cum Theod., initium aeternitatis.] in vitam aeternitatis. Vitam autem hujus corporis sui non modo non molestam sibi aut aegram arbitrabatur, ut eam quod pueritiae litteras, quod aegris medicinam, quod naufragis natatum, quod adolescentibus disciplinam, [(f) [0035D] Particulam quod hic in vulgatis omissam restituimus [0036C] ex mss. Ita haec intelligere est, quasi legeretur, ut eam, quamvis tantis angoribus afflictatam, crederet esse, quod pueritiae litteras, etc.] quod militiam esse crederet imperaturis: rerum scilicet praesentium tolerantiam, ad praemium beatae immortalitatis proficientem. Quin etiam id, quod sibi credebat, tamen per ministerium impositi sacerdotii etiam caeteris praedicabat, munus suum ad officium publicae salutis extendens. 15. Haereticorum ingenium.—Sed inter haec emerserunt [0036B] desperata in sese, et saeva in omnes impiae temeritatis ingenia (supple, hominum), potentem Dei naturam naturae suae infirmitate moderantium: neque ut ipsi usque ad infinitatem opinandi de infinitis rebus emergerent, sed intra finem sensus sui indefinita concluderent; essentque sibi arbitri religionis, cum religionis opus [(g) [0036C] Ita Par. cum antiquioribus mss. At Bad. Er. et Lips. cum aliis, in solo obedientiae esset officio. Hic commendatur F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente obedientia fidei, de qua infra n. 37: Ultra naturalem opinionem fidei obedientia nos provehit. esset officium; sui immemores, divinorum negligentes, praeceptorum emendatores. 88 obedientiae Nam ut de caeteris haereticorum stultissimis studiis sileam, de quibus tamen, sic ubi occasionem sermonis ratio praebebit, non tacebimus; quidam [(h) [0036C] Haec Noetum, Praxeam, et Hermogenem spectant, maxime vero Sabellium, qui, ut notat Augustinus de Haeres. ad Quodvultdeum, iis quibus consentiebat, subinde factus est famosior. Hujus haeresis rursum exponitur lib. de Synod. n. 45: Quidam enim ausi sunt innascibilem Deum usque ad sanctam Virginem substantiae dilatatione protendere, ut latitudo deducta quodam naturae suae tractu assumensque hominem filius nuncuparetur, neque Filius ante saecula perfectus [0036D] Deus natus, idem postea et homo natus sit. Utrumque illum locum illustrat Epiphanius, quo teste haer. LXII, n. 1, asserebat Sabellius, Filium radii in morem emissum, omnia, quae ad Evangelii et humanae salutis procurationem attinerent, in hoc mundo praestitisse; atque ita in coelum rediisse, quemadmodum is qui a sole manavit radius in eumdem postea refunditur. Quomodo autem sol radio in terras protenditur potius quam descendit, ita Dei in Virginem protensionem tantum, non descensionem admisit. Haud aliter sensit Marcellus Theodoreto teste, qui de eo prodit lib. II Haeret. fab.: Prorsus existimavit Trinitatem extendi contrahive pro oeconomiarum et consiliorum diversitate; et paulo ante: Extensionem quamdam divinitatis Patris in Christum venisse dixit, et hanc Deum Verbum appellavit: peracta autem universa oeconomia rursus attractam esse reversamque ad Deum ex quo extensa fuit.] ita evangelicae fidei corrumpunt sacramentum, ut sub unius Dei pia tantum professione nativitatem unigeniti [0036C] Dei abnegent; ut protensio sit potius in hominem, quam descensio: neque ut qui filius hominis secundum tempora assumptae carnis fuit, idem antea [0037A] semper fuerit atque sit filius Dei: ne in eo nativitas Dei sit, sed ex eodem idem sit; ut unius Dei, ut putant, inviolabilem fidem [(a) [0037C] In Pratellensi ms. series ex solido Deo, et mox, Pater spiritu protensus: voces Deo et Spiritu ex margine in textum haud dubie translatae. Hic rursum locus illustratur similitudine solis, ut quemadmodum radius est series ex solido solis corpore educta in terras, ita et Filius sit series educta a Patre: ut enim in [0037D] sole vis triplex, illuminandi, calefaciendi, et orbicularis figura, seu solidum illud unde est utraque vis: ita et in Trinitate excogitabant Sabelliani triplicem vim, cujus Pater esset hypostasis ac veluti totius forma, ut loquitur Epiphanius loco laudato: ex quo haeresis hujus notitiam ad capiendos Hilarii libros necessariam comparamus.] series ex solido in carnem deducta conservet, dum usque ad virginem Pater protensus, ipse sibi natus 13 sit in filium. Alii vero (quia salus nulla sine Christo sit, qui in principio apud Deum erat Deus Verbum), nativitatem negantes, creationem solam professi sunt: ne nativitas veritatem Dei admitteret, [(b) [0037D] Apud Bad., Er., necnon in ms. Vat. bas. et Colb. uno, sed creatio veluti compositi et simulati Dei falsitatem doceret: quod glossema suspicamur, maxime cum haec loquendi ratio ab Hilario sit aliena.] sed creatio falsitatem doceret, quae dum ementiretur in genere [(c) [0037D] In vulgatis et pluribus mss. hic additur vox creationis, quae rectius abest a castigatioribus libris. Antea excusi habent ementirentur, et post excluderent, nullo fere suffragante ms. Non displiceret tamen, si [0038C] antea praemitteretur qui dum, non quae dum, etc., id est, quae creatio non nisi mendaciter subjicitur fidei Dei, qui genere et natura unus est, quamvis non excludatur a fide Dei in sacramento, quatenus plures per quamdam praerogativam hoc nomen sortiuntur. Videsis lib. contra Auxent. n. 5.] Dei unius fidem, non excluderet in sacramento: sed nativitatem veram nomini ac fidei creationis [(d) [0038D] Solus codex Vat. bas. substituentes: minus bene. Hoc enim sibi vult: quem catholici Deum verum, utpote ex Deo vera nativitate natum credunt, illi haeretici nomini ac fidei creationis subjiciunt.] subjicientes, a veritate unius Dei separabilem eum facerent, ut creatio substitutionis, perfectionem sibi divinitatis non usurparet, quam veritatis nativitas non dedisset. [0037B] 17. Fides vera contra utramque toto hoc opere stabilienda.—Horum igitur furori respondere animus exarsit: recolens hoc vel praecipue sibi salutare esse, non solum in Deum credidisse, sed etiam in Deum patrem; neque in Christo tantum sperasse, sed in Christo Dei filio; neque in creatura, sed in Deo creatore ex Deo nato. Maxime ergo properamus ex propheticis atque evangelicis praeconiis vesaniam eorum ignorantiamque confundere, qui sub unius Dei, sola sane utili ac religiosa praedicatione, aut Deum natum Christum negant, aut verum Deum non esse contendunt; ut creatio potentis creaturae intra unum Deum fidei sacramentum relinquat; quia nativitas Dei extra unius Dei fidem religionem protrahat [(e) [0038D] Editio Par. antiquos libros, quibus solemne est mutare t in d, secuta, confitendum.] confitentum. Sed nos edocti divinitus neque [0037C] duos deos praedicare neque solum, hanc evangelici ac prophetici praeconii rationem in confessione Dei patris et Dei filii [(f) [0038D] Vat. bas. ms., asserimus.] afferemus, ut unum in fide nostra sint uterque, non unus: neque eumdem utrumque, neque inter verum ac falsum aliud confitentes; quia Deo ex Deo nato, neque eumdem nativitas permittit esse, neque aliud. 18. Lectori fides necessaria.—Et vos quidem, quos fidei calor et [(g) [0038D] Bad. et Er., ignorante, Lips. et Par., ignoratum: castigantur ex mss.] ignoratae mundo ac sapientibus mundi veritatis studium ad legendum vocavit, meminisse [0038A] oportet terrenarum mentium infirmas atque imbecillas opiniones esse abjiciendas, et omnes imperfectae sententiae angustias religiosa discendi exspectatione laxandas. Novis enim regenerati ingenii sensibus opus est, ut unumquemque conscientia sua secundum coelestis originis F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 89 munus illuminet. Standum itaque per fidem ante est, ut sanctus Jeremias admonet (XXIII, 22) , [(h) [0038D] Apud LXX, ejn uJpostavsei. Gregorius Nazianz. Orat. XXXIV, legens ejn uJposthvmati, explicandae hujus vocis gratia addit, kaiú oujsivaé Kurivou × quod quidem ulli viventium hactenus concessum negat, quia eorum nemini datum est videre naturam seu essentiam Dei. Ambrosius, l. III de Fide, c. 15: Quis stetit in substantia Domini, et vidit verbum ejus?] in substantia Dei: ut de substantia Dei auditurus, sensum suum ad 14 ea quae Dei substantiae sint digna moderetur; moderetur autem non aliquo modo intelligendi, sed infinitate. Quin etiam conscius sibi divinae se naturae participem, ut beatus apostolus Petrus in epistola sua altera ait (cap. II, 14) , effectum fuisse, Dei naturam non naturae suae legibus metiatur, sed divinas professiones [0038B] secundum magnificentiam divinae de se protestationis expendat. Optimus enim lector est, qui dictorum intelligentiam exspectet ex dictis potius quam imponat, et retulerit magis quam attulerit, neque cogat id videri dictis contineri, quod ante lectionem praesumpserit intelligendum. Cum itaque de rebus Dei erit sermo, concedamus cognitionem sui Deo, dictisque ejus pia veneratione famulemur. Idoneus enim sibi testis est, qui nisi per se cognitus non est. 19. Comparatio ad divina nulla est perfecta.—Si qua vero nos de natura Dei et nativitate tractantes, comparationum exempla afferemus, nemo ea existimet absolutae in se rationis perfectionem continere. Comparatio enim terrenorum ad Deum nulla est: sed infirmitas nostrae intelligentiae cogit species quasdam ex inferioribus, tamquam superiorum indices quaerere; [0038C] ut rerum familiarium consuetudine admonente, ex sensus nostri conscientia ad insoliti sensus opinionem educeremur (Haec memorantur lib. IV, n. 2) . Omnis igitur comparatio homini potius utilis habeatur, quam Deo apta, quia intelligentiam magis significet, quam expleat: neque naturis carnis et spiritus, et invisibilium ac tractabilium coaequandis praesumpta reputetur, protestans et infirmitati se humanae intelligentiae necessariam, et ab invidia esse liberam non satisfacientis exempli. Pergimus itaque de Deo [0039A] locuturi Dei verbis, sensum tamen nostrum rerum nostrarum specie imbuentes. 1. [14] Il mio spirito, lieto per le speranze sue, riposava felice in questa tranquillità cosciente della sua sicurezza e non temeva il sopraggiungere della morte, anzi la considerava con fervore in vista della vita eterna. Riteneva la vita di questo suo corpo non solo non molesta per sé o inferma, ma la paragonava a ciò che sono gli studi per i fanciulli, la medicina per gli ammalati, il nuoto per i naufraghi, l'istruzione per i giovanetti, il servizio militare per gli uomini destinati al comando: giudicava, cioè, che il saper sopportare le difficoltà di questa vita giovasse a conseguire il premio della beata immortalità. Anzi, predicava la sua fede anche agli altri in virtù del ministero sacerdotale che gli era stato conferito, intensificando il suo impegno per conseguire il fine della salvezza di tutti. [15] Nel frattempo, però, comparvero figure di pensatori di un'audacia sacrilega, perduti in sé come individui, funesti per tutti perché misuravano la potenza della natura divina secondo la debolezza della propria natura. Incapaci com'erano di assurgere al pensiero infinito per quanto concerne le cose infinite, rinchiudevano ciò che non ha confini nei confini del loro pensiero e, mentre la morale religiosa comanda il dovere dell'obbedienza, essi si credevano giudici della religione, dimentichi di ciò che erano essi stessi, incuranti dei doveri verso Dio, del quale pretendevano di correggere i precetti. [16] Se passerò sotto silenzio alcune dottrine ereticali assolutamente insensate, non tacerò di altre quando il discorso me ne offrirà l'occasione. Alcuni eretici fals ano a tal punto il mistero della fede evangelica che, accettando soltanto come ortodossa la professione di un unico Dio, negano assolutamente la nascita di Dio unigenito, intendendola come un protendersi verso l'umanità e non come una discesa. Secondo costoro, quello che fu il Figlio dell'uomo al tempo dell'Incarnazione non fu sempre per il passato, e non è ora, il Figlio di Dio: in lui non esiste la nascita di un Dio, ma, in quanto procede da Dio, è Dio stesso. Essi in tal modo ritengono di conservare invi olata la fede in un solo Dio, ammetendo un prolungamento della sostanza divina fino alla nostra carne, perché, secondo loro, il Padre si calò nel seno della Vergine e nacque come tiglio a se stesso. Altri, invece (poiché non è possibile parlare di salvezza senza Cristo, che in principio era Dio, cioè il Verbo presso Dio), negavano la generazione [eterna] e riconoscevano soltanto la creazione, temendo che l'ammettere la generazione portasse ad accettare Cristo come vero Dio. La creazione, invece, tendeva a f ar vedere che Cristo non era propriamente Dio: essa infatti minava la fede in una sola natura divina, pur non escludendola in senso mistico. Ma costoro, sostituendo il termine creazione, e la fede in essa, al concetto genuino della generazione, considerano il Verbo separabile dall'unico vero Dio, affinché come essenza creata non pretenda per sé la perfezione divina, perché non c'è stata una vera generazione [divina] ad attribuirgliela. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 90 [17] L'anima mia fu tutta presa dal desiderio ardente di rintuzzare le i nsensate affermazioni di costoro. Pensava che le era particolarmente salutare non solo la fede in Dio, ma anche in Dio come padre; non solo la speranza in Cristo, ma in Cristo figlio di Dio; non in una creatura, ma in Dio creatore, nato da Dio. Pertanto, in base alle testimonianze offerte dai testi profetici ed evangelici, noi ci volgiamo con sollecitudine a ridurre in confusione l'insana ignoranza di coloro che, per sostenere l'unità di Dio, la quale senz'altro è l'unico fine vantaggioso e pio, o negano ch e Cristo nascendo sia Dio, o sostengono che non è vero Dio. Secondo loro, la creazione di una potente creatura lascia intatta la fede nell'unità di Dio, perché ammettere che Dio sia stato generato - essi dicono - allontana la pietà dei fedeli dalla credenza in un solo Dio. Ma noi, ammaestrati dall'insegnamento divino non già ad ammettere due dei, ma neppure [un Dio] solitarino, nel confessare Dio padre e Dio figlio porteremo questa prova, tratta dai testi evangelici e profetici, cioè che nella nostra fede l 'uno e l'altro hanno una sola natura, non una sola persona. Non ammetteremo che l'uno e l'altro siano la medesima persona, né che [Cristo] sia un essere intermedio fra il vero [Dio] e il non vero, perché la generazione non concede a chi è Dio, nato da Dio, né di essere lo stesso come persona, né di essere diverso come natura. [18] E voi, che il calore della fede e l'amore della verità, ignorata dal mondo e dai sapienti del mondo, ha indotto a leggere le mie parole, anche voi dovete ricordare che bisogna rig ettare le idee malferme ed impotenti delle menti terrene ed allargare ogni angusto confine di una conoscenza imperfetta, nella religiosa attesa di conoscere la verità. Occorre quel modo nuovo di pensare che è proprio della natura rigenerata, affinché ciascuno sia illuminato dalla propria conoscenza conformemente alla grazia che promana dalla celeste origine. In primo luogo, mediante la fede bisogna tener ben fermo il concetto dell'essenza di Dio, come ammonisce il santo Geremia, in modo che chi sentirà parl are dell'essenza di Dio, adegui le sue idee a ciò che è degno dell'essenza di Dio e le commisuri non alle nostre limitate capacità di intendere, ma alla sua natura infinita. Anzi [l'uomo], nella sua consapevolezza di essere stato fatto partecipe della natura divina, come dice il beato apostolo Pietro in un'altra sua lettera, misuri la natura di Dio non secondo i princìpi della propria natura, ma esamini le forme della rivelazione di Dio, tenendo conto delle solenni testimonianze che egli ha dato di sé. Il m iglior interprete è proprio quello che il significato del testo lo chiede al testo, anziché imporlo ad esso, ed ha l'abitudine di riferire più che di aggiungere; è quello che non ti costringe a ritenere che, in ciò che dice, siano contenuti concetti fissati prima di leggere il testo. Quando, pertanto, il discorso verterà su argomenti che si riferiscono a Dio, ammettiamo l'idea che Dio conosca se stesso e accettiamo le sue parole con religioso rispetto. Infatti è testimone valido a se stesso colui che da nes suno è conosciuto se non da sé. [19] Se, durante la trattazione relativa alla natura di Dio e alla sua generazione eterna, porteremo degli esempi a titolo di confronto, nessuno pensi che essi rechino in sé l'idea assoluta nella sua perfezione. La realtà terrena non può essere paragonata con quella divina, ma l'infermità della nostra mente costringe a cercare alcune forme della realtà ínferiore come mezzi per suggerire una realtà superiore. In tal modo, partendo dalle esperienze del mondo che ci è familiare, ci eleviamo dalle forme di conoscenza che il nostro pensiero ci offre a conclusioni su argomenti che non ci sono familiari. Ogni tipo di confronto, perciò, si giudichi utile all'uomo piuttosto che confacente a Dio, in quanto offre qualche indizio più che una conoscenza completa. E non si giudichi presuntuoso tale confronto quando mette a fianco la carne e lo spirito, le cose visibili e quelle invisibili; infatti esso si mostra mezzo necessario per la debolezza della nostra intelligenza ed evita la condanna dovuta ad un termine di confronto imperfetto. Pertanto, ci avviamo a parlare di Dio ricorrendo alle parole di Dio, ma colorando il nostro pensiero con le immagini della realtà che ci circonda. Trad. G. Tezzo, La Trinità, Torino, Utet, 1971. Inno abecedario (cf. SEMI, III, 222) Manca in Migne Ricerca Internet Bis nobis genite Deus Difficile, altri elementi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 91 niente Cetedoc Letture critiche - C. Moreschini, Gli Inni di Ilario di Poitiers Costituisce un'altra testimonianza della notevole personalità di Ilario il fatto che il grande teologo ed esegeta si dedicò anche alla poesia scrivendo, per fini catechetici, degli Inni che hanno lo scopo di celebrare le lodi di Dio. Questo genere poetico aveva gà da tempo il suo posto nella prassi liturgica, ma non era stato ancora impiegato in ambito letterario (esisteva, invece, già da vari secoli nelle letterature pagane, pur non essendo una composizione molto frequentemente usata); e la poesia cristiana dell'età precedente, cioè quella di Costantino, aveva percorso, come si è visto, altre vie. Ilario, dunque, esegue un'opera di grande novità, cioè quella di scrivere una poesia di contenuto innico, destinata alla comunità cristiana, anche se, a causa del suo faticoso modo di esprimersi e del suo stile estremamente manierato, i suoi Inni, dopo un periodo iniziale di relativa fama (furono ammirati da Isidoro di Siviglia e ricordati come i soli meritevoli di essere cantati, accanto a quelli di Ambrogio, dal concilio di Toledo del 633), ebbero scarsa diffusione e nessun influsso sulla innodia successiva, per la quale l'unico e incontrastato modello fu Ambrogio. Oramai anche la poesia cristiana si sente meno legata alle leggi della prosodia, che non è più seguita né conosciuta in quei tempi, per cui gli Inni di Ilario mostrano varie irregolarità. Essi sono tre in tutto, scritti probabilmente dopo l'esilio; usano i metri della lirica di Orazio (il primo), una serie di giambi (il secondo), il tetrametro trocaico, metro della poesia popolare, il terzo; i primi due sono abecedari (cioè le strofe si susseguono iniziando con ciascuna lettera successiva dell'alfabeto). Li precede un distico, nel quale Ilario quasi espone il suo programma poetico, riconducendo la sua produzione a colui che, per primo e meglio degli altri, scrisse degli inni a Dio, e cioè a Davide. II primo (Tu che sei prima dei secoli, Ante saecula qui manes) ha come argomento la presenza eterna del Figlio nel Padre, in polemica con gli ariani; il secondo (Ti ingannò, o crudele - scil., la morte - il Verbo fatto carne, Fefellit saevam Verbum factum te caro) è manchevole di cinque strofe (sembra essere il grido di sfida alla morte da parte dell'anima, riscattata dalla resurrezione di Cristo; il terzo (I gloriosi combattimenti della carne e del corpo effimero di Adamo, Adae carnis gloriosa et caduci corporis), ridotto a poche strofe, esalta l'incarnazione di Cristo e la sua vittoria sul demonio. Bibliografia. Edizioni: CSEL 65, 1916 (A. Feder). Studi: M. Pellegrino, La poesia di sant'Ilario di Poitiers, VigChr 1 (1947) 201-226;J. Fontaine, Nnv sance de la poéste chrélienne, Et. Augustiniennes, Paris 1981; B. I.uiscllv, Forme versificatorie e destinazione popolare in Ilario, Ambrogio e Agostino. «Helikon» 22-23 (1982-1987) 6-18. Moreschini- Norelli, 2/1, pp. 457-58. Scheda. Inno e innologia. J. Fontaine INNO / INNOLOGIA. Che il loro senso sia proprio o figurato, i due testi delle Epistole paoline (Eph 5,19 [18] e Col 3,16) sembrano bene attestare, mettendo sullo stesso piano i tre termini concernenti il canto liturgico paleocristiano composto di «salmi, inni e cantici (il testo greco dice odai) spirituali». È un chiaro simbolo di continuità e di interferenza, nella più antica innologia cristiana, tra tradizione biblica, soprattutto dei .Salmi, e tradizione poetica e religiosa, greco-romana, degli hymnoi e dei cantica. Prendendo spesso la forma di un lirismo corale e di canti di azione di grazia e di preghiera indirizzati ad una divinità, I'innodia religiosa è già un atto liturgico fondamentale nelle civiltà dell'antichità classica, dagli inni omerici al Carmen saeculare di Orazio. In rapporto alla doppia tradizione, giudaica e greco-romana, la novità cristiana consiste nel fatto che una tale celebrazione poetica e musicale, quali che siano le sue forme, si indirizza «a Cristo come a un Dio» (Plin., Ep. 96 [97], 7: carmen Christo quasi Deo dicere; testo spiegato nel senso di canto da Tertull., Apol. 2,5: ad canendum Christo ut Deo). Lo si vede nell'antichissimo Phôs hilarion (III sec.?). Questa celebrazione della «luce gioiosa della santa gloria / del Padre celeste immortale / celeste e beato / Gesù Cristo» (strofa 1) si ritma in tre strofe di quattro membri, scritti in una prosa greca ametrica, come altri inni cristiani del III e IV sec. ritrovati nei papiri. Ma vi si incontrano anche delle formazioni F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 92 anapestiche (cellula di base = due brevi + una lunga accentata): vedere OxP 15, 1786 e AmherstP 1,2 (III sec.?). L'ingresso dell'inno cristiano nelle forme metriche della poesia antica è attestato nel celebre inno finale del Pedagogo di Clemente d'Alessandria, detto «inno del santo Salvatore». «L'inno si presenta come un insieme equilibrato di sistemi, o distici ineguali, di versi anapestici, d'un carattere assai libero e in tal modo forse quasi popolare» (H.I. Marrou e J. Irigoin, note aggiunte all'ed. tradotta e commentata in SCh 158, Paris 1970, pp. 192-207). Se bisogna diffidare del termine «innologia popolare» (esso ha senso incontestabile solo se riferito al «popolo cristiano»), non tutto è da rifiutare nell'ipotesi che accordava una rilevanza, forse eccessiva, agli eretici, nello sviluppo di una innodia cristiana trasformata in strumento (in «medium») di propaganda teologica: si conoscono alcuni inni di ispirazione eterodossa, e questo dettaglio richiama i legami antichi tra innodia e kerigma. Quelli del vescovo Sinesio di Cirene sono contemporaneamente cristiani e neoplatonici. La innodia latina (ortodossa) sgorga effettivamente come una sorta di «controluce» della questione ariana. Lo testimoniano alcuni brani autentici dei primi due maestri del genere: Ilario di Poitiers (tre inni scoperti nel 1885 con il distico che serviva probabilmente d'epigrafe alla raccolta in un ms. d'Arezzo) e soprattutto Ambrogio di Milano. I suoi 14 (?) inni, generalmente riconosciuti oggi come autentici, creano una «forma fissa» duratura, per un millennio e mezzo, di liturgia in latino: 8 strofe di 4 dimetri giambici (giambo = sillaba breve + sillaba lunga accentata), generalmente ísosillabici (8 sillabe). L'inno ambrosiano è l'inno latino cristiano per eccellenza. Ma questa tradizione liturgica non esclude, nell'ambiente degli asceti letterati, una doppia divergenza di funzione e di forma. L'inno metrico vi è coltivato con maggiore varietà (uso di strofe e metri catulliani ed oraziani) a scopo di meditazione devota - sia individuale che collettiva -: tali i 12 inni del Cathemerinon di Prudenzio. Si sfiora l'esercizio di stile (pio) con l'inno di Paolino di Nola in onore di Giovanni Battista (Carm., 6 in esametri: è una laus) o, soprattutto, col povero saggio lirico di Sidonio su s. Saturnino di Tolosa (Ep. 9,16). Fortunato dedica ancora alla Croce alcuni inni rimasti giustamente celebri nella liturgia. La produzione medievale è considerevole ed ancora poco esplorata. Essa afferma, tuttavia, la sua personalità in alcune liturgie regionali vivaci: così nelI'innodia spagnola fino ai secoli mozarabici (IX-X sec.). Edizioni. Vedere, per i brani attribuiti, gli autori citati sup. s.v.; si citeranno qui solo alcune raccolte generali ed alcune antologie: G.M. Dreves-C. Blume, Analecta hymnica medii aevi, 55 voll., Leipzig 1886-1922; A.J. Mason-A.S. Walpole, Early Latin Hymns, Cambridge 1922 (rist. Hildesheim 1966); W. Rulst, Hymni latini antiquissimi LXXV. Psalmi III, Heidelberg 1956; Th. Wolberg, Griechische religioese Gedichte der ersten christlichen Jahrhunderte. Bd. 1, Psalmen und Hymnen der Gnosis und des fruehen Christentums, Meisenhein am Glan 1971 (Beitrage zur klassischen Philologie, 40). Studi. Origini: J. Kroll. Die christliche Hymnodik bis zu Klemens von Alexandria, Programm der Akademie von Braunsberg 1921-1922 (2a ed. rist. Darmstadt 1962 e 1968) rimane fondamentale. J. Schattenmann, Studien zum neutestamentlichen Prosahymnus, Miinchen 1965; K. Deichgraeber, Gotteshymnus und Christushymnus in der fruehen Christenbeit. Untersuchungen zur Form, Sprache und Stil der friihchristlichen Ilymnen, Gbttingen 1967, K.P. Joerns, Dai hymniscbe Evangelium. lintersuchungen zu Aufbau, Punktion und IIerkunft der hvmnischen Stiicke in der Johannesoflenbarung, Leiden 1971; M. Brioso Sànchez, Aspectos y problemas del himno cristiano primitivo, Salamanca 1972. Storia dell'innodia cristiana: M. Simonetti, Studi sull'innologia dei primi secoli Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Memorie Scienze Morali Ser. III, vol. IV,6 (1952) 341-484; J. Szbvertfy, Die Annalen der lateinischen Hymnendichtung, Ein Handbuch, 1, Die Iateinischen Hymnen bis zum Ende des 11 lahrhunderts, Berlin 1964; A. Michel, In hymnis et canticis. Culture et beauté dans l'hymnique latine chrétienne, Paris 1976; J. Grosdidier de Matons, Romanns le Mélode et les origìnes de la poesie religieuse à Byzarecc, París 1977; J. Fontaine, Etudes sur la poesie latine tardive d'Ausone à Prudence, Paris 1980; Id., Naissance de la poesie dans l'Occident cbrétìen. Esquisse d'une bìstoire de la poesie latine chrétienne du III' au VI' siècle, Paris 1981. J. Fontaine J. Fontaine, s.v. Inno/Innologia, in DPAC, 2, col. 1781-82. Hieronymus (Vir. 2; 100) laudat quoque librum Hymnorum, quod canendos concilium IV Toletanum decrevit a.633. Isidorus Hispalensis (Eccl.off. 1,6) primum Hymnorum auctorem Hilarium proclamat: ''Hilarius hymnorum carmine floruit primus''. Arii exemplum fortasse sequitur, qui Thaliam oratione soluta et numerosa exul composuerat. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 93 Tres extant hymni more Graeco qui germani esse videntur (vv. fere 140). Hymni I et II alphabetici sunt. Theologicus sermo est complexus et sinuosus propterea fortasse fortuna non fruuntur; quantitas fere semper servatur. - Prooemium breve senariis iambicis continuare dicit prophetiam David et in medio ponere mysterium Christi: Felix propheta David primus | in carne Christum hymnis mundo nuntians. - a. Ante saecula qui manes: de trinitatis mysterio, resonans Nicaenam fidei professionem, 20 strophae tetrasticae, acrosticae, alphabeticae a littera A ad T. Metra: glyconaei et asclepiadaei minores in dystichum coniuncti: 1. - x - v v - v -; 2. - - - v v - | - v v - v x - b. Fefellit saevam: de redemptione deque Christiani regeneratione [resonat prologum autobiographicum De trin.]; 18 strophae, acrosticae, alphabeticae a littera F ad Z. Metra: trimetri iambici (senarius iambicus). - c. Adae cernis gloriam: Christus vncit Diabolum [resonat comm. in Matth.]; manent 9 strophae. Metra: tetrametri trochaici catalectici, stropha tristicha. Ceteri hymni (Lucis largitor splendide quoque ad filiam missus) nothi habentur, ut poema In Genesim, ad Leonem papam (198 hex) et De Evangelio (114 hex, fragmenta): tribuuntur Hilario Arelatensi coaevo et concivi. Fortasse Hilarius carmina liturgica Orientis in suam Ecclesiam transferre voluit. Gallorum autem indocilitas, teste Hieronymo (Comm.Gal. I,2, initium), vetuit. Tamen pater hymnologiae est dicendus, cum sequatur classicas leges componendi versus, non sine licentiis plurimis. ============= Hymni CONTENUTO Il primo dei tre frammenti superstiti è l'inno: Tu che sei prima dei secoli - Ante saecula qui manes afferma la coeternità del Figlio col Padre, in polemica con gli ariani. Il secondo: Ti ingannò, o crudele - il Verbo fatto carne - Fefellit saevam [sc. mortem] Verbum factum te caro - è manchevole di cinque strofe, canta il trionfo di Cristo; nella parte iniziale descrive il duello tra la Morte e la Vita (Cristo) con immagini grandiose e accenti epici di grande lirismo, ispirandosi al temi dell'età ellenistica; Cristo è presentato in chiave mitica, come un eroe vittorioso, che combatte, scende agli inferi, con tratti simili al c. 6 dell'Eneide di Virgilio, e altre espressioni di sapore ellenistico. Il terzo parla delle tentazioni di Gesù: I gloriosi combattimenti della carne - Adae carnis gloriosa et caduci corporis; in poche strofe esalta la incarnazione di Cristo e la sua vittoria sul demonio. I tre inni sono oggi unanimemente attribuiti ad Ilario per ragioni stilistiche, in quanto in ognuno si riscontrano le stesse caratteristiche fondamentali, e l'aspetto oscuro e contorto della forma, con la tendenza a coollocare capricciosamente gli elementi delle proposizioni, e nella struttura del periodo, l'accentuato uso della subordinazione. La concezione poetica dell'autore è conforme all'opera La Trinità e al Commento ai Salmi. LA FORMA - Dal punto di vista stilistico e metrico i tre inni sono composti in forma variata e involuta. Il primo impiega vari metri della lirica orazianai. Il secondo è in giambi. Il terzo è in tetrametri trocaici, metro della poesia popolare. I primi due sono abecedari. Un distico richiama a David, il re cantore delle lodi di Dio. Il Libro degli inni non fu mai adottato dalla Chiesa delle Gallie (Girolamo, Uomini illustri 100,3). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 94 L'insuccesso non si spiega, come sembra asserire Girolamo, perchè i suoi canti non avevano trovato l'ambiente propizio e favorevole ma per la forma estremamente artificiosa e complicata fino all'oscurità, in ossequio alle tendenze della poesia pagana dell'epoca. Lo stile è infatti lontano dal gusto popolare e dalla studiata semplicità degli inni ambrosiani. Gli inni, caratterizzati dallo stile tortuoso e dalla forma oscura e complessa, mostrano tuttavia una sufficiente padronanza della tecnica versificatoria con abili effetti di contrasto e orchestrazione metrica e tonica. Ilario, pur subendo l'influsso della poesia latina contemporanea cIassicheggiante e incline a simili sottigliezze, si apre a nuove forme di ispirazione, riscontrabili soprattutto nella variazione dei metri lirici e degli stili, che caratterizzano i suoi versi. Tutto questo permette di considerarlo pioniere della nuova poesia latina. Lucis largitor splendide Cujus sereno lumine, Post lapsa noctis tempora, Dies refusus panditur. Tu verus mundi lucifer, Non is qui parvi sideris, Venturae lucis nuntius, Angusto fulget lumine: Sed toto sole clarior, Lux ipse totus et dies, Interna nostri pectoris Illuminans praecordia. Adesto rerum conditor, Paternae lucis gloria, Cujus amota gratia nostra pavescunt corpora: Tuaque sancta dextera, Tuere nos per saecula. Post hujus vitae terminum, Vitam perennem tribue, Tuoque plena spiritu, Nostra patescunt corpora; Vitae quos usus exigit, Omni carentes crimine, Tuis vivamus legibus. Probrosas mentis castitas Carnis vincat libidines, Sanctumque puri corporis Delubrum servet Spiritus. Haec spes precantis animae, Haec sunt votiva munera, Ut matutina nobis sit Lux in noctis custodiam. Gloria tibi Domine, Gloria Unigenito, Cum Spiritu paraclito. Lettura critica. E. Peretto, Gli Abecedari. ABECEDARI. Composizioni poetiche, i cui versi o strofe iniziano con le lettere dell'alfabeto in ordine successivo dalla a alla z. Più frequenti nella latinità cristiana, antica e medievale, si prefiggevano, tra l'altro, di favorire la ritenzione mnemonica della composizione. Differiscono dall'acrostico, la cui caratteristica è di formare con la prima lettera di ciascun verso o strofa un nome, una parola o un verso. La letteratura sacra ebraica contiene esempi significativi. Le Lamentazioni di Geremia sono composte sull'abecedario: nella prima, seconda e quarta Lamentazione la forma abecedaria è seguita all'inizio delle singole strofe; nella terza in ogni strofa la lettera dell'alfabeto è ripetuta tre volte. Per altre applicazioni cfr. Ps 9-10; 25; 34; 37; 111; 112; 119; 145; Pr 31,10-31. Le traduzioni dei LXX e latine non hanno conservato il procedimento abecedario. Hanno utilizzato tale procedimento letterario anche Agostino Psalmus contra partem Donati; Commodiano, Instructiones I, 35; De ligno vitae et mortis II, 15; Sedulio nell'inno A solis ortus cardine; Ilario di Poitiers negli inni Ante saecula qui mataes e Fefellit saevam; Fulgenzio di Ruspe nell'inno Domine Redemptor noster; Venanzio Fortunato nell'inno dedicato al vescovo Leonzio Agnoscat omne saeculum; Beda nell'inno per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo Apostolorum gloriam; Paolino d'Aquileia nell'inno di penitenza Ad caeli clara non sum dignus sidera. Nel Medioevo i temi trattati si allargano, e l'abecedario celebra l'elogio di Milano (740 ca.), impreca contro Benevento per la proditoria cattura dell'imperatore Lodovico II (871 ca.); nell'845 un chierico veneziano inveisce contro le pretese del patriarcato di Aquileia. Anche l'inno Acatisto appartiene al gruppo dei carmi abecedari. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 95 E. Peretto, s.v. A., in DPAC, 1, col. 5. Bibliografia Edizioni opera in PL Migne vol. 9 TRACTATUS SUPER PSALMOS. COMMENTARIUS IN EVANGELIUM MATTHAEI. vol. 10 De Trinitate libri duodecim. Liber de Synodis seu Fide Orientalium. Apologetica ad reprehensores libri de Synodis responsa. Hilarii epistola ad Abram filiam suam. Hymnus eidem ab eodem missus. Censura alterius hymni Hilario perperam tributi. Libri duo ad Constantium Augustum.Ibid. Liber contra Constantium. Liber contra Arianos vel Auxentium. Quindecim Fragmenta ex Opere Historico. Fragmenta ex aliis S. Hilarii operibus. S. Hilarii Epistola seu Libellus cum praefatione et dissertationibus. Sermo B. Hilarii de dedicatione ecclesiae. Liber de Filii et Patris Unitate. Liber de Essentia Patris et Filii. incomplete in CSEL e in SC Tractatus super psalmos – ed. A. Zingerle 1891, CSEL Vol. 22 Tractatus mysteriorum, Fragmenta, Ad Constantium Imperatorem, Hymni – ed. A. Feder 1916, CSEL Vol. 65. La Trinité, I, Livres I-III Texte critique par P. Smulders (CCL) Introduction par M. Figura et J. Doignon (†) Traduction par G. M. de Durand (†), Ch. Morel et G. Pelland, 1999, SCh. 443. Le Traité sur la Trinité d’Hilaire de Poitiers, avant celui d’Augustin, demeure l’un des exposés les plus décisifs sur ce dogme central dans la théologie chrétienne. L’auteur s’y révèle "un Rhône d’éloquence", comme l’écrit Jérôme. Avant tout exégète de la Parole divine, il sait aussi argumenter en parfait héritier de la culture antique. La Trinité, II, Livres IV-VIII Texte critique par P. Smulders, Traduction et notes par G.M. de Durand (†), Ch. Morel et G. Pelland , 2000, SCh 448 La Trinité, III, Livres IX-XII Texte latin de P. Smulders (CCL). Traduction, notes et index par Georges-Matthieu de Durand (†), Gilles Pelland, et Charles Morel, s.j., 2001, SCh 462. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 96 Traité des mystères, ed.tr.comm. Jean-Paul Brisson, S Ch, 1967. Un précis d’exégèse spirituelle à l’usage des fidèles du IVe siècle. Exégèse allégorique de l’Ancien Testament par la «clef» qu’en donne le Nouveau Testament. Contre Constance Introduction, texte critique, traduction, notes et index par André Rocher,1987, SCh. 334. Constance II, le fils de Constantin le Grand est maître absolu de l’Empire romain, Orient et Occident. Depuis 353, il dicte sa loi à tous ses peuples. Chrétien, il a passé à l’arianisme et pense arianiser l’Empire. Hilaire a accédé à l’épiscopat à peu près à la même époque que Constance à l’Empire. Il ne gouverne qu’un diocèse, petit territoire comparé à l’Empire, mais il est indéracinablement attaché à la foi de Nicée. Entre les deux hommes, entre les deux pouvoirs, celui de l’évêque et celui de l’empereur, l’opposition est si forte que l’empereur contraint l’évêque à l’exil. De la Phrygie où il est relégué, Hilaire récapitule en un petit écrit la somme des honteuses machinations de l’empereur contre la foi. Invective terrible, comme il y en a peu dans la littérature patristique. Commentaire sur le Psaume 118, I Introduction, texte critique, traduction et notes par Marc Milhau, 1988, SCh 344 Commentaire sur le Psaume 118, II. Texte critique, traduction, index et notes par Marc Milhau, 1988, SCh 347. Sur Matthieu, I. Introduction, texte critique, traduction et notes par Jean Doignon, 1978, SCh 254. Sur Matthieu, II. Texte critique, traduction, notes, index et appendice par Jean Doignon,1979, SCh 258. Trattato sui misteri. Per una lettura cristiana dell'Antico Testamento, Borla,1984 La Trinità, tr.it. G. Tezzo, , Torino, Utet, 1971. Commentario a Matteo, tr. L. Longobardo, Roma, Città Nuova, 1988 (ed. J. Doignon, SCh 254-58, Paris 1978-9). Contro l'imperatore Costanzo, Luigi Longobardo, Roma, Citta' Nuova,1997 Sinodi e fede degli orientali, Luigi Longobardo, Roma, Citta' Nuova,1993 Ilario di Poitiers, CONTRO AUSSENZIO, Roma, Citta' Nuova, introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo IL VOLUME - Composto tra il 364 e il 365 d.C. negli anni infuocati della controversia ariana, nel Contro Aussenzio Ilario di Poitiers si rivolge ai vescovi cattolici e ai loro fedeli per informarli sull’esito del suo tentativo di allontanare da Milano il vescovo ariano Aussenzio e denunciare la sua dottrina. Di fronte alla situazione attuale di una Chiesa divisa e subordinata all’Impero, l’Autore guarda alla comunità delle origini, indipendente dal potere temporale, punto di riferimento e modello per la Chiesa di ogni tempo. Quindi, accusa Aussenzio di essersi fatto seguace di Ario: ne è prova una sua dichiarazione secondo la quale "il Figlio è simile al Padre". Con logica rigorosa Ilario smaschera l’eresia del vescovo milanese. Un documento significativo per una piena comprensione storica e dottrinale della controversia ariana. IL CURATORE - Luigi Longobardo è docente ordinario di Patrologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. In questa stessa collana ha curato la pubblicazione di altre opere di Ilario: Commentario a Matteo (1988), Sinodi e fede degli Orientali (1993); Contro l’imperatore Costanzo (1997). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 97 LA COLLANA - La collana Testi patristici, fondata da Antonio Quacquarelli e oggi diretta da Claudio Moreschini, rappresenta un vero unicum in Italia nel campo della letteratura cristiana antica: una raccolta di oltre 165 volumi di autori dal II al VII secolo, introdotti e curati dai maggiori specialisti del settore. POESIS Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 36-58 (M. Simonetti). M. Simonetti, s.v. Ilario di Poitiers, in DPAC, 2, col. 1748-53. ICCU Barbieri, Antonio, Cenni intorno la vita di Sant'Ilario vescovo di Poitiers, confessore e dottore di santa chiesa ... / articoli compilati da Antonio Barbieri e da Gaetano Negri, Parma: Tip. Fiaccadori, 1846 Burns, Paul C., The Christology in Hilary of Poitiers Commentary on Matthew / Paul C. Burns C.S.B, Roma: Institutum patristicum Augustinianum, 1981, Studia ephemeridis Augustinianum Brennecke, Hanns Christof, Hilarius von Poitiers und die Bischofsopposition gegen Konstantius 2.: Untersuchungen zur dritten Phase des Arianischen Streites, 337-361 / von Hanns Christof Brennecke Berlin [ecc.]: W. de Gruyter, 1984, Patristische Texte und Studien Smulders, Pieter, La doctrine trinitaire de S. Hilaire de Poitiers: etude precedee d'une esquisse du mouvement dogmatique depuis le Concile de Nicee jusqu'au regne de Julien, 325-362 / par Pierre Smulders, Romae: apud aedes Universitatis Gregorianae, 1944, Analecta Gregoriana Smulders, Pieter, Hilary of Poitiers' preface to his Opus historicum: translation and commentary / by P. Smulders, Leiden [etc.]: E. J. Brill, 1995, Supplements to Vigiliae Christianae Ladaria, Luis F., La cristologia de Hilario de Poitiers / Luis F. Ladaria, Roma: Editrice Pontificia universita Gregoriana, 1989, Analecta Gregoriana Vaccari, Giuseppe, La teologia della assunzione in Ilario di Poitiers: uno studio sui termini adsumere e adsumptio / auctore Giuseppe Vaccari Edizione: Ripr. anast, Roma: [s. n.], 1994 (Roma: Tip. poliglotta della pontificia universita gregoriana) Tesi di dottorato. Durst, Michael, Die Eschatologie des Hilarius von Poitiers: ein Beitrag zur Dogmengeschichte des vierten Jahrhunderts / Michael Durst Bonn: Borengasser, [1987].- XLIV, 386 p. ; 23 cm., Hereditas: Studien zur AltenKirchengeschichte Sant'Ilario: Un vescovo per il nostro tempo / Traduzione di Orsola Nemi, Roma: G. Volpe, 1971, Domini canes Nomi: Tilloy, Pierre; Nemi, Orsola Ladaria, Luis F., La cristologia de Hilario de Poitiers / Luis F. Ladaria S.J, Roma: Pontificia universita gregoriana, 1989, Analecta Gregoriana. Series Facultatistheologiae. Sectio A Analecta Gregoriana Commento al Vangelo di Matteo / Ilario di Poitiers ; prefazione di Salvatore Garofalo ; introduzione di Pietro Viol, Citta del Vaticano: Libreria editrice vaticana, 1984 (Roma: U. Detti), Parole di vita Note Generali: Trad. di Pietro Viola, Ferruccio Sartori. [[I 4: Tractatus mysteriorum ; Collectanea antiriana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad Constantium) ; Liber ad Constantium imperatorem (liber 2. ad Constantium) ; Hymni ; Fragmenta minora ; Spuria / recensuit, commentario critico instruxit, praefatus est indicisque adiecit Alfredus Fede F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 98 Edizione: Rist. anast, New York etc.]: Johnson reprint corporation, 1966 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae etc.]: F. Tempsky, 1916. Fa parte di: S. Hilarii episcopi pictaviensis opera Tractatus mysteriorum / s. Hilarii. [Pubblicato con] Collectanea antiariana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad Constantium) / s. Hilarii. [Pubblicato con] Liber ad Constantium imperatorem (Liber 2. ad Constantium) / s. Hilarii. [Pubblicato con] Hymni / s. Hilarii. [Pubblicato con] Fragmenta minora / s. Hilarii. [Pubblicato con] Spuria / s. Hilarii. Paese di pubblicazione: US Contro l'imperatore Costanzo / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobard, Roma: Citta Nuova, [1997], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV I salmi delle ascensioni: cantico del pellegrino / Ilario di Poitiers ; introduzione, traduzione e note a cura di Antonio Orazzo, Roma: Borla, [1996], Cultura cristiana antica Hilary of Poitiers: conflicts of conscience and law in the fourth-century church: against Valens and Ursacius: the extant fragments, together with his letter to the emperor Constantius / translated into english with introduction and notes, from the edition by Alfred Feder in Corpus Scrip, Liverpool: Liverpool university press, 1997, Translated texts for historians Wickham, Lionel R. Adversus Valentem et Ursacium Ad Constantium imperatorem Trattato sui misteri: per una lettura cristiana dell'Antico Testamento / Ilario di Poitiers ; a cura di Luigi Longobardo, Roma: Borla, stampa 1984, Cultura cristiana antica Tractatus mysteriorum 1.2: Sancti Hilarii Pictaviensis episcopi Tractatus super Psalmos: in psalmum 118. / cura et studio J. Doignon ; iuvamen praestante R. Demeulenaere, Turnhout: Brepols, 2002, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: Sancti Hilarii Pictaviensis episcopi Opera The Trinity / saint Hilary of Poitiers ; translated by Stephen McKenna, Reprinted with corrections, 1968, The Fathers of the Church Paese di pubblicazione: US Ms. 405 (gia Codex Arretinus VI, 3) Edizione: Ripr. anast, Arezzo: Biblioteca della Citta di Arezzo, stampa 1987 Note Generali: Contiene: S. Hilarii Tractatus de mysteriis et hymni, Itinerarium Egeriae S. Hilarii Tractatus de mysteriis et hymni [|] et S. Silviae Aquitanae Peregrinatio ad loca sancta / quae inedita ex codice arretino deprompsit Ioh. Franciscus Gamurrini ; accedit Petri Diaconi Liber de Locis Sanctis, Romae: Ex Tipographia Pacis Philippi Cuggiani, 1887 Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Sancti Hilarii tractatus de mysteriis et hymnis et sanctae Silviae Aquitanae peregrinatio ad loca sancta. S. Hilarii episcopi pictaviensis tractatus super psalmos / recensuit et commentario critico instruxit Antonius Zingerle, Vindobonae ... [etc.]: F. Tempsky, 1891, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Zingerle, Anton La Trinita / di Sant'Ilario di Poitiers ; a cura di Giovanni Tezzo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1971, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica Traite des Myteres / Texte etabli et traduit avec introduction et notes par Jean-Paul Brisson, Paris: Editions du Cerf, 1947, Sources chretiennes S. Hilarii tractatus de mysteriis et hymnis ; Itinerarium Egeriae: Ms. 405 (gia Codex Arretinus VI, 3) della Biblioteca di Arezzo, Arezzo: Biblioteca della Citta di Arezo, 1987 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 99 Note Generali: Ripr. anast. in occasione del Convegno "Peregrinatio Egeriae", Arezzo 23-25 ottobre 1987. 4: Tractatus mysteriorum ; Collectanea Antiariana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad Constantium) ; Liber ad Constantium Imperatorem (Liber 2. ad Constantium) ; Hymni ; Fragmenta minora ; Spuria / recensuit, commentario critico instruxit, praefatus est indicesque adiecit Alfredus Feder S. I, Vindobonae <etc.>: F. Tempsky, 1916 Fa parte di: S. Hilarii episcopi pictaviensis opera [Pubblicato con] Collectanea Antiariana parisina. [Pubblicato con] Liber ad Constantium Imperatorem [Pubblicato con] Tractatus mysteriorum / s. Hilarii. [Pubblicato con] Hymni / s. Hilarii. [Pubblicato con] Fragmenta minora / s. Hilarii. Sinodi e fede degli orientali / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobardo, Roma: Citta nuova, [1993] 2: Livres 4.-8. / Hilaire de Poitiers ; texte critique par P. Smulders ; traduction et notes par G. M. de Durand, Ch. Morel et G. Pelland, Paris: Les editions du Cerf, 2000, Sources chretiennes Contro Aussenzio / Ilario di Poitiers ; introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo, Roma: Citta nuova, [2003], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Trattato sui misteri / s. Ilario di Poitiers ; traduzione dal latino e note di d. Pietro Viola, [S. l.: s. n.], 1981 (Parma: Poligrafica) Note Generali: Testo orig. a fronte. [[I Tractatus mysteriorum Hilary of Poitiers' preface to his Opus historicum: translation and commentary / by P. Smulders, Leiden [etc.]: E. J. Brill, 1995, Supplements to Vigiliae Christianae Sinodi e fede deli orientali / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobard, Roma ; Citta Nuova, c1993, Collana di testi patristici De trinitate: praefatio, Libri 1-7 / Hilarius Pictaviensis ; cura et studio P. Smulder, Turnhout: Brepols, 1979 Descrizione fisica: IX, 310 p. ; 25 cm., Corpus Christianorum Bettini 3, 886; Mariotti 3, 398-99 "Ilario di Poitiers - Encarta" Ilario di Poitiers (Poitiers 315 ca. - 367 ca.), santo, vescovo e dottore della Chiesa. Nato da genitori pagani, Ilario si convertì al cristianesimo e intorno al 353 fu eletto vescovo di Poitiers, dove intraprese un'energica lotta contro l'eresia ariana assai diffusa nella sua diocesi. Benché esiliato in Frigia dai suoi oppositori pagani nel 356, Ilario partecipò al sinodo di Seleucia del 359, in cui tenne un dotto e vigoroso discorso in difesa dell'ortodossia. Tornato a Poitiers nel 361, continuò a combattere l'arianesimo fino alla morte. Della sua copiosa produzione teologica in latino l'opera maggiore è il De Trinitate (12 libri). "Ilario di Poitiers - Treccani" Ilario di Poitiers, santo. Vescovo di Poitiers, nato da una famiglia pagana tra le più nobili di Poitiers, Aquitania, verso il 315 e morto nel 367. Fu uno dei massimi padri controversisti nella lotta contro l'eresia ariana. Iniziò fin dalla prima gioventù lo studio del latino e del greco. Dedicatosi alla filosofia e allo studio delle Sacre Scritture, finì per convertirsi, divenendo in poco tempo sacerdote e vescovo della sua città natale. Nella sua opera principale, De Trinitate (La Trinità), egli ha raccontato minuziosamente le peripezie e F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 100 le tappe della sua conversione. Non si conosce con certezza la data della sua elezione a vescovo; comunque lo era, secondo la sua propria testimonianza, già nel 350. La lotta contro Saturnino, vescovo eretico ariano di Arles, impegnò gran parte della vita di I. Gli intrighi di Saturnino alla corte imperiale lo costrinsero in un primo tempo all'esilio in Asia. Egli si stabilì nella Frigia, dove scrisse le sue opere maggiori e da dove non cessò di predicare e di propagandare il Vangelo. Dopo il Concilio di Seleucia dovette ancora una volta fuggire a causa degli intrighi di parte ariana nel Sinodo di Costantinopoli. I. attraversò allora, predicando con crescente successo, l'Italia e la Gallia e riuscì a recuperare la sua sede vescovile di Poitiers. Finalmente poté far convocare il Concilio di Parigi, dove si giunse alla condanna di Saturnino. I., divenuto uno dei massimi pilastri della Chiesa cristiana in Francia, morì a Poitiers. Tra le sue opere più notevoli, oltre a quella già citata, vi sono il Liber adversus Valentem et Ursacium (Libro contro Valente ed Ursacio); De synodis seu de fide orientalium (Dei sinodi o della fede degli orientali); tre inni; un trattato sui salmi, uno sul libro di Giobbe e uno sul Liber Mysteriorum (Libro dei Misteri). I. fu proclamato dottore della Chiesa nel 1851. Ilario di Poitiers - Riposati 1. Vita. - II. L'opera. - 111. n perasatore e lo scrittore. I I a r i o (Hilartus) apre la serie dei grandi astri della letteratura cnstlana latma. I. - Vita. Nacque a Pictava (o Pictavium: Poitiers), in Aquitània, da nobile famiglia pagana circa il 315, ed ivi ricevette una compiuta educazione, letteraria e retorica. Preoccupato e turbato dal problema dell'umano destino, che la filosofia non sapeva risolver, gli, si rivolse-come dice egli stesso nel trattato De Trinitate- ai Libri Sacri, e nel ' prologo ' del Vangelo di S. Giovanni, là dove si afferma che " il Verbo si fece uomo per renderci figli di Dio>), trovò la grande risposta. Si convertí al Cristianesimo e ricevette il battesimo nel 345: aveva circa trent'anni, moglie e una figlia di nome Abra. L'ardore della sua fede di neòfito, la probità della vita, lo zelo per la Dottrina lo misero subito in vista nella sua città, e, circa dieci anni dopo, venuto a mancare il Pastore di quella chiesa, venne eletto Vescovo ad unanimità dai suci concittadini. Ferveva aspra la battaglia ariana. Conscio delle responsabilità del gravoso ufficio, si diede innanzi tutto a profondi studi biblici e teologici, affrontando particolarmente il problema trinitario, mi nacciato alla base dallteresia ariana, che mirava ad invadere tutto l'Occidente, sostenuta e incoraggiata dall'imperatore Costanzo. La fermezza del suo carattere e la sicurezza della dottrina lo mi, sero prestissimo in evidenza. Fu presente al Concilio di Bizerrae (Béziers) dell'anno 356 e prese posizione contro la politica ecclesiastica dell'Imperatore; poi scrisse un Liber alversus Valentem et Ursacium-giuntoci frammentario-, due vescovi pervicacemente ariani; Costanzo lo mandò in esilio in Oriente, nella Frigia. Colà egli entrò subito in contatto con le chiese di quelle regioni e col pensiero cristiano greco, affinando sempre piú la sua già notevole preparazione teologica e suscitando ben presto l'ammirato stupore dei pensatori e dei vescovi d'Oriente. Durante l'esilio scrisse piú di un trattato, nonché lettere varie anche all'imperatore Costanzo, supplicandolo di dare libertà piena ai credenti; avutone rifiuto, compose l'invettiva Contra Corlstantian Imperatorem, giungendo a chiamare costui precursore delI'Anticristo e più malvagio degli stessi persecutori pagani. Costanzo, temendo in lui un perturbatore dell'Oriente, come già lo ritenevano gli ariani di colà, lo rimandò in Gllia verso il 360 ed ivi egli continuò la sua magnanima lotta contro gli eretici, sostenendo persino un contraddittorio a Milano, nel 364, contro il vescovo ariano Aussenzio. Si spense nel 367. II. - L'opera. - I frutti della sua attività intellettuale sono varii e di contenuto diverso, taluni di altissima importanza dottrinale. Appartengono all'esegèsi, alla polemica antierètica e storica all'innografia: le opere possono dividersi, cronologicamente, in a) anteriori all'esilio, b) dell'esilio, c) posteriori a ll o stes so . L'epistolario si è perduto. Nello scritto, in tre libri, Adversus Valentem et Ursacium è contenuta la storia del Concilio di Rimini e di Selèucia, del 359; in 12 libri è diviso l'Alversus Arianos, cioè il trattato De Trinitate (in, teso a dimostrare l'uguaglianza fra il Padre e il,Figlio); il De SynoVdis è del 359, diretto ai vescovi della Gllia, della Germania e della Britannia (ivi ricorrono tutte le professioni di fede a conclusione dei sínodi postnicèni). Dei Tractatus (cioè ' le Prediche ') in Psalmos, giunsero a noi quelli concernenti 58 Salmi (ivi egli, movendo dal testo dei Settanta, poiché non conosceva l'ebraico, sostiene che quanto dicono i Salmi va inteso in modo conforme alla predicazione evangelica, in rapporto all'awento e alla vita e morte salvífica del Cristo) Nell'Al ConstantiumAu,gustum (nell'a. 359) chiede all'lmperatore, allora a Costantinopoli, la concessione di un'udienza, che gli permetta di smascherare gli Ariani per un sollecito ristabilimento della libertà della Chiesa. Seguono: il Contra Constantium Imperatorem (invettiva ed aperta accusa scritta, nello stesso anno, al medesimo, dopo il rifiuto ricevuto); un libro perduto A1 praefectum Sallustium sive contra DioscoVrum melicum collegato colle vicende della lotta anticristiana di Giuliano- un Libe; Hymnorum (ne possediamo tre soli, nemmeno interi, pe; un complesso di 140w.; viaccenneremo sotto); un Tractatus oLiberMy sterior~n F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 101 (giuntoci per metà soltanto; vi sono considerati e studiati, come allegoriche prefigurazioni del Nuovo Testamento, i personaggi e gli eventi dell'Antico); i Co1runentarfi in Matthaeum (non omelíe, ma veri e propri studi esegètici sul testo latino, condotti conformemente al metodo dell'allegoria); un Tractatus in lob (di cui abbiamo due soli frammenti, in grazia di S. Agostino); il Contra Arianos vel Atsrentitma Mediolanensem (il vescovo milanese ariano, sostenuto da Valentiniano l; ci è giunto frammentario). II suo lavoro capitale, dal punto di vista dottrinario, è il De Trinitate, scritto, tutto o in parte, negli anni dell'esilio, cioè fra il 356 e il 359: vero e proprio attacco allteresia ariana, ed affermazione piena della consustanzialità del Figlio col Padre. Qui egli segnò una tappa formidabile e sicura nel campo del pensiero trinitario e della terminologia teologica. Ma Ilario fu anche poeta, come si può costatare dai già~ citati tre Inni, di cui i primi due procedono per ordine stròfico abe, cedàrio (cioè per ordine alfabetico). Di essi il primo canta il mistero della Trinità (è in distici, composti di un gliconèo e di un asclepiadèo minore, sull'esempio di Orazio lirico); il secondo la redenzione e la rigenerazione dell'uomo (è in trimetri giambici); il terzo il trionfo vittorioso del Gisto sul demonio (è in tetrametri trocaici catalèttici legati in terzine, cioè a strofe tristiche). Sono osservate quasi sempre le leggi della metrica classica, ma già risultano gli elementi accentuativi. Questi Inni, in cui si colgono qua e là echi di poesia lucreziana, fanno di S. Ilario il piú antico innògrafo cristiano. L'idea gli dovette sorgere forse in Oriente, a contatto con la produzione del, I' Innologia greca, già felicemente invalsa negli usi liturgici e corali. In essi vivo è l'ardore religioso, sempre esatta è la terminologia teologica, ma piuttosto scarso il valore poetico, oscuro e faticoso il giro del pensiero. Rimane, comunque, suo indiscutibile merito quello di avere awiata l'Innologia ecclesiastica e di avere arricchito il lessico latino cristiano di nuovi termini e di nuove espresslom. III. I1 pensatore e lo scrittore. - S. Ilario, chera attento lettore di Quintiliano e di Sallustio, nonché discreto conosci, tore degli altri autori classici, porta nelle sue opere, ch'egli vuole degne della ' Parola del Signore ', una certa pàtina di arcaismo solenne. II suo stile reca l'impronta della sua personalità: diverso. secondo la diversa natura delle singole opere, appare ora impetuoso ed ardito, ora limpido e conciso, ora contorto e prolisso. Sono, comunque, sempre vivi in lui il fervore del pensiero, la vigoria del ragionamento, I'elevatezza dei concetti, I'acume della penetrazione, lo zelo del Pastore. Come S. Atanasio in Oriente, Ilario fu in Occidente il ' martello delle eresie ', specialmente di quella ariana. Combatté, come già S. Cipriano, per l'unità della Chiesa; fu un autentico campione del pensiero e dell'azione. Patí I esilio, ma non si piegò: anzi, trasformò quella dolorosa prova in un fruttuoso periodo di studio, di contatti culturali e di fenido apostolato. Fu polemista impetuoso, ma suadente, e oratore di straordinarie qualità: S. Girolamo lo chiama il " Ròdano dellteloquenza latinal>. Dei Libri Sacri fu esegèta penetrante e sicuro, pur attraverso un allegorismo esagerato; ma soprattutto fu teologo meditativo e profondo. Nel De Trinitate (I, 38) egli aveva infatti chiesto a Dio che gli concedesse " parole significative, lume d'intelletto, ornamento di eloquio, fede nella verità )>; e tutti mise a disposizione i suoi doni e i suoi talenti per combattere senza sosta e senza quartiere gli eretici che, a suo dire, " confessavano Cristo solo per negarlo )>. II Cristo con i suoi attributi' divini, con la sua ' consustanzialità ' col Padre, è il punto centrale della sua dottrina; qui, piú che altrove, si sentí com'egli si disse, liscipulus Veritatis; e da ciò deriva a quell'amore ardente e appassionato, con cui egli parla in ogni sua pagina del Verbo fatto uomo; Amores che, provvidenzialmente, lo preparò a difendere la divinità di Gesú e ad assicurarne il trionfo " (CAYRÉ). __________________ Internet S. Ilario di Poitiers Teologo e dottore della Chiesa (Poitiers 315 ca.-367 ca.), teologo e dottore della Chiesa, uno dei maggiori esponenti della patristica latina. Poco dopo il battesimo fu eletto vescovo di Poitiers (ca. 350), esiliato in Frigia (356) da Costanzo II per aver combattuto l'arianesimo, che continuò ad avversare anche in Italia e in Gallia e dopo il ritorno in diocesi. In Oriente ebbe modo di familiarizzarsi con le dottrine teologiche dei greci, che cercò di rielaborare, sforzandosi di creare una terminologia tecnica latina. Avvalendosi della conoscenza di Tertulliano, Novaziano e soprattutto delle dottrine cristologiche e trinitarie dei padri greci, Ilario prende posizione contro gli ariani e i sabelliani e presenta un'esposizione organica del dogma trinitario in perfetta sintonia con l'ortodossia cattolica. Egli afferma l'unità di natura e la distinzione di persone nel Padre e nel Figlio, concepisce tale unità come compenetrazione totale dell'uno nell'altro, sicché essi si distinguono solo grazie alla relazione d'origine: il Padre ha realmente generato il Figlio senza perdere nulla della sua natura, e il Figlio ha ricevuto e contiene in sé tutto del Padre, a lui uguale per operatio, virtus, honor, potestas, gloria, vita. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 102 Per distanziarsi dagli ariani, che proponevano la passione di Cristo a prova della sua imperfetta divinità, I. afferma il corpo di Cristo reale ma celeste, capace di sentire la forza della passione ma non il dolore (De Trin. X, 18, 23). Minore è l'interesse di Ilario. per lo Spirito Santo, del quale allora si discuteva poco; egli fonda la personalità dello Spirito sul concetto di dono, che egli considera appellazione propria della Terza persona, ed esclude che possa essere considerato una creatura, come volevano gli ariani e i pneumatomachi. Principali Opere fondamentale per la storia della teologia il De Trinitate (12 libri); De synodis; Fragmenta historica; Tractatus super Psalmos. __________________ Lucifero di Cagliari Cenni biografici Di origini spagnole o africane. Fu vescovo di Cagliari. Tra i più duri polemisti antiariani. Come Eusebio di Vercelli, fu esiliato in Oriente dopo il concilio di Milano del 355, fino al 361. Ad Antiochia partecipò con foga alla lotta tra niceni di stretta osservanza e moderati, quindi tornò in Sardegna. Fondò a Vercelli una comunità monastica. Morì intorno al 371. Opere Tre epistole Quattro trattati? La figura di Lucifero è emblematica di un rifiuto assoluto dell'arianesimo, privo di dialogo con i più moderati, ma anche di approfondimento dottrinale; tale atteggiamento animò anche altri autori minori, detti appunto "luciferani". Tali autori poco conoscono o poco comprendono sia la disputa orientale tra ariani e antiariani, sia l'evoluzione della teologia greca dopo Origene. E' questione anche terminologica (ousìa e hypostasis) che dovrà attendere per essere risolta Ilario di Poitiers. Tra i Luciferani ricordiamo Faustino (autore di un De Trinitate), Gregorio di Elvira (De fide più altri scritti esegetici). Interessante per citazioni versioni bibliche pregeronimiane e lingua volgareggiante. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 103 Testi e testimonianze August., de haeres., 81. LXXXI. LUCIFERIANOS a Lucifero Caralitano episcopo exortos, et celebriter nominatos, nec Epiphanius, nec Philaster inter haereticos posuit: credo tantummodo schisma, non haeresim eos condidisse, credentes. Apud quemdam tamen, cujus nomen in eodem ejus opusculo non inveni, in haereticis Luciferianos positos legi per haec verba: Luciferiani, inquit, cum teneant in omnibus catholicam veritatem, in hunc errorem stultissimum prolabuntur, ut animam dicant ex transfusione generari; eademque dicunt et de carne et de carnis esse substantia. Utrum ergo iste propter hoc quod de anima ita sentiunt (si tamen vere ita sentiunt), eos inter haereticos ponendos esse crediderit, recteque crediderit; an etiam si id non sentirent, sive non sentiunt, ideo tamen sint haeretici, quia dissensionem suam pertinaci animositate firmarunt, alia quaestio est, neque hoc loco mihi videtur esse tractanda. 81. I Luciferiani hanno avuto origine da Lucifero, vescovo di Cagliari, e di loro si parla spesso, tuttavia, né Epifanio, né Filastrio li hanno inclusi tra gli eretici. A mio parere, gli autori citati credettero che codesti avevano creato solo uno scisma e non un eresia. In un autore, il cui nome non ho trovato scritto nel suo opuscolo, ho letto inclusi tra gli eretici i Luciferiani, in questi termini: «I Luciferiani, dice questo autore, pur conservando in tutto la verità cattolica, cadono nel seguente errore, veramente insensato: dicono che l’anima è generata in conseguenza di un travasamento, e dicono che la stessa è fatta di carne ed è della stessa sostanza della carne». È, dunque, una questione estranea, e non mi sembra che si debba trattare ora se il citato autore abbia creduto e sia stato obiettivo nel credere di dover annoverare i Luciferiani tra gli eretici per il fatto che fanno le affermazioni citate sull'anima - se pur veramente le fanno - oppure, sia che facciano le affermazioni dette, sia che, di fatto, non le facciano, rimangano tuttavia eretici, proprio perché, con temerità caparbia, si sono mantenuti saldi nel loro dissenso. (98) Vescovo di Cagliari, Lucifero fu uno dei piú strenui nemici deII'arianesimo. Quando Atanasio, al concilio di Alessandria (362), chiese clemenza nel trattamento dei Semiariani, Lucifero considerò questo atto un tradimento della fede cristiana e abbandonò il concilio per tornarsene in Sardegna. Ambrogio (De excessu Satyri 11, 47: PL 16, 1306B) dice di lui che «si è separato dalla nostra comunione». Agostino (Ep. 185, 47) che «è caduto nelle tenebre dello scisma ». La dottrina sull'anima dei Luciferiani riportata dallo PSEUDO-GIROLAMO, Indiculus de haeresibus 38 (PL 81, -42). L'esistenza della setta è attestata in GIROLAMO, Altercatio Luciferiani et Orthodoxi (PL 23, 155-182). Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV. Hier., vir.ill., 95 Lucifero, vescovo di Cagliari, fu inviato dal papa Liberio all’imperatore Costanzo, come delegato in difesa della fede, insieme con i chierici della Chiesa romana Pancrazio e Flavio. Non volendo rinnegare la fede nicena, sotto il pretesto della condanna di Atanasio, fu relegato in Palestina. Dotato di mirabile fortezza e di ardente aspirazione al martirio, scrisse un libro Contro l’imperatore Costanzo, e glielo mandò da leggere. Poco tempo dopo, ritornato a cagliari sotto l’imperatore Giuliano, morì durante il regno di Valentiniano. Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000. Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 13 S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE NON CONVENIENDO CUM HAERETICIS, AD CONSTANTIUM IMPERATOREM LIBER UNUS. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 104 S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE REGIBUS APOSTATICIS, AD CONSTANTIUM IMPERATOREM, LIBER UNUS. S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI PRO SANCTO ATHANASIO AD CONSTANTIUM IMPERATOREM LIBRI DUO. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI AD FLORENTIUM EPISTOLA. S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE NON PARCENDO IN DEUM DELINQUENTIBUS, AD CONSTANTIUM IMPERATOREM, LIBER UNUS. S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI, MORIENDUM ESSE PRO DEI FILIO, AD CONSTANTIUM IMPERATOREM, LIBER UNUS. DE PROFESSIONE FIDEI S. LUCIFERI EP. CALARITANI. ed. G. Hartel, CSEL 14, 1886 De non conveniendo cum haereticis, De regibus apostaticis, De sancto Athanasio, De non parcendo in deum delinquentibus, Moriendum esse pro dei filio, Epistulae – ed. W. Hartel 1886, CSEL Vol. 14 ed. G.F. Dierks, CchLat, 8, 1978. Lucifero di Cagliari, De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei filio, (tr. e comm. di V. Ugenti), Lecce, Milella,1980. Studi Cerretti G., Lucifero vescovo di Cagliari e il suo 'Moriendum esse pro Dei filio', ?, Nistri-Lischi , 1940. ICCU per Autore Lucifero Convegno internazionale su La figura e l'opera di Lucifero di Cagliari <1. ; 1996> La figura e l'opera di Lucifero di Cagliari : una rivisitazione : atti del 1. Convegno internazionale : Cagliari, 5-7 dicembre 1996 / a cura di Sonia Laconi , Roma : Institutum Patristicum Augustinianum, 2001 , Studia ephemeridis Augustinianum ; 75 ICCU per Autore Lucifer <vescovo di Cagliari> Lucifer <vescovo di Cagliari>, De non conveniendo cum haereticis / Lucifero di Cagliari ; introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Antonio Piras, Roma: Herder, \1992! Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei filio / edidit, italice vertit, testimoniis indicibusque auxit Valerius Ugenti, Lecce: in aedibus Milellae Lupiis, 1980, Studi e testi latini e greci Titolo uniforme: Moriundum esse pro dei filio. Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani opera quae supersunt: ad fidem duorum codicum qui adhuc extant necnon adhibitis editionibus veteribus / edidit G. F. Diercks, Turnholti: Brepols, 1978, Corpus Christianorum. Series Latina ; 8 Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani Opuscula / recensuit et commentario critico instruxit Guilelmus Hartel Edizione: Rist. anast, New York ; London, 1970, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Note Generali: Ripr. facs dell'ed.: Vindobonae, 1886. Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi calaritani Opera omnia quae exstant curantibus Joanne Domenico et Jacobo Coletis Sebastiani filiis, Venetiis: excudebant fratres Coleti, 1778 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 105 Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi Calaritani Ad Constantium, Constantini magni f. imp. aug. opuscula, Parisiis: apud Ioannem Bene-Natum, 1568 Lucifer<vescovo di Cagliari>, Moriundum esse pro dei filio / Luciferi calaritani ; introduzione, testo critico e commento filologico-letterario a cura di Sonia Laconi, Roma: Herder, 1998 Titolo uniforme: Moriundum esse pro dei filio. Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaratini De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei Filio / edidit, italice vertit, testimoniis indicibusque auxit Valerius Ugenti, Lupiis: in aedibus Millelae, 1980, Studi e testi latini e greci Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani opuscula / recensuit et commentario critico instruxit Guilelmus Hartel, Vindobonae: apud C. Geroldi filium, 1886, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi Calaritani Ad Constantium, Constantini magni f. imp. aug. opuscula, Parisiis: apud Michaelem Sonnium, sub scuto Basiliensis, via Iacobaea, 1568 Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani Opuscula / recensuit et commentario critico instruxit Guilelmus Hartel Edizione: Rist. anast, New York: Johnson Reprint Corporation, 1970, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum; 14 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: apud C. Geroldi filium Bibliopolam Academiae, 1886 Damasus <papa ; 1.>, 13: Sanctorum Damasi papae et Paciani necnon Luciferi episcopi Calaritani opera omnia: juxta memoratissimas Merendae, Gallandi, et fratrum Coleti editione recensita et emendata: intermiscentur Felicis papae 2., Faustini et Marcellini, Theodosii Magni, Pacati, Variorum, Filocali, Sylvii, s. Virgilii tridentini, Julii Hilariani, s. Siricii papae, universa quae exstant opuscula ... Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnhout: Brepols, 1987, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum ; 13 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Paris, 1845 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Hilarius: Pictaviensis <santo>, 29: S. Hilarius 4. Lucifer de Gagliari, Parisiis: apud Mequignon-Havard editorem, via Vulgo dicta des Saints-Peres ; Bruxelles: apud Eumdem ; Parisiis: Ant. Poilleux, bibliopolam, via Vulgo dicta Cimetiere-S.-Andre-des-Arcs, 1830 (Trecis et typis Cardon, via Vulgo dicta Moyenne, n. 2) Bettini, 3, 887.88; Conte 539: Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 355-58. Gregorio di Elvira Cenni biografici Elvira, sede episcopale occupata da Gregorio intorno alla metà del IV secolo, è l'attuale Illiberis (Granada). Fu un grande difensore del concilio di Nicea, ma diventò poi sostenitore di Lucifero di Cagliari. Ancora vivo nel 392, secondo la testimonianza di Girolamo, probabilmente visse fino ai primi anni del V secolo. Opere F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 106 De fide. Difesa del consustanziale. Composta intorno al 360-61. Pubblicata due volte in forma diversa, la prima anonima, la seconda rivista e corretta in senso dogmatico, con il nome dell'autore. Girolamo la definisce opera “elegante”, a differenza delle altre composte dall’autore. Omelie Conservate cinque sul Cantico delle creature. "La più antica esegesi del Cantico in lingua latina" (Moreschini-Norelli) Circa una ventina di esse sono state restituite a Gregorio. Testi e testimonianze Hier., vir. ill., 105 Testo latino Gregorio, originario della Spagna Betica, vescovo di Elvira, compose, con stile “medio”, diversi trattati, fino alla più tarda vecchiaia; inoltre, un libro elegante Sulla fede. Si dice che sia ancora in vita. Bibliografia Edizioni edd. V. Bulhart, J. Fraipont, CchrLat 69, 1967. edd. P. Battifol, A. Wilmart, G. Heine, PLSupplementum 1 De fide ed. M. Simonetti, Torino, SEI, 1975. Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 79-83 (M. Simonetti). ICCU per Autore Gregorius Illiberitanus - Gregorius <vescovo di Elvira ; santo> Obras completas / Gregorio de Elvira ; primera version castellana, edicion y notas por Ursicino Dominguez Del Val , Madrid : Fundacion universitaria espanola, 1989 La fede / Gregorio di Elvira ; introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di Manlio Simonetti , Torino : Societa Editrice Internazionale, 1975 , Corona Patrum ICCU per Autore Gregorio di Elvira Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / Gregorius Iliberritanus ; edidit Vincentius Bulhart. Faustini opera / edidit M. Simonetti F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 107 Descrizione fisica: Turnhout : Brepols, 1972. , Corpus Christianorum. Series Latina I Tractatus de libris sacrarum scripturarum : fonti e sopravvivenza medievale / Costantino Vona , Roma : Libreria editrice del la Pontificia Universita Lateranense, 1970 , Scrinium patristicum lateranense Tratados sobre los libros de las Santas Escrituras / Gregorio de Elvira ; introduccion, traduccion y notas de Joaquin Pasqual Torro , Madrid : Ciudad Nueva, 1997 , Fuentes Patristicas ; 9 Note Generali: Testo orig. a fronte Schulz-Flugel, Eva , Gregorius Eliberritanus, Epithalamium sive explanatio in Canticis Canticorum / Eva Schulz-Flugel , Freiburg : Herder, 1994 , Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel Note Generali: Con testo latino. Faustinus : Presbyter , Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue de fide liber, ante hac nunquam editus , Coloniae : apud Maternum Cholinum, 1577 Note Generali: A cura di Achilles Estaco, il cui nome appare nella pref Epithalamium sive Explanatio in Canticis canticorum / Gregorius Eliberritanus ; [a cura di] Eva Schulz-Flugel, Freiburg : Herder, 1994 , Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel ; 26 Faustinus : Presbyter , Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue De fide liber ante hac numquam editus , Romae : in aedib. Populi Romani, 1575 (Romae : in aedib. Populi Romani, 1575) Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / edidit Vincentius Bulhart . [Segue] Faustini opera / edidit M. Simonetti , Turnholti : Brepols, 1967 , Corpus Christianorum. Series Latina La fe / Gregorio de Elvira ; introduccion, traduccion y notas de Joaquin Pascual Torro ; texto latino y aparato critico de Manlio Simonetti , Madrid : Ciudad Nueva, 1998 , Fuentes Patristicas ; 11 Note Generali: Testo orig. a fronte La fede / [Di] Gregorio di Elvira ; Introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di Manlio Simonetti , Torino : Societa' editrice internazionale, 1975 , Corona Patrum, 3 Comentario al Cantar de los Cantares y otros tratados exegeticos / Gregorio de Elvira ; introduccion, traduccion y notas de Joaquin Pascual Torro , Madrid [etc.] : Ciudad Nueva, 2000 , Fuentes Patristicas ; 13 Note Generali: Testo orig. a fronte I Tractatus de libris sacrarum scripturarum: fonti e sopravvivenza medievale / Costantino Vona, Roma: Libreria editrice del la Pontificia Universita Lateranense, 1970, Scrinium patristicum lateranense Faustinus: Presbyter, Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue de fide liber, ante hac nunquam editus, Coloniae: apud Maternum Cholinum, 1577 Per l'A., Faustinus presbyter, cfr. Corpus Christianorum Series latina. Turnholti, 1954, LXIX, p. 292 Segn.: A-G8H4 Estaco, Aquiles <1524-1581> [Editore] Cholinus, Maternus Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / edidit Vincentius Bulhart . [Segue] Faustini opera / edidit M. Simonetti, Turnholti: Brepols, 1967, Corpus Christianorum. Series Latina Nomi: Gregorius <vescovo di Elvira ; santo> Bulhart, Vinzenz Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Faustini opera / edidit M. Simonetti. Epithalamium sive Explanatio in Canticis canticorum / Gregorius Eliberritanus ; [a cura di] Eva Schulz-Flugel, Freiburg: Herder, 1994, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / Gregorius Iliberritanus ; edidit Vincentius Bulhart. Faustini opera / edidit M. Simonetti Descrizione fisica: Turnhout: Brepols, 1972., Corpus Christianorum. Series Latina Schulz-Flugel, Eva, Gregorius Eliberritanus, Epithalamium sive explanatio in Canticis Canticorum / Eva Schulz-Flugel, Freiburg: Herder, 1994, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 108 Note Generali: Con testo latino. Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue De fide liber ante hac numquam editus, Romae: in aedib. Populi Romani, 1575 (Romae: in aedib. Populi Romani, 1575) Descrizione fisica: [8], 79, [1] p. ; 4o. Estaco, Aquiles <1524-1581> [Editore] Stamperia del Popolo Romano Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 352-54 Febadio di Agen Cenni biografici Visse fino alla fine del IV secolo. Fu tra i principali oppositori della formula ariana di Rimini nel 359. Opere Contra Arianos Liber. Composto intorno al 357-58. Consiste nella quasi totalità in citazioni del Contro Prassea di Tertulliano. Testi e testimonianze Hier., vir.ill., 108 Testo latino Febadio, vescovo di Agen, in Gallia, pubblicò un libro Contro gli Ariani. Si dice che di lui esistano pure altri scritti, ma io non li ho letti. Febadio è ancora in vita, giunto ormai al limite estremo della sua vecchiaia. Bibliografia Edizioni Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 77-78 (M. Simonetti). M. Simonetti, s.v. Febadio, in DPAC, 1, col. 1338. Moreschini-Norelli, 2/1, p. 352 (breve). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 109 FEBADIO. Vescovo di Agen (Gallia), ebbe parte di rilievo in senso antiariano nel concilio di Rimini del 359, fu l'ultimo a piegarsi alla sottoscrizione della formula fíloariana e gli fu permesso aggiungervi alcuni chiarimenti. Girolamo ( Vir, ill. 108) lo dice molto vecchio nel 392. Lo dice altresì autore di alcuni opuscula ma nomina solo il Contra arianos, l'unico giunto a noi. E un breve scritto a confutazione della formula sirmíese (filoariana) del 357 e composto subito dopo questa data. F. vi sfrutta, per mancanza di letteratura adeguata, 1'Adver.sus Praxean di Tertulliano, adattandone gli argomenti antimonarchiani alle esigenze della polemica antiariana. Pur non nominando mai il termine homoousios, caratteristico della teologia nicena, F. difende questa impostazione teologica e considera la formula del 357 filoariana ma presentata come formula di compromesso, quale affermazione pura e semplice di arianesimo. CPL, 473; PL, 20,11-30; Patrologia III, 77-78; A. Durengues, Le livre de S. Fébade corrtre les Ariens, Agen 1927. M. Simonetti, DPAC ICCU Titolo: 20: Quinti saeculi scriptorum ecclesiasticorum qui ad s. Hieronymum usque floruerunt ... opera omnia, nunc primum in unum corpus et ordine chronologico digesta ... recognita, expressa et emendata: collectio, si qua alia, insignis nec mi Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig , Turnholti: Brepols, [19..] Note Generali: Ripr. facs. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Nomi: Phoebadius <santo; Vescovo Di Agen> Foebadi Aginnensis Liber contra Arrianos / cura et studio R. Demeulenaere . [seguono con proprio front.] Victricii Rotomagensis De laude sanctorum / cura et studio I. Mulders et R. Demeulenaere . Leporii Libellus emendationis / cura et studio R. Demeulenaere . Vincentii Lerinensis Commonitorium excerpta / cura et studio R. Demeulenaere . Evagrii Altercatio legis inter Simonem Iudaeum et Theophilum christianum / cura et studio R. Demeulemaere , Turnholti: Brepols, 1985 , Corpus Christianorum. Series Latina [Pubblicato con] Victricii Rotomagensis De laude sanctorum / cura et studio I. Mulders et R. Demeulenaere [Pubblicato con] Leporii Libellus emendationis / cura et studio R. Demeulenaere [Pubblicato con] Vincentii Lerinensis Commonitorium; Excerpta / cura et studio R. Demeulenaere. [Pubblicato con] Evagrii Altercatio legis inter Simonem Iudaeum et Theophilum Christianum / cura et studio R. Demeulenaere. [Pubblicato con] Ruricii Lemovicensis Epistularum libri duo; accedunt: 1. Epistulae ad Ruricium scriptae, 2. Epistulae Fausti ad Ruricium / cura et studio R. Demeulenaere. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Potamio di Lisbona Cenni biografici ?? Opere F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 110 Testi e testimonianze Bibliografia Edizioni Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 75-77 (M. Simonetti). Eusebio di Vercelli Cenni biografici Originario della Sardegna, fu vescovo di Vercelli dal 345 alla morte, avvenuta 371. Fu in esilio per le sue posizioni antiariane e in particolare per non aver sottoscritto il simbolo ariano nel sinodo di Milano del 355. Fu liberato da Giuliano l'Apostata nel 361. Si impegnò negli anni successivi a ristabilire in Italia la dottrina nicena. Opere Traduzione, perduta, del Commentario ai Salmi di Eusebio di Cesarea. Epistolario Comprende tre lettere, in particolare una a Costanzo sul sinodo di Milano e una ai fedeli di Vercelli. Avrebbe tradotto in latino il Commento ai Salmi di Origene e quello di Eusebio di Cesarea. (entrambe perdute) Gli si attribuisce il De trinitate pseudoatanasiano. Testi e testimonianze F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 111 Bibliografia Edizioni ed. V. Bulhart, CchLat 9, 1957. Studi Dal Covolo E., Uglione R., Vian G., Eusebio di Vercelli e il suo tempo, Roma, LAS, 1997 L. Dattrino, s.v. Eusebio di Vercelli, in DPAC, 1, col. 1300. EUSEBIO di Vercelli. Nato in Sardegna, venne per tempo a Roma (Ambr., Ep. 63), dove ebbe compagno il futuro papa Liberio e conobbe con probabilità Atanasio (339-342). Vi rimase fino alla sua elezione a vescovo di Vercelli (345). Quando Costanzo II cercò di strappare la condanna di Atanasio ai vescovi convenuti a Milano per il concilio (355), egli si oppose. Esule, raggiunse Scitopoli (Palestina) (355-360), soggetto al vescovo filoariano Patrofilo. Trasferito in Cappadocia, fu infine condotto nella Tebaide. La morte di Costanzo gli ottenne la libertà, e così partecipò al concilio di Alessandria (362). Si recò poi ad Antiochia per sedare lo scisma nato fra gli ortodossi: non sortì alcun effetto per l'intransigenza di Lucifero di Cagliari. Di ritorno in Italia continuò la sua attività antiariana con Ilario di Poitiers (Y.-M. Duval, Vrais et faux problèmes concernant le retour d'exil d'Hilaire.... Athenaeum 48 [19701267-275). Morì in una data da collocare fra il 370/71. Della sua attività letteraria Girolamo cita una traduzione del Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea (Vir. ill. 96). A Vercelli viene conservato il Codex Vercellensis dei vangeli: tr. lat. pregeronimiana, forse di E. Non accolta dalla critica recente l'autenticità del De Trinitate ps. atanasiano. Delle Lettere sono ritenute autentiche Ad Constantium Augustum (PL 12, 947; CCL 9, 103) e Ad presbyteros et plebem Italiae (PL 12, 947954; CCL 9, 104-109). PL 12, 959-968; 62, 237-286; C:C:L 9, 1-205, 451-479; E. Crovella, S. Eusebio di Vercelli, Vercelli 1960; et al. L. Dattrino ICCU Bosco, Teresio, Eusebio di Vercelli : nel suo tempo pagano e cristiano / Teresio Bosco, Leumann, [Rivoli] In appendice: La Vita antica di sant'Eusebio. Crovella, Ercole, S. Eusebio di Vercelli: saggio di biografia critica / Ercole Crovella, Vercelli: Soc. Ed. Tipografica Eusebiana, 1961 Eusebio di Vercelli e il suo tempo / a cura di Enrico dal Covolo, Renato Uglione, Giovanni Maria Vian, Roma: LAS, c1997, Collezione: Biblioteca di scienze religiose Autore: Scaltriti, Emanuele M. Titolo: Oropa e S. Eusebio : breve aggiornamento / P. Emanuele M. Scaltriti , Oropa : Delta Grafica, stampa 1998 ICCU per Titolo Meloni, Pietro, Eusebio di Vercelli Natione sardus vescovo, confessore, monaco / Pietro Meloni, Sassari: Gallizzi, stampa 1998 Meloni, Pietro, Lucifero di Cagliari ed Eusebio di Vercelli nel giudizio di Sant'Ambrogio / Pietro Meloni, Cagliari: Edizioni della Torre, 1998 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 112 Note Generali: Estr. da: Studi in onore di Ottorino Pietro Alberti / a cura di F. Atzeni, T. Cabizzosu, Cagliari 1998 Zangara, Vincenza, Eusebio di Vercelli e Massimo di Torino: tra storia e agiografia / Vincenza Zangara, Roma: Las, 1997 Note Generali: Estratto da Eusebio di Vercelli e il suo tempo a cura di Enrico da Covolo, Renato Uglione, Giovanni Maria Vian Bosco, Teresio, Eusebio di Vercelli: nel suo tempo pagano e cristiano / Teresio Bosco, Leumann, [Rivoli] Note Generali: In appendice: La Vita antica di sant'Eusebio. S. Eusebio di Vercelli: documenti e osservazioni storico-teologiche / a cura di Mario Capellino, Vercelli: [s.n.], 1996 (Vercelli: Litocopyvercelli) Eusebio di Vercelli e il suo tempo / a cura di Enrico dal Covolo, Renato Uglione, Giovanni Maria Vian, Roma: LAS, c1997, Biblioteca di scienze religiose Studi, testi, commenti patristici Tuninetti, Giuseppe, Santi e beati piemontesi: da s. Eusebio di Vercelli a padre Girotti / Giuseppe Tuninetti, Torino: Il punto: Piemonte in bancarella, stampa 1998, Biblioteca economica Trompetto, Mario, San Eusebio di Vercelli fondatore del santuario di Oropa, Biella: Tip. Unione biellese, 1961 Simonetti, Manlio, Qualche osservazione sul De trinitate attribuito a Eusebio di Vercelli / [Manlio Simonetti!, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1963 Estr. da: Rivista di cultura classica e medioevale, anno V, 1963, n. 3 Ravizza, Santino, S. Eusebio di Vercelli: culto e antichi luoghi eusebiana nella diocesi di Brescia / Santino Ravizza, Vercelli: tip. la Sesia, 1974 Note Generali: Estratti dal "Bollettino storico vercellese", n.1 anno 1972, e n.2 anno 1973 Ricaldone, Giuseppe Aldo: di, L' eta della statua di Santa Maria di Crea in relazione alla vita di Sant'Eusebio Vescovo di Vercelli / Aldo di Ricaldone, [S.l.: s.n.], 1976 Note Generali: Estratto dal Bollettino storico vercellese, a. 5., n. 1, 1976. Bolgiani, Franco, 2: Anno accademico 1988-1989: Eusebio di Vercelli e le piu antiche cristianita nell'antico Piemonte / F. Bolgiani, G. Wataghin Cantino, [S.l.: s.n.], 1989 Note Generali: Pro manuscripto. Fa parte di: La cristianizzazione dell'Italia nord-occidentale / F. Bolgiani, G. Wataghin Cantino Mella, Camillo, S. Eusebio il grande, Vescovo di Vercelli e Martire, apostolo del Piemonte: Vita composta nel XV centenario del santo, riveduta e ridotta per cura del capitolo metropolitano, Vercelli: Unione Tip. Vercellese, 1923 Francesia, Giovanni Battista, Vita di s. Eusebio vescovo di Vercelli / narrata al popolo dal sac. G.B. Francesia, S. Benigno canavese: Libreria salesiana, 1898, Vite di santi Le Nain de Tillemont, Louis Sebastien <1637-1698>, Santo Eusebio di Vercelli: commentario storico / di Sebastiano De Tillemont; tradotto ed annotato [da] Giovanni Maria China, Vercelli: Stabilimento tipogr. e litogr. Guidetti e Perotti, 1874 Nay, Carlo Maria, S. Eusebio Vescovo di Vercelli e Martire: Orazione panegirica recitata nella metropolitana di Vercelli add 15 Dicembre 1888, Mortara: Stab. Tip. A. Cortellezzi, 1889 Conte 539 brev.; Riposati 734-35. Moreschini- Norelli, 2/1, pp. 354-55. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 113 Arnobio il Giovane Studia eventuale nuova collocazione. Posto qui come semipelagiano. Cenni biografici I tratti biografici sono ricostruibili solo dagli scritti rimastici. Opere Conflictus cum Serapione. Expostiununculae Liber ad Gregoriam Commentarii in Psalmos Praedestinatus Testi e testimonianze Bibliografia Edizioni o.o. ed. Klaus-D. Daur, Turnholti: Brepols, 1990-92, Corpus Christianorum. Series Latina; 25 e 25A. Praedestinatus Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur, ed. F. Gori, Urbino: QuattroVenti, 1999 Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur ed. F. Gori, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus Christianorum. Series Latina Disputa tra Arnobio e Serapione; ed. critica, intr., trad. note e indici a cura di Franco Gori , Torino: Societa editrice internazionale, 1993 , Corona Patrum; 14 Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 537-39 (B. Studer). F. Gori, Il Praedestinatus di Arnobio il Giovane: l'eresiologia contro l'agostinismo, Roma: Institutum patristicum Augustinianum, 1999 , Studia ephemeridis Augustinianum; 65 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 114 B. Studer, s.v. Arnobio il G., in DPAC, 1, col. 379-80 ARNOBIO il Giovane. Su A., detto il Giovane per distinguerlo da Arnobio di Sicca, non ci sono giunte notizie dall'antichità. Lo si conosce grazie agli elementi che ci sono forniti dalle opere attribuitegli dalla tradizione manoscritta. Secondo il Conflictus cum Serapione, opera probabilmente autentica che per la maggior parte rende conto di un dibattito tenutosi verso il 450 fra un monofisita egiziano e lo stesso A., questo fu monaco, di origine forse africana, che viveva a Roma già da un certo tempo. Oltre il verbale della discussione sull'accordo delle tradizioni cristologiche romane con quelle alessandrine ed una riflessione dell'autore stesso, il Conflictus contiene una documentazione patristica in favore delle sue posizioni. Benché Diepen abbia studiato sia le fonti patristiche, sia il problema base dello scritto, questo meriterebbe una ricerca più approfondita che però richiederebbe un'edizione critica, poiché quella curata da Feuardent e ristampata nella Patrologia di Migne è di scarsa utilità. Morin vorrebbe attribuire allo stesso A. altri quattro scritti: le Expositiunculae in Evangelium, una serie di .Scholia sui vangeli di Mt, Lc e Jo; il Liber ad Gregorianz, una consolatio ad una nobile dama romana che viveva una difficile situazione matrimoniale; i Commentari in Psalmos, una interpretazione spirituale dei salmi, di grande interesse per la storia della liturgia romana; il cosiddetto Praedestinatus, uno scritto, composto certamente dopo la morte di Agostino, in cui si combatte la dottrina sulla grazia e sulla predestinazione, che però oggi si vorrebbe attribuire piuttosto a Giuliano di Eclano o a uno dei suoi fautori (cfr. CPL 243). Non è da escludere invece che Arnobio abbia redatto qualche leggenda agiografica, soprattutto gli Atti di Silvestro. CPL 239-243; PL 53,239-672, da completare con PLS III. 213-256 et al. B. Studer ICCU per Soggetto Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Titolo: Arnobius iunior: Opera omnia / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi , Turnhout: Brepols, 1992 , Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae Note Generali: Spoglio lessicale. Legami a titoli: [Continuazione di] Arnobii iunioris Opera omnia Soggetti: Arnobio: il Giovane - Opere - Indici Corpus christianorum - Indici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Titolo: Arnobius Iunior: Praedestinatus / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii novi , Turnhout: Brepols, 2001 , Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 126 Note Generali: Spoglio lessicale Titolo uniforme: Praedestinatus. Legami a titoli: [Continuazione di] 3:Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Autore: Gori, Franco<1942- > Titolo: Il Praedestinatus di Arnobio il Giovane: l'eresiologia contro l'agostinismo / Franco Gori , Roma: Institutum patristicum Augustinianum, 1999 , Studia ephemeridis Augustinianum; 65 Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione note e indici a cura di Franco Gori , Torino: Societa editrice internazionale, 1993 , Corona Patrum; 14 Altri titoli collegati: [Titolo originale] Conflictus Arnobii et Serapionis Soggetti: Arnobio: il Giovane - "Conflictus Arnobii et Serapionis" ICCU per Autore F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 115 Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Arnobius Iunior: Praedestinatus / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii novi, Turnhout: Brepols, 2001, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 126 Note Generali: Spoglio lessicale Titolo uniforme: Praedestinatus. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Arnobii Ivnioris Praedestinatus qui dicitur / quem edidit Francus Gori, Urbino: QuattroVenti, 1999 3: Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur / cura et studio F. Gori, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Arnobius: Iunior Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione, note e indici a cura di Franco Gori, Torino: Societa editrice internazionale, [1992], Corona Patrum Note Generali: Testo orig. a fronte. Altri titoli collegati: [Titolo parallelo] Arnobii iunioris conflictus Arnobii et Serapionis. 1: Arnobii Iunioris Commentarii in Psalmos / cura et studio Klaus D. Daur, Turnholti: Typographi Brepols editores pontificii, 1990, Corpus Christianorum. Series Latina; 25 Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 2: Arnobii iunioris Opera minora / cura et studio Klaus-D. Daur, Turnholti: Brepols, 1992, Corpus Christianorum. Series Latina; 25A Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Arnobius iunior: Opera omnia / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 1992, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae Note Generali: Spoglio lessicale. Legami a titoli: [Continuazione di] Arnobii iunioris Opera omnia TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione note e indici a cura di Franco Gori, Torino: Societa editrice internazionale, 1993, Corona Patrum; 14 Altri titoli collegati: [Titolo originale] Conflictus Arnobii et Serapionis Soggetti: Arnobio: il Giovane - "Conflictus Arnobii et Serapionis" Opera omnia / Arnobius iunior; curante Cetedoc, Universitas Catholica Lovaniensis Lovanii novi, Turnhout: Brepols, 1992, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae Nomi: Arnobius: Iunior Universite catholique <Louvain-la-Neuve> :Centre de traitement electronique desdocuments Salvianus: Massiliensis 53: Salviani Massiliensis Presbyteri, S. Patricii Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani opera omnia ... intermiscentur auctoris anonymi De Haeresi praedestinatiana libri tres ... Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Brepols, 1980, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 53 Note Generali: In testa al front.: Traditio catholica saeculum 5. annus 460 Ripr. facs Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 116 Salvianus: Massiliensis 53: Salviani Massiliensis Presbyteri, s. Patricii Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani opera omnia \...! intermiscentur auctoris anonymi De Haeresi praedestinatiana libri tres \...! Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: T. Brepols e.p., \1967! Note Generali: In testa al front.: Traditio catholica saeculum 5. annus 460 Ripr. facs Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Salvianus: Massiliensis 53: Salviani massiliensis presbyteri, s. Patricii, Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani opera omnia (...): intermiscentur auctoris anonymi De haeresi praedestinatiana libri tres, quibus accedit, appendicis vice, Jacobi Sirmondi Historia praedestinatiana: tomus unicus / accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne, Lutetiae Parisiorum: Migne, 1865 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Bettini, 3, 895, niente Conte, niente Riposati. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 117 Firmico Materno Cenni biografici Di origini siciliane e rango senatorio. Professione retore e avvocato. La conversione è collocabile tra il 337 e il 346. I Matheseos libri VIII sono scritti tra il 330 e il 350, ma qualcuno restringe all'epoca precedente la conversione. Alcuni (von Albrecht) propongono una datazione 334-37 per i Matheseos libri e 346-49 per il De errore profanarum religionum. Opere Matheseos libri VIII, un manuale di astrologia, "l'unico latino in prosa". (Bettini). Dedicato al proconsole d’Africa Lolliano Mavorzio. Tra le fonti Arato (nelle traduzioni di Cicerone e Germanico) e Manilio, ma anche molti greci. "L'astrologia è presentata quasi come una religione misterica" (Bettini) De errore profanarum religionum, collocabile intorno al 346. Di attribuzione dubbia e mutilo all'inizio. Dedicato agli imperatori Costante e Costanzo. Emblematico di un clima fortemente antipagano con episodi sempre più frequenti di intolleranza e di eliminazione di ogni resistenza. Testi e testimonianze Firm., de errore, 16,3-6 . Basta con il paganesimo (CD LL d'Anna) Testo latino Traduzione Firm., de errore, 28,6-29,4. Gli imperatori si liberino dei culti pagani. Testo latino 28. [6] Spogliate spogliate tranquillamente, o sacratissimi imperat ori, i templi dei loro ornamenti. Il fuoco della zecca o la fiamma dei crogiuoli strugga questi dèi; e voi, trasportate tutti i doni votivi in vostro dominio ed utilità. Dopo la distruzione dei templi Dio ha accresciuto la vostra possanza. Avete vinto i nemici, allargato l'impero e, perché una gloria maggiore si unisse ai vostri meriti, avete superato le onde tumultuose e fiere dell'Oceano durante l'inverno, sovvertendo e disprezzando, cosa che mai si fece né si farà, la necessità stessa delle stagioni. Sotto i vostri remi tremò l'onda del mare sinora a noi quasi sconosciuto e il Britanno ebbe spavento dell'improvvisa apparizione dell'imperatore. Che volete di più? Gli elementi cedettero al F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 118 vostro valore. [7] Le massime della sacrosanta legge che troviamo ne ll'Esodo, ci dicono che Dio proibisce di fabbricare idoli: Non vi farete dèi né d'argento né d'oro. E in un altro passo dello stesso libro la voce di Dio comanda: Non ti farai alcun idolo né l'immagine di chi che sia. Lo Spirito santo che desidera salvare, non perdere gli erranti, vuole ispirare agli infelici una salutare vergogna e dice per mezzo di Isaia: Sarete coperti di confusione voi che confidate in cose scolpite e dite alle statue fuse: voi siete gli dèi nostri. E dà anche la legge che il suo popolo deve custodire con devota pertinacia: Adorerai il signore Dio tuo e servirai a lui .solo. E similmente nel Deuteronomio: Non avrai altri dèi fuori di me, ed aggiunge per dare loro una idea della sua maestà: Vedete chi sono io e che non c'è altro Dio fuori di me. Io ucciderò e richiamerò in vita, percuoterò e risanerò e non c'è chi possa sfuggire dalle mie mani. [8] L'Apocalisse ripete la santa rivelazione: Vidi un altro angelo volare attraverso il cielo portando il vangelo eterno per annunziarlo al mondo, a tutte le nazioni, tribù, lingue e popoli e dire ad alta voce: Temete il signore e rendetegli gloria poiché viene l'ora del suo giudizio, e adorate colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che vi si trovano. Anche Gesù Crísto nostro signore, seguendo l'intenzione del padre, promulga la stessa legge santa: Ascolta, o Israele: Il signore Iddio tuo è un Dio solo; tu l'amerai con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Questo è il primo comandamento. Il secondo è simile a quello: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti sta tutta la legge e i profeti. [9] E per mostrarci più chiaramente la via della salvezza, il Signore conclude i suoi divini e memorandi comandamenti: Questa è la vita eterna: riconoscere te come solo e vero signore e il Gesù Cristo che hai mandato. Ed ora sapete le sante leggi; avete imparato dalle venerabili e immortali rivelazioni che cosa dovete ricercare e che cosa fuggire. Ascoltate adesso quale fine attenda coloro che violano quell e leggi e quali sciagure abbia loro predetto l'infallibile voce del cielo. [10] Con queste parole si conclude il precetto del cielo: Chi sacrifica ad altri dèi; fuori che al solo Signore, sarà ucciso. Se il terribile castigo colpisse soltanto l'uomo che co mpie il sacrilegio, se la severa legge minacciasse soltanto il peccatore, ben si opporrebbe al sacrilegio con la reazione che appresta uno zelante furore; ma essa minaccia a tutta la stirpe e ai discendenti affinché non rimanga chi possa rappresentare l'empia razza né vestigio alcuno della famiglia idolatra. Chi sacrifica agli dèi; egli dice, sarà sterminato. Guarda a quello che fai, o prevenzione perniciosa e funesta! Il tuo delitto molti ne condanna, molti ne perde ed attira su tutta l'umanità un grave castigo. E perché infierisca in tal modo contro i sacrificatori e l'autorità della legge, ce lo dice chiaramente il Deuteronomio, dove troviamo scritto: Sacrificarono ai demoni, ma non a Dio. Non ricorrere a questi spiriti impuri ed abominevoli, non sperare soccorso e non supplicare degli esseri che sono a te inferiori, ai quali, per grazia di Dio, puoi ormai comandare. [11] Osserva: il dernonio che tu onori trema appena ode il nome del Cristo e Dio suo e sa rispondere alle nostre domande con parole trepidanti. Egli, invadendo l'uomo, si sente lacerato, bruciato, bastonato e tosto confessa i delitti commessi. E tu non onorarlo, non supplicarlo, non piegar le ginocchia dinanzi a lui; te lo comanda la legge santa. Ma se tu scegli piuttosto il giogo della schiavi tù con quella libertà della quale ti ha dotato il provvido Iddio, incomberà su di te il severo castigo e la terribile sentenza della divina giustizia. II sommo Iddio non cessa mai di richiamare il male con voce salutare; anzi, la sua misericordia continuam ente si sforza di rimettere sulla via diritta i peccatori. Ascolta quello che dice l'ispirato Isaia: Adorarono gli dèi fatti con le loro mani; l'uomo si prostrò dinanzi ad essi e si umiliò, ed io non li solleverò. [12] Anche a voi, o idolatri, parla irato Iddio e colpisce con le sue parole le vostre colpe. Così dice per mezzo dello stesso profeta: A loro avete fatto libazioni e sacrifizi, ed io non mi sdegnerò di queste empietà? così dice il Signore. Finora il Dio salutare ha sospeso il suo sdegno, mitigata la sua severità sperando che voi vi pentiate dei vostri peccati ed avviate a più rette azioni la vostra sacrilega volontà. Nello stesso impeto dell'indignazione egli comprime la sua ira ed ispira a Geremia più miti consigli: Non camminate dietro gli dèi altrui per servirli, e non adorateli obbligandomi a disperdervi per l'opera delle vostre mani. [13] E tu, perché non apri le orecchie; perché avvolto nella colpa, ti affretti con ardore sfrenato alla perdizione? Dio ti ha fatto libero: sta in te, voler vivere o morire. Perché precipiti negli abissi? Incamminato per una via sdrucciolevole e sempre sul punto di cadere, sospendi una buona volta il passo vacillante, poiché la sentenza sta per essere pro nuncíata contro di te e su di te incombe il castigo. Da molto tempo Iddio perdona con generosità ai tuoi delitti e guarda con indifferenza alle tue colpe; ma ormai tu sei giunto a un punto tale, da non poter più far voti o concepire una speranza. Sappi adunque che l'Apocalisse così si esprime sulla punizione immine nte: Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne ha ricevuto il carattere sulla fronte o sulla mano, beve, egli stesso, del vino dell'ira di Dio versato nel calice dell'ira di Lui e sarà punito con fuoco e zolfo sotto gli occhi dell'agnello; il fumo dei loro tormenti salirà nei secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte coloro che adorano la bestia e la sua immagine. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 119 29. [1] Ma anche voi, o sacratissimi imperatori, dovete di necessità, per comando del sommo Dio, reprimere e punire l'idolatria e perseguitarne severamente i delitti. Ascoltate con tutta la vostra attenzione ciò che Iddio comanda a questo proposito. Nel Deuteronomio troviamo la legge seguente: Se un tuo fratello o un tuo figliolo o la sposa che .stringi fra le tue braccia o un amico che ami come l'anima tua tenterà di persuaderti e ti dirà in segreto: Andiamo a servire agli dèi stranieri, non dargli retta, non ascoltarlo, non aver compassione di lui, e non nasconderlo. Lo accuserai pubblicamente, alzerai tra i primi la mano per ucciderlo, e tutto il popolo seguirà il tuo esempio e lo lapiderà. E così egli morrà poiché cerco di allontanarti dal tuo Si gnore. [2] Egli comanda di non perdonare né a figlio né a fratello ed esorta di trapassare con la spada vendicatrice le membra della cara sposa. Perseguita anche l'amico con sublime severità, eccita il popolo a straziare i corpi degli empi ed indìce la strage ad intere città qualora le sorprenda nella superstizione. E perché la Preveggenza vostra non abbia più alcun dubbio su qu esto punto, citerò la legge precisa di Dio che, nel medesimo libro, commina il castigo ad intere città: Se sentirai dire da alcuni, in una delle città date a te per abitazione dal Signore, Iddio tuo: Andiamo a servire ad altri dèi che non conoscete, tu ucciderai tutti coloro che sono in città, ad uno ad uno, incendierai la città, la quale rimarrà senza abitatori e non sarà più riedificata, affinché il Signore rallenti il suo furioso sdegno. Ma di te avrà misericordia e compassione, e moltiplicberà la tua discendenza se obbedirai alla sua voce e osserverai i suoi precetti. [3] O sacratissimi imperatori, a voi il sommo Iddio promette i premi della sua misericordia e decreta le maggiori amplificazioni al vostro impero. Perciò fate quello ch'egli comanda, compite ciò ch'egli vi dice. L'opera vostra cominciata alla luce della fede ha progredito con sempre maggiore incremento sotto il favore divino. La mano santa di Dio non v'ha giammai abbandonato e non ha mai negato aiuto alle vostre fatiche. Abbattute furono le schiere degli avversari e le armi dei ribelli caddero sempre dinanzi al vostro cospetto. I popoli superbi furono sottoposti al giogo, i voti dei Persiani rimasero inascoltati e la crudeltà con tutti i suoi misfatti non poté resistere a lungo contro di voi. Ambedue avete ricevuto per vie diverse i doni della protezione di Dio: a voi fu data la celeste corona della vittoria, e noi, in grazia delle vostre fortunate imprese, ci solleviamo dai nostri dolori. [4[ O sacratissimi imperatori, il sommo Iddio vi ha concesso questi premi per la vostra fede ed ora, adorni di queste ricompense, vi invita ad osservare la santa legge. Con mente pura, coscienza devota ed animo incorrotto la clemenza vostra si rivolga sempre al cielo, aspetti sempre l'aíuto da Dio, implori il venerabile nome di Cristo e per la salute vostra e del mondo tutto offra spirituali vittime al Dio della salvezza. Così tutto vi accadrà prosperamente: vittorie, ricchezze, pace, abbondanza, salute e trionfi, e governerete felicemente il mondo sotto l'onnipossente protezione di Dio. Trad. G. Faggin, L'errore delle religioni profane, Lanciano, 1932? ~ Oià con Costantino cr:m,minc'iata. in forma hlancia, la reliressione (lei paga ncsimo. che con i suoi figli si cra accentuata. In,rrc di questa constatazione. 1=irmím Materno invita alla ,cy,pressi unc completa- La vìolcnza r I'ìntc,llcranzn de] w+ atteggiamento non trcmnvann riscontro c confarto negli scritti del 1' F perciò egli le fonda au affermazioni cic11 :1T (li contenuto annidol.+triw. Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 12 DE ERRORE PROFANARUM RELIGIONUM. De errore profanarum religionum ed. C. Halm 1869, CSEL, Vol. 2 ed. K. Ziegler, Leipzig 1907. ed. A. Pastorino, Firenze, La Nuova Italia,1956, 19692 (con comm.) ed. R. Turcan, Parigi 1982 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 120 L’Erreur des religions païennes. ed. R. Turcan. Paris1982. Matheseos libri ed. Kroll - Skutsch - Ziegler, Leipzig 1968 ed. E. Skutsch, K. Ziegler, W. Kroll - Vol. I. 1968 (1897).- Vol. II. 1968 (1913). ed. P. Monat, Paris 1992 segg. T. I : Livres I et II. ed. P. Monat. 1992; T. II : Livres III, IV et V. ed. P. Monat. 1994; T. III : Livres VI-VIII. ed. P. Monat. 1997. Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 540-42 (B. Studer). no IntraText, no POESIS ICCU per Autore In difesa dell'astrologia: Matheseos libri, 1. / Firmico Materno; a cura di Emanuela Colombi, Milano: Associazione culturale Mimesis, [1996], Mimesis M. Minucii Felicis Octavius . Iulii Firmici Materni liber de errore profanarum religionum / recensuit et commentario critico instruxit Carolus Halm, Vindobonae: apud C. Geroldi filium, 1867, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum [Pubblicato con] M. Minucii Felicis Octavius. [Pubblicato con] Iulii Firmici Materni liber de errore profanarum religionum. Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8, Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana Comprende: 1: Libros 4 priores continens / edideruntW.Kroll et F. Skutsch 2: Libros 4 posteriores cum praefatione etindicibus continens / ediderunt W. Kroll etF. Skutsch; in operis societatem assumpto K.Ziegler 1: Libros 4 priores et quinti proemiumcontinens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch Nomi: Firmicus Maternus, Iulius Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Matheseos libri 8 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Iuli Firmici Materni De errore profanarum religionum / edidit Konrat Ziegler, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1907, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana Juli firmici materni de errore profanarum religionum: Introduzione e commento a cura di Agostino Pastorino, Firenze: Ed. La Nuova Italia, 1956, Tip. L'impronta, Biblioteca di studi superiori. Scrittoricristiani greci e latini M. Minucii Felicis Octavius; Iulii Firmici Materni Liber de errore profanarum religionum / recensuit et commentario critico instruxit Carolus Halm, New York; London, 1968, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Note Generali: Rist. anast. dell'ed.: Vindobanae, 1867 . L' errore delle religioni profane / Giulio Firmico Materno; prima versione italiana con introduzione e note di Giuseppe Faggin, Lanciano: R. Carabba, stampa 1932, Cultura dell'anima Titolo uniforme: De errore profanarum religionum F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 121 3: Livres 6.-8. / texte etabli et traduit par P. Monat, Paris: Les belles lettres, 1997, Collection des universites de France. Ser.latine TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Titolo: The error of the pagan religions / Firmicus Maternus; translated and annotated by Clarence A. Forbes, New York; Ramsey, c1970, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation 1: Libros 4. priores continens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch Edizione: Ed. stereo typa editionis anni 1897, Stutgardiae: In aedibus B.G. Teubneri, 1968 Fa parte di: Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8 / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch 2: Libros 4. posteriores cum praefatione et indicibus continens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch; in operis societatem assumpto K. Ziegler Edizione: Ed. stereotypa editionis anni 1913 / addenda addendis subiunxit K. Ziegler, Stutgardiae: In, 1968 Fa parte di: Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8 / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch Matheseos Libri 8. / ediderunt W. Kroll e F. Skutsch Edizione: Rist. anast., Stutgardiae: Teubner, 1968, 2 v.; 16, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana Note Generali: Ed. stereotypa editionis anni 1897. De errore profanarum religionum / Maternus Firmicius; a cura di Agostino Pastorino Edizione: 2. ed, Firenze: La Nuova Italia, 1969, Biblioteca di studi superiori Matheseos Libri 8. / Maternus Julius Firmicus; ediderunt W. Kroll e F. Skutsch, Stoccarda: Teubner, 1968: 2 v. De errore profanarum religionum / Iuli Firmici Materni; mit Einleitung und kritischem Apparat hrsg. von Konrat Ziegler, Munchen: Hueber, 1953, Das Wort der Antike The error of the pagan religions / translated and annotated by Clarence A. Forbes, New York; Paramus, 1970, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation 1: Prieres et conseils de vie / Firmicus Maternus; traduit par A.-J. Festugiere, Paris: La colombe, [1944], Les textes de La colombe Fa parte di: Trois devots paiens / traduits par A.-J. Festugiere ICCU per Soggetto Firmico M. o Firmicus n.d.p Bettini, 3, 684-86; Conte 539. "Firmico Materno - Treccani" Firmico Materno. Retore siciliano e apologeta cristiano del sec. IV. iniziò la sua attività come neoplatonico e verso il 336 scrisse i Matheseos libri VIII che ci danno notizie sulle conoscenze che in quell'epoca si avevano dell'astrologia. Convertitosi alla fede cristiana, scrisse fra il 346 e il 348 il De errore profanarum religionum, in cui dimostrò tutto il suo ardore di neofita reclamando l'estirpazione degli stessi culti pagani, dei quali in un certo senso era stato banditore. Sotto il profilo dottrinale F. è un superficiale, ma la sua opera presenta notevole importanza se la si osserva nel suo valore storico e informativo. nulla Encarta Von Albrecht F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 122 Prospetto delle opere. Matheseos libri VIII. Il primo libro dimostra a mo' d'introduzione la fondatezza dell'astrologia e la sua conciliabilità con la morale, poiché la natura dell'uomo è divina e può elevarsi al di sopra delle potenze degli astri (1, 6, 1 sg.). I restanti libri - sette come i pianeti - trattano gli aspetti tecnici dell'astrologia con un'ampiezza senza paralleli nella letteratura latina. De errore profanarum religionum. Il libello esorta gl'imperatori Costanzo e Costante a sradicare con la violenza il paganesimo, a cristianizzare forzatamente i suoi adepti ed a confiscare le offerte votive (28, 6). La prima parte principale critica l'adorazione degli elementi ed il culto del sole e della luna, particolarmente la teologia solare, poi la proiezione sugli dèi di passioni umane, infine 1'artificialità delle divinità pagane. La seconda parte principale (da 18 in poi; particolarmente istruttiva dal punto di vista della storia religiosa) combatte le formule (symbola) e le pratiche cultuali delle religioni misteriche come «imitazioni» demoniache dei riti cristiani. Fonti, modelli, generi. Il primo libro della Mathesis è rivolto contro i neoaccademici scettici, che avevano avanzato argomenti contro l'astrologia nel senso di Carneade. In questo contesto viene utilizzato anche Ci cerone (nat. deor. 2, 2-4). L'idea della divinità della natura umana ricorda Posidonio. Nel quarto libro sono utilizzati allo stesso tempo Manilio ed una fonte comune perduta. Manilio ed Anubione, poeti il cui sfruttamento da parte di Firmico è accertato, non vengono mai nominati da lui. Un altro poeta, Doroteo (i sec. d. C.), è fonte principale nel sesto libro e viene utilizzato anche altrove. In molti passi Firmico concorda con Manetone, Tolomeo, Vettio Valente. Le sue cognizioni astrologiche sono ampie, ma la sua penetrazione non è approfondita. Nel De errore vengono citati Omero e Porfirio; Cicerone (De natura deorum) è nuovamente impiegato, come anche lo PseudoQuintiliano. Compaiono anche contatti con Clemente Alessan drino. La conoscenza della Bibbia si fonda su una raccolta di testimonia (Cipriano). Tecnica letteraria. Firmico Materno si dimostra in entrambi gli scritti oratore di alto livello. Gli strumenti retorici vengono impiegati all'eccesso. Caratteristico è il discorso del Sole personificato, che esorta i propri cultori ad adorare non piú lui, ma solamente il Dio dei cristiani (err. 8, 1-3). L'appassionato oratore segue invero un piano generale (vd. supra), ma nel dettaglio la sua esposizione è spesso sconnessa e disordinata. Il continuo tornare dei medesimi strumenti espressivi provoca sazietà. Se si sommano questi due aspetti, si sarebbe portati a credere ad una composizione affrettata. Ciononostante l'autore ha accordato pur sempre maggior cura alle parole che al pensiero. Lingua e stile. Dal punto di vista linguistico c'è grande corrispondenza fra le due opere. Una parola prediletta in entrambi gli scritti è per esempio constituere; nell'uno e nell'altro s'impiega la ricercata frase «in mortem stringere venam» (`indurire le vene provocando la morte'). I sostenitori dell'opinione che già all'epoca della composizione di math. Firmico si trovasse sotto l'ascendente del cristianesimo richiamano l'attenzione sull'influenza stilistico-linguistica della Bibbia e della liturgia. Orizzonte concettuale I. Riflessione letteraria. Il ritegno letterario ostentato da Firmico all'inizio dell'opera astrologica viene sbugiardato dallo svolgimento successivo: nel quinto libro egli lascia intendere spudoratamente che la sua opera sia la prima su questo argomento in lingua latina (math. 5 pr. 4). Come autore di err. si sente chiamato a smascherare come opera del demonio i culti pagani ed a provvedere alla loro eliminazione. La presunzione ha qui il sopravvento sulla consapevolezza letteraria. È evidente che Firmico non ha riflettuto sul fatto che le parole possono uccidere, ma - triste gloria - è stato il primo scrittore latino ad elevare a proprio dichiarato scopo letterario la soppressione violenta di chi ha opinioni diverse. Orizzonte concettuale II. L'identità dell'astrologo con l'apologeta fu stabilita solo intorno al passaggio fra i due secoli. La cronologia fa pensare ad una conversione dopo il completamento dell'opera astrologica. Poiché però già in math. si crede F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 123 di avvertire qua e là risonanze cristiane, parrebbe ovvio che per Firmico cristianesimo ed astrologia non si escludano a vicenda. Tuttavia lo scritto piú antico non può ancora essere definito cristiano; lascia piuttosto trasparire una credenza neoplatonica in un unico Dio. Peraltro l'opera apologetica è ancora piú sprovvista di profondità teologica. Se si tratta del medesimo autore - e la cronologia e le conclusioni ricavabili dalla lingua non lasciano dubbi in proposito -, il cristianesimo piú risoluto dell'età piú avanzata non ha portato al nostro autore nessun accrescimento d'indulgenza e di saggezza. La caduta rispetto agli alti principi etici e filosofici, quali vengono esposti nel primo libro ed al termine del secondo della Mathesis, non potrebbe essere piú rovinosa. Un avversario autorevole come Porfirio viene trattato con riguardo nella prima opera (7, 1, 1), rozzamente ingiuriato nella seconda (err. 13, 4 sg.). Ma c'è di meglio: l'aperto appello alla soluzione finale violenta della questione pagana è sostenuto con citazioni dall'Antico Testamento (err. 29, 2 sg.); allo stesso tempo è parola della misericordia di Dio. Entrambe le opere sono accomunate, oltre che nello stile, nell'adulazione verso i potenti; il primo libro della Mathesis rende omaggio - nel finale - a Costantino, il De errore ai suoi successo ri. Non è stato Firmico a provocare i decreti persecutori contro il paganesimo, ma reagisce ad essi con calore, per dimostrare il proprio allineamento. Da Ammiano conosciamo il caso di un altro astrologo fautore della fuga in avanti. Il ripugnante libello De errore rende del tutto comprensibile come, poco piú tardi, una nobile indole come l'imperatore Giuliano, per salvare la civiltà, avrebbe fatto ricorso al provvedimento, disperato e condannato in partenza a fallire, della restaurazione del paganesimo. Ciononostante il libro non è privo di valore; Firmico è il solo apologeta latino ad attaccare apertamente i veri concorrenti del cristianesimo: la teologia solare e le religioni misteriche. Ci per mette in tal modo di gettare uno sguardo su una piega profonda del contrasto, che per il resto ci rimane perlopiú nascosta. Anche il quadro da lui tracciato nella Mathesis dei tipi umani del suo tempo e del loro senso della vita non è privo d'interesse storico-culturale, anche se buona parte di ciò si trovava già nelle sue fonti ellenistiche. Rientra nello spirito dei tempi anche il fatto che per lui l'astrologia diventa una dottrina segreta, una specie di religione (2, 30, 2; 4, pr. 3; 5, pr. 4). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 124 I padri della Chiesa “Padri della Chiesa” sono scrittori dell’antichità cristiana che si sono distinti per pietà e dottrina e sono riconosciuti dalla Chiesa come “testimoni” della “tradizione divina”. ---------------------------------------- Agostino d'Ippona Agostino Aurelio (Tagaste 354 - Ippona 430), teologo e filosofo, padre della Chiesa latina, dottore e santo. Tertulliano S. Efrem Siro (Nisibi 306/307 - Edessa 372), padre, dottore della Chiesa e santo. È senza dubbio il più importante dei Padri siriaci e il massimo poeta dell'era patristica. A Nisibi fu battezzato a 18 anni dal vescovo Giacobbe, che alcuni anni dopo gli affidò la direzione della locale scuola catechetica, e a Nisibi E. visse fino al 363, quando la città cadde in mano ai persiani. Allora egli si trasferì a Edessa dove diresse la scuola teologica e visse conducendo vita monastica. Autore di numerosissimi scritti, che conobbero un'enorme fortuna, E. si avvalse di una forma particolare che gli era specialmente congeniale: la prosa metrica (memre) e la composizione poetica. La teologia di E., dominata dalla polemica antignostica, è sotto l'influsso della scuola di Antiochia. Particolarmente importanti, anche per l'influsso esercitato sulle contemporanee controversie teologiche, la sua cristologia e la mariologia. E. sostiene la concezione verginale di Maria; quanto alle due nature in Cristo egli ne afferma la perfetta integrità (misura). Nell'escatologia E. non si distacca dall'ambiente siriaco, asserendo che l'anima del giusto dopo la morte non entra subito nella pienezza della beatitudine, ma subisce un periodo di attesa fino alla risurrezione del corpo. Venerato fin dalla prima metà del secolo V nella Chiesa siriaca e poi in quelle greche, il suo culto fu riconosciuto anche da Roma ed esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV (enciclica Principi Apostolorum, 5 ottobre 1920) Girolamo S. Girolamo (o Gerolamo) (Stridone [Dalmazia] 347 - Betlemme 420), scrittore ecclesiastico, padre, dottore della Chiesa, santo. ___________________ F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 125 S. Ambrogio Cenni biografici Ambrogio, padre e dottore della Chiesa, visse tra il 333 (338) circa e il 397. Era nato a Treviri - il padre era prefetto della Gallia Narbonese - da una famiglia già da tempo convertita al Cristianesimo appartenente alla gens Aurelia. Compì i propri studi a Roma, secondo il cursus tipico di un nobile romano, ma ricevendo anche un'istruzione religiosa. Diventò funzionario civile di alto rango prima cove avvocato alla prefettura di Sirmio, poi, nel 370 ca., come consularis, cioè governatore, dell'Emilia e della Liguria, con sede a Milano. Qui, nel 374, veniva a mancare il vescovo Ausenzio e la successione al soglio creava aspre contese tra ortodossi e ariani; per il suo impegno e le sue qualità dimostrate nel dirimere i contrasti Ambrogio, pur solo allora catecumeno, venne prima battezzato, quindi eletto per acclamazione popolare vescovo della cittò. Si impegnò assiduamente nel suo incarico, da un lato contro l'eresia ariana, dall'altra contro lo strapotere dello stato, affermando non solo la piena indipendenza della Chiesa, ma anche la sua supremazia spirituale. Erano allora imperatori Graziano per l'Occidente e Teodosio per l'Oriente, entrambi ortodossi. Teodosio, in particolare, aveva sancito con un concilio a Costantinopoli la condanna delle eresie, ma ciò aveva suscitato non poco malcontento in Occidente; in un concilio tenuto ad Aquileia nel 382 presieduto da Ambrogio le posizioni ortodosse ebbero ulteriore conferma, ma scatenarono anche l'intolleranza di Graziano contro i pagani: in questo contesto si colloca anche l'opposizione senatoriale pagana guidata da Q. Aurelio Simmaco dopo che furono eliminati i sussidi statali ai culti pagani e venne rimossa l'ara della Vittoria nell'aula del Senato. Alla morte di Graziano la politica imperiale subì in Occidente, con Valentiniano II e Giustiana un'inversione ariana , contro cui Ambrogio si oppose con fermezza. Un altro episodio, legato alla sollevazione in Gallia di Massimo, vide Ambrogio sfruttare la situazione a favore delle posizioni ortodosse. Questo però scatenò la reazione di Teodosio che sconfisse Massimo e lo fece uccidere nel 388. Nel clima torbido che ne seguì si ebbero molti episodi di intolleranza dei Cristiani ortodossi contro altre religioni che Teodosio fece punire duramente. Celebre l'episodio in cui costrinse Teodosio I a una penitenza pubblica per aver ordinato nel 390 una strage di ribelli a Salonicco. Un altro sviluppo della situazione si ebbe con una sollevazione filopagana, guidata dall' usurpatore Egenio, Arbogaste e da Virio Nicomaco Flaviano. Ambrogio fu costretto ad allontanarsi da Milano, fino a quando Teodosio intervenne e sconfisse gli insorti al fiume Frigido, salvo poi morire egli stesso, di lì a poco, nel 395. Fu in stretti rapporti con Monica, madre di Agostino, che da lui venne battezzato. Opere Opere esegetiche (e omiletiche) La maggior parte degli scritti esegetici partono da omelie dello stesso Ambrogio ampliate e rielaborate, anche se l’accordo tra gli studiosi non è eguale opera per opera. Ad eccezione del commento al Vangelo di S. Luca, gli argomenti scelti sono tratti dall’A.T. Prevale la lettura allegorica tipologica e morale. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 126 Exameron. Sotto questo nome, che fa riferimento ai sei giorni della creazione narrata nella Genesi (1,1-26), abbiamo nove discorsi omiletici pronunciati realmente nel corso di una settimana santa: i libri 1,3 e 5 presentano due discorsi e si deve quindi supporre che le omelie siano state due in tre giorni della settimana. Per la datazione si oscilla tra il 386 e il 390. Utilizzata l’opera analoga di S. Basilio. L’opera ebbe una notevole fortuna, come dimostra l’ampia tradizione manoscritta. De Paradiso. Non c’è accordo nella datazione: qualcuno propone gli inizi del mandato episcopale, quindi 374-78, altri arriva al 383. E’ commentato il testo della Genesi relativamente al racconto del paradiso terrestre e del peccato originale. De Cain et Abel, in due libri, composto ca. il 375. Prosegue l’analisi del testo della Genesi (4) fatta nel De Paradiso. De Noe et Arca. Secondo alcuni composto circa il 378-79, secondo altri nel 383-84. Commento di Genesi 6. De Abraham, in due libri, composto ca. 387, ma altri propone gli anni 382-83. Si commentano le vicende di Abramo, secondo Genesi 12,25 nel primo libro, secondo Genesi 17,21 nel secondo. De Isaac vel anima, composto per alcuni ca. il 387, per altri il 391 se non oltre. Il doppio titolo dipende dal contenuto, più attinente a un trattato sull’anima, che non alla reale esegesi del Cantico dei Cantici 18, interpretato come allegoria dell’unione di Cristo con l’anima. De bono mortis. Composto ca. 387., ma anche per quest’opera c’è chi propone datazioni più tarde. L’opera si ricollega al De Isaac: la morte, considerata bene inestimabile, è presentata sotto tre specie: morte spirituale a seguito del peccato, morte mistica come identificazione cn Cristo, morte fisica, come separazione di anima e corpo. De Iacob et vita beata, in due libri. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 388. L’esposizione della differenza tra felicità vera e felicità illusoria, perché terrena, parte dal racconto del martirio di Eleazaro e dei sette fratelli in Maccabei, 2. Il riferimento del titolo a Giacobbe non sembra giustificato dagli scarsi accenni al personaggio. De Ioseph patriarcha. Le proposte di datazione oscillano tra il 387 e il 390. Il patriarca Giuseppe è visto come esempio di uomo casto nonché della universalità salvifica di Cristo. De patriarchis. Prosegue il commento della Genesi raccolto nel De Ioseph, in particolare c. 49. De fuga saeculi. Composto ca. il 387 per alcuni, dopo il 391 o 394 per altri. Tema principale la vanità del mondo e la necessità, per il cristiano, di tenersene lontano. De interpellatione Iob et David. Ha come temi la fragilità della condizione umana e la felicità e il benessere dei malvagi, sullo spunto del libro di Giobbe e di alcuni salmi davidici. Datazione oscillante fra 383 e 394. De apologia prophetae David ad Theodosium Augustum. Le proposte di datazione oscillano tra il 383 e il 387. Apologia David altera. Considerata da diversi pseudo-ambrosiana. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 127 De Helia et iunio. Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 390. Forse raccoglie le osservazioni di tre discorsi omiletici. Temi principali digiuno, ubriachezza e battesimo, particolarmente forte la polemica contro il tenore di vita dei ricchi. De Nabuthe. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 395. Si basa sul racconto di Re, 3,21: Naboth è sopraffatto dal re Achab. De Tobia, composto 385-390. (secondo Migne 377). Utilizzati solo come spunto i primi capitolo del libro di Tobia: è in realtà un’invettiva contro la ricchezza, l’avarizia e l’usura. Enarrationes in XII Psalmos Davidicos. Appartengono agli ultimi anni di Ambrogio. I salmi commentati sono 1, 35-40, 45, 47, 48 e 61. Expositio in Psalmum CXVIII. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 390. Costituita da 22 omelie su ciascuna delle strofe del salmo 118, che ha per tema principale l’elogio della Legge; Ambrogio illustra ai fedeli come raggiungere la perfezione. Expositio Evangelii secundum Lucam. Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 389. Expositio Isaiae prophetae. L’opera è perduta. Frammenti di tradizione indiretta da S.Agostino. Opere ascetiche e morali De officiis ministrorum, in 3 libri. Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 391. Verosimile l’origine omiletica. Ambrogio si rifà a Cicerone almeno in questi particolari esterni: contenuto formale dell’opera e sua articolazione in tre libri: 1. l’onesto; 2. L’utile; 3, Opposizione tra onesto e utile. La morale stoica è contrapposta a quella cristiana. De virginibus, in 3 libri, composto nel 377 e indirizzato, sotto forma epistolare, alla sorella Paolina. E’ considerato il primo trattato organico di spiritualità e teologia sul tema della verginità composto in latino. Notevole la diffusione, testimoniata da un’ampia tradizione ms. De virginitate. Composto, a partire da alcuni testi omiletici, intorno 378 per ribadire e difendere le tesi sostenute nel De virginibus De institutione virginis. Composto negli anni 391-392. E’ un protettrico alla verginità basatosul modello di Maria, madre di Gesù. De viduis. Composto negli anni 377-78. L’esortazione al mantenimento dello stato di vedovanza non arriva al punto di proibire le seconde nozze. Exhortatio virginitatis. Le proposte di datazione oscillano tra il 393 e il 395. Rappresenta il testo di un’omelia tenuta a Firenze in occasione della dedica di una basilica. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 128 Opere dogmatiche (dottrinali) De fide ad Gratianum, in 5 libri. Con quest’opera Ambrogio risponde a una specifica richiesta dell’imperatore Graziano di essere istruito in materia di fede. I primi due libri furono redatti nel 37778, i successivi, composti su nuova richiesta di Graziano, erano già ultimati nel 380. Sei i punti trattati, senza particolari innovazioni, in senso antiariano: il Figlio non è dissimile dal Padre; non ha avuto inizio; non è creato; è buono; è vero Dio; non ha una divinità diversa da quella del Padre. Tra le fonti di A. Ilario, Basilio, Atanasio. De Spiritu Sancto, in 3 libri. Terminato nel 381, completa l’opera intrapresa con il De fide. In questo caso viene trattata la divinità dello Spirito Santo e la sua posizione nella Trinità. Tra le fonti di A. gli stessi autori visti per il De fide. De incarnatione Dominicae sacramento. Divisa in due sezioni, risalenti entrambe al 382. Nella prima (1-78), corrispondente a un’omelia pronunciata da A., si esalta la perfezione delle due nature nella persona del Cristo, confutando in particolare l’eresia apollinarista. Nella seconda (79116), in polemica con le tesi ariane, si risponde alla questione di come genitus ed ingenitus possano essere di una sola natura e sostanza. De poenitentia, in due libri. Pensata come opera scritta e composta tra il 380-90 secondo alcuni, tra il 384 e 394 secondo altri, è un’importante testimonianza per la disciplina penitenziale a Milano nel IV secolo. Confutate le affermazioni dei novaziani sul potere della Chiesa di rimettere i peccati. Explanatio Symboli ad initiandos. E’ un’omelia sulla cui autenticità si è a lungo discusso. De mysteriis. Rielaborazione di omelie precedenti, databile al 390. Viene spiegato ai neofiti il simbolismo del battesimo e dell’eucarestia. De sacramentis. Databile al 390, raccoglie sei omelie sull’iniziazione cristiana attraverso battesimo, confermazione ed eucarestia. Anche per quest’opera, al pari della precedente cui è avvicinabile per tematiche, si sono avanzate riserve sulla paternità di A.. I dubbi più rilevanti, di ordine strutturale e stilistico, possono essere spiegati pensando a una redazione stenografica delle omelie. De sacramento regenerationis sive de philosophia. Ci sono arrivati frammenti solo per tradizione indiretta da Agostino e Claudiano Mamerto. Discorsi ??? Controllo per opportunità distinguere in dettaglio, secondo edizioni moderne, trattati da omelie. De excessu fratris. E’ la redazione scritta particolarmente rielaborata (378) di due orazioni per il fratello Satiro, pronunciate la prima in occasione del funerale, la seconda dopo una settimana. Evidente e consapevole il recupero del genere classico della consolatoria. De obitu Valentiniani. E’ l’orazione funebre di Valentiniano pronunciata nel 392. Si ricordano con affetto caratteri della persona e del suo governo, nonché alcuni momenti significativi dei rapporti tra vescovo e imperatore. De obitu Theodosii. Pronunciata quaranta giorno dopo la morte di Teodosio (395). Viene esaltato l’imperatore cristiano, ma anche il buon governatore; con ciò un’esaltazione dell’armonia nei F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 129 rapporti tra Stato e Chiesa. Attenzione particolare hanno meritato i capp. 40-50, che rievocano l’imperatrice Elena e il ritrovamento della Croce. Sermo contra Auxentium de Basilicis tradendis. Fu pronunciato ai fedeli la Domenica delle Palme del 386 e vi espongono i motivi del rifiuto di concedere agli Ariani, come richiesto da Valentiniano II, una basilica per la celebrazione dei riti pasquali. E’ una importante testimonianza per la nascita Epistole L'Epistolario, pur incompleto, raccoglie circa novanta lettere (non autentica viene considerata la n. 23), composte tra il 379 e il 396. Esse risultano fondamentali testimonianze per la vita dell’autore e per la storia politica e religiosa del suo tempo. Rilevanti, in particolare per i rapporti tra Stato e Chiesa, la n. 1 a Graziano, la n. 21 a Valentiniano II, la n. 51 a Teodosio sull’eccidio di Tessalonica, la n. 57 a Eugenio. Per la polemica antipagana famose le nn. 17 e 18 indirizzate a Valentiniano II sulla questione dell’ara della Vittoria. Per lo scontro con gli ariani, in particolare, le epistole n. 10,11 e 12 a Graziano, Valentiniano II e Teodosio, le nn. 13 e 14 a Teodosio, la n. 21 a Valentiniano II. Inni Quattro inni possono considerarsi di sicura attribuzione, secondo la testimonianza di Agostino: Aeterne rerum conditor, Iam surgit hora tertia, Deus creator omnium, Veni redemptor gentium. Quattordici vengono ritenuti da diversi studiosi di probabile paternità: Illuminans Altissimus, Hic est dies verus Dei, Agnes beatae virginis, Victor Nabor Felix pii, Grates tibi Iesu novas, Apostolorum passio, Apostolorum supparem, Amore Christi nobilis, Aeterna Christi munera, Splendor paternae gloriae, Nunc Sanctae nobis Spiritus, Rector potens veax Deus, Rerum Deus tenax vigor, Iesu corona virginum., Diciotto inni risultano di paternità dubbia. Opere attribuite Ambrosiaster (=falso Ambrogio). E' un commento alle lettere di S. Paolo. Fonte di problematiche complesse, di lungo e controverso sviluppo e per le origini del personaggio (ebreo, cristiano, ebreo convertito? Latino o greco?) e per la sua cultura e per gli influssi che l’opera ebbe su Agostino e Pelagio. Approfondire e fornire indicazioni bibliografiche aggiornate o pensare a singola voce. Hegesippus sive de bello Iudaico. Vedi sub voce Egesippo. De lapsu virginis consecratae. Lex Dee sive Mosaicarum et Romanarum legum collatio. Osservazioni F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 130 Testi e testimonianze Hier., vir.ill., 124 [0711C] Ambrosius, Mediolanensis episcopus, usque in praesentem diem [k [0712D] Hanc vulgo putant in uno Ambrosio praetexi causam, quod superstes sit, ne de ejus operibus judicet, quod minus bene de iis sentiret. Verum, ut concedamus Rufini calumniae, suggillari abs Hieron. S. episcopi libros de Spiritu sancto, passim alia ejus scripta valde praedicat, ut librum de Viduis, illos de Virginibus, item de Officiis, etc.] scribit, de quo, quia superest, meum judicium subtraham, ne in alterutram partem, aut adulatio in me reprehendatur, aut veritas. Ambrogio, vescovo di Milano, continua a scrivere. Siccome egli è ancora in vita, mi asterrò dal formulare un giudizio, per evitare di vedermi rimproverare in un senso o nell’altro l’adulazione o la verità. Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000. Hier., ep. 22, ad Eustochium, cap. 10. Legas Ambrosii nostri quae nuper scripsit ad sororem opuscula, in quibus tanto se effudit eloquio, ut quidquid ad laudes virginum pertinet, exquisierit, expresserit, ordinarit. Hier., ex Apologia adversus Jovinianum. Quod si cui asperum et reprehensione dignum videtur, tantam nos inter virginitatem et nuptias fecisse distantiam, quanta inter frumentum et hordeum est, legat sancti Ambrosii de Viduis librum, et inveniet illum inter caetera quae de virginitate et nuptiis disputavit, etiam hoc dixisse Hier., ex Apologia 1, adversus Rufinum, cap. 1. Si auctoritatem operi suo praestruebat, volens quos sequeretur, ostendere; habuit in promptu Hilarium . . . Ambrosium . . . et martyrem Victorinum . . . de his omnibus tacet, et quasi columnis Ecclesiae praetermissis, me solum pulicem et nihili hominem per angulos consectatur. Hier., Chron., Grat. III et Equit. coss. Post Auxentii seram mortem, Mediolani Ambrosio constituto, omnis ad rectam fidem Italia convertitur. Ruf. Aquil. Invectiva 2 in Hieronymum. Virum (lacerat) omni admiratione dignum Ambrosium [0114D] episcopum, qui non solum Mediolanensis Ecclesiae, verum etiam omnium Ecclesiarum columna quaedem et turris inexpugnabilis fuit . . . qui ad Ecclesiarum Dei gloriam electus a Deo est: qui in conspectu Domini locutus est, in conspectu persecutorum regum, et non est confusus. Ambrosius sanctus de Spiritu Sancto non solum verbis, sed et sanguine suo scripsit; obtulit enim persecutoribus sanguinem suum, quem in se fudit: sed a Deo ad alios adhuc reservabatur labores . . . sanctum virum Ambrosium, cujus adhuc praeclarae vitae memoria in animis omnium viget. August., Conf. 5 , 13. Veni Mediolanum ad Ambrosium episcopum in optimis notum orbi terrae, pium cultorem tuum, cujus tunc eloquia strenue ministrabant adipem frumenti tui, et laetitiam olei, et sobriam vini ebrietatem [0115A] populo tuo. Ad eum autem ducebar abs te nesciens, ut per eum ad te sciens ducerer. Suscepit me paterne ille homo Dei, et peregrinationem meam satis episcopaliter dilexit . . . Et delectabar suavitate sermonis, quamquam eruditioris, minus tamen hilarescentis atque mulcentis quam Fausti erat, quod attinet ad dicendi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 131 modum: caeterum rerum ipsarum nulla comparatio; nam ille per Manichaeas fallacias aberrabat, iste autem saluberrime docebat salutem. Giunse in quel tempo a Roma, al prefetto della città, la richiesta da Milano di un docente di retorica per quella città: il viaggio a spese dello Stato. Io mi diedi subito da fare per mezzo propr io dei Manichei infatuati di vanità - e me ne andavo per allontanarmene definitivamente, ma né essi né io lo sapevamo - affinché Simmaco, il prefetto di allora, se approvava un mio saggio di declamazione, desse a me quell'incarico. Passai così a Milano, ad Ambrogio, vescovo noto in tutto il mondo tra gli ottimi, tuo pio servitore. La sua robusta eloquenza allora dispensava al tuo popolo il fior di frumento, l'olio della letizia, la sobria ebrezza del tuo vino. La tua mano mi conduceva a lui senza che io lo sapessi, per essere condotto, cosciente, da lui a Te. Egli, l'uomo di Dio, mi accolse con bontà paterna: da buon vescovo accolse il pellegrino. Presi subito ad amarlo, sulle prime, purtroppo, non come un maestro di quella verità che io non speravo affatto di trovare nella tua Chiesa, ma per la sua bontà verso me. Ero assiduo ascoltatore delle spiegazioni che teneva al popolo, non con lo scopo con cui avrei dovuto, ma quasi per giudicarne l'eloquenza, se conforme alla fama, se più o meno fluente di quanto si diceva, e pendevo dalle sue labbra, attratto dalle parole, ma non interessato, anzi alquanto infastidito dell'argomento. La dolcezza del suo dire mi dava piacere: più erudito di quello di Fausto, ma meno brillante e meno seducente quanto alla forma. Quant o alla materia trattata, nessun confronto: quello si smarriva tra le bubbole manichee, questi dava i più salutari precetti della salvezza. “Lontana dai peccatori è la salvezza”, ed io ero di quelli. Però andavo avvicinandomi ad essa, a poco a poco senza saperlo. Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974) Aug., conf., 6,1 Studiosius ad Ecclesiam currere, et in Ambrosii ora suspendi ad fontem salientis aquae ad vitam aeterternam. Diligebat autem illum virum sicut angelum Dei, quod per illum cognoverat me interim ad illam ancipitem fluctuationem jam esse perductum . . . Itaque cum ad memorias sanctorum, sicut in Africa solebat, pultes et panem et merum attulisset, atque ab ostiario prohiberetur . . . ubi comperit a praeclaro praedicatore atque antistite pietatis praeceptum esse ita non fieri . . . abstinuit lubentissime. Più fervorosa accorreva alla Chiesa, ed ivi pendeva dalle labbra di Ambrogio, come ad una « fonte di acqua saliente per la vita eterna ». Amava quell'uomo come un Angelo del Signore, ben sapendo che da lui io ero stato condotto, per ora, a quella fluttuante incertezza, attraverso la quale sarei passato - ella se ne riteneva certa - dalla malattia alla guarigione, pur attraverso un pericolo più grave, come per un rincrudimento che i medici chiamavano crisi. Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974) Aug., conf., 6,2 Come usava fare in Africa, mia madre un giorno si era recata ai sepolcri dei santi portando focacce, pane e vino; ma il portiere gliene vietò l'ingresso. Quando seppe che tale proibizione veniva dal vescovo, vi si assoggettò con obbedienza così pia che io stesso notai con maraviglia con quanta docilità avesse condannato quella sua costumanza invece di discutere quel divieto. L'animo suo non era certo preso da una passione per il vino che la spingesse all'odio della verità, come avviene di molti, uomini e donne, che alle lodi della sobrietà si mostrano disgustati come gli ubriaconi all'offerta di una bibita all'acqua. Ella quando portava il sue; canestro con le offerte rituali da distribuire dopo una pregustazíone, non prendeva per sé che una piccola parte di vino, annacquata abbondantemente per il suo sobrio palato, per un atto di cortesia: e, se le tombe dei defunti da onorare in quel modo erano parecchie, portava in giro e deponeva su esse sempre quell'unica tazza di vino, non solo molto allungato ma anche molto tiepido, che divideva in piccoli sorsi con i suoi, perché non cercava un piacere ma compiva m atto di pietà. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 132 Come dunque seppe che quell'illustre annunziatore e maestro di pietà aveva vietato quelle pratiche anche a coloro che vi portavano sobrietà, perché gli intemperanti non avessero un pretesto per trasmodare e perché troppo somigliavano alla superstizione dei pagani nei « parentali», se ne astenne senza alcuna difficoltà, imparando a portare ai sepolcri dei martiri, invece di un canestro colmo di frutti della terra, un cuore colmo di offerte più pure: così aveva qualche cosa da donare ai poveri e così celebrava la comunione del corpo del Signore, ad imitazione della cui. passione i martiri avevano trovato il sacrificio e la corona. Io però credo, o mio Signore e mio Dio - tale è la mia impressione davanti al tuo cospetto - che mia madre non si sarebbe adattata facilmente a troncare quella sua pratica, se la proibizione fosse stata fatta da uno che ella non amava quanto amava Ambrogio. Per la mia salvezza ella lo amava tanto; ed egli ne la ricambiava per la devotissima assiduità e per il fervore di spirito nelle opere buone con cui ella accorreva alla chiesa. E spesso, quando mi vedeva, non poteva trattenersi dal farmene gli elogi e dal congratularsi meco che avevo una tal madre: e non sapeva egli quale figlio ella avesse in me, pieno di dubbi su quelle pratiche e senza alcuna speranza di trovare la via della vita. Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974) Ex eodem lib. cap. 3. [0115B] Ipsum Ambrosium felicem quemdam hominem secundum saeculum opinabar, quem sic tantae potestates honorarent: coelibatus autem ejus mihi laboriosus videbatur. Quid autem ille spei gereret, et adversus ipsius excellentiae tentamenta quid luctaminis haberet, quidve solaminis in adversis, et occultum os ejus quod erat in corde ejus quam sapida gaudia de pane tuo ruminaret, nec conjicere noveram, nec expertus eram. Et infra hoc eodem capite. Sed certe nulla dabatur copia sciscitandi quae cupiebam de tam sancto oraculo tuo, pectore illius . . . Et eum quidem in populo verbum veritatis recte tractantem omni die dominico audiebam; et magis magisque mihi confirmabatur omnes versutarum calumniarum nodos, quos illi deceptores nostri adversus divinos libros innectebant, posse dissolvi. Aug., conf., 6,3 RAPPORTI CON SANT'AMBROGIO Ma io, invece di chiedere piangendo il tuo soccorso, tendevo tutte le forze dello spirito a indagare, a discutere. Anche Ambrogio era per me un uomo fortunato, secondo il giudizio umano, per la stima che ne facevano tante persone di grande autorità. Il suo celibato però mi pareva gravoso. Quali speranze portasse chiuse in sé; se e quanto dovesse lottare contro le tentazioni derivanti dalla sua stessa grandezza; dove e quali conforti trovasse nelle traversie della vita; quale saporoso gusto del pane tuo egli ruminasse nella segreta bocca del suo cuore, io non riuscivo a immaginarlo nella mia completa inesperienza. Ma egli non conosceva i miei turbamenti né il pericolo in cui ero di cadere nel profondo. Non potevo a mio piacimento interrogarlo su ciò che mi interessava: mi impediva di aprirmi a lui e di ascoltarlo una folla di gente indaffarata, alle necessità della quale era sempre pronto: il pochissimo tempo in cui ne era libero, gli serviva o a ristorare le forze del corpo con il cibo indispensabile o quelle dell'animo con la lettura. Quando leggeva, l'occhio correva lungo le pagine e l'intelletto ne scrutava il significato, voce e lingua stavano in riposo. E, poiché a nessuno era precluso l'ingresso in casa sua, né si usava annunziare chi sopraggiungeva, molte volte ce ne stavamo seduti in lungo silenzio - chi avrebbe osato disturbare tale raccoglimento? -, e lo vedevamo sempre leggere a quel modo silenzioso, mai altrimenti; ma poi ce ne andavamo, pensando che, in quei pochi momenti dedicati allo studio e liberi dal tumulto degli affari altrui, egli non volesse essere richiamato ad altro; forse anche voleva evitare (leggendo così) che qualche ascoltatore attento e interessato davanti a passi alquanto oscuri lo ponesse nella necessità di spiegarglieli o di entrare in discussioni su punti difficili; il tempo impiegato in questo compito sarebbe andato a scapito dei libri che si era proposto di leggere: però un motivo ragionevole di questa tacita lettura poteva essere quello di risparmiare la voce che molto facilmente gli si affiochiva. Del resto, qualunque ne fosse la causa, non poteva che essere buona in tal uomo. Intanto però io non avevo possibilità di sottoporre le questioni che tanto mi interessavano al santo tuo oracolo posto nel suo cuore, salvo che si trattasse di brevi domande. Invece quei miei dubbi angosciosi richiedevano che egli potesse disporre di molto tempo, il che non avveniva mai. Però andavo ad ascoltarlo F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 133 ogni domenica, quando spiegava al popolo con tanta esattezza la parola della verità, e mi convincevo sempre più che tutti i grovigli di maligne calunnie intrecciati da quei maestri di menzogna contro i libri santi si potevano sciogliere. Quando poi appresi che quando dicono « l'uomo creato a immagine tua » 6, i tuoi figli spirituali, rigenerati da Te per mezzo della grazia della Madre cattolica, non intendono punto che si debba credere o pensare a Te come ad un essere delimitato dalla forma di un corpo umano, anche se non riuscivo nemmeno lontanamente, nemmeno confusamente a sospettare una natura di sostanza spirituale, tuttavia fui ben lieto, pur arrossendone, di non aver latrato per tanti anni contro la fede cattolica, ma contro le fantasie e i concetti materiali. Tanto più temerario ed empio, in quanto mi ero fatto accusatore di quello che avrei invece dovuto prima cercare e imparare. Ma Tu, così in alto e così vicino, così nascosto e così presente; Tu che non hai membra maggiori o minori, tutto e dappertutto, e in nessun luogo tutto, non sei davvero questa nostra forma corporea, eppure hai fatto l'uomo a tua immagine; ed ecco, l'uomo è dalla testa ai piedi in uno spazio limitato. Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974) Ex lib. IX, cap. 6. Cum Justina Valentiniani regis pueri mater hominem tuum Ambrosium persequeretur haeresis suae causa, qua fuerat seducta ab Arianis: excubabat pia plebs in Ecclesia, mori parata cum episcopo suo servo tuo . . . . Tunc hymni et psalmi ut canerentur secundum morem Orientalium partium, ne populus moeroris taedio tabesceret, institutum est, et ex illo in hodiernum retentum, multis jam ac pene omnibus gregibus tuis et per caetera orbis imitantibus. Traduzione Ex epistola 147, alias 112, num. 55. [0116A] Quae si approbas tene mecum sancti Ambrosii sententiam, jam non ejus auctoritate, sed ipsa veritate firmatam. Neque enim mihi propterea placet, quia per illius os potissimum me Dominus ab errore liberavit, et per illius ministerium gratiam mihi baptismi indulsit, tamquam plantatori et rigatori meo nimium faveam: sed quia de hac re et ipse hoc dixit, quod pie cogitanti et recte intelligenti loquitur etiam ille, qui incrementum dat, Deus. August., contra Jul.Pelag., 2, 5. Hic apertissime atque satiatissime ille tam excellenter tui doctoris ore laudatus doctor Ambrosius [0116C] declaravit et quid esset, et unde esset originale peccatum, et unde contigerit prima illa confusio . . . . . Ecce fundit eloquentiae lucidum ac perspicuum flumen Ambrosius. Non est hic ubi haereat lector, ubi caliget auditor. Et cap. 9: Ecquis haec dicit: Homo Dei catholicus et catholicae veritatis adversus haereticos usque ad periculum sanguinis defensor acerrimus . . . . . Ille strenuus Christi miles, et Ecclesiae fidelis Doctor, etc. Cassian., de Incarnat. Domini, 6 Ambrosius eximius Dei sacerdos, qui a manu Domini non recedens in Dei semper digito quasi gemma rutilavit. Prosperi Aqui. ex Chron. Grat. V et Theod. I coss. Pro catholica fide multa sublimiter Ambrosius episcopus scripsit. Idacius, Chron., Grat. III et Equit. coss. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 134 Ambrosius in Italia Mediolani episcopus, Martinus in Galliis Turonis episcopus, et vitae meritis, et patratis miraculis virtutum habentur insignes. Ennod., Carm., 1, hymn. 6. Coelo ferunt Ambrosium Nomen, honor, vel actio. Nil debet hic facundiae, Dos omnis est a moribus. Fortis juvantem non cupit, Umbone munitus suo. In carne carnis nihil agit Regina mens in corpore. Confregit omne lubricum. Sic vixit ille non sibi, Sed totus auctori Deo. Adjectus hinc Apostolis, Reduxit expulsam fidem; Dixit triumphos Martyrum Linguae virentis laureis. Hic ore praedam sustulit [0118A] De fauce serpentis feri. Qui bella Christi militat, Nudus timetur ensibus. Vivit sepultus et juvat, Clavum tenens Ecclesiae. Justina vires perdidit, Dat poena Vati praemium etc. Cassiod., inst., 1,20. [IntraText] XX. De sancto Ambrosio. 1. Sanctus quoque Ambrosius, lactei sermonis emanator, cum gravitate acutus, inviolenta persuasione dulcissimus, cui fuit aequalis doctrina cum vita, quando ei non parvis miraculis gratia divinitatis arrisit... XX. SU SANT’AMBROGIO 1. Anche sant'Ambrogio, che si esprime con un eloquio dolce come il latte, uomo di mente acuta e rigorosa, dolcissimo per il modo non violento di persuadere, dotato di una dottrina in perfetta armonia con il modo di vivere, poiché a lui la grazia divina ha arriso con non piccoli miracoli... . Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV] Isidor., de Offic. Eccles. 2, 25. Ambrosius Mediolanensis episcopus, vir magnae gloriae in Christo, et clarissimus doctor in Ecclesia. La società umana (cf. SEMI, III, 234) De off. ministrorum 1,28, 130 Iustitia igitur ad societatem …quod sibi quaerat? IntraText CT - Text Hymnus I Aeterne rerum conditor, Noctem diemque qui regis, Et temporum das tempora, Ut alleves fastidium, F. D’Alessi © 2002 Praeco diei jam sonat, Noctis profundae pervigil, Nocturna lux viantibus, A nocte noctem segregans. F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente Hoc excitatus Lucifer, Solvit polum caligine, Hoc omnis errorum chorus, Viam nocendi deserit. Hoc nauta vires colligit, Pontique mitescunt freta, Hoc ipsa petra Ecclesiae Canente, culpam diluit. Surgamus ergo strenue, Gallus jacentes excitat, Et somnolentos increpat, Gallus negantes arguit. 135 Gallo canente, spes redit, Aegris salus refunditur, Mucro latronis conditur, Lapsis fides revertitur. Jesu, labantes respice, Et nos videndo corrige; Si respicis, lapsus cadunt, Fletuque culpa solvitur. Tu lux refulge sensibus, Mentisque somnum discute: Te nostra vox primum sonet, Et vota solvamus tibi. Disponibili epistola alla sorella Marcellina (20), altre epistole, de mysteriis e hymni (www) Ambr., de off., 2,1-5 II, 1. [1] Nel libro precedente abbiamo trattato dei doveri che giudicavamo attinenti all'onestà, nella quale nessuno ha mai dubitato sia posta la vita felice che la Scrittura chiama vita eterna. Lo splendore dell'onestà è così grande che la tranquillità della coscienza e la certezza d'essere senza colpa, che ne conseguono, rendono felice la vita. Come il sole, una volta sorto, nasconde il globo lunare e la luce delle altre stelle, così il fulgore dell'onestà, quando brilla di una bellezza autentica ed incorrotta, oscura tutte le altre cose che, secondo il piacere dei sensi, sono ritenute buone o, secondo il giudizio del mondo, sono stimate motivo di onore e di gloria. [2] Certamente felice è tale vita che non si valuta secondo i giudizi altrui, ma con autonomo giudizio si intuisce per mezzo del proprio sentimento interiore. Non cercando giudizi popolari come ricompensa né temendoli come pena, quanto meno segue la gloria, tanto più si eleva sopra di essa. Coloro infatti che cercano la gloria, ottengono, quale ombra dei beni futuri, una tale ricompensa di beni presenti che è di ostacolo alla vita eterna, perché nel Vangelo sta scritto: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro ricompensa. Ciò si dice evidentemente, di coloro che sono smaniosi di divulgare, quasi a suon di tromba, la loro generosità verso i poveri. Similmente è detto di coloro che digiunano per ostentazione: Hanno ricevuto la loro ricompensa. [3] È proprio dell'onestà, dunque, o esercitare la misericordia o digiunare in segreto, perché appaia che si cerca la ricompensa unicamente da Dio, non anche dagli uomini. Chi la vuole dagli uomini, ha già la sua ricompensa; chi la chiede a Dio, ha la vita eterna che può esserci data unicamente dal Creatore dell'eternità, come afferma il ben noto passo: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. Con maggior chiarezza, la Scrittura chiamò vita eterna la vita felice, per non lasciarne la valutazione ai giudizi degli uomini, ma per affidarla invece al giudizio di Dio. 2. [4] I filosofi posero la felicità, alcuni nell'assenza del dolore, come Ieronimo, altri nella scienza , come Erillo, il quale, sentendola lodare mirabilmente da Aristotele e da Teofrasto, la considerò sommo bene, mentre essi la esaltarono come un bene, non come l'unico bene. Altri la dissero piacere, come Epicuro, altri, come Callifonte e, dopo di lui, Dio doro, la intesero così da aggiungere l'uno al piacere, l'altro all'assenza di dolore la partecipazione dell'onestà, pensando che senza di questa non possa esistere vita felice. Zenone Stoico affermò che il solo e sommo bene consiste nell'onestà; Aristotele, invece, e Teofrasto e gli altri peripatetici sostennero che la felicità consiste bensì, nella virtù, cioè nell'onestà, ma che la felicità di questa è resa completa anche dai beni del corpo e da quelli esteriori. [5] La Scrittura divina invece pose la vita eterna nella conoscenza di Dio e nel premio delle opere buone. Di entrambe le affermazioni abbiamo la testimonianza evangelica. Così disse il Signore della conoscenza di Dio: Questa è la vita eterna, che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandalo , Gesù Cristo. E a proposito delle opere così rispose: Ognuno che lascerà la casa e i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o i figli o i campi per il mio nome, riceverà il centuplo e possiederà la vita eterna. [6] Ma perché non si creda che tale dottrina sia recente e sia stata formulata dai filosofi prima che annunciata dal Vangelo (i filosofi, infatti, sono anteriori al Vangelo, cioè Aristotele e Teofrasto o Zenone e F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 136 Ieronimo, ma posteriori al profeti), sappiamo quanto tempo prima che si sentisse parlare di filosofi l'uno e l'altro insegnamento sia stato chiaramente espresso dal santo Davide. Sta scritto: Beato colui che tu hai educato, Signore, ed hai istruito nella tua legge. Altrove abbiamo: Beato l'uomo che teme il Signore, proverà gioia grande nei suoi comandi. Abbiamo trattato della conoscenza, il cui premio il profeta ricordò consistere nella felicità eterna, aggiungendo che nella casa di chi teme il Signore ed è istruito nella sua legge e si compiace degli ordini divini: Gloria e ricchezze abbondano nella sua casa e la sua giustizia dura per sempre. A proposito delle opere nello stesso salmo aggiunse che all'uomo giusto tocca il premio della vita eterna. Poi afferma: Beato l'uomo che ha compassione e soccorre, amministrerà i suoi affari con discernimento, perché non vacillerà in eterno. Il giusto sarà ricordato eternamente. E più sotto: Ha dato generosamente ai poveri; la sua giustizia rimane in eterno. [7] La fede ottiene la vita eterna perché saldo ne è il fondamento; la ottengono anche le o pere buone, perché l'uomo giusto si riconosce dalle parole e dai fatti. Se uno è pronto nelle parole e pigro nelle opere, con i fatti smentisce la sua prudenza; ed è colpa più grave, conosciuto il da farsi, non compiere ciò che si è conosciuto come dovere. Al contrario, essere pronto nelle opere ma infido nei sentimenti, è come se si volesse innalzare su un fondamento traballante una bella corona di pinnacoli: quanto più costruisci, più crolla, perché senza il sostegno della fede le buone opere non possono sussistere. Un ancoraggio malsicuro nel porto causa falle nella nave e un terreno sabbioso cede, incapace di sostenere il peso dell'edificio costruito sopra. La pienezza del premio si avrà là dove esiste la perfezione delle virtù ed un saggio equilibrio nelle parole e nelle azioni. 3. [8] Respinta la sola scienza perché o ritenuta vana alla luce delle discussioni eccessivamente minute dei filosofi o giudicata concezione imperfetta, consideriamo con quale facilità la Sacra Scrittura trovi la soluzione di questo problema sul quale si sono svolte discussioni filosofiche così svariate, involute, confuse. La Scrittura, affermato che non è bene se non ciò che è onesto, giudica felice la virtù in ogni condizione, perché i beni del corpo o quelli esterni non le aggiungono nulla e nulla le tolgono le avversità: nulla è così felice come ciò che è alieno dal peccato, pieno d'innocenza, ricolmo della grazia di Dio. Sta scritto: Beato l'uomo che non ha seguito il disegno degli empi e non si è seduto nel consesso dei malvagi, ma ha posto la sua volontà nella legge del Signore. E in un altro punto: Beati coloro che sono senza colpa nella loro via, che camminano nella legge del Signore. [9] L'innocenza e la scienza rendono felici. Abbiamo rilevato più sopra che la felicità della vita eterna è la ricompensa anche del ben operare. Trascurando la difesa del piacere o la paura del dolore - cose estranee che si respingono, l'una perché indizio di mollezza e di lascivia, l'altra perché priva di virilità e di fortezza resta da dimostrare che persino in mezzo ai dolori la felicità ha il sopravvento. Ciò si può imparare facilmente dopo aver letto: Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni male contro di voi per la giustizia. Godete ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nel cielo. Così infatti hanno perseguitato anche i profeti che erano prima di voi. E in un altro passo: Chi vuole venire dopo di me, prenda la sua croce e mi segua. 4. [10] La felicità può esistere anche in mezzo ai dolori: la virtù piena di dolcezza, li attenua e modera, perché abbonda di particolari risorse sia per ciò che riguarda la propria coscienza sia per ciò che riguarda la grazia. Non fu poca la felicità di Mosè quando, circondato dalle armate egiziane e chiuso dal mare, per i suoi meriti verso Dio trovò per sé e per il popolo dei padri attraverso i flutti una via su cui camminare. Mai fu più forte di quando, circondato da pericoli senza scampo, non disperava della salvezza, ma otteneva il trionfo. [11] E Aronne in quale momento si credette più felice di quando si collocò tra i vivi e i morti e, interponendo la propria persona, impedì che la morte dai corpi dei defunti raggiungesse le schiere dei vivi? Che dire del giovane Daniele, tanto sapiente da non lasciarsi vince re dal terrore per la ferocia delle belve, pur in mezzo ai leoni irritati dalla fame, così libero dalla paura da poter mangiare senza preoccuparsi di provocare col suo esempio le fiere a divorarlo? [12] Esiste anche nel dolore una virtù che offre a se stes sa la dolcezza di una buona coscienza e dimostra che il dolore non diminuisce la gioia della virtù. Come il dolore non toglie nulla alla felicità, così nulla vi aggiungono i piaceri sensibili o il godimento offerto dagli agi. A questo proposito disse bene l'Apostolo: Quelli che per me furono guadagni, ho stimato perdite per amore di Cristo. E aggiunse: Per amore del quale io ho ritenuto tutte le cose una perdita e le stimo sterco, per guadagnarmi Cristo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 137 [13] Mosè credette che fossero di danno i tesori degl i Egiziani e preferì l'onta della croce del Signore: non ricco quando abbondava di denaro né povero dopo, quando gli scarseggiava il cibo; a meno che a qualcuno non sembri ch'egli fosse meno felice quando nel deserto a lui e al suo popolo mancava il vitto quotidiano. Ma nessuno oserà negare che gli sia stato motivo di sommo bene e di straordinaria felicità il dono celeste della manna, cioè il pane degli angeli; ed anche la carne, mediante una pioggia quotidiana, sovrabbondava per il pasto di tutto il popolo . [14] Anche al santo Elia sarebbe mancato il pane per il suo nutrimento, se egli lo avesse cercato; ma non sembrava mancare perché non lo cercava. Ogni giorno, per mezzo dei corvi, al mattino gli veniva portato il pane, e la sera la carne. Forse era meno felice perché, per suo conto, era povero? Niente affatto. Anzi tanto più felice, perché era ricco per Iddio. È meglio infatti essere ricco per gli altri che per se stesso, come era colui che in tempo di carestia chiedeva il cibo ad una vedova, concedendo in cambio che l'idria della farina per tre anni e sei mesi non rimanesse vuota e il vaso dell'olio fornisse a sufficienza alla povera vedova la quantità giornalmente necessaria. A buon diritto Pietro sarebbe voluto restare là dove vedeva costoro, giustamente apparsi sul monte della gloria con Cristo, perché anch'egli da ricco si fece povero. [15] Nessun aiuto offrono le ricchezze alla felicità, come chiaramente affermò il Signore nel Vangelo: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati coloro che ora hanno fame e sete, perché saranno saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. È stato perciò stabilito in modo evidentissi mo che la povertà, la fame, il dolore, che sono ritenuti mali, non solo non sono d'impedimento ad una vita felice, ma anzi le sono d'aiuto. 5. [16] Che anche quelli che sembrano beni - le ricchezze, l'abbondanza, la letizia esente da dolore ostacolino il godimento della felicità, appare dichiarato dal giudizio del Signore: Guai a voi ricchi, perché avete la vostra consolazione! Guai a voi che siete sazi, perché soffrirete la fame; e guai a quelli che ridono, perché piangeranno! I beni del corpo o quelli esterni non soltanto non sono d'aiuto ad una vita felice, ma anzi sono di ostacolo. [17] Era felice Nabot, anche quando veniva lapidato dal ricco, perché, povero e debole contro la potenza regale, era tanto ricco dei suoi sentimenti e della sua religiosità da non accettare il denaro del re in cambio della vigna ereditata dai padri, e perciò stesso si dimostrava perfetto: a costo della vita difendeva i diritti dei suoi maggiori. Quindi, misero Acab, anche a suo giudizio, perché aveva fatto uccidere un povero per impadronirsi della sua vigna. [18] E indubbio che il solo e sommo bene è la virtù, la sola che disponga di mezzi sovrabbondanti per garantirci il godimento d'una vita felice, e che questa è data non dai beni esterni o da quelli del corpo, ma unicamente dalla virtù, per mezzo della quale si acquista la vita eterna. La vita felice, infatti, consiste nel godimento dei beni presenti, mentre la vita eterna nella speranza dei beni futuri. [19] Vi sono tuttavia taluni che ritengono impossibile una vita felice in questo nostro corpo così debole e fragile, nel quale inevitabilmente ci angustiamo, proviamo dolori, piangiamo, c i ammaliamo, come se io affermassi che la vita felice consiste nella esuberanza del corpo e non nella profondità della sapienza, nella serenità della coscienza, nella sublimità della virtù. E felicità non già essere nella sofferenza, ma esserne vittorioso senza lasciarsi abbattere dal turbamento causato da un dolore di breve durata. [20] Supponi che accadano fatti considerati motivo di grave dolore, come la cecità, l'esilio, la fame, lo stupro d'una figlia, la perdita dei figli. Chi non direbbe felice Isacc o che nella sua vecchiaia, pur cieco, con le sue benedizioni rendeva felici i suoi? Non era forse felice Giacobbe che, profugo dalla casa paterna, pastore mercenario, sopportò l'esilio, pianse l'offesa recata all'onore della figlia, soffrì la fame? Non sono dunque felici quelli che con la loro fede rendono testimonianza a Dio, come risulta quando si dice: Il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe? Misera è la schiavitù, ma non fu misero Giuseppe, anzi veramente felice, perché, sebbene schiavo, ri ntuzzò la lussuria della sua padrona. Che dire del santo Davide che pianse la morte di tre figli e, cosa ancor più dolorosa, l'incesto della figlia? Come poteva non essere felice colui dalla cui discendenza nacque l'Autore della felicità, che moltissimi rese felici? Beati, infatti, coloro che non videro e credettero. Anch'essi provarono l'infermità, ma dall'infermità trassero forza. Quale maggior pena di quella del santo Giobbe o per l'incendio della sua casa o per la morte improvvisa dei dieci figli o per le sofferenze fisiche? Forse fu meno felice che se non avesse sopportato quelle disgrazie che lo misero maggiormente alla prova? [21] Ammettiamo pure che in esse vi sia stato qualche tormento: quale dolore non riesce a nascondere la forza dell'animo? Non potrei infatti dire che il mare è profondo perché presso la spiaggia l'acqua è bassa; né F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 138 che il cielo non è luminoso perché talvolta è coperto di nubi; né che la terra non è fertile perché in alcuni luoghi c'è sterile ghiaia o che le messi non sono rigogliose perché solitamente hanno frammista dell'avena selvatica. Convinciti ugualmente che la messe d'una coscienza felice è disturbata da qualche mucchio di dolore. Se per caso capita qualche avversità ed amarezza, non è forse come l'avena infeconda, nascosta dai manipoli d'un'intera vita felice o, come l'aspro sapore della zizzania, soffocata dalla dolcezza del frumento? Trad. G. Banterle, I doveri, Milano-Roma, Città Nuova, 1977. Letture critiche - G. Vianini, Il canto ambrosiano Già San Paolo citava: " In gratia cantantes in cordibus vestris Deo" - cantando a Dio nei vostri cuori in grazia - (Efesini, 5,18 - 20 ) perché la parola di Dio è sacra, il canto preghiera. Il canto con il fascino della sua arte valorizzava la parola di Dio, le voci rappresentavano la comunità in preghiera. Dal tempo di Paolo, morto nel 68 d.C. durante la persecuzione neroniana, ad Ambrogio erano passati più di tre secoli e non è possibile, visto quanto detto prima, che non si fossero sviluppate altre forme di canto; si svilupparono infatti in oriente (bizantino - siriaco - armeno - copto - etiopico) sia in occidente (romano aquileiese - beneventano - slavo - celtico - gallicano - mozarabico) ognuno di questi usava categorie estetiche loro proprie. Perché però il canto ambrosiano si mantenne così a lungo? Perché era un fattore tipico ed inseparabile del rito stesso, fu quindi il rito ambrosiano a mantenere vivo il canto ambrosiano e queste due realtà furono sempre parallele e complementari. Probabilmente quindi Ambrogio non inventò del tutto il canto liturgico, ma gli fece compiere un notevole salto qualitativo, soprattutto verso tre direzioni: l'introduzione dell'innodia - il canto antifonato - il canto responsoriale. Dopo di lui infatti queste novità si diffusero in tutta Europa, ce lo testimoniano Sant'Agostino nel nono libro delle Confessioni e Paolino, segretario di Ambrogio, nel tredicesimo capitolo sulla vita del santo. Dei tredici inni attribuiti ad Ambrogio, quattro sono certamente suoi (Aeterne rerum conditor - Deus creator omnium - Jam surgit hora tertia - Intende qui regis Israel) e nove sono quasi certamente autentici per la loro identità strutturale e stilistica. Nei suoi inni Ambrogio dimostra grande abilità lessicale, uno stile attento alla prosodia classica, ma anche grande sensibilità ritmica. Gli inni hanno forma strofica, con versi isosillabici (uguali numero di sillabe) ed omotonici (gli accenti tonici sempre nella stessa posizione), i moderni musicologi attribuiscono anche la musica ad Ambrogio, infatti, anticamente il compositore di un testo poetico componeva anche la musica con cui era proposto, perché l'essere musico e poeta coincidevano, Ambrogio, inoltre nei suoi scritti parla di musica con estrema competenza, cita la scala musicale completa e si riferisce all'arte della musica in ogni sua opera. Potrebbe essere definito il primo "cantautore ", perché con il canto degli inni introdusse nella controversia religiosa contro Ario, allora in atto, un elemento decisivo di larga presa su vasti strati dell'opinione pubblica. Questo fatto fu constatabile proprio nel 386 quando Sant'Ambrogio si rifiutò di consegnare agli ariani le chiese milanesi, disobbedendo all'imperatrice Giustina, che gliel'aveva imposto, ma non solo, con tutto il popolò occupò la basilica Porziana e mentre le milizie imperiali cingevano d'assedio la chiesa, Ambrogio all'interno, insegnava alla folla dei fedeli gli inni da lui composti, facendo nascere così il canto popolare occidentale. Dopo di lui, due grandi vescovi milanesi, Eusebio e Lorenzo, composero inni e fecero trascrivere quelli di Ambrogio. Dal quinto secolo, Milano conobbe incredibili invasioni barbariche, fu distrutta dai Goti, occupata dai Longobardi, che finalmente alla fine del settimo secolo, si convertirono e favorirono la ripresa religiosa a Milano, ma la convivenza con i Franchi, a loro subentrati, non fu certo facile ed i milanesi si schierarono non direttamente in difesa della loro terra, perché non esistevano per motivi storici ideali nazionalistici in cui identificarsi, ma nella difesa del loro rito e del loro canto, in cui vedevano la propria sopravvivenza spirituale. Nella testimonianza di un anonimo poeta milanese nel "versum de Mediolano civitate" viene mostrato come motivo di orgoglio che i salmi erano cantati con opportuni moduli al suono dell'organo. Pochi sono i codici che sono arrivati a noi, Carlomagno con l'intento di favorire l'unità liturgica fece distruggere i codici di canto ambrosiano. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 139 Nel secolo nono, Milano vide ben due officine librarie, una arcivescovile e l'altra presso il Monastero di Sant'Ambrogio, che producevano cultura finalizzata al rinnovamento liturgico. Fra i codici a noi rimasti citiamo il Trotti, perché contiene frammenti di notazione ambrosiana, mentre tra il codice di Busto Arsizio e il codice A28 dell'Ambrosiana, che pure furono redatti a trent'anni di distanza, troviamo nel primo una stesura retrospettiva e nel secondo una innovativa con ritocchi ed aggiornamenti. Perché però l'attività musicale di San Gallo e Rouen nello stesso periodo era più famosa? Perché Milano era sempre legata al suo rito, quindi aveva un raggio d'azione limitato, mentre la liturgia romana con il suo Canto Gregoriano ebbe maggior estensione ed esecuzione. Anche a Milano dal decimo secolo troviamo influssi del Canto Gregoriano, che però venne assimilato "more Ambrosiano", cioè secondo i parametri con cui la città aveva da secoli accompagnato la liturgia. Se abbiamo poche testimonianze, lo dobbiamo al fatto che si preferiva imprimere il canto nella memoria dei cantori, accennando sui codici solo i punti difficili o controversi. Il Vescovo Ariberto da Intimiano, ben noto come difensore della città nell'undicesimo secolo, volle la creazione di una "Schola puerorum" condotta da musici competenti e da lui personalmente sovvenzionata, per mantenere il canto liturgico ambrosiano ad un buon livello esecutivo. Dicono i documenti che presenziasse alle lezioni ed intervenisse con opportuni consigli. Dal dodicesimo secolo la tradizione del Canto Ambrosiano è testimoniata in parecchi manoscritti e qui l'elenco dei notatori (il primo fu Magister Cesarinus, nella prima metà del tredicesimo secolo) è molto lungo e forse conviene trascurarlo, perché interessa soprattutto la paleografia musicale. Tra i più importanti codici consultati dal Benedettino Don Gregorio Suñol per le pubblicazioni dell'Antifonale (1935) e del Vesperale (1939) sono due volumi scritti dal Prete Fatius DeCastoldis nel 1387/88 per la Chiesa di Vendrogno (Lecco). Relazione di Giovanni Vianini direttore della Schola Gregoriana Mediolanensis sul canto Ambrosiano. Internet - Controllo fonti scritte ed estremi Letture critiche. M. von Albrecht. Fonti, modelli, generi; Tecnica letteraria; Lingua e stile. Fonti, modelli, generi. Ambrogio possiede una solida cultura classica e legge senza difficoltà il greco; è straordinariamente versato nella filosofia. Come dimostrano paralleli testuali di ampie dimensioni, deve aver letto Plotino, Porfirio, il Pitagorico Sesto ed in parte anche Platone. Gli studi del periodo giovanile - durante il quale compone probabilmente il De philosophia - sono da lui continuati dopo il battesimo: in parte sotto la guida di Simpliciano si forma le basi teologico-esegetiche sulle fonti greche: accanto a Filone ed Origene c'è Basilio col suo Hexaemeron, un'esegesi del racconto della creazione. Come Rufino, il traduttore di Origene, Ambrogio ha il dono di liberare le proprie fonti dalle loro peculiarità greche e giudaiche e di renderle ecclesiasticamente utilizzabili. Tra gli autori latini privilegia Cicerone e Virgilio. Come oratore, attinge alle orazioni; il De officiis ha per lui un'importanza determinante (vd. «Tecnica letteraria»); legge il Somnium Scipio nis forse già col commento di Macrobio. Si aggiunge lo scritto apuleiano De Platone. Ambrogio pratica i generi di prosa ecclesiastica correnti alla sua epoca. Per la struttura della raccolta epistolare, non per la lingua, prende a modello Plinio`. Dà un'impronta decisiva - in parte sulla scia del canto innodico siriaco - al genere dell'inno, un tipo fondamentale della lirica medievale. Tecnica letteraria. Come scrittore Ambrogio è un maestro della «tecnica del collage»: l'inserimento di un'esegesi allegorica ripresa da Origene in un contesto plotiniano - con l'esclusione di ogni elemento «eretico» o pagano testimonia notevole abilità (vd. «Orizzonte concettuale»). Il cosciente impiego d'interi brani tratti da altri autori ricorda le basiliche romane, nelle quali «colonne e segmenti di trabeazione di diverso tipo e provenienza si uniscono nel produrre un forte ed unitario effetto». Nell'esegesi della Genesi sulla traccia di Basilio, Ambrogio inserisce descrizioni naturali ed immagini del mondo animale in funzione di exempla morali; in questo contesto gli vengono sotto la penna reminiscenze F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 140 virgiliane65'. All'evidenziazione poetico-letteraria servono anche numerosi rimandi a Terenzio, per esempio allo stato d'animo di Fedria nell'Eunuchus (paenit. 2, 96,47 ). Gli scritti ascetici vengono vivacizzati da racconti esemplari. Nel De officiis ministrorum un'opera ciceroniana in tre libri viene cristianizzata da cima a fondo; è un programma letterario che merita di essere preso seriamente. Già il numero dei libri è lo stes so; alla dedica al figlio corrisponde quella «ai figli», vale a dire ai preti. Il patrimonio lessicale resta immutato, ma si fa veicolo di un contenuto cristiano in luogo di quello stoico: come quando - conservando il termine fides - è la fede (Ambr. off. 1, 29, 142) a divenire il fondamento della giustizia, in luogo della fedeltà ai patti (Cic. Off. 1, 23). Solo nella praefatio il silentium cristiano prende antiteticamente il posto dell'oratio pagana. Dappertutto gli exempla romani vengono sostituiti da quelli biblici. A differenza di Cicerone, che - come piú tardi Pelagio presume nell'uomo una forza morale propria, Ambrogio presuppone dappertutto la «grazia preveniente» (in Luc. 4, 4). Com'era da attendersi, nei necrologi si ritrova l'intero apparato della laudatio funebris e dell'antica letteratura consolatoria`. Ma l'autore sa giocare con finezza con le sfumature: in luogo del « secundum naturam vivere » stoico -ciceroniano subentra « gratiam referre» (exc. Sat. 1, 45-48)- La sapienza stoica come «conoscenza delle cose divine ed umane » viene sostituita dalla capacità di distinguere divino ed umano (exc. Sat. 1, 48): uno spostamento d'accento assai caratteristico del vescovo! Occorre usare cautela nell'ammettere in Ambrogio un metodo di lavoro meccanico ed ampliamenti arbitrari. Un'analisi dell'orazione funebre per Teodosio ha dimostrato che il nostro autore possiede in tutto e per tutto «sensibilità formale antica»`. Questa caratteristica è riconoscibile anche nella raccolta epistolare, la cui struttura si orienta sul modello dell'epistolario pliniano. Come nel predecessore, si tratta di dieci libri (nove + uno), l'ultimo dei quali comprende le lettere all'imperatore ed è riservato all'attività pubblica dell'autore`. Anche per la raccolta epistolare si tratta del resto di una collezione di pezzi in origine indipendenti. Lingua e stile. Lo stile d'Ambrogio - come quello di tutti i Padri della Chiesa - è segnato dalla retorica; in confronto con l'elegantia del pagano Simmaco, egli affetta maggiore semplicità (epist. 18,2), senza però raggiungerla. Agostino, che ha ascoltato Ambrogio, riceve un'impressione profonda della sua oratoria; Gerolamo, che probabilmente giudica piuttosto sulla base della parola scritta, non ha grande stima di Ambrogio come stilista. Meno che dappertutto l'animazione artistica della lingua riesce probabilmente negli scritti dogmatici, che mirano all'esattezza, sebbene dal loro quasi giuridico rigore formale possa sprigionarsi anche un certo fascino. Prima di dare un giudizio sullo stile delle opere esegetiche, spesso decisamente prolisse, occorre considerare che si tratta forse, in parte, di trascrizioni di prediche effettivamente pronunciate, nelle quali il modo di porgere e la personalità dell'oratore contribuivano in maniera sostanziale all'efficacia. Sappiamo d'altro canto (epist. 47, 3) che Ambrogio scriveva anche sovente di proprio pugno. Inoltre la raffinata arte dell'associazione delle fonti ed i1 doppio livello nell'uso del linguaggio impediscono di parlare d'improvvisazione: l'esegeta privilegia con avvedutezza, ad esempio, metafore comuni ai platonici ed ai cristiani (vd. «Orizzonte concettuale»). A differenza delle opere dogmatiche si può qui osservare, talvolta, uno stile «amabile», che può sfiorare persino il poetico. Anche per altri versi poesia e prosa si sovrappongono in quest'uomo non comune. Nel caso delle lettere sappiamo, in ogni caso, che prima dell'edizione Ambrogio le inviò per una revisione stilistica - e teologica - ad un amico esperto di letteratura, il vescovo Sabino di Piacenza (epist. 48, 1), e che la raccolta vuole essere in grado di aspirare alla dignità letteraria anche nella struttura. L'analisi di minutiae linguistiche sembra addirittura permettere di distinguere le lettere conciliari spiritualmente influenzate da Ambrogio, ma non composte personalmente da lui, da quelle autentiche. I lettori vengono immediatamente afferrati dagl'inni. Essi sono composti in dimetri giambici acatalettici; prima di Ambrogio questo metro non è testimoniato in strofe di quattro versi, il che non significa che siano state inventate da lui. Ogni inno consta di otto strofe. Come rinnovatore della lirica cristiana, che era iniziata con Ilario di Poitiers, Ambrogio trova una lingua ed una musica allo stesso tempo semplice e nobile, popolare e dignitosa: un capolavoro quale non riesce sempre ai creatori di canti popolari religiosi. M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, 3, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1653-57. Bibliografia F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 141 Edizioni Poesis Intratext De principio individuationis LAT0279 Epistula ad Marcellinam sororem LAT0263 Hymni LAT0064 PL Migne vol. 14 Hexaemeron libri sex, scripti circa annum 389. De Paradiso liber unus, script. circ. an. 375. De Cain et Abel libri duo, script. circ. an. 375. De Noe et Arca liber unus, script. circ. an. 379. De Abraham libri duo, script. circ. an. 387. De Isaac et Anima liber unus, script. circ. an. 387. De Bono Mortis liber unus, script. circ. an. 387. De Fuga Saeculi liber unus, script. circ. an. 387. De Jacob et Vita beata libri duo, script. circ. an. 387. De Joseph patriarcha liber unus, script. circ. an. 387. De Benedictionibus patriarcharum liber unus, script. an. 387. De Elia et Jejunio liber unus, script. circ. an. 390. De Nabuthe Jezraelita liber unus, script. forte circ. an. 395. De Tobia liber unus, script. circ. an. 377. De interpretatione Job et David libri quatuor, script. forte circ. an. 383. Apologia prophetae David script. forte circ. an. 384. Apologia altera prophetae David. Enarrationes in psalmos duodecim: quarum prior non ultra annum 390; quinque sequentes, non nisi post VIII idus Sept. anni 393, scriptae sunt; in psalmum vero XLIII anno 397; quatuor ultimae circ. annum 390. PL Migne, vol. 15 Expositio in psalmum CXVIII Expositio Evangelii secundum Lucam Commentarius in Cantica Canticorum e Scriptis S. Ambrosii collectus De Excidio urbis Hierosolymitanae libri quinque Anacephalaeosis quinque librorum de excidio Hierosolymitano PL Migne, vol. 16 De Officiis libri tres De Virginibus libri tres De Viduis liber unus De Virginitate liber unus De Institutione virginis liber unus De Exhortatione virginitatis liber unus De Lapsu virginis consecratae liber De Mysteriis liber F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 142 De Sacramentis libri sex De Poenitentia libri duo De Fide libri quinque De Spiritu sancto libri tres De Incarnationis Dominicae sacramento liber unus Fragmentum Ambrosianum ex Theodoreto desumptum Epistolae in duas classes distributae De excessu fratris sui Satyri libri duo Hymni nonnulli PL Migne, vol. 17 De XLII Mansionibus filiorum Israel. (auct.var.) Commentaria in Epistolas B. Pauli. (auct.var.) Tractatus de Trinitate. (auct.var.) Tractatus de Fide orthodoxa. (auct.var.) De Dignitate sacerdotali libellus. (auct.var.) Libellus ad Virginem devotam. (auct.var.) Sermones S. Ambrosio ascripti. (auct.var.) Epistolae ex Ambrosianarum numero segregatae. (auct.var.) Precationes duae ante Missam. (auct.var.) Expositio in septem visiones libri Apocalypsis. (auct.var.) De Poenitentia liber unus. (auct.var.) De Spiritu sancto libellus. (auct.var.) De Concordia Matthaei et Lucae in genealogia Christi. (auct.var.) De Dignitate conditionis humanae libellus. (auct.var.) Exorcismus. (auct.var.) Acta S. Sebastiani. (incert.) Liber de vitiorum virtutumque conflictu. De Vocatione gentium libri duo. (incert.) De Moribus Brachmanorum. (incert.) Philosophorum breves Epistolae. (incert.) Epistolae duae de Monacho energumeno. (incert.) Explanatio Symboli ad initiandos. (incert.) Epistola de fide. (incert.) Hymni S. Ambrosio attributi. (incert.) opera in CSEL 22.62.64.73.78 controllo Testard (ed.) De officiis (Ambrosius Mediolanensis) Christianorum S.L. 15 Testard (ed.) De officiis. (Ambrosius Mediolanensis) Christianorum S.L. 15 HB 03/2001 Turnhout, Corpus PB 03/2001 Turnhout, Corpus Hexameron, De paradiso, De Cain, De Noe, De Abraham, De Isaac, De bono mortis – ed. C. Schenkl 1896, Vol. 32/1 De Iacob, De Ioseph, De patriarchis, De fuga saeculi, De interpellatione Iob et David, De apologia prophetae David, De Helia, De Nabuthae, De Tobia – ed. C. Schenkl 1897, Vol. 32/2 Expositio evangelii secundum Lucam – ed. C. Schenkl 1902, Vol. 32/4 Expositio de psalmo CXVIII – ed. M. Petschenig 1913, Vol. 62; editio altera supplementis aucta – cur. M. Zelzer 1999 Explanatio super psalmos XII – ed. M. Petschenig 1919, Vol. 64; editio altera supplementis aucta – cur. M. Zelzer 1999 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 143 Explanatio symboli, De sacramentis, De mysteriis, De paenitentia, De excessu fratris Satyri, De obitu Valentiniani, De obitu Theodosii – ed. O. Faller 1955, Vol. 73 De fide ad Gratianum Augustum – ed. O. Faller 1962, Vol. 78 De spiritu sancto, De incarnationis dominicae sacramento – ed. O. Faller 1964, Vol. 79 Epistulae et acta – ed. O. Faller (Vol. 82/1: lib. 1-6, 1968); O. Faller, M. Zelzer ( Vol. 82/2: lib. 7-9, 1982); M. Zelzer ( Vol. 82/3: lib. 10, epp. extra collectionem. gesta concilii Aquileiensis, 1990); Indices et addenda – comp. M. Zelzer, 1996, Vol. 82/4 Les devoirs, ed. M. Testard. T. I : Livre I. 1984. T. II : Livres II et III. 1992. SCh La Pénitence ed. R. Gryson ( ed. O. Faller, 73 du Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum). 1971 Dans la controverse sur la pénitence entre saint Ambroise et les novatiens, c’est le pouvoir sacramental de remettre les péchés devant Dieu qui est en jeu. L’Église, comme les novatiens, imposait au pécheur une pénitence publique humiliante et pénible, seulement les novatiens refusaient à mettre un terme à cette pénitence. Saint Ambroise défend la miséricorde de Dieu, mais aussi l’autorité de son Église. Son traité nous décrit la pratique de la pénitence publique au IVe siècle dans l’Église occidentale. Apologie de David Introduction, texte latin, notes et index par Pierre Hadot, Traduction par Marius Cordier, Index scripturaire, grec-latin et latin-grec des parallèles avec Didyme et Origène, des parallèles ambrosiens, des auteurs anciens et analytique, 1977, SCh. 239. Bien que l’ouvrage se présente dans sa forme extérieure comme une plaidoirie, dans laquelle Ambroise cherche à excuser le double crime de David, lorsqu’il fut séduit par la beauté de Bersabée, l’« Apologia » n’est pas un exercice de rhétorique. C’est en fait une homélie en forme d’exégèse du psaume 50, en grande partie inspirée des commentaires de Didyme et d’Origène sur ce même psaume 50. Le texte avec appareil critique cherche à améliorer le texte proposé par C. Schenkl en 1897 en vérifiant les collations et à l’aide d’un nouveau manuscrit important. I doveri, tr. it G. Banterle, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, 1977, 19912. edizione della Biblioteca Ambrosiana di Milano in via di completamento (controllo) =SAEMO Inni ed. M. Simonetti, Firenze, Nardini, 1988. ed. M. Simonetti, Bpat,13, 19892. ed. J. Fontaine (tr.), Paris, Cerf, 1992. Discorsi e lettere, tr. it G. Banterle, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, 1977. Simmaco Q. Aurelio, Ambrogio (sant'), L' altare della vittoria, ?, Sellerio di Giorgianni,1991. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 144 De virginibus Cazzaniga, E. S. Ambrosii Mediolanensis episcopi, De virginitate liber unus. Corpus Scriptorum Latinorum Paravianum (Torino, 1948, 19542). Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 135-69 (M.G. Mara). B. Altaner, Patrologia, tr.it. Torino 1968. H. von Campenhausen, I padri della Chiesa latina, tr. it., Firenze 1969. F. Canfora, Simmaco e Ambrogio o di un'antica controversia sulla toleranza e sull'intolleranza, Bari, Adriatica, 1970. L.F. Pizzolato, La dottrina esegetica di S. Ambrogio, Milano, Vita e Pensiero, 1978. C.Moreschini, s.v. Innografi, in Dizionario degli scrittori greci e latini, 2, Milano, Marzorati, 1987, pp. 1147-1160 per un quadro di sintesi sul genere nella letteratura greca e latina. BCTV. ICCU per Soggetto ICCU per Autore Ambrosius <santo>, De viduis / Sant'Ambrogio; introduzione di Giacomo Biffi, Siena: Cantagalli, [2002], I classici cristiani; 6 I classici cristiani. N. S Note Generali: Trad. di Franco Gori De isaac vel anima / Ambrosius von Mailand; ubersetzt und eingeleitet von Ernst Dassmann, Turnhout: Brepols, 2003, Fontes christiani; 48 Il modo di vivere dei Brahmani / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Ilaria Santomanco, Milano: La vita felice, 2004, Saturnalia; 16 Ambrogio vescovo insegna e canta: inni liturgici in canto bilingue / [a cura di] Gino Molon Edizione: Editio major aggiornata, Roma: Citta nuova, [2002] Esamerone / Ambrogio; introduzione, traduzione e note a cura di Gabriele Banterle, Roma: Citta nuova, 2002, Collana di testi patristici; 164 Note Generali: Testo gia pubblicato in altre collane da cui riprende il c1979 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Inni / Ambrogio; testo latino traduzione ritmica a fronte a cura di Antonio Cordeschi, Giulianova: Italia francescana, \2001!, Nova et vetera; 2 Note Generali: Testo orig. a fronte Legami a titoli: [Supplemento di] L'Italia francescana Ambrogio: invito alla lettura / \a cura! di Antonio Bonato, Cinisello Balsamo: San Paolo, \2001!, Scrittori di Dio; 4 Note Generali: Scelta di scritti F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 145 Debitori e usurai: dal De Tobia e dal De nabuthae di Ambrogio / a cura di Luciana Preti, Roma \etc.!: Laterza, 2001, Leggere in latino De officiis / Ambrose: edited with an introduction, translation, and commentary by Ivor J. Davidson, Oxford: Oxford university, 2001, Oxford early Christian studies Comprende: 2: Commentary 1: Introduction, text, and translation 5: Sancti Ambrosii Mediolanensis De officiis / cura et studio Mauritii Testard, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus Christianorum. Series Latina; 15 Fa parte di: Ambrosii Mediolanensis opera TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV De officiis / Ambrose: edited with an introduction, translation, and commentary by Ivor J. Davidson, Oxford: Oxford university press, 2001, Oxford early Christian studies Comprende: 1: Introduction, text, and translantion 2.: Commentary Sobre las Virgenes y Sobre las Viudas / Ambrosio de Milan; introduccion, traduccion y notas de Domingo Ramos-Lisson, Madrid: Ciudad Nueva, 1999, Fuentes Patristicas; 12 Note Generali: Testo orig. a fronte 5: Expositio psalmi 118. / [Ambrosius]; recensuit Michael Petschenig Edizione: Editio altera supplementis aucta / curante Michaela Zelzer, Vindobonae: Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 1999, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Sancti Ambrosi opera 6: Explanatio psalmorum 12. / [Ambrosius]; recensuit Michael Petschenig Edizione: Editio altera supplementis aucta / curante Michaela Zelzer, Vindobonae: Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 1999, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Sancti Ambrosi opera Il bene della morte / sant'Ambrogio di Milano; a cura di Ernesto Mainoldi, Torino: Il leone verde, \1999!, Biblioteca dell'anima; 11 Note Generali: Testo solo in italiano TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Inni / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Antonio Bonato, Milano: Fabbri, stampa 1999, I classici dello spirito Abraham / Ambroise de Milan; introduction par A.-G. Hamman; traduction par Claire Lavant (livre 1.) ... [et al.], Paris: Migne, c1999, Les Peres dans la foi Insegnami le tue vie: pensieri e esortazioni / Ambrogio di Milano; a cura di don Stefano Varnava, Bologna: EDB, [1997] Hymni / Ambrogio; con la Vita di Ambrogio, di Paolino da Milano; premessa del cardinale Carlo Maria Martini; traduzioni di Luca Canali, Alpignano: Tallone, 1997 Note Generali: Ed. di 330 esempl., piu 82 esempl. numerati in numeri arabi, 45 esempl. numerati in numeri romani e 29 esempl. numerati in numeri romani corsivi, stampati su tipi di carta diversi In custodia Tre inni per Natale / sant'Ambrogio; prefazione di Gianfranco Ravasi; [a cura di Rienzo Colla] Edizione: 2. ed, Vicenza: La locusta, 1997 Note Generali: Le pp. 27-44 contengono pubblicita. Trad. italiana a fronte Ambrosius <santo>, Parole di Ambrogio di Milano / [testi a cura di O. Cavallo], [Milano]: Paoline, [1997] Le meraviglie della Parola: dal Commento al salmo 118 / Ambrogio; a cura di Agostino Clerici; presentazione di Bruno Maggioni, [Milano]: Paoline, [1997], La Parola e le parole F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 146 12: Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.2. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Giovanni Coppa Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1997 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Tre inni per Natale / sant'Ambrogio; prefazione di: Gianfranco Ravasi; [a cura di Rienzo Colla], Vicenza: La locusta, 1997 Note Generali: Le p. 27-44 riportano il catalogo de La locusta, 1954-1997. Il bene della morte: (De bono mortis) / Ambrogio di Milano; traduzione e note di Sergio Niceta Ernesto Mainoldi; introduzione di Nettario, vescovo ortodosso, vicario di Milano, Torino: Il Leone Verde, 1997, Biblioteca dell'anima Inni / Ambrogio; con la Vita di Ambrogio di Paolino da Milano; premessa del cardinale Carlo Maria Martini; traduzioni di Luca Canali e una nota su Ambrogio musico di Luciano Migliavacca, Locarno: A. Dado, \1997!, I classici; 6 Inni / Ambrogio di Milano; a cura di Giacomo Biffi, Milano: Jaca Book, 1997, Gia e non ancora; 329 Note Generali: Trad. di G. Biffi, Inos Biffi Meditiamo con sant'Ambrogio maestro di vita cristiana / a cura di Angelo Majo e Emilio Brambilla, Milano: Massimo: NED, 1997 I misteri del rosario: antologia di testi & spunti di meditazione / sant'Ambrogio; a cura di Giuseppe Rigamonti Edizione: 2. ed. riv. e aggiornata, Milano: Ares, [1997], Emmaus. N. S Danieli, Irlando, Aeterne rerum conditor: per coro / Irlando Danieli; [Sant' Ambrogio] Edizione: [Partitura], Milano: Rugginenti, c1997 Descrizione fisica: 1 partitura (6 p.); 31 cm. Note Generali: Organico: Coro Fa parte di: Composizioni scelte / Irlando Danieli Migliavacca, Luciano, Ambrogio Hymni: Celebrazioni per i 16 secoli dalla morte di S. Ambrogio, Vesvovo di Milano / Mons. Luciano Migliavacca, Alpignano, TO Note Generali: Sul front.: Mons. Luciano Migliavacca nella Cattedrale di San Lorenzo in Lugano per la presentazione di Ambrogio, Hymni. Come gocce di rugiada: dagli scritti di s. Ambrogio / a cura di Bernardo Citterio, Pessano, MI 11: Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.1. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Giovanni Coppa Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1996 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Inni natalizi / Ambrogio; prefazione di Carlo Carena; incisioni di Albrecht Durer; traduzione di Claudio Casaccia, Novara: Interlinea, 1996, Nativitas Note Generali: Testo orig. a fronte. 17: Spiegazione del credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, stampa 1996 Note Generali: Altro front. in latino: Explanatio symboli; De sacramentis; De mysteriis; De paenitentia / recensuit Ottto Faller. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, c1996, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica Ambrosius <santo>, Preghiere / sant'Ambrogio; raccolte e commentate da Inos Biffi; prefazione di Carlo Maria Martini Edizione: 2. ed, Casale Monferrato: Piemme, 1996 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 147 Ambrosius <santo>, 1: I sei giorni della creazione / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1996 Note Generali: Testo orig. a fronte. Fa parte di: Opere esegetiche / sant'Ambrogio La penitenza / Origene i. e. Ambrogio]; traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta Edizione: 3. ed, Roma: Citta nuova, 1996, Collana di testi patristici Zelzer, Michaela, 4: Indices et addenda / adiuvante Ludmilla Krestan, composuit Michaela Zelzer, Vindobonae: Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/4 Fa parte di: 10: Epistulae et acta Exameron: commento ai sei giorni della Creazione / Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Milano: TEA, 1995, TEA Religioni e miti. La verginita: le vergini, le vedove, pagine scelte sulla verginita / sant'Ambrogio; traduzione di Maria Luisa Danieli, [Padova]: Banca Antoniana, [1995], I classici di Dio Inni, iscrizioni, frammenti: Opere poetiche e frammenti / Sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... <et al.>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1994, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e 22: Inni, iscrizioni, frammenti: Opere poetiche e frammenti / sant'Ambrosio; a cura di Gabriele Banterle ... [et al.], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1994 Note Generali: Testo orig. a fronte - Altro front. in latino: Hymni, inscriptiones, fragmenta. Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 22: Inni, iscrizioni, frammenti: opere poetiche e frammenti / sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... \et al.!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1994 Note Generali: Testi orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Graumann, Thomas, Christus interpres: die Einheit von Auslegung und Verkundigung in der Lukaserklarung des Ambrosius von Mailand / von Thomas Graumann, Berlin [etc.]: W. de Gruyter, 1994, Patristische Texte und Studien Soggetti: Ambrogio <santo>. Expositio Evangelii secundum Lucam Classificazione: 226.406 - Vangeli e Atti degli Apostoli. Luca.Interpretazione e critica (Esegesi). Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents, Thesaurus Sancti Ambrosii / curante CETEDOC, Turnhout: Brepols, 1994 Descrizione fisica: XXXII, 505 p.; 32 cm; 11x15 cm., in raccoglitore a fogli mobili. + 87 microfiches, Corpus christianorum. Thesaurus patrumlatinorum. Series A. Formae Universite catholique <Louvain-la-Neuve> :Centre de traitement electronique desdocuments Soggetti: Ambrogio <santo> - Opere - Spogli lessicali Ambrosius <santo>, Inni; Iscrizioni; Frammenti / sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... [et al.], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1994, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Fa parte di: Opere poetiche e frammenti / sant'Ambrogio. Ambrosius <santo>, Des sacrements; Des Mysteres; Explication du Symbole / Ambroise de Milan; introduction, texte, traduction, notes et index par Bernard Botte Edizione: 2. reimpression de la 2. ed, Paris: Les editions du cerf, 1994, Sources chretiennes F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 148 Ambrosius <santo>, 2: Livres 2.-3. / Saint Ambroise; texte etabli, traduit et annote par Maurice Testard, Paris: Les belles lettres, 1992, Collection des universites de France. Ser.latine Note Generali: Testo orig. a fronte. Fa parte di: Les devoirs / Saint Ambroise; texte etabli, traduit et annote par Maurice Testard Ambrosius <santo>, Inni / s. Ambrogio; introduzione, traduzione e commento di Antonio Bonato, Torino: Edizioni paoline, \1992!, Letture cristiane del primo millennio; 12 Ambrosius <santo>, Inni / Ambrogio di Treviri; introduzione di Carlo Carena, Milano: Mondadori, 1992, Oscar poesia Note Generali: Testo latino a fronte Hymnes / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote sous la direction de Jacques Fontaine par J. L. Charlet ... [et al.], Paris: Les editions du cerf, 1992, Patrimoines. Christianisme Inni / Ambrogio; traduzione di Mario Santagostini; introduzione di Carlo Carena, Milano: A. Mondadori, 1992, Oscar poesia Note Generali: Testo orig. a fronte. 13: I doveri: Opere morali 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; [textum post I. G. Krabinger Gabriele Banterle recognovit] Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1991 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Ambrosius<santo>, 2: Epistularum libri 7.-8. / \Ambrosius!; post Ottonem Faller recensuit Michaela Zelzer, Vindobonae: Hoelder \ecc.!, 1990, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82 Fa parte di: Epistulae et acta 2: Epistularum libri 7.-9. / post Ottonem Faller recensuit Michaela Zelzer, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1990, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/2 Fa parte di: 10: Epistulae et acta De sacramentis; De mysteriis / Ambrosius; ubersetzt und eingeleitet von Josef Schmitz, Freiburg |etc.|: Herder, 1990, Fontes christiani: zweisprachige Neuausgabechristlicher Quellentexte aus Altertum undMittelalter 14.1: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 14.2: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori, 1989 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Comprende: 1 2 1, 1989 Fa parte di: Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori 2, 1989 Fa parte di: Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori Ambrosius <santo>, 2: Verginita e vedovanza / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note ed indici di Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Fa parte di: Opere morali / sant'Ambrogio F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 149 Comprende: 2.2: Verginita e vedovanza] / sant'Ambrogio ;introduzione, traduzione, note ed indici diFranco Gori; textum post Egnatium Cazzanigaet Maurinam editionem F. Gori recognovit] 2.1: Verginita e vedovanza] / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note ed indici diFranco Gori; textum post Egnatium Cazzanigaet Maurinam editionem F. Gori recognovit] TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 14.1: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Verginita e vedovanza / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; <textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Tutte le opere di Sant'Ambrogio. Operemorali Comprende: 1.: 322 p 2.: 319 p Inni / Ambrogio; a cura di Manlio Simonetti, Firenze: Nardini, Centro internazionale del libro, [1988], Biblioteca patristica Note Generali: Segue: Inni genericamente detti ambrosiani. Trad. italiana a fronte Discorsi e lettere 2,2: lettere (36-69) / sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1988, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 19: Lettere (1-35): Discorsi e Lettere 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 2: Lettere / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988 Descrizione fisica: 3 v.; 24 cm. Titolo uniforme: Epistulae Fa parte di: Discorsi e lettere / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle Comprende: 2.1: 1-35 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [recensuit Otto Faller] 2.2: 36-69 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [volumen secundum editionem PatrumMaurinorum, (PL 16)] 2.3: 70-77 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [recensuit Michaela Zelzer] 19: Discorsi e lettere 2.1: lettere (1-35) / sant'Ambrogio; introduzione, trraduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Roma: Citta nuova, 1988, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 20: Lettere (36-69): Discorsi e Lettere 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 21: Lettere (70-77): Discorsi e Lettere 2.3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Michaela Zelzer], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 150 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Preghiere / sant'Ambrogio; raccolte e commentate da Inos Biffi; prefazione di Carlo Maria Martini, Milano; Casale Monferrato, 1987 9: Commento al Salmo 118 (lettere 1-11): Opere esegetiche 8.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987, Tutte le opere di sant'Ambrogio; 9 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 9: Commento al Salmo 118. (Lettere 1.-11.): Opere esegetiche 8.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato; \recensuit Michael Petschenig!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Ambrosius <santo>, 10: Commento al Salmo 118. (Lettere 12.-22.): Opere esegetiche 8.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato; \recensuit Michael Petschenig!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Ambrosius<santo>, La penitenza / Ambrogio; traduzione introduzione e note a cura di Eugenio Marotta Edizione: 2. ed. ampliata, Roma: Citta nuova, 1987, Collana di testi patristici; 3 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV La penitenza / [Di] Ambrogio; Traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta Edizione: 2. ed, Roma: Citta' Nuova, 1987, Collana di testi patristici La storia di Naboth / Ambrogio; introduzione, commento, edizione critica, traduzione a cura di Maria Grazia Mara Edizione: 2. ed, L'Aquila [etc.]: L. U., 1985, Collana di testi storici 6: Elia e il digiuno, Naboth, Tobia: Opere esegetiche 6 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Discorsi e lettere 1: le orazioni funebri / sant'Ambrogio; introduzione trad ruzione note e indici di Gabriele Banterle, Roma: Citta nuova, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Ambrosius <santo>, 6: Elia e il digiuno; Naboth; Tobia: Opere esegetiche 6. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; [textum post Carolum Schenkl Franciscus Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 18: Le orazioni funebri: Discorsi e Lettere 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 1: Le orazioni funebri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 151 Fa parte di: Discorsi e lettere / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle Elia e il digiuno: Naboth: Tobia: Opere esegetiche 6. / Sant'Ambrogio; introduzione note e indici di Franco Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e 15.: La fede: Opere dogmatiche 1. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984 Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 2.1: Il paradiso terrestre, Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Paolo Siniscalco, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984 Contiene:De Noe Tit. della cop.:Il paradiso terrestre, Caino e Abele, Noe. Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio [Pubblicato con] Noe / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Angela Pastorino. [Variante del titolo] Opere esegetiche TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Abramo: Opere esegetiche 2.2 Abramo / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione note e indici di Franco Gori, Roma: Citta nuova editrice, 1984, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 2.1: Il paradiso terrestre; Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Paolo Siniscalco; [recensuit Carolus Schenkl], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 15: La fede: Opere dogmatiche 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984 Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: De fide / recensuit Otto Faller. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 2.2: Abramo: Opere esegetiche 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; [textum post Carolum Schenkl Franciscus Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Il paradiso terrestre; Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Paolo Siniscalco, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Noe / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Agostino Pastorino 1: Introduction; Livre 1. / Saint Ambroise, Paris: Les belles lettres, 1984 Fa parte di: Les devoirs Inni di s. Ambrogio: testo latino e traduzioni a confronto / [a cura di] Gino Molon, Milano: NED, c1983 Note Generali: In appendice: Il Vangelo di s. Luca secondo la liturgia ambrosiana. [[I 8: Commento al salmo 118. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato; \recensuit Michael Petschenig!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987 Titolo uniforme: In psalmum centesimum octavum decimum sermo. Comprende: 8.1: Lettere 1.-11. Commento al salmo 118.] /sant'Ambrogio; introduzione, traduzione,note e indici di Luigi Franco Pizzolato ;recensuit Michael Petschenig] F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 152 8.2: Lettere 12.-22. / sant'Ambrogio ;introduzione, traduzione, note e indici diLuigi Franco Pizzolato; [recensuit MichaelPetschenig] 17.: Spiegazione del credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche 3: Epistularum liber decimus; Epistulae extra collectionem; Gesta Concili Aquileiensis / recensuit Michaela Zelzer, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1982, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/3 Fa parte di: 10: Epistulae et acta 3: Isacco o l'anima, Il bene della morte: Opere esegetiche 3 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 17: Spiegazione del Credo; I Sacramenti; I misteri; La Penitenza: Opere dogmatiche 3 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 3: Isacco o l'anima; Il bene della morte: Opere esegetiche 3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 P. 212-409, con proprio front. in italiano e latino: Giacobbe e la vita beata; Giuseppe / introduzione, traduzione, note e indici di Roberto Palla. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 17: Spiegazione del Credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 Note Generali: Altro front. in latino: Explanatio symboli; De sacramentis; De mysteriis; De paenitentia / recensuit Otto Faller. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Sulle vergini / Ambrogio; introduzione e note di Pierfranco Beatrice, Padova: EMP, [1982], Classici dello spirito Classici dello spirito. Patristica Isacco o l'anima: il bene della morte: Opere esegetiche 3. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Spiegazione del credo: i sacramenti: i misteri: la penitenza: Opere dogmatiche 3 / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana Citta Nuova editrice, 1982, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e 3.: Isacco o l'anima; Il bene della morte: Opere esegetiche 3. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini; [recensuit Carolus Schenkl], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982 Note Generali: Altro front. a pag. 213. Tit. dalla cop.: Isacco o l'anima; Il bene della morte; Giacobbe e la vita beata; Giuseppe Fa parte di: Opere esegetiche Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Giuseppe / sant'Ambrogio [Pubblicato con] Il bene della morte / Sant'Ambrogio. [Pubblicato con] Isacco o l'anima / Sant'Ambrogio [Pubblicato con] Giacobbe e la vita beata F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 153 [Variante del titolo] Isacco o l'anima Hymni / traduzione di Giovanni Battista Pighi; introduzione di Gabriele Banterle; illustrazioni di Eugenio Tomiolo, Verona: Fiorini, 1982, Strenne Fiorini Note Generali: Ed. di 259 esempl. composti a mano, dedicati ad personam agli amici dell'editore, contenenti 8 tav. firmate. 5: Apologia del profeta David a Teodosio Augusto; Seconda apologia di David: Opere esegetiche 5. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Filippo Lucidi, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1981 Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: De apologia prophetae David ad Theodosium Augustum; Apologia David altera / recensuit Carolus Schenkl. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Apologia del profeta David a Teodosio Augusto: seconda apologia di David: Opere esegetiche 5. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione note e indici di Filippo Lucidi, Milano; Biblioteca Ambrosiana; Roma, 1981, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Il giardino piantato a Oriente: De paradiso / s. Ambrogio; introduzione di Umberto Mattioli; traduzione e note di Carlo Mazza, Roma: Edizioni paoline, [1981], Letture cristiane delle origini. Testi Commento ai dodici salmi / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e ind ici di Luigi Franco Pizzolato, Roma: Citta Nuova editrice, 1980, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.1. / Sant'Ambrogio; intoduzione traduzione note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1980, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e 4: I patriarchi, La fuga dal mondo, Le rimostranze di Giobbe e di Davide: Opere esegetiche 4 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1980 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 7: Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1980 Note Generali: Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 8: Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1980 Note Generali: Testo orig. a fronte Altro front. in latino con il tit.: Explanatio psalmorum 12 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Autore: Cyprianus, Caecilius Thascius <205 ca.-258; santo> Sur la mort (De mortalitate) / Cyprien de Carthage . La mort est un bien (De bono mortis) / Ambroise de Milan / introduction de Philippe Aries; traduction de Marie-Helene Stebe et de Pierre Cras, Paris: Desclee De Brouwer, (1980), 1980, Les Peres dans la foi Commento a dodici Salmi: Opere esegetiche 7.2 / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta Nuova, 1980, Tutte le opere di sant'Ambrogio; 8 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 154 Des sacrements; Des mysteres; Explication du Symbole / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte Edizione: Reimpression de la 2. ed, Paris: Les editions du cerf, 1980, Sources chretiennes; 25 bis 16.: Lo spirito santo: Opere dogmatiche 2. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini; textum post Ottonem Faller; Claus Moreschini recognovit, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979 Note Generali: Altro front. a pag. 357. Tit. della cop.: Lo spirito santo; Il mistero dell'incarnazione del Signore Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche Opere dogmatiche 2: lo spirito santo / sant'Ambrogio; introduzione traduzione dunote e indici di Claudio Moreschini, Roma: Citta nuova, 1979 Contiene:De incarnationis dominicae sacramento Tit. della cop.: Lo spirito santo,Il mistero dell'incarnazione del Signore. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, stampa 1979, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica; 10 16: Lo Spirito Santo: Opere dogmatiche 2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio Moreschini; introduzione, traduzione, note e indici di Enzo Bellini, Milano, 1979 Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Il mistero dell'incarnazione del Signore / sant'Ambrogio [Titolo parallelo] De incarnationis dominicae sacramento 1: I sei giorni della creazione: Opere esegetiche 1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 1: Exameron / recensuit Carolus Schenkl; I sei giorni della creazione. Opere esegetiche, 1. / introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979 Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio Lo Spirito santo / [Sant'Ambrogio]; intr. trad. e note di Claudio Moreschini, Milano: Ambrosiana, 1979 1: I sei giorni della creazione: Opere esegetiche 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979 Note Generali: Testo originale a fronte. Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 1: Epistularum libri 1.-6. / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.]. 1978, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Epistulae et acta Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.1./ Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1978, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.2. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1978, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 155 11: Esposizione del Vangelo secondo Luca: [libri 1.-5.]: Opere esegetiche 9.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1978 Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: Expositionis Evangelii secundum Lucam libri 1.-5. / textum post Marcum Adriaen Ioannes Coppa recognovit. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 12: Esposizione del Vangelo secondo Luca: [libri 6.-10.]: Opere esegetiche 9.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1978 Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: Expositionis Evangelii secundum Lucam libri 6.-10. / textum post Marcum Adriaen Ioannes Coppa recognovit. Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio 12.: Esposizione del vangelo secondo Luca: [libri 6.-10.]: Opere esegetiche 9.2 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Giovanni Coppa; [textum post Marcum Adriaen; Ioannes Coppa recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana: Roma: Citta Nuova, 1978 Note Generali: Altro front. in latino Fa parte di: Opere esegetiche 13: I doveri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1977 Note Generali: Testo orig. a fronte Fa parte di: Opere morali Apologie de David / Ambroise de Milan; introduction, texte latin, notes et index par Pierre Hadot; traduction par Marius Cordier, Paris: Les editions du cerf, 1977, Sources chretiennes; 239 13: I doveri: Opere morali 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1977 Testo orig. a fronte Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio I Doveri / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; <textum post I.G. Krabinger, Gabriele Banterle recognovit>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1977, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Tutte le opere di Sant'Ambrogio. Operemorali 1: I doveri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; textum post I. G. Krebinger Gabriel Banterle recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1977, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e Titolo uniforme: De officiis ministrorum Fa parte di: Opere morali / sant'Ambrogio TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Autore: Nazzaro, Antonio V. Esordio e chiusa delle omelie esameronali di Ambrogio / A. V. Nazzaro, Roma: Institutum Patristicum Augustinianum, 1974 Le verginita; Le vergini; Le vedove: pagine scelte sulla verginita / sant'Ambrogio; traduzione, introduzione e note a cura di Maria Luisa Danieli, Roma: Citta nuova, [1974] Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secoloIV: L'esegeta e il maestro di vita spirituale / [Di] Ambrogio di Milano; Passi scelti a cura di GemmaMarchesi, Milano: Jaca book, 1974 Trad. italiana a fronte La verginita': Le vergini, Le vedove, Pagine scelte sulla verginita' / [Di] sant'Ambrogio; Traduzione, introduzione e note a cura di Maria Luisa Danieli, Roma: Citta' nuova, 1974 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 156 De mysteriis / Sancti Ambrosii, [S. l.: s. n.], stampa 1974, Typis Polyglottis Vaticanis Ambrogio di Milano: il mistero dell'Incarnazione del Signore: un vescovo del secolo 4. presenta la sua meditazione su Gesu Cristo Dio e uomo / testo latino di O. Faller; introduzione, traduzione e note a cura di Enzo Bellini, Milano: Jaca book, [1974], Teologia Ambrogio di Milano: aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita spirituale / passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca book, (1974), 1974, Teologia Il mistero dell'incarnazione del Signore: un vescovo del secolo 4. presenta la sua meditazione su Gesu Cristo Dio e uomo / Ambrogio di Milano; testo latino di O. Faller; introduzione, traduzione e note a cura di Enzo Bellini, Milano: Jaca book, [1974], Teologia. Fonti Letture dalle opere di s. Ambrogio: nel 16. centenario della elezione episcopale, Milano: Banca lombarda di depositi e conti correnti, 1974 La penitenza / Ambrogio; traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta, Roma: Citta nuova, [1976], Collana di testi patristici Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita spirituale / Ambrogio di Milano; passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca Book, [1974], Teologia Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita spirituale / Ambrogio di Milano; passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca book, [1974], Teologia La storia di Naboth / Ambrogio; introduzione, commento, edizione critica, traduzione a cura di Maria Grazia Mara, L'Aquila: L. U. Japadre, [1975], Collana di testi storici La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; nota giustificativa di don Giueppe De Luca; premessa di don Angelo Paredi, Brescia: Morcelliana, [1973], Fuochi Note Generali: Trad. di Luciano Dalle Molle. Wybor pism: O pokucie, O ucieczce od swiata, O dobrach przynoszonych przez smierc / Tlumaczenie W. Szoldrski; Wstep. C. A. Guryn; Opracowanie C. A. Guryn i E. Stanula, Warszawa: Akad. Teologii Katolickiej, 1971 Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy Seven exegetical works / saint Ambrose; translated by Michael P. Mchugh, Washington: The Catholic University of America Press, c1972, The Fathers of the Church Note Generali: Cont.: Isaac, or the soul, Death as a Good, Jacob and the happy life, Joseph, The patriarchs, Flight from the world, The prayer of Job and David. Autore: Lo Menzo Rapisarda, Grazia La personalita di Ambrogio nelle epistole 17. e 18. / Grazia Lo Menzo Rapisarda, [Catania]: Centro di studi sull'antico cristianesimo; Universita di Catania, 1973 Note Generali: Contiene il testo delle epistole La penitence / Ambroise de Milan; texte latin. introduction, traduction et notes de Roger Gryson, Paris: Les editions du Cerf, 1971, Sources chretiennes; 179 Hexaemeron / Tlumaczyl W. Szoldrski; Opatrzyl wstepem A. Bogucki; Opracowal W. Myszor, Warszawa: Akad. Teologii Katolickiej, 1969 Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, [Torino]: Unione tipografico-editrice torinese, 1969, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica 1: Epistularum libri 1.-6. / recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1968, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/1 Fa parte di: 10: Epistulae et acta F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 157 Opere / Sant'Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Torino: Utet, 1969, Classici UTET. Classici delle religioni Autore: Symmachus, Quintus Aurelius Simmaco: La relazione sull'altare della vittoria, S. Ambrogio: Epistole 17. e 18., Prudezio: Contro Simmaco: traduzioni: anno accademico 1969-1970, Urbino: STEU, 1970 Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Urbino, Facolta di Magistero, Materie letterarie Opere / Sant'Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Torino: UTET, 1969, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica 14: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia.. Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, (1969), 1969 Note Generali: Ripr. facs. dell. ed. 1845. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1969!, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica I Sacramenti / Sant'Ambrogio, Torino: Unione tipografica editrice torinese, c1968 Ambrosii De Tobia / saggio introduttivo, traduzione con testo a fronte di Marta Giacchero, Genova: Ist. di filologia classica e medioevale dell'Universita, 1965, Pubblicazioni dell'Istituto di filologiaclassica e medievale dell'UniversitW1A0a diGenova Note Generali: In testa al front.: Universita di Genova, Facolta di lettere. 1: Tratado sobre el Evangelio de San Lucas / [San Ambrosio]; edicion preparada por Manuel Garrido Bonano, Madrid: La editorial catolica, 1966, Biblioteca de autores cristianos Note Generali: Testo in spagnolo e latino. Fa parte di: Obras de San Ambrosio: edicion bilingue 15: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia.. Edizione: Rimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontificii, [1967] Note Generali: Ripr. facs. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne 16: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia.. Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, [1966] Note Generali: Ripr. facs. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne 17: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia.. Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, [1967] Note Generali: Ripr. facs. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Battesimo e professione di fede / catechesi di Sant'Ambrogio tradotta e presentata da Giulio M. Signori OSM, Sotto il Monte: Centro di studi ecumenici di S. Egidio, 1966, Letture ecumeniche Traites sur l'ancien testament / Saint Ambroise; textes choisis, traduits et presentes par le Dr. Denys Gorge, Namur: Les editions du soleis levant, [1967], Les ecrits des saints; 397 Theological and dogmatic works / saint Ambrose; translated by Roy J. Deferrari, Washington: The Catholic University of America press, c1963, The Fathers of the Church 9: De Spiritu Sancto libri tres; De incarnationis dominicae sacramento / recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder-Pichler-Tempsky, 1964, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Sancti Ambrosi opera L' innologia cristiana antica: S. Ambrogio e i suoi imitatori / a cura di! Ettore Bolisani, Padova: Tip. antoniana, imprim. 1963 Note Generali: Testo latino con trad. italiana a fronte F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 158 Inni di sant'Ambrogio / introduzione e versione con testo a fronte di Lucia Sollazzo, Parma: Guanda, 1964, Piccola fenice Eterno sacerdozio / s. Ambrogio; a cura di Rhaudenses, Milano: Ancora, 1963 Note Generali: Antologia da varie opere. Hexameron; Paradise; and, Cain and Abel / saint Ambrose; translated by John J. Savage, Washington: The Catholic University of America press, c1961, The Fathers of the Church Sancti Ambrosii De bono mortis, Torino: G. Giappichelli, 1961 De bono mortis / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: G. Giappichelli, stampa 1961, Pubblicazioni della Facolta di Magistero /Universita di Torino 8: De fide [ad Gratianum Augustum] / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.], 1962, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Sancti Ambrosi opera 1: Exameron; De Paradiso; De Cain et Abel; De Noe; De Abraham; de Isaac; de bono mortis . / recensuit Carolus Schenkl Edizione: Riat. anast, New York etc.! :Johnson reprint corporation, 1962 Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae etc.!: F. Tempsky, 1897 Fa parte di: Sancti Ambrosii opera 2: De Jacob; De Joseph; De Patriarchis; De fuga saeculi; De interpretatione Job et David; De apologia David; Apologia David altera; De Helia et Ieiunio; De Nabuthae; De Tobia / recensuit Carolus Schenkl Edizione: Rist. anast, New York etc.!: Johnson Reprint Corporation, 1962 Note Generali: Ripr facs. dell'ed: Vindobonae etc.!: F. Tempsky, 1897 Fa parte di: Sancti Ambrosii opera On the sacraments / Saint Ambrose; the latin text edited by Henry Chadwick, London: Mowbray, 1960 De bono mortis / Ambrosius, Torino: Giappichelli, 1961 Des sacrements; Des mysteres / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte Edizione: Nouvelle ed. revue et augmentee de L'explication du symbole, Paris: Les editions du cerf, 1961, Sources chretiennes; 25 bis Note Generali: Testo lat. a fronte 4: Expositio Evangelii secundum Lucam; Fragmenta in Esaiam, Turnholti: Brepols, 1957, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: Ambrosii Mediolanensis opera De fuga saeculi / Ambrosius; traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: Giappichelli, 1959, Pubblicazioni della Facolta di Magistero /Universita di Torino 7: Explanatio symboli; De sacramentis; De Mysteriis; De paenitentia; De excessu fratris; De obitu Valentiniani; De obitu Theodosii / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.], 1955, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: Sancti Ambrosi opera The New Testament text of Saint Ambrose / by R. W. Muncey, Cambridge: at the University Press, 1959, Texts and studies: Contibutions to Biblicaland Patristic literature. New Series Note Generali: Ricostruzione da citazioni di S. Ambrogio. De fuga saeculi / Sant'Ambrogio; traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: G.Giappichelli, stampa 1959, Pubblicazioni della Facolta di Magistero /Universita di Torino Opera, Vindobonae: Hoelder, 1955- . Autore: Gregorius: Nazianzenus <santo> F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 159 Funeral orations / by saint Gregory Nazianzen and saint Ambrose; translated by Leo P. McCauley ... [et al.]; with an introduction on the early christian funeral oration by Martin R. P. McGuire, Washington: The Catholic University of America Press, c1953, The Fathers of the Church Letters [1-91] / saint Ambrose; translated by Mary Melchior Beyenka, Washington: The Catholic University of America Press, c1954, The Fathers of the Church Des Sacrements. Des Mysteres / Texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte, Paris: Editions du Cerf, 1950, Sources chretiennes Autore: Gambi, Valentino Ambrogio Il segreto del tuo nome / Gambi Valentino Ambrogio, Vicenza: Ed. Paoline, 1953 De virginitate: liber unus / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: In aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1952, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum De Nabuthe: Des hl. Kirchenvaters Ambrosius Warnung vor d. Habsucht u. Mahnung zum Almosengeben. Ubersetzt und mit Erl. versehen / Bearb. von Joseph Huhn, Freiburg: Caritasverlag, 1950, Quellen zur Geschichte der Caritas S. Ambrosii mediolanensis episcopi de virginitate liber unus / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: in aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, 1954, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; nota giustificativa di Giuseppe De Luca; premessa di Angelo Paredi; traduzione di Luciano Dalle Molle, Brescia: Morcelliana, 1952, Fuochi. Ser. 3 La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; a cura di Giuseppe De Luca e Angelo Paredi; traduzione di Luciano Dalle Molle, Brescia: Morcelliana, 1952, Fuochi Scritti sulla verginita / Sant'Ambrogio; a cura di M. Bianco Edizione: 2. ed, Roma: Paoline, stampa 1954, Il fiore dei santi padri, dottori e scrittoriecclesiastici; 5 S. Ambrosii Mediolanensis episcopi De virginitate liber unus / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum [etc.!: in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1952, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum De virginitate liber unus / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1954, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum Des Sacrements. Des Mysteres / Texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte, Paris: Editions du Cerf, 1949, Sources chretiennes Note Generali: Testo lat. con trad. franc. a fronte. S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi De virginibus libri tres / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum [etc.]: in aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum De virginibus: libri tres / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: In aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum La fede / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: Cantagalli, stampa 1948, I classici cristiani Fa parte di: La cattedra: classici cristiani, enciclopedie dei santi, scritti e discorsi dei papi La fede / [traduzione dal latino] a cura di Angelo Puccetti, Siena: Ed. Cantagalli, 1948, I classici cristiani. La cattedra De virginibus libri tres / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum Sancti Ambrosii Liber De consolatione Valentiniani: a text with a traslat ion, introduction and commentary / A dissertation ... by Thomas A. Kelly, Washington: The Catholic university of America press, 1940, The Catholic University of America. Patristicstudies Note Generali: Con il testo orig. a fronte. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 160 Titolo uniforme: De obitu Valentiniani Scritti sulla verginita / sant'Ambrogio; a cura di M. I. Bianco, Alba [etc.]: Pia Societa San Paolo, stampa 1941, Il fiore dei santi padri, dottori e scrittoriecclesiastici De officiis: libri tres / sancti Ambrosii Mediolandnesis episcopi; Edidit Ioannes Tamiettius Edizione: 4. Ed, Torino, etc. Tamietti, Giovanni Sancti Ambrosii mediolanensi episcopi De officiis libri tres / edidit Ioannes Tamiettius Edizione: 5. ed, Torino: Societa Editrice Internazionale, stampa 1943 De officiis: libri tres / sancti Ambrosii; edidit Ioannes Tamiettius Edizione: 5. ed, Torino [etc.]: Societa Editrice internazionale, stampa 1943 Liber De Consolatione Valentiniani / A text with a transl., introd. and commentary; A dissertation ... by Thomas A. Kelly, Washington: Catholic University of America Press, 1940, The Catholic University of America. Patristicstudies Della verginita / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: Ezio Cantagalli, [1940], I classici cristiani Gli inni di S. Ambrogio / commento del Giuseppe Del Ton, Como: La Scuola Cattolica, 1940 Dei doveri degli ecclesiastici / [Di] sant'Ambrogio; Testo, introduzione, versione e note di Antonio Cavasin, Torino: Societa' Editrice Internazionale, 1938, Corona patrum salesiana Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi de officiis: libris tres / edidit Ioannes Tamiettius Edizione: 5. ed, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1936 L' Esamerone, ossia, Dell'origine e natura delle cose / [Di] sant'Ambrogio; Testo con introduzioni, versione e commento di Emiliano Pasteris, Torino: Societa' Editrice Internazionale, 1937, Corona patrum salesiana Dei doveri degli ecclesiastici / sant'Ambrogio; testo, introduzione, versione e note del sac. Antonio Cavasin, Torino: Societa editrice internazionale, 1938, Corona patrum salesiana. Serie latina; 5 Note Generali: Testo orig. a fronte Scritta sulla verginita / sant'Ambrogio; testo, introduzione e note di M. Salvati, Torino: Societa editrice internazionale, 1939, Corona patrum salesiana. Serie latina Note Generali: Testo orig. a fronte. L' Esamerone: ossia dell'origine e natura delle cose / sant'Ambrogio; testo con introduzioni, versione e commento di mons. dr. Emiliano Pasteris, Torino: Societa editrice internazionale, 1937, Corona patrum salesiana. Serie latina; 4 Note Generali: Testo orig. a front Della verginita / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: E. Cantagalli, c1939, I classici cristiani; 74 De officiis ministrorum / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Domenico Bassi, Siena: Cantagalli, 1936, I classici cristiani Della verginita' / [Di] S. Ambrogio di Milano; A cura di Angelo Puccetti, Siena: Cantagalli, 1939, I classici cristiani De officiis ministrorum: Liber tertius. A cura di M. Serra Zanetti, Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1938, Scrittori latini commentati per le scuole Dei doveri degli ecclesiastici: Testo [in italiano e in latino], introduzione, versione e note di Antonio Cavasin, Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1938, Corona patrum salesiana. Serie latina F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 161 L' esamerone: Ossia dell'origine e natura delle Cose. Testo con introduzioni, versione e commento di Emiliano Pasteris, Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1937 Scritti sulla verginita / sant'Ambrogio; testo, introduzione e note di M. Salvati, Torino: Societa editrice internazionale, 1939, Corona patrum salesiana. Serie latina; 6 Note Generali: Trad. italiana a fronte L' exameron / Sant'Ambrogio; versione di Luigi Asioli, Milano: Hoepli, 1930 S. Ambrosii De Tobia: a commentary with an introduction and translation / by Lois Miles Zucker, Washington: The Catholic University of America, 1933, The Catholic University of America. Patristicstudies Della verginita e dei vergini: A cura di Anna Cristofoli, La Santa, Milano (La) voce dei SS. Padri: brani patristici scelti di dottrina ed eloquenza sacra quali fonti per la predicazione, cronologicamente ordinati con proemi storici. Vol. IV, tradotto e annotato dal prof. A. Aureli, L'ultima battaglia pel trionfo della croce. [Contiene: Vita ed opere di L. C. Firmiano Lattanzio, S. Ilario, S. Ambrogio, S. Zenone, S. Gaudenzio, Sant'Eusebio, S. Girolamo], Milano: F. Vallardi Edit. Tip., 1931 Scripta Selecta Minucii Felicis, Lactanctii, S. Ambrosii, S. Augustini, s. Hieronymi: Pagine interessanti del cristianesimo / Con introduzione e note di Cesare verlato, Milano: A. Vallardi, 1933, Corpus scriptorum Romanorum De virginibus / S. Ambrosii; ad praecipuorum codicum fidem recensuit Otto Faller, Bonnae: P. Hanstein, 1932, Florilegium patristicum tam veteris quam mediiaevi auctores complectens. - Bonnae: Il pensiero cristiano: Pagine scelte di Minucio Felice, Lattanzio, S. Ambrogio, S. Agostino, s. Gerolamo ad uso dei licei, per cura di Sisto Colombo Edizione: Seconda edizione corretta e aumentata. 7 migliaio, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1933 (S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica), Scrittori latini commentati per le scuole ;76 De virginibus ... / recensuit Otto Faller, Bonn: P. Hanstein, 1933, Florilegium patristicum tam veteris quam mediiaevi auctores complectens. - Bonnae: P.Hanstein, 1906Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi de officiis: libris tres / edidit Ioannes Tamiettius Edizione: 5. ed, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1932 S. Ambrosii De nabuthae / A commentary, with an introduction and traslation by Martin R. P. Mcguire, Washington: The Catholic University of America, 1927, The Catholic University of America. Patristicstudies Oratio De obitu Theodosii / Text, transl., introd. and commentary; A dissertation... by Sister Mary Dolorosa Mannix, Washington: The Catholic University of America, 1925, The Catholic University of America. Patristicstudies Della verginita e dei vergini / S. Ambrogio; a cura di Anna Cristofoli, Milano: ARA-G. Gasparini, 1926, Biblioteca dei santi Scripta selecta: pagine interessanti del cristianesimo / Minucii Felicis, Lactantii, S. Ambrosii, S. Augustini; con introduzioni e note di Cesare Verlato, Milano: A. Vallardi, 1928, Corpus scriptorum Romanorum Della verginita e dei vergini / S. Ambrogio; a cura di Anna Cristofoli, La Santa (Milano), Biblioteca dei santi; 9 Gli scritti di s. Ambrogio vescovo di Milano sopra la verginita / messi in lingua italiana dal can. Tomaso Chiuso, Torino; Roma, 1921 Note Generali: 5. rist. La passione di Sant'Agnese / Sant'Ambrogio, Firenze: G. Giannini, 1921, Fiori di letteratura ascetica e mistica Note Generali: Volgarizzamento inedito F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 162 S. Ambrosii mediolanensis episcopi De obitu satyri fratris laudatio funebris / denuo edidit adnotavit praefatis est Paulus Bruno Albers, Bonnae: P. Hanstein, 1921, Florilegium patristicum tam veteris quam mediiaevi auctores complectens. - Bonnae: De officiis: Libris tres. Edidit Joannes Tamiettius. Editio quinta, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1926 (San Benigno-Canavese, Scuola Tip.) [ Scritti storici, teologici, esegetici, morali] / [a cura di] Umberto Moricca, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1928, Tip. Salesiana, Pagine cristiane antiche e moderne Roma cristiana: Letture latine scelte e annotate ad uso delle scuole, Tertulliano, Lattanzio, Arnobio, Sant'Ambrogio, santo Agostino, inni, epigrafi [a cura del] dott. Sisto Colombo, Torino: G. B. Paravia e C. Tip. Edit., 1925 Sant'Ambrogio / [a cura di] U. Moricca, Torino: Societa editrice internazionale, stampa 1928, Pagine cristiane Scripta Selecta (minucii Felicis, Lactantii, S. Ambrosii, S. Augustini. ): Pagine interessanti del cristianesimo / Con introduzione e note di Cesare verlato, Milano: A. Vallardi Edit. Tip., 1928, Corpus scriptorum Romanorum S. Ambrosii De Helia et ieiunio: a commentary, with an introduction and translation: a dissertation ... / by Mary Joseph Aloysius Buck, Washington D.C.: The Catholic University of America, 1929, The Catholic University of America. Patristicstudies Completato 1920-2005 Bettini, 3, 792-809; Conte 567-570. "Ambrogio - Corso" Ambrogio, padre e dottore della Chiesa, visse tra il 338 circa e il 397. Di origini galliche, studiò diritto a Roma e fu funzionario civile di alto rango; per il suo impegno e le sue qualità dimostrate a Milano nel dirimere le questioni tra ortodossi e ariani venne acclamato vescovo di Milano nel 374. Si impegnò assiduamente nel suo incarico, da un lato contro l'eresia ariana, dall'altra contro lo strapotere dello stato, affermando non solo la piena indipendenza della Chiesa, ma anche la sua supremazia spirituale. Ambrogio compose opere esegetiche, soprattutto sull'Antico Testamento, morali, retoriche, teologiche, tra cui si possono ricordare l'Hexameron, il De officiis ministrorum, esemplato sul modello del De officiis ciceroniano, il De fide, il De paenitentia. Nelle sue opere teologiche Ambrogio rompe definitivamente con la tradizione classica, salvando della morale pagana solo alcuni principi dello stoicismo; la sua cultura e il suo stile, tuttavia, sono fortemente influenzate dalla tradizione classica stessa. Il corpus di Ambrogio comprende anche varie orazioni e un epistolario (91 lettere) e numerosi inni liturgici (circa 80) che ebbero un notevolissimo successo e divennero presto un modello anche per gli autori successivi. "Ambrogio - Encarta" Sant'Ambrogio (Treviri 333 ca. - Milano 397 ca.), uno dei padri della Chiesa e uno dei quattro dottori della Chiesa. Figlio di un prefetto della Gallia, studiò diritto a Roma; divenne funzionario dell'amministrazione civile e nel 370 ca. venne nominato governatore (consularis) dell'Emilia e della Liguria, con residenza a Milano. Per la sua dirittura morale e la sua saggezza si guadagnò la stima del popolo, che lo volle vescovo di Milano nel 374. Come vescovo, combatté per l'ortodossia della Chiesa milanese contro la diffusione dell'eresia F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 163 ariana e costrinse l'imperatore Teodosio I alla penitenza pubblica per aver ordinato il massacro dei ribelli di Salonicco. In rapporti amichevoli con Monica, madre di Agostino , fu lui a battezzare il futuro santo. Tra i suoi lavori si ricordano il De officiis ministrorum (389-390), un Commento al Vangelo di Luca (390), un Commento ai Salmi, un manuale di morale cristiana e numerosi inni, molti dei quali sono giunti fino a noi. Patrono di Milano (la Biblioteca Ambrosiana della città porta il suo nome), la sua festa cade il 7 dicembre. "Ambrogio - Treccani" Ambrogio santo. Vescovo di Milano, dottore della Chiesa; uno dei primi sostenitori dei poteri della Chiesa contro lo Stato laico. Nacque tra Il 337- 40 a Treviri, figlio del prefetto romano della Gallia Narbonense. La sua era una famiglia senatoriale della gens Aurelia, già a quel tempo convertitasi al cristianesimo, imparentata con nobili famiglie romane, tra le quali forse quella dei Simmachi. La madre condusse i suoi tre figli Marcellina, Satiro ed A. ancora ragazzi a Roma, dove possedeva grandi ricchezze, perché vi fossero educati. Nell'antica capitale del mondo v'era ancora una tradizione della classicità ed A. seguì i corsi di grammatica, ginnasio e retorica, di educazione fisica e militare come si conveniva ad un nobile romano; ma forse gli fu impartita anche un'istruzione religiosa cristiana. Avviato poi alla carriera del padre, fu prima a Sirmio come avvocato al tribunale della prefettura del pretorio, quindi (nel 370) prefetto consularis della Liguria e dell'Emilia con stanza a Milano. Nel 374 Aussenzio vescovo di Milano moriva e la successione veniva contesa con accanimento da cristiani ortodossi ed ariani. Essendo A. intervenuto con fermezza per evitare tumulti popolari, le due parti con improvvisa decisione lo elessero vescovo. A., che secondo l'uso del tempo era solo catecumeno, venne battezzato ed installato sul seggio vescovile. Lasciò allora al fratello Satiro tutte le cure della famiglia, donò il proprio alla Chiesa, e dopo aver studiato le questioni dogmatiche sotto la guida di Simpliciano, si dedicò alla sua carica religiosa. Chiesa e Stato. Tutto il significato dell'azione di A. come vescovo, dall'anno della sua consacrazione (una domenica del 374) alla morte, è nella lotta che egli condusse quasi sempre con successo per la liberalizzazione della Chiesa dallo Stato da un lato, e per l'affermazione dall'altro, a volte apertamente a volte più nascostamente, d'una supremazia spirituale ed anche non spirituale della Chiesa sullo Stato. Da Costantino in poi l'impero aveva assorbito la nuova religione, cercando di servirsene come elemento di coesione; ora A. guida la riscossa per una Chiesa autonoma al di sopra dello Stato. E' costante inoltre nella sua azione la lotta sia contro l'arianesimo che contro i residui pagani ancora vivi specie in Italia ed in parti.colare a Roma. L'unità dogmatica della Chiesa è per A. fondamentale per il successo; pertanto egli difenderà sempre l'ortodossia e il primato della sede papale romana contro ogni tentarivo centrifugo. La situazione era in quegli anni la seguente: l'imperatore Graziano, figlio del vecchio Valentiniano, s'era volto all'ortodossia romana e la stessa linea seguiva il suo collega d'oriente, Teodosio, salito alla dignità imperiale nel 379. Ambedue combattevano il paganesimo e l'arianesimo (con gravi conseguenze per il malcontento che veniva così suscitato in molte regioni e nelle stesse file dell'esercito, dove numerosi contingenti di barbari erano di fede ariana). Teodosio aveva anzi convocato un concilio a Costantinopoli, cui erano affluiti ben 153 vescovi, che aveva riaffermato il simbolo ortodosso di Nicea e la condanna delle eresie. I capi ariani s'erano allora rivolti all'imperatore d'occidente perché avesse convocato a sua volta un concilio dei vescovi dell'impero. In tal modo essi, fidenti del loro numero, pensavano di avere successo. Ma A. riuscì con il pieno accordo di papa Damaso a convincere l'imperatore ad ordinare un concilio di soli vescovi occidentali. Nell'anno 381 ad Aquileia ebbe inizio un sinodo di 32 vescovi. A. fu eletto presidente. Palladio di Ratiaria capo di parte ariana, invitato a parlare, disse che non poteva in quel luogo difendere le proprie tesi perché il sinodo era parziale ed esprimeva non tutta la Chiesa ma solo quella occidentale. Si venne allora ai voti e Palladio fu dichiarato eretico. Intanto Graziano passava all'intolleranza religiosa più aperta; venivano perseguitati i pagani, proibita la costruzione di templi pagani e tolto l'altare della Vittoria collocato da Augusto nell'aula del Senato, malgrado l'opposizione senatoriale guidata dall'ultimo grande rappresentante della Roma pagana ed imperiale, Q. Aurelio Simmaco. L'uomo politico. Nel 383 Graziano moriva assassinato, e gli succedeva il dodicenne Valentiniano II sotto la tutela della madre Giustina. A. dovette allora combattere una lunga battaglia perche l'opera di Graziano favorevole ai cattolici non andasse perduta. Il nuovo governo di corte costituito da un pagano, il magister militum Bautone, sembrava più incline a Simmaco ed ai gruppi ariani. Ma quando Simmaco si recò due volte al concistoro imperiale e lesse (la seconda volta) una supplica, da noi posseduta, perché fosse lasciata ai pagani la libertà di culto, A. minacciò di scatenare contro l'imperatore l'opposizione cattolica ed allora la corte fu costretta a ritirare l'appoggio a Simmaco e lasciare che A. in persona stilasse la risposta. Anche in un'altra questione riguardante gli ariani di Milano A. ebbe partita vinta sulla corte che non osò mettersi apertamente contro di lui, esponente d'un altro Stato senz'armi ma che pure poteva contare su forze non meno valide. A sua volta A. rese importanti servigi politici alla corte. Avendo Massimo usurpato il potere F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 164 in Gallia e correndo voci che si preparava a scendere in Italia, A. si recò da lui e lo persuase a contentarsi della Gallia, Britannia e Spagna rinunziando all'Italia. Di Massimo A. fece anzi un alleato in quanto d'allora in poi l'usurpatore andò proclamandosi difensore dell'ortodossia romana. Quando per la terza volta A. e la corte furono di fronte per la libertà di culto che il governo imperiale intendeva concedere ad un gruppo ariano di Rimini, Massimo (e questa volta malgrado una nuova ambasceria di A.) invase l'Italia e Valentiniano II, la bellissima sorella Galla e l'imperatrice Giustina furono costretti a fuggire da Milano. Reagì però all'invasione dell'Italia l'imperatore d'Oriente Teodosio, che accolti presso di sé gli imperiali fuggitivi, s'era invaghito di Galla. A capo d'un esercito composto in gran parte di barbari egli sconfisse Massimo a Sisak (Sciscia) sul fiume Sava ed a Petau (Petovia) in Pannonia. La via dell'Italia era aperta. Gli stessi soldati di Massimo consegnarono il loro capo a Teodosio che lo fece uccidere (388). Con Teodosio che intendeva mantenersi del tutto indipendente dalla Chiesa cattolica, A. continuò la sua politica di intransigenza. per lui Teodosio era sì capo dello Stato, ma anche membro della Chiesa, quindi come tale tenuto ad obbedienza e a una stretta alleanza. I motivi d'urto tra Teodosio e A. si ebbero ben presto. A Costantinopoli ed in altre città dell'impero i monaci cattolici avevano iniziato persecuzioni popolari contro le altre religioni. In alcune città erano state bruciate sinagoghe ebraiche. Teodosio aveva allora ordinato di punire i monaci responsabili di questi disordini, perché si sostituivano all'autorità dello Stato. A. allora gli rivolse una lettera durissima (Epist., 40) e lo attacco nelle sue prediche. E ancora avendo Teodosio represso con una grande strage i tumulti di Tessalonica, A. gli proibì qualsiasi partecipazione ai culti religiosi. Teodosio dovette piegarsi ed implorare perdono. Fu questa la prima grande sconfitta del potere laico di fronte alla Chiesa cattolica. Nello stesso anno Teodosio proibiva definitivamente il culto pagano nella città di Roma. Lo scrittore ed il teologo. A. scrisse molto. Si tratta di opere esegetiche, morali, ascetiche, retoriche, teologiche. Quelle esegetiche concernono per lo più il Vecchio Testamento, mentre alcune delle morali ed ascetiche avevano lo scopo di sistemare lo spirito e l'ordinamento del clero cattolico (tra queste notevole è il De officiis ministrorum). Altri scritti, come De virginibus e De viduis sull'esaltazione della verginità, contribuirono alla diffusione del culto mariano in Italia. Appartengono al gruppo delle opere teologiche il De fide ad Gratianum Augustum, De spiritu sancto, De incarnationis dominicae sacramento, De Mysteriis A. seguì il pensiero degli scrittori cristiani di Alessandria. Suo autore è Basilio di Cesarea. In sostanza egli rompe definitivamente con la tradizione classica. Della morale pagana egli salva solo alcuni principi dello stoicismo. E' da notare anche l'enfasi particolare che A. pone sul tema del peccato e della grazia, che più drammaticamente sarà ripreso dal suo discepolo s. Agostino. A. ha inoltre lasciato varie orazioni (tra cui De excessu fratris sui Satyri libri duo, De obitu Valentiniani consolatio, De obitu Theodosii), 91 lettere e numerosi inni. Già s. Ilario aveva scritto inni liturgici popolari per combattere l'arianesimo, ma avevano avuto scarso successo. Quelli di A. invece, composti di 8 strofe a quattro righe in dimetri giambici, furono famosi anche dopo la sua morte. Il metrum ambrosianum costituì anzi un modello anche per i posteriori autori. Tra gli inni a noi giunti sotto il nome di A. sono certamente suoi il Deus Creator omnium, Aeterne rerum conditor, Jam surgit hora tertia e l'inno di Natale Veni redemptor gentium. Non appare invece probabile l'attribuzione del Te Deum Ambrogio - Riposati S. Ambrogio 1. Vita. - II. L'opera. - 111. L'uorno, il pensatore e lo scrittore. Aurelio Ambrogio (AureltVus Ambrostus) è figura di primo piano, di altissimo prestigio politico, ecclesiastico e dottrinale nello sfondo della seconda metà del IV secolo. 1. vita. - Della sua vita abbiamo notizie dal suo epistolario e da una devota biografia del diacono Paolino, suo segretario e ste, nògrafo. Di nobile famiglia senatoria romana (sua madre discendeva dalla gens Aurelta), nacque tra il 335 e il 340 (1) a Trèviri, nella Gallia, dove suo padre, AmbrostVus, risiedeva ben noto tra i piú alti funzionari di quella prefettura pretoria (2>~ Morto presto il padre(3), fu condotto dalla madre a Roma col fratello Sàtiro e la sorella Marcellina, e lí poté ricevere una completa educazione giuridica e letteraria, per prepararsi la via alla pubblica magistratura; essa gli fu facilitata anche dalla tradizione avíta e dalle strettissime relazioni di parentela e di amicizia con le nobili famiglie dei Símmachi e dei Nicòmachi, e con Probo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 165 Fu proprio Sesto Petronio Probo, prefetto del pretorio in Italia, a presentare Ambrogio all'imperatore Valentiniano I, che, nel 370, lo inviò, appena trentenne, a Milano come amministratore consularrs delle provincie della Liguria e dell'Emilia; " Va '-gli disse il prefetto Probo, congedandolo-va ', e fa ' di essere piú un Vescovo che un giudice)>. Fu profeta. Nel 374, morto Aussenzio, vescovo ariano di Milano, scoppiò una lotta furiosa tra cattolici ed ariani per la successione alla cattedra episcopale. Proprio in questa occasione, mentre Ambrogio parlava alla folla per sedare i tumulti, si udí tra la gente gridare un bambino: "Ambrogio vescovo ! ". Quel grido fu il segno della concordia e della pace. Inutile ogni suo tentativo di resistenza: ricevette pnma il Battesimo (era appena catecúmeno !), poi gli altri Ordini sacrs: il 7 dicembre di quello stesso anno fu consacrato Vescovo. Nella nuova, inaspettata condizione di vita, attese dapprima a consolidare la sua cultura filosofica, teologica e ascètica, dandosi tutto alla lettura dei Libri Sacri e delle opere esegètiche greche. Súbito dopo iniziò la sua fervida opera di Pastore, diffondendo dappertutto ardore di apostolato, luce di sapienza, esemplantà di vita semplice, sobria, distaccata da ogni bene materiale, alllmata SOIO dal plÚ alti ideali di religione e dagli interessi della Chiesa. Lottò con fermezza contro pagani ed ariani, valendosi delI'appoggio degli imperatori Graziano e Valentiniano II; fu per suo mento se l'arianesimo, pur sostenuto dall'imperatrice Giustina, scomparve completamente non solo da Milano, ma da tutto l'Occidente; e fu anche merito suo se i culti pagani andarono a mano a mano perdendo la loro e{ficacia in quelle alte sfere cittadine, dove si erano tenacemente abbarbicati. Memorabile è l'atteggiamento di fermezza ch'egli tenne con l'imperatore Teodosio, riprendendolo pnma per I irriverente contegno verso il Vescovo di Glliníco sulI Eufràte, minacciandogli poi la scomunica e imponendogli pubblica penitenza per la strage dei 7.000 cittadini di Tessaloníca (a. 390). Ma, ristabilitisi i buoni rapporti, ne esaltò la figura di uomo e di credente, nella famosa orazione funebre del 395. Due anni dopo, consunto dalla fatica e onústo di meriti, anche Ambrogio moriva, a Milano, tra il compianto generale; era il 4 aprile del 397. Uomo integemmo nella vita privata, vescovo esemplare nell'eserCIZIO della sua alta missione, apostolo instancabile di carità, energico ed irnpavido nella difesa dei diritti degli umili e della Chiesa, della Ventà e della Giustizia, fu anche fascinatore di anime, ammirato oratore e scrittore fecondo: alle sue parole deve Agostino-il grande suo figlio spirituale-la nascita alla Fede: e fu questa la piú preziosa conquista di Ambrogio. II. - L'opera. - Scrisse molto e di svariati argomenti. Possiamo distinguere la sua vasta produzione (che rientra negli anni 375-397) nei gruppi seguenti: a) Scritti di contenuto esegètico ed omilètico; b) Opere di contenuto ascètico e morale; c) Opere di contenuto dogmatico; 1) Discorsi; Epistole; Inni. a) I1 primo gruppo, il piú numeroso, collegato coll'attività di Ambrogio predicatore, è rivolto ad un tipo di ' esegèsi biblica' eminentemente allegorica e ricca di applicazioni morali, quale gli veniva offerta tanto da Filone alessandrino (I sec. d. C.) quanto dai grandi scrittori dell'Oriente greco, Origene e S. Basilio, di poco a lui precedenti nel tempo. Questi lavori, non tutti determinabili con sicurezza dal punto di vista cronologico, vengono qui elencati secondo l'ordine con cui li presenta la Bibbia. Abbiamo perciò, anzitutto, i 6 libri dell'Exameron, corrispondenti ai ' sei giorni della Creazione ' e comprensivi delle 9 omelíe appositamente pronunciate in 6 giomi consecutivi (ma nel 1°, 3°, e 5° con due omelíe per giorno). Fonte e modello principali sono le pagine dell'analoga opera di S. Basilio, lo Hexaerruron, e forse le opere di Orfgene e di Ippòlito. Egli parte da un'esegèsi minuta, anche in campo grammaticale e comparativo, per elevarsi subito ad un tipo di esposizione calda e colorita, persin venata qua e là di poesia. W affermata, con validi argomenti di ogni genere, la credenza nell'opera creatrice di Dio, perfetta e provvidenziale da ogni punto di vista- appaiono frequenti e spesso felici le digressioni descrittive (quella dei mare, degli alberi ecc.) e le applica, zioni di natura dogmatica oppure morale. L'opera risale agpi anni 386-389. - Seguono le opere esegètiche del Gènesi per i capltoli successivi, relative agli scritti De Paradiso, De Cain et Abel, De Noe, giuntoci un po' lacunoso; poi il De Abraham, in due libri, in cui l'antico Patriarca è presentato come il modello di ogni virtú e come l'ideale stesso della pedagogia cristiana; preziosi appaiono soprattutto i precetti sul matrimonio. Parimenti, nel De Isaac et anima, Isacco è una felice prefigurazione del Cristo: il matrimonio di lui con Rebecca simboleggia l'unione del Gisto coll'anima del credente e con la Chiesa stessa. Su questo tono allegorico-morale si flettono tutte le altre opere esegètiche, che qui basta enumerare; tali: De lacob et vita beata (in due libri), De loseph patriarcha, De Patriarchis, De Helia et iefunio, De Nabuthe, De Tobia, De interpellatione Iob ef David, Apologla prophetae David. A queste vanno aggiunte le Enarrationes (' esplicazioni ') in 12 Psalmos e un'Expositio Evangelfi secundum Lucam, in ben dieci libri. Come si vede, I'opera esegètica di S. Ambrogio si esercita piú sui libri dell'Antico Testamento, che meglio si prestava a significazioni allegoriche, che non su quelli del Nuovo o sulle Epistole di S. Paolo. Essa mira soprattutto a scopi dogmatici e morali, e rappresenta l'elaborazione scritta su appunt e resoconti stenogràfics F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 166 di prediche, messe insieme in ordinate trattazioni. E un ampio panorama del pensiero biblico, chè, filtrato attraverso l'opera di omilèh ed esegèti greci, è diventato insegnamento e guida alla vita dei Cnsbani d Occidente. b) Folto è anche il gruppo delle opere ascètico-moraii, anch'esse in molta parte sviluppi di argomenti di prediche. Tali il De bono mortis, e il De fuga saeculi. Un posto a sé occupa il De oDaiciis ministrorum, composto negli anni 389,391, in tre libri, modellato, persino nel titolo, sul De odictts dx Gcerone. Quest opera, anche da un punto di vista letterario, è una vera gemma ambrosiana: esperienze doturinali del mondo antico si fondono con quelle teologiche e- pastorali, in una chiarezza di concetti e in una sensibilità stilistica che ci dànno dawero la misura esatta del ' Cicerone crishano '. Nel I libro è trattato l'ofFicium, il " dovere " in generale, e poi si analizza laforte differenza fra precetti e consigli evangelici miranti alla perfezione della vita cristiana; sono quindi esaminati i vari doveri e le varie virtú, e viene dimostrata la superiorità della legge mosaica sulla precettistica filosofica pagana, Nel II si discute sull'u t i I e e Sl giunge alla conclusione che solo l'onestà ci assicura la felicità della vita; supremo bene è per l'uomo conoscere Iddio e praticare le opere buone; in questo vivere, ispirato alla virtú, I'onestà e l'utilità si identificano. Nel III libro si confronta l'uti I e coll' onesto e si giunge ad esaltare l'eccellenza delltètica cristiana, in cui l'utile e l'onesto non tollerano piú contrasti di sorta; con alcuni esempi dell'Antico Testamento vien confermato il pregio altissimo dell'onestà e vengono chiarib i rapporti fra onestà ed amicizia. Segue un gruppo di opere che mirano ad illustrare la virtú della continenza e soprattutto della verginità . Tale il De virgintbus al MarceUinam- ssrorem del 377, in tre libri, in cui sono raccolte inF sieme varie prediche sull'argomento. Tessuto il racconto del martirio di S. Agnese, viene esaltata la verginità, ignota nel suo intimo valore ai pagarii, e dichiarata condizione di vita nettamente superiore a quella dello stato matrimoniale. Alcune pagine di questo scritto hanno la fragranza e la delicatezza di un'anima che vive integralmente il grande dono di Dio, che fa l'uomo simile agli Angeli. Le pagine esemplificative sulla Vergine Maria rivelano la tenerezza ammirata del Sacerdote e insieme la sua devozione per la Madre Celeste. Sviluppo e integrazione del De virXintbus sono il De viduis (a. 377), il De virgiS nitatc (a. 378 c.) e l'Exhortatio virginitatis (a. 393). c) Al gruppo degli scritti dogmatici si riportano i cinque libri De fide al Cratianum Augustum, opera stesa negli anni 378,380 c. per vivo desiderio di Graziano; vi si difende, contro gli ariani, l'uguaglianza del Cristo col Padre. Seguono due scritti: De Spiritu Sancto, in tre libri, e De Incamationis dominicae savamento, dove viene completata la trattazione dei problemi cri, stologici e trinitarii. Un trattato De poenitentia, contro i Novaziani, e un altro De mystetiis, sul battesimo, la cresima e l'Eucarestia, chiudono la serie delle opere teologiche. d) Importanti dal punto di vista letterario sono i Discorsi veri e propri. Ricordiamo anzitutto le due orazioni funebri per la morte del fratello Sàtiro (fra il 375 e il 379), pronunciate a distanza di una settimana e poi riunite nei due libri De excessu fratris sui Satyri et de resurrectione mortuorum. Nel primo, Ambrogio dà libero sfogo al suo intimo e sincero dolore ed esprime cristiani motivi di spirituale conforto; ricorda i particolari della morte del fratello e fa l'elogio delle sue virtú; nel secondo, sviluppa varie considerazioni sulla morte che tutti attende, per liberarci dai dolori di quaggiú e predisporci alla resurrezione finale, considerata e confermata anche in virtú della fede. Sono due scritti che rivelano la toccante umanità del Santo; lo stile è traspa, rente di spiritualità e ricco di classiche movenze. In occasione della sepoltura, in Milano, di Valentiniano 11 (lu, glio del 392), rimasto ucciso in Gallia, Ambrogio pronunciò un'altra orazione funebre, la De obttu Valentiniani consolatio. Qui al tono del rimpianto si unisce quello della celebrazione delle virtú del defunto, secondo lo schema della letteratura consolatoria antica o il tutto e so so di paterna tenerezza e di profondo senso religioso. nche per la morte ds Teodosio il Grande (17 gennaio 395) Ambrogio pronunciò, e poi pubblicò, I'orazione De obttu Theodosfi alla presenza ds Onono, suo figlio e successore al trono. Anche qui nello schema del!a laudatio firnebris vengono ricordate le numerose imprese e le grandl virtú dello scomparso: Teodosio appare grande come Costantino, la cui madre, Elena, ebbe la ventura di ritrovare sul Calvario la Croce dx Cristo. Ed altro ci sarebbe da ricordare discorsi, per lo piu inclusi nell'epistolario e ricchi anch'essi di motivi vari, spesso pole mici; tali, ad esempio, le sue Epistulae XVII e XVIII, contenenti la vi vace e spigliata risposta alla Relatio Symmdchi. Ed ora le Lettere: 91(1) in tutto, fra le molte certamente scritte dal Vescovo a persone entro e fuori l'Italia. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 167 La prima di queste è la risposta a Craziano che aveva chiesto ad Am rogio lo scntto sullo Spirito Santo; altrove incontriamo lettere d altn comspondenti e persino documenti di contenuto e natura non epi stolan; non mancano lettere episcopali collettive; altre sono indi rizzate ad Imperaton (come a Valentiniano II), a Papi, a Vescovi; altre in ne, a persone diverse, ma trattano anche problemi di esegèsi biblica o i diritto e persino ds teologia. Pochissime sono quelle di carattere Anche nell'Epistolario rivivono congiuntamente il Vescovo, il pensatore, loratore, il pastore di anime e lo stilista garbato e suadente. L'ultimo aspetto della produzione letteraria di S Am brogio è quello poetico, con gli Inni; anzi egli è il fondatoré dellinnografia latina cristiana, dopo i tentativi piuttosto letteran di S. Ilano. Il Vescovo s'era accorto che gli ariani avevano arricchito le forme del loro culto col canto corale di inni saaiegli volle-che i suoi fedeli non fossero da meno. Di qui l'awío a si£fatte composizioni: inni brevi, in sé conclusi, solitamente di 8 strofe, composte di dimetri giambici acatalettici e catalettici. Si enumerano ben circa o0 componimenti, ma sicuramente autentici sono so o quattro, anche per l'esplicita testimonianza di S. Agostino s creator ornnium, cantico della sera; Aeterne rerum condttor, ispirato canto mattutino; Iam surgit hora tertia, cioè le 9 a. m.; Veni, Redemptor gentium, cantico natalizio di ispirazione antiariana), a cui se ne possono aggiungere soltanto altri 5 o 6, mentre il resto è opera di suc, cessivi piú o meno maldestri imitatori. Sono tutti di classica fattura e di corretta prosodia; nella semplicità della forma sono espressi fervore di sentimento e nobiltà di dottrina. Non è opera di S. Ambrogio il Te Deurn laudamus, mentre invece a lui vanno ascritte alcune composizioni epigrafiche. Anche la traduzione, assai libera, della Guerra Gialaica di Flavio Giuseppe, andrebbe riportata alla sua prima attività di seguace di Cristo non ancora battezzato. m. - L'uomo, il pensatore e lo scrittore - S. Ambrogio è uno dei piú robusti ed originali scrittori ecclesiastici di lingua latina: semplice, netto, vibrante nei concetti, spesso espressi in vigorosa contrapposizione di antítesi, e modulati secondo la buona consuetudine retorica e la migliore tradizione culturale, tanto che è parso a molti il ' Cicerone cristiano'. Colorito e co, pioso, ma anche pieno qua e là di abbandono descrittivo e narrativo, egli inizia veramente uno stile nuovo nell'omilètica e nei trattati esegètici. Vívido nelle immagini, ma soprattutto sostenuto da idee sempre meditate e sicure, ricco di passione e di sentimento, sa a£frontare argomenti di grave impegno dottrinale e tèmi di usuale conversazione con netta e perspicua evidenza, con espresS sioni brevi ed acute, che paiono recare il suggello della formula o della prescrizione giuridica definitiva, veramente incisa e scolpita per i secoli. Nutrito di teologia, di filosofia, di pensiero orientale e latino. sia pagano che cristiano, raccoglie spesso nelle sue pagine, accanto alle piú svariate reminiscenze poetiche e bibliche, il dramma stesso dei suoi tempi perturbati. Alla sublime poesia dei Libri Sacri sa aggiungere calore e fervore, ampliandone e chia, rendone i recònditi significati e adeguandone ogni possibile appli, cazione alla vita dello spirito e agli eterni destini dell'uomo. Con lui l'antico si fa moderno: sul tronco della cultura classica inne, sta i rigogliosi virgulti e le vergini germinazioni del pensiero cristiano; ai ritmi delle misurate armonie classiche sostituisce i fles, sibili mòduli dei canti spirituali nelle plastiche evidenze delle forme innològiche: crea l'innologia sacra, che apre la via alle splendide affermazioni della poesia cristiana di Prudenzio e di Paolino. Figura poliedrica e complessa è la sua, nella quale si cumulano saggezza romana, rettitudine di magistrato, inflessibilità di giurista, uinanità di letterato, splendore di oratore, zelo di sacerdote, cantà di apostolo, infine autorità di Vescovo, che non co, nosce usura ds tempo o sacrificio di persona per darsi tutto a tutti per proteggere anche con espressioni di dràstica energia gli abbandonati, gli umili, gli oppressi, per difendere o rivendicare i diritti della Chiesa nei momenti politici piú delicati. Partecipa con alta ed autorevole dignità ai Concili, si fa persino consigliere degli stessi Imperatori, fonda ospizi e conventi, esalta e consacra le figure piú insigni dei defunti del tempo, perdona o rimette all'oblío i torti ricevuti; commuove, conquista, incammina verso la Verità e la Luce colui che diventerà esso stesso ' luce di verità ', un gigante del pensiero cristiano: Agostino di Tagàste. VITA DI SANT'AMBROGIO (Internet: da utilizzare con controllo fonti e autore) Sant'Ambrogio nacque a Treviri , una città dei celti Treviri che nel 16 a. C. era diventata una colonia romana. La buona posizione strategica sulle rive della Mosella , la ricchezza del suo entroterra, la facilità delle sue vie commerciali, la mitezza del suo clima, avevano reso Treviri una città di primaria importanza nel mondo occidentale romano. Dapprima sede di prefettura, con Diocleziano nel 294 era diventata una delle quattro capitali dell'impero. In questa città dal glorioso passato [1] nacque dunque Ambrogio. L'anno della sua nascita è incerto: i più lo pongono nell'anno 334 d. C. ma altri autori non escludono un'epoca più tardiva verso il 339-340 d. C. Gli fu posto nome Aurelius Ambrosius, Aurelius cioè dal nome della gens Aurelia cui F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 168 apparteneva la madre, e Ambrosius, che era anche il nome del padre, un funzionario di alto livello che svolgeva i suoi uffici presso la prefettura della città. Paolino precisa nella sua Vita Ambrosii, la prima biografia in assoluto che si conosca di Ambrogio, che il padre “era a capo della prefettura delle Gallie.” [2] La sua famiglia Ambrogio era il terzogenito, dopo Marcellina e Satiro , di una famiglia della nobile e ricca borghesia romana, che poteva vantare tra i suoi ascendenti vari personaggi illustri per le cariche pubbliche ricoperte durante l'impero. Lo stesso Ambrogio vi fa cenno in una sua opera, la Exorthatio virginitatis, scritta nell'anno 394, dove ricorda la morte della vergine Sotere , una sorella di sua nonna, martire cristiana durante le persecuzioni di Diocleziano, che “ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede. ” [ 3] L'origine greca del suo nome (significa immortale), di quelli del fratello Satiro così come dell'ava Sotere, fa intuire che gli avi paterni probabilmente provenivano dalle regioni orientali dell'impero. Queste antiche origini sembrano trovare una conferma proprio in Ambrogio non solo per la sua ottima conoscenza della lingua greca, ma soprattutto per il suo continuo riferirsi in età matura alla cultura e alle opere teologiche e filosofiche del mondo ellenico. La nascita di Ambrogio a Treviri piuttosto che a Roma non fu casuale, ma fu dettata dalla posizione sociale del padre, il cui alto impiego nella burocrazia imperiale lo aveva condotto a prestare i suoi servigi in quella città, dove nel 334, oltre al prefetto delle Gallie, risiedeva anche l'augusto Costantino il Giovane , il maggiore dei figli di Costantino Magno, che aveva ricevuto dal padre il governo dell'occidente romano e cioè la Mauritania , la Spagna , la Gallia e la Britannia . Oltre agli onori, in quegli anni la famiglia di Ambrogio ebbe modo purtroppo di sperimentare anche gli oneri connessi all'alta carica pubblica paterna: tutto iniziò con la morte nel 337 di Costantino Magno e il sorgere dei primi dissapori e delle contese tra i suoi figli. Dopo alcuni accordi mal rispettati, nella primavera del 340 Costantino il Giovane , lasciata la Gallia , valica le Alpi per marciare contro il fratello Costante , che governava l'Africa , l'Italia e le province danubiane, con lo scopo di imporgli la sua supremazia. Giunto ad Aquileia il giovane augusto fu invece sorpreso in una imboscata tesagli da ufficiali di Costante e venne ucciso. E' assai probabile che la stessa sorte sia toccata anche al padre di Ambrogio che accompagnava l'augusto o forse la morte lo colse nella epurazione degli alti funzionari che seguì la vittoria di Costante. Fatto sta che la famiglia di Ambrogio dovette ritornarsene a Roma . In questa città Ambrogio trascorse tutto il periodo della sua giovinezza dal 340 circa fino al 365 [4], frequentando i vari gradi della scuola imperiale. La posizione altolocata della sua famiglia gli permise certamente di disporre di un pedagogo personale, evitando così le brutture del ludus letterarius, tale era il nome delle scuole elementari, di cui ci ha lasciato un pessimo ricordo sant'Agostino [5]. Nel IV secolo era alquanto caduta in disuso la consuetudine romana di studiare particolarmente la lingua e la cultura greca. Ce lo confermano Agostino per l'Africa [6] e Gerolamo , che pure studiò a Roma dal 359 al 367 e che il greco dovette impararselo più tardi da solo. Negli ambienti aristocratici invece si coltivavano ancora gli studi greci ed Ambrogio poté attingervi a piene mani, conseguendo una buona conoscenza sia della lingua che della letteratura greca. Omero e Virgilio erano i testi poetici preferiti durante questi studi. Non sappiamo quali furono i suoi maestri, perché Ambrogio non ne parlò mai: i più famosi di Roma in quegli anni erano Donato e Mario Vittorino , un pagano quest'ultimo intimo amico di Simpliciano , che in tarda età si convertì al cristianesimo suscitando un grande clamore nella città eterna. [7] Sono molteplici le opere di Ambrogio dove traspare l'eco degli studi giovanili e dove è possibile rintracciare le sue buone conoscenze di Virgilio, Cicerone , Sallustio , Seneca , Omero, Platone , Senofonte e Filone , che potrebbero rivelare l'influenza degli insegnamenti di Mario Vittorino, che tra l'altro tradusse in latino le opere dei neoplatonici. Accanto a questi studi classici Ambrogio ebbe probabilmente anche l'occasione di conoscere ed approfondire i principi del cristianesimo, che aveva potuto conoscere in ambito familiare. Già si è detto dell'ava Sotere , ma anche altri episodi della vita della sorella Marcellina , di una decina d'anni più anziana, rivelano quanto fosse permeato di cristianesimo l'ambiente religioso in cui visse il giovane Ambrogio. Paolino racconta che Ambrogio, quando ebbe conclusi gli studi, lasciò Roma per recarsi a Sirmio dove poter esercitare l'avvocatura presso la prefettura del pretorio. Ambrogio si trattenne a Sirmio probabilmente per circa cinque anni dal 365 al 370. Sirmio era allora una grande città di grande importanza politica e militare. Ubicata sulle rive della Sava poco distante dalla sua confluenza con il Danubio , era la città principale dell'Illirico, dove confluivano e si incrociavano importanti strade che verso ovest la congiungevano a Milano e a Roma passando per Aquileia, mentre verso oriente era collegata a Tessalonica e a Costantinopoli . [8] Ambrogio e Satiro svolsero efficacemente la loro attività forense tanto che nel 367 furono segnalati al nuovo prefetto Probo , che li promosse da avvocati del tribunale (auditorium) ad assessori del consiglio del prefetto. Verso il 370 i due fratelli lasciarono Sirmio . Satiro probabilmente per motivi d'affari intraprese lunghi viaggi non sappiamo dove, mentre Ambrogio se ne andò a Milano , eletto governatore, cioè consularis, della provincia italiana più importante, la Liguria et Aemilia. [9] Ambrogio doveva amministrare questo vasto territorio, alle dipendenze del vicario d'Italia e del prefetto che risiedevano entrambi a Milano. Il suo compito di mantenere l'ordine pubblico non doveva essere facile, sia per la situazione politica generale sia per le F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 169 continue turbolenze religiose soprattutto tra ariani e cattolici. A Milano era ancora vivo il ricordo del concilio che vi si era riunito nella primavera del 355 su intimazione dell'imperatore Costanzo II che aveva preteso l'esilio del vescovo cattolico Dionigi sostituendolo con l'ariano Aussenzio . Invano un concilio riunito a Parigi da Ilario di Poitiers nel 360 aveva condannato Aussenzio come usurpatore, così come pure vane erano state le condanne pronunciate contro di lui in alcuni concili romani. Aussenzio poteva infatti contare sull'appoggio della corte e dell'imperatore Valentiniano I . Quando Ambrogio arrivò a Milano, questa città offriva un superbo spettacolo di forza e di ricchezza: allora come oggi era il cuore economico e civile della pianura padana. Le recenti costruzioni delle imponenti mura, del foro, delle terme, del teatro e dei palazzi pubblici rendevano la città architettonicamente e urbanisticamente imponente. Una miriade di abitazioni e botteghe esprimevano la feconda vitalità dei milanesi, la cui principale occupazione era rivolta agli scambi commerciali. Un ben articolato sistema stradale che si irradiava da Milano verso i valichi alpini e le aree lacustri rendeva la città snodo commerciale e politico di primaria importanza e di fatto nella seconda metà del quarto secolo divenne residenza imperiale. Ambrogio giungeva a Milano da uomo maturo, preparato alla sua nuova attività pubblica. Racconta Paolino che Probo , avendo conosciuto a e apprezzato le sue qualità, congedandolo, gli abbia detto: “Va' e fa' di essere piuttosto un vescovo che un giudice.” Durante i pochi anni in cui poté esercitare il suo incarico di consolare riuscì a far apprezzare le sue doti singolari di rettitudine e di onestà, poiché ritenne suo compito difendere i deboli e gli oppressi contro la violenza, mettere cioè la forza al servizio del bene. La elezione a vescovo Quando nel mese di ottobre dell'anno 374 Aussenzio morì, la gente di Milano si ricordò con simpatia di quel suo governatore capace di dare serenità e sicurezza anche nei frangenti difficili. E certamente difficile si presentava la questione della elezione del nuovo vescovo poiché le rivalità tra ariani e cattolici creava continue tensioni. Questa conflittualità esasperava gli animi della gente, a cui spettava il diritto di esprimere un proprio parere. Il partito degli ariani si era subito attivato per assicurare alla sede di Milano uno dei loro, ma anche i vescovi cattolici si erano raccolti in città, senza riuscire a mettersi d'accordo. Non c'era un candidato che accontentasse o piacesse alla maggioranza del popolo e la folla, istigata e sobillata, minacciava di provocare incidenti e disordini. Come era suo obbligo in simili circostante Ambrogio, quale governatore, decise di intervenire per persuadere i contendenti alla ragione. Ma quando alle porte della basilica comparve il governatore col suo seguito, narra Paolino che gli schiamazzi e le grida cessarono e vi fu una pausa di riverente silenzio. Quel governatore quarantenne, di piccola statura, dal viso allungato, con la barba fine e nera che faceva risaltare i grandi e suggestivi occhi, rivelava una grande forza d'animo. La sua calma, la sua pacatezza se da una lato rivelavano l'aristocratico romano, dall'altro esprimevano il suo pragmatismo, l'arte e la capacità di comandare. Nel tumulto di quell'assemblea contrapposta in due fazioni, Ambrogio parlò a lungo per convincere tutti a un accordo, ma d'improvviso, narra Rufino di Aquileia , tutta quella gente ritrovò la concordia e si mise a urlare che doveva essere lui, Ambrogio, il loro vescovo. Secondo Paolino sarebbe stato un bambino a scatenare la folla gridando: “Ambrogio vescovo! ” La scelta era quantomeno inusuale poiché le norme vietavano l'elezione a vescovo di un laico, per di più non ancora battezzato. Ma la gravità della situazione deve avere convinto tutti a rinunciare a regole decise nei concili pur di raggiungere un accordo. Forse l'unico a non essere d'accordo era proprio Ambrogio, che per parte sua cercò con ogni mezzo di opporsi e di rifiutare quella nomina. Narra Paolino che, in contrasto alla natura della sua indole, provò a farsi vedere crudele usando in quei giorni per la prima volta la tortura nelle cause criminali. Cercò di gettare discredito sulla serietà della sua vita ricevendo in casa sua donne di malaffare ma poiché tutto era vano, tentò anche di fuggire due volte, ma senza esito positivo. Tutti gli episodi raccontati da Paolino, che li introduce per giustificare la ineluttabilità divina di quella consacrazione, forse in realtà dicono che Ambrogio, da buon funzionario dell'imperatore Valentiniano I , non intendeva assumere un nuovo incarico senza autorizzazione. Con la pace costantiniana del 313 in effetti i vescovi erano stati di fatto integrati nel sistema imperiale e in modo particolare i vescovi furono incaricati di distribuire i sussidi che lo Stato destinava ai poveri. Ma la concessione maggiore era stata fatta accordando loro una giurisdizione civile pubblicamente riconosciuta: non solo i cristiani ma anche i pagani potevano ricorrere al tribunale del vescovo che esercitava un vero e proprio potere giudiziario. Per questo nuovo incarico Ambrogio voleva certamente il placet dell'imperatore, che rispose positivamente dicendosi ben lieto che i milanesi avessero scelto come vescovo chi egli aveva prima mandato loro come governatore. Ambrogio fu preparato al battesimo da Simpliciano, presbitero della Chiesa milanese, che aveva già conosciuto a Roma. Ricevette il battesimo domenica 30 novembre del 374 e solo una settimana dopo, domenica 7 dicembre, Ambrogio fu ordinato vescovo. A vent'anni di distanza da quegli episodi memorabili, in una lettera ai cristiani di Vercelli, Ambrogio ricorderà le preoccupazioni di quei momenti: “Quanto ho resistito perché non fossi fatto vescovo! ” L'elezione a vescovo permise ad Ambrogio di ricomporre a Milano la sua famiglia: in questa città convennero infatti sia la sorella Marcellina che il fratello Satiro, che dal 370 si era separato da Ambrogio, forse per la F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 170 necessità di amministrare i beni di famiglia. Durante uno dei suoi viaggi fece naufragio e riuscì a salvarsi miracolosamente, come raccontano le cronache, grazie alla sua fede cristiana [10]. Dopo l'elezione episcopale di Ambrogio, sembra che Satiro abbia rinunciato definitivamente alla sua carriera di amministratore e di finanziere per andare a Milano ad aiutare il fratello a gestire materialmente le risorse della diocesi. Ambrogio infatti non aveva più risorse proprie poiché, appena eletto vescovo, anticipando un gesto che sarà fatto proprio anche di san Francesco , aveva donato alla Chiesa milanese e ai poveri tutti i beni che possedeva. Come osserva il biografo Paolino , Ambrogio rinunciò ai suoi beni, che tra l'altro erano ingenti, “per seguire nudo e libero Cristo Signore” come avevano fatto gli apostoli. L'assoluta generosità del vescovo, cui forse non era estraneo Satiro, si manifestò anche nel 378, quando popolazioni barbare invasero l'impero, portando il terrore e facendo migliaia e migliaia di prigionieri. Ambrogio cercò di salvare il salvabile e sollecitò una raccolta di denaro per riscattare i prigionieri. Arrivò a dare l'ordine di rompere i calici d'oro e d'argento delle sue chiese, per farne verghe di metallo prezioso utile per pagare i barbari. C'è una pagina meravigliosa del De officiis (2, 136 ss) dove il vescovo si difende dalle assurde accuse ariane che avevano disapprovato le sue decisioni: “Chi è tanto malvagio da non rallegrarsi se un uomo viene scampato dalla morte? Se la Chiesa ha dell'oro, non è per custodirlo, ma per donarlo a chi è nel bisogno. Se non l'avessi dato, il Signore mi potrebbe dire: Come hai permesso che tanti poveri morissero di fame? Come hai permesso che tanti prigionieri fossero uccisi? Meglio conservare i calici vivi delle anime, che quelli di metallo.” Chissà se Scindler aveva letto queste parole quando decise anch'egli di dar fondo al suo patrimonio per salvare la vita a quanti più ebrei poteva in frangenti altrettanto drammatici. Purtroppo Ambrogio non poté contare a lungo sull'aiuto del fratello. Sempre per motivi amministrativi Satiro fu infatti costretto ad un viaggio in Africa per tutelare gli interessi di famiglia, ma questo viaggio gli fu fatale [11]. Un commovente discorso che Ambrogio tenne nella chiesa dinanzi alla salma di suo fratello nel febbraio del 378 ricorda con mestizia i particolari di quel viaggio. Le sue lacrime si univano a quelle dei milanesi che avevano ammirato le virtù cristiane e la carità di Satiro . Nel saluto finale emerge prepotentemente la grandezza di Ambrogio pastore, che supplica Iddio di accogliere il sacrificio della morte di Satiro come una primizia del sacrificio della sua vita sacerdotale. Satiro fu sepolto accanto alla tomba del martire san Vittore nella basilica Porziana e Ambrogio ne dettò un'epigrafe. Vescovo a tempo pieno Ambrogio in gioventù probabilmente ricevette un'educazione cristiana, che gli fece conoscere le principali verità di fede, tuttavia la sua educazione rivolta principalmente a prepararsi alla carriera nell'amministrazione pubblica non deve avergli permesso un particolare approfondimento delle questioni teologiche. I suoi molteplici interessi gli avevano comunque assicurato una vasta cultura, specialmente in campo letterario e filosofico, il che gli fu molto utile nei primi tempi del suo episcopato, quando dovette formarsi una cultura teologica. La sua conoscenza della lingua greca gli permise di leggere direttamente le opere di Filone , Origene , Basilio di Cesarea , Didimo . Simpliciano , un sacerdote della Chiesa milanese fu probabilmente suo maestro sapiente e discreto nell'apprendimento delle verità cristiane, di cui sentiva l'urgente necessità di divulgazione fra il popolo. Cercò di trasmettere questa sua preoccupazione anche ai nuovi vescovi: a Vigilio eletto vescovo di Trento, Ambrogio dirà più tardi come ammonimento: “Prima di ogni altra cosa cerca di conoscere la Chiesa di Dio che ti è stata affidata.” (Epist. 19, 2) proprio come lui stesso aveva fatto con l'intenzione di conoscere la sua Chiesa nella tradizione dei suoi vescovi, dei suoi martiri e delle necessità dei fedeli. Malfermo di salute e con la voce piuttosto debole (Cfr. De sacramentis 1, 6, 24), non cessava tuttavia di parlare al suo popolo. All'anno 375 risalgono le sue prime predicazioni al clero (De officiis 1, 1-22), alle vergini e alle vedove. I primi trattati esegetici vedono la luce nel 377. La sua predicazione si rivolgeva non solo ai pagani ed agli ariani, ma anche ai cristiani deboli, che egli esortava a correggersi. Non disdegnava toni severi e senza paura nei confronti di ricchi, ufficiali, signori di grandi famiglie. Alta si levava la sua condanna per la sfrenata manìa delle corse del circo e degli spettacoli mortali dell'anfiteatro. In quest'opera di rinnovamento morale sant'Ambrogio fu molto attivo, energico ed anche versatile. In un famoso episodio raccontato dai suoi biografi si narra che in città un creditore usuraio non permetteva il seppellimento di un suo debitore, fino a quando non avesse pagato il debito. Ambrogio giudice in quella vertenza, ordinò di portare il cadavere in casa dell'usuraio, che, confuso, dovette supplicare il Vescovo di risparmiargli quella vergogna. Ma il Vescovo fu irremovibile e l'usuraio fu costretto a trasportare quel morto alla sepoltura (De Tobia 10, 36). Questa sua franchezza lo accompagnerà sempre e sarà ancora più esaltante dinanzi ai potenti del mondo. Ma Ambrogio si sentiva anche padre e se grande era la sua severità contro il male, infinitamente più grande era la sua generosità per i poveri, per i peccatori, per quanti avevano bisogno di incoraggiamento, di consiglio, di consolazione. A questo proposito celebre è l'episodio di un tal Marcello , vescovo, che aveva donato i suoi beni ad una sorella vedova e sola, a condizione che questa, morendo, li lasciasse alla Chiesa. Ma Leto , un loro fratello, impugnò la validità della donazione. Siccome il processo civile non riusciva a risolvere il contenzioso, i F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 171 litiganti decisero di appellarsi ad Ambrogio, che grazie alla sua esperienza nei processi riuscì ad accontentare tutti. Decise infatti di assegnare i beni di Marcello a Leto, con l'obbligo di garantire una rendita annuale alla sorella vedova. Nell'Epist. 82 Ambrogio, che capiva bene che l'unica parte che rinunciava a qualcosa era la Chiesa, giustificò la sua decisione con parole celebri: “La Chiesa non perde, se guadagna la carità. E la carità non è mai una perdita, ma la conquista più vera di Cristo. Volevate darle alla Chiesa i vostri beni materiali: ma già le avete dato di meglio: la vostra scienza, la vostra vita, le vostre opere buone.” Quando verso il 376 morì Germinio il vescovo ariano di Sirmio , la capitale dei paesi danubiani, Ambrogio non esitò a intraprendere un viaggio di oltre 900 Km per difendere l'interesse dei fedeli cattolici e dirigere l'elezione contro i voleri degli ariani che erano protetti dall'imperatrice Giustina che risiedeva in città. Fu eletto Anemio , un cattolico, ma gli ariani inscenarono una rivolta contro Ambrogio. Paolino racconta che mentre il vescovo milanese procedeva alla consacrazione di Anemio, una delle vergini ariane salì all'altare e afferrò il mantello di Ambrogio per trascinarlo giù. Ambrogio difendendosi la minacciò: “Io sono indegno di essere pontefice, ma non è decoroso per te, per la tua professione di verginità, osare mettere la mano su un sacerdote. Guarda che non ti punisca Iddio ! ” Secondo il racconto questa ammonizione divenne realtà poiché quella vergine morì poco dopo e fu seppellita da Ambrogio stesso. Probabilmente a settembre 378 Ambrogio riuscì a incontrasi con il giovane imperatore Graziano e tra i due nasce una reciproca stima. Alla richiesta di Graziano che chiede ad Ambrogio di scrivergli una esposizione della dottrina cattolica quale era stata definita nel concilio di Nicea , Ambrogio risponde inviando a Graziano i primi due libri De fide. Nell'autunno del 378, a causa della disfatta romana sul Danubio , arrivarono a Milano dai Balcani , invasi dai Goti , molti profughi ariani, e con loro anche l'imperatrice madre Giustina . Nel gennaio 379 Graziano nomina imperatore per l'Oriente Teodosio , un valoroso suo generale, nativo della Spagna . Sempre relativa a questi mesi è la lettera che Graziano scrive ad Ambrogio chiedendogli una esposizione della dottrina ortodossa sullo Spirito Santo. Nell'estate del 379 l'imperatore Graziano, tornando dai paesi balcanici in Occidente, passa da Milano, dove si trattiene alcune settimane. A Milano poi il 3 agosto Graziano pubblica una legge, suggerita forse da Ambrogio, che ordina la cessazione di ogni eresia. Parallelamente Teodosio con l'editto dato a Tessalonica il 28 febbraio 380 invita i suoi sudditi a professare la religione data dall'apostolo Pietro ai Romani, rendendo il cristianesimo religione di Stato. Il pugno di ferro contro l'eresia era dettato a Teodosio da ragioni politiche, cioè impedire le contese religiose che minavano la coesione dello Stato. Quando nella primavera del 381 Graziano ritorna a Milano, riceve dalle mani di Ambrogio i tre libri sullo Spirito Santo, che il vescovo ha composto per lui. Poi sant'Ambrogio fa convocare da Graziano l'importante concilio di Aquileia , dove il 3 settembre 381 sono processati e deposti gli ultimi vescovi ariani dell'Illiria. La lettera conciliare, stesa probabilmente da Ambrogio, chiede a Graziano che dia esecuzione alle decisioni del concilio, che prevedevano una Chiesa libera da ogni ingerenza dello Stato, al quale essa è superiore Resta tuttavia un dovere dello Stato e anche suo interesse, dare alla Chiesa quell'aiuto materiale che essa gli chiede. Nell'estate 382 Ambrogio partecipa al concilio di Roma . In questa occasione o forse durante un altro viaggio romano del 377 Ambrogio compì, secondo quanto racconta Paolino , anche un miracolo a una donna paralitica che, dopo aver toccato le vesti di Ambrogio, mentre celebrava l'Eucarestia in casa d'una matrona in Trastevere , fu all'istante guarita (Paolino, Vita Ambrosii, 9). La fama di Ambrogio superò ben presto i confini della sua diocesi, tanto che in questi anni (380-381) il quarantenne Gerolamo a Costantinopoli redigendo la continuazione della Cronica di Eusebio , segna per l'anno decimo di Valentiniano , cioè per il 374, l'elezione di Ambrogio e annota che con Ambrogio tutta l'Italia viene convertita alla vera fede. La lotta al paganesimo Nell'estate del 382 Ambrogio partecipa a Roma al concilio convocato da papa Damaso e finisce per convincersi della necessità di chiedere l'abolizione del paganesimo ufficiale, la religione dell'antica Roma che ancora aveva un suo seguito. Proprio a Roma, nella città più devotamente pagana, qualcosa stava cambiando, per merito soprattutto dei monaci orientali che cercavano di introdurre una vita di comunità. Nella casa patrizia di Marcella sull'Aventino ad esempio si raccoglieva un gruppo eletto di vergini e di matrone per dedicarsi ad una vita di perfezione, tra le quali troviamo Marcellina sorella di Ambrogio. Per quel concilio del 382 era tornato a Roma anche il monaco Gerolamo che più di altri incarnava il fervore dello spirito ascetico tra la nobiltà romana. Tuttavia nel Senato si bruciava regolarmente incenso sull'altare alla statua della dea Vittoria mentre lo Stato continuava a stipendiare i sacerdoti pagani e di riflesso la mentalità pagana. Forse su suggerimento di Ambrogio nell'autunno del 382 Graziano, comandò che si togliesse dal Senato l'altare della Vittoria e abolì le esenzioni fiscali dei collegi dei sacerdoti pagani, confiscandone le rendite. La reazione pagana non si fece attendere. Nel 384 il conte Bautone, tutore di Valentiniano II, cercò di accordare nuovi favori ai pagani tanto che i senatori di Roma mandarono una delegazione alla corte di Milano per ottenere l'abolizione dei decreti di Graziano . Mentre due anni prima Ambrogio era riuscito a convincere Graziano a non accogliere una simile petizione, questa seconda volta il vescovo non può intervenire. Così nell'autunno del 384, nel F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 172 concistoro imperiale, Simmaco lesse la sua relazione in difesa della religione pagana, attribuendo alle abolizioni di Graziano le disgrazie avvenute poi e le carestie. Appena il vescovo viene a sapere qualcosa, scrive a Valentiniano una lettera ordinandogli di respingere la richiesta. Ambrogio esige che la corte imperiale lo consulti, vuole una copia della relazione di Simmaco per poterla criticare e confutare, minaccia l'imperatore che, se non l'ascolta, egli - il vescovo - dovrà resistergli e dovrà impedirgli l'ingresso in chiesa. Quinto Aurelio Simmaco, paladino dei diritti dei pagani, era stato compagno di studi di Ambrogio a Roma e le loro famiglie con forti vincoli di parentela, facevano parte entrambe della gente Aurelia. Simmaco ed Ambrogio simbolicamente sono i due paladini di alto profilo che si fronteggiano per i pagani e per i cristiani. Nella sua Epistola 18 a Valentiniano, così controbatte il vescovo: “Se furono le divinità pagane a rendere vittoriosa Roma, perché gli stessi Dei hanno permesso ad Annibale di arrivare vincitore sotto le mura romane ? Certo Graziano ebbe una morte compassionevole. Ma il merito non si misura dal successo. E se ci fu carestia per castigo degli dei, perché l'anno successivo si ebbero abbondanti raccolti ? Non dovevano essere ancora malcontenti gli dei ? ... Roma antica non era cristiana, è vero, ed ora noi vogliamo che lo diventi, cioè ci si accusa di novità. Ma allora rimproverate la luce del giorno che fa cessare la notte. Non è mai tropo tardi per imparare, per lasciare l'errore, per accogliere la verità.” I decreti di Graziano non furono aboliti. Il gruppo dei senatori pagani rinnoverà ancora per parecchi anni altre cinque volte la sua petizione a Valentiniano , Teodosio ed Eugenio . Ma senza esito positivo. L'arianesim o La crescente popolarità di Ambrogio e la sua capacità di parlare al popolo era vista con sospetto negli ambienti del palazzo imperale milanese, poiché si temeva la presenza di un centro forte di potere quale era allora la Chiesa milanese. Si era riconoscenti certo al vescovo d'aver preso le difese della vedova e dell'orfano, ma l'imperatrice Giustina non voleva che Ambrogio diventasse un ingombrante tutore di Valentiniano. Dopo il fallimento della reazione pagana, che si era conclusa sostanzialmente a favore di Ambrogio, Giustina cercò di mettere nuovamente in crisi l'egemonia ambrosiana con l'aiuto dei cortigiani e degli ufficiali goti. Il pretesto fu un motivo religioso, che però poteva generare una crisi acuta politica e sociale nella città di Milano . Giustina colse l'occasione della presenza a corte di un vescovo ariano della Mesia , Mercurino Aussenzio , che Teodosio nel 383 aveva deposto dalla sua sede vescovile, per risollevare la questione ariana, di cui lei stessa era seguace e che per anni aveva dilaniato la chiesa milanese. Adducendo il pretesto della libertà di culto, l'imperatrice madre nei primi mesi dell'anno 385 aveva esplicitamente richiesto ad Ambrogio la cessione di una basilica per garantire agli ariani un luogo di culto. Al rifiuto di Ambrogio segue la sua convocazione al palazzo imperiale. I fedeli per dar man forte al vescovo si affollano alle porte del palazzo, tanto che i soldati di guardia sono incapaci di calmare la folla. Per evitare un'aperta rivolta, la corte deve cedere e pregare il vescovo di sedare il tumulto. Ma Giustina non si dà per vinta e dopo qualche mese nel 386 pubblica una legge che permette la libertà di culto a quelli che professano la fede ariana e minaccia la pena di morte a vorranno opporvisi. La posizione di Giustina provoca contrasti nella corte stessa, tanto che un funzionario della cancelleria imperiale, Benevolo , rifiutò di cooperare, respinse ogni promessa di promozione e si dimise. Nonostante questa prova di forza Ambrogio confermò il suo rifiuto. Anzi, per dare maggiore peso alla sua iniziativa convoca a Milano i vescovi della sua metropoli per ottenere la loro approvazione. Rifiutando qualunque discussione con Aussenzio, si dichiara pronto al martirio In una accalorata lettera all'imperatore (Epistola 21) dichiara che non può ubbidire ai suoi ordini nè si presenterà a palazzo a discutere con uno che egli non sa neppure se sia vescovo e donde venga. L'occasione lo porta ad affermare che nelle questioni di fede sono i vescovi che devono giudicare gli imperatori e non viceversa. Con tono più duro infine conclude che non accetta il suggerimento imperiale di lasciare Milano, per consentire agli altri di decidere, perché sono gli altri vescovi a imporgli di non lasciare la sua Chiesa, in quanto ciò significherebbe consegnarla agli eretici. A conferma della sua decisione si barrica nella basilica Porziana coi fedeli. Giustina invia le milizie imperiali ad assediare la basilica e gli edifici annessi, convinta che dopo qualche giorno i fedeli, stanchi, lasceranno volontariamente la chiesa. Invece l'assedio dura più del previsto per varie settimane. Ambrogio sostiene il popolo con la sua celebre eloquenza, introduce nelle assemblee il canto antifonato dei salmi, compone egli stesso inni cristiani facili da cantare con lo scopo di rendere vigile la presenza dei fedeli. In uno di questi giorni pronuncia il famoso discorso Contro Aussenzio: “Non temete! Io non vi abbandonerò, non abbandonerò la Chiesa. Certo alla violenza io non posso rispondere con la violenza. Potrò lamentarmi, piangere, gemere: perché contro le armi, contro i soldati, contro i barbari, le mie armi sono le mie lacrime. Queste sono le sole armi degne di un vescovo ... il sanguinario Aussenzio pretende la mia basilica. Ma io non posso tradire l'eredità di Cristo, l'eredità dei miei padri, dei miei predecessori nell'episcopato ... Noi diamo a Cesare quello che è di Cesare. Ma la Chiesa è di Dio, non di Cesare. Con questo nessuno ci accusi di mancare di riverenza all'imperatore. Infatti nessun onore è più grande di questo: che l'imperatore possa dirsi figlio della Chiesa. Perché l'imperatore fa parte lui pure della Chiesa, è nella Chiesa, non sopra la Chiesa ...” (Contra Aux. 1-2, 35-36) F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 173 Dopo lunghe ed estenuanti scaramucce verbali durante la settimana santa di Pasqua la situazione sembra precipitare: proprio mentre la domenica delle Palme 29 marzo 386 Ambrogio si trovava nel battistero della grande Basilica Nuova a spiegare il simbolo della fede ai catecumeni (fra cui anche sant'Agostino ) che il sabato seguente avrebbero dovuto ricevere il battesimo, alcuni fedeli lo avvisano che gli agenti imperiali stavano sequestrando la basilica Porziana. L'assemblea subito si agita e si muove verso la Porziana, mentre Ambrogio durante la Messa piange e prega Iddio perché non venga sparso sangue. Nei disordini che seguono Ambrogio si trova costretto a mandare suoi diaconi e presbiteri a liberare dalla violenza del popolo un certo prete ariano, Castulo , che la gente aveva fermato per strada come capro espiatorio. Giustina cerca di spezzare la solidarietà attorno ad Ambrogio colpendo duramente i commercianti con tasse e multe, qualcuno viene anche imprigionato. Ma la città cattolica non si arrende e ostinatamente segue il suo vescovo contro l'imperatrice. Finalmente la contesa trova uno sbocco onorevole il mercoledì santo: mentre Ambrogio sta celebrando nella Porziana, si presentano alla porta alcuni soldati a frotte e le donne, temendo il peggio, si mettono a gridare. Ma poi diventa chiaro che quei soldati erano venuti a pregare, perché non volevano restare senza la Comunione come aveva minacciato loro il vescovo. La fraternizzazione dei soldati goti con i fedeli mise in scacco la corte che non fu più in grado di sostenere la contesa. L'assedio fu tolto e ai commercianti vennero annullate le multe. Era il giovedì santo, 2 aprile, il giorno in cui nella Chiesa ambrosiana si assolvevano i pubblici penitenti. Ambrogio e con lui la chiesa milanese avevano vinto ancora contro le forze del potere terreno. In questo stesso periodo Ambrogio fu al centro di un episodio che vide la scoperta delle spoglie di due santi martiri. Il culto sulle tombe dei martiri, che pure c'erano stati anche a Milano durante le persecuzioni del II e III sec. era tanto vivo, che sant'Ambrogio dovette intervenire a regolarlo. Fu forse in seguito al riordino delle aree cimiteriali che divenne possibile l'individuazione delle spoglie di alcuni martiri. Precisamente il 17 giu-gno 386 il vescovo scoprì nel sottosuolo della piccola basilica dei santi Nabore e Felice i corpi dei due martiri Protaso e Gervaso . Sant'Agostino , san Gaudenzio di Brescia , san Paolino di Nola e Paolino suo biografo dicono che Ambrogio prima della scoperta ebbe una specie rivelazione. Da una lettera scritta alla sorella Marcellina (Epist. 22) sembrerebbe che ci sia stato solo un presentimento. Il giorno seguente le sacre spoglie furono deposte provvisoriamente nella basilica di Fausta e il venerdì traslate solennemente nella basilica Ambrosiana . Narra Paolino un celebre episodio, ricordato anche da sant'Agostino, che si verificò durante il percorso e che interessò un uomo, cieco da molti anni, il quale al contatto delle ossa dei santi riacquistò la vista. L'entusiasmo popolare di quei giorni è descritto da Ambrogio stesso in una lettera alla sorella Marcellina, dove riporta anche i discorsi tenuti ai fedeli per ringraziare il Signore di tali scoperta. Anche a Bologna , qualche anno dopo sant'Ambrogio scoprirà reliquie di martiri. La passione del vescovo di Milano per queste ricerche, come l'interesse del vescovo di Roma Damaso , per le catacombe, avevano una stessa origine ed era la preoccupazione dei cristiani di recuperare le loro memorie. Era in fondo lo stesso desiderio che aveva spinto sant'Elena a scavare ostinatamente per riportare alla luce la croce santa su cui era morto Gesù. Finite le persecuzioni, il cristianesimo rischiava di perdere il vigore dei tempi delle origini e soprattutto troppi erano i nuovi cristiani che si erano avvicinati a questa religione per motivi di opportunità. Le ossa dei martiri, come la croce di Cristo, dovevano far loro ricordare che il cristianesimo è un sacrificio quotidiano per realizzare il bene e non una moda transitoria. La morte Alle prime luci dell'alba del 4 aprile 397 Ambrogio ricevette l'Eucarestia da Onorato vescovo di Vercelli . Iniziò così la sua brevissima agonia. “Quando passò da noi al Signore - racconta Paolino - circa dall'ora undecima fino al momento in cui rese lo spirito vitale, pregò con le mani aperte a mo' di croce: noi vedevamo muoversi le sue labbra, ma non ne udivamo la voce. Onorato, vescovo della chiesa di Vercelli, mentre riposava al piano superiore della casa, per tre volte udì la voce di uno che lo chiamava e gli diceva: «Alzati, presto, perchè sta per morire.» Disceso, porse al santo il corpo del Signore. Appena lo prese e lo deglutì, rese lo spirito, portando con sè il buon viatico. Così la sua anima, rinvigorita dalla virtù di quel cibo, gode ora della compagnia degli angeli, il cui esempio egli visse in terra, e della compagnia di Elia. Infatti, come Elia, anche Ambrogio non ebbe timore di parlare a re e potenti secondo lo spirito di Dio.” Il racconto di Paolino si sofferma poi con devota ammirazione a descrivere le pietose esequie tributate al suo vescovo dal popolo milanese, che sempre lo aveva ammirato ed amato come santo, per la dolcezza della sua parola, per la forza del suo pensiero, per i prodigi che accompagnarono la scoperta e la sepoltura dei martiri nella basilica che fece costruire e che da lui ha preso nome. Molti sono i prodigi che coinvolgono la sua persona anche in questo momento. “Nell'ora del mattino in cui morì - scrive ancora Paolino - la sua salma fu portata dalla casa alla chiesa maggiore e lì rimase la notte in cui celebrammo la vigilia di Pasqua. In quella occasione molti bambini che erano stati battezzati, venendo via dalla fonte battesimale, lo videro: alcuni dissero di averlo visto sedere sulla cattedra, altri col dito lo mostrarono ai loro genitori mentre passeggiava. Ma gli adulti non lo potevano scorgere, perché non avevano gli occhi purificati. Molti poi raccontavano di vedere una stella sopra il suo corpo. Quando risplendette il giorno del Signore, mentre il suo F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 174 corpo, terminate le funzioni, veniva sollevato per essere portato dalla chiesa alla basilica ambrosiana, dove fu sepolto, una turba di demoni gridava così forte di essere tormentata da lui, che il loro gridare non poteva essere sopportato. Questa grazia operata dal vescovo dura a tutt'oggi non solo in quel luogo ma anche in molti altri.” Confidando nella sua intercessione il popolo “gettava fazzoletti e cinture per poter toccare in qualche modo la salma del santo. C'era infatti al funerale una folla immensa di ogni condizione, sesso ed età: non solo cristiani, ma anche giudei e pagani: andava innanzi per maggiore dignità la schiera dei battezzati.” Una città intera si raccolse dunque attorno ad Ambrogio: non fu un gesto dettato da un'emozione momentanea ma dalla profonda convinzione che Ambrogio dal cielo avrebbe ancora continuato il suo impegno di vescovo “pater pauperum et defensor civitatis.” I devoti pellegrini che non hanno mai smesso di frequentare con la preghiera la sua tomba sono la vivente testimonianza della commossa partecipazione popolare nei secoli alla condivisione dell'avventura umana di Ambrogio. Conclusioni La storia del nostro tempo è anche la storia dei tempi di Ambrogio: come nel IV secolo, anche il nostro secolo è un periodo di cambiamenti profondi e di una radicale decadenza morale. Un richiamo e una rilettura attualissima della sua figura sono proposti ai cristiani di oggi da papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica Operosam diem, inviata alla Chiesa milanese in occasione del XVI centenario della morte di Ambrogio: “E' proprio dei Santi - afferma il pontefice - restare misteriosamente contemporanei di ogni generazione: ciò è la conseguenza del loro radicarsi nell'eterno presente di Dio. Sant'Ambrogio ha una visione unitaria del piano divino della salvezza ... Del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l'ardore di uno che è stato letteralmente afferrato da Cristo, e tutto vede nella sua luce ...” Ma è soprattutto la sua azione di pastore nella Milano del IV secolo che esprime la prorompente modernità del suo pensiero e del suo agire: “Nella società romana in disfacimento, non più sorretta dalle antiche tradizioni, era necessario ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di valori che si era venuto creando. Ambrogio volle dare una risposta a queste gravi esigenze non operando soltanto all'interno della comunità ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento globale della società. Consapevole della forza risanatrice del vangelo, vi attinse concreti e forti ideali di vita e li propose ai suoi fedeli, perché ne nutrissero la propria esistenza e facessero emergere, a servizio di tutti, autentici valori umani e sociali ... A chi pensava di salvare la romanità facendo ritorno ai simboli e alle pratiche ormai desuete e senza vita, Ambrogio obiettò che la tradizione romana con i suoi antichi valori di coraggio, di dedizione, di onestà, poteva essere assunta e rivitalizzata proprio dalla religione cattolica.” Un esempio, che è anche una proposta da meditare per noi uomini moderni. Note (1) Treviri è la città tedesca che ha forse la storia delle origini più ricca. Un tempo veniva chiamata “Roma Secunda” poichè fu sede imperiale. Le sue origini risalgono al VI secolo a. C. quando i Treveri , una popolazione celtica, eressero una città in muratura, la prima a nord delle Alpi . In omaggio all'imperatore Augusto nel 16 a. C. la città divenuta colonia romana, fu ribattezzata Augusta Treverorum . Tra il I e il II secolo d. C. la città acquisì vieppiù importanza divenendo sede di una prefettura. Tra il 260 e il 269 fu scelta da Postumo come capitale del suo effimero Impero delle Gallie. Nel 294 Diocleziano vi stabilì Costanzo Cloro in qualità di tetrarca. La città fu sem-pre tollerante verso i cristiani, tanto che fu possibile costruirvi una chiesa per il culto. Nel 312 Costantino , figlio di Cloro, a Treviri si impegnò a far cessare le persecuzioni se avesse vinto contro i suoi nemici usurpatori. Il che avvenne l'anno seguente nel 313 con l'editto di Milano . Costantino nel 326 diede avvio alla costruzione della cattedrale, che a quel tempo era la più grande del mondo. Dell'età romana rimangono le due terme di santa Barbara e quella imperiale, un anfiteatro e un ponte sulla Mosella . Ben conservate sono altresì l'antica Basilica e la splendida Porta Nigra . (2) Paolino , Vita Ambrosii, 3 (3) Ambrogio, Exorthatio virginitatis, 12, 82 (4) Paolino, op. cit. , 3: “Ambrogio nacque quando suo padre era a capo della prefettura delle Gallie ... ” (5) Paolino, op. cit. , 4: “In seguito, essendo cresciuto, visse a Roma insieme con la madre vedova e la sorella, che già aveva fatto professione di verginità e aveva come compagna un'altra vergine ... ” F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 175 (6) Agostino , Confessioni, 1, 9, 14 - 15. Il secondo gradino del sistema di istruzione roma-no era costituito dalla scuola di grammatica che occupava gli studenti dai 10 ai 15 anni. Durante questi corsi scolastici si insegnava a parlare correttamente e a conoscere le opere letterarie. Il corso di grammatica era infine perfezionato dagli studi di retorica, che corrispondevano agli odierni studi universitari. C'era anche la possibilità di successivi perfezionamenti in diritto e filosofia: nel IV secolo diritto si poteva però studiare solo a Roma , Costantinopoli e Beirut , mentre filosofia si frequentava solo ad Atene . Ambrogio a Roma riuscì dunque a seguire i corsi di retorica e di diritto, che lo avrebbero preparato a percorrere tutti i gradi della carriera di un funzionario imperiale. (7) Agostino , Confessioni 8, 2, 3-5 (8) La città sorgeva in prossimità del limes di Magonza , e geograficamente costituiva un naturale punto di incontro tra Oriente e Occidente. Il prefetto che risiedeva a Sirmio aveva giurisdizione su gran parte dell'Europa danubiana, dall'Adriatico a Budapest e a Vienna . Nel suo tribunale erano accolti e giudicati gli appelli contro le sentenze dei governatori provinciali. Sirmio allora era un centro di arianesimo. Il vescovo della città, Germinio , era ariano. (9) L'Italia allora costituiva una delle quattro prefetture in cui era diviso l'impero, ma con confini molto più ampi di quelli attuali: dall'Algeria , Tunisia , Tripolitania , arrivava sino all'Istria e alla Baviera meridionale. Il prefetto risiedeva a Milano . Questa prefettura era divisa in tre diocesi e la diocesi italiciana, comprendente l'Italia propriamente detta, era governata da un vicario che pure risiedeva a Milano. Infine la diocesi italiciana era suddivisa in dodici province, delle quali la provincia ligure-emiliana era formata dalla zona centrale della pianura padana comprendente Milano, Lod i, Pavia , Brescia , Piacenza , Parma , Reggio , Modena , Vercelli , Novara , Ivrea , Varese , Como , Bergamo . (10) Nello spavento generale del naufragio Satiro si preoccupò soprattutto di non morire senza battesimo. Certo dell'aiuto divino, si fece affidare da alcuni cristiani, che erano pure sulla nave, un poco di pane eucaristico che essi portavano con sé come viatico, lo mise in un fazzoletto attorno al collo e si gettò in mare. l'Eucarestia lo salvò. In quella terra dov'era approdato, forse la Sardegn a, cercò una chiesa, ma siccome in questi paesi non vi erano cattolici, Satiro non ebbe paura di riprendere ancora il mare finché giunse ad un paese di cattolici e lì ricevette il battesimo. (11) Un certo Prospero che viveva in una località della provincia d'Africa era debitore di forti somme ad Ambrogio. Quando venne a sapere che era divenuto vescovo credette di poter non avere più paura del suo creditore e così si rifiutava di pagare. Satiro era del parere invece che era suo dovere tutelare gli interessi del fratello, che erano in fondo gli interessi stessi della Chiesa e, nonostante le resistenze di Ambrogio, che non voleva che il fratello si avventurasse ancora sul mare, volle andare personalmente in Africa a chiudere la questione. Partì nell'ottobre del 377 e dopo due settimane di viaggio, arrivato in Africa, s'incontrò con Prospero. Seppe condurre abilmente a termine le trattative, tanto che Prospero pagò tutto. E Satiro, sul principio ormai dell'inverno, incominciò il viaggio di ritorno, durante il quale si fermò qualche tempo in Sicilia , dove forse c'erano delle proprietà considerevoli di famiglia. Sono forse quelle stesse proprietà di cui tratta una lettera di san Gregorio Magno dove è scritto che il clero milanese esule a Genova al tempo dell'invasione longobarda era mantenuto dai proventi che la Chiesa di Milano ancora possedeva in Sicilia. Qui o in Sicilia Satiro si ammalò, ma per l'intercessione del martire Lorenzo ottenne la guarigione. Il suo parente Simmaco voleva trattenerlo a Roma , perchè si temeva che anche l'Italia settentrionale era minacciata dalle popolazioni Gote , che stavano allora devastando la Balcania. Satiro era impaziente di rivedere Ambrogio, che in quelle settimane era stato a sua volta gravemente ammalato. Così nel gennaio del 378 i due fratelli si ritrovarono insieme. Ma gli strapazzi di quel viaggio invernale gli furono fatali. Pochi giorni dopo Satiro si ammalò di nuovo e morì tra le braccia di Ambrogio e Marcellina . F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 176 Ambrosiaster Controllo Internet e altro aggiornato Opere Bibliografia Edizioni A. Pollastri, s.v. Ambrosiaster, in Dizionario patristico e delle antichità cristiane, 1, Casale M., Marietti, 1983, col. 115 Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 169-80 (M.G. Mara). AMBROSIASTER. E’ l'autore dei Commenti alle tredici lettere paoline che per tutto il Medioevo furono attribuiti ad Ambrogio; il riconoscimento, in epoca rinascimentale, della non autenticità di tale attribuzione, ha procurato all'anonimo autore dell'opera la denominazione di «Ambrosiaster». Oltre ai testi che tramandano i Commenti sotto il nome di Ambrogio, esistono alcuni codici con la firma di un certo «Hilarius», mentre la maggior parte di essi, fra cui il più antico, il Casinensis CL della metà del VI sec., presentano l'opera come anonima. Non è ancora risolto il problema dell'identità del suo autore e numerose sono le ipotesi che hanno tentato di identificarlo con personaggi noti, ma nessuna di esse ha ottenuto il consenso unanime degli studiosi. Si è pensato al diacono luciferiano Ilario, al donatista Ticonio, al prete romano Faustino, all'ebreo convertito Isacco avversario di papa Damaso, al prefetto romano Ilariano Ilario, ad Ilario di Pavia, ad Evagrio di Antiochia, al funzionario imperiale Claudio Callisto Ilario, al prefetto romano Emiliano Dexter figlio di Paciano di Barcellona e amico di Girolamo, infine a Niceta di Remesiana. Si deduce, dalle indicazioni offerte dai suoi scritti, che l'A. operò sotto il pontificato di papa Damaso (366- 384), a Roma, pur avendo probabilmente rapporti con l'Italia settentrionale e con la Spagna. Si discute se l'autore sia un convertito dal paganesimo o dal giudaismo. I Commenti, per la prima volta in Occidente, offrono una spiegazione sistematica delle lettere paoline che riportano integralmente secondo un testo latino diffuso in Italia prima della revisione operata dalla Vulgata. L'esegesi, di tipo storico-letterale, aliena dall'allegorismo pur non trascurando la tipologia, si serve di citazioni bibliche e di argomenti razionali per la dimostrazione di temi teologici. Non mancano applicazioni pratiche alla vita morale dei credenti. Un problema non indifferente che soggiace alla esatta ricostruzione del pensiero dell'A. è dato dall'esigenza [sic] di più recensioni dei Commenti (tre per Romani, due per le altre lettere), talvolta divergenti anche nel contenuto dottrinale: il Vogels, che ha curato l'edizione critica dell'opera, rifacendosi alle ricerche del Brewer e del Souter, le ha ritenute successivi rimaneggiamenti dell'autore stesso. Un problema di recensioni diverse si presenta anche a proposito delle Quaestiones Veteris et Novi Testamenti, tramandate tra le opere di Agostino ma ormai unanimemente attribuite all'A. Ci sono giunte in tre collezioni contenenti rispettivamente 127, 150 e 115 trattati. Di essi la maggior parte spiegano difficili passi scritturistici, altri espongono la fede in polemica con eretici, pagani o giudei, altri ancora si riferiscono a precise condizioni storiche, come la quaestio CI che denuncia la superbia dei diaconi romani. All'A. sono stati attribuiti anche alcuni frammenti esegetici che troviamo nel codice Ambrosiano I 101 sup. (sec. VIII): un Commento a Matteo 24, l'Incipit de tribus mensuris (su Mt 13,33; Lc 13,21) e il De Petro apostolo (su .Mt 26,52 e sul rinnegamento di Pietro) (ed. G. Mercati, Il commentario latino di un ignoto chiliasta su s. Matteo: ST 11 [1903],23-49; C.H. Turner, An exegetical ,fragment of tbe tbird century: JTS 5 [1903-1904] 227-241; PLS 1, GG5-G70). Le tematiche presenti nelle opere dell'A., pur essendo in gran parte collegate ai testi biblici che egli commenta, mostrano alcuni suoi interessi specifici: quello per il problema F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 177 dell'incredulità dei giudei, delle cui istituzioni ha una conoscenza approfondita e di cui attende l'adesione al Cristo in base alla fede; per il rapporto tra la legge mosaica e la fede in Cristo e la questione dei giudaizzanti; per la posizione dei pagani nei confronti dell'annuncio cristiano; per la presentazione della fede trinitaria e cristologica; per la situazione dell'uomo, peccatore e redento: il modo in cui I'A. tratta quest'ultimo aspetto ha spesso condotto gli studiosi a confronti con Agostino e Pelagio, con divergenti conclusioni. La più antica citazione esplicita di un testo dell'A. è data nel 420 da Agostino, il quale introduce un passo del commento dell'A. a Rom 5,12 come opera di «sanctus Hilarius» (c. Pelag. IV, 4,7). CPL184-188; Commenti: PL 17,47-536; CSEL 81,1.2.3;Ouaestiones: PL 35,2215-2422; CSEL 50; A. Souter, A Study of Ambrosiaster: TSt 7/4, Cambridge 1905; W. Mundle, Die Exegese der paulinischen Briefe in l;ommentar des Ambrosiaster, Marburg 1919; A. Souter, The earliest latin Cornmentaries on the l:pistles oli St, Paul, Oxford 1927; DBS 1, 225-241; C. Martini, Ambrosiaster. De auctore, operibus, theologia, Romae 1944; TRE 2, 356-3G2; Patrologia III, 169-180 (bibl.); A. Pollastri, Ambrosiaster Commento alla lettera ai Romani. Aspetti cristolngici, L'Aquila 1977; Ead., Il Prologo del Commento alla Lettera ai Romani del1'Ambrosiaster: SSR2 (1978) 93-127; Ead., Nota all'interpretazione di Matteo 13, 33. Luca 13.21 nel frammento Incipit de tribus mensuris: SSR 3 (1979) C,1-78; Ead., Sul rapporto tra cristiani e giudei secondo il Commento dell'Ambrosiaster ad alcuni passi paolinì (Gal 3, 196-20; 1, d; Rom 11, IC 20.25-2(,a; 15,11): SSK 4 (1980) 313-327. A. Pollastri DPAC Iccu per Soggetto Niente ICCU per Autore Commento alla lettera ai Galati / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Fatica, Roma: Citta nuova, [1986], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Commento alla seconda lettera ai Corinzi / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Fatica, Roma: Citta nuova, [1989], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Ambrosiaster 3: In Epistulas ad Galatas, ad Efesios, ad Filippenses, ad Colosenses, ad Thesalonicenses, ad Timotheum, ad Titum, ad Filemonem / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoelder, 1969 Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus Vogels Commento alla lettera ai Romani / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Alessandra Pollastri, Roma: Citta nuova, [1984], Collana di testi patristici Commento alla prima lettera ai Corinzi / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Fatica, Roma: Citta nuova, [1989], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus Vogels, Vindobonae: Hoelder, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Comprende: 3: In Epistulas ad Galatas, ad Efesios, adFilippenses, ad Colosenses, adThesalonicenses, ad Timotheum, ad Titum, adFilemonem / recensuit Henricus IosephusVogels 1: In Epistulam ad Romanos / recensuitHenricus Iosephus Vogels 2: In Epistulas ad Corinthios / recensuitHenricus Iosephus Vogels Ambrosiaster 1: In Epistulam ad Romanos / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoeleder, 1966 Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus Vogels F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 178 Ambrosiaster 2: In Epistulas ad Corinthios / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoelder, 1968 Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus Vogels Scheda. Quaestiones e responsiones. C. Curti. QUAESTIONES ET RESPONSIONES sulla Sacra Scrittura. Tra i generi esegetici della Bibbia, scoli, omelie, commentari, le «Quaestiones et Responsiones» si ricollegano agli scoli. Come questi, infatti, non danno l'interpretazione sistematica e completa di un intero libro sacro (che è propria dei commentari), ma consistono in note esplicative, per lo più brevi, di passi determinati o di versetti o anche di termini biblici. Però, diversamente dagli scoli, utilizzano il metodo, generalmente artificiale e fittizio, della domanda e della risposta, introdotte (soprattutto la domanda) da formule stereotipe che si ripetono con stancante monotonia. Prima di essere applicato alla Scrittura, il genere aveva avuto larga diffusione nella letteratura profana. Aristotele scrisse un'opera intitolata Zetèmata kai lyseis [greco], ed ancor prima sofisti e retori se ne erano serviti nelle scuole per sollecitare i discepoli a risolvere le numerose questioni che i vari testi, e particolarmente i poemi omerici, sollevavano. Sembra che il primo a comporre «Quaestiones» sulla Bibbia sia stato Filone d'Alessandria, la cui opera, Problemi e soluzioni sulla Genesi e sull'Esodo (Euseb., HE 2, 18,1), commentava alcuni capitoli dei due testi. Invece non si sa chi tra gli scrittori cristiani per primo abbia avuto l'idea di dedicarsi a questo genere esegetico. Non sembra che vi rientri precisamente alcuno degli scritti d'Origene, anche se egli talvolta, sia nelle omelie che nei commentari, introduce un interlocutore immaginario a proporre una difficoltà che riceve la soluzione. Ad Eusebio si deve un'opera specifica, Questioni e soluzioni evangeliche, di cui si sono conservati alcuni frammenti greci e siriaci e, fortunatamente, un compendio, redatto posteriormente, che consente di farci un'idea abbastanza precisa sull'originale e sul suo contenuto. L'opera si divideva in due parti: la prima trattava, in due libri, problemi relativi all'infanzia di Gesù; l'altra, in un solo libro, i racconti della risurrezione. Delle Questioni diverse di Acacio, discepolo e successore di Eusebio nella sede episcopale di Cesarea, si è salvato un lungo frammento relativo a 1 Cor 15,51 grazie a Girolamo (Ep. 119,6); da esso si deduce che l'opera di Acacio trattava anche di questioni bibliche. Sotto il nome di Agostino sono state tramandate, da alcuni manoscritti, Questioni sull'Antico e sul Nuovo Testamento, di cui possediamo tre recensioni comprendenti rispettivamente, la prima 151 questioni, la seconda 127, la terza 115. In base ad argomenti linguistici, stilistici e concettuali l'opera è stata rivendicata all'autore del commento alle epistole di s. Paolo, conosciuto sotto il nome di Ambrosiaster. Le Questioni presentano caratteri diversi: talune sono dei trattati veri e propri tesi a sviluppare tutti gli aspetti di un problema, altre si limitano a chiarire rapidamente una difficoltà particolare, altre ancora hanno di mira sia i nemici della chiesa, sia i credenti assertori di opinioni pericolose, altre infine hanno l'aspetto di sermoni dedicati all'interpretazione di un salmo o di un personaggio biblico. L'autore mostra una buona conoscenza degli scrittori classici e cristiani: tra essi il Souter, il maggiore studioso delle Questioni, annovera Cicerone, Sallustio, Tito Livio, Ireneo, Tertulliano, Cipriano, Vittoríno di Petovio, Ilario di Poitiers, ecc. Al genere letterario delle «Quaestiones» si rifanno diverse lettere di Girolamo, dedicate a soluzioni di difficoltà scritturali sulle quali il dotto padre della chiesa veniva consultato. Tali sono l'Epist. 35, in cui vengono risolte a papa Damaso cinque questioni sulla Genesi, la 36, indirizzata allo stesso pontefice, la 120, la 121. Ma Girolamo, agli inizi della sua attività esegetica, compose anche uno scritto specifico, Quaestiones Hebraicae in Genesim: in esso oppone la versione della Settanta a quella ebraica attraverso 220 questioni, che costituiscono un vero e proprio commento di tutto il libro sotto forma di scoli. A questo genere esegetico si riallacciano diverse opere di Agostino: Quaestionum in Heptateuchum libri 7; De octo quaestionibus ex Veteri Testamento; Quaestionum evangeliorum libri 2; Quaestiones 17 in Ev, secundum Matthaeum sulla cui autenticità è stato sollevato qualche dubbio; Expositio 84 propositionum ex epist. ad Romanos; De diversis quaestionibus 83 liber unus; F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 179 De diversis quaestionibus ad Simplicium libri duo; De oeto Dulcitii quaestionibus liber unus. L'appartenenza di questi scritti al genere delle «Quaestiones» è stata contestata da qualche studioso con la motivazione, in verità speciosa, che non vi vengono risolte difficoltà immaginarie, ma problemi reali che si presentavano ad Agostino stesso e ai suoi corrispondenti. Quanto al carattere e al contenuto, alcuni di questi scritti sono piuttosto brevi, altri, di una lunghezza rilevante; alcuni sono una specie di repertorio sistematico delle difficoltà che presenta lo studio di un libro sacro, altri si limitano a risolvere un certo numero di problemi. All'interpretazione di passi scelti della Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, sotto forma di dialogo è consacrato il primo libro delle Instructiones (l'opera ne comprende due) di Eucherio di Lione. Le Instructiones sono dedicate al figlio Salonio, vescovo di Ginevra, a cui sono stati attribuiti - ma l'attribuzione non è pacifica (cfr. la voce Salonio) - quattro opuscoli, nei quali, mediante una fitta concatenazione di domande e risposte, vengono risolte questioni relative a passi scelti dai Proverbi, dall'Ecclesiaste e dai vangeli di Matteo e di Giovanni. Sia le Instructiones che gli opuscoli di Salonio offrono ben poco di personale, ma utilizzano, talvolta anche al livello del plagio letterale, opere precedenti. Da mancanza di originalità sono anche caratterizzate le Expositiones mysticorum sacramentorum seu Quaestiones in Vetus Testamentum di Isidoro di Siviglia (che appartengono piuttosto alla letteratura degli scoli che a quella delle «Quaestiones» propriamente detta) e le De Veteri et Novo Testamento quaestiones, di cui è stata sostenuta con argomenti convincenti l'appartenenza allo stesso Isidoro. Dalla medesima mancanza d'originalità sono viziate le Quaestiones in librum Regum di Beda il Venerabile. Nel genere delle «Quaestiones» rientrano tre scritti che figurano tra le opere di Giustino: Quaestiones et responsiones ad orthodoxos, Quaestiones christianorum ad gentiles, Quaestiones gentilium ad christianos. Scartata, e con buone ragioni, la paternità giustinianea, come autori di tali scritti, congiuntamente con la Confutatio quorumdam Aristotelis dogmatum, sono stati fatti i nomi di Diodoro di Tarso e di Teodoreto di Ciro, senza che nessuna delle due attribuzioni abbia riscosso apprezzabili consensi. Allo stato attuale si può solo asserire che i quattro scritti provengono tutti dalla medesima mano e probabilmente risalgono alla metà del V sec. Delle Quaestiones et responsiones ad orthodoxos si posseggono due recensioni, una che comprende 146 questioni, l'altra - che probabilmente rappresenta la recensione originaria - 161. Le interrogazioni proposte sono tra le più varie e non riguardano che solo in parte la Sacra Scrittura; infatti tra i temi trattati vi figurano anche l'apologetica, il dogma, la morale, l'esegesi, la liturgia, le scienze naturali. Vari anche gli interlocutori, che vanno dal catecumeno al pagano colto, al discepolo. Gli altri due opuscoli dello Ps. Giustino, Quaestiones christianorum ad gentiles e Quaestiones gentilium ad christianos, esulano dai nostri interessi, poiché trattano di problemi filosofici. Al genere in esame dedicò parte della sua attività anche Teodoreto di Ciro componendo Quaestiones in Octateuchum e In libros Regnorum et Paralipomenon. Le due opere sono rivolte ad Ipazio, che aveva insistentemente richiesto all'autore spiegazioni su passi difficili della Bibbia. In effetti rientrano a buon diritto nel genere solo le Quaestiones in Octateuchum, poiché l'altro scritto - che costituisce un séguito del precedente -, soprattutto le questioni sulle Cronache, si presenta come un commento sotto forma di scoli. Ad Esichio di Gerusalemme appartiene probabilmente la Collezione di obiezioni e di soluzioni, che sembra sia un'epitome della sua Concordanza evangelica andata peduta. La Collezione è una specie di concordanza intesa ad illustrare, mediante domande e risposte, 61 problemi evangelici riguardanti la vita pubblica, la passione e la morte di Gesù. Almeno due raccolte di questioni scritturali si devono a Massimo il Confessore: Quaestiones ad Thalassium (PG 90, 243-78G) e Quaestiones et dubia (PG 90,785-856). Nella prima l'autore spiega 65 questioni a Talassio, che gliene aveva fatto esplicita richiesta. Nella seconda raccolta alcuni dei problemi proposti non hanno alcuna relazione con la Scrittura. Nell'insieme questa seconda opera è più semplice dell'altra e risponde meglio al tipo classico delle questioni scritturali. Invece le questioni a Talassio sono caratterizzate da lunghe considerazioni, indubbiamente più importanti, ma meno conformi al genere. Delle opere di Anastasio il Sinaita la sola che interessa è intitolata Quaestiones et responsiones (PG 89,312-824). Nelle edizioni correnti l'opera comprende 154 questioni; i manoscritti però non ne attestano tutti lo stesso numero e, tra l'altro, è certo che alcune delle 154 pubblicate non appartengono ad Anastasio. Oltre a problemi scritturali, vengono trattati anche temi dogmatici, morali e liturgici. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 180 G. Bardy, La littérature patristique des «Quaestiones et Responsiones» sur L'Ecriture Sainte: RBi 41 (1932) 210-236, 341-369, 515-537; 42 (1933) 14-30, 211-229, 528-351 C. Curti, s.v. Quaestiones et responsiones sulla Sacra Scrittura, in DPAC. 2, col. 2958-2962. Filastrio di Brescia Cenni biografici Fu vescovo di Brescia fino al 391. Abbiamo poche notizie dal suo successore Gaudenzio, che ne sottolinea l’attività di predicatore e di controversista itinerante. Fu impegnato nella controversia ariana, in particolare nel contrasto al vescovo Aussenzio e altri ecclesiastici ariani. Sottoscrisse gli Atti del Sinodo di Aquileia del 381. Fra il 381 e il 387 era a Milano, presso Ambrogio, e lì conobbe Agostino. Opere Liber de haeresibus. Composto tra il 383 e il 391, alcuni restringono al periodo 380-90. E' un repertorio di 156 eresie, con notizie piuttosto succinte e privo di approfondimenti. Agostino ne accenna brevemente in Ep. 222, in termini di confronto rispetto ad Epifanio e in modo non molto lusinghiero per Filastrio. Epifanio ed Ireneo sono per i più le fonti utilizzate da Filastrio. Da notare, a proposito dell’ampio numero dell’elenco, che Filastrio elenca come anche “proposizioni di carattere dottrinale o disciplinare” che non hanno dato luogo a veri e propri movimenti eretici o scismatici e che in lui la differenza tra eresia e scisma non è chiara"Eresiologo di scarso peso" (Moreschini). Testi e testimonianze August., ep. 222. Bibliografia Edizioni Migne vol. Diversarum hereseon liber – ed. F. Marx 1898, CSEL, Vol. 38 Ed. F. Heylen, CC, 1957 Delle varie eresie, intr., trad G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1991, Scrittori dell'area santambrosiana. Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio Studi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 181 Moreschini-Norelli, 2/1, p. 401. Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 120-22 (M. Simonetti). ICCU Philastrius <santo> , Sancti Filastrii episcopi brixiensis diversarum hereseon liber / recensuit Fridericus Marx, Pragae ; Vindobonae, 1898 , Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Eusebius : Vercellensis <santo> , 12: Sancti Eusebii episcopi Vercellensis opera omnia nunc primum cura qua par erat redacta... accedunt Firmici Materni necnon Sancti Philastrii opera omnia ad ezquisitas F. Munsteris et P. Galeardi editiones castigata et emendata Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig , Turnholti : Brepols, [1967] Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis : Vrayet, 1845. Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Eusebius: Vercellensis <santo>, 12: Sancti Eusebii episcopi vercellensis opera omnia, nunc primum cura qua par erat redacta : editionem auspicatur maximeque commendat Eusebii Evangelium cum variis versionis italae codicibus collatum, sive Evangelirium quadruplex latinae versionis antiquae, juxta memoratissimas Blanchini veronensis lucubrationes recognitum et expressum: cui, post reliqua sancti Eusebii opuscula, accedunt Firmici Materni necnon Sancti Philastrii opera omnia, ad exquisit , Parisiis : Vrayet, 1845 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne Philastrius <santo>, Philastrii ... Haereseon catalogus. Cui adiectus est eruditissimus libellus Lanfranci ... De sacramento eucharistiae aduersus Berengarium Edizione: Nunc recens editi , , [dopo il 26.XI.1528] Note Generali: A cura di Johann Sichard, il cui nome appare nella dedica Il tip. Heinrich Petri, Basilea, e stato identificato sulla base del materiale tipogr Sichardt, Johannes <1499-1552> [Editore] Petri, Heinrich Paese di pubblicazione: CH Lingua di pubblicazione: lat Philastrius <santo>, Delle varie eresie / san Filastrio di Brescia = [Filastrii Brixiensis Diversarum hereseon liber] . Trattati / san Gaudenzio di Brescia = [Gaudentii Brixiensis Tractatus] ; introduzione, traduzione, note e indici [di entrambe le opere] di Gabriele Banterle Edizione: Ed. bilingue , Milano : Biblioteca Ambrosiana, 1991 , Scrittori dell'area santambrosiana. Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio Note Generali: Testo orig. a fronte. Philastrius <santo> , De omnibus ab exordio creaturarum haeresibus, quae mire multiplices sunt, autoribus Philastrio Brixien. & alijs insignibus doctrina & pietate uiris. Porro falsis illis daemoniorum doctrinis opposuimus, opera principum theologorum, summa orthodoxae religionis capita, quibus, praeter caetera, euidenter demonstratur quod nam sit prophetae seu concionatoris offici , Basileae : apud Henricum Petrum (Basileae : apud Henricum Petrum, mense Augusto 1539) [Pubblicato con] Sententiae patrum de officio uerorum rectorum ecclesiae dei CXIIII. Juret, Etienne Abel , Etude grammaticale sur le latin de S. Filastrius : these , Erlangen : Iunge, 1904 Paese di pubblicazione: FR Lingua di pubblicazione: fre Gaudenzio di Brescia F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 182 Cenni biografici Fu successore di Filastrio al soglio episcopale bresciano a partire dal 391. Opere Quindici prediche dedicate all'amico Benivolus. Dieci per la settimana santa, cinque per brani del Vangelo. Altre omelie spurie. Testi e testimonianze Bibliografia Edizioni Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 122-24 (M. Simonetti). Moreschini-Norelli, 2/1, p. 402. Tractatus – ed. A. Glück 1936, CSEL, Vol. 68. ICCU Bruni, Giancarlo, Pasqua primavera della storia : teologia del tempo nei testi omiletici di Gaudenzio di Brescia / Giancarlo Bruni, Roma: Marianum, 2000, Scripta Pontificiae facultatis theologicaeMarianum. N. S Scripta Pontificiae facultatis theologicaeMarianum Trisoglio, Francesco, San Gaudenzio da Brescia scrittore / Francesco Trisoglio, Torino : Tip. Temporelli e C., 1960 , Biblioteca della Rivista di studi classici.Ser. 1, Saggi vari Note Generali: Biblioteca della Rivista di studi classici: serie prima: saggi vari; 1 / edita e diretta da Vittorio D'Agostino. S. Gaudentii episcopi Brixiensis Tractatus / ad fidem codicum recensuit Ambrosius Glueck, Vindobonae: Hoelder-Pichler-Tempsky, 1936, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Philastrius <santo>, Delle varie eresie / san Filastrio di Brescia = [Filastrii Brixiensis Diversarum hereseon liber] . Trattati / san Gaudenzio di Brescia = [Gaudentii Brixiensis Tractatus]; introduzione, traduzione, note e indici [di entrambe le opere] di Gabriele Banterle Edizione: Ed. bilingue, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1991, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio Note Generali: Testo orig. a fronte. Quaresimale postumo del padre Gaudenzio da Brescia cappuccino, In Brescia: dalle stampe di Giammaria Rizzardi, 1771 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 183 Instituzioni sagro-oratorie opera di f. Gaudenzio da Brescia cappuccino, In Brescia: presso Giammaria Rizzardi, 1759 I sermoni / Gaudenzio di Brescia; introduzione, traduzione e note a cura di Carlo Truzzi, Roma: Citta nuova, [1996], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Sancti Gaudentii Brixiae episcopi Sermones qui exstant nunc primum ad fidem mss. codd. recogniti, et emendati. Accesserunt Ramperti, et Adelmanni venerabilium Brixiae episcoporum opuscula. Recensuit, ac notis illustravit Paulus Galeardus ... Patavii: excudebat Josephus Cominus, 1720 (Patavii: [Giovanni Antonio e Gaetano Volpi]: excudebat Josephus Cominus, 1720) Opere di s. Gaudenzio, vescovo di Brescia e padre della Chiesa / Mariotti Gio. Maria, Breno: Tip. Camuna, 1913 Sancti Gaudentii Brixiae episcopi Sermones qui exstant nunc primum ad fidem mss. codd. recogniti & emendati. Accesserunt Ramperti et Adelmanni ... opuscula. Recensuit ac notis illustravit Paulus Galeardus canonicus Brixianus, Augustae Vindelicorum: sumptibus Ignatii Adami & Francisci Antonii Veith, bibliopol., 1757 Note Generali: Contiene: Ramperti Brixiae episcopi Sermo de translatione beati Philastrii; Adelmanni Brixiae episcopi De veritate corporis et sanguinis Domini ad Berengarium epistola et rhythmi alphabetici. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 184 S. Girolamo Cenni biografici Nacque da famiglia benestante a Stridone, in Dalmazia, intorno al 347, nonostante Prospero d’Aquitania anticipi tale data al 331. Il padre, Eusebio, era cristiano e uomo pio e colto; il fratello Paoliniano e la sorella, entrambi più giovani, seguiranno Girolamo nella vita monastica. Fra il 360 e il 367 compì i suoi studi a Roma, ove ebbe tra i suoi maestri Elio Donato. Intorno al 370 si trasferì a Treviri, sede imperiale. Si ritirò poco dopo (373?) nella piccola comunità religiosa di Aquileia guidata dal vescovo Valeriano e di cui facevano parte Bonoso, Eliodoro, Cromazio e Rufino. Ma fu un’esperienza segnata anche da liti personali, molte delle quali certo animate dallo spirito polemico di G. Troviamo in seguito Girolamo in viaggio, accompagnato da Evagrio Pontico, attraverso la Grecia, l'Asia Minore e la Siria; di Evagrio rimase ospite ad Antiochia per qualche tempo, poi, tra il 375 e il 377, il ritiro ascetico nella zona desertica intorno a Calcide, a sud di Aleppo, in Siria, dove G. studiò l’ebraico. Anche qui i rapporti con i monaci del luogo non furono tra i più sereni, anche per le posizioni intransigenti di G., che decise di fare ritorno ad Antiochia. Qui, dove si stava sviluppando lo scisma di una minoranza ultranicena guidata dal vescovo Paolino, Girolamo, che ne diventò segretario, fu ordinato prete e seguì le lezioni dell'esegeta biblico Apollinare di Laodicea (310 ca.-390 ca.). Intorno al 380 seguì Paolino a Costantinopoli dove si stabilì ed entrò in contatto con Gregorio Nazianzeno che lo introdusse alla lettura e allo studio dell'esegeta biblico alessandrino Origene (185-253) e di Eusebio di Cesarea (265-340). Fra il 382 e il 385 lo troviamo a Roma, dove papa Damaso lo accolse come segretario e gli commissionò la revisione del testo latino dei Vangeli. Nel frattempo G. si applicò con fervore al miglioramento della sua conoscenza dell’ebraico e divenne guida spirituale della nobile Paola e di sua figlia Eustochio. Ma la morte di Damaso e l’elezione di papa Siricio resero l’ambiente romano meno favorevole a Girolamo, che decise – forse per una formale condanna - di allontanarsene. Con il 385 egli iniziò con le sue protette un pellegrinaggio che lo portò a Cipro, ad Antiochia, quindi nei luoghi santi, in Egitto e infine ad Alessandria, dove conobbe un altro importante esegeta biblico, Didimo il Cieco (313 ca.-398 ca.). Di nuovo in Terra Santa nel 386, grazie al patrimonio delle donne, Girolamo fondò a Betlemme un ospizio per i pellegrini e due monasteri, uno maschile, sotto la sua guida, uno femminile, sotto quella di Paola. Il periodo passato a a Betlemme fu molto intenso, caratterizzato da intensi studi (traduzioni bibliche, adattamenti di testi esegetici e compilazione di opere meno impegnative), ma anche da notevoli polemiche, in particolare quella intorno ad Origene; nata da una controversia dottrinale tra l’amico di G., Epifanio, vescovo di Salamina di Cipro (315 ca.-403) e Giovanni, vescovo di Gerusalemme, essa trovò Girolamo e il vecchio amico Rufino su schieramenti oppposti per molti anni, almeno dal 392 al 410, anno della morte di Rufino. A partire dal 397 G. entrò in contatto epistolare anche con Agostino di Ippona, con cui si schiererà apertamente nella lotta contro Pelagio, specie quando questi verrà accolto con favore a Gerusalemme dal vescovo Giovanni. La ferma condanna di Girolamo, nel 414, portò a una reazione dei pelagiani che incendiarono i monasteri geronimiani: solo il concilio di Antiochia, nel 417, rese possibile l’espulsione dell’eretico. Nel frattempo, Girolamo aveva assistito alla morte della amatissima Paola (404), cui seguì, nel 418, quella di Eustochio. A Betlemme G. morì nel 419 o 420.. [Viaggi di S.Girolamo. Fonte. J.M. Laboa, Atlante storico del monachesimo, Milano, Jaka Books, 2002, p. 93. Modif.grigio. BCTV] F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 185 Opere Opere esegetiche Commentari biblici Commenti alle lettere di S.Paolo Un commento alla lettera di Paolo a Filemone fu composto nel 386 o poco più tardi, a Gerusalemme, su richiesta delle figlie spirituali. A questo venne dietro il commento ai Galati, di cui Girolamo conosceva il commento di Mario Vittorino; a seguire quello agli Efesini e quello a Tito, il tutto nell’arco di qualche mese. Commento all’Ecclesiaste Intorno al 389 Girolamo mette per iscritto alcune riflessioni sull’Ecclesiaste già al centro della sua attenzione in precedenza. Girolamo segue la Vetus Latina, tenendo conto dell’ebraico e delle versioni esaplari. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 186 Commentarioli in Psalmos Da datarsi al 390, sono anteriori alla traduzione del Salterio dall’ebraico e probabilmente anche a quella dalla Esaple, di cui costituiscono una preparazione. Questioni ebraiche sulla Genesi Composte intorno al 392, si riallacciano a un genere letterario praticato dalla filologia e dalla filosofia classica. Il piano dell’opera doveva prevedere tutta la Bibbia, ma conclusa la sezione relativa alla Genesi Girolamo diede priorità a una versione dall’ebraico del testo biblico. Commentario sui Profeti E’ l‘unico veramente sistematico realizzato da Girolamo. Iniziato nel 395, anche se anticipato nel 374 con le osservazioni su Abdia, toccò prima cinque profeti minori (Naum, Michea, Abacuc, Sofonia e Aggeo), poi nel 396 Giona, nuovamente Abdia, Isaia; più tardi ancora, nel 406 vengono commentati i minori ancora mancanti: Zaccaria, Malachia, Osea, Gioele e Amos. Negli anni successivi tocca a Daniele (407), Isaia (408-09), Ezechiele (411-14) e in modo incompleto causa il sopragiungere della morte, Geremia (415-19). Il commento prevede prima la traduzione dall’ebraico, poi dalla Settanta. Segue il commento letterale, soprattutto sulla discussione delle varianti esaplari; una esposizione spirituale basata sulla Settanta. Commento a S.Matteo Composto intorno al 398 su richiesta di un commento breve e letterale di un compagno di Betlemme, Eusebio di Cremona. Commento all’Apocalisse E’ uno dei testi per cui Girolamo non può fare affidamento su una bibliografia greca, considerato che il libro non era accolto in Oriente: G. riprende e utilizza soprattutto il commento di Vittorino di Pettau, correggendone qualche errore e migliorandone lo stile, nonché quello di Ticonio. Traduzioni “Principe dei traduttori” Jean Gribomont Traduzioni bibliche La Bibbia latina anteriore a Girolamo, o meglio i suoi diversi tipi, erano stata redatti sulla base della traduzione greca dei Settanta per l’Antico Testamento, sulla base dell’originale per il Nuovo. Girolamo avrebbe ricevuto da papa Damaso, morto il 384, l’incarico di correggerne e uniformarne il testo, operazione cui Girolamo si accinse sulla scorta di ottimi codici del testo greco da cui le versioni latine appunto dipendevano. Tale revisione cominciò dai quattro Vangeli e si estese poi forse anche agli altri libri del Nuovo Testamento per poi proseguire negli anni con l’A.T., secondo tempi e metodi non sempre lineari. Il caso dei Salmi è abbastanza significativo, anche perché per un testo così diffuso e conosciuto da molti a memoria le resistenze all’innovazione non furono poche. Di essi vennero apprestate da G. tre revisioni. Una prima rapida revisione, detta Salterio Romano, venne condotta contestualmente a quella dei Vangeli (382-85). Tale prima revisione, rifiutata in seguito dall’autore, non ha avuto seguito e non ci è stata tramandata. Una seconda revisione Girolamo affrontò nel 390 (o 387?) quando nella biblioteca di Cesarea ebbe modo di consultare la Esàple, l’edizione sinottica dell’A.T. di Origene. Il salterio esaplare è F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 187 relativamente vicino al vecchio testo tradizionale ed è noto come salterio Gallicano perché adottato, dopo che nella liturgia irlandese, in quella della Gallia carolingia e di lì nella liturgia latina, dove venne sostituito da una nuova versione solo da Pio XII. Una nuova revisione sull’ebraico venne in seguito redatta da Girolamo. Nel 387, conosciuta l’Esaple di Origene, Girolamo si accinse a una revisione dell’A.T. latino secondo il testo greco dell’Esaple stessa. Di tale revisione sono restate porzioni importanti dei libri di Giobbe e Salomone oltre che i Salmi (v. sopra) e la prefazione ai Paralipomeni. Girolamo, del resto, non estese questa revisione agli altri libri, convinto che solo una traduzione dall’ebraico avesse significato. A partire dal 390 G. tradusse quindi dall’ebraico i quattro libri dei Re, i Profeti e i Salmi, quindi Giobbe. Nel 395 affrontò la traduzione di Esdra e Neemia, nel 396 i Paralipomeni, nel 398, in soli tre giorni, i Proverbi, l’Ecclesiaste e il Cantico; nel 405 i libri di Giosuè, Giudici, Rut ed Ester. Dei Deuterocanonici dell’A.T. Girolamo tradusse dall’aramaico i libri di Tobia e quello di Giuditta, rispettivamente in un giorno e una notte; dal greco le aggiunte di Ester e Daniele. Altre traduzioni Cronaca di Eusebio di Cesarea. L’originale greco è andato perduto. Girolamo la legge a Costantinopoli nel 380 e comincia a tradurla, completandola fino all’anno 378. Onomastica: Liber locorum e Liber nominum. Sono due liste di nomi ebraici, trascritti nella Bibbia dei Settanta senza una traduzione, che Girolamo completa rispetto al lavoro sviluppato su di essi da Eusebio. Il greco aveva ordinato i termini alfabeticamente, quindi secondo l’occorrenza nel racconto biblico, ne aveva fornito eventuali traduzioni esaplari corredandole di altri particolari miranti all’identificazione geografica. Girolamo integra alcuni dati ma rispetta complessivamente l’originale. De viris illustribus Composto nel 392-393. Il piano dell’opera, un manuale di patrologia, trae ispirazione da una parte da Svetonio, dall’altra dalla Storia ecclesiastica di Eusebio. Si tratta di 135 brevi biografie di scrittori cristianni con notizie tratte soprattutto da Eusebio. Diversi errori di interpretazione che tradiscono l’ignoranza almeno parziale della letteratura di cui si traccia la storia. Traduzioni di Origene Come già ricordato, Girolamo aveva conosciuto a Costantinopoli le opere del grande esegeta alessandrino attraverso Gregorio Nazianzeno. Ne divenne un attento ed entusiasta lettore prima, curioso traduttore, quindi, dopo qualche anno, polemico detrattore quanto meno delle tesi effettivamente riconosciute più tardi come eretiche. Di Origene Girolamo tradusse dapprima (381) 14 omelie su Geremia, quindi quelle su Ezechiele, in seguito (383) le due sul Cantico, le 39 su Luca nel 390, dopo il 392, quelle su Isaia. La traduzione dei quattro libri del Perì archòn, l’opera più importante di Origene, fu redatta nel 399 in risposta a quella di Rufino, nel pieno della polemica con Rufino stesso (vedi sotto). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 188 Opere polemiche Girolamo riconduce in genere ogni polemica sul terreno dell’esegesi ove ha più facile gioco sugli avversari. Utilizza spesso argomentazioni e modalità già di Tertulliano e Ireneo. Le tesi degli avversari sono spesso presentate in modo caricaturale. Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. Composta intorno al 381-82. Lucifero era un estremista niceno che era arrivato a uno scisma. Girolamo, legato indirettamente a Lucifero, vuole evitare ogni sospetto di collusione. Contro Elvidio. De perpetua virginitate beatae Mariae. E’ la risposta alle tesi di Elvidio, legato dell’ariano Aussenzio di Milano, secondo cui dopo la nascita di Cristo Maria sarebbe vissuta in matrimonio con Giuseppe e avrebbe avuto da questi diversi figli. Contro Gioviniano. Composto a Betlemme tra il 392 e il 393. Il monaco Gioviniano aveva sostenuto che la salvezza acquisita attraverso la redenzione di Cristo era per tutti eguale e che pratiche come la verginità, l’ascesi e in particolare il digiuno non avevano ragione d’essere. Le tesi di Gioviniano furono condannate nel 390 e 391 da papa Siricio e da Ambrogio. Girolamo conferma la condanna con l’esegesi della prima paolina ai Corinzi (7). Contra Iohannem Ierosolymitanum. Contro Giovanni di Gerusalemme. E’ la risposta di Girolamo a un’apologia inviata nel 396 dal vescovo di Gerusalemme Giovanni a Teofilo di Alessandria per esporgli rimostranze a carico di Girolamo stesso e di Epifanio. Girolamo illustra gli errori di Origene. Contra Rufinum o Apologia contra libros Rufini. Contro Rufino. I tre libri, composti i primi due tra il 401 e il 402, il terzo fra il 403 e il 404, raccolgono in toni duramente polemici e spesso puramente personali, le osservazioni di Girolamo contro Rufino in merito alla questione origeniana. Questa, come già ricordato, traeva spunto da una contesa dottrinale tra Epifanio e Giovanni di Gerusalemme, sfociata nel 393 nella richiesta da parte di Epifanio di considerare eretiche alcune tesi di Origene. Girolamo, per il passato grande estimatore e traduttore di Origene, aveva accettato tale richiesta; Rufino, invece, l’aveva rifiutata; in più, tra il 397 e il 398, aveva tradotto dal greco l’Apologia per Origene di Panfilo e in latino il trattato più importante di Origene, il Perì archòn (De principiis); di quest’opera aveva peraltro fornito una versione tesa appunto a difenderne l’ortodossia. Girolamo aveva risposto allora con una propria traduzione del Perì archòn, evidenziando le manipolazioni di Rufino e mettendolo in cattiva luce agli occhi di papa Anastasio. Rufino si difese in un’Apologia al papa (400/401) e in un’altra indirizzata a Girolamo (Apologia contra Hieronymum) nel 401/02, suscitando appunto la reazione alquanto scomposta di Girolamo che, lungi dal risolversi con quest’opera, si espresse ancora, attraverso diversi scritti, fin dopo la morte di Rufino. Contro Vigilanzio. Composto nel 406 contro il prete aquitano Vigilanzio, ospite di Girolamo a Betlemme nel 395, accusato di usi liturgici superstiziosi e di ostilità per il culto dei martiri, il digiuno e la verginità. Dialogo contro i Pelagiani. Composto nel 415, nel periodo compreso tra il sinodo di Gerusalemme e quello di Diospoli. L’anno precedente Girolamo ha già indirizzato a Pelagio l’epistola 133. Opere agiografiche F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 189 Caratteri delle biografie romanzate composte da Girolamo sono la commistione di elementi reali derivanti da esperienze personali, elementi di pura fantasia e tratti dell’ideale monastico orientale. Vita di Paolo di Tebe. Paolo di Tebe fu un eremita predecessore di Antonio. Appare un modello fantastico di eremita che Girolamo avrebbe voluto realizzare al suo primo contatto con l’esperienza nel “deserto” di Calcide negli anni 375-79. Vita di Ilarione. Ilarione di Gaza è figura storica, ma spesso ammantata di leggenda, come nel caso del suo presunto incontro con Antonio. Fu padre spirituale di Epifanio di Gaza. Volontà di Girolamo è quella di presentare un monaco taumaturgo, che vive a contatto con gli uomini. La biografia fu composta dopo i viaggi in Siria e in Egitto (386-90), durante il soggiorno a Betlemme. Vita di Malco. Malco, siro originario di Nisibi, sarebbe stato conosciuto da Girolamo a Maronia, vicino al deserto di Calcide, in Siria. Praticava vita di perfetta castità assieme a una donna. La biografia venne composta nel 390. Commemorazione della Santa Paola. Scritto in memoria della nobile romana e dedicata alla figlia Eustochio, è raccolta nell’epist. 108 del 404. Manuali De viris illustribus Christianis. Composto intorno al 392, è una galleria di 135 ritratti di scrittori cristiani. La fonte principale è Eusebio di Cesarea. Chronicon. E' la traduzione e rielaborazione, con aggiornamenti fino al 378, dell'opera di Eusebio di Cesarea. Gli interventi più significativi riguardano fatti e personaggi della storia romana sulla scorta, tra gli altri, di Svetonio, Eutropio, Aurelio Vittore. Epistolario L'epistolario raccoglie 154 lettere, fra cui 117 di G., le altre di corrispondenti. Alcune lettere hanno carattere monografico su specifici temi (traduzione, verginità, educazione ecc.) Osservazioni Testi e testimonianze Hier., vir.ill. 135 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 190 [0715B] 953 [j [0716D] Integrum nomen est Sophronius Eusebius Hieronymus, quemadmodum in uno alteroque Mediolanensi ms. germana ejus scripta continente invenimus.] Hieronymus patre Eusebio natus, oppido Stridonis, [k [0716D] Inter varias de Hieronymi patria sententias, quae nobis videatur caeteris praeferenda, in S. Doctoris Vita, quam ad postremum ejus operum Tomum distulimus, adductis argumentis ostendemus. Eruditi viri Strida oppidum pene dirutum in inferiori Hungaria intra Muram, et Dravum fluvios constituunt. Nec ab his longe recedunt, qui ad Saboriam flumen, ut Buno in Geograph. Cluerii, vel qui ad Saboriam itidem noti nominis in Hungaria oppidum [0717B] proxime collocant. Vastationem Dalmatiae, Pannoniaeque a Gothis illatam, Ammianus Marcellinus lib. XXXI, cap. 8, describit.] quod a Gothis eversum, Dalmatae quondam [0717A] Pannoniaeque confinium fuit, usque in praesentem annum, id est, Theodosii principis [a [0717B] Respondet, ut saepe diximus, Christi an. 392.] decimum quartum, haec scripsi: [b [0717B] Ex hac Vita tomum huncce alterum auspicamur.] Vitam Pauli monachi, [c [0717C] Eas facile innuit epistolas, quas cum Antiochiae ageret, et in eremo, tum in ipsa peregrinatione ad annum usque 383 ad diversos scripsit, quae primae juxta temporum seriem in nostra recensione occurrunt: tametsi aliquas ex iis intercidisse in generali Praefatione ostendimus.] Epistolarum ad diversos librum unum, [d [0717C] Haec quoque ex earum Epistolarum est numero, quae 14 locum in nostra recensione obtinet, circiter annum scripta 373. Seorsim vero ab ipso Auctore recensetur, quasi quidam Tractatus de solitariae vitae laudibus.] ad Heliodorum Exhortatoriam, [e [0717C] Hanc habes hoc ipso secundo tomo pag. 171. In aliis editionibus epistolae 59 locum implevit.] Altercationem Luciferiani et Orthodoxi, [f [0717C] Octavum, Deo dante, conficiet nostrae editionis tomum Chronicon istud, quod Hieron. ex Eusebio Latine est interpretatus, et a Vicennalibus Constantini M. ad annum usque 378 de suo produxit.] Chronicon omnimodae historiae; in Hieremiam et in Ezechiel Homilias Origenis [g [0717C] Universorum Hieronymi operum collectioni has quoque annectimus Homilias quatuordecim in Jeremiam, [0717D] totidemque in Ezechiel, ex Origenis Graeco Latine a S. Doctore explicatas, quae hactenus in Origenis operibus tantum editae sunt.] viginti octo, quas de Graeco in Latinum verti; de Seraphim, [h [0717D] Vulgati et Osanna pro de. Sunt autem duae ad Damasum epistolae, quarum prima de Seraphim anno 381 data, decima octava est in edit. nostra: altera vigesima, biennio post scripta.] de Osanna, et de [i [0717D] Nunc locum obtinet 21 eodem ac superior anno elucubrata.] frugi et luxurioso filiis; [j [0717D] Est ad eumdem Damasum trigesima sexta, anno scripta 384. Nam licet de quinque quaestionibus inscribatur, juxta quam S. Pontifex postulaverat, tres tamen solum explanat.] de tribus Quaestionibus Legis veteris, [k [0717D] Ex Origene in Latinum translatas, eidemque Damaso inscriptas, quas in subsequenti tertio tomo excudemus.] Homilias in Cantica canticorum duas, [l [0717D] Hunc libellum supra exhibuimus hoc ipso in tomo pag. 205. In aliis editionibus epistolis accensebatur [0718B] sub num. 35.] adversus Helvidium de virginitate Mariae perpetua, [m [0718B] Epistola vigesima secunda, cum in nostra, tum in antiquis editionibus.] ad Eustochium de virginitate servanda, [n [0718B] Puta sexdecim illas, quas continua propemodum serie a num. 23 incipientes, quinque aliis interjectis, [0718C] priori tomo repraesentamus: scriptas a S. Doctore cum Romae ageret an. 384.] ad Marcellam Epistolarum librum unum, [o [0718C] De obitu Blesillae inscribitur, estque numero 39, data eodem anno.] Consolatoriam de morte filiae ad Paulam, [p [0718C] Hosce in Pauli quatuor Epistolas Commentarios suis locis tomo septimo recensebimus. In Veronensi ms. nomen Commentariorum etiam ad Ephesios repetitur cum Graeco interprete.] in Epistolam Pauli ad Galatas commentariorum libros tres, item in Epistolam ad Ephesios libros tres, [0717B] in Epistolam ad Titum librum unum, in Epistolam ad Philemonem librum unum, [q [0718C] Damus tertio tomo quatuor subsequentes libros. Tamen verba de Locis librum unum, antiquariorum errore, ut nullus dubito, in Veronensi et Vatic. codicibus desiderantur.] in Ecclesiasten commentarios, Quaestionum hebraicarum in Genesim librum unum, de Locis librum unum, hebraicorum nominum 955 librum unum; de Spiritu sancto Didymi, quem in Latinum transtuli, [r [0718C] Hactenus male in tres dispertitus: quem nos pristinae integritati restitutum, hoc ipso tomo secundo exhibuimus pag. 105. Didymi Graecus textus intercidit.] librum unum; in Lucam homilias [s [0718C] Hasce triginta novem Homilias in Lucam, deperdito jam Origenis Graeco textu, S. Hieronymi operibus accensebimus suo loco post Commentarios [0718D] in Matthaeum.] triginta novem; in Psalmos, a decimo usque ad decimum sextum, [t [0718D] Hi septem in Psalmos Tractatus ut perirent, effecit interpolatoris punienda manus. Breviarium enim in omnes Psalmos, quod sub Hieronymi nomine habemus, ut supposititium fetum esse, non dubium est; ita omnino par est credere, ex genuinis Hieronymi in quosdam Psalmos Commentariis excerpta huc illucque distracta continere. Vide quae in generali Praefatione numeris 21 et 22 hac de re fusius disputamus.] tractatus septem; [u [0718D] Malchi nomen mss. quibus utimur, tum vulgati aliquot et Graecus interpres non agnoscunt. Rectius alii Captivum Monachum, et vita Beati Hilarionis, etc. Duo haec opuscula sub initium hujusce tomi post Pauli Vitam excudimus. Olim inter Epistolas quinquagesimum primum et secundum locum obtinebant.] Malchi, captivi monachi, vitam, et beati Hilarionis. [v [0718D] Quid hoc operis fuerit, ab ipso Auctore praestat [0719A] ediscere in ejus nuncupatione ad Damasum Evangeliis praefixa: Praesens, inquit, Praefatiuncula pollicetur quatuor tantum Evangelia, quorum ordo est iste, Matthaeus, Marcus, Lucas, Joannes, codicum Graecorum emendata collatione, sed veterum. Quae ne multum a lectionis Latinae consuetudine discreparent, ita calamo temperavimus, ut his tantum, quae sensum videbantur mutare, correctis, reliqua manere pateremur ut fuerant. Si eamdem operam F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 191 caeteris Novi Testamenti libris impendit, quod mihi sane non usque adeo compertum est, ut cum vulgo eruditis valde affirmem; certe, quod a Hieronymi ingenio longe est [0719B] alienum, ejusmodi Praefatione nulla laboris sui lectorem admonuit.] Novum Testamentum Graece fidei reddidi, [0719A] [a [0719B] Isthaec vero Vetus juxta Hebraicum transtuli, in Veronensi ms. non sunt. Nec profecto universum vetus Testamentum, sed quasdam duntaxat ejus partes per haec tempora ex Hebraeo fuerat interpretatus. Puta Regum libros, ut ex ejus Praefatione liquet; tum Prophetas et Psalterium, ut ex superiore capite de Sophronio; quibus si addideris Jobum quoque, alios tamen nondum attigisse fatendum est. Verum quemadmodum Evangelia Novum Testamentum modo appellaverat; sic Vetus simpliciter aliquot ejus partes dixit, maxime cum et reliquis eamdem operam impendere in animo constituisset.] Vetus juxta Hebraicam transtuli; Epistolarum autem [b [0719B] Tres modo ad Paulam, nec plures ad Eustochium superant; multaeque adeo interciderint, si quas seorsim iis dedit, putemus innui. Verum opinari licet, eas quoque in hunc censum referendas, quae plures impendio sunt, et libris ad illas a se inscriptis [0719C] Praefationis loco praefixit.] ad Paulam et Eustochium, quia quotidie scribuntur, incertus est numerus. Scripsi praeterea in Michaeam explanationum libros duos, [c [0719C [c [0719C] In Sophoniam liber, qui a Graeco interprete post Habacuc recensetur, in Vaticano, et a S. Crucis codicibus ultimo loco ponitur post Aggaeum. Sed quo haec ordine edisseruerit, docet ipse Hieronymus satis luculenter, Praefat. lib. III in Amos: Non enim, inquit, a primo usque ad novissimum juxta ordinem quo leguntur, sed ut potuimus, et ut rogati sumus, ita eos disseruimus. Nahum, Michaeam, Sophoniam et Aggaeum primo filoponwtavtaiû Paulae ejusque filiae Eustochio prosefwvnhsa. Secundo in Habacuc duos libros Chromatio Aquileiensi episcopo delegavi, etc. in Sophoniam librum unum, in Nahum librum unum, in Habacuc libros duos, in Aggaeum librum unum. Multaque alia de opere prophetali, quae nunc habeo in manibus, et [d [0720A] Necdum expleta sunt. Addunt editi libri: Adversum Jovinianum libros duos, et ad Pammachium Apologeticum et Epitaphium. In ms. autem codice Cluniacensi legimus: Item post hunc librum dedicatum, contra Jovinianum haereticum libros duos, et Apologeticum ad Pammachium. Post editum itaque librum de Scriptoribus Ecclesiasticis, scripsit Hieronymus adversus Jovinianum, uti exploratum nobis est, Praef. Comment. in Jonam: Triennium, inquit, circiter fluxit, postquam quinque Prophetas interpretatus sum, Michaeam, Nahum, Habacuc, Sophoniam, Aggaeum; et alio opere detentus non potui implere quod coeperam: [0720B] Scripsi enim librum de Illustribus Viris, et adversum Jovinianum duo volumina; Apologeticum quoque, etc. Ad calcem hujus libri additus est perperam liber Gennadii Massiliensis, quasi supplementum opusculi S. Hieronymi: nos vero genuina solummodo in hoc tomo retinentes, aliena et supposititia abjecimus in tomum V, ubi Gennadium edidimus ex vetustissimo ms. codice Corbeiensi, nunc Sangermanensi, num, 142. Consule igitur volumen ipsum in tomo V nostrae editionis. Caeterum diversa diversorum exscriptorum additamenta neglexi; quia haec indigna censeo, quae typis vulgata prodeant in lucem. MARTIAN. —In haec verba Expleta sunt, omnes desinunt, quos consuluimus mss. libri, et quos Martianaeus: qui tamen annotat in cod. Cluniacensi, haec addi. Item post hunc librum dedicatum, contra Jovinianum haereticum libros duos, etc., quae adeo uncinis inclusa ex vulgatis plerisque, et Graeco interprete retinemus. At vero [0720C] nihil dubitamus, ab alia manu fuisse assuta ex his Praefation. Commentariorum in Jonam verbis: Triennium circiter fluxit, postquam quinque Prophetas interpretatus sum, Michaeam, Nahum, Habacuc, Sophoniam et Aggaeum, et alio opere detentus non potui implere quod coeperam. Scripsi enim librum de Illustribus Viris, et adversum Jovinianum duo volumina, Apologeticum quoque, et de Optimo genere interpretandi ad Pammachium, et ad Nepotianum, vel de Nepotiano (scilicet de Vita Clericorum et Epitaphium) duos libros, et alia, quae enumerare longum est.] necdum expleta sunt. Adversus Jovinianum libros duos, et ad Pammachium Apologeticum et Epitaphium. Io, Girolamo, figlio d'Eusebio, nacqui nella città di Stridone, città che fu distrutta dai Goti e segnava un tempo la linea di confine tra la Dalmazia e la Pannonia. Fino al corrente anno, quattordicesimo dell'imperatore Teodosio, ho scritto le seguenti opere: la Vita di san Paolo eremita, un libro di Lettere a diversi destinatari, una Lettera di esortazione ad Eliodoro; l'Altercatio Luciferiani et Orthodoxi; una Cronaca di storia universale; le ventotto Omelie di Origene su Geremia e su Ezechiele, che ho tradotto dal greco in latino; i commenti relativi ai Serafini, all'Osanna, ai Due figli, l'uno sobrio e l'altro prodigo; uno scritto Su tre questioni dell'Antico Testamento; due Omelie sul Cantico dei Cantici; il trattato Contro Elvidio sulla perpetua verginità di Maria; la lettera Ad Eustochio sul modo di conservare la verginità; un libro di Lettere a Marcella 16; una Lettera di consolazione a Paola per la morte della figlia; tre libri di Commenti sull’epistola di San Paolo ai Galati; così pure, tre libri di Commenti sull’epistola agli Efesini; un libro sull’Epistola a Tito; un altro Sull’epistola a Filemone; Commenti all’ Ecclesiaste; un libro di Questioni Ebraiche sulla Genesi così pure, tre libri di Commenti sull’Epistola agli Efesini; un libro Sull’Epistola a Tito; un altro sull’ Epistola a Filemone; Commenti all’Ecclesiaste; un libro di Questioni ebraiche sulla Genesi, il libro dei luoghi; quello dei Nomi ebraici; un trattato Sullo Spirito Santo di Didimo, da me tradotto in latino; trentanove Omelie sul Vangelo di Luca; sette Trattati sui Salmi 10-16 23; la Vita del beato Ilarione. Ho reso fedele il Nuovo Testamento all'originale greco, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 192 e ho tradotto l'Antico Testamento dall'ebraico. Imprecisata poi è la serie di lettere indirizzate, si può dire ogni giorno, A Paola ed Eustochio. Inoltre, ho composto i seguenti commenti: due libri Su Michea, un altro Su Naum, due libri Su Abacuc, un libro Su Sofronia, un libro Su Aggeo. Altre numerose opere sugli scritti dei Profeti, le ho ancora tra le mani, in via di preparazione. Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000. Cass., Hieronymus presbyter in Bethleem positus toto mundo mirabilis habetur. Controllo testo e riferimento Cassiodoro. Cassiod., inst., 1,12 2. Sciendum est plane sanctum Hieronymum ideo diversorum translationes legisse atque correxisse, eo quod auctoritati Hebraicae nequaquam eas perspiceret consonare. unde factum est ut omnes libros veteris Testamenti diligenti cura in Latinum sermonem de Hebreo fonte transfunderet, et ad viginti duarum litterarum modum qui apud Hebreos manet competenter adduceret, per quas omnis sapientia discitur et memoria dictorum in aevum scripta servatur. huic etiam adiecti sunt novi Testamenti libri viginti septem; qui colliguntur simul quadraginta novem. cui numero adde omnipotentem et indivisibilem Trinitatem, per quam haec facta et propter quam ista praedicta sunt, et quinquagenarius numerus indubitanter efficitur, quia ad instar iubelei anni magna pietate beneficii debita relaxat et pure paenitenrium peccata dissolvit. 3. Hunc autem pandectem propter copiam lectionis minutiore manu in senionibus quinquaginta tribus aestimavimus conscribendum, ut quod lectio copiosa tetendit scripturae densitas adunata contraheret. 4. Meminisse autem debemus memoratum Hieronymum omnem translationem suam in auctoritate divina, sicut ipse testatur, propter simplicitatem fratrum colis et commatibus ordinasse; ut qui distinctiones saecularium litterarum comprehendere minime potuerunt, hoc remedio suffulti inculpabiliter pronuntiarent sacratissimas lectiones. Cass., inst., 1,21. Giudizio di Cassiodoro su Girolamo Institutiones IntraText CT - Text LIBER I. XXI. De sancto Hieronymo. 1. Beatus etiam Hieronymus, Latinae linguae dilatator eximius, - qui nobis in translatione divinae Scripturae tantum praestitit, ut ad Hebreum fontem paene non egeamus accedere, quando nos facundiae suae multa cognoscitur ubertate satiasse, - plurimis libris, copiosis epistulis fecit beatos, quibus scribere Domino praestante dignatus est. planus, doctus, dulcis parata copia sermonum ad quamcumque partem convertit ingenium: modo humilibus suaviter blanditur, modo superborum colla confringit, modo derogatoribus suis vicem necessaria mordacitate restituens, modo virginitatem praedicans, modo matrimonia casta defendens, modo virtutum certamina gloriosa collaudans, modo lapsus in clericis atque monachis pravitatis accusans. sed tamen, ubicumque se locus attulit, gentilium exempla dulcissima varietate permiscuit, totum explicans, totum exornans, et per diversa disputationum genera disertus semper et aequalis incedens. nam cum aliquos libros magna ubertate protendat, tamen pro dulcedine dictorum finis eius semper ingratus est. quem in Bethleem habitasse, otiosum fuisse non arbitror, nisi ut in terra illa miraculorum ad instar solis eius quoque ab Oriente nobis lamparet eloquium. 2. Is epistulam suam ad Paulinum ex senatore presbyterum mirificam destinavit, docens quemammodum Scripturas divinas adhibita cautela perlegeret, ubi breviter virtutem uniuscuiusque libri veteris et novi Testamenti mirabiliter indicavit. quem si ante repperissem, eloquentiae ipsius cedens contentus fortasse fueram de eadem parte nihil dicere. sed quia et ille alia et nos diversa in opere iam confecto Domino largiente conscripseramus, credo quod lector diligens et in hoc opusculo non inutiliter occupetur. ille enim F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 193 scripsit ad divinae legis novum lectorem, qui tamen erat litteris saecularibus eruditus, ut etiam librum de Theodosio principe prudenter ornateque confecerit; nec illa tempestate, ut datur intellegi, tantos scriptores suae partis habuit, quos eum in ordinem legere commoneret, quoniam illo tempore milites Christi in gymnasio legis divinae salutari adhuc sudore laborabant, inter quos et ipse postea multa conscripsit. nobis vero fuit causa diversa, primum quod ad fratres simplices et impolitos scripsimis instruendos, ut per multos auctores, qui iam nostra aetate declarati sunt, caelestium Scripturarum plenitudine compleantur, ut non tam ex nobis, qui huius rei pauperes sumus, quam ex copiosis et antiquis Patribus laudabiliter imbuantur. sed ne aliquid eis deesse possit, qui ad studia huius saeculi non fuerunt, tam de artibus quam de disciplinis saecularium litterarum in secundo volumine breviter credidimus ammonendos, ut simplicibus viris famuletur et mundanarum peritia litterarum, quae praeter additamenta quorundam doctorum ab Scripturis divinis cognoscitur esse progressa. ita fit ut nec vituperatio de nova praesumptione nos carpiat, et de parvulo nimis obsequio gritiae forsitan momenta proveniant. XXI. SU SAN GIROLAMO 1. Anche san Girolamo, esimio propagatore della lingua latina - tanto ci è stato di aiuto nella traduzione della sacra Scrittura che quasi non abbiamo bisogno di ricorrere alla fonte ebraica, consapevoli di essere stati saziati dalla grande ricchezza della sua eloquenza - ci ha resi santi con numerosi libri e con abbondanti lettere, che con l'aiuto del Signore si è degnato di scrivere. Chiaro, erudito, dolce egli ha rivolto il suo ingegno in ogni direzione con pronta ricchezza di stile. Ora incanta piacevolmente gli umili, ora spezza i colli dei superbi, ora ripagando con la debita mordacità i suoi detrattori, ora raccomandando la verginità, ora difendendo i casti matrimoni, ora lodando i gloriosi combattimenti delle virtù, ora accusando le cadute del vizio nei sacerdoti e nei monaci. Ma tutte le volte che gli si è presentata l'occasione ha inserito una dilettevole varietà di esempi pagani, spiegando tutto, ornando tutto e procedendo attraverso diversi generi di dispute in maniera sempre ordinata e regolare. Infatti, sebbene allunghi alcuni libri con grande facondia, tuttavia, per la dolcezza delle sue parole, la loro fine reca sempre rammarico. Ritengo che egli sia vissuto a Betlemme e vi sia rimasto operoso al solo scopo di far risplendere in quella terra di miracoli il suo eloquio per noi come sole che sorge dall'Oriente. 2. Egli ha indirizzato una straordinaria lettera a Paolino, divenuto presbitero dopo essere stato senatore, nella quale gli ha spiegato il modo in cui con la debita cautela si debbono leggere le sacre Scritture ed ha indicato brevemente, ma mirabilmente il valore di ogni libro dell'antico e del nuovo Testamento. Se avessi trovato prima questa lettera, io sarei rimasto soddisfatto dalla stia eloquenza e non avrei aggiunto nulla a tal proposito. Ma poiché le nostre osservazioni, che avevamo scritto nell'opera ormai finita con l'aiuto di Dio, sono diverse dalle sue, credo che il lettore diligente non senza profitto si impegnerà nella lettura di questa opera. Egli, infatti, ha scritto per un lettore non istruito nella legge divina, ma era comunque erudito nelle lettere secolari da poter scrivere in maniera accorta ed elegante anche un libro sull'imperatore Teodosio. In quel tempo come si sa, egli non aveva a disposizione tanti scrittori del suo paese, che poteva esortare a leggere uno dopo l'altro, poiché allora i soldati di Cristo si adoperavano, con la fatica che porta la salvezza, nella scuola salutare della legge divina. In mezzo a loro anch'egli in seguito ha scritto molto. Diversi sono stati nel nostro caso i motivi: abbiamo scritto innanzitutto per istruire i fratelli semplici e incolti, affinché essi attraverso molti autori, ormai ben spiegati all'epoca nostra, fossero resi pienamente edotti nella Scrittura celeste e venissero lodevolmente istruiti non tanto da noi che siamo poveri in questa materia, quanto dagli antichi Padri che in essa erano invece ricchi. Ma affinché non possa mancare nulla a coloro che non sono pervenuti agli studi secolari, abbiamo creduto di doverli istruire brevemente, nel secondo libro, tanto sulle arti quanto sulle discipline delle lettere secolari, affinché alle persone semplici sia di aiuto anche la conoscenza delle lettere secolari, la quale, al di là delle aggiunte da parte di alcuni maestri, è notoriamente derivata dalle sacre Scritture. Così risulta che non siamo biasimati per la nostra nuova presunzione e momenti di grazia potrebbero peraltro giungere da questo nostro piccolissimo possesso di umiltà. Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV] Hier., epist., 27. [Intratext?] Girolamo difende le sue correzioni dei testi sacri Post priorem epistolam, in qua de Hebraeis verbis pauca perstrinxeram, ad me repente perlatum est, quosdam homunculos mihi studiose detrahere, cur adversum auctoritatem veterum, et totius mundi F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 194 opinionem, aliqua in Evangeliis emendare tentaverim. Quos ego cum possem meo iure contemnere (Asino quippe lyra superflue canit) tamen ne nos superbiae, ut facere solent, arguant ita responsum habeant: Non adeo me hebetis fuisse cordis, et tam erasse rusticitatis (quam illi solam pro sanctitate habent, piscatorum se discipulos asserentes, quasi idcirco sancti sint, si nihil scierint) ut aliquid de Dominicis verbis, aut corrigendum putaverim, aut non divinitus inspiratum; sed Latinorum codicum vitiositatem, quae ex diversitate librorum omnium comprobatur, ad Graecam originem, unde et ipsi translata non denegant, voluisse revocare. quibus si displicet fontis unda purissimi, caenosos riuulos bibant et diligentiam, qua auium saliuas et concarum gurgites norunt, in scripturis legendis abiciant sint que in hac tantum re simplices et christi uerba aestiment rusticana, in quibus per tanta iam saecula tantorum ingenia sudauerunt, ut rationem uerbi uniuscuiusque magis opinati sint, quam expresserint; apostolum arguant inperitiae, qui ob multas litteras insanire dicatur. scio te, cum ista legeris, rugare frontem et libertatem rursum seminarium timere rixarum ac meum, si fieri potest, os digito uelle conprimere, ne audeam dicere, quae alii facere non erubescunt. rogo, quid a nobis libere dictum est? numquid in lancibus idola caelata descripsi? numquid inter epulas christianas uirginalibus oculis baccharum satyrorum que conplexus? num quam amarior sermo pulsauit? numquid ex mendicis diuites fieri dolui? numquid reprehendi hereditarias sepulturas? unum miser locutus sum, quod uirgines saepius deberent cum mulieribus esse, quam cum masculis: totius oculos urbis offendi, cunctorum digitis notor. multiplicati sunt super capillos capitis mei, qui oderunt me gratis, et factus sum eis in parabolam, et tu putas aliqua deinceps esse dicturum? uerum, ne flaccus de nobis rideat - amphora coepit institui: currente rota cur urceus exit? -, reuertimur ad nostros bipedes asellos et in eorum aurem bucina magis quam cithara concrepamus. illi legant: spe gaudentes, tempori seruientes, nos legamus: spe gaudentes, domino seruientes; illi aduersus presbyterum accusationem omnino non putent recipiendam, nos legamus: aduersus presbyterum accusationem ne receperis, nisi sub duobus aut tribus testibus; peccantes autem coram omnibus argue; illis placeat: humanus sermo et omni acceptione dignus, nos cum graecis, id est cum apostolo, qui graece est locutus, erremus: fideli sermo et omni acceptione dignus. ad extremum illi gaudeant gallicis canteriis, nos solutus uinculis et in saluatoris mysterium praeparatus zachariae asellus ille delectet, qui, postquam domino terga praebuit, coepit esaiae consonare praeconio: beatus, qui seminat secus omnem aquam, ubi bos et asinus calcant. 1. Ti avevo appena scritto la mia prima lettera in cui, stringatamente, avevo spiegato alcune parole ebraiche, quando inaspettatamente mi viene riferito che alcuni uomini di poco conto mi criticano acerbamente. E perché? Contro l'autorità degli antichi e l'opinione di tutti io avrei cercato di fare alcune modifiche ai Vangeli! Di tipi simili potrei non curarmene affatto, e a buon diritto (è sempre vero che per un asino la lira suona inutilmente)! Ma per non sentirmi ridire che sono superbo, com'è loro uso, incassino questa risposta: penso di non avere uno spirito così ottuso e di non essere così grossolanamente zotico (è l'unica qualità che essi credono santità, ritenendosi discepoli dei pescatori (1); quasi che l'essere del tutto ignoranti li costituisca giusti), fino al punto d'azzardarmi a correggere in qualche modo la parola del Signore o da non crederla ispirata da Dio. Ho solo voluto riportare la cattiva traduzione dei codici latini - provata chiaramente dalle divergenze che si riscontrano in tutti i libri - all'origínale greco, da cui - essi pure l'ammettono - erano stati tradotti. Ma se non riescono a gustare l'acqua di questa sorgente purissima, continuino pure a bere ai ruscelli torbidi; leggendo la Scrittura, rinuncino alla meticolosità che li ha resi intenditori nel gustare piatti di uccelli e le qualità di conchiglie marine; soltanto in questo campo siano semplici, e prendano all'ingrosso le parole di Cristo su cui già da parecchi secoli non poche menti geniali hanno versato sudore, senza arrivare ad altro che a fare congetture, più che a esprimere con esattezza il significato di ogni parola! Perché non accusano anche di incapacità quell'Apostolo (2) che è stato giudicato pazzo, solo perché era molto dotto? 2. Sono certo che quando leggi questa lettera corrughi la fronte: temi che questa franchezza sia motivo di nuove dispute, è vero? E so che, se potessi farlo, vorresti chiudermi la bocca con le tue dita per non farmi denunziare le cose che altri non arrossiscono a fare: Ma ti prego, che ho detto mai per mio capriccio? Ho forse fatto descrizioni di idoli dipinti su piatti? O forse ho messo davanti ad occhi di vergini, in un convito cristiano, gli abbracci tra Baccanti e Satiri? Forse che un discorso piuttosto amaro ha sconvolto qualcuno? Mi sono dispiaciuto forse che dei mendicanti si siano arricchiti? Ho biasimato le sepolture ereditarie? (3). No, questo poveretto non ha detto che una sola cosa: che le vergini dovrebbero trovarsi più frequentemente con le donne che con gli uomini! (4). E così ha offeso la dignità di tutta Roma: ognuno lo segna a dito. «Sono più F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 195 numerosi dei capelli del mio capo quelli che mi avversano a torto, e sono diventato per essi oggetto di scherno». E tu pensi che debba ancora aggiungere altro? 3. Ma non voglio essere canzonato da Orazio («si aveva intenzione di modellare un'anfora; dalla ruota che gira, perché è uscita una brocca?») 3. Ritorno ai nostri somaretti a due gambe, per soffiare nei loro timpani con un corno da caccia, anziché con la cetra. Leggano pure, loro: «gioiosi nella speranza, servendo il tempo»; noi vi leggiamo: «gioiosi nella speranza, serviamo il Signore». Pensino pure, questi signori, che non si debba assolutamente accogliere un'accusa contro un sacerdote; noi leggiamo: «Non accettare un'accusa contro un sacerdote se non alla presenza di due o tre testimoni, ma i peccatori riprendili pubblicamente». Se ad essi piace: «linguaggio umano e degno di essere pienamente creduto», noi preferiamo prendere cantonate, ma stare con i Greci (con l'Apostolo, cioè, che si esprimeva in greco), leggendo: «linguaggio veritiero e degno di essere pienamente creduto». Per finire: se essi sono contenti di mutilare i testi come fanno i Galli coi cavalli, a noi va a genio il somarello citato da Zaccaria (5), senza cavezza e preparato per il mistero del Salvatore. Lui, dopo aver offerto il suo dorso al Signore, cominciò a dar ragione al vaticinio di Isaia: «Beato chi semina lungo il corso dei ruscelli, dove il bue e l'asino calpestano il terreno» Trad. S. Cola, Roma, Città Nuova, 1996 [BCTV] Hier., epist., 57. Traduzione letterale o a senso? riportare per intero la lettera? meglio! ad pammachium de optimo genere interpretandi. paulus apostolus praesente agrippa rege de criminibus responsurus, quae posset intellegere, qui auditurus erat, securus de causae uictoria statim in principio gratulatur dicens: de omnibus, quibus accusor a iudaeis, o rex agrippa, aestimo me beatum, cum apud te sim hodie defendendus, qui praecipue nosti cunctas, quae in iudaeis sunt, consuetudines et quaestiones. legerat enim illud esaiae: beatus, qui in aures loquitur audientis, et nouerat tantum oratoris uerba proficere, quantum iudicis prudentia cognouisset. unde et ego beatum me in hoc dumtaxat negotio iudico, quid apud eruditas aures inperitae linguae responsurus sum, quae obicit mihi uel ignorantiam uel mendacium, si aut nesciui alienas litteras uere interpretari aut nolui: quorum alterum error, alterum crimen est. ac ne forsitan accusator meus facilitate, qua cuncta loquitur, et inpunitate, qua sibi licere omnia putat, me quoque apud uos argueret, ut papam epiphanium criminatus est, hanc epistulam misi, quae te et per te alios, qui nos amare dignantur, rei ordinem doceat. ante hoc ferme biennium miserat iohanni episcopo supra dictus papa epiphanius litteras arguens eum in quibusdam dogmatibus et postea clementer ad paenitentiam prouocans. harum exemplaria certatim palaestinae rapiebantur uel ob auctoris meritum uel ob elegantiam scriptionis. erat in monasteriolo nostro uir apud suos haut ignobilis, eusebius cremonensis, qui, cum haec epistula per multorum ora uolitaret et mirarentur eam pro doctrina et puritate sermonis docti pariter et indocti, coepit a me obnixe petere, ut sibi eam in latinum uerterem et propter intellegendi facilitatem apertius explicarem; graeci enim eloquii penitus ignarus erat. feci, quod uoluit; accito notario raptim celeriter que dictaui ex latere in pagina breuiter adnotans, quem intrinsecus sensum singula capita continerent - siquidem et hoc, ut sibi soli facerem, oppido flagitarat postulaui que ab eo mutuo, ut domi haberet exemplar nec facile in uulgus proderet. res ita anno et sex mensibus transiit, donec supra dicta interpretatio de scriniis eius nouo praestrigio hierosolymam conmigrauit. nam quidam pseudomonachus uel accepta pecunia, ut perspicue intellegi datur, uel gratuita malitia, ut incassum corruptor nititur persuadere, conpilatis chartis eius et sumptibus iudas factus est proditor dedit que aduersariis latrandi contra me occasionem, ut inter inperitos contionentur me falsarium, me uerbum non expressisse de uerbo, pro 'honorabili' dixisse 'carissimum' et maligna interpretatione - quod nefas dictu sit g-aidesimôtaton noluisse transferre. haec et istius modi nugae crimina mea sunt. ac primum, antequam de translatione respondeam, uolo interrogare eos, qui malitiam prudentiam uocant: unde apud uos exemplar epistulae? quis dedit? qua fronte profertis, quod scelere redemistis? quid apud homines tutum erit, si nec parietibus quidem et scriniis nostra possumus secreta celare? F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 196 si ante tribunalia iudicum hoc uobis crimen inpingerem, reos legibus subiugarem, quae etiam pro utilitate fisci delatoribus poenam statuunt et, cum suscipiant proditionem, damnant proditorem. lucrum uidelicet placet, uoluntas displicet. dudum hesychium, uirum consularem, contra quem patriarcha gamalihel grauissimas exercuit inimicitias, theodosius princeps capite damnauit, quod sollicitato notario chartas illius inuasisset. legimus in ueteribus historiis ludi magistrum, qui faliscorum liberos prodiderat, uinctum pueris traditum et ad eos, quos prodebat, remissum nec sceleratam populum romanum suscepisse uictoriam. pyrrum, epirotarum regem, cum in castris ex uulnere curaretur, medici sui proditione interfici nefas duxit fabricius, quin potius uinctum remisit ad dominum, ut scelus nec in aduersario conprobaret. quod leges publicae, quod hostes tuentur, quod inter bella et gladios sanctum est, hoc nobis inter monachos et sacerdotes christi intutum fuit. et audet quidam ex eis adducto supercilio et concrepantibus digitis eructare et dicere: 'quid enim, si redemit, si sollicitauit? fecit, quod sibi profuit'. mira sceleris defensio! quasi non et latrones et fures ac piratae faciant, quod sibi prodest. certe annas et caiphas seducentes infelicem iudam fecerunt, quod sibi utile existimabant. uolo in chartulis meis quaslibet ineptias scribere, commentari de scripturis, remordere laedentes, digerere stomachum, in locis me exercere communibus et quasi limitas ad pugnandum sagittas reponere: quamdiu non profero cogitata, et maledicta non crimina sunt, immo ne maledicta quidem, quae aures publicae nesciunt. tu corrumpas seruulos, sollicites clientes et, ut in fabulis legimus, auro ad danaen penetres dissimulato que, quod feceris, me falsarium uoces, cum multo peius crimen accusando in te confitearis, quam in me arguis? alius te hereticum, alius insimulat dogmatum peruersorum: taces, ipsi respondere non audes, interpretem laceras, de syllabis calumniaris et totam defensionem tui putas, si tacenti detrahas. finge in transferendo uel errasse uel intermisisse me quippiam - hic totus tui negotii cardo uersatur, haec tua est defensio -: num idcirco tu non es hereticus, si ego malus interpres sim? nec hoc dico, quo te hereticum nouerim - sciat ille, qui accusauit, nouerit ille, qui scripsit - sed quo stultissimum sit accusatum ab alio alium criminari et confosso undique corpore de dormientis uulnere solacium quaerere. hactenus sic locutus sum, quasi aliquid de epistula commutarim et simplex translatio possit errorem habere, non crimen. nunc uero, cum ipsa epistula doceat nihil mutatum esse de sensu nec res additas nec aliquod dogma confictum, faciunt ne intellegendo, ut nihil intellegant, et, dum alienam inperitiam uolunt coarguere, suam produnt. Ego enim non solum fateor, sed libera voce profiteor, me in interpretatione Graecorum, absque Scripturis sanctis, ubi et verborum ordo mysterium est, non verbum e verbo, sed sensum exprimere de sensu. Habeoque huius rei magistrum Tullium, qui Protagoram Platonis, et Oeconomicon Xenophontis et Aeschinis ac Demosthenis duas contra se orationes pulcherrimas transtulit. Quanta in illis praetermiserit, quanta addiderit, quanta mutaverit, ut proprietates alterius linguae, suis proprietatibus explicaret, non est huius temporis dicere. Sufficit mihi ipsius translatoris auctoritas, qui ita in Prologo earumdem orationum locutus est: "Putavi mihi suscipiendum laborem utilem studiosis, mihi quidem ipsi non necessarium. Converti enim ex Atticis duorum eloquentissimorum nobilissimas orationes, inter seque contrarias, Aeschinis et Demosthenis: nec converti, ut interpres, sed ut Orator, sententiis iisdem et earum formis, tam figuris quam verbis ad nostram consuetudinem aptis. In quibus non verbum pro verbo necesse habui reddere: sed genus omne verborum vimque servavi. Non enim me annumerare ea lectori putavi oportere, sed tanquam appendere". Rursum in calce sermonis: "Quorum ego, ait, orationes, si, ut spero, ita expressero, virtutibus utens illorum omnibus, id est sententiis, et earum figuris, et rerum ordine: verba persequens eatenus, ut ea non abhorreant amore nostro. Quae si e Graecis omnia conversa non erunt: tamen ut generis eiusdem sint, elaboravimus". l. Alla presenza del re Agrippa l'apostolo Paolo stava per iniziare la sua autodifesa intorno a vari capi d'accusa, in modo da farsi ben capire da lui che desiderava ascoltarlo. Con la certezza di riportar vittoria in quel processo, se ne congratula con se stesso già subito all'inizio, e fa questo prologo: «Di tutte le accuse che mi fanno i Giudei, o re Agrippa, mi ritengo felice di poter oggi difendermi davanti a te, che hai una competenza particolare su tutte le consuetudini e qu estioni che ci sono fra i Giudei». Aveva letto, infatti, questo passo di Isaia: «Fortunato chi può parlare alle orecchie di uno che ti ascolti», e sapeva che le parole d'un oratore hanno successo in proporzione di quanto la saggezza F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 197 d'un giudice le apprezza. Capisci allora perché anch'io mi ritengo fortunato, almeno in questa circostanza: è di fronte ad una persona intelligente che sto per difendermi contro le parole d'un incompetente che mi rinfaccia d'essere o un ignorante o un bugiardo, secondo il caso, se cioè non ho saputo tradurre esattamente la lettera d'un altro oppure se non ho voluto. Comunque nella prima ipotesi si tratterebbe di aver sbagliato, nella seconda di vigliaccheria. Nel timore, pertanto, che il mio teste d'accusa - data la facilità di parola che lo autorizza a parlar di tutto, e l'impunità di cui gode per cui crede gli sia lecita ogni cosa - abbia a denunciare anche me presso di te (come già ha incriminato papa Epifanio), ti ho mandato la presente lettera per metterti al corrente di tutt o l'affare come s'è svolto, e non solo te, ma - attraverso te - anche le altre persone che mi degnano del loro affetto. 2. Sono passati circa due anni da quando il suddetto papa Epifanio aveva mandato una lettera al vescovo Giovanni, contenente nella prima parte delle accuse a proposito di alcune opinioni riguardanti la fede, e nella seconda un invito mi,cricordioso a farne penitenza. Le copie di questa lettera in Palestina andavano a ruba sia a motivo della stima dell'autore, sia per l'eleganza dello stile . Nel mio monastero viveva un uomo tenuto in non poca considerazione nel suo ambiente, Eusebio di Cremona. Dato che la lettera in questione passava di bocca in bocca in una cerchia di persone abbastanza vasta, e tanto gli uominí cli cultura quanto i meno i struiti l'ammiravano dal punto dii vista dottrinale e della purezza stilistica, cominciò a farmi insistenza perché gliela traducessi in latino, in modo da facilitargliene la comprensione adattandola alla sua portata. Il greco, inlntti, lui non lo masticava per niente. Lo accontentai nel suo desiderio. presi uno scrivano e gli dettai la traduzione, così, a volo, piuttosto in fretta. Aggiunsi alle pagine brevi note marginali per spiegare il senso di ogni paragrafo, dato che mi aveva pregato che glielo facessi assolutamente, ad uso esclusivamente personale. Per contropartita io gli avevo chiesto di tenersi questa copia in casa, di non metterla con troppa leggerezza sotto gli occhi altrui. Tutto andò liscio per un anno e sei mesi, fino a che detta traduzione, per chissà quale nuovo gioco di prestigio, dalla sua biblioteca arrivò a Gerusalemme. E difatti una specie di falsario vestito da monaco o dietro offerta di denaro -- come lo si fa chiaramente capire -, o per cattiveria tutta gratuita - come cerca con ogni mezzo di convincerci chi l'ha subornato -, dopo aver trafugato quei fogli e ricevuto la ricompensa, s'è fatto un traditore come Giuda. Ha dato così modo ai miei avversari di darmi addosso, di accusarmi di contraffazione tra persone incompetenti, di non aver reso il senso parola per parola, d'aver detto carissimo al posto di onorevole e di non aver voluto, da traduttore tendenzioso (non ti pare abomirtevole questo?), riportare la parola reverendissimo. Queste ed altre simili bazzecole sarebbero i miei delitti . 3. Prima, però, di scagionarmi sulla traduzione, voglio fare una domanda a quelli che chiamano malizia il metodo che ho usato: com'è arrivata nelle vostre mani la copia della lette ra? Chi ve l'ha fatta avere? Con che sfacciataggine osate render di pubbl ica ragione una cosa che vi siete procurati con un furto? Ci sarà ancora la possibilità, per gli uomini, di poter tenere qualcosa sotto chiave, se neppure le pareti di una casa o le casseforti sono in grado di difendere le nostre cosette più riservate? Se sciorinassi di fronte ai giudici del tribunale questo vostro delitto, vi farei cadere come colpevoli sotto il pugno delle leggi. Non sapete come queste infliggono una pena anche contro i delatori che pure rendono un servizio al fisco? E che mentre accettan o la delazione condannano la spia? Evidentemente il lucro non dispiace affatto, ma è l'intenzione che è ributtante. Qualche tempo fa l'imperatore Teodosio fece decapitare - sotto imputazione di aver corrotto il segretario del patriarca Gamaliele e di avergli trafugato dei documenti - quell'Esichio, uomo consolare, contro cui detto patriarca aveva scatenato le più terribili ostilità. Si legge nella storia antica come un maestro di scuola, per aver tradito i figli di Falisco, fu legato, dato in mano agli scol ari e consegnato proprio a quelli che lui tradiva, perché il popolo romano non poteva accettare una vittoria ottenuta con un'infamia. A Pirro, re dell'Epiro, gli si stava curando una ferita nel suo accampamento. Il suo medico personale si offerse di ammazzarlo a tradimento; ma Fabrizio ritenne ciò un'empietà, e rimandò il traditore in catene al suo Re, perché non poteva approvare un tradimento infame anche a scapito d'un suo avversario. Questa lealtà che le stesse leggi dello Stato, che perfino i nemici dif endono, e che è ritenuta cosa sacra anche quando si è in guerra e ci si scanna, questa lealtà purtroppo non la si salvaguarda affatto tra monaco e monaco, tra sacerdote un sacerdote di Cristo. Uno di questi, anzi, ha la spudoratezza - mentre fa lo spaccone e schiocca le dita - di rigùrgitare parole come queste: «E con ciò? Ha comprato? Ha corrotto? Non ha poi fatto altro che í suoi interessi!». Stupenda apologia d'un delitto, quasi che anche i briganti, i ladri e i pirati non facciano altro che i loro inter essi! D'altra parte Anna e Caifa, comprandosi quel disgraziato di Giuda, hanno fatto unicamente un'azione che pensavano di loro vantaggio! 4. Nelle mie carte personali ho il diritto di scrivere qualunque sciocchezza, chiosare la S. Scrittura, azzannare chi mi oltraggia, dar libero corso al mio malumore, esercitarmi sui luoghi comuni della retorica e far provvista di frecce - per così dire - ben aguzze, pronte alla battaglia. Fino a che i miei pensieri non li metto fuori al pubblico, anche le ingiurie non ri vestono la specie di delitto; anzi, non sono neppure ingiurie se le orecchie del pubblico non ne vengono a conoscenza. Tu corrompi pure i tuoi servi, suborna i clienti o, come si legge nella mitologia, penetra - sotto forma d'oro - fino a Danae; F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 198 poi, come se nulla fosse stato, di' che io sono un falsario. Non t'accorgi che con la tua accusa confessi d'aver commesso, proprio tu, un'infamia peggiore di quella che mi rinfacci? Quando uno ti fa capire sotto sotto che sei eretico, quando un altro t'accusa di opi nioni errate sulla fede, tu te ne stai zitto, non hai il coraggio di rispondere; ma poi te la prendi caninamente con chi non ha fatto che una traduzione, gli butti fango addosso per una questione di sillabe e tutta la tua difesa la fai consistere nel calunniare chi non ti risponde. Ebbene, metti pure che io sia incorso in errori nella traduzione, o che abbia saltato qualche parola (tutto il trambusto che hai messo su è imperniato su queste accuse, e questa è la tua difesa): forse che per questo tu non sei p iù eretico? Solo per il fatto che io ho fatto una cattiva traduzione? Se ti parlo così, non è perché io so che sei eretico (lo sa però chi t'ha accusato, ne sarà ben convinto chi l'ha messo per iscritto!), ma solo perché l'idiozia più grossa che puoi commettere è quella di incriminare un'altra persona, mentre proprio tu sei stato accusato da altri. Se hai il corpo crivellato di colpi, pretendi forse di trovar sollievo colpendo uno che se la dorme? 5. Finora ho parlato come se avessi introdotto qualche varia nte alla lettera; e, in ogni caso, una semplice traduzione potrebbe tutt'al più comportare delle sviste, non un falso volontario. Ora però, dato che la lettera di cui stiamo parlando mostra all'evidenza che non ha affatto subito variazioni nel senso che nulla è stato aggiunto e che non s'è travisata nessuna opinione, si vuole proprio «a forza di scervellarsi per capirla, finire di non capirci più niente?». Con la risultante che, mentre si vuol bersagliare l'incompetenza altrui, si tradisce la propria! lo, d a parte mia, non solo lo confesso, ma lo confermo a viva voce che, a parte la S. Scrittura dove anche l'ordine delle parole è un mistero, nel tradurre testi greci cerco di rendere non parola a parola, ma idea a idea. Come maestro di questo metodo posso vantare un Cicerone, che ha tradotto il Protagora di Platone e l'Economico di Senofonte, senza contare i due magnifici discorsi che si diressero l'un l'altro Eschine e Demostene. Non è questo il momento di mettere in evidenza quanto ha saltato a piè pari, le aggiunte e le variazioni apportate in quelle traduzioni per poter rendere efficacemente nella propria lingua le particolarità idiomatiche dell'altra lingua. Mi accontento anche della sola autorevolezza del traduttore, che nel prologo ai medesimi discorsi si è così espresso: «Ho creduto bene di addossarmi un peso che torna di utilità agli studiosi, anche se per me personalmente non era affatto necessario. Ho infatti tradotto le più note orazioni polemiche che i due maggiori esponenti dell'oratoria attica, Es chine e Demostene, si indirizzarono l'un l'altro. Non ho eseguito la traduzione come un semplice traduttore, ma da artista della parola, rispettando le loro frasi sin nella forma che nel contenuto, ho usato tuttavia termini adatti alla nostra forma mentis Per ottenere questo non ho ritenuto necessario fare una traduzione letterale, ma conservare la portata di ogni parola e la loro vis espressiva. Pensavo, insomma, che non era il caso di presentare al lettore un egual numero di parole, ma offrirgliene piuttosto il valore» 3. Alla fine del lavoro, poi, ha ripetuto: «Se ho reso, come spero, i loro discorsi utilizzandone tutte le qualità positive, vale a dire le frasi, le figure e la costruzione; se ne ho ricalcato anche le parole, fin dove - per lo meno - era possibile, senza cedere in una forma ripugnante al nostro gusto; se non ho tradotto, insomma, proprio ogni elemento del testo greco, ho cercato, tuttavia, di far un lavoro a regola d'arte com'è l'originale». Anche Orazio, d'altronde, che non difetta, come uomo, di acume e dottrina, nella sua Ars poetica vuole che un traduttore intelligente segua le medesime regole: «Anche se vuoi essere un traduttore fedele, non preoccuparti di fare una traduzione letterale». Terenzio ha tradotto Menandro, Plauto e Cecilio gli antichi comici: si tengono forse legati alla parola? O non hanno cercato, piuttosto, di conservarne, nella traduzione, il fascino e l'eleganza? Quella che voi in una traduzione chiamate esattezza, gli stilisti la chiamano cattivo gusto. È per questo mot ivo che anch'io, circa vent'anni fa, formatomi ai canoni di questi illustri maestri, e già allora su cattiva strada per un pregiudizio del genere (dato che non mi aspettavo, evidentemente, questa vostra obiezione), messomi a tradurre in latino il Chronicon di Eusebio, ho esordito, fra l'altro, con queste parole: «Non è facile per uno che segue il filo dei pensieri d'un altro, non scostarsene in nessun punto. E una vera impresa riuscire a conservare in una traduzione lo stesso fascino con cui sono state espr esse le immagini nella lingua originale. Un concetto, magari, te l'hanno buttato giù con un solo termine tecnico; io non ne ho un altro da sostituirgli, e nel cercare di renderne almeno il senso, appena appena riesco, con una lunga perifrasi, a coprire un cammino di per sé breve. Mettici poi i labirinti che ti presentano gli iperbati, la differenza dei casi, le sfumature delle immagini e, infine, proprio il loro idioma nazionale, anzi, oserei dire, paesano: se faccio una traduzione letterale, quelle forme e spressive si cambiano in rumori senza senso; se mi vedo obbligato a far delle varianti di costruzione o di stile, sarò preso per uno che ha mancato al suo dovere di traduttore». E dopo altre non poche considerazioni che sarebbe superfluo riportare in questa sede, ho aggiunto ancora questo: «Se qualcuno, caso mai, non fosse convinto che la bellezza di una lingua in una traduzione ci perde, traduca in latino Omero, alla lettera; oppure, per fare un caso più banale provi a parafrasare l'autore citato nella sua stessa lingua., ma in prosa. S'accorgerà che lo stile diventa ridicolo e che il più eloquente dei poeti sa appena parlare». 6. Potrebbe darsi che le mie parole non facciano testo (a dire il vero, però, ho solo voluto mostrare che fin da giovane non ho mai tradotto parole, ma pensieri); prendi visione, della breve prefazione F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 199 che, a proposito di questo argomento, introduce il libro dove si narra la vita di sant'Antonio. Ecco il passo testuale: «La traduzione letterale di una lingua in un'altra ne strozza il pensiero; è come se erbe troppo rigogliose soffocassero un seminato. Per restare aderenti ai casi e alle figure, lo stile riesce appena appena a esprimere con lunghe perifrasi un'idea che poteva essere contenuta in poche parole. Ho dunque cercato di evitare questo inconveniente quando mi son messo a tradurre, dietro tua richiesta, la vita di sant'Antonio: il senso non ci ha perso niente, anche se qualche parola non la trovi. Lascia che siano altri a fissarsi sulle sillabe e sulle lettere dell'alfabeto; tu r icercane il pensiero» . Non mi basterebbe un'intera giornata se volessi citare i passi di tutti gli scrittori che nel tradurre hanno badato al senso. M'accontento, per ora, di fare il nome di Ilario il Confessore: ha tradotto in latino, dal greco, le omelie su Giobbe e parecchi trattati sui Salmi, ma non si è legato supinamente alla lettera e neppure s'è irretito in una pedante traduzione da beota; s'è come impossessato del pensiero e, in virtù del diritto di conquista, gli ha dato una veste latina. 7. Non è poi un'eccezione, questo fatto, dal momento che hanno agito ugualmente gli altri scrittori sia profani che ecclesiastici, come ad esempio i Settanta nella loro traduzione e sia gli Evangelisti che gli Apostoli nel Libri sacri. In Marco si legge del Signore che dice: talitha cumi, a cui segue subito: «che si traduce: fanciulla, te lo dico io, alzati». Perché non accusate l'Evangelista di menzogna? Le parole te lo dico io le ha messe di suo, dato che in ebraico c'è soltanto: «fanciulla, alzati»! Ma l'aggiun ta te lo dico io l'ha fatta per dar un tono più enfatico e per esprimere più adeguatamente il senso d'un comando perentorio. Vediamo ancora Matteo. Dopo che Giuda il traditore restituì i trenta denari d'argento e che con essi fu comprato il terreno del vasaio, troviamo: «Si è avverato in quel momento quanto aveva scritto il profeta Geremia. Ecco le sue parole: "E presero i trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, mercanteggiato dai figli di Israele; li hanno dati per il campo del vasaio come il Signo re mi aveva ordinato"». Tutto questo in Geremia non lo trovi affatto. Lo trovi invece in Zaccaria con notevoli varianti di parole e di costruzione. L'edizione Volgata, effettivamente, si esprime così: «E dirò loro: "Se vi pare bene, datemi la mercede, altrimenti lasciate stare". Essi allora mi pagarono il salario con trenta monete d'argento. Ma il Signore mi disse: "Gettale nel forno del vasaio e osserva se il metallo è di buona lega, perché anch'io sono stato messo alla prova da loro". Io allora ho preso i trenta pezzi d'argento e li ho messi nel crogiolo nel tempio del Signore». Quanta diversità ci sia tra il testo dell'Evangelista e la traduzione dei Settanta è più che evidente. Ma anche nell'originale ebraico, se il senso non varia, le parole sono ordinate diversamente e quasi del tutto differenti. Eccole: «E disse loro: "Se ai vostri occhi è cosa buona, fatemi avere il mio salario, altrimenti lasciate pure stare". E pesarono il mio salario: trenta denari d'argento. Ma il Signore mi disse: "Gettale allo s tatuario; è un prezzo conveniente in base a quanto sono stato valutato da loro". Io presi i trenta pezzi d'argento e li buttai nel tempio del Signore per lo scultore». Perché non accusano l'Apostolo di falso? Non collima né con l'originale ebraico né con la traduzione dei Settanta, anzi- peggio ancora - non azzecca neppure l'autore: attribuisce il passo a Geremia invece che a Zaccaria! Ma si guardino bene di rivolgere simile accusa a un discepolo di Cristo che s'è preoccupato non di fissarsi sui vocaboli e sulle sillabe, ma di conservarci il pensiero dottrinale! Passiamo a un altro testo, sempre di Zaccaria, quello che Giovanni ha citato secondo l'originale ebraico. «Staranno a guardare colui che hanno trafitto», dice lui; mentre nei Settanta troviamo: «Ed essi guarderanno verso di me dato che per me hanno organizzato danze», frase tradotta dai latini con: «Guarderanno verso di me, a motivo dei loro scherni» (o anche «insulti»). L'Evangelista, i Settanta e la traduzione latina non collimano affatto, e tuttavia la varietà di espressioni trova la sua unità nel significato spirituale. Ancora in Matteo troviamo scritto che il Signore predice il fuggi fuggi degli Apostoli e ne dà conferma con un passo di Zaccaria. Dice: «Sta scritto che percuoterò il pastore e le p ecore saranno disperse» s. Ma sia nei Settanta che in ebraico le cose sono ben diverse, perché non ci si riferisce alla persona di Dio, come pretende l'Evangelista, bensì al Profeta che rivolge a Dio Padre questa preghiera: «Colpisci il pastore, e le pecore si disperderanno». Penso che, secondo la pignoleria di certe persone, l'Evangelista nel passo citato è colpevole di sacrilegio, per aver osato mettere in bocca a Dio le parole di un Profeta! L'Evangelista or ora citato scrive che Giuseppe, su consiglio d ell'angelo, prese con sé il Bambino e la Madre di lui, che entrò in Egitto e che vi rimase fino alla morte di Erode perché si avverasse quanto il Signore, per bocca del Profeta, aveva detto: «Ho richiamato mio Figlio dall'Egitto»'). Questo passo i nostri manoscritti latini non lo riportano; in Osea, però, stando all'originale ebraico troviamo: «...perché quando Israele era fanciullo io l'ho amato, e ho richiamato mio Figlio dall'Egitto». Questo medesimo passo i Settanta l'hanno cambiato così: «...perché Isr aele è un bambino; io l'ho amato, e ho richiamato dall'Egitto i suoi figli». Dobbiamo per caso condannarli senza riserve, quelli che nella traduzione hanno variato questo testo, dato che riguarda eminentemente il Mistero di Cristo? O non dobbiamo piuttosto assolverli, in quanto non erano che uomini? In questo caso saremmo coerenti col pensiero di Giacomo che afferma: «Tutti manchiamo in molte maniere; se uno non manca nel parlare, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 200 è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il suo corpo». Da questi artisti della parola, da questi asfissianti critici di ogni opera esegetica vorrei avere una risposta: dove hanno letto la frase riportata sempre dallo stesso Evangelista: «E pose la sua residenza nella città chiamata Nazareth perché si compisse la predizi one del Profeta, che cioè sarebbe stato chiamato Nazareno»? Sappiamo che si trova in Isaia. Quel passo che noi abbiamo letto e poi tradotto così: «E spunterà un arbusto dal ceppo di lesse, un fiore sboccerà da quella radice», in ebraico, conformemente alle proprietà particolari di quella lingua, lo si trova espresso con queste parole: «Spunterà un arbusto dal ceppo di lesse, da quella radice nascerà un Nazareno». Come mai nei Settanta troviamo questa svista? Se non è permesso sostituire una parola a un'altr a, è un sacrilegio bell'e buono l'aver messo nell'ombra, o per lo meno ignorato, il mistero. 8. Passiamo ad altri passi, dato che la brevità di una lettera non ci permette di dilungarci troppo sui dettagli. È ancora sempre Matteo che parla: «Ora, tutto que sto è avvenuto - dice - perché il Signore ha voluto che si avverasse quanto ha fatto dire al Profeta: "Ecco che una vergine avrà un figlio in seno e lo darà alla luce, e gli metteranno per nome Emmanuele"». I Settanta hanno tradotto: «Ecco che una vergine si troverà incinta e darà alla luce un figlio cui voi metterete il nome di Emmanuele». Per una critica letterale, non è evidentemente la stessa cosa dire avrà e si troverà, come neppure metteranno per nome e metterete per nome. Ora, in ebraico troviamo scr itto così: «Ecco che una vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli metterà nome Emmanuele». Insomma, non è Acaz, cui si rimprovera la mancanza di fede, non sono i Giudei che avrebbero rinnegato il Signore, ma è proprio colei che concepisce - è scritto -, è proprio la Vergine che lo darà alla luce che gli metterà pure il nome. Si legge ancora, nel medesimo Evangelista, che Erode rimase sconvolto dall'arrivo dei Magi; fece un raduno di scribi e di sacerdoti e cercò di sapere da loro dove sarebbe dovu to na scere il Cristo. Essi risposero: «In Giudea, a Betlemme; così infatti ha indicato il Profeta quando ha detto: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più insignificante tra le principali di Giuda, perché proprio da te uscirà un capo che governerà Israele, il mio popolo"». Questo passo viene così riportato dalla versione Volgata: «E tu, Betlemme, casa di Efrata, sei troppo piccola per figurare tra le mille e mille di Giuda; da te mi farò uscire uno per farlo capo in Israele». Quanto siano d iscordanti nei vocaboli e nella costruzione, i passi paralleli di Matteo e dei Settanta, lo puoi constatare con sorpresa più grande se consulti il testo ebraico. Qui trovi scritto: «E tu, Betlemme, di Efrata, sei piccolina fra le mille e mille di Giuda; da te mi farò uscire uno per farlo essere dominatore di Israele». Considera a uno a uno i termini con cui si esprime l'Evangelista: «E tu, Betlemme, terra di Giuda»; l'ebraico, al posto di terra di Giuda porta Efrata, e i Settanta casa di Efrata. «Non sei af fatto la più insignificante fra le principali di Giuda»; nei Settanta si legge: «sei troppo piccola per figurare tra le mille e mille di Giuda»; in ebraico: «sei piccolina fra le mille e mille di Giuda», e il significato è opposto (i Settanta, almeno in questo passo, danno un significato che armonizza con quello ebraico). In altre parole: l'Evangelista aveva detto che non è affatto piccola fra le principali di Giuda, mentre è scritto proprio il contrario: «veramente sei insignificante e piccolina, tuttavia uscirà da te - per quanto ai miei occhi sei insignificante e piccola - il capo d'Israele, secondo le parole dell'Apostolo: Dio ha scelto ciò che è debole nel mondo per confondere ciò che è forte 14». Inoltre, anche la frase che segue: «che governerà - o che pascerà - Israele, il mio popolo», è evidente che nel Profeta suona diversamente. 9. Metto il dito su queste cose non per accusare gli Evangelisti di falso - questo potrebbero farlo degli empi, come Ce]so, Porfirio e Giuliano -, ma per dire ai miei critici che sono degli incompetenti in materia. Vorrei chieder loro d'esser così magnanimi verso di me, da concedermi in una semplice lettera quella libertà che, volenti o nolenti, devono ben lasciar passare agli Apostoli a proposito della S. Scrittura. Marco, discepolo di Pietro, comincia il suo Vangelo con questo prologo: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, come sta scritto nel profeta Isaia: "Ecco che io mando il mio angelo davanti a te perché ti prepari la tua strada. Voce di uno che grida nel deserto: prepa rate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri"» è composto (la elementi di due Profeti, e precisamente di Malachia e di Isaia. Infatti: la prima parte, dove si dice: «Ecco che mando il mio angelo davanti a te perché ti prepari la tua strada» si trova alla fine di Malachia; l'altra che segue, invece, e cioè: «voce dí uno che grida nel deserto...» ecc., la leggiamo in Tsaia. Come mi Marco, proprio all'inizio del suo libro, ha potuto dettare: «come sta scritto nel profeta Isaia: "Ecco che mando il mio angelo"», dal momento che - l'abbiamo detto - in Isaia ciò non si trova scritto, ma è in Malachia, l'ultimo dei dodici Profeti? Risolvetemi questa questioncella, o ignoranti presuntuosi, ed io chiederò perdono del mio errore! Marco, allo stesso modo, mette in bocca al Salvatore queste parole indirizzate ai farisei: «Non avete mai letto ciò che ha fatto Davide quando si trovò nel bisogno e tanto lui che i suoi compagni erano affamati? Entrò nella casa di Dio, sotto il pontificato di Abiatar, e mangiò i pani di proposizione di cui soltanto i sacerdoti potevano cibarsi». Ebbene, confrontiamo Samuele - vale a dire i Libri dei Re, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 201 come li si intitola comunemente - e scopriremo che lì non si parla di Abiatar, ma di Achimelec, il pontefice che in seguito, su ordine di Saul, fu percosso da Doec assietne a tutti gli altri sacerdoti. Accostiamoci ora all'apostolo Paolo. Ai Corinti scrive: «Se l'avessero conosciuto, non avrebbero mai messo in croce il Signore della gloria. Invece, come dice la Scrittura, ciò che oc chio non vide né orecchio sentì, ciò che mai cuore umano ha potuto gustare, questo Dio ha preparato a coloro che lo amano». Ordinariamente in questo passo alcuni seguono le fantasie degli apocrifi. e dicono che il testo appartiene all'Apocalisse di Elia, mentre è nell'originale ebraico di Isaia che si legge: «Non hanno mai udito, né le loro orecchie ne hanno mai avuto la percezione. Al di fuori di te o Dio, nessun occhio ha visto quanto hai preparato per coloro che ti aspettano». Questo passo, nella traduzione dei Settanta, presenta non poche varianti: «Non abbiamo mai udito e i nostri occhi non ti hanno mai visto, Dio, senza il tuo aiuto; le tue opere sono vere e tu farai misericordia a chi ti aspetta». Ci è noto da chi ha tratto questo testo l'Apostolo; però egli non lo ha reso parola per parola: senza cambiarne il senso l'ha parafrasato, usando altri termini. Nell'epistola ai Romani lo stesso santo Apostolo cita un testo del profeta Isaia. «Ecco - scrive - che metterò in Sion una pietra d'inciampo e una roccia di scandalo». Questa traduzione è differente da quella vecchia, e tuttavia concorda con l'originale ebraico. Vedi, ad esempio, come nei Settanta il senso è tutto all'opposto: «Voi non vi imbatterete in una pietra d'inciampo, né in una roccia che vi faccia cadere», mentre anche l'apostolo Pietro, invece, in armonia con il testo ebraico e con Paolo, ha scritto: «Ma per gli increduli è una pietra d'inciampo e una roccia di scandalo» ls. Dopo tutte queste osservazioni, è chiaro come il sole che tanto gli Apost oli quanto gli Evangelisti, nella traduzione della Scrittura antica hanno cercato il senso, non le parole; e non si sono preoccupati granché della costruzione e dei vocaboli, dal momento che il significato ne risultava intellegibile. 10. Luca, tempra d'apostolo ed evangelista, dice che Stelano, il primo martire di Cristo, in polemica con i Giudei ha ricordato questo fatto: «Giacobbe scese in Egitto con settanta cinque persone. Ivi morirono lui e i nostri padri; furono poi trasportati a Sichem e tumulati in un sepolcro che Abramo aveva comprato dai figli di Emor (figlio di Sichem) a prezzo d'argento». Questo passo lo troviamo nella Genesi in tutt'altri termini. Cioè: Abramo avrebbe comprato da Efron 1'etèo, figlio di Saar, una doppia caverna affiancata da un campo nelle vicinanze di Ebron, pagandola quattrocento sicli d'argento, e vi avrebbe seppellito sua moglie Sara. Nel medesimo libro si legge, poi, che Giacobbe, di ritorno dalla Mesopotamia con la moglie e i figli, si sarebbe,attendato di fronte a Salem, c ittà nel territorio di Sichem nel paese dei (:ananei; li avrebbe abitato dopo aver comprato da I:mor, padre di Sichem, quella porzione di terreno dove aveva posto le sue tende, pagandola con cento agnelli; vi avrebbe eretto un altare ed avrebbe invocato il Dio di Israele. Abramo, insomma, non ha comprato una grotta da Eri or, padre di Si'ehem, ma da Efron, figlio di Saar; non è stato sepolto in Sichem, ma in Ebron (o Arboc, in base alla alterazione subita dal nome). 1 dodici Patriarchi, inoltre, non sono sepolti in Arboc, ma a Sichem; e questo terreno non è stato comprato da Abramo, ma da Giacobbe. Anche di questa questioncella non voglio dar subito la soluzione, così i miei avversari possono far ricerche e capire finalmente che nella S. Scrittura non bisogn a fermarsi sulle parole, ma sul senso. Il Salmo 21, nel testo ebraico, inizia con le medesime parole dette dal Signore sulla croce: «Heli heli lama zabtani», che si traducono: «Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» 22. Vo gliono spiegarmi come mai i Settanta hanno intercalato le parole vòlgiti a me? La loro traduzione, infatti, è questa: «Dio, Dio mio, volgiti verso di me, perché mi hai abbandonato?». Sono sicuro che mi risponderanno: «Ma non ne ha scapitato il senso per l'aggiunta di due parole!». Ma a llora mi stiano a sentire anche loro: non ho poi compromesso la vita della Chiesa se, nella fretta della dettatura, ho saltato qualche parola! 11. Sarebbe troppo lungo, ora, mettersi a spulciare tutte le aggiunte fatte dai Settanta a loro arbitrio, o tutte le omissioni, le varianti che nei codici ecclesiastici sono contrassegnate da obèli ed asterischi. Il passo che si legge in Isaia: «Fortunato chi ha discendenza in Sion e parenti in Gerusalemme», quando gli Ebrei lo sentono ci fanno sempre una risata. Lo stesso succede a proposito di Amos dopo che descrive la lussuria, in questo passo: «Hanno creduto queste cose stabili e non transeunti». Effettivamente sa di retorica o d'una declamazione alla maniera di Cicerone. Ma come la mettiamo? Nei testi autentici questi passi non esistono neppure (per non parlare di tutti gli altri passi analoghi) ! Se cercassi di esporli tutti, dovrei scrivere un numero enorme di libri. D'altronde, tutte le parti saltate sono indicate o dagli asterischi - come ho detto sopra - o dalla nostra traduzione, e un lettore scrupoloso può accertarsene confrontandola con la vecchia versione. Malgrado ciò, l'edizione dei Settanta aveva buone ragioni per prevalere nelle Chiese, sia perché è stata la prima e risale a un'epoca precedente la venuta di Cristo, sia perché gli Apostoli ne hanno fatto largo uso, nei passi, almeno, in cui non si scosta dall'ebraico. E Aquila? Questo proselita, traduttore cavilloso, che si è sforzato non solo di tradurci le parole, ma di darcene anche l'etimologia, abbiamo ragione a non considerarlo. Nessun al tro, penso, al posto di «frumento, vino e olio», riuscirebbe a leggere e dar loro il senso di cheuma, óporzsmón, stitpnóteta, vocaboli che corrisponderebbero a questi nostri: effusione, raccolta di frutti, cose sfa villanti. Inoltre, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 202 dato che gli Ebrei, oltre agli articoli hanno anche dei prearticoli, lui, per tradurre con una pedanteria di cattivo gusto sia le sillabe che le lettere, ha delle espressioni come questa: «assieme il cielo e assieme la terra», cosa che il greco e il latino non ammettono assolutamente. Analoghi esempi potremmo tirarli fuori dalla nostra lingua. I Greci hanno molte espressioni felici che però, se si traducono in latino alla lettera, suonano male; viceversa, quelle latine che sono di nostro gusto, se le traducessimo parola per parola in greco, sarebbero loro a trovarle sgradevoli. 12. Ma non voglio continuare su considerazioni che non finirebbero più. Ti metto sotto gli orchi (a te che sei il più cristiano di tutto il ceto nobile, e il più no bile dei cristiani) alcuni esempi di falsi di cui mi accusano nella traduzione della lettera che ho fatto. Ti sottopongo proprio le prime parole della lettera, nel testo greco; potrai farti un'idea, da questo solo capo d'accusa, anche degli altri. «Sarebbe stato necessario, mio caro, non venir portati dall'opinione dei chierici...». Io ricordo di aver tradotto così: «Sarebbe stato opportuno, carissimo, che non avessimo fatto servire all'orgoglio l'onore del nostro sacerdozio». Ecco, dicono loro, quante ines attezze in una sola frase! Anzitutto agapetòs è caro, non carissimo; oícsis, poi, significa opinzóne, non orgoglaó (infatti non c'era scritto oreízaata; che vuol dire gonfiore, ma oic~s(,i che vuol dire giardrztó); e il resto che segue, infine -- e cioè: «non aver fatto servire all'orgoglio l'onore del nostro sacerdozio» -, è tutta tua invenzione! Ma che stai dicendo, o sommo della nostra letteratura, o Aristarco redivivo? Perché vai sputando sentenze su tutti gli scrittori? Ci è proprio stato inutile, dunque, aver studiato per tanto tempo, ed «aver sovente sottratto la mano alla bacchetta»? Non siamo ancor usciti dal porto che già abbiamo urtato in uno scoglio! E va bene; dato che aver sbagliato è umano ed ammettere il proprio errore è da saggio, correggimi tu, da maestro, per favore, e traduci parola per parola. «Certo - dice lui -, avresti dovuto tradurre: "sarebbe stato necessario, mio caro, non venir portati dall'opinione dei chierici"!». Ma questo è proprio uno stile alla Plauto! Questo è umorismo attic o che tiene bene il confronto col canto delle Muse, come si dice! Mi si adatta alla perfezione quel detto proverbiale che tutti hanno in bocca: «Ci rimette l'olio e le spese chi porta il suo bue alla sala delle frizioni d'olio». Chi ne ha colpa, però, non è la persona rappresentata dalla maschera, che un altro si mette per recitare la tragedia; è dei suoi maestri, i quali, dietro lauta remunerazione, gli hanno insegnato a restare ignorante. Non intendo neppure biasimare un cristiano qualunque solo perché no n sa parlare. Volesse il cielo, anzi, che potessimo far nostro il detto di Socrate: «So di non sapere» o quello di un altro saggio: «Conosci te stesso»! Ho sempre avuto un rispetto particolare per la santa semplicità, cosa che non mi accade per una ignoranza chiacchierona. Chi dice di voler imitare il linguaggio degli Apostoli, ne imiti anzitutto la loro vita. La semplicità delle loro parole è scusata dalla loro elevata santità di vita. Non c'era sillogismo d'un Aristotele o sottigliezza astrusa d'un Crisip po che potesse tenere, di fronte a un morto risuscitato. Del resto farebbe proprio ridere se uno di noi, tra ricchezze alla Creso e piaceri alla Sardanapalo, si vantasse unicamente della propria ignoranza. Sarebbe come se tutti i ladri e i furfanti d'ogni risma passassero per intellettuali che tengono nascoste le loro spade insozzate di sangue dietro i libri dei filosofi, invece che dietro tronchi d'albero. 13. Sono andato oltre le dimensioni d'una lettera, ma non ho raggiunto la misura del dolore che sent o. Mi dicono che sono un falsario, e le donnicciuole mi fanno a brandelli mentre lavorano alla spola e al fuso; io mi accontento di togliermi la macchia d'una accusa, senza ritorcerla su altri. Tutta la questione la lascio al tuo giudizio. Leggila, quella lettera, nel testo greco e latino; ti renderai conto a prima vista delle baie dei miei accusatori e del valore delle loro lagnanze. In fondo, a me basta d'aver potuto ragguagliarne un amico carissimo, e limitarmi ad aspettare, acquattato nella mia cella, il giorno del giudizio. Un altro desiderio ho, nel limite delle mie possibilità e sfidando pure l'ira degli avversari: scrivere commentari sulla Scrittura, più che filippiche alla Demostene e alla Cicerone. Trad. S. Cola, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV] Ep. 53 a Paolino. Lo studio delle scritture 1. Vera necessitudo. Sapientum peregrinationes.—Frater Ambrosius tua mihi munuscula perferens, detulit et suavissimas litteras, quae a principio amicitiarum, fidem jam probatae fidei et veteris amicitiae [(4) [0540] Vetus editio Bibliorum sine loci, temporis, aut typographi designatione hic interserit vocem nova.] praeferebant. Vera enim illa necessitudo est, et Christi glutino copulata, quam non utilitas rei familiaris, non praesentia tantum corporum, non subdola et palpans adulatio; sed Dei timor et divinarum Scripturarum studia conciliant. Legimus in veteribus historiis, quosdam lustrasse provincias, novos adisse populos, maria transisse, ut eos quos ex libris noverant, coram quoque viderent. Sic Pythagoras Memphiticos vates; sic Plato Aegyptum et Architam Tarentinum, eamque oram Italiae, quae quondam magna Graecia dicebatur, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 203 laboriosissime peragravit; ut qui Athenis magister erat et potens, cujusque doctrinam Academiae gymnasia personabant, fieret peregrinus atque discipulus, MALENS ALIENA verecunde 271 discere, quam sua impudenter ingerere. Denique cum litteras quasi toto fugientes orbe persequitur, [0541] captus a piratis et venundatus, etiam tyranno crudelissimo (Dionysio Siciliae) paruit, captivus, vinctus, et servus; tamen quia Philosophus, major emente se fuit. Ad T. Livium lacteo eloquentiae fonte manantem, de ultimis Hispaniae (a Gadibus,) Galliarumque finibus quosdam venisse nobiles legimus; et quos ad contemplationem sui Roma non traxerat, unius hominis fama perduxit. Habuit illa aetas inauditum omnibus saeculis celebrandumque miraculum, ut urbem tantam ingressi, aliud extra urbem quaererent. Apollonius (sive ille Magus, ut vulgus loquitur, sive Philosophus, ut Pythagorici tradunt) intravit Persas, pertransivit Caucasum, Albanos, Scythas, Massagetas, opulentissima Indiae regna penetravit: et ad extremum latissimo Physon amne (Gange) transmisso, pervenit ad Brachmanas; ut Hiarcam in throno sedentem aureo [(a) [0541] Eam intellige, quae in Hiarchae schola erat, statuam Tantalum referentem, in cujus manu poculum erat aqua plenum, unde attingebant philosophi ante cubitum. Hieronymus fontem vocat, quod nempe quantum inde hauriebatur, tantum continuo suppeteret. Historiam Philostratus tradit l. 3. c. 7. Superiores quas a Laertio, Plinio, Herodoto, aliisque late didicisse poteris, non moramur. Interim Martian. legerat de moribus pro motibus; Victorius vero de moribus siderum, ac dierum cursu. Vetus quoque laudata editio Bibliorum, ita in hac Epistola praefert, de natura, de moribus, ac de cursu dierum ac siderum.] et de Tantali fonte potantem, inter paucos discipulos, de natura, de motibus, ac siderum cursu audiret docentem: inde per Elamitas, Babylonios, Chaldaeos, Medos, Assyrios, Parthos, Syros, Phoenices, Arabes, Palaestinos, reversus Alexandriam, perrexit Aethiopiam, ut Gymnosophistas, et Tamosissimam Solis mensam videret in sabulo. Invenit ille vir ubique quod disceret: et semper proficiens, semper se melior fieret. Scripsit super hoc plenissime octo voluminibus Philostratus. 2. Quid loquar de saeculi hominibus? cum Apostolus Paulus vas electionis et magister gentium, qui de conscientia tanti in se hospitis loquebatur. An experimentum quaeritis ejus qui in me loquitur Christus? (2. Cor. 13. 3.) post Damascum Arabiamque lustratam, ascenderit Jerosolymam, ut videret Petrum, et manserit apud eum diebus quindecim. Hoc enim mysterio hebdomadis et ogdoadis, futurus Gentium praedicator instruendus erat. Rursumque post annos quatuordecim, assumpto Barnaba et Tito exposuerit Apostolis Evangelium, ne forte in vacuum curreret, 272 aut cucurrisset. Habet nescio quid latentis energiae viva vox; et in aures discipuli de auctoris ore transfusa fortius sonat. Unde et Eschynes, cum Rhodi exularet; et legeretur illa Demosthenis Oratio, quam adversus eum habuerat, mirantibus cunctis atque laudantibus, suspirans ait [(b) [0541] Cicero qui utramque orationem vertit, lib. 3. de Orat. Quanto, inquit, magis admiraremini, si ipsum audissetis.] : Quid si ipsam audissetis bestiam, sua verba resonantem? 3. Haec non dico, quod sit in me aliquid tale, quod vel possis, vel velis discere: sed quod ardor tuus ac discendi studium, etiam absque nobis per se probari debeat. Ingenium docile, et sine doctore laudabile [0542] est. Non quid invenias, sed quid quaeras, consideramus. Mollis cera et ad formandum facilis, etiam si artificis et plastae cessent manus [(c) [0542] Al. latine tamen virtute totum est, etc. Mox pro Moysi nomine erat Domini. Leviora infra emendamus.] , tamen thðé dunavmei totum est, quidquid esse potest. Paulus Apostolus ad pedes Gamalielis legem Moysi et Prophetas didicisse se gloriatur, ut armatus spiritualibus telis, postea diceret confidenter: «Arma militiae nostrae, non carnalia sunt, sed potentia Dei, ad destructionem munitionum: Concilia destruentes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei; et captivantes [al. captivantem] omnem intellectum, ad obediendum Christo: et parati subjugare cunctam inobedientiam» (4. Cor. 10. 4. 5) . Ad Timotheum scribit, ab infantia sacris litteris eruditum; et hortatur ad studium lectionis, ne negligat gratiam, quae data sit ei per impositionem manus Presbyterii. Tito praecipit, ut inter caeteras virtutes Episcopi, quem brevi sermone depinxit, scientiam quoque eligat [al. intelligat] Scripturarum: «Obtinentem, inquit, eum qui secundum doctrinam est, fidelem sermonem; ut potens sit exhortari in doctrina sana, et contradicentes revincere» (Tim. 1. 9) . Sancta quippe rusticitas solum sibi prodest: et quantum aedificat ex vitae merito Ecclesiam Christi, tantum nocet, si destruentibus non resistat. [(d) [0542] Reatini interpretis emendationem sequimur, antea enim penes Erasm. ac Martian. pro Aggaei nomine erat utroque in loco Malachias, quam lectionem revera sciolus non nemo induxit, quod putarit illud Malachiae c. 2. V 7. alludit, «Labia sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore ejus,» cum sint imo haec Aggaei c. 2. «Haec dicit Dominus exercituum, Interroga sacerdotes legem, dicens,» etc.] Aggaeus Propheta, imo per Aggaeum Dominus, interroga, ait, Sacerdotes Legem (Agg. 2) . Sacerdotis officium. Paulus cur vas electionis.—In tantum Sacerdotis officium est, interrogatum respondere de Lege. Et in Deuteronomio legimus: Interroga patrem, tuum, et annuntiabit tibi; 273 seniores tuos, et dicent tibi (Deut. 32. 7) . In Psalmo quoque centesimo decimo octavo. Cantabiles mihi erant justificationes tuae, in loco peregrinationis meae (v. 54) . Et in descriptione justi viri, cum eum David arbori vitae, quae est in paradiso, compararet, inter caeteras virtutes et hoc intulit: In lege Domini voluntas ejus: et in lege ejus meditabitur die ac nocte (Psalm. 1. 2) . Daniel in fine sacratissimae Visionis justos, ait, fulgere sicut stellas; et intelligentes, hoc est doctos, quasi firmamentum. Vides quantum inter se distent, justa rusticitas, et docta F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 204 justitia? Alii stellis, alii coelo comparantur. Quanquam juxta Hebraicam Veritatem, utrumque de eruditis possit intelligi: ita enim apud eos legimus: «Qui autem docti fuerint, fulgebunt quasi splendor firmamenti: et qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae in perpetuas aeternitates» (Dan. 12. 3) . Cur dicitur Paulus Apostolus vas electionis? Nempe quia [(e) [0542] Frustra Victorius vas legis, cum pro armario eo loco vas sumi constet. Sic in qeouð divdaktoi duobus verbis, quod [0543] unico rectius exprimitur, juxta Apostoli locum ad Thessalonic. uJmeiðû qeodivdaktoiú ejste, quem Hier. alludit.] legis et sanctarum Scripturarum armarium est. Pharisaei stupent ad doctrinam [0543] Domini; et mirantur in Petro et Joanne quomodo legem sciant, cum litteras non didicerint. Quidquid enim aliis exercitatio et quotidiana in Lege meditatio tribuere solet, illis Spiritus Sanctus suggerebat: et erant, juxta quod scriptum est, qeodivdaktoi. Duodecim annos Salvator impleverat, et in Templo senes de quaestionibus legis interrogans, magis docet, dum prudenter interrogat. 4. Nisi forte rusticum Petrum, rusticum dicimus Joannem; quorum uterque dicere poterat: «Etsi imperitus sermone, non tamen scientia» (2. Cor. 11. 6) . Joannes rusticus, piscator, indoctus? Et unde illa vox obsecro, «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum?» (Joan. 1. 1.) Lovgoû enim Graece multa significat; nam et verbum est, et ratio, et supputatio, et causa uniuscujusque rei, per quam sunt singula quae subsistunt. Quae universa recte intelligimus in Christo. Hoc doctus Plato nescivit: hoc Demosthenes eloquens ignoravit. «Perdam, inquit, sapientiam sapientium, et prudentiam prudentium reprobabo» (1. Cor. 1. 19) . Vera sapientia perdet falsam sapientiam: et quanquam stultitia praedicationis in Cruce sit, tamen Paulus «Sapientiam loquitur inter perfectos. Sapientiam autem non saeculi hujus, nec principum saeculi istius, [(a) [0543] Martian. post Erasm. quae destruitur, renuente Vulgato ac Graeco textu, et Hieronymianis plerisque Mss.] qui destruuntur: 274 sed loquitur Dei sapientiam in mysterio absconditam, quam praedestinavit Deus ante saecula» (1. Cor. 2. 7) . Dei sapientia Christus est. «Christus enim Dei virtus, et Dei sapientia» (Ibid. 24) . Haec sapientia in mysterio abscondita est: de qua et noni Psalmi titulus praenotatur, «pro occultis filii:» in quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi: et qui in mysterio absconditus erat, praedestinatus est ante saecula. Praedestinatus autem, et praefiguratus, in Lege et Prophetis. Unde et Prophetae appellabantur Videntes: quia videbant eum, quem caeteri non videbant. «Abraham vidit diem ejus: et laetatus est» (Joan. 8. 56) . Aperiebantur coeli Ezechieli; qui populo peccatori erant. «Revela, inquit David, oculos meos: et considerabo mirabilia de lege tua» (Ps. 118. 18) . Lex enim spiritualis est, et revelatione opus est, ut intelligatur, ac revelata facie Dei gloriam contemplemur. 5. Liber in Apocalypsi septem sigillis signatus ostenditur (Apoc. 5) : quem si dederis homini scienti litteras, ut legat, respondebit tibi: Non possum, signatus est enim. Quanti hodie putant se nosse litteras, et tenent signatum librum; nec aperire possunt, nisi ille reseraverit «qui habet clavem David: qui aperit, et nemo claudit, claudit et nemo aperit?» (Ibid. 3. 7.) In Actis Apostolorum sanctus eunuchus, imo vir (sic enim eum Scriptura cognominat), cum legeret Isaiam, interrogatus a Philippo: «Putasne intelligis quae legis?» respondit, «Quomodo possum, [0544] nisi aliquis me docuerit?» (Act. 8.) Ego, ut de me interim loquar, nec sanctior sum hoc eunucho, nec studiosior; qui de Aethiopia, id est, de extremis mundi finibus venit ad Templum, reliquit aulam regiam: et tantus amator Legis, divinaeque scientiae fuit, ut etiam in vehiculo sacras litteras legeret: et tamen cum librum teneret, et verba Domini cogitatione conciperet, lingua volveret, labiis personaret, ignorabat eum, quem in libro nesciens venerabatur. Venit Philippus, ostendit ei Jesum, qui clausus latebat in littera. O mira doctoris virtus! Eadem hora credit eunuchus, baptizatur, fidelis et sanctus est; ac de discipulo magister: plus in deserto fonte Ecclesiae, quam in aurato synagogae Templo reperit. 6. Haec a me perstricta sunt breviter 275 (neque enim Epistolaris angustia evagari longius patiebatur) ut intelligeres te in Scripturis sanctis, sine praevio et monstrante semitam, non posse ingredi. Taceo de Grammaticis, Rhetoribus, Philosophis, Geometris, Dialecticis, Musicis, Astronomis, Astrologis, Medicis, quorum scientia mortalibus vel utilissima est, et in tres partes scinditur, [(b) [0544] Subdunt de more vetustiores editi et quidam Mss Graecar. Vocum interpretationem hanc, id est in doctrinam rationem, et usum; qui etiam mox cum plerisque aliis pro lovgwé habent lingua.] tov doúgma, thún mevqodon, thún ejmpeirian. Ad minores artes veniam, et quae non tam logwé, quam manu administrantur. Agricolae, caementarii, fabri, metallorum, lignorumve caesores, lanarii quoque et fullones, et caeteri qui variam supellectilem et vilia opuscula fabricantur, absque doctore non possunt esse quod cupiunt. «Quod Medicorum est,» Promittunt Medici, tractant fabrilia fabri. (Horat. Epist. lib. 1. Epist. 1). 7. Sola Scripturarum ars est, quam sibi omnes passim vindicant. Scribimus indocti, doctique poemata passim. (Ibid.). F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 205 Hanc garrula anus, hanc delirus senex, hanc sophista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent, antequam discant. Alii adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter mulierculas de sacris litteris philosophantur. Alii discunt, proh pudor, a feminis, quod viros doceant: et ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, imo audacia edisserunt aliis, quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui si forte ad Scripturas sanctas, post saeculares litteras venerint; et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid dixerint, hoc legem Dei putant: nec scire dignantur, quid Prophetae, quid Apostoli senserint; sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare sententias, et ad voluntatem suam Scripturam trahere repugnantem. Quasi non legerimus, Homerocentonas, et Virgiliocentonas: ac non sic etiam Maronem sine Christo possimus dicere Christianum, qui scripserit: [0545] Jam redit et virgo, redeunt Saturnia regna. Jam nova progenies coelo demittitur alto. (Virgil. Eclog. 4). 276 Et patrem loquentem ad filium, Nate, meae vires, mea magna potentia solus. Et post verba Salvatoris in cruce. Talia perstabat memorans, fixusque manebat. Puerilia sunt haec, et circulatorum ludo similia, docere quod ignores: imo, ut cum stomacho loquar, ne hoc quidem scire quod nescias. 8. Videlicet manifestissima est Genesis, in qua de natura mundi, de exordio generis humani, de divisione terrae, [(a) [0545] Ad Erasmi ingenium Editor Benedictinus, de confusione linguarum et gentium, usque ad exitum scribitur Hebraeorum; cum, ut Victorius animadvertit, exitus Hebraeorum ex Aegypto non statim a Genesi, sed multa post Exodi Capitula describatur. Veram lectionem ex Vulgatis ante ann. 1500. eodem Victorio et Mss. reposuimus.] de confusione linguarum, et descensione usque ad Aegyptum, gentis scribitur Hebraeorum. Patet Exodus cum decem plagis, cum decalogo, cum mysticis divinisque praeceptis In promptu est Leviticus liber, in quo singula sacrificia, imo singulae pene syllabae, et vestes Aaron, et totus ordo Leviticus, spirant coelestia sacramenta. Numeri vero, nonne totius arithmeticae, et Prophetiae Balaam, et quadraginta duarum per eremum mansionum mysteria continent? Deuteronomium quoque secunda lex, et Evangelicae legis praefiguratio, nonne sic ea habet quae priora sunt, ut tamen nova sint omnia de veteribus? [(b) [0545] Apud plerosque editos: Hucusque Moyses, hucusque Pentateuchus. Porro alludit Hieronymus Apostoli locum quem adnotavimus, ubi in Ecclesia, inquit, volo quinque verba sensu meo loqui, quae ex sensu veterum aliorum Patrum mystice interpretatur, ad quinque Pentateuchi libros quinque Pauli verba referens. ] Hucusque Pentateuchus: quibus quinque verbis (1. Cor. 14. 19) , loqui se velle Apostolus in Ecclesia gloriatur. [(c) [0545] Quod Moysi libris Jobi historiam proxime subjiciat, quae juxta veterum omnium canonem et Hieronymianum ipsum constanter post Prophetas in Agiographorum ordine recensetur, nisi si luxatus est locus iste librariorum incuria, perquam probabilis ratio est, quod ejusdem auctoris, sive ab eodem Moyse conscriptum librum esse senserit, quae nec paucorum est ex antiquis, nec a vero multum abhorret sententia. Quod si pro germana habeatur superius adnotata quorumdam codd. lectio, Hucusque Moyses, tunc seriem temporum, et Jobi remotissimam antiquitatem sibi proposuisse credendus erit.] Job exemplar patientiae, quae non mysteria suo sermone complectitur? Prosa incipit, versu labitur, pedestri sermone finitur: omnesque leges dialecticae, propositione, assumptione, confirmatione, conclusione determinat. Singula in eo verba plena sunt sensibus. Et, ut de caeteris sileam, resurrectionem corporum sic prophetat; ut nullus de ea vel manifestius, vel cautius scripserit: «Scio, inquit, quod redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra resurrecturus sum: et rursum circumdabor pelle mea; et in carne mea videbo Deum. Quem visurus sum ego ipse, et oculi mei conspecturi sunt, et non alius. Reposita est haec spes mea in sinu meo» (Job. 19. 25. 26) . Veniam ad Jesum Nave, qui typus Domini non solum in gestis, sed etiam in nomine, 277 transiit Jordanem, hostium regna subvertit, divisit [0546] terram victori populo, et per singulas urbes, viculos, montes, flumina, torrentes, atque confinia, Ecclesiae, coelestisque Jerusalem spiritualia regna describit. In Judicum libro quot principes populi, tot figurae sunt. Ruth Moabitis. Isaiae explet vaticinium, dicentis: «Emitte agnum, Domine, dominatorem terrae, de petra deserti ad montem filiae Sion» (Isai. 16. 1) . Samuel in Heli mortuo, et in occiso [al. occisione], Saul, veterem legem abolitam monstrat. Porro in Sadoc atque David, novi Sacerdotii, novique Imperii sacramenta testatur. Malachim, id est, Regum tertius, et quartus liber a Salomone usque ad Jechoniam: et ab Jeroboam filio Nabath, usque ad Osee, qui ductus est in Assyrios, regnum Juda et regnum describit Israel. Si historiam respicias, verba simplicia sunt: si in litteris sensum latentem inspexeris, Ecclesiae paucitas, et Haereticorum contra Ecclesiam bella narrantur. Duodecim Prophetae in unius voluminis angustias coarctati, multo aliud quam sonant in littera, praefigurant. Osee crebro nominat Ephraim. Samariam, Joseph, Jezrael, et uxorem fornicariam, et fornicationis filios, et adulteram cubiculo clausam mariti, multo tempore sedere viduam, et sub veste lugubri, viri ad se reditum praestolari. Joel filius Phathuel, describit terram duodecim tribuum, heruca, brucho, locusta, rubigine F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 206 vastante corruptam: et post eversionem prioris populi, effusum iri Spiritum Sanctum super servos Dei, et ancillas, id est, super centum viginti credentium nomina, qui effundendus erat in coenaculo Sion: qui centum viginti, ab uno usque ad quindecim paulatim et per incrementa surgentes, quindecim graduum numerum efficiunt, qui in Psalterio mystice continentur. Amos pastor et rusticus, et «ruborum mora distringens,» paucis verbis explicari non potest. Quis enim digne exprimat tria, aut quatuor scelera Damasci, Gazae, et Tyri, et Idumeae, et filiorum Ammon, et Moab, et in septimo octavoque gradu, Judae et Israel? Hic loquitur ad vaccas pingues, quae sunt in monte Samariae, et ruituram domum majorem minoremque testatur. Ipse cernit fictorem locustae; et stantem Dominum super murum litum vel adamantinum, et 278 uncinum pomorum, attrahentem supplicia peccatoribus, et famem in terram: non famem panis, nec sitim aquae, sed audiendi verbum Dei. Abdias qui interpretatur «servus Dei» [al. Domini], pertonat contra Edom sanguineum, terrenumque hominem. Fratris quoque Jacob semper aemulum hasta percutit spirituali. Jonas «columba» pulcherrima, naufragio suo passionem Domini praefigurans, mundum ad poenitentiam revocat: et sub nomine Ninive, salutem gentibus nuntiat. Michaeas de Morasthi, «cohaeres» Christi, vastationem annuntiat filiae latronis, et obsidionem ponit contra eam: quia maxillam percusserit judicis Israel. Nahum «consolator» orbis, increpat civitatem sanguinum, et post eversionem illius loquitur: «Ecce super montes pedes evangelizantis et annuntiantis pacem» (Num. 1. 15) . Abacuc «luctator» fortis et rigidus, stat super custodiam suam, et [0547] figit gradum super munitionem, ut Christum in cruce contempletur, et dicat: «Operuit coelos gloria ejus, et laudis ejus plena est terra. Splendor ejus, ut lux erit: cornua in manibus ejus, ibi abscondita est fortitudo ejus» (Abac. 3) . Sophonias «speculator» et arcanorum Domini cognitor, audit clamorem a porta piscium, et ejulatum a secunda, et contritionem a collibus. Indicit quoque ululatum habitatoribus pilae: quia conticuit omnis populus Chanaam: disperierunt universi, qui involuti erant argento. Aggaeus «festivus» et laetus, qui seminavit in lacrymis, ut in gaudio meteret, destructum Templum reaedificat, Dominumque Patrem inducit loquentem: «Adhuc unum modicum, et ego commovebo coelum et terram, et mare, et aridam, et movebo omnes gentes: et veniet desideratus cunctis gentibus» (Agg. 2. 7. 8) . Zacharias «memor Domini sui,» multiplex in Prophetia, [(a) [0547] Josuam intellige filium Josedech Pontificem.] Jesum vestibus sordidis indutum, et lapidem oculorum septem, candelabrumque aureum cum totidem lucernis, quot oculis, duas quoque olivas a sinistris lampadis cernit et dextris: ut post [(b) [0547] Sequimur, quam ex Brixianis Codicibus lectionem Victorius restituit, cum verosimillimum sit primum Zachariae caput innui a Hieronymo, non sextum, quod post Erasmum Martianaeus putasse videtur dum legit, equos varios, rufos, et albos, et dissipatas, etc.] equos, rufos, nigros et albos, et varios, et dissipatas quadrigas ex Ephraim, et equum de Jerusalem, pauperem regem vaticinetur et praedicet, sedentem super pullum filium asinae subjugalis. Malachias aperte, et in fine omnium Prophetarum, de abjectione Israel et vocatione gentium: «Non est mihi, ait, voluntas in vobis, dicit Dominus exercituum, et munus 279 non suscipiam de manu vestra. Ab ortu enim solis usque ad occasum, magnum est nomen meum in gentibus: et in omni loco sacrificatur, et offertur nomini meo oblatio munda» (Mal. 1. 10) . Isaiam, Jeremiam, Ezechielem, et Danielem quis possit vel intelligere, vel exponere? Quorum primus non Prophetiam mihi videtur texere, sed Evangelium. Secundus virgam nuceam [Vulg. vigilantem] et ollam succensam a facie Aquilonis, et pardum spoliatum suis coloribus; et quadruplex diversis metris nectit alphabetum (Lamentationes). Tertius principia et finem tantis habet obscuritatibus involuta, ut apud Hebraeos istae partes cum exordio Geneseos ante annos triginta non legantur. Quartus vero qui et extremus inter quatuor Prophetas, temporum conscius, et totius mundi [(c) [0547] Plerique Mss. Philostoricus: omnino autem vitiose cum Erasm. Martian. Philostoros; nos filoièstwr, quod est eruditionis cupidus, ex vulgatis emendatioribus scripsimus.] filoièstwr, lapidem praecisum de monte sine manibus, et regna omnia subvertentem, claro sermone pronuntiat. David, Simonides noster, Pindarus et Alcaeus, Flaccus quoque, Catullus et Serenus, Christum lyra personat, et in decachordo psalterio ab inferis suscitat resurgentem. Salomon, pacificus, et amabilis Domini, mores corrigit, naturam docet, Ecclesiam jungit et Christum, sanctarumque nuptiarum dulce canit epithalamium. Esther in Ecclesiae typo populum liberat de periculo, [0548] et interfecto Aman, qui interpretatur «iniquitas,» partes convivii et diem celebrem mittit in posteros. Paralipomenon liber, id est, Instrumenti veteris eJpitomhú tantus ac talis est, ut absque illo si quis scientiam Scripturarum sibi voluerit arrogare, seipsum irrideat. Per singula quippe nomina, juncturasque verborum, et praetermissae in Regum libris tanguntur historiae, et innumerabiles explicantur Evangelii quaestiones. Ezras et Neemias, «adjutor» videlicet et «consolator a Domino,» in unum volumen coarctantur: instaurant Templum, muros extruunt civitatis: omnisque illa turba populi redeuntis in patriam, et descriptio Sacerdotum, Levitarum, Israelis, proselytorum ac per singulas familias murorum ac turrium opera divisa, aliud in cortice praeferunt, aliud retinent in medulla. 280 8. Cernis me Scripturarum amore raptum excessisse modum Epistolae, et tamen non implesse quod volui. Audivimus tantum quid nosse, quid cupere debeamus, ut et nos quoque possimus dicere: «Concupivit anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore» (Ps. 118. 20) . Caeterum Socraticum illud impletur in nobis; Hoc tantum scio, quod nescio. Tangam et novum breviter Testamentum. Matthaeus, Marcus, Lucas, et Joannes, quadriga Domini, et verum [(d) [0548] Hanc alibi quoque interpretationem urget F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 207 Hieronymus, et exponit in Lexico, quae tamen plerisque veritati consona non videtur, alii, ut tueantar, valde desudant. Sed Hebraeos antiquiores ad notandam scientiae multitudinem ea voce [Hebrew Text] usos esse, probat Philonis testimonium de simulacris Arcae: ceroubivm . . . . . . eJpivgnwsiû kaiú ejpisthvmh pollhú. et Clemens Alexandr. evqelen dev toú oænoma twðn ceroubivm dhlouðn ejpevgnwsiðn pollhún Accedit Isabar Ali in Lexico, Interpretatio alia hujus est multitudo scientiae. Et tandem Joannes Metropolita Darensis: Quid etiam nomen Cherubim? multitudo cognitionis, sive effusio sapientiae, sive abundantia et opulentia sapientiae, Videtur nominis etymologia ex affini Arabic. Kabir, Hebraic. [Hebrew Text] facta litterar. metathesi, quod scium, prudentem, et gnarum notat, desumi.] Cherubim, quod interpretatur «scientiae multitudo, per totum corpus oculati sunt, scintillae emicant, discurrunt fulgura, pedes habent rectos et in sublime tendentes, terga pennata et ubique volitantia. Tenent se mutuo, sibique perplexi sunt, et quasi rota in rota volvuntur, et pergunt quocumque eos flatus Sancti Spiritus perduxerit. Paulus Apostolus ad septem Ecclesias scribit (octava enim ad Hebraeos [(e) [0548] Vid. Lib. de S. E. in Paulo cap. V.] a plerisque extra numerum ponitur.)» Timotheum instruit ac Titum, Philemonem pro fugitivo famulo (Onesimo) deprecatur. Super quo tacere melius puto, quam pauca scribere. Actus Apostolorum nudam quidem sonare videntur historiam, et nascentis Ecclesiae infantiam texere: sed si noverimus scriptorem eorum Lucam esse medicum, cujus «Laus est in Evangelio,» animadvertemus pariter omnia verba illius, animae languentis esse medicinam. Jacobus, Petrus, Joannes, Judas Apostoli, septem Epistolas ediderunt tam mysticas quam succinctas, et breves pariter et longas: breves in verbis, longas in sententiis, ut rarus sit qui non in earum lectione caecutiat [al. concutiatur]. Apocalypsis Joannis tot habet sacramenta, quot verba. [0549] Parum dixi pro merito voluminis. Laus omnis inferior est: in verbis singulis multiplices latent intelligentiae. 9. Oro te, frater carissime, inter haec vivere, ista meditari, nihil aliud nosse, nihil quaerere, nonne tibi videtur jam hic in terris regni coelestis habitaculum? Nolo offendaris in Scripturis sanctis simplicitate, et quasi vilitate verborum, quae vel vitio interpretum, vel de industria sic prolata sunt, 281 ut rusticam concionem [al. contentionem] facilius instruerent: et in una eademque sententia, aliter doctus, aliter audiret indoctus. Non sum tam petulans et hebes, ut haec me nosse pollicear, et eorum fructus in [(a) [0549] Illud in terra ex Brixianis codd. Victorius restituit. qui mox pro sedenti me praefero, in quodam S. Pauli de Urbe Ms. invenisse dicit. Sed enite me profiteor.] terra capere, quorum radices in coelo fixae sunt; sed velle fateor: sedenti me praefero, magistrum renuens, comitem spondeo. Petenti datur, pulsanti aperitur: quaerens invenit. Discamus in terris, quorum nobis scientia perseveret in coelo. 10. Obviis te manibus excipiam, et, ut inepte aliquid, ac de Hermagorae tumiditate [(b) [0549] Olim sed falso, timiditate: tum Martianaeus quoque effundam pro effutiam. Alludit autem Hier. Ciceronis locum lib. 1. de Invent. Hermagoras nec quid dicat attendere, nec quid polliceatur videtur intelligere. Et paulo infra, Hermagoras sua fretus scientia non quid ars, sed quid ipse posset, exposuisse videtur.] effutiam, quidquid quaesieris, tecum scire conabor. Habes hic amantissimum tui fratrem Eusebium, qui litterarum tuarum mihi gratiam duplicavit, referens honestatem morum tuorum, contemptum saeculi, fidem amicitiae, amorem Christi. Nam prudentiam et eloquii venustatem, etiam absque illo, ipsa Epistola praeferebat. Festina, quaeso te, et haerentis in salo naviculae funem magis praecide, quam solve. Nemo renuntiaturus saeculo bene potest vendere, quae contempsit ut venderet. Quidquid in sumptus de tuo tuleris, pro lucro computa. [(1) [0549] Senecae alii tribuunt, sed jam Ennio, atque Catoni adscripsit Jo. Salisber. Carm. ad Opus suum Policr. Avaro tam deest quod habet, quam quod non habet. Vide Theophili Paschal. III. num. 15. Nescit mensuram cui tantum deest quod habet, quantum quod non habet.] Antiquum dictum est: Avaro tam deest quod habet, quam quod non habet. [(c) [0549] Citatur isthaec sententia ab Hieronymo passim, et ab aliis etiam Patribus, Augustino saepe, Cassiano Collat. 24 cap. 26. Bernardo in vita S. Malachiae; ex Graecis vero Clemente Alexandrino Strom. lib. 2., aliisque. Est autem apud LXX. Proverb. 17. post vers. 6. touð pistouð oæloû oj koúsmoû twún crhmavtwn, touð dev avpistouð oujdev ojbolovû.] «Credenti totus mundus divitiarum est. Infidelis autem etiam obolo indiget.» Sic vivamus tanquam nihil habentes, et omnia possidentes. VICTUS et vestitus, divitiae Christianorum sunt. Si habes in potestate rem tuam, vende: si non habes, projice. Tollenti tunicam, et pallium relinquendum est. Scilicet nisi tu semper recrastinans, et diem de die trahens, caute et pedetentim tuas possessiunculas vendideris, non habet Christus unde alat pauperes suos. Totum Deo dedit, qui seipsum obtulit. Apostoli navem tantum et retia reliquerunt. Vidua duo aera misit ad gazophylacium, et praefertur Croesi divitiis. FACILE contemnit omnia, qui se semper cogitat esse moriturum. Ep., 22,88,30 Cristiano o ciceroniano? (Cf. SEMI III,250) F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 208 30. Cum ante annos plurimos domo, parentibus sorore, cognatis, et quod his difficilius est, consuetudine lautioris cibi, propter coelorum me regna 115 castrassem, et [(f) [0416] Mallet Tillemontius Antiochiam legere pro Jerosolymam, quod nimirum, cum haec scriberet, nondum Jerosolymae fuisse Hier. videatur. Sed renuentibus Mss. atque editis libris, id unum perquam commode intelligitur indicare, illuc quidem in animo habuisse, ut pergeret, etsi mutato consilio, Antiochiae primum, tum in eremo substiterit.] Jerosolymam militaturus pergerem, Bibliotheca, quam mihi Romae summo studio ac labore confeceram, carere omnino non poteram. Itaque miser ego lecturus Tullium, jejunabam. Post noctium crebras vigilias, post lacrymas, quas mihi praeteritorum recordatio peccatorum ex imis visceribus eruebat, [(g) [0416] Tres Mss. Plato sumebatur in munibus.] Plautus sumebatur in manus [al. manibus]. Si quando in memetipsum reversus, Prophetas legere coepissem, sermo horrebat incultus; et quia lumen caecis oculis non videbam, non oculorum putabam culpam esse, sed solis. Dum ita me antiquus serpens [al. hostis] illuderet, in media ferme Quadragesima medullis infusa febris, corpus invasit exhaustum: et sine ulla requie (quod dictu quoque incredibile sit) sic infelicia membra depasta est, [(h) [0416] Cisterciens, ut ossibus ossa vix haererent.] ut ossibus vix haererem. Interim parantur exequiae, et vitalis animae calor, toto frigescente jam corpore, in solo tantum tepente pectusculo palpitabat: Cum subito raptus in spiritu, ad tribunal judicis pertrahor; ubi tantum luminis, et tantum erat ex circumstantium claritate fulgoris, ut projectus in terram, sursum aspicere non auderem. Interrogatus de conditione, Christianum me esse respondi. Et ille qui praesidebat: Mentiris, ait, Ciceronianus es, non Christianus: ubi enim thesaurus tuus, ibi et cor tuum (Matth. 6. 21) . Illico obmutui, et inter verbera (nam caedi me jusserat) conscientiae magis igne torquebar, illum mecum versiculum reputans: «In inferno autem quis confitebitur tibi» (Ps. 6. 6) ? Clamare tamen coepi, et ejulans dicere: Miserere mei, Domine, miserere mei. Haec vox inter flagella resonabat. Tandem ad praesidentis genua provoluti qui astabant, precabantur, ut veniam tribueret adolescentiae, et errori locum poenitentiae commodaret, exacturus deinde cruciatum, si Gentilium litterarum libros aliquando legissem. Ego qui in tanto constrictus articulo, vellem etiam majora promittere, dejerare [0417] coepi, et nomen ejus obtestans, dicere, Domine, si unquam habuero codices saeculares, si legero, te negavi. In haec sacramenti verba dimissus, revertor 116 ad superos; et mirantibus cunctis, oculos aperto tanto lacrymarum imbre perfusos, ut etiam, incredulis fidem facerem ex dolore. Nec vero sopor ille fuerat, aut vana somnia, quibus saepe deludimur. Testis est tribunal illud, ante quod jacui, testis judicium triste, quod timui: ita mihi nunquam contingat in talem incidere quaestionem. Liventes fateor habuisse me scapulas, plagas sensisse post somnum, et tanto dehinc studio divina legisse, quanto non ante mortalia legeram. Traduzione Hier., ep., 22, 34-35. La vita dei cenobiti 34. Et quoniam Monachorum fecimus mentionem, et te scio libenter audire, quae sancta sunt, aurem paulisper accommoda. Tria sunt in Aegypto genera Monachorum. Unum, Coenobitae, quod illi Sauses gentili lingua vocant, nos in commune viventes possumus appellare. Secundum, Anachoretae, qui soli habitant per deserta; et ab eo quod procul ab hominibus recesserint, nuncupantur. Tertium genus est, quod Remoboth dicunt, deterrimum atque neglectum, et quod in nostra provincia aut solum, aut primum est. Hi bini vel terni, nec multo plures simul habitant, suo arbitratu ac ditione viventes: et de eo quod laboraverint, in medium partes conferunt, ut habeant alimenta communia. Habitant autem quam plurimum in urbibus et castellis: et quasi ars sit sancta, non vita, quidquid vendiderint, majoris est pretii. Inter hos saepe sunt jurgia: quia suo viventes cibo, non patiuntur se alicui esse subjectos. Revera solent certare jejuniis; et rem secreti, victoriae faciunt. Apud hos affectata sunt omnia; laxae manicae, caligae follicantes, vestis crassior, crebra suspiria; visitatio Virginum, detractio Clericorum: et si quando dies festus venerit, saturantur ad vomitum. 35. Coenobitae. His igitur quasi quibusdam pestibus exterminatis, veniamus ad eos qui plures sunt, et in commune habitant, id est, quos vocari Coenobitas diximus. Prima apud eos confoederatio est, obedire majoribus, et quidquid jusserint, facere. Divisi sunt per decurias atque centurias, ita ut novem hominibus decimus praesit. Et rursus decem praepositos sub se centesimus habeat. Manent separati sejunctis cellulis. Usque ad horam nonam, ut institutum est, nemo pergit ad alium, exceptis his Decanis, quos diximus, ut si cogitationibus forte quis [0420] fluctuat, illius consoletur alloquiis. Post horam nonam in commune concurritur, Psalmi resonant, Scripturae recitantur ex more. Et completis orationibus, cunctisque residentibus, medius, quem Patrem vocant, incipit disputare. Quo loquente, tantum silentium fit, ut nemo alium respicere, nemo audeat excreare. Dicentis laus in fletu est audientium. Tacite [Leg. Tacitae] volvuntur per ora lacrymae, et ne in singultus quidem erumpit dolor. Cum vero de regno Christi, et de futura beatitudine, et de gloria coeperit annuntiare ventura, videas cunctos moderato suspirio, et oculis ad coelum levatis, intra se dicere: «Quis dabit mihi pennas sicut columbae, et volabo, et requiescam» (Ps. 54. 7) ? Post haec concilium solvitur, et unaquaeque decuria cum suo parente pergit ad mensas, 120 quibus per F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 209 singulas hebdomadas vicissim ministrant. Nullus in cibo strepitus est; nemo comedens loquitur. Vivitur pane, legumini bus et oleribus, quae sale solo condiuntur. Vinum tantum senes accipiunt, quibus cum parvulis saepe fit prandium, ut aliorum fessa sustentetur aetas, aliorum non frangatur incipiens. Dehinc consurgunt pariter, et hymno dicto, ad praesepia redeunt: ibi usque ad vesperam cum suis unusquisque loquitur, et dicit: Vidistis illum et illum? quanta in ipso sit gratia? quantum silentium? quam moderatus incessus? Si infirmum viderint, consolantur: si in Dei amore ferventem, cohortantur ad studium. Et quia nocte extra orationes publicas in suo cubili unusquisque vigilat, circumeunt cellulas singulorum; et aure apposita, quid faciant, diligenter explorant. Quem tardiorem deprehenderint, non increpant: sed dissimulato quod norunt, eum saepius visitant: et prius incipientes, provocant magis orare quam cogunt. Opus diei statum est: quod Decano redditum, fertur ad Oeconomum, qui et ipse per singulos menses Patri omnium cum magno tremore reddit rationem. A quo etiam cibi cum facti fuerint, praegustantur: et quia non licet dicere cuiquam: Tunicam et sagum textaque juncis strata non habeo, ille ita universa moderatur, ut nemo quid postulet, nemo dehabeat. Si quis vero coeperit aegrotare, transfertur ad exedram latiorem, et tanto senum ministerio confovetur, ut nec delicias urbium, nec matris quaerat affectum. Dominicis diebus orationi tantum et lectionibus vacant: quod quidem et omni tempore completis opusculis faciunt. Quotidie aliquid de Scripturis discitur. Jejunium totius anni aequale est, excepta Quadragesima, in qua sola conceditur districtius vivere. A Pentecoste coenae mutantur in prandia: quo et traditioni Ecclesiasticae satisfiat, [0421] et ventrem cibo non onerent duplicato. Tales Philo Platonici sermonis imitator: tales Josephus, Graecus Livius, in secunda Judaicae captivitatis historia Essenos refert. Traduzione Hier., de vir.ill., praef. (Migne) [0601] 821 Hortaris [b [0602A] Ita Veronensis ms. omnium antiquiss. alibi me desideratur. Porro hunc Dextrum, cui liber iste inscribitur, Praefectum Praetorio, laudat ipse Hieron. supra lib. II in Rufinum, deque eo multa Gothofredus in cod. Theodosiani Prosopographia.] me, Dexter, ut Tranquillum sequens, ecclesiasticos Scriptores in ordinem digeram [0603A] et quod ille in enumerandis [a [0603D] Notatum est doctis viris Graeca, touúû taú ejqnikaú suntavxantaû, eos proprie designare, qui de vocabulis unius alicujus gentis scripserunt, nec bene respondere Latino textui, gentilium litterarum viris, puta grammaticos, rhetores, poetas, quos Suetonius recensuit.] Gentilium litterarum Viris fecit Illustribus, ego [Al. id ego] in nostris faciam, id est, ut a passione Christi usque ad decimum quartum Theodosii imperatoris annum, omnes qui de Scripturis sanctis memoriae aliquid prodiderunt, tibi breviter exponam. Fecerunt quidem hoc idem apud Graecos, [b [0603D] Smyrnaeus videlicet, quem et Josephus lib. contra Appionem vocat virum omnis historiae diligentissimum indagatorem, et multi ex antiquis laudant. Ab Antigono scriptas Philosophorum Vitas Athenaeus et Laertius testes sunt. Satyri meminit ipse Hieron. alibi II lib. in Jovinian.: Satyrus, qui illustrium virorum scripsit Historiam. Denique Aristoxeni bivoi ajndrwðn a Plutarcho et Gellio celebrantur.] Hermippus peripateticus, Antigonus Carystius, Satyrus doctus vir, et longe omnium doctissimus Aristoxenus musicus. Apud Latinos autem [c [0603D] Priores sex Antiquitatum rerum humanarum putantur Varronis libri innuit. Santrae meminit Donatus in Terentii Vita, aliique. Nepotem nostrum, scriptorem elegantiss. nemo non novit. Denique Hyginum non eum putato, cujus veteris Mythologiae [0604D] liber circumfertur, sed vetustiorem alium Augusti libertum, quem Gellius laudat lib. II, cap. 21. Paulo post Martian. provocas, refragrantibus mss.] Varro, Santra, Nepos, Hyginus, et ad cujus nos exemplum provocas, Tranquillus. Sed non mea est et illorum similis conditio: illi enim historias veteres annalesque replicantes, potuerunt quasi de ingenti prato non parvam opusculi sui coronam texere. Ego quid aucturus, qui [0603B] nullum praevium sequens, pessimum, ut dicitur, magistrum memetipsum habeo? Quamquam Eusebius Pamphili in decem ecclesiasticae Historiae libris, maximo nobis adjumento fuerit, et singulorum, de quibus scripturi sumus, volumina aetates auctorum suorum saepetestentur. Itaque Dominum Jesum Christum precor, ut quod Cicero tuus, qui 823 in arce Romanae eloquentiae stetit, non est facere dedignatus in Bruto, Oratorum Latinae linguae texens catalogum, id ego in ejus [d [0604D] In Ecclesiae illius scriptoribus. Codex ms. eminentissimi card. Ottoboni legit hoc loco, in Ecclesiasticis scriptoribus; sed unus est sensus in utraque lectione. MARTIAN.—In aliquot mss. Martianaeo, et Gravio testibus, melius habetur in Ecclesiasticis Scriptoribus.] Ecclesiae Scriptoribus enumerandis, digne cohortatione tua impleam. Si qui autem de his qui usque hodie scriptitant [Al. scripserunt], a me in hoc volumine praetermissi sunt, sibi magis quam mihi debebunt [Al. debent] imputare. Neque enim celantes scripta sua, de his [e [0604D] Ita praeferunt satis recte mss. quibus et impressi omnes libri et Graeca concinit interpretatio. Unus penes Fabricium Moseensis cod., qui longe sunt.] quae [0603C] non legi, nosse potui, et quod aliis forsitan sit notum, mihi in hoc terrarum angulo (Bethleemi) fuerit ignotum. Certe cum scriptis suis claruerint, non magnopere nostri silentii dispendia [Al. dispendio] suspirabunt. [f [0604D] Discant ergo Celsus, etc, Perniciosissimi hostes Ecclesiae christianae fuerunt isti tres saeculi sapientes et philosophi, quorum Celsum scriptis Origenes profligavit; Porphyrium F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 210 Methodius; et Julianum Cyrillus Alexandrinus. MARTIAN.] Discant ergo Celsus, Porphyrius, Julianus, rabidi adversus Christum canes, discant eorum sectatores (qui putant Ecclesiam nullos philosophos et eloquentes, nullos habuisse doctores) quanti et quales viri eam fundaverint, exstruxerint [Al. struxerint], et adornaverint; et desinant fidem nostram rusticae tantum simplicitatis arguere, suamque potius imperitiam agnoscant. [g [0604D] Veronensis lib., Vale in Domino Jesu Christo. In [0605D] aliis haec salutatio praetermittitur, quae nec habetur in Graeco.] Vale in Domino Jesu Christo. Traduzione Letture critiche - M. Simonetti, Girolamo Dotato di buona sensibilità filologica e letteraria, affinata a Roma alla scuola di Donato, e perciò molto attaccato alla tradizione delle lettere classiche, una volta convertitosi a più integrale impegno cristiano fino ad abbracciare la vita monastica, Girolamo avvertì lacerante il dissidio tra le due esperien ze, culminato nella celebre visione (sogno?) avuta nel deserto di Calcide, e solo gradualmente riuscì a farle convivere, in equilibrio pur sempre precario, grazie alla dedizione sempre più totalizzante allo studio della Scrittura. Parallelamente la sua costituzionale fragilità psichica da una parte indirizzava l'esigenza di una rigida ascesi verso l'esperienza della vita solitaria, lontano dal contatto con gli uomini, che ombrosa sensibilità ed esasperata coscienza della propria superiorità intellettuale gli resero sempre molto difficile; dall'altra però lo sospingeva ad affermare questa superiorità proprio nel contatto con ambienti ristretti di uomini e soprattutto donne di alta condizione, da lui conquistati agl'ideali della vita ascetica e/o monastica, tr a i quali il suo desiderio di primeggiare trovava adeguata soddisfazione. La sua iniziazione alle lettere cristiane fu nei nomi di Origene ed Eusebio, ma il suo primo frettoloso approccio con lo studio sistematico della Scrittura dette come risultato, nei commentari a Paolo e all'Ecclesiaste, poco più che la parafrasi delle corrispondenti pagine origeniane. Ma in breve egli trovò, in questo studio, un ubi consistam meno servile e più consono alle sue doti più spiccate nella valorizzazione della dimensione f ilologica dell'esegesi di Origene, filtrata anche attraverso l'esperienza di Eusebio: ne derivarono da una parte il progetto di tradurre direttamente dall'ebraíco l'intero AT e dall'altra la messa a punto di un tipo di commentario esegetico nuovo rispetto ai modelli sia alessandrino sia antiocheno. Abbiamo già avuto modo di accennare al latino approssimativo che caratterizzava le antiche versioni della Scrittura in uso nella chiesa del m secolo e al senso di fastidio che la sua lettura provocava in ascoltatori e lettori di un certo livello. Girolamo fu incaricato da papa Damaso di rivedere e migliorare la traduzione latina dei vangeli sulla base dell'originale greco; e proprio questa revisione gli fece capire l'importanza di risalire al testo originale della Scrittura, che è dire per 1'AT al testo ebraico. Girolamo in mille modi ha pubblicizzato, nelle lettere e altrove, la sua conoscenza dell'ebraico: gli studiosi moderni non condividono questo entusiasmo e appaiono sempre più convinti che, per il lavoro di traduzione, egli abbia integrato una soltanto modesta conoscenza dell'ebraico con il massiccio ricorso agli Hexapla origeniani, che gli fornivano l'appoggio delle traduzioni di Aquila e Simmaco, molto più letterali di quella dei LXX. Ma anche così ridimensionata, l'iniziativa si presentava eccezionale, soprattutto in un mondo, come quello latino, poco sensibile alle esigenze della filologia: per quanto approssimativa e imperfetta possa apparire allo studioso moderno, la sua traduzione va apprezzata soprattu tto proprio per l'esigenza filologica che la ispirò, di aderire, cioè, direttamente al testo originale dell'AT, senza passare attraverso il filtro, sempre in qualche modo deformante, della traduzione in greco. Per questo, dopo iniziali resistenze, anche da parte di Agostino, la traduzione di Girolamo fu giustamente apprezzata e s'impose in tutto l'Occidente, anche nell'uso liturgico (Vulgata). Ancora questa sensibilità filologica, aperta anche all'apprezzamento storico del testo veterotestamentario e invece del tutto sorda al richiamo del retroterra filosofico che aveva ispirato l'esegesi di Origene, maturò in Girolamo la convinzione che, nell'interpretazione del testo scritturistico, i diritti dell'interpretazione letterale dovessero essere rispettati più di quanto usualmente si avvertiva nelle pagine di Origene e Didimo. D'altra parte, in quanto sensibile alle esigenze della vita spirituale, Girolamo non intendeva affatto rinunciare, more Antiocheno, a questa componente tradizionale dell'esegesí cristiana d ell'AT: perciò i suoi commentari della maturità, dedicati ai profeti prima minori e poi maggiori, presentano una ratio interpretandi che contempera ambedue le esigenze. Ne è risultato un commentario che, sfruttando una quantità di dati di disparata provenienza - tradizioni giudaiche per l'interpretazíone letterale, Origene e Didimo per quella spirituale - sa armonizzarli in un complesso sufficientemente omogeneo, abbastanza ben bilanciato, in sostanza originale. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 211 Lo studio della Scrittura rappresentò l'attività più sistematica e di maggior respiro di Girolamo nel campo delle lettere, ma tutt'altro che l'unica: l'ideale di vita ascetica e monastica, da lui non solo abbracciato ma ampiamente propagandato, gli impose anche svariati impegni di carattere letterari o, sia per dirigere, confortare, correggere quanti a lui si rivolgevano per la guida spirituale, sia per controbattere gli attacchi che da più parti, anche dall'interno della chiesa, prendevano di mira questo ideale; si aggiunga che Girolamo, pur se sprovvisto di apprezzabili capacità speculative, vuoi per la spinta incoercibile a trovarsi sempre sotto le luci della ribalta delle lettere vuoi anche perché sollecitato da altri in forza della fama letteraria da lui rapidatnente conseguita, non poté e non voll e sottrarsi al dibattito d'argomento dottrinale, allora vivo in merito ai più svariati argomenti, dagli strascichi della controversia ariana alle prime battute di quella pelagiana; più in generale, il carattere difficile e ombroso, rendendogli arduo un equilibrato rapporto con quanti entravano in contatto con lui, facilmente lo invitava alle querelles più varie, nelle quali le sue doti di polemista acuto e irruento venivano esaltate in sommo grado. Più onerosa e dolorosa fu la sua partecipazione alla contro versia origeniana, che dicemmo innescata a fine secolo da Epifanio, perché l'opportunità di liberarsi da un'eredità sentita ormai troppo ingombrante e vincolante gl'impose il voltafaccia da sostenitore e ammiratore ad avversario e denigratore dell'alessandrino, col corollario dell'astiosa polemica con l'origeniano Rufino, suo vecchio amico: l'eccessiva sgradevole irruenza con cui, in questo complesso e non edificante affare, Girolamo si difese e soprattutto attaccò evidenzia le difficoltà in cui egli ebbe a dibattersi e che lo costrinsero ad alzare il tono della voce per sopperire alla carenza di argomenti validi. Per altro, lo strumento più adatto che Girolamo ebbe a disposizione per sviluppare questa multiforme attività fu la lettera: il suo epistolario è il più vario e il più bello che ci abbia lasciato l'antichità cristiana, dove si passa dallo sfogo personale al breve trattato di argomento esegetico o ascetico, dalla consolatio all'encomio, dall'attacco polemico all'esaltazione dei propri ideali. È qui c he c'è tutto Girolamo, l'esegeta raffinato l'asceta intransigente il polemista irruento, sempre e comunque teso ad attirare su di sé l'attenzione della gente di cultura e lettere, in uno spessore di scrittura colorita e brillante che anima parecchie delle pagine più suggestive che ci abbia dato la letteratura cristiana antica. Gl'interessi storici di Girolamo, di cui è documento anche la traduzione, con integrazioni, del Chronicon eusebiano, hanno dato l'esito culturalmente più significativo nel De viris il lustribus. Di per sé la serie di brevi biografie dedicate a presentare i letterati cristiani da san Pietro fino allo stesso Girolamo non brilla di eccessiva acribia filologica e ampiezza documentaria, largamente dipendente, qual è, dal solito Eusebio. Ma è il significato dell'opera che è importante: nel prologo, pur confessando i limiti d'informazione del suo libro, Girolamo lo inserisce consapevolmente nella tradizione biografica greca e latina, di cui ricorda vari nomi importanti, oltre quello di Svetonio , da cui è dedotto il titolo stesso dell'opera. I limiti che Girolamo riconosce a questo suo scritto sono reali: rispetto alle ampie biografie del De poetis svetoniano, quelle del nostro autore sono poca cosa, e la sua informazione resta molto al di sotto anche di quella di Eusebio. Ciò nonostante l'opera è significativa nella storia del rapporto sempre tanto dialettico tra cultura cristiana e cultura pagana: con essa infatti Girolamo da una parte esprime orgogliosamente la consapevolezza che anche nel camp o delle lettere ormai i cristiani si sono portati al livello dei pagani e ad essi li contrappone; dall'altra inserisce scientemente la sua opera nel solco della tradizione letteraria pagana, significando così continuità e insieme originalità del nuovo rispetto all'antico. M. Simonetti, Letteratura cristiana antica, 2, Casale M., PM, 1996, pp. 42-46. Letture critiche. M. von Albrecht, Tecnica letteraria, lingua e stile. Tecnica letteraria. Gerolamo è un brillante epistolografo, un narratore avvincente - si pensi alla biografia di Malco, con la storia della prigionia del monaco presso i beduini - ed un polemista implacabile. Signoreggia però anche la forma dialogica ambiziosa, come mostra la sua migliore opera polemica, l'Adversus Pelagianos. Nella vita di Malco è caratteristica ad esempio la tecnica a cornice multi pla, che conferisce al tutto un colorito tra il fiabesco ed il leggendario. La narrazione in prima persona ricorda l'Odissea e l'Asino d'oro. La tematica della castità e la vicenda avventurosa mostrano contatti col romanzo antico. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 212 Un elemento romano, l'interesse biografico, viene sviluppato da Gerolamo nel senso del tipico e del simbolico. La vita di Antonio di Atanasio, latinizzata da un amico del nostro autore, Eva grio d'Antiochia, resta per Gerolamo la Magna Charta della vita religiosa. Su questa base egli apporta un contributo essenziale allo sviluppo dell'agiografia di ambizioni letterarie in lingua latina. Le sue leggende di Paolo di Tebe, Malco e Ilarione approfondiscono spunti letterari di fiabe, novelle, aretalogie di taumaturghi pagani come la vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato`; un fenomeno parallelo è la vita di Martino di Sulpicio Severo. Gerolamo unisce la stilizzazione tra l'erudito e l'attraente di avvenimenti storici o quasi storici alla rappresentazione propagandistica di una forma di vita. Il necrologio di Paola (epist. 108) unisce la tradizione romana della laudatio funebris a quella degl'itinerari. A quell'epoca era già apparsa la Peregrinatio Aetheriae o Egeriae. Lingua e stile. L'ambizione di Lattanzio di essere il «Cicerone cristiano» è stata pienamente realizzata da Gerolamo. Occasionalmente, è vero, egli usa un infinito per esprimere intenzione o una parola tar dolatina come confortare, ma in genere scrive un latino puro e limpido. Dotato com'è di coscienza linguistica, critica come barbarismo perfino l'impiego di comparare in luogo di emere (c. Ruf. 3, 6). Accanto a Plauto e Cicerone, è Gerolamo la nostra fonte piú importante per i termini d'ingiuria latini. Come Cicerone, egli impiega registri diversi nella lingua latina. Si può distinguere tra uno stile emotivoretorico riconducibile al genus grande ed una forma volta all'informazione concreta. Gerolamo rispetta la sancta simplicitas nella vita, ma non la verbosa rusticitas nella scrittura. Il suo stile, che ricerca sí la semplicità, ma è tutt'altro che primitivo, possiede un calore personale che è difficile descrivere. Gerolamo sarebbe potuto divenire un grande satirico. La santità apparente è da lui messa alla berlina coi diminutivi: «quasi religiosulus et sanctulus» (c. Ruf. 3, 7); l'incompetenza viene messa a nudo con un'antitesi demolitrice: «tantam habes Graeci Latinique sermonis scientiam, ut et Graeci te Latinum et Latini te Graecum putent» (`conosci tanto bene il latino ed il greco che i Greci ti credono latino e i Latini greco': c. Ruf. 3, 6). Si veda come presenta la sua critica al clero (epist. 22, 20): dapprima esclamazioni indignate: «pudet dicere, pro nefas! » Segue una secca constatazione: « triste, sed verum est ». Poi interrogazioni introdotte anaforicamente da unde: «unde in ecclesias agapetarum pestis introiit? Unde sine nuptiis aliud nomen uxorum? Immo unde novum concubinarum genus ? Plus inferam: unde meretrices univirae ? » (`da dove è penetrata nella chiesa la peste delle 'amate'? da dove un nuovo nome delle mogli senza matrimonio? anzi, da dove questo nuovo genere di concubine? Dirò di piú: da dove queste prostitute di un solo uomo?'). Gli ultimi due anelli della serie sono ciascuno separati efficacemente da ciò che precede. Col progressivo decrescere della lunghezza delle frasi le espressioni designanti le donne si fanno sempre piú forti (agapetarum, uxorum, concubinarum, meretrices). Il paradosso piú pungente (meretrices univirae) è collocato in fondo, a mo' di botta finale. Piú innocente è l'umorismo quando Paola, la cui figlia si è fatta monaca, riceve le congratulazioni di Gerolamo come «suocera di Dio» (epist. 22, 20). Caratteristica della sua tecnica antitetica volta ad illuminare i problemi, che a volte ricorda Paolo e Tertulliano, è ad esempio la chiusa del prologo al commento a Giona: «illi [scil. Iudaei] habent libros, nos librorum dominum, illi tenent prophetas, nos intellegentiam prophetarum; illos occidit littera, nos vivificat spiritus [2 Cor. 3, 6], apud illos Barabbas latro dimittitur, nobis Christus Dei filius solvitur» (`essi possiedono i libri, noi il signore dei libri; essi hanno i profeti, noi la comprensione dei profeti; essi sono fatti morire dalla lettera, noi siamo fatti vivere dallo spirito; presso di loro viene scarcerato il ladrone Barabba, da noi è liberato Cristo, il figlio di Dio'). O, nella presa di distanza da Origene: «laudavi interpretem, non dogmatisten, ingenium, non fidem, philosophum, non apostolum» (`ho lodato l'interprete, non il dogmatico, l'ingegno non l'attendibilità, il filosofo non l'apostolo': epist. 84, 2, 2). Il ritmo prosastico è a mezza strada fra il quantitativo e l'accentuativo". In passi che attirano l'attenzione Gerolamo è attento a che le clausole siano corrette anche in senso classico, come al la fine della vita di Malco (10): «pudicitiam non esse captivam» (cretico e trocheo) «hominem Christo deditum posse mori, non posse superari» (peone primo e trocheo). M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, 3, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1668-1670. Bibliografia Bettini, 3, 810-818; Conte F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente o.o. ed. D. Vallarsi, Verona-Venezia 1766-722 ora in PL 22-30 PL Migne, voll. 22-30? vol. 22 Epistolae S Hieronymi in quatuor classes divisae secundum ordinem temporum. Quinta classis complectens sex epistolas, tres tempore, tres auctore spurias. vol. 23 Vitae S. Pauli, S. Hilarionis et Malchi, monachorum. Regulae S. Pachomii translatio Latina. SS. Pachomii et Theodori epistolae et verba mystica. Interpretatio libri Didymi de Spiritu sancto. Dialogus contra Luciferianos. Liber de perpetua Virginitate B. Mariae. Libri duo adversus Jovinianum. Liber contra Vigilantium. Liber contra Joannem Hierosolymitanum. Apologia adversus libros Rufini. Dialogus adversus Pelagianos. Theodori Mopsuesteni fragmenta. Liber de Viris illustribus. De Vitis apostolorum. Epistola ad Desiderium. Liber de Nominibus Hebraicis. Liber Hebraicarum Quaestionum in Genesim. Commentarius in Ecclesiasten. Interpretatio Homiliarum duarum Origenis in Canticum. Graeca fragmenta libri Nominum Hebraicorum. Liber Nominum Graecorum ex Actis. De Benedictionibus Jacob patriarchae. De decem Tentationibus populi Israel in deserto. Commentarius in Canticum Deborae. Quaestiones Hebraicae in libros Regum et Paralipomenon. Expositio interlinearis in librum Job. Commentarii in S. Hieronymi libros, auctore Martinaeo. Liber de Nominibus Hebraicis. Liber de Situ et Nominibus locorum Hebraicorum, cum Graeco Eusebii textu. Liber Quaestionum Hebraicarum in Genesim. Commentarius in Ecclesiasten. Homiliae duae Origenis in Canticum Canticorum, Latine abs Hieronymo redditae vol. 24 Commentariorum in Isaiam libri octo et decem. Commentariorum in Jeremiam libri sex. Translatio homiliarum novem origenis in visiones Isaiae. Abbreviatio in Isaiam. F. D’Alessi © 2002 213 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 214 vol. 25 Commentaria in Ezechielem. Commentaria in Danielem. Translatio Homiliarum Origenis in Jeremiam et Ezechielem. In Lamentationes Jeremiae tractatus. Commentaria in Osee. Commentaria in Joelem. Commentaria in Amos. Commentaria in Abdiam. Commentaria in Jonam. Commentaria in Michaeam. Commentaria in Naum. Commentaria in Abacuc. Commentaria in Sophoniam. Commentaria in Aggaeum. Commentaria in Zachariam. Commentaria in Malachiam. In Osee commentariorum libri tres. In Joelem liber unus. In Amos libri tres. In Abdiam liber unus. In Jonam liber unus. In Michaeam libri duo. In Naum liber unus. In Abacuc libri duo. In Sophoniam liber unus. In Aggaeum liber unus. In Zachariam libri tres. In Malachiam liber unus vol. 26 Commentaria in Evangelium S. Matthaei. Translatio Homiliarum Origenis in Evangelium Lucae. Commentaria in Epistolam ad Galatas. Commentaria in Epistolam ad Ephesios. Commentaria in Epistolam ad Titum. Commentaria in Epistolam ad Philemonem. Commentaria in librum Job. Breviarium in Psalmos. vol. 27 Interpretatio Chronicae Eusebii Pamphili, auctore Hieronymo, cum praecedente ejusdem Hieronymi praefatione.Col. S. Hieronymi Chronicon. Prosperi Aquitanici Chronicon. voll. 28-29 Antico e Nuovo Testamento F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 215 vol. 30 (Supposititia) Epistolae. De formis Hebraicarum litterarum. Homilia ad monachos. Regula monachorum. Regula monacharum. Canones poenitentiales. Martyrologium. Liber Comitis. Commentarii in Evangelia necnon et in Epistolas B. Pauli.. Epistulae ed. J. Hilberg, 3 voll. CSEL Epistulae – ed. I. Hilberg 1910/1918; editio altera supplementis aucta 1996: Epp. 1-70, CSEL Vol. 54; epp. 71-120 Vol. 55; epp. 121-154 Vol. 56/1; Indices comp. M. Kamptner 1996, Vol. 56/2 In Hieremiam prophetam – ed. S. Reiter 1913, CSEL Vol. 59 ed. J. Labourt, 8 voll., Paris 1949-63. Correspondance. ed. J. Labourt. T. II : Lettres XXIII-LII. 1951. T. VIII : Lettres CXXXI-CLIV. 1963. T. VII : Lettres CXXI-CXXX. 1961. T. III : Lettres LIII-LXX. 1954. Select Letters, Tr. F. A. Wright, London - Cambridge Mass. 1933/6th tr. it. S.Cola. 4 voll., Roma 1962-64. tr.it. R. Palla, Milano, Rizzoli, 1989. Gerolamo (San), Lettere, ?, Milano, Rizzoli BUR, ?. Lettere; introduzione e note di Claudio Moreschini ; traduzione di Roberto Palla, Milano, Fabbri,1998 Collezione: I classici dello spirito Chronicon ed. R. Helm, Berlin 19562 Contra Iohannem (SL 79A). Altercatio Luciferiani et Orthodoxi (SL 79B). ,PB,07/2001,Instrumenta Lexicologica Latina - Series A: Formae 114 Canellis (ed.),Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. ,HB,12/2000,Turnhout, Corpus Christianorum 79B Canellis (ed.),Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. ,PB,12/2000,Turnhout, Corpus Christianorum 79B Feiertag (ed.),Contra Iohannem. ,HB,06/1999,Turnhout, Corpus Christianorum 79A Feiertag (ed.),Contra Iohannem. ,PB,06/1999,Turnhout, Corpus Christianorum 79A Thesaurus Sancti Hieronymi.,HB,01/1990,Thesauri - Series A: Formae F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 216 Moreschini (ed.),Dialogus adversus Pelagianos ,HB,01/1990,Turnhout, Corpus Christianorum 80 Moreschini (ed.),Dialogus adversus Pelagianos. ,PB,01/1990,Turnhout, Corpus Christianorum 80 Contra Rufinum (CCSL 79). ,PB,01/1986,Instrumenta Lexicologica Latina - Series B: Lemmata 2 Lardet (ed.),Contra Rufinum. ,HB,01/1982,Turnhout, Corpus Christianorum 79 Contra Rufinum (CCSL 79). ,PB,01/1982,Instrumenta Lexicologica Latina - Series A: Formae 2 Adriaen (ed.),Commentarii in prophetas minores. ,HB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 76 Hurst (ed.),Commentariorum in Matheum libri IV. ,HB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 77 Hurst (ed.),Commentariorum in Matheum libri IV. ,PB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 77 Glorie (ed.),Commentariorum in Hiezechielem libri XIV. ,HB,01/1964,Turnhout, Corpus Christianorum 75 Glorie (ed.),Commentariorum in Danielem libri III . ,HB,01/1964,Turnhout, Corpus Christianorum 75A Adriaen (ed.),Commentarii in prophetas minores. ,HB,01/1964,Turnhout, Corpus Christianorum 76A Adriaen (ed.),Commentariorum in Esaiam libri I-XI. ,HB,01/1963,Turnhout, Corpus Christianorum 73 Reiter (ed.),In Hieremiam libri VI. ,HB,01/1960,Turnhout, Corpus Christianorum 74 de Lagarde (ed.),Hebraicae quaestiones in libro Geneseos. Liber interpretationis hebraicorum nominum. Commentarioli in psalmos. Commentarius in Ecclesiasten. ,HB,01/1959 Turnhout, Corpus Christianorum 72 Adriaen (ed.),Commentariorum in Esaiam libri XII-XVIII. In Esaiam parvula adbreviatio. ,HB 01/1959,,Turnhout, Corpus Christianorum 73A Morin (ed.),Tractatus sive homiliae in psalmos. In Marci evangelium. Alia varia argumenta. ,HB,01/1958,Turnhout, Corpus Christianorum 78 Controllo lista precedente con seguente: Commentaire sur saint Matthieu, I, Livres I-II Texte latin Introduction, traduction et notes par Émile Bonnard, Le texte latin est repris de l'édition du Corpus Christianorum, établie par D. Hurst et M. Adriaen. 1977, SCh 242 Commentaire sur saint Matthieu, II, Livres III-IV Texte latin, traduction, notes et index par Émile Bonnard, Index scripturaire, des noms de personnes et analytique Le texte latin est repris de l'édition du Corpus Christianorum, établie par D. Hurst et M. Adriaen. 1979, SCH 259 Apologie contre Rufin Introduction, texte critique, traduction et index par Pierre Lardet, 1983, SCh 303. Commentaire sur Jonas Introduction, texte critique, traduction et commentaire par Yves-Marie Duval, 1985, SCh 323. Débat entre un Luciférien et un Orthodoxe (Altercatio luciferiani et orthodoxi). Introduction, texte critique, traduction, notes et index par Aline Canellis, 2003, SCh 473. Commento al Vangelo di Matteo, tr. S. Aliquò, Roma, Città Nuova,1969. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 217 Gli uomini illustri, tr. A. Ceresa-Guastaldo, Firenze, Nardini, 1988. Strumenti Index inpp., Hieronymi epistulas Curavit Johannes Schwind, Hildesheim 1994. Studi B. Altaner, Patrologia, tr.it. Torino 1968. H. von Campenhausen, I padri della Chiesa latina, tr. it., Firenze 1969. S. Pricoco, Storia letteraria e storia ecclesiastica dal de viris illustribus di Girolamo a Gennadio, Catania 1979. S.Pricoco, voce Girolamo in Dizionario degli scrittori greci e latini, Milano 1987, II, pp. 1049-60. AA.VV., La traduzione dei testi religiosi, a cura di C. Moreschini, G. Menestrina, Brescia, Morcelliana, 1995. ICCU per Autore Hieronymus <santo> Commentarii in Ezechielem / Hieronymus, Turnhout: Brepols, 2003 Note Generali: Corpus Christianorum; 75 Debat entre un Luciferien et un orthodoxe / Jerome; introduction, texte critique, traduction, notes et index par Aline Canellis, Paris: Les editions du Cerf, 2003, Sources chretiennes; 473 Note Generali: Trad. francese a fronte Titolo uniforme: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. Epistulae Indices / Hieronymus, Turnhout: Brepols, 2003 8: Commentarii in Epistulas Pauli apostoli ad Titum et ad Philemonem / cura et studio Federica Bucchi, Turnhout: Brepols, 2003, Corpus Christianorum. Series Latina; 77C Fa parte di: 1: Opera exegetica. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 72: Opere / S. Girolamo. Sermoni, lettere / Leone Magno, Bergamo: Esedra, [2000?] Fa parte di: Tesori miniati Autore: Centre Traditio litterarum Occidentalium S. Hieronymus presbyter: Commentarii in epistulas Pauli Apostoli, Ad Titum et ad Philemonem / curante CTLO, Centre Traditio litterarum Occidentalium, Turnhout: Brepols, 2003 Descrizione fisica: VI, 39 p.; 25 cm + 3 microfiches, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 149 Note Generali: Spoglio lessicale Commentarius in Ionam Prophetam / Hieronymus; ubersetzt und eingeleitet von Siegfried Risse, Turnhout: Brepols, 2003, Fontes christiani; 60 Chronique: continuation de la Chronique d'Eusebe annees 326-378 / Saint Jerome; texte latin de l'edition de R. Helm, traduction francaise inedite, notes et commentaires par Benoit Jeanjean et Bertrand Lancon. Suivie de quatre etudes sur les Chroniques et chronographies dans l'Antiquite tardive (4.-6. siecles): actes de la F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 218 table ronde du GESTIAT, Brest, 22 et 23 mars 2002, Rennes: Presses universitaires de Rennes, dep.leg. 2004, Histoire Autore: Eusebius: Caesariensis The onomasticon / by Eusebius of Caesarea; translated by G. S. P. Freeman-Grenville; indexed by Rupert L. Chapman 3.; edited and introduced by Joan E. Taylor, Jerusalem: Carta, 2003 Note Generali: Prima del tit.: Palestine in the fourth century A. D With Jerome's Latin translation and expansion in parallel from the edition of E. Klostermann Autore: Augustinus, Aurelius <santo> Epistulae mutuae / Augustinus-Hieronymus; ubersetzt und eingeleitet von Alfons Furst, Turnhout: Brepols, 2002 Note Generali: Testo originale a fronte Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents S. Hieronymus presbyter: Contra Iohannem, Altercatio luciferiani et orthodoxi / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 2001, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 114 Note Generali: Spoglio lessicale Soggetti: Girolamo <santo> - Contra Iohannem Hierosolymitanum - Spogli lessicali Girolamo <santo> - Altercatio Luciferiani et orthodoxi - Spogli lessicali TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Autore: Origenes The commentaries of Origen and Jerome on St. Paul's Epistle to the Ephesians / Ronald E. Heine, Oxford: Oxford university press, 2002., Oxford early Christian studies 4.: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi / edidit A. Canellis, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus Christianorum. Series Latina Titolo uniforme: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. Fa parte di: 3: Opera polemica. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2000, BUR. L Note Generali: Testo latino a fronte. Gli uomini illustri / Girolamo; introduzione, traduzione e note di Enrico Camisani, Roma: Citta nuova, [2000], Minima di Citta nuova TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 2: Contra Iohannem / Hieronymus]; edidit J.-L. Feiertag, Turnhout: Brepols, 1999, Corpus Christianorum. Series Latina Titolo uniforme: Contra Iohannem Hierosolymitanum. Fa parte di: 3: Opera polemica. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV On illustrious men / saint Jerome; translated by Thomas P. Halton, Washington: The Catholic University of America Press, c1999, The Fathers of the Church Epistula di misser Sanctu Iheronimu ad Eustochiu / a cura di Filippo Salmeri, Palermo: Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1999, Collezione di testi siciliani dei secoli 14. e15 Livres 12.-15. / texte etabli par R. Gryson et C. Gabriel avec la collaboration de H. Bourgois et V. Leclercq, Freiburg: Herder, 1998, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 35 Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 219 Livres 16.-18. / texte etabli par R. Gryson et C. Gabriel; avec la collaboration de H. Bourgois et H. Stanjek, Freiburg: Herder, 1999, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 36 Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie 1: Uomini illustri; Vita di S. Paolo eremita; Contro Elvidio; Lettere e omilie / san Girolamo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, [1999], Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica Fa parte di: Opere scelte / di san Girolamo; a cura di Enrico Camisani Lettere / san Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, [Milano]: Fabbri, stampa 1998, I classici dello spirito 4: Lettere 117.-157., Indici dei quattro volumi / san Girolamo Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997] Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 3: Lettere 80.-116. / san Girolamo Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997] Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 2: Lettere 53.-79. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1997] Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola 3: Lettere 80.-116. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1997] Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola 2: Lettere 53.-79. / san Girolamo Edizione: Nuova ed. riv. e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997] Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV A translation of Jeromes Chronicon with historical commentary / [a cura di] Malcolm Drew Donalson, Lewiston, New York [etc.] Note Generali: Seguono appendici. 1: Lettere 1.-52. / san Girolamo Edizione: [Nuova ed.], Roma: Citta nuova, [1996] Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Livres 8.-11. / texte etabli par R. Gryson et V. Somers; avec la collaboration de H. Bourgois et C. Gabriel, Freiburg: Herder, 1996, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 30 Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie 1: Lettere 1.-52. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1996] Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola Vite degli eremiti Paolo, Ilarione e Malco / Girolamo; introduzione, traduzione e note a cura di Bazyli Degorski, Roma: Citta nuova, c1996, stampa 1995, Collana di testi patristici Note Generali: Contiene, in trad. italiana: Vita sancti Pauli primi eremitae, Vita divi Hilarii, Vita Malchi. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 220 La perenne verginita di Maria: (contro Elvidio) / Girolamo; introduzione traduzione e note a cura di Maria Ignazia Danieli Edizione: 2. ed, Roma: Citta Nuova, 1996, Collana di testi patristici 1: Epistulae 1.-70. / edidit Isidorus Hilberg Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae. 2: Epistulae 71.-120. / edidit Isidorus Hilberg Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae. 3: Epistulae 121.-154. / edidit Isidorus Hilberg Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae. Saint Jerome's Hebrew questions on Genesis / translated with introduction and commentary by C. T. R. Hayward, Oxford: Clarendon press, 1995, Oxford early Christian studies Titolo uniforme: Liber quaestionum hebraicarum in Genesim Autore: Schwind, Johannes Index in S. Hieronymi epistulas / curavit Johannes Schwind, Hildesheim \etc.!: Olms-Weidmann, 1994, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie ;140 Livres 5.-7. / texte etabli par R. Gryson et J. Coulie; avec la collaboration de E. Crousse et V. Somers, Freiburg: Herder, 1994, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 27 Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie 4: Vita di Martino / [Sulpicio Severo] . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / [San Girolamo]; introduzione di Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A. A. R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di Luca Canali e Claudio Moreschini, [Milano]: Fondazione Lorenzo Valla: A. Mondadori, 1993, Scrittori greci e latini Note Generali: Trad. italiana a fronte. Fa parte di: Vite dei santi / a cura di Christine Mohrmann Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson et P.A. Deproos avec la collaboration de J. Coulie et E. Crousse, Freiburg: Herder, 1993, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson et P.-A. Deproost avec la collaboration de J. Coulie et E. Crousse, Freiburg: Herder, 1993, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 23 Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson, Freiburg: Herder, 1993Titolo uniforme: Commentarii in Isaiam. Comprende: Livres 8.-11. / texte etabli par R. Gryson etV. Somers; avec la collaboration de H.Bourgois et C. Gabriel Livres 12.-15. / texte etabli par R. Grysonet C. Gabriel avec la collaboration de H.Bourgois et V. Leclercq Livres 16.-18. / texte etabli par R. Grysonet C. Gabriel; avec la collaboration de H.Bourgois et H. Stanjek Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson etP.A. Deproos avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson etP.-A. Deproost avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse Livres 5.-7. / texte etabli par R. Gryson etJ. Coulie; avec la collaboration de E.Crousse et V. Somers Commento al libro di Giona / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di Nicoletta Pavia, Roma: Citta nuova, \1992!, Collana di testi patristici; 96 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Autore: Origenes F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 221 74 omelie sul libro dei Salmi / Origene; [traduzione e adattamento di] Gerolamo; introduzione, traduzione e note di Giovanni Coppa, Milano: Edizioni Paoline, [1993], Letture cristiane del primo millennio Commentaire de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson, Freiburg: Herder, 1993Titolo uniforme: Commentarii in Isaiam. Comprende: Livres 12.-15. / texte etabli par R. Gryson etC. Gabriel; avec la collaboration de H.Bourgeois et V. Leclerq [1]: Livres 1-4 / texte etabli par R. Grysonet P.A. Deproost avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse Commento al libro di Giona / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di Nicoletta Pavia, Roma: Citta Nuova editrice, 1992, Collana di testi patristici Thesaurus sancti Hieronymi: enumeratio formarum, index formarum a tergo ordinatarum, index formarum graecarum / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis .., Turnhout: Brepols, 1990 Descrizione fisica: LII, 708 p.; 33 cm + 1 v. di microfiches in custodia, Corpus christianorum. Thesaurus patrumlatinorum. Series A. Formae TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Omelie sui Vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione introduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, [1990], Collana di testi patristici 2: Dialogus adversus Pelagianos / cura et studio C. Moreschini, Turnholti: Typographi Brepols editores pontificii, 1990, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 3: Opera polemica. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Omelie sui vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione in troduzione e note a cura di Silvano Cola, Roma: Citta Nuova editrice, 1990, Collana di testi patristici Omelie sui vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di Silvano Cola, Roma: Citta Nuova editrice, 1990, Collana di testi patristici Lettere / San Gerolamo; Introduzione e note di Claudio Moreschini traduzione di Roberto Palla, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L Testo latino a fronte Lettere / [Di] San Gerolamo; Introduzione e note di Claudio Moreschini traduzione di Roberto Palla testo latino a fronte, Milano: Rizzoli, 1989, Biblioteca universale Rizzoli Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschi; traduzione di Roberta Palla, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 1989, I libri di Millelibri Note Generali: Testo latino a fronte Lettere / san Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L Note Generali: Testo latino a fronte. La perenne verginita di Maria: (Contro Elvidio) / Girolamo; introduzione, traduzione e note a cura di Maria Ignazia Danieli, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Gli uomini illustri de viris illustribus / Gerolamo; a cura di Aldo Ceresa-Gastaldo, Firenze: Nardini editore, 1988, Biblioteca patristica Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata Edizione: 2. ed, Milano: Adelphi, 1988, Piccola biblioteca Adelphi Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 222 Note Generali: Testo latino a fronte Gli uomini illustri / Gerolamo; a cura di Aldo Ceresa-Gastaldo, Firenze: Nardini-Centro internazionale del libro, [1988], Biblioteca patristica Marc commente par Jerome et Jean Chrysostome / homelies traduites par Marie-Helene Stebe et MarieOdile Goudet; introduction par Claude Coulot; indications doctrinales par A.-G. Hamman, Paris: Desclee de Brouwer, \1986!, Les Peres dans la foi Autore: Jay, Pierre L' exegese de saint Jerome: d'apres son Commentaire sur Isaie / Pierre Jay, Paris: Etudes augustiniennes, 1985 Commentaire sur Jonas / Jerome; introduction, texte critique, traduction et commentaire par Yves-Marie Duval, Paris: Les editions du Cerf, 1985, Sources chretiennes; 323 Edizione critica della Vita sancti Pauli primi eremitae di Girolamo / [a cura di] Remigiusz Degorski, Roma: [s. n.], 1987 (Roma: Typis Pontificiae universitatis Gregorianae) Note Generali: Estr. dalla tesi di dottorato In testa al front.: Pontificia universitas Lateranensis, Institutum patristicum Augustinianum. Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Sanctus Hieronymus: Contra Rufinum / digesserunt Eddy Gouder et Paul Tombeur; CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis, Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 1986, Corpus christianorum. Instrumenta lexicologicalatina. Ser. B, Lemmata Note Generali: Spoglio lessicale. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 1: Contra Rufinum / edidit P.Lardet, Turnholti: Brepols, 1982, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 3: Opera polemica. TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Verginita e matrimonio nell'epistolario / Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola, Padova: Messaggero, [1982], Classici dello spirito Classici dello spirito. Patristica Autore: Sulpicius Severus 4: Vita di Martino / \di Sulplicio Severo! . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / \di Girolamo!; introduzione di Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A. A. R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di Luca Canali e Claudio Moreschini, \Milano!: Fondazione Lorenzo Valla: A. Mondadori, 1983, Scrittori greci e latini Note Generali: Trad. italiana a fronte Fa parte di: Vite dei santi Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents Sanctus Hieronymus: Contra Rufinum / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis, Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 1982 Descrizione fisica: 48 p.; 25 cm + 4 microfiches, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 2 Note Generali: Spoglio lessicale TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Apologie contre Rufin / Saint Jerome; introduction, texte critique, traduction et index par Pierre Lardet, Paris: Les editions du cerf, 1983, Sources chretiennes; 303 Note Generali: Testo orig. a fronte Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright, London: Heinemann; Cambridge, Mass.: Harvard University press, 1980, The Loeb classical library F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 223 Liber de optimo genere interpretandi: (Epistula 57) / Hieronymus; ein Kommentar von G. J. M. Bartelink, Lugduni Batavorum: Brill, 1980, Mnemosyne. Supplementum Note Generali: Testo latino. Epistula di sanctu Iheronimu ad Eustochiu / edizione critica a cura di Filippo Salmeri, Catania: CUECM, 1980 Fa parte di: Quaderni di filologia medievale / Istituto universitario di Magistero, Catania Epistula di sanctu Iheronimu ad Eustochiu / edizione critica a cura di Filippo Salmeri, Catania: Cuecm, 1980, Quaderni di filologia medievale L' anima dell'uomo: trattati sull'anima dal 5. al 9. secolo / Pseudo Girolamo ... [et al.]; introduzione, traduzione e note di Ilario Tolomio, Milano: Rusconi, 1979, I classici del pensiero. Sez. 2, Medioevo eRinascimento L' anima dell'uomo: trattati sull'anima dal 5. al 9. secolo / [dello] Pseudo Girolamo ... [et al.]; introduzione, traduzione e note di Ilario Tolomio, Milano: Rusconi, 1979, stampa 1978, I classici del pensiero. Sez. 2, Medioevo eRinascimento Vite di Paolo, Ilarione e Malco / [Di] san Girolamo; A cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975, Piccola biblioteca Adelphi Questiones on the Book of Samuel / [di] Pseudo-Jerome; ed. with an introd. by Avrom Saltman, Leiden: E. J. Brill, 1975, Studia post-Biblica Vite di Paolo, Ilarione e Malco / san Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975, Piccola biblioteca Adelphi Note Generali: Tit. orig.: Vita sancti Pauli primi eremitae; Vita divi Hilarii; Vita Malchi . Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, copyr. 1975, Piccola biblioteca Adelphi Autore: Sulpicius Severus 4: Vita di Martino / [Sulpicio Severo] . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / [Girolamo]; introduzione di Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A.A.R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di Luca Canali e Claudio Moreschini, [Roma]: Fondazione Lorenzo Valla; [Milano]: A. Mondadori, 1975, Scrittori greci e latini Note Generali: Testo orig. a fronte Fa parte di: Vite dei santi Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright Edizione: Rist, Cambridge, Massachusetts, The Loeb classical library Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975 Note Generali: Donazione Zanforlin O znakomitych mezach / Tlumaczyl W. Szoldrski; Komentarzem zaopatrzyl J. M. Szymusiak; Wstepem poprzedzil J. St. Bojarski; Opracowal A. Bogucki, Warszawa: Akad. Teologii Katolickiej, 1970 Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy Opere scelte di San Girolamo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1971, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica; 14 Comprende: 1: Uomini illustri. Vita di S. Paolo eremita.Contro Elvidio. Lettere e omelie / SanGirolamo; a cura di Enrico Camisani Opere scelte / san Girolamo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica Autore: Stoico, Giuseppe L' epistolario di s. Girolamo: studio critico-letterario di stilistica latina / Giuseppe Stoico, Napoli: Giannini, 1972 Note Generali: Con passi scelti dall'epistolario. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 224 1: Uomini illustri; Vita di S. Paolo eremita; Contro Elvidio; Lettere e omilie / San Girolamo; a cura di Enrico Camisani, Torino: UTET, 1971, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica Fa parte di: Opere scelte / di san Girolamo; a cura di Enrico Camisani 6[A]: Commentarii in prophetas minores / [post Dominicum Vallarsi textum edendum curavit M. Adriaen], Turnholti: Brepols, 1970, Corpus Christianorum. Series Latina Note Generali: Contiene il commento ai profeti Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia. Fa parte di: 1: Opera exegetica. Commento al Vangelo di San Marco, Roma: Citta nuova, 1965, I Vangeli commentati dai Padri Note Generali: Da: Tractatus sive homiliae in Psalmos, in Marci Evangelium aliquae varia argumenta Trad. R. Minuti Commento a Daniele / san Girolamo; traduzione, introduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, 1966, Commenti patristici all'antico testamento 2: Homilies 60-96 / saint Jerome, Washington: The Catholic University of America press, c1966, The Fathers of the Church Fa parte di: The homilies of saint Jerome / translated by Marie Liguori Ewald Commento al Vangelo di San Marco / San Girolamo, Roma: Citta Nuova, \1965!, I Vangeli commentati dai Padri Uomini illustri / S. Girolamo; a cura di Gottardo Gottardi, Siena: Cantagalli, [1969], I classici cristiani Commento al Vangelo di Matteo / Girolamo; traduzione di Salvatore Aliquo; introduzione di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, \1969!, I Vangeli commentati dai Padri. N. S Commento al Vangelo di san Marco / San Girolamo; traduzione di Riccardo Minuti con la revisione di Rino Marsiglio Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1967, I Vangeli commentati dai Padri 6: Commentarii in prophetas minores / [post Dominicum Vallarsi textum edendum curavit M. Adriaen], Turnholti: Brepols, 1969, Corpus Christianorum. Series Latina Note Generali: Contiene il commento ai profeti Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona e Michea. Fa parte di: 1: Opera exegetica. 7: Commentariorum in Matheum libri 4. / [cura et studio D. Hurst & M. Adriaen, Turnholti: Brepols, 1969, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 1: Opera exegetica. Dogmatic and polemical works / saint Jerome; translated by John N. Hritzu, Washington: The Catholic University of America press, c1965, The Fathers of the Church 1: 1-59 on the Psalms / saint Jerome, Washington: The Catholic University of America press, c1964, The Fathers of the Church Fa parte di: The homilies of saint Jerome / translated by Marie Liguori Ewald 4: Commentariorum in Hiezechielem libri 14. / [cura et studio Francisci Glorie], Turnholti: Brepols, 1964, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 1: Opera exegetica. 5: Commentariorum in Danielem libri 3. <4.> / [cura et studio Francisci Glorie], Turnholti: Brepols, 1964, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 1: Opera exegetica. The letters of St. Jerome / translated by Charles Christopher Mierow; introd. and notes by Thomas Comerford Lawler, Westminster: The Newman Press, 1963, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation 4: Lettere 117.-154. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1963 Note Generali: In cofanetto F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 225 Fa parte di: Le lettere 7 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1963 Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt The letters of St. Jerome / translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by Thomas Comerford Lawler, New York; Ramsey, c1963 Comprende: 1: Letters 1-22 / St. Jerome; translated byCharles Christoper Mierow; introduction andnotes by Thomas Comerford Lawler 1: Letters 1-22 / St. Jerome; translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by Thomas Comerford Lawler, New York; Ramsey, c1963, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation Fa parte di: The letters of St. Jerome / translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by Thomas Comerford Lawler 4: Lettere 107.-154 / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1963 Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright, London: Heinemann; Cambridge, Mass.: Harvard University press, 1963, The Loeb classical library 2: Commentariorum in Esaiam libri 1.-11. / [cura et studio Marci Adriaen], Turnholti: Brepols, 1963, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 1: Opera exegetica. 2 A: Commentariorum in Esaiam libri 12.-18.; In Esaia parvula adbreviatio / cura et studio Marci Adriaen!, Turnholti: Brepols, 1963, Corpus Christianorum. Series Latina; 73A Fa parte di: 1: Opera exegetica. 6 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1960 Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt 1: Lettere 1.-52. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1961 Note Generali: In cofanetto Fa parte di: Le lettere 2: Lettere 53.-79. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1962 Note Generali: In cofanetto Fa parte di: Le lettere 3: Lettere 80.-116. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1962 Note Generali: In cofanetto Fa parte di: Le lettere 5 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1960 Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt 1.2: Sancti Hieronymi Eusebii epistulae 71.-120. / recensuit Isidorus Hilberg Edizione: Rist. anast, New York [etc.]: Johnson reprint corporation, 1961, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae [etc.]: F. Tempsky, 1912. Fa parte di: Opera 1.3: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae 121.-154. / recensuit Isidorus Hilberg. - Rist. anast, New York [etc.]: Johnson reprint corporation, 1961, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae [etc.]: F. Tempsky, 1918. Fa parte di: Opera 3: In Hieremiam libri 6. / [recensuit Sigofredus Reiter], Turnholti: Brepols, 1960, Corpus Christianorum. Series Latina Fa parte di: 1: Opera exegetica. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 226 Opera, Turnholti: Brepols, 1959Descrizione fisica: v.; 8 . 4 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1956 Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt Sur Jonas / saint Jerome; introduction, texte latin, traduction et notes de Paul Antin, Paris: Les editions du cerf, 1956, Sources chretiennes; 43 Le tre lettere del Santo Dottore a S. Paolino di Nola / introduzione, testo, traduzione e note a cura del prof. Pietro Giuseppe Cirillo; con prefazione del prof. Francesco Di Capua, Tivoli: Tip. De Rossi, 1958 Autore: Bibbia. Vecchio Testamento. Cantico dei cantici Cantici canticorum vetus Latina translatio a S. Hieronymo ad Graecum textum hexaplarem emendata / detexit, edidit, apparatu critico instruxit Albertus Vaccari, Roma: Ediz. di storia e letteratura, 1959 Titolo uniforme: Bibbia. Vecchio Testamento. Cantico dei cantici Lettera a Leta / traduzione, introduzione e commento a cura di Salvatore Aliotta, Siracusa [etc.]: Editr. Ciranna, 1959, Archimede. S. 2 1: Hebraicae quaestiones in libro Geneseos; Liber interpretationis Hebraicorum nominum; Commentarioli in Psalmos; Commentarius in Ecclesiasten / cura et studio Pauli De Lagarde, Germani Morin, Marci Adriaen!, Turnholti: Brepols, 1959, Corpus Christianorum. Series Latina; 72 Fa parte di: 1: Opera exegetica. 2: Opera homiletica / [primus edidit D. Germanus Morin] Edizione: [Ed. altera aucta et emendata], Turnholti: Brepols, 1958, Corpus Christianorum. Series Latina Note Generali: Contiene: Tractatus, sive, Homiliae in Psalmos, in Marci Evangelium aliaque varia argumenta. Fa parte di: S. Hieronymi presbyteri opera Autore: Pontius: Carthaginensis Early christian biographies / lives of st. Cyprian, by Pontius; st. Ambrose, by Paulinus; st. Augustine, by Possidius; st. Anthony, by st. Athanasius; st. Paul the First Hermit, st. Hilarion, and Malchus, by st. Jerome; st. Ephiphanius, by Ennodius; with a Sermon on the life of st. Honoratus, by st. Hilary; translated by Roy J. Deferrari \et al.!; edited by Roy J. Deferrari, Washington: The Catholic University of America Press, c1952, The Fathers of the Church; 15 Die mittelniederdeutsche Ubersetzung der sog. Hieronymus-Briefe nach der Lubecker Handschrift: (Ms. Theol. Germ. 11) / von Martta Jaatinen, Helsinki: Drucherei der finnischen Literaturgesellschaft, 1950 Fa parte di: Suomalaisen Tiedeakatemian Toimituksia: Sarja B. Annales Academiae Scientiarum Fennicae: Ser. B . Select letters / of St. Jerome; with an english translation by F. A. Wright, London: William Heinemann, Massachusetts, The Loeb classical library Note Generali: Testo orig. a fronte Excerpta poetica et ascetica / a cura di Giovanni Barra, Firenze: Fussi, 1954, Il melagrano Fiori di poesia e di santita / s. Girolamo; [a cura di Giovanni Barra], Firenze: Fussi: Sansoni, stampa 1954, Il melagrano Ed. di 2000 esemplari numerati Testo originale a fronte Lettera a Leta / traduzione [dal latino], introduzione e commento a cura di Salvatore Aliotta, Noto: E. Ciranna, 1953 (Ragusa: Tip. f.lli Puglisi) Sancti Eusebii Hieronymi epistulas selectas / edidit Carolus Favez, Bruxelles: Latomus, 1950, Collection Latomus Lettera a Leta / s. Girolamo Sofronio Eusebio; [traduzione, introduzione e commento di Salvatore Aliotta], Noto: E. Ciranna, stampa 1953 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 227 Completato 1950-2005 "Girolamo¸ Eusebio - Corso" Eusebius Hieronymus. San Girolamo, visse tra il 347 e il 419 circa dopo Cristo. Padre della Chiesa, è l'autore latino cristiano più conosciuto. Fu uomo di notevolissima cultura, polemista impegnato contro le eresie della sua epoca ed esegeta biblico raffinato: sue la cosiddetta Vulgata, cioè la traduzione latina della Bibbia e la versione latina del Chronicon di Eusebio di Cesarea, opera storiografica organizzata per anni, che Girolamo completò per il periodo compreso tra il 325 e il 378. Resta di lui un corpus notevole, che oltre alle opere già ricordate raccoglie opere esegetiche e polemiche; ricordiamo pure il De viris illustribus sulle maggiori figure storiche dalla morte di Cristo agli ultimi anni del IV secolo e un epistolario di grande valore documentario per la storia dei tempi, ma anche per le vicende personali di Girolamo. "Girolamo¸ Eusebio - Encarta" San Gerolamo In latino Eusebius Hieronymus (Stridone, Aquileia 345ca. - Betlemme 419), padre e dottore della Chiesa, studioso della Bibbia; la sua opera più importante è la Vulgata, traduzione della Bibbia in latino. Gerolamo studiò a Roma, ritirandosi poi nel deserto dove visse da asceta e approfondì lo studio delle Scritture. Nel 379 venne ordinato sacerdote; trascorse in seguito tre anni a Costantinopoli con il padre della Chiesa orientale san Gregorio Nazianzeno. Nel 382 tornò a Roma e divenne segretario di papa Damaso I, esercitando un notevole influsso su molti seguaci. Nel 386 Gerolamo si stabilì a Betlemme, dove Paola, una nobile romana sua seguace (in seguito santa Paola), aveva fondato quattro conventi, tre per le suore e uno per i monaci, quest'ultimo retto dallo stesso Gerolamo. Qui egli proseguì le sue fatiche letterarie e ingaggiò una controversia non solo con gli eretici Gioviniano e Vigilanzio e con gli adepti del pelagianesimo, ma anche con il monaco e teologo Tirannio Rufino e con sant'Agostino. Il conflitto con i pelagiani costrinse Gerolamo a nascondersi per due anni. Morì subito dopo il rientro a Betlemme. "Girolamo¸ Eusebio - Treccani" Girolamo, santo (Stridone, Dalmazia 347 - Betlemme ca. 420). Dottore della Chiesa. Formatosi alla scuola di Donato e di Gregorio Nazianzeno, fu uomo di vastissima cultura, tradusse in latino gli originali della Bibbia, dando alla Chiesa la cosiddetta Volgata, e lavorò con grande competenza all'esegesi biblica. Di lui restano inoltre il Dialogo contro i pelagiani, lavoro polemico di notevole portata teologica, un De viris illustribus sulle maggiori figure storiche dalla morte di Cristo agli ultimi anni del IV sec. e 125 Lettere d'alto interesse storicobiografico. Dal 382 al 384 G. fu segretario di papa Damaso. Girolamo Eusebio - Riposati 1. Vita. - II. L'opera. - 111. L'uomo, il pensatore e lo scrittore. Sofronio Eusebio Giro-lamo (Sophronzwas Eusebxwus Hteronymus) è la piú robusta e ardita figura di pensatore nel campo della letteratura cristiana latina. I. - Vita. - Nácque da famiglia cristiana a Stridòne, città di confine tra la Dalmazia e la Pannonia, verso il 347. Mandato giovane a Roma, compí i suoi studi sotto la guida del valente gramS matico Ello Donato, che egli F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 228 ricorda spesso con tenero affetto, e si formo colà un corredo ricchissimo di cultura letteraria, filosofica giuridica, antiquaria, archeologica; quest'ultima, specialmente, in ordine a quella Roma cristiana, ch'egli imparò ad amare visitando le catacombe. Piú tardi passò a Trèviri, e poi nel 373 ad Aquileia dove si indusse a fare un breve esperimento di vita ascètica collettiva; dx là andò ad Antiòchia, presso Evàgrio, e visse, monaco fra gli altri monaci del deserto di Càlcide, una vita di penitenza e i meditazione, attendendo in pari tempo allo studio dell'ebraico. Durante lo scisma di Antiòchia finí per associarsi al vescovo Paolino, dal quale fu ordinato prete, ottenendone la facoltà di rimanere per sempre monaco. Piú tardi si recò a Costantinopoli, dove Gregorio Nazianzeno gli aprí il ricco mondo del pensiero greco, soprattutto di Orígene. Nel 382 venne a Roma con S. Epifanio e Paolino, per prender parte ad un sínodo; ivi si procurò larga fama, sí che il papa Dàmaso lo fece suo segretario e gli assegnò, fra l'altro, il còmpito di rivedere l'antica versione latina dei Vangeli. A Roma, con la pia collaborazione di alcune gentildonne, quaRi Paola, Marcella e Fabíola, fondò e diresse un convento sull'Aventino, dove nobili matrone e vergini patrizie della città condussero vita comune di studio, di preghiera, di penitenza. Morto papa Dàmaso, Girolamo, fatto segno ad ignobili denigrazioni e calunnie, partí nel 385 per l'Oriente e visitò, finalmente, la Palestina, donde passò in Egitto ed infine tornò alla ' sua ' Betlem; qui rimase quasi ininterrottamente, attendendo a studi profondi e ad opere caritative, finché, logorato dalla fatica, turbato dalla caduta di Roma nelle mani di Alaríco (a. 410) e dal dilagare dell'eresia ariana, non lo raggiunse la morte il 30 settembre del 420, all'età di 73 anni. Fu sepolto presso il luogo della Natività, ma poi-è tradizione- la sua salma fu trasportata a Roma. II. - L'opera. - L'attività di Girolamo scrittore fu molteplice e di straordinaria mole. Possiamo raggrupparla nell'ordine seguente: a) opere di carattere agiogràfico; b) traduzione e continuazione dell'opera cronogràfica di Eusebio di Cesarèa; c) il De viris illustribus; d) l'opera d i t r a d u z i o n e del Vecchio e del Nuovo Testamento; e) lavori di esegèsi biblica; f) scritti polemici vari; g) Epistolario ed Elogi funebri(l). a) A questo gruppo appartengono propriamente le Vite di tre santi monaci: Paolo (circa il 376), Malco (c. 386) ed Ilarione (c. 391); opera, questa, di alto interesse culturale, non solo per la storia del monachismo, ma anche per quella del genere a g i o g r à f i c o, veicolo di notizie care al gusto popolare, divenute canòniche attraverso i secoli successivi. L'opera rispondeva in pieno agli ideali ascètici dello scrittore e del tempo. b) La versione interessa il Chrontvcon di Eusebio di Cesarèa, opera cronogràfica e cronològica computata annalisticamente, a partire dall'anno di nascita di Abramo (2017 a. C.) e condotta fino al 325 d. C.; Girolamo rielaborò, in latino, la parte cronològica, che va dalla caduta di Troia in poi, e la continuò, per conto suo fino allanno 378 (morte dell'imperatore Valente), aggiungendovi osservazioni sulla storia generale e romana. c) I! De viris illustribus contiene notizie e medaglioni di ben 135 autorl cnstiani latini, persino erètici ed ebrei, da S. Pietro fino a S. Girolamo stesso, da contrapporre e da far seguire all'opera analoga dx Svetonio su autori e personaggi pagani. L'opera contiene notizie di prima mano per noi preziose, specialmente nella ultima parte, ed ha chiare finalità polemiche ed antipagane. Lo rivela lautore stesso nel Prologo: (<Coloro che pensavano la Chiesa sprovvista di filosofi e di oratori e di dottori, cessino di accusare di ingenuità i seguaci di Cristo, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza". d) L'attività del Dàlmata come t r a d u t t o r e si esplicò su Orígene, con 2 omelíe, sul Cantico dei Cantici, con altre 39 su S. Luca, su Dídimo il Cieco, a proposito dell'opera De Spirttu Sancto, e su altri. Ma S. Girolamo rimase soprattutto celebre per la revisione della traduzione ' latina ' dei Vangeli (Itala), e forse anche del resto del Nuovo Testamento. Egli prowide pure a rivedere, sul testo dei Settanta, la traduzione latina dei Salmi in due momenti diversi (il ' Salterio Romano ' nel 384, quello ' Gallicano ' nel 389, tuttora in uso nella liturgia); rivide anche il Libro di Giobbe. Negli anni 389-405 attese a tradurre dall'originale ebraico quasi tutto I Antico Testamento, dando luogo, in un primo tempo, a dubbi interpretativi e a preoccupazioni di vario genere.Ma poi questa tra. duzione fu accolta nèll'uso liturgico della Chiesa (ad eccezione dei Salmi) e, confermata nel Concilio Tridentino, diventò la celebre Vul8ata o Volgata: detta cosi non tanto per il tipo di linguaggio piut tosto volgareggiante', scelto per essa, quanto perchè ' comune ', diffusa (lectto wlgata) allora in tutte le Chiese. e) I lavori di esegèsi e di commento si riferiscono alla Gènesi (Liber Hebraicarum quaestionum, rivelandosi frutto di geniale ed appassionata ricerca), ai Salmi, a tutti i Profeti, all'Ecclesiaste, per l'Antico Testa mento- a San Matteo (è ritenuto il suo capolavoro esegètico), alle Epistole Paoline dirette ai Gàlati, agli Efesini, a Tito, a Filèmone. Rivide altresi, e qua e là allineò nei concetti, il commento all'Apocal&si del Vescovo Vittorino di F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 229 Pettau. In forma piú popolare e con finalità piuttosto pratiche attese a commentare il Vangelo di S. Marco per i suoi monaci. Un lavoro di esegèsi piuttosto etimologica è il Liber interpretationum Hebraicorum nomtnum (opp. Onomastgcon); di contenuto geografico è invece il Liber locorum, o De locis Hebraicis, in cui tradusse l'omònima opera di Eusebio e vi fece delle utili aggiunte. In questa sua immane opera dl esegèta si rawisa talvolta fretta e superficialità; ma va tenuto conto dei criteri diversi da lui seguiti via via e delle immense diSicoltà, inerenti alla stessa fatica, quasi insormontabili per quei tempi. f) Agliscrittipropriamente polemici appartengono:il dialogo piuttosto moderato contro gli scismatici luciferiani: Altercatio Luciferiani et orthodoxi (c. 378); I'Adversus Helviltum (a. 383), detto anche Liber de perpetua virginitate beatae Mariae, uno dei primi e pid preziosi contribut; agli studi di mariologia; il Contra lovinianum dell'a. 393 (un ex monaco di Roma), in 2 libri, per proclamare ed esaltare gli ideali dell'ascetismo e della verginità; i tre libri intitolati Dialogi contra Pelagianos (a. 415); il Contra Vigilantium, prete di Aquitania (a. 406), ancora in difesa delle pratiche ascètiche e della diffusione del culto dei Mar tiri; il Contra lohannem Hierosolymitanum (c. 3%) e lo scritto violentis, simo Adversus libros Rufini (a. 401-402), già suo grande amico: opere, entrambe, concementi la critica di Origene, dapprima studiato e seguito da Girolamo con molta ammirazione, ma poi combattuto aspramente almeno nella persona dei suoi fautori e sostenitori. Va detto qui che la polemica del Dàlmata giunge spesso ad assumere toni di particolare asprezza e persino di acre invettiva personale; il suo carattere ' focoso e battagliero ' trova libero il campo a rivelarsi qual è. g) L'Epistolario va considerato a parte per le sue peculiarità linguistiche e stilistiche piú elaborate, anche se vi figurano ellenismi e persino semitismi, arcaismi, strutture poetiche e neologismi. Comprende 154 Lettere di vario contenuto e quindi di stile diverso: narrativo in quelle esegètiche, semplice e piano in quelle morali e spirituali, prezioso e quasi ricercato nelle mis, sive, ricche di reminiscenze virgiliane e ciceroniane e non aliene dai vezzi della tradizione retorica. I1 mondo spirituale che racchiudono è generalmente mosso da un vivo bisogno di conversare con persone cólte, da lui lontane, di sfogare i suoi impulsi polemici, di dare ali al suo zelo apostolico, di illuminare su molti problemi importanti, di confortare e rawivare nella Fede e nei costumi. Alcune sono veri trattatelli morali, come quella sull'educazione dei figli, sul matrimonio, e argomenti simili. Accanto, vanno ricordati alcuni Epitaph1a, o ' e10gi funebri ', composti in memoria di persone illustri, a Girolamo legate nell'affetto e nella carità di Cristo. Tali: I'Epitaphlurn Nepotiani, il giovane prete, di profonda dottrina e di illibata vita sacerdotale, morto nel 295; gli Epitaphta Paulae, Marcellae, Fabiolae, Paulinae, le " Sorelle in Cristo )>, le " elette alla vita contemplativa )> nel cenacolo ascenco dell'Aventino. Lo schema strutturale è quello delltelogiurn tradlzionale, ma traboccante di commossa umanità, di tenerezza, di pietà cnstiana. m. - L'uomo, il pensatore e lo scrittore. - S. Girolamo è scrittore che solitamente mira-ad un vasto pubblico di lettori, ad un ampia cerchia di anime, pur nella fretta da cui è mosso durante la sua molteplice ed inesausta attività. Tien conto della elaborazione forma!e, non ricusa alcuni edetti di ' bello stile ', né ignora la tecnica retonca; ma entro questi schemi vibra un'anima e s'agita una passione nobilissima, che fa distinguere la sua prosa da quella sonante e pomposa dl altri scrittori, specialmente pagani, della stessa epoca. Con Girolamo si ha, per la prima volta, la fusione del ' biblico ' col classico'; certe ridondanze di dottrina tradizionale, certe sue anomalíe sintattiche vanno intese in ordine alla doviziosa vena della sua vasta cu!tura e della sua innata genialità. Nel campo teologico ed ecclesiastlco, egli, che non fu propriamente né un teòlogo né un dommatico, reppresenta un ponte gettato fra l'Oriente e l'Occidente, mentre nel campo letterario unisce felicemente l'antico e il nuovo, i1 pagano e il cristiano. In tale maniera, S. Girolamo reca senza dubbio un tributo vivo ai cànoni della estetica classica, ma il suo spirito e il suo linguaggio sono nuovi, pregni di una dottnna e di una cultura, che gli vengono soprattutto dall'Oriente fino allora poco esplorato: ebraico, greco e latino appaiono fusi in un unico, tipico prodotto originale di pensiero e di stile: Vir ttilinguis lo chiamavano già i contemporanei. Maestro non del solo Occidente ancora in vita, diventò grandissimo fra i cinque(t) Dottori della Chiesa, secondo, se mai, solo a S. Agostino. Pochi autori, di entrambe le letterature classiche, scrissero tanto, come lui, su argomenti disparatissimi e spesso anche difficilissimi; pochi autori cristiani furono, come lui, oggetto di tanti studi e di tante discussioni; pochi lasciarono nella propria opera cosí vasta impronta di cultura. Temperamento vivacissimo e suS scettibile fino alla collera ed alla piú sarcastica forma di invettiva, si scontrò con S. Ambrogio, con S. Agostino, con S. Giovanni Gisòstomo. Polemista ed ascèta ad un tempo, capace degli slanci piú inedabili, come delle ritorsioni piú violente, fece sentire alta la sua voce in ogni questione dibattuta ai suoi tempi, e disse sempre con sicurezza di dottrina la sua parola rassicurante e illuminatrice. Ebbe forte, severa, robusta personalità. In lui fu vero ed autentico dramma il conflitto fra i richiami della classicità (Ciceronianus es, non Christianus, gli disse il Gisto stesso, in sogno, con tono di rimprovero) e l'anèlito verso gli ideali connessi coll'ascetismo. Fu instancabile nel voler conoscere tutto, nel muoversi da un punto all'altro del sapere e del mondo, pur sempre inclíne ai silenzi meditativi della sua monastica cella. Sentí e svelò tra i primi la poesia e F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 230 il fàscino del paese della Natività e della Passione del Cristo, e l, visse l'ultima sua vita, intensamente votata alla meditazione e alla preghiera. Fortuna. Gerolamo viene annoverato, con Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fra i quattro grandi dottori della Chiesa occidentale. Indubbiamente è il piú dotto, ma non il piú acuto fra loro. La Legenda aurea lo definisce in maniera appropriata «giudice delle parole in sé e negli altri»`. Egli è uno dei piú influenti creatori linguistici della letteratura mondiale. Come conoscitore dell'ebraico è un fenomeno singolare. Dopo di lui le conoscenze linguistiche dell'Occidente latino tendono a regredire. La sua realizzazione piú significativa, la traduzione del la Bibbia, non trova subito riconoscimento; lo stesso Agostino non è capace di apprezzarla e lamenta che Gerolamo non si sia orientato piú decisamente sulla versione greca dei Settanta (Aug. epist. 7I, 4> 82, 35); del Salterio proprio la redazione piú vicina all'originale viene ignorata. L'influsso linguistico e contenutistico della Vulgata sulla cultura europea è tuttavia maggiore di quello di qualsiasi altra opera latina; per un millennio - dall'età carolingia fino alla seconda metà del xx secolo - la Vulgata è il testo canonico per la Chiesa di Roma. Si può dire che un'eco non meno duratura sia quella del maestro dell'ascesi, del brillante autore di scritti d'edificazione. La leggenda trasforma in santo anche lui, che è tutt'altro che un santo lontano dal mondo; quando parla della sua giustizia e della sua pace interiore, essa celebra ciò che egli voleva divenire, non ciò che era - cosí come la filologia classica cedeva a volte al fascino dell'ingannevole immagine di un Orazio saggio e immune da passioni. Gli artisti ritraggono Gerolamo nello studio` intento alla sua traduzione; ai suoi piedi giace un leone mansueto: simbolo ideale di un dominio - non completamente raggiunto - del proprio temperamento? Gerolamo ha coniato una volta per tutte il tipo del monaco occidentale, col suo abbinamento di ascesi e di dottrina. L'unione fra scienza ed ascesi è sopravvissuta anche al medioevo ed ha acquistato figura moderna ad esempio in una ricercatrice come Mme. Curie. In quel periodo d'incipiente crollo degli ordinamenti statali ed economici, la fondazione di monasteri è un passo decisivo per la conservazione della cultura. Il complicato sistema economico romano, fondato su una divisione su vasta scala del lavoro, che sotto Diocleziano s'irrigidisce in un'economia pianificata ed in uno sfruttamento sistematico da parte dello stato, è altamente vulnerabile. In seguito a sconvolgimenti provocati dall'esterno si converte regolarmente nell'economia chiusa, la costituzione di piccole aziende autarchiche. Come unità stabili ed economicamente indipendenti i monasteri offrono, in epoche d'incertezza, le migliori possibilità di sopravvivenza agli studiosi ed ai libri. Gerolamo, che da questo punto di vista va considerato un grande riformatore, lascia in eredità ai monaci dell'Occidente il bacillo della cultura umanistica, creando cosí i presupposti per tutte le rinascite successive. Allo stesso tempo è lui stesso il modello di una ricezione creativa dell'antichità. Entrambi questi motivi fanno di lui un praeceptor Europae. Non a caso, pertanto, Gerolamo è uno degli autori prediletti di Erasmo. Invece Martin Lutero - che come traduttore oltre che come maestro dell'ingiuria può tener testa al dottore della Chiesa - aborrisce probabilmente in lui uno dei padri spirituali di un millennio che spetta a lui superare. Melantone, al contrario, esprime un apprezzamento generoso e garbato per Gerolamo; è cosciente di quanto gli debba già solo «in legendis prophetis et in Ebraicae linguae interpretatione»'°'. Nonostante l'utilizzazione degli originali greci ed ebraici come pure della traduzione latina del Nuovo Testamento fatta da Erasmo, la Bibbia di Lutero spesso è pur sempre sotto l'ascendente della Vulgata. Fenomeni analoghi sono osservabili in altri paesi. Cosí Gerolamo influenza per via mediata l'evoluzione delle lingue moderne. Dalla sua prefazione al commento all'Epistola agli Efesii deriva il nostro proverbio « a caval donato non si guarda in bocca ». M. von Albrecht, St.lett.lat., 3, pp. 1676-78. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 231 Rufino Cenni biografici Nato ad Aquileia (in realtà Concordia) ca. il 345. Muore 411. Compì i suoi studi a Roma, dove conobbe Girolamo. Dal 371 fa parte di una comunità monastica creata presso Aquileia, la stessa in cui entrò a far parte anche Girolamo. Nel 373 Rufino partì per l'Oriente con una nobile e ricca romana di nome Melania. Visitò comunità monastiche e ascoltò ad Alessandria le lezioni di Didimo Cieco, da cui apprese le dottrine teologiche di Origene. Nel 373 Rufino fu incarcerato in seguito all'attacco ariano alla sede episcopale di Alessandria; Quattro anni dopo partì alla volta della Palestina: a Gerusalemme si dedicò all'ascesi e agli studi e fu consacrato presbitero da Giovanni, vescovo della città. Si colloca in questi anni la prima rottura con Girolamo che si sviluppa soprattutto sulla questione origeniana. Girolamo era stato da giovane estimatore di alcune omelie del grande teologo e, soprattutto dei suoi lavori di esegesi biblica; dovette tuttavia con il passar del tempo riconoscere che in materia teologica alcune posizioni non potevano più apparire ortodosse nella chiesa del IV secolo. Ciò avvenne già nel 392, in un'epistola ad alcuni amici, e soprattutto nel 394, quando partecipò, sull'argomento, a una disputa che vedeva implicati Epifanio di Salamina, che considerava apertamente Origene come eretico, e Giovanni, vescovo di Gerusalemme sostenitore di Origene. Dalla parte di quest'ultimo si schierò appunto anche Rufino. Dopo la pubblicazione di alcuni scritti da una parte e dall'altra la questione parve comporsi, ma Rufino ritornò a Roma a partire dal 397; lì, in un ambiente come quello romano non certo privo di circoli intellettuali geronimiani, strinse rapporti di amicizia con Melania, nipote della sua compagna di viaggio in Terrasanta, la nobile Avita e il senatore Turcio Aproniano. Riprese inoltre la sua attività di traduttore e di divulgatore dell'opera di Origene; del 398 è il primo libro dell'Apologia di Origine di Pamfilo ed Eusebio di Cesarea; quindi tradusse I principi di Origine stesso, accompagnandolo con il suo De adulteratione librorum Origenis, sostenendo l'ipotesi che vere e proprie falsificazioni erano state inserite nelle opere del grande teologo dagli eretici. Egli stesso però, sostituì certi passi origeniani con altri, tratti dalle opere di Origene stesso, ma giudicati meno pericolosi per l'ortodossia e ne diede peraltro notizia e ragione nelle sue prefazioni. Seguì un'altra querelle epistolare con Girolamo, che si era visto citare fra gli estimatori di Origene e tale non voleva più essere giudicato. Nel 400 Rufino dovette difendersi da nuove critiche di Girolamo con un' Apologia in due libri. Altra Apologia indirizzò a papa Anastasio la cui risposta non fu certo di disponibilità. Anche per questo Rufino tornò ad Aquileia presso Cromazio mentre Girolamo muoveva in un'Apologia ulteriori accuse. Nel frattempo le invasioni dei Visigoti si fanno sempre più pericolose: Nel 407 Rufino si rifugia nel monastero di Pinetum, a Terracina, quindi a Messina, dove muore nel 410. Opere De adulteratione librorum Origenis Apologia contra Hieronymum, in due libri, composta intorno al 400. De benedictionibus patriarcharum, in due libri; esegesi veterotestamentaria di tipo allegarorico (origeniano) del capitolo 49 della Genesi. Composta intorno al 407 Historia ecclesiastica di Eusebio, traduzione e integrazione per gli anni 324-395. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 232 Scritta intorno al 410. Moreschini propone 403. Commentarius in symbolum apostolorum (Commentario al simbolo degli apostoli). E' un'esegesi del simbolo battesimale usato dalla Chiesa di Aquileia. Composto su richiesta di Cromazio. E' la più antica esegesi del simbolo in lingua latina e spiega le differenze tra simbolo di Roma e simbolo di Aquileia. Composto intorno al 404. Traduzioni: Basilii Magni Regula. (397) Basilii Magni Homiliae VIII. (399-400) Liber I. Apologiae Pamphili pro Origine; in quo Sententiae adversus Mathematicos. (398) Origenis Libri Quatuor periv ajrcwðn. (I principi) (398-99) Ejusdem Homiliae XVII. in Genesim. —XIII. in Exodum. —XVI. in Leviticum. —XXVIII. in Numeros. [0293D] —XXVI. in Josue. —IX. in Judices. —IX. in Psalmos (salmi 36,37,38). —I. in Librum I. Regum. —IV. in Cantica Canticorum. (410: solo quattro libri su dieci) —Tomi XV. in libros X. distincti in epistolam D. Paulli ad Romanos. (404) Gregorii Nazianzeni Opuscula X. hoc est, Apologetici Liber unus. De Epiphanis. De Luminibus. De Fide Liber Unus. De Nicaena Fide, Pentecoste, et Spiritu S. De Semetipso ex agro reverso. De Dictis Hieremiae. [0294C] De reconciliatione et unitate Monachorum. De Grandinis vastatione. De Arianis. Sixti Pythagorici Sententiae. Composto intorno al 400. Una raccolta di sentenze morali considerata opera di Papa Sisto II, particolarmente diffusa e nota nel IV secolo. Il nome assegnato all'opera da Rufino fu Enchiridion o Anulus. Evagrii C. Sententiae ad Monachos. (Moreschini: "Probabilmente egli tradusse (ma non ci è pervenuta) anche una scelta di sentenze di Evagrio Pontico.) —Sententiae de Apathia. —Liber ad Virgines. Clementis Romani Recognitiones. Composto intorno al 405. Riconoscimenti delle cosidette Pseudoclementine. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente Eusebii Historiae Ecclesiasticae libri IX. Anatolii Alexandrini Canon Paschalis. Historia monachorum in Aegypto, sive de vitis Patrum (403-410). Opera di Timoteo di Alessandria. Adamanzio, De recta in Deum fide. Composto tra il 400 e il 409. PL Migne, vol. 21 Dissertatio de Adulteratione librorum Origenis. Benedictionum XII. Patriarcharum explanatio. Apologia, seu Invecticarum libri II. adversus Hieronymum. Apologia pro Fide sua ad Anastasium Pontificem. Historiae Ecclesiasticae libri II. scilicet X. et XI. post historiam Eusebianam. Historia Eremitica, sive vitae Patrum. Explicatio Symboli. Versa e Graeca in Latinam Linguam. Basilii Magni Regula. Basilii Magni Homiliae VIII. Liber I. Apologiae Pamphili pro Origine; in quo Sententiae adversus Mathematicos. Origenis Libri Quatuor periv ajrcwðn. Ejusdem Homiliae XVII. in Genesim. —XIII. in Exodum. —XVI. in Leviticum. —XXVIII. in Numeros. [0293D] —XXVI. in Josue. —IX. in Judices. —IX. in Psalmos. —I. in Librum I. Regum. —IV. in Cantica Canticorum. —Tomi XV. in libros X. distincti in epistolam D. Paulli ad Romanos. Gregorii Nazianzeni Opuscula X. hoc est, Apologetici Liber unus. De Epiphanis. De Luminibus. De Fide Liber Unus. De Nicaena Fide, Pentecoste, et Spiritu S. De Semetipso ex agro reverso. De Dictis Hieremiae. [0294C] De reconciliatione et unitate Monachorum. De Grandinis vastatione. De Arianis. Sixti Pythagorici Sententiae. Evagrii C. Sententiae ad Monachos. —Sententiae de Apathia. —Liber ad Virgines. Clementis Romani Recognitiones. Eusebii Historiae Ecclesiasticae libri IX. F. D’Alessi © 2002 233 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 234 Anatolii Alexandrini Canon Paschalis. TYRANNII RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI DE BENEDICTIONIBUS PATRIARCHARUM LIBRI DUO. COMMENTARIUS IN SYMBOLUM APOSTOLORUM AUCTORE TYRANNIO RUFINO AQUILEIENSI PRESBYTERO. HISTORIA MONACHORUM SEU LIBER DE VITIS PATRUM AUCTORE RUFINO AQUILEIENSI PRESBYTERO. RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI IN SUAM ET EUSEBII CAESARIENSIS LATINAM AB EO FACTAM HISTORIAM AD CHROMATIUM EPISCOPUM AQUILEIAE RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI APOLOGIAE IN SANCTUM HIERONYMUM LIBRI DUO. Testi e testimonianze Gennad., de vir.ill., 17. RUFFINUS, Aquileiensis presbyter, non minima [1070A] pars fuit doctorum [f [1069D] Corb., Doctorum Ecclesiarum.] Ecclesiae et in transferendo de Graeco in Latinum elegans ingenium habuit. Denique maximam partem Graecorum bibliothecae Latinis exhibuit; Basilii scilicet Caesariensis Cappadociae episcopi, Gregorii Nazianzeni, eloquentissimi hominis; Clementis Romani Recognitionum libros, [g [1069D] Id., et Eusebii Caesariae Palestinae Ecclesiae episcopi historiam.] Eusebii Caesariensis Palaestinae ecclesiasticam Historiam, [h [1069D] Ruffinus Xysti Pythagoraei librum, titulo Sixti papae ac martyris, falso edidit. Id constat ex variis S. Hieronymi locis, ut in cap. 22 Jeremiae, ubi eum nomine Grunnii perstringit, et in cap. 18 Ezechielis: item ex Augustino l. II Retractat. cap. 40 (qui deceptus antea libro de Nat. et Grat. cap. 64 Sixti pontificis nomine allegarat), et ex ipsa Ruffini epistola [1070B] ad Apronianum, quam interpretationi Enchiridii Sixti praefixit. Hieronymum ipsum in epistola ad Ctesiphontem audiamus tonantem contra Ruffinum: Illam autem temeritatem, imo insaniam ejus quis digno possit explicare sermone, quod librum Xysti Pythagoraei hominis absque Christo atque ethnici, immutato nomine. [1070C] Sixti martyris et Romanae Ecclesiae episcopi praenotavit? MIRAEUS.] Xysti Sententias, Evagrii Sententias. Interpretatus est etiam Sententias [i [1070C] Honorius lib. II, de Script. Eccles., c. 17, Gennadium solitus sublegere, hunc ejus locum corrupit, six exprimens: Sixti philosophi sententias adversus mathematicos. Nec enim Sixtus adversus mathematicos scripsit, sed Pamphilus martyr: ut distincte hic habet Gennadius. Caeterum praeter opera hic a Gennadio commemorata, Ruffinus insuper scripsit, vel ex Graeco Latine reddidit Vitas Patrum, libro secundo et tertio in editione Plantiniana comprehensas: ut Heribertus Rosweidus in prolegomeno 4, § 10, fuse probat. MIRAEUS.] Pamphili martyris adversum mathematicos. Horum omnium quaecumque, praemissis prologis, a Latinis leguntur, a Ruffino interpretata sunt; [j [1070C] Verba quae autem sine, etc., usque ad quia et Hieronymus aliqua, desunt in Corbei.] quae autem sine prologo, ab alio translata sunt, qui prologum facere noluit. Origenis autem non omnia (quia et Hieronymus aliquanta) transtulit, quae sub prologo discernuntur. Proprio autem labore, imo gratia Dei et dono, exposuit idem [1070B] Ruffinus symbolum [k [1070C] In eodem Corb. est: Rufinus symbolum disseruit, et benedictiones Jacob super Patriarchas . . . mystico sermone. Scripsit et epistulas ad timorem Dei, inter quas eminent, etc.] , ut in ejus comparatione alii nec exposuisse credantur. Disseruit et benedictionem Jacob super Patriarchas triplici, id est, historico, morali et mystico sensu. Scripsit et epistolas ad timorem Dei hortatorias multas, inter quas praeeminent illae quas ad Probam dedit. Historiae etiam ecclesiasticae, quam ab Eusebio scriptam et ab ipso interpretatam diximus, addidit [l [1070C] In vertenda Eusebii Historia Ruffinus nimia libertate [1070D] usus fuit, multa addens, demens ac mutans. Dimidium octavi libri omisit, decimum vix attigit. Adeoque ex decem Eusebii libris fecit novem: quibus duos, hic a Gennadio memoratos, de suo adjecit. Hos Graece reddidit, et praefationem suam praefixit Gelasius, Caesareae in Palestina episcopus, qui Cyrillum Hierosolymorum episcopum habuit avunculum; non ille Cyzicenus, qui res in Nicaeno concilio scripsit. De duobus istis Gelasiis supra ad Hieronymi cap. 130 egimus. MIRAEUS. ] decimum et undecimum librum. Sed et [m [1070D] Obtrectatorem hunc vocat D. Hieronymum, adversus quem Rufinus edidit Invectivarum libros duos, et nota est controversia inter hos ex operibus Hieronymi. Hinc autem patet Gennadium Hieronymo praeferre [1071B] Ruffinum, quod in censura supradictum est. Quid vero de Ruffini operibus senserit pontifex Gelasius, videat lector distinct. 15, cap. Sancta Romana. Suffridus Petri.] obtrectatori opusculorum suorum respondit duobus voluminibus, arguens et convincens se Dei intuitu et ecclesiae utilitate, auxiliante F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 235 [1071A] Domino, ingenium agitasse; illum vero [a [1071B] Corb., aemulum.] aemulationis stimulo incitatum ad obloquendum stylum [b [1071B] Id., agitavisse.] vertisse. Osservazioni Funzione chiave quella di far conoscere in Occidente attraverso le traduzioni le grandi opere del cristianesimo greco. Bibliografia Edizioni PL Migne vol. 21 De Benedictionibus Patriarcharum libri duo. Commentarius in symbolum apostolorum. Historia monachorum. Historiae ecclesiasticae libri duo. Apologiae in S. Hieronymum libri duo. Apologia altera ad Anastasium papam. OPERA RUFINO ASCRIPTA. Commentarius in LXXV psalmos. Commentarius in Osee, Joel et Amos. Vita S. Eugeniae. Libelli duo de fide. Interpretatio orationum Gregorii Nazianzeni – ed. A. Engelbrecht 1910, CSEL Vol. 46 Basili regula – ed. K. Zelzer 1986, CSEL Vol. 86 Apologie pour Origène, I suivi de Rufin d'Aquilée : Sur la falsification des livres d'Origène auteur(s) : Eusèbe de Césarée Pamphile de Césarée Rufin d'Aquilée Texte critique, traduction et notes par René Amacker et Éric Junod, 2002, SCh 464 Apologie pour Origène, II suivi de Rufin d'Aquilée : Sur la falsification des livres d'Origène auteur(s) : Eusèbe de Césarée Pamphile de Césarée Rufin d'Aquilée Étude, commentaire philologique et index par René Amacker et Éric Junod,2002, SCh 465. Des six livres de l’"Apologie pour Origène", composée par Pamphile de Césarée avec la collaboration d’Eusèbe, il ne subsiste que le premier dans une traduction latine de Rufin. Cette version est une pièce importante pour les études origéniennes, non seulement parce qu’elle contient 70 citations de l’Alexandrin d’un grand intérêt théologique - dont 34 non transmises par ailleurs -, mais aussi parce qu’elle apporte un témoignage sur les controverses suscitées par l’enseignement d’Origène autour des années 300, soit peu avant le déclenchement de la crise arienne. Elle révèle en outre un écrivain de talent, Pamphile, aussi habile à mettre en évidence la méthode et la personnalité d’Origène qu’à fustiger ses adversaires. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 236 Les Bénédictions des Patriarches Introduction, texte latin, notes et commentaire par Manlio Simonetti, Traduction de H. Rochais revue par P. Antin (Le texte = l'édition Corpus Christianorum de Dom Dekkers, 1951) 1968, SCh. Sour le nom «Bénédictions des Patriarches ou de Jacob», on a désigné le chapitre 49 de la Genèse, où Jacob, après avoir réuni autour de lui ses fils, leur adresse avant de mourir ses dernières paroles. En milieu chrétien, ce texte fut interprété très tôt comme une prophétie sur le messie. À la demande de son ami Paulin de Nole, Rufin composa une interprétation messianique complète des bénédictions, qui nous est parvenue avec les lettres de Paulin. ed. M. Simonetti, CC 20 Simonetti (ed.), Opera.,1961, Turnhout, Corpus Christianorum S.L. 20 (traduzioni escluse) Storia della Chiesa tr. L. Dattrino, Roma, Città Nuova, 1992 (ed. Th. Mommsen) Storia di monaci, tr. G. Trettel, Roma, Città Nuova, 1984 (ed. Lemarié Elaix, Turnhoult 1977). Scritti apologetici, Roma, Citta' Nuova, 2000 Scritti vari, Roma, Citta' Nuova - 2000 Omelie di Basilio di Cesarea. Testo latino a fronte,?, D'Auria M., 1998 Le benedizioni dei patriarchi, Roma, Citta' Nuova, 1995 Studi Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 234-42 (J. Gribomont). Bettini , Conte, Moreschini-Norelli, 2/2, pp. 445-450. N. Pace, Ricerche sulla traduzione di Rufino dal "De principiis" di Origene, Firenze, La Nuova Italia, 1990. AA.VV., La traduzione dei testi religiosi, a cura di C. Moreschini, G. Menestrina, Brescia, Morcelliana, 1995. ICCU per Autore Rufinus, Tyrannius Basilius: Magnus<santo>, Versione delle omelie di Basilio / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di Carla Lo Cicero, Roma: \s. n.!, 2002 Pamphilus: Caesariensis, Apologie pour Origene / Pamphile et Eusebe de Cesaree; suivi de Rufin d'Aquilee: Sur la falsification des livres d'Origene, Paris: Les editions du Cerf, 2002 Note Generali: Trad. francese a fronte Titolo uniforme: Apologia pro Origene. Comprende: 2 / Pamphile et Eusebe de Cesaree; etude,commentaire philologique et index par ReneAmacker et Eric Junod F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 237 1 / Pamphile et Eusebe de Cesaree; textecritique, traduction et notes par ReneAmacker et Eric Junod Rufinus, Tyrannius, Scritti vari / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta nuova; Aquileia: Societa per la conservazione della Basilica, 2000, Scrittori della chiesa di Aquileia; 5/2 Note Generali: Contiene: La benedizione dei patriarchi; Spiegazione del Simbolo; Storia della Chiesa Testo orig. e trad. italiana a fronte TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Le benedizioni dei patriarchi / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Maria Veronese, Roma: Citta Nuova editrice, 1995, Collana di testi patristici; 120 Versione delle omelie di Basilio (I-III) / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di Carla Lo Cicero, Roma: Universita degli Studi di Roma "La Sapienza". Dipartimento di Filologia greca e latina, 1996 The Church history of Rufinus of Aquileia: books 10 and 11 / translated by Philip R. Amidon, New York; Oxford: Oxford university press, 1997 Explication du Credo des apotres / Rufin . Expose du Credo / Fortunat; introduction de Manlio Simonetti; traduction de Francoise Bilbille Gaven et Jean-Claude Gaven; annotations, guide thematique, index de A.-G. Hamman, Paris: Migne, c1997, Les Peres dans la foi; 68 Storia della chiesa / Rufino; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1997, Collana di testi patristici; 54 Origenes, [2]: Buch 4-6 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel; zum Druck vorbereitet und gesetzt von H. J. Frede und H. Stanjek, Freiburg: Herder, 1997, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 33 Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes Le benedizioni dei patriarchi / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Maria Veronese, Roma: Citta nuova, \1995!, Collana di testi patristici; 120 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Scritti apologetici / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti Edizione: Nuova ed. riveduta e corretta, Roma: Citta nuova; Aquileia: CSEA, 1999 \i.e. 2000!, Scrittori della chiesa di Aquileia; 5.1 Scritti apologetici / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta nuova; Aquileia: CSEA, 1999, Scrittori della chiesa di Aquileia; 5/1 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Basilius: Magnus<santo>, Versione delle omelie di Basilio: 1.-3. / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di Carla Lo Cicero, Roma: \s. n.!, 1996 (Roma: S. Pio X) Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma La Sapienza, Dipartimento di filologia greca e latina Origenes, [3]: Buch 7-10 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel; aus dem Nachlass herausgegeben von H. J. Frede und H. Stanjek, Freiburg: Herder, 1998, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 34 Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes Origenes, Homelies sur les Juges / Origene; texte de la version latine de Rufin; introduction, traduction, notes et index par Pierre Messie, Louis Neyrand, Marcel Borret, Paris: Les editions du Cerf, 1993, Sources chretiennes; 389 Note Generali: Testo orig. a fronte 2: Rekognitionen in Rufins Ubersetzung / herausgegeben von Bernhard Rehm Edizione: 2., verb. Aufl. / von Georg Streker, Berlin: Akademie Verlag, c1994 Fa parte di: Die Pseudoklementinen F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 238 Historia monachorum, sive De vita sactorum patrum / Tyrannius Rufinus; herausgegeben von Eva SchulzFlugel, Berlin \ecc.!: W. de Gruyter, 1990, Patristische Texte und Studien; 34 De adulteratione librorum Origenis / Rufinus Aquileiensis; edizione critica a cura di Antonio Dell'Era, L'Aquila: Japadre, c1983, Collana di testi storici; 15 Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti Edizione: 3. ed, Roma: Citta nuova, 1993, Collana di testi patristici; 11 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 21: Tyrannii Rufini Aquilensis presbyteri opera omnia quae de de suo elucubravit, collecta, ordinate disposita, ab alienis sejuncta ... / novissime recensuit, correxit, edidit J.-P. Migne, Turnholti: Typographii Brepols editores pontificii, 1991, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 21 Note Generali: Ripr. dell'ed.: Paris, 1849 Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... Historia monachorum sive De vita sanctorum Patrum / Tyrannius Rufinus; herausgegeben von Eva SchulzFlugel, Berlin; New York: De Gruyter, 1990, Patristische Texte und Studien; 34 Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta nuova, \1991!, Collana di testi patristici; 91 TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta Nuova, 1991, Collana di testi patristici; 91 Origenes, Commentaire sur le Cantique des cantiques / Origene; texte de la version latine de Rufin; introduction, traduction et notes par Luc Bresard, et Henri Crouzel avec la collaboration de Marcel Borret, Paris: Les editions du cerf, 1991-1992 Comprende: 1 / Origene; introduction, traduction etnotes par Luc Bresard et Henri Crouzel; avecla collaboration de Marcel Borret 2 / Origene; traduction, notes et index parLuc Bresard et Henri Crouzel; avec lacollaboration de Marcel Borret Origenes, [1]: Buch 1-3 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel, Freiburg: Herder, 1990, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 16 Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta Nuova editrice, 1991, Collana di testi patristici; 91 Origenes, Commentaire su le cantique des cantiques / Origene; texte de la version latine de Rufin, Paris: Les editions du Cerf, 1991-1992 Comprende: 1.: [Livres 1.-2.] / introduction, traductionet notes par Luc Bresard et Henri Crouzel ;avec la collaboration de Marcel Borret 2.: [Livres 3.-4.] / traduction, notes etindex par Luc Bresard et Henri Crouzel; avecla collaboration de Marcel Borret Spiegazione del credo / [Di] Rufino; Traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti Edizione: 2. ed, Roma: Citta' Nuova, 1987, Collana di testi patristici; 11 Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta Nuova, c1986 (stampa 1985), Collana di studi patristici; 54 Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, \1986!, Collana di testi patristici; 54 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 239 Rufinus, Tyrannius, Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione introduzione e note a cura di Manlio Simonetti Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, \1987!, Collana di testi patristici; 11 Basilius: Magnus<santo>, Basili Regula / a Rufino latine versa; quam edendam curavit Klaus Zelzer, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1986, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 86 De ieiunio 1., 2.: zwei Predigten uber das Fasten nach Basileios von Kaisareia / Rufin von Aquileia; Ausgabe mit Einleitung, Ubersetzung und Anmerkungen von Heinrich Marti, Leiden \etc.!: Brill, 1989, Supplements to Vigiliae Christianae; 6 Note Generali: Testo originale a fronte Hammond Bammel, Caroline P., Der Romerbrieftext des Rufin und seine Origenes-Ubersetzung / Caroline P. Hammond Bammel, Freiburg: Herder, 1985, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 10 Note Generali: Con il testo di Rufino Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, c1986, Collana di testi patristici; 54 Origenes, 1: Livres 1. et 2. / Origene; introduction, texte critique de la version de Rufin, traduction par Henri Crouzel et Manlio Simonetti, Paris: Les editions du Cerf, 1978, Sources chretiennes; 252 Note Generali: Testo orig. a fronte Fa parte di: Traite des principes Spiegazione del Credo / [Di] Rufino; Traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta' nuova, 1978, Collana di testi patristici; 11 Il salterio di Rufino / edizione critica a cura di Francesca Merlo; commento da Jean Gribomont, Roma: Abbazia San Girolamo; Citta del Vaticano: Libreria vaticana, 1972, Collectanea Biblica latina; 14 Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta nuova, \1978!, Collana di testi patristici; 11 Adamantius, Tyrannii Rufini Librorum Adamantii Origenis adversus haereticos interpretatio / eingel., hrsg. und kritisch kommentiert von Vinzenz Buchheit, Munchen: Fink, 1966, Studia et testimonia antiqua; 1 Les benedictions des Patriarches / Rufin d'Aquilee; introduction, texte latin, notes et commentaire par Manlio Simonetti; traduction de H. Rochais revue par P. Antin, Paris: Les editions du cerf, 1968, Sources chretiennes; 140 Note Generali: Testo orig.a fronte Tyrannii Rufini opera / recognovit Manlius Simonetti, Turnholti: Brepols, 1961, Corpus Christianorum. Series Latina; 20 Tyrannii Rufini opera Edizione: Rist. anast, New York \etc.!: Johnson reprint corporation, 1965, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum; 46 Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1905 Comprende: 1: Tyrannii Rufini orationum GregoriiNazianzeni novem interpretatio / IohannisWrobelii copiis usus edidit et prolegomenaindicisque adiecit Augustus Engelbrecht A commentary on the Apostles creed / Rufinus; translated and annotated by J. N. D. Kelly, New York; Ramsey: Newman press, c1954, Ancient christian writers; 20 Apologia / Tirannio Rufino; a cura di Manlio Simonetti, Alba: Edizioni Paoline, stampa 1957, Verba seniorum; 6 Note Generali: Testo originale a fronte Apologia: [testo latino con traduzione italiana a fronte] a cura di Manlio Simonetti, Alba (Cuneo), Verba seniorum; 6 F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 240 Tyrannii Rufini orationum Gregorii Nazianzeni novem interpretatio / Iohannis Wrobelii copiis edidit et prolegomena indicesque adiecit Augustus Engelbrecht, Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1910, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 46 Completato 2005-1900 "Rufino Turranio (Tirannio) - Treccani" Rufino Tirannio. Scrittore latino cristiano, nato a Concordia Sagittaria, presso Aquileia, verso la metà del sec. IV. Studiò a Roma, dove conobbe S. Girolamo. Dopo il battesimo, ottenuto nel 371, intraprese un viaggio in Egitto e visitò i conventi dell'alta valle del Nilo. Stabilitosi ad Alessandria, città in cui era sempre viva la tradizione del Didascaleion di Clemente e di Origene, studiò le opere di quei maestri sotto la guida di Didimo il Cieco. Da Alessandria si trasferì poi a Gerusalemme. Qui intervenne nella controversia sorta sulla dottrina di Origene e si pose contro s. Girolamo. Per motivi polemici tradusse in latino il De principiis di Origene, ma pare che non si sia mantenuto fedele all'originale, che è andato perduto. R. fu un fecondo traduttore di testi greci, ma scrisse anche opere originali, fra cui bisogna ricordare l'Apologia ad Anastasium, nella quale difende le sue teorie e le sue traduzioni. Morì a Messina verso il 410. Scheda. Le traduzioni latine di testi greci. A. Hamman TRADUZIONI LATINE DI TESTI GRECI. Già prima di s. Cipriano (248), la Bibbia è tradotta in latino; questa versione, detta «africana», è datata senza dubbio alla seconda metà del II sec.; sarà continuamente rivista fino verso il 400, per adattarla al testo greco alessandrino, in una lingua più colta. Numerosi testi apocrifi (vangeli, atti, apocalissi; IV Esdra...) hanno accompagnato i libri canonici; le loro tracce sono più sporadiche; è difficile definire le date delle traduzioni e gli ambienti che esse hanno influenzato. Una lista abbondante è fornita (VI sec.?) dall'Index de libris non recipiendis (Decretum Gelasianum); i testi sono stati presentati da Lipsius-Bonnet, ma molti sono stati arricchiti dalle scoperte più recenti. Per es., per il Transitus della Vergine, A. Wilmart (ST 59, 323-369) e A. Wenger (L'assomption de la T.S. Vierge, Paris 1955, 245-256). Si è pensato che la comunità di Roma abbia tradotto la I Clementis fin dal II sec. Ci sono due versioni del Pastore di Erma. Di Policarpo, sono rimasti in latino i cc. 10-14; analogamente per l'Adversus haereses di Ireneo. Di Clemente di Alessandria restano le Adumb. in ep. cath. (GCS 3), perdute in greco. La grande epoca delle traduzioni è l'età di Rufino e di Girolamo, che lavorarono soprattutto in Oriente, e che hanno salvato Origene e altri scrittori che i copisti greci hanno voluto fare scomparire, o almeno hanno lasciato perire. Gli ariani hanno, dal canto loro, salvato, nello stesso periodo, altre opere di Origene (Commento a Matteo) e la Tradizione Apostolica d'Ippolito. Sono soprattutto i pelagiani o i simpatizzanti di tale movimento a essere interessati all'opera di Giovanni Crisostomo o ai Commentari di Teodoro di Mopsuestia. Alcune omelie di Basilio e di Gregorio di Nazianzo hanno attratto l'attenzione di Rufino, così come l'Asceticon di Basilio. L'Esamerone dello stesso, dopo essere stato utilizzato da Ambrogio, fu tradotto da Eustazio. La letteratura monastica rappresentò un notevole centro d'interesse. Evagrio d'Antíochia e un anonimo tradussero in latino la Vita di Antonio di Atanasio, subito dopo la sua pubblicazione. Furono tradotti numerosi scritti minori, mentre visitatori occidentali andavano a cercare informazioni effettuando pellegrinaggi in Oriente, e taluni «orientali latini» (Cassiano, originario della Scizia) utilizzavano ed elaboravano una vasta informazione. Verso la metà del VI sec., i diaconi romani Pelagio e Giovanni, futuri papi, hanno tradotto un'eccellente collezione di Apoftegmi, tesoro a cui anche altri si rifecero. Le controversie con Costantinopoli, che seguirono il concilio di Calcedonia, portarono a riprendere e migliorare le traduzioni delle raccolte canoniche bizantine. Ne seguirono parecchie, ed è malagevole orientarsi nei lavori successivi. Occorre menzionare in particolare Dionigi il Piccolo, scita anche lui, passato al servizio della Santa Sede († verso il 550). Nella stessa epoca, Cassiodoro fa tradurre Crisostomo e altri autori che giudica utili alla sua biblioteca. Africani, come Facondo di Ermiane, svolgono anche un ruolo di interpreti. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 241 Alla fine del IX sec. Anastasio il Bibiliotecario si mise di nuovo al servizio della curia romana per traduzioni sistematiche. In Gallia, Giovanni Scoto Eriugena, di cultura irlandese, giunse a tradurre Gregorio di Nissa e Dionigi Aeropagita. Questi personaggi sono tanto più conosciuti quanto più sono eccezionali. Tuttavia, in diverse epoche, un buon numero di anonimi si rivelò capace di rendere in latino brani minori, agiografici, omileticí, ascetici. Non solamente in Italia meridionale le culture si incontravano. In breve, era una fortuna per uno scrittore greco essere tradotto in latino, in quanto le traduzioni sono mezzi indispensabili di mediazione culturale. Del resto il Medioevo latino cita e conosce solo gli autori greci tradotti in latino. Inoltre Rufino, Girolamo e altri non solo hanno fatto conoscere i Greci, ma spesso hanno salvato le loro opere. Le versioni latine, antiche e letterali, sono spesso eccellenti testimonianze dell'originale, e importanti per la trasmissione del testo. P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Paris 1948 2 (tr. ingl. Cambridge, Mass., 1969); et al. … J. Gribornont, Patrologia III, 188-203 (bibl.). A. Hamman, s.v. Traduzioni latine di testi greci, in DPAC, 2, col. 3503-05. Cromazio di Aquileia Cenni biografici Nacque intorno al 335-40 da una famiglia cristiana particolarmente devota. Nel 370 diventò sacerdote e nel circolo ascetico di Aquileia fu guida spirituale di Rufino e Girolamo, che gli indirizzarono alcune loro opere e tra cui cercò di riportare l’amicizia dopo numerose polemiche. Presenziò al Concilio di Aquileia del 381 dove sostenne le posizioni di Ambrogio contro gli ariani. Nel 388, consacrato da Ambrogio, diventò vescovo di Aquileia succedendo a Valeriano e distinguendosi per la sua attività pastorale e di cura dei luoghi sacri. Morì tra il 407 e 408. Opere Catechesi al popolo. Sono sermoni o omelie. Ne sono state scoperte di recente circa una quarantina, alcune delle quali frammentarie, in forma di catechesi al popolo. Costituito da 60 omelie è anche il Tractatus sul vangelo di Matteo, da collocare intorno alcirca 407-08. Piuttosto netta l’utilizzazione dei procedimenti dell’esegesi allegorica origeniana, caratterizzata fortemente in senso allegorico, talvolat con molteplici interpretazioni spirituali di uno stesso passo. Testi e testimonianze Bibliografia F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 242 Edizioni O.o. R. Etaix, J. Lemarie, Corpus Christianorum Lat. 9A, Turnholt, Brepols, 1957, 1974 Sermons, I Sermons 1-17 A Intr. ed. e note J. Lemarié, o.s.b., trad. H. Tardif, Paris,1969, Sources chretiennes; 154 Tachygraphiés pendant la prédication, les sermons témoignent du souci de Chromace d’être un bon pasteur de ses fidèles. Dans un style paisible et équilibré, Chromace traite des questions de la christologie, de l’ecclésiologie et de la vie chrétienne. Ces sermons, édités pour la première fois, sont attribués à Chromace, évêque d’Aquilée, d’après des recherches pointues sur les manuscrits. Catechesi al popolo. Sermoni., tr. G. Cuscito, Roma, Città Nuova, 1979, 19892. (ed. J. Lemari, R. Elaix, Turnhout 1977), Collana di testi patristici; Roma-Gorizia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1 Sermoni liturgici, trad. e note di M.Todde, Alba, Paoline, 1982,1999, Sermoni, Intr., trad. note e indici G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1989, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.1 Commento al Vangelo di Matteo tr. it. G. Trettel, Roma, Città Nuova, 1984. (ed. J. Lemari, R. Elaix, Turnholt 1977). Intr., trad. note e indici G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1989, Scrittori dell'area santambrosiana. Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.2 Studi Pasian M. V., Il cristiano secondo Cromazio di Aquileia , ?, Segno - 2001 ICCU per Soggetto Cuscito, Giuseppe, Cromazio di Aquileia, 388-408, e l'eta sua: bilancio bibliografico-critico dopo l'edizione dei Sermones e dei Tractatus in Mathaeum / Giuseppe Cuscito, [Aquileia]: Associazione nazionale per Aquileia, 1980 Corgnali, Duilio, Il mistero pasquale in Cromazio d'Aquileia / Duilio Corgnali, Udine: La nuova Base, stampa 1979 Chromatius episcopus, 388-1988, Udine: Arti grafiche friulane, 1989, Antichita altoadriatiche Note Generali: Atti delle giornate di studio tenute ad Aquileia dal 23 al 25 settembre 1988 per il 16. centenario dell'elevazione all'episcopato di San Cromazio, vescovo di Aquileia Trettel, Giulio, L' hodie di Cristo nella celebrazione della Chiesa / Giulio Trettel, Udine: Deputazione di Storia patria per il Friuli, 1991 Estr. da: Memorie storiche forogiuliesi, vol. 71, 1991. Soggetti: Cromazio <santo> - Concetto di liturgia Pasian, Maria Violetta, Convertitevi e credete al Vangelo: il cristiano secondo Cromazio di Aquileia: citazioni dall'insegnamento pastorale / Maria Violetta Pasian, Udine: Segno, [2000] F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 243 Cian, Vittorio, L' anno liturgico nelle opere di s. Cromazio di Aquileia / Vittorio Cian; prefazione di Pelagio Visentin; a cura di Pietro Zovatto, Trieste: [s. n.], 1996 (Trieste: Fonda grafiche multimediali), Centro studi storico-religiosi Friuli-VeneziaGiulia Trettel, Giulio, Mysterium e sacramentum in s. Cromazio / Giulio Trettel; con presentazione e bibliografia di Pietro Zovatto, Trieste: s. n., 1979 (Cittadella: Bertoncello), Centro studi storico-cristianiFriuli-Venezia-Giulia ICCU per Autore Cromatius : Aquileiensis<santo> Catechesi al popolo: Sermoni / [Di] Cromazio di Aquileia; Traduzione, introduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta' Nuova, 1979, Collana di testi patristici; 20 Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio R. Etaix & J. Lemarie, Turnholti: Brepols, 1974, Corpus Christianorum. Series Latina; 9A Sancti Chromatii episcopi aquileiensis scripta, sive opuscula, quae supersunt; additis binis epistolis, eidem olim ad Sancto Heliodoro Altinati affictis. Accedunt praeter praefationem, et alia quaedam, duorum illustrium virorum, Iusti Fontanini archiepiscopi ancyrani, et Bernardi Mariae de Rubeis ordinis praedicat., de eodem sancto aquilejensi praesule lucubrationes, ex eorum operibus depromptae, Utini: typis Pecilianis, 1816 Fontanini, Giusto<1666-1736> De Rubeis, Bernardo Maria<1687-1775> Chromatij doctissimi episcopi Romani In 5. & 6. caput Matthaei dissertatio, atque in eodem genere declamatio. Quae nunc primum sunt & eruta, & in lucem edita, Basileae: Per Adamum Petrum, mense martio 1528 (excudebat Adamus Petrus) Sul Natale del Signore / Cromazio, [S.l.: s.n.], 1982 (Verona: Fiorini) Descrizione fisica: [12] c.: ill.; 25 cm, Parole per Natale Note Generali: Testo originale in calce Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione introduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta nuova, 1979, Collana di testi patristici; 20 Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione, introduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1989, Collana di testi patristici; 20 Parole per Natale: sul Natale del Signore / Cromazio, ?Verona?: Cassa di risparmio di Verona Vicenza e Belluno, 1982 Descrizione fisica: ?12? c.: ill.; 25 cm (( Testo orig. in calce . Commento a Matteo / san Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1990, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.2 Prediche di Natale / \scritti di! Cromazio ... \et al.!; \a cura di Rienzo Colla!, Vicenza: La locusta, 2001 I sermoni / san Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1989, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.1 Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio R. Etaix & J. Lemarie, Turnholti: Brepols, 1974, Corpus Christianorum; 9A Note Generali: Testo aggiunto: Spicilegium ad Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio J. Lemarie & R. Etaix.- P. 609-660 Sermons / Chromace d'Aquilee, Paris: Les editions du Cerf Note Generali: Testo latino a fronte F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 244 Comprende: 2: Sermons 18-41 / Chromace d'Aquilee; textecritique, notes et index par Joseph Lemarie ; traduction par Henri Tardif; 1: Sermons 1-17 A / Chromace d'Aquilee ;introduction, texte critique, notes parJoseph Lemarie; traduction par Henri Tardif Commento al Vangelo di Matteo / Cromazio di Aquileia; traduzione, introduzione, note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta nuova, 1984 Comprende: 1: Trattati 1-37 / Cromazio di Aquileia 2: Trattati 38-59 / Cromazio di Aquileia Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione introduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta Nuova editrice, 1979, Collana di testi patristici 1: Sermons 1-17 A / Chromace d'Aquilee; introduction, texte critique, notes par Joseph Lemarie; traduction par Henri Tardif, Paris: Les editions du Cerf, 1969, Sources chretiennes; 154 Note Generali: Testo orig. a fronte Fa parte di: Sermons Fortunatianus<vescovo Di Aquileia>, Commenti ai Vangeli / Fortunaziano, vescovo di Aquileia; a cura di Giulio Trettel . Sermoni / Cromazio, vescovo di Aquileia; introduzione a cura di Joseph Lemarie e Giulio Trettel; traduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta Nuova; Gorizia: Societa per la conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1 Testo originale a fronte TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV Sermoni liturgici / Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione e note a cura di Mauro Todde, Roma: Edizioni paoline, \1982!, Letture cristiane delle origini. Testi; 18 Simonetti-Prinzivalli, p.810. Nato da una famiglia tutta consacrata all'ascesi, era prete intorno al 370 e fu guida spirituale del circolo ascetico di Girolamo e Rufino (Ruf., Apol. I, 4). Fu accanto al vescovo Valeriano al concilio di Aquileia del 381, convocato da Ambrogio per condannare l'arianesimo occidentale. Nel 388 divenne il successore di Valeriano, e fu consacrato da Ambrogio: in questa veste incrementò il prestigio della sede con inte nsa attività pastorale ed edilizia. Destinatario di opere di Girolamo e poi anche di Rufino, cercò di mettere pace fra i due, ma solo Rufino gli diede ascolto, scegliendo a un certo punto il silenzio di fronte agli attacchi geronimiani. Difese Giovanni Crisostomo presso Onorio e Arcadio dopo il Sinodo della Quercia (403). Morì nel 407, alla vigilia della seconda discesa dei Goti di Alarico. Fu un'importante personalità letteraria del cristianesimo occidentale della seconda metà del iv secolo: la sua produzione costituisce in larga parte una scoperta recente degli studi patristici. Le omelie sinora note di Cromazia sono 45 (alcune frammentarie). A queste si aggiunge una trattazione sistematica sul vangelo di Matteo fino al cap. 18, composta verso la fine della vita, per un totale di circa 60 omelie. Cromazio preferisce interpretare il NT piuttosto che 1'AT, giovandosi dei procedimenti dell'esegesi allegorica origeniana, fra cui, per es., la possibilità di molteplici interpretazioni spirituali di uno stesso pas so. CROMAZIO di Aquileia. Dal 370 ca. fu membro del clero di Aquileía, uno dei più importanti nodi di transito tra Oriente ed Occidente. Come stretto collaboratore del vescovo Valeriano prese parte ad un sinodo locale, che nel 381, sotto la direzione di Ambrogio, condannò il cosiddetto arianesimo occidentale (Illvricum). Nel 387 divenne vescovo di Aquileia. In tale carica sviluppò una vivace attività pastorale e si impegnò inoltre per la pace della chiesa. In pari modo agì nella controversia fra il suo vecchio amico Rufino e Girolamo e nella questione di Giovanni Crisostomo. Prima della morte, nel 407, dovette sperimentare i terrori dell'invasione gotica. La sedimentazione scritta delle sue numerose prediche è stata rivelata solo recentemente. Comprende più di 40 Sermoni e 60 Omelie sul vangelo di Matteo, dove segue per lo più un'esegesi letterale e si attiene ai grandi Padri latini. In seguito alla scoperta della considerevole eredità scritta, c'è stata una grande quantità di studi che si occupano della sua persona, del metodo esegetico e dei riferimenti alla liturgia di Aquileía. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 245 (C.fr. CPL 217 ss., incompleto): A. Hoste, CC.L 9 (1957), 371-447; R. Etaix & J- Lemarié, CCL 9A (1974), 9A suppl. (1977) (cfr. J. Doignon, RSI'h G [1979], 241-250). Dal 1960 diversi studi (cfr. CCI, 9A, VIII ss.; SCh 164, 115-120): J. Lemarié, Italie. Aquilée: DSp 7, 2162- 2165; D. Corgnali, Il mistero pasquale in Cromazio di Aquileia, Udine 1979; G. Trettel, Mysterium et sacramentum in s.C., Trieste 1979; G. Cuscito, Cromazio di A. e l'età sua, 1980; B. Studer, Patrologia III, BAC 422, Madrid 1981, 697 ss. B. Studer, s.v. Cromazio di Aquileia, in DPAC, 1, col. 867. Niente Conte, Bettini solo cenni. Niente Riposati. Moreschini-Norelli, 2/1, p.402. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 246 S. Agostino Cenni biografici Agostino nasce a Tagaste, l'attuale Souk Ahras, in Algeria, il 13 novembre 354. La famiglia non è particolarmente facoltosa, anche se il padre è membro del consiglio municipale. Mentre questi si convertirà solo prima di morire, la madre Monica è fervente cristiana ed educa il figlio in tal senso fin da tenera età. I primi studi vengono condotti a Tagaste, poi a Madaura, infine, nel 371, a Cartagine. Qui la lettura entusiastica dell'Hortensius di Cicerone lo porta a nuovi interessi filosofici e religiosi. Nel 373 Agostino aderisce al Manicheismo, l’eresia di cui resta in seguito diventerà strenuo combattente, ma che per circa nove anni lo attrae soprattutto per i presupposti metodologici e metafisici: razionalismo, materialismo, dualismo e ne fa di fatto un deciso anticattolico. Nel frattempo convive con una donna, dalla quale ha un figlio, Adeòdato. Nel 374 rientra per breve tempo a Tagaste, ove insegna grammatica, poi rientra a Cartagine, ove insegna retorica, quindi, nel 383, parte per Roma. I suoi interessi culturali lo hanno spinto nel frattempo ad approfondire la filosofia scettica degli Accademici. Grazie all'appoggio di Q. Aurelio Simmaco ottiene, nel 384, di trasferirsi, come insegnante di retorica e pubblico oratore, a Milano. Qui lo raggiunge anche la madre; mentre non ha seguito un tentativo di sposare la madre di Adeodato, Agostino vive con un'altra donna. A Milano conosce Ambrogio, ne diventa fedele ascoltatore (forse le prediche sull’Esamerone, su Isacco e l’anima e Il bene della morte) ed è fortemente attratto dalla interpretazione allegorica delle Sacre scitture del vescovo. Nel settembre del 386, dopo la frequentazione di un circolo neoplatonico e letture di Plotino, Porfirio e S. Paolo che molti giudicano fondamentali per la sua conversione, Agostino lascia l'insegnamento e si ritira a Cassiciaco, nelle prealpi lombarde, con la madre Monica, il figlio e il fedele amico Alipio, nella villa di un conoscente, Verecondo. Appartengono a questo periodo il Contra Academicos, il De vita beata, il De ordine. L'anno successivo Agostino torna a Milano, dove viene battezzato da Ambrogio. Decide quindi di ripartire per l'Africa, ma nel corso del viaggio la madre muore. A. ritarda di un anno la partenza per l’Africa e compone il De moribus Ecclesiae catholicae e il De quantitate animae. A Tagaste, dove conosce il futuro vescovo di Cartagine, Aurelio, fonda una comunità religiosa. Il risultato delle conversazioni del tempo verranno raccolte nel De diversis quaestionibus, la cui composizione si protrarrà fino al 396. Nel 391, nel corso di una sua visita a Tagaste viene ordinato sacerdote e ottiene dal vescovo di fondare un monastero. Nel 395 (secondo altri nel 396) viene eletto vescovo della stessa città: la nuova carica lo vede sempre più impegnato nella pastorale della parola, nella cura dei poveri, nella formazione del clero e nell’organizzazione di monasteri, quanto in polemiche e lotte contro sette ed eresie, soprattutto quelle donatista, pelagiana e manichea. Fu partecipe attivo, anche in tal senso, a molti concilii della Chiesa africana. Morì nel 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali di Genserico. Opere Importante, per un bilancio fatto dall’autore stesso delle proprie opere a tutto il 429, l’epistola 224 a Quodvultdeus: circa 200 senza contare le Lettere e le Omelie. Possidio, che stette presso A. come familiare, e scrisse una Vita Augustini, parla in un suo Indiculus, di 1030 scritti, alcuni dei quali verosimilmente perduti o raggruppabili in raccolte. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 247 93 trattati in 232 libri. Circa una decina di queste opere non ci sono pervenute. Ricontrolla ad esempio quanto detto in opere polemiche e decidere se creare un gruppo a sè. Alcune delle opere sono state raccolte e pubblicate tra le lettere. Suddivisione in gruppi e presentazione elenco gruppi Per comodità di esposizione si individuano di seguito sei gruppi: opere autobiografiche, opere filosofiche, opere apologetiche, opere polemiche contro le eresie, opere dottrinali, opere pastorali e di catechesi. A conclusione, si trattano a parte la raccolta omiletica e l’epistolario. Opere autobiografiche Confessionum libri XIII. Composte tra il 397/98 e il 401. Retractationes 426-27 Sono un’opera fondamentale per lo studio delle opere agostiniane, soprattutto per quanto attiene le loro motivazioni. Rappresentano la fase estrema di un processo di riflessione sulla propria attività che continua idealmente quanto raccolto nelle Confessioni. Opere filosofiche Nelle principali edizioni sono definite complessivamente con il termine di Dialoghi: risalgono al periodo compreso tra la conversione e l’ordinazione sacerdotale, nei soggiorni a Cassiciaco, Milano, Roma e a Tagaste. I prologhi di quelli composti a Cassiciaco sono, assieme alle Confessioni, tra le fonti più interessanti per la biografia di A.. Contra Academicos libri III (De Academicis). Composto a Cassiciaco tra il 386 e il 387. Raccoglie una confutazione dello scetticismo degli Accademici: l’uomo può conoscere la verità. OK De vita beata liber I (De beata vita). Composto a Cassiciaco tra il 386 e 387, raccoglie il resoconto di un dialogo in cui si dimostra che la felicità consiste nella conoscenza di Dio. OK De ordine libri II. Tema dichiarato è l’ordine dell’universo e il significato del male. OK Soliloquiorum libri II, incompiuti. Due i temi fondamentali: le condizioni richieste per conoscere Dio e l’immortalità dell'anima. Il secondo sarà sviluppato da A. nel De immortalitate animae. Il termine soliloquia è usato per la prima volta proprio da Agostino. OK De immortalitate animae liber I. Sotto questo titolo sono trasmessi appunti destinati a completare il De ordine. Essi sono stilati a Milano, prima del battesimo. OK F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 248 De quantitate animae liber I (o in tre libri? Controllo). Composto a Roma intorno al 387-388 sotto forma di dialogo con l’amico Evodio. E' un'ulteriore trattazione sul tema dell'anima e in particolare sulla graduale ascensione alla contemplazione. OK De libero arbitrio libri III. Composti tra Roma e Ippona in un arco di tempo compreso tra il 387 e il 395. Tema principale è l’origine del male, trattato anche nelle sue implicazioni relative alla libertà, alla legge morale, all’esistenza di Dio e alla sua prescienza. L’opera è importante per lo sviluppo delle teorie agostiniane su questi argomenti in relazione alla polemica pelagiana. OK. De magistro liber I. Composto a Tagaste tra il 388 e 391. In questo dialogo con Adeodato A. dimostra che non può essere vero maestro se non chi insegna a conoscere Dio. Forti gli influssi neoplatonici. Di particolare interesse le osservazioni sul rapporto tra parola e cosa. OK De musica libri VI.. I primi quattro libri e la prima parte del quinto scritti a Milano (387-88), il completamento del quinto e il sesto a Tagaste (388-91). E’ un trattato sul ritmo, che doveva essere integrato secondo le intenzione dell’autore da un altro sulla melodia. Contiene anche una trattazione di prosodia e metrica. OK De grammatica. Perduto. Composto nello stesso periodo del precedente. Furono le sole due parti completate di un'enciclopedia delle arti liberali, dal titolo (?) Disciplinarum libri. Il riferimento ideale è a Varrone. Opere apologetiche De civitate Dei, ante 413-427, 22 libri Le notizie più importanti sulla genesi e sulla struttura dell’opera le fornisce Agostino stesso in un’epistola a Firmio e nelle Retractationes. Si possono identificare all’interno dell’opera due parti distinte; la prima (libri I-IX) è dedicata alla confutazione della tesi pagana secondo cui il culto politeista è necessario e alla sua proibizione sono da ascriversi i mali presenti. La seconda parte (libri XI-XXII) è tesa a dimostrare che la religione cattolica è l’unica a condurre l’uomo alla liberazione, riportando la vicenda terrena all’interno di una storia di salvezza. L’opposizione fondamentale tra le due parti può essere vista come quella tra l’orgoglio e il senso di autosufficienza pagano, che colloca l’uomo al centro del suo universo religioso e gli preclude di accogliere l’intervento di Cristo, e l’umiltà cristiana, che vuole Dio creatore dell’uomo e che sostiene che l’uomo non può non avere in Dio il proprio fondamento e la propria giustificazione ultima. Articolazioni più particolari sono quelle identificate da specifici gruppi di libri. Così: Libri I-V. Il paganesimo è incapace di offrire all’uomo fortuna e prosperità sul piano temporale. Libri VI-X. Il politeismo non è neppure in grado di assicurare, dopo la morte, salvezza e felicità che sono possibili solo con la mediazione di Cristo. Libri XI-XIV. Le due città, quella umana e quella divina, sono due comunità di culto che si distinguono per la scelta di vita che le caratterizza anche nel rapporto tra uomo e Dio: quella cristiana accetta la natura dell’uomo come creatura di Dio, quella pagana no. Libri XV-XVIII. Sviluppo storico delle due città dall’inizio dell’umanità alla venuta di Cristo. Libri XIX-XXII. Descrizione del fine ultimo cui ciascuna delle due città tende. Molti dei mali che affliggono il mondo romano si sono manifestati già prima dell’avvento del Cristianesimo. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 249 La religione pagana stessa non è stata anche per questo motivo apportatrice di bene. Essa è contraddittoria e ambigua in sé e priva di un supporto teologico. Inoltre ha favorito il diffondersi di riti e spettacoli che hanno contribuito allo scardinamento della morale pubblica, quindi della stessa società. Il Cristianesimo, al contrario, che ha al proprio fondamento l’amore per il prossimo oltre che quello per Dio, mira a instaurare la giustizia tra gli uomini. La storia romana è stata contraddistinta da una serie continua di guerre: essa è incarnazione chiara della città terrena, di cui ingiustizia e imperialismo sono manifestazioni evidenti. Del resto è stata la divina provvidenza, non certo il fato né il paganesimo che hanno consentito a Roma di espandersi. La storia è segnata dalla presenza della città di Dio: al suo interno è attiva quindi una intenzionalità che va ben al di là dei puri e semplici eventi. Per quanto attiene la religione vi sono due istanze contraddittorie, quella popolare, tesa a una concezione politeista, quella dei filosofi, con una concezione più o meno monoteista. In dettaglio sono identificabili, sulla scorta di Varrone, tre tipi di visione teologica: quella mitica o fabulosa, quella politica o civile e quella fisica o naturale. Solo quest’ultima, propria dei filosofi, ha valore per Agostino, in particolar modo quella neoplatica, affine a quella cristiana per quanto riguarda l’immortalità dell’anima, la trascendenza di Dio e il ruolo della provvidenza nel mondo. Limite essenziale, quello di non identificare la via per raggiungere la felicità eterna e di ricorrere in tal senso (Apuleio ed Ermete Trismegisto) ai demoni, sorta di intermediari imperfetti tra Dio egli uomini, e alla magia, fondata sostanzialmente sulla suggestione. Il vero mediatore tra l’uomo e Dio è Cristo: questi, pur essendo Dio, si è fatto uomo. L’uomo che vuole raggiungere la felicità eterna cioè Dio stesso, deve seguire l’esempio di Cristo e riproporne l’esempio in terra. La Chiesa cristiana è il tal senso il sacrificio totale dell’umanità: il vero cristiano si consacra a Dio, lo ama, vive in comunione con lui, ma per vivere in lui, muore al mondo. La speranza della felicità eterna è il criterio di interpretazione della vicenda storica. Il mondo pagano è considerato in funzione di un suo progressivo avvicinamento alla religione cristiana. L’uomo può tornare a Dio, dal quale si è distaccato con il peccato, immergendosi nella propria interiorità e recuperando la propria dimensione di creatura di Dio; in ciò risiede la conversione all’umiltà che Agostino chiede al mondo pagano. La città terrena stessa, del resto, è buona di natura ma perversa nel volere: il costituirsi stesso e la distinzione tra le due città deriva in effetti dalla ribellione di alcuni angeli. Il male deriva dalla libera volontà dell’uomo, non da Dio. Connesso alla natura del male è il concetto di mortalità stessa dell’uomo, quella fisica del corpo, che riguarda tutti, e quella dell’anima dei peccatori, che coincide con la dannazione eterna. Lo spirito umano è comunque portato dall’amore: questo è il peso stesso che porta l’anima al luogo che più le è consono. L’amore stesso ha dato luogo alle due città: quello per sé, che porta all’indifferenza per Dio, ha originato la città terrena; quello per Dio, che conduce all’indifferenza per sé, ha originato la città celeste. Le due città hanno uno sviluppo storico, ciascuna in sei epoche, secondo uno schema diffuso in ambiente patristico e che ricalca il modello dei sei giorni della creazione. Le due città si vanno configurando per Agostino nell’epoca che va da Adamo a Noè, la prima epoca dello sviluppo storico. La seconda epoca copre il periodo che va fino ad Abramo, la terza si conclude al tempo di Davide, la quarta con l’esilio di Babilonia, la quinta con l’incarnazione di Cristo, la sesta con la sua parusia. I fini delle due città. In virtù della promessa della salvezza offerta da Cristo, la storia si delinea come un cammino verso l’eternità. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 250 Il Sommo bene non consiste, come per i filosofi pagani e anche per i neoplatonici, nella felicità terrena, ma nella vita beata, cioè nella contemplazione e nel godimento di Dio, possibile solo nell’eternità. E’ solo in questo stato di pace eterna che l’uomo raggiunge la propria perfezione. Opere polemiche contro le eresie Polemica antimanichea: De libero arbitrio, 3 libri. Composto 387-88 (secondo Moreschini completato dopo il 391). Le origini del male derivano dal libero arbitrio. La libera volontà umana è intrinsecamente buona e non è costretta al male ab origine, come sostengono i Manichei. In realtà la volontà è un bene intermedio, perché può volgersi anche al male. L’uomo con l’aiuto di Dio può però risollevarsi dal male. Soprattutto il terzo libro, tuttavia, è legato alla teoria paolina della predestinazione, fatto questo che sarà rimproverato ad A. dai Manichei. De moribus Ecclesiae catholicae (et de moribus Manichaeorum) libri II. Moreschini tiene distinti De moribus Ecclesiae catholicae e De moribus Manichaeorum. Composti a Roma intorno al 387-88. E’ la prima opera apologetica di Agostino dopo la conversione. De moribus Manichaeorum: A. rileva l’atteggiamento sprezzante dei Manichei nel considerarsi eletti rispetto ai Cristiani; ma la loro dottrina è insostenibile e la loro vita è incoerente. De Genesi contra Manichaeos. Composto ca. 389 a Tagaste. Raccoglie un’analisi dei dubbi manichei sulla creazione. Viene utilizzata una lettura allegorica dei primi tre capitoli della Genesi. Acta contra Fortunatum Manichaeum. E' il resoconto di una disputa contro l'eresia manichea e un suo famoso rappresentante tenuta nel 392 ad Ippona. Soggetto principale la tesi che il male deriva dal libero arbitrio. Contra Faustum Manichaeum libri XXXIII. Composto negli anni 397-98. E’ una difesa puntuale di Antico e Nuovo Testamento contro le tesi manichee esposte appunto da Fausto De natura boni contra Manichaeos liber I. Composto 399. Tesi principale è che tutte le cose, essendo create da Dio, buono per essenza, sono buone. Il male è un defectus boni. Contra Secundinum Manichaeum liber I. Composto nel 399, trasmette la risposta a un manicheo che lo esortava a lasciare il cattolicesimo e tornare al manicheismo. Contra Felicem Manichaeum (De actis cum Felice Manichaeo). Raccoglie il resoconto della disputa tenuta nel 404 con Felice sull'immutabilità di Dio, sulla libertà come principio del male e sulla redenzione. Contra Adimantum Manichaei discipulum liber I. Soluzione di alcune contraddizioni tra Vecchio e Nuovo Testamento sollevate dal manicheo Adimanto, che pretende vi sia una sostanziale opposizione tra A. e N.T.. Composto tra il 391 e il 396. Trapè lo colloca al 392. Contra epistolam Manichaei quae vocant Fundamenti liber I. Composto all’inizio dell’episcopato, raccoglie la confutazione del dualismo manicheo, facendo riferimento a una specie di catechismo dei manichei stessi. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 251 De duabus animabus liber I, del 392. Le due “anime” sono quelle previste dai manichei: una di esse deriverebbe da un principio buono, la seconda da un principio cattivo. A. sostiene che l’anima è unica e dotata di libero arbitrio; da questo deriva il male. Riferimento al De vera religione, riportato sotto Opere dottrinali. Polemica antipelagiana: De gratia et libero arbitrio liber I. Composto nel 426, indirizzato ai monaci di Adrumeto, dimostra su basi scritturistiche come possano coesistere grazia e libero arbitrio. De natura et gratia liber I. Composta tra 413 e il 415. E’ in risposta al De natura di Pelagio. Vi si sostiene che la grazia libera e sana la natura. De gestis Pelagi liber I. Composto nel 417, è un esame degli atti del sinodo di Diospoli del 415 contro il pelagianismo. De gratia Christi et de peccato originali libri II. Composto nel 418, è la confutazione della dottrina di Pelagio e di Celestio sulla grazia e il peccato originale. Contra duas epistulas Pelagianorum libri IV. Composti nel 422 e indirizzati a papa Bonifacio, intermediario presso di lui delle lettere di Giuliano di Eclano e dei vescovi che si erano rifiutati di sottoscivere la Tractoria di papa Zosimo. Agostino si difende dalle accuse di negare il libero arbitrio, condannare il matrimonio, svalutare il battesimo e far rivivere il manicheismo. De nuptiis et concupiscentia libri II. Composti tra il 419 e il 420 in due fasi e indirizzati, a Giuliano di Eclano in merito alle accuse da questi mossegli in merito al matrimonio e alla concupiscienza. Contra Iulianum libri VI. Composto secondo alcuni nel periodo 423-26, secondo altri intorno al 421 come replica alla risposta di Giuliano in 4 libri al primo del De nuptiis et concupiscentia. Può essere considerata l’opera più importante della controversia pelagiana. tratta del peccato originale, del matrimonio, del battesimo dei bambini. Giuliano di Eclàno (?). De praedestinatione sanctorum; De dono perseverantiae. Indirizzati nel 429 a Prospero e Ilario che lo informavano dello scompiglio creato tra i monaci di Marsiglia dai suoi De gratia et libero arbitrio e De correptione e gratia. Ai monaci che più tardi si identificheranno come semipelagiani Agostino ribatte che l’inizio della fede e la perseveranza nel bene sono dono di Dio e non solo conseguenza del libero arbitrio. Contra Iuliani responsionem, incompiuto, 430 De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad Marcellinum libri 3, composta nel 412. E’ opera fondamentale perché espone la prima teologia biblica della redenzione e del peccato originale, quindi della necessità del battesimo. Per osservare i comandamenti di Dio è necessaria la Grazia. Polemica antidonatista: Psalmus contra partem Donati. Composto nel 393 o 394. Da un punto di vista contenutistico può considerarsi una parafrasi o riassunto dell’opera di Ottato di Milevi (CONTROLLO). Formalmente è costituito da un prologo, cui seguono venti strofe di 12 versi ciascuna, in ordine alfabetico dalla A alla V, accompagnate da ritornello. Epilogo di trenta versi. In prosa ritmica. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 252 Contra Epistulam Parmeniani libri 3. Composto nel 400 ca.. E’ la prima grande opera sulla controversia donatista. Vi si dimostra che nella unità della Chiesa cattolica i cattivi non contaminano i buoni. De baptismo contra Donatistas libri VII. Composto nel 401, è fondamentale per la dimostrazione della validità del battesimo amministrato dagli eretici. De unitate Ecclesiae liber I (Epistula ada catholicos de secta Donatistarum). Contemporaneo al De baptismo. Ribadisce la tesi che la vera chiesa di Cristo è la Chiesa universale. Contra litteras Petiliani libri III. Composto tra il 401 e il 405, secondo altri sotto il pontificato di papa Anastasio (398-401). Raccoglie un’ulteriore confutazione dello scisma donatista rispondendo a Petiliano, vescovo donatista di Cirta. Contra Cresconium grammaticum libri IV. Composta nel 405, è una difesa dell'opera precedente in elenco. Cresconio aveva assunto la difesa di Petiliano. De unico baptismo contra Petilianum liber I. Composto nel 410 o 411, raccoglie la confutazione di un libro di Petiliano con titolo omologo. Post collationem contra Donatistas liber I. E' un appello ai Donatisti contro i loro vescovi, dopo la conferenza del 411, perché tornino alla Chiesa cattolica. De correctione Donatistarum liber I. Corrisponde all’Epistola 185, scritta nel 417 in difesa delle leggi imperiali contro i Donatisti. Gesta cum Emerito (donatista) episcopo. Resoconto di una conferenza del 418 con il vescovo donatista Emerito. Contra Gaudentium Donatistarum episcopum libri II. Composto nel 421-22, raccoglie la risposta a due lettere del vescovo di Tamugadi. E’ l’ultima opera in senso cronologico contro i Donatisti. Sono andate perdute diverse opere antidonatiste: Contra Epistulam Donati haeretici (394); Contra partem Donati (396); Contra quod attulit Centurius a Donatistis; Probationum et testimoniorum contra Donatistas; Admonitio Donatistarum de Maximianistis; Ad Emeritum Donatistarum episcopum post collationem. Polemica antiariana Contra sermonem Arianorum liber I. Composto nel 418 in risposta a un discorso anonimo di parte ariana. Dimostra la consostanzialità delle Persone divine. Collatio cum Maximino Arianorum episcopo. E’ il testo di una conferenza con il vescovo ariano Massimino tenutasi ad Ippona, forse intorno al 427. Contra Maximinum Arianum libri II. Collegato al precedente, ribatte ad alcune presunte confutazioni da parte di Massimino stesso. Altre Ad Orosium contra priscillanistas et origenistas liber I. E’ la breve risposta inviata ad Orosio nel 415 su alcuni punti dottrinali dei Priscillanisti e degli Origenisti. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 253 Tractatus adversus Iudaeos. Raccoglie una spiegazione della paolina ai Romani, 11,22 sulle profezie dell’A.T. adempiute in Cristo. De haeresibus. Composta dopo il 419, secondo alcuni tra il 428 e il 429, su richiesta di Quodvultdeus, ma rimasta incompiuta e mancante proprio nella sezione in cui avrebbe dovuto identificare i tratti distintivi dell’eresia in genere. Raccoglie la descrizione di quasi 90 eresie utilizzzando materiali di Epifanio e di Filastrio. Opere dottrinali De vera religione liber I. Composto a Tagaste intorno al 389-91, dedicato a Romaniano. La vera religione è solo quella cattolica, custode integrale della verità. Confutazione del dualismo manicheo. Il cristianesimo rappresenta la vera attuazione della sapienza pagana. Forte influsso del neoplatonismo. Contiene in nuce molte delle idee sviluppate in seguito nel de civitate Dei. De utilitate credendi liber I. Composto nel 392, secondo altri nel 391. Raccoglie una analisi delle relazioni tra ragione e fede; quest’ultima – si dimostra - poggia su prove irrefutabili. De duabus animabus. Composto nel 392. Unitarietà e unicità dell'anima contro la tesi manichea di due anime derivanti dal principio del bene e quello del male. Già riportato sotto polemiche manichea. De fide et symbolo liber I. Composto nel 393, è il resoconto del discorso che A. tenne di fronte ai vescovi del Concilio di Cartagine, con la confutazione di tutte le obiezioni eretiche ai capitoli del simbolo cristiano. OK De Trinitate libri XV. I primi dodici libri furono composti tra il 399 e il 412, gli altri, con la stesura della redazione finale, vanno collocati intorno al 419-20. Viene esposto, difeso e formulato il domma della trinità. Libri I-IV: teologia biblica della Trinità; V-VII teologia speculativa e difesa del domma; libro VIII: introduzione alla cognizione mistica di Dio; libri IX-XIV immagine della Trinità nell’uomo; libro XV: riassunto. “E’ il caposaldo della dottrina trinitaria occidentale” (Moreschini), riconosciuto anche dai vescovi orientali. Tradotto in greco alla fine del XIII secolo da Massimo Planude. De doctrina Christiana libri IV. La composizione copre un ampio arco di tempo, dal 396 al 427, ma la prima parte dell’opera fino a 3,25,36 fu composta nel 397. Tre i temi più importanti trattati: la sintesi dommatica sulla base dell’uti e frui (libro I); la dottrina del segno e dell’interpretazione scritturistica (libri II e III); i principi dell’oratoria sacra (Libro IV). Da alcuni considerato prevalente l’aspetto esegetico dell’opera. De fide, spe et caritate liber I (Enchiridion ad Laurentium). Composto nel 421, raccoglie una trattazione dei principi teologici secondo le tre virtù. OK De agone Christiano. La lotta contro il demonio deve essere condotta secondo fede e osservanza dei precetti morali. Ad inquisitionem Ianuari libri II. Corrisponde alle Epistole 54 e 55, databili al 400. Vi si trattano consuetudini e riti della Chiesa. OK De fide et operibus liber I. Composto nel 413. Esposta la tesi che la fede senza le opere non è sufficiente. OK F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 254 De videndo Deo liber I. Corrisponde all’Epistola 147 del 143. Tema è la visione di Dio con gli occhi del corpo. OK De praesentia Dei liber I. Corrisponde all’Epistola 187 del 417. “Trattato sull’inabitazione dello Spirito Santo nell’animo dei giusti”. OK De cura pro mortuis gerenda liber I. Composto nel 424-25, anche se alcuni propongono estremi più ampi, raccoglie la risposta a Paolino da Nola sul culto dei morti. Vi si sostiene che è mortuis gerenda. Composto 423-426. E' un vantaggio essere sepolti presso le reliquie dei santi. OK Riportato da alcuni sotto opere pastorali. De octo Dulcitii quaestionibus liber I. Composto nel 425, raccoglie questioni già trattate in altre opere, ad eccezione della quinta, sull’elezione di Davide. OK De diversis quaestionibus octoginta tribus liber I. Raccoglie 83 quaestiones poste in tempi diversi (388-396) ad A. e fatte da lui riunire dopo la sua elezione a vescovo. Quattro le sezioni identificabili: 1-25 problemi teologici e filosofici; 26-65 problemi esegetici; 66-75 questioni sull’epistolario paolino; 75-83 problemi morali. Opere esegetiche Enarrationes in Psalmos. Nascono dalle esigenze delle attività del sacerdozio e costituiscono l’opera più ampia di Agostino, composta tra il 392 e il 416, forse anche fino al 422. Resta l’unica opera patristica in cui si esamina tutto il Salterio. L’interpretazione del testo (nella versione dei Settanta rivista da Agostino stesso) è di tipo teologico-spirituale. OK De genesi al litteram imperfectus liber. Composto nel 393, tenta una spiegazione letterale della Genesi, arrestandosi a 1,26..OK De Genesi ad litteram libri XII. Tra le opere più importanti di A., tenne l’autore impegnato tra il 401 e il 415, anche se si ritiene che la maggior parte dei libri sia stata composta in un arco di tempo più ristretto. La spiegazione arriva fino a Gen. 3,24. I libri 6,7 e 10 contengono un ampio trattato di antropologia. Da ricordare anche il De Genesi adversus Manichaeos, (elencata sotto Opere polemiche?) Locutionum in Heptateuchum libri VII. Quaestionum in H. libri VII. Raccoglie la spiegazione di alcune espressioni meno usate presenti nei primi sette libri dell’A.T., fornendo la spiegazione dei passi relativi. OK De consensu Evangelistarum libri IV. Composto ca. il 400 raccoglie una serie di confutazioni su accuse di contraddizioni degli evangelisti. OK In Iohannis Evangelium tractatus. Sono 124 discorsi, in parte pronunciati, in parte dettati, sul Vangelo di Giovanni. La data di composizione è molto controversa: l’arco cronologico interessato va dal 411 al 420. OK In epistulam Iohannis ad Parthos. Raccoglie dieci discorsi sulla carità tenuti in occasione delle feste pasquali di un anno che potrebbe essere il 415 o comunque prossimo a questo.OK Quaestiones Evangeliorum libri II. Composto intorno al 400. Raccoglie le spiegazioni a due passi di Matteo (47) e Luca (51). OK F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 255 Quaestiones sedecim in Matthaeum (da alcuni considerate spurie). Interpretazione allegorica dei discorsi e parabole. Exxpositio LXXXIV propositionum ex epistula ad Romanos. Expositio epistulae ad Galatas. Epistulae ad Romanos inchoata expositio. De octo quaestionibus ex Veteri Testamento. Composte prima del 419. OK Adnotationes in Iob liber I. Si tratta di annotazioni marginali al libro di Giobbe stilate tra il 422 e il 425 e raccolte da altri. OK De diversi quaestionibus ad Simplicianum libri II. E’ indirizzata a Simpliciano, vescovo di Milano e successore di Ambrogio, va quindi collocata dopo il 397. Raccoglie la soluzione di alcune questioni relative alla Lettera ai Romani e al Libro dei Re. E’ molto importante da un punto di vista dommatico per le osservazioni raccolte nel primo libro sulla dottrina della grazia: questa è necessaria e gratuita anche per l’inizio della fede e il desiderio della conversione. Opere pastorali e di catechesi De mendacio liber I. Composto nel 395. A. stesso lo considerò poco chiaro, ma utile. Altra opera composta più tardi sull’argomento è trasmessa con il titolo Contra mendacium. OK De doctrina Christiana, in quattro libri, 396-426. Già compresa sotto Opere dottrinali. De catechizandis rudibus liber I. Composto nel 399-400, è un manuale di istruzione catechetica. OK. Enchiridion ad Laurentium, 423-26. Già compresa sotto Opere dottrinali. De bono coniugali liber I. Composto intorno al 400-01. Tema la dignità e i beni del matrimonio; occasione una controversia sull’argomento suscitata da Gioviniano. OK. De sancta virginitate liber I. Composto intorno al 400-01, subito dopo il De bono coniugali. Esalta il valore della verginità, nel pieno rispetto del matrimonio. OK. De opere monachorum liber I. Composto nel 401 e diretto ai monaci di Cartagine. Vi si sostiene l’opportunità, per i monaci, di affiancare alla preghiera attività manuali. Regula ad servos Dei. Raccoglie norme monastiche, non si sa se destinate a monache o come più probabile ai “servi di Dio” della prima comunità di Ippona. Sarebbe la prima opera del genere in Occidente. OK ma ricontrollo su altri. De divinatione daemonum, 406 De utilitate ieiunii, 408 De bono viduitatis liber seu epistola. Composta ca. nel 414. E’ una lettera a Giuliana sul merito della vedovanza. OK. De nuptiis et concupiscentia, 419. Agostino si difende dall'accusa di aver condannato il matrimonio in quanto implica l'esercizio della concupiscienza. Già riportata sotto Opere polemiche F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 256 De adulterinis coniugiis libri II. Composto nel 420-21. Il matrimonio è indissolubile anche in caso di adulterio. OK Contra mendacium liber I. Composto nel 422, secondo altri nel 420-21. E’, dopo il De menacio, un ulteriore trattato sull'illeceità della menzogna. De cura pro mortuis gerenda. Composto 423-426. E' un vantaggio essere sepolti presso le reliquie dei santi. Riportato sotto Opere dottrinali. De continentia liber I. Composto per alcuni intorno al 395, per altri dopo il 412. Tema la continenza, considerata come virtù e dono divino. OK De patientia liber I. Composto nel 415, svolge in modo analogo a quello utilizzato nel De continentia il tema della pazienza, virtù e dono divino. OK. Contra Hilarium liber I. Composto nel 399 per difendere la pratica di cantare i salmi durante la celebrazione dell’Eucarestia. E’ andato perduto. OK. Sermones Le edizioni moderne ne presentano circa 500, ma tale cifra è puramente indicativa, sia rispetto al patrimonio originale (si parla di circa 3000-4000 testi conservati nella biblioteca di Ippona), sia rispetto alle diverse scelte operate dagli editori stessi in merito a casi dubbi e spuri, come si può facilmente immaginare per un autore famoso come Agostino e per il tipo stesso di testo. Gli argomenti trattati da Agostino erano i più disparati. L'edizione dei Maurini, che pure contava solo 363 sermones, prevedeva una divisione in quattro classi per contenuto: 1) 2) 3) 4) Sermoni sulle Sacre Scritture Sermoni sulle festività religiose Sermoni in commemorazione dei santi Sermoni su argomenti vari di indole morale I testi delle omelie venivano in genere trascritti da notarii e rivisti da Agostino. Interessanti per la lingua parlata. Chiarezza espositiva. Epistolario L’edizione dei Maurini raccoglie 270 lettere, ordinate in senso cronologico, complessivamente dal 386 al 430, in quattro classi. Di esse 53 sono inviate ad Agostino e 9 considerate dall’autore stesso nel novero delle opere a sé stanti. Spesso le lettere hanno una notevole estensione e hanno avuto perciò una diffusione e una trasmissione autonoma come singoli trattati. Le edizioni moderne successive hanno tenuto conto di altre lettere scoperte nel frattempo. Controllo quindi NBA e successive. Nelle Retractationes resta escluso assieme ai Sermones. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 257 Osservazioni Altaner, Patrologia “Ciò che era stato Origene per la scienza teologica del III e IV secolo, Agostino lo fu, in modo assai più duratutro ed efficace, per tutta la vita della Chiesa nei secoli successivi fino all’epoca contemporanea. La sua influenza si estese non solo nel dominio della filosofia, della dogmatica, della teologia morale e della mistica, ma ancora nella vita sociale e caritativa, nella politica ecclesiastica, nel diritto pubblico; egli fu, in una parola, il grande artefice della cultura occidentale del Medio Evo”. Testi e testimonianze August., epist. 224. A QuodvultDeus per l’elenco delle proprie opere fino al 429. Possid., Vita August. ??? . Per le opere agostiniane. Cassiod., inst., 1, 22. [IntraText] XXII. De sancto Augustino. 1. Ipse etiam doctor eximius beatissimus Augustinus, debellator hereticorum, defensor fidelium et famosorum palma certaminum, in quibusdam libris nimia difficultate reconditus, in quibusdam sic est planissimus, ut etiam parvulis probetur acceptus; cuius aperta suavia sunt, obscura vero magnis utilitatibus farcita pinguescunt. huius autem ingenii vivacitatem si quis nosse desiderat, libros ipsius Confessionum legat, ubi se refert omnes mathematicas disciplinas sine magistro comprehendisse, quas aliis sub doctis expositoribus vix datur artingere. symbolum quoque nostrum, vadem fidei, testimonium recti cordis, promissionis insolubile sacramentum, frequenti expositione patefecit, ut profundius intellegentes illa quae credere nos profitemur, cautissime promissa servemus. legendus est etiam liber eiusdem, ubi diversas hereses post Epiphanium pontificem compendiosa brevitate complexus est, quando nullius sanae mentis acquiescit ingenium in illas cautes incedere in quas alterum cognoverint pertulisse naufragium. illorum siquidem sensus omnino cavendus est, quos provida damnavit ecclesia, et si quid tale modo praesumitur, cauta nimis observatione declinetur. XXII. SU SANT'AGOSTINO 1. L'esimio maestro, il beatissimo Agostino, vincitore degli eretici, difensore dei fedeli e palma della vittoria in famose dispute, in alcuni libri è assai difficile e astruso, in altri è invece così estremamente chiaro da risultare gradito anche ai fanciulli. Le sue limpide parole sono piacevoli, quelle oscure sono fertili e ricolme di grandi vantaggi. Se qualcuno desidera conoscere la vivacità del suo ingegno, legga i libri delle sue Confessioni, in cui egli riferisce di aver appreso senza maestro tutte le discipline matematiche che altri a fatica sono in grado di imparare sotto la guida di dotti insegnanti. Con molte spiegazioni ha chiarito il nostro simbolo, garante della nostra fede, testimone di un cuore retto, mistero indissolubile della promessa, affinché, comprendendo più profondamente le verità che professiamo, rispettiamo con la massima cautela la nostra promessa. Si deve leggere anche il suo libro in cui ha esposto in maniera succinta le diverse eresie sviluppatesi dopo il vescovo Epifanio, poiché nessuna mente sana si inoltra fiduciosa fra quegli scogli in cui si sa che altri hanno subito il naufragio. Si deve pertanto evitare del tutto il pensiero di quelli che la F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 258 previdente Chiesa ha condannato, e se ora si tenta qualcosa di simile, ciò venga allontanato con estrema sollecitudine. Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV] Gennad., script.eccl., 38 AUGUSTINUS [f [1080B] Ms. Corbei., Augustinus discipulus beati Ambrosii Hippone regiae Africae oppidi episcopus, vir eruditione divina et universo orbe clarus.] Afer, Hipponensis oppidi episcopus, vir eruditione divina et humana orbi clarus, [1079B] fide integer et vita purus, scripsit quanta nec inveniri possunt. [g [1080B] Sic idem codex pro quis ergo.] Quis enim glorietur se omnia illius [1080A] habere? Aut quis tanto studio legat, quanto ille scripsit? [h [1080B] In Corbei desunt verba unde et multa, usque ad non effugies peccatum.] Unde et multa loquenti [i [1080B] Multa loquenti. Gennadius, ut Semipelagianus, suo hic affectui indulget, sine ratione taxat Augustinum ut polygraphum; nec ullum fere opus sine exceptione probat, praeter libros de Trinitate. MIRAEUS.] accidit, quod dixit per Salomonem Spiritus sanctus: In multiloquio non effugies peccatum (Prov. X, 19) . Edidit [j [1080C] Id. jam senex,] tamen senex quos juvenis coeperat, de Trinitate libros 15; in quibus, ut Scriptura ait, introductus in cubiculum Regis (Esth. II, 16) , et decoratus veste [k [1080C] Corbei., multifariae.] multifaria sapientiae Dei, exhibuit Ecclesiam non habentem maculam aut rugam (Ephes. V, 27) [l [1080C] Sequitur in Corbei., caeteris expunctis: Resurrectionem etiam mortuorum simile cucurrit sinceritate, egregio ingenio et excellenti studio Ecclesiae serviens. Juliani haeretici libris inter impetum obsidentium. Wandalorum in ipso dierum suorum fine respondit. Et in defensione Christianae sapientiae perseverans moritur, Theodosio et Valentiniano regnantibus. vel aliquid hujusmodi. De Incarnatione quoque Dei idoneam edidit pietatem. De Resurrectione etiam mortuorum simili cucurrit sinceritate; licet minus capacibus dubitationem de [m [1080C] Abortivos resurrecturos ut affirmare ita negare non audet Augustinus XXII, 13, de Civ. Dei.] abortivis fecerit. Error tamen illius sermone multo, ut dixi, contractus, lucta hostium exaggeratus, necdum haeresis quaestionem [n [1080C] Vitiose al., quaestionem absolvit.] dedit?] August., retract. 2,43. Genesi e struttura del De civitate Dei. Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l'invasione dei Goti che militavano sotto il re Alaríco; l'occupazione causò un'enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dèi, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. L'opera mi tenne occupato per molti anni. Si frapponevano altri impegni che non era opportuno rimandare e che esigevano da me una soluzione immediata. Finalmente questa grande opera, La città di Dio, fu condotta a termine in ventidue libri. I primi cinque confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere necessario il culto dei molti dei che i pagani erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in grande numero queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri cinque contengono la confutazione di coloro i quali ammettono che le sciagure non sono mai mancate e non mancheranno mai agli uomini e che esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le persone. Sostengono tuttavia che il politeismo e relative pratiche sacrali sono utili per la vita che verrà dopo la morte. Con questi dieci libri dunque sono respinte queste due infondate opinioni contrarie alla religione cristiana. Qualcuno poteva ribattere che noi avevamo confutato gli errori degli altri senza affermare le nostre verità. Questo è l'assunto della seconda parte dell'opera che comprende dodici libri. Tuttavia all'occasione anche nei primi dieci affermiamo le nostre verità e negli altri dodici confutiamo gli errori contrari. Dei dodici libri che seguono dunque i primi quattro contengono l'origine delle due città, una di Dio e l'altra del mondo; gli altri quattro, il loro svolgimento o sviluppo; i quattro successivi, che sono anche gli ultimi, il fine proprio. Sebbene tutti i ventidue libri riguardino l'una e l'altra città, hanno tuttavia derivato il titolo dalla migliore. Perciò è stata preferita l'intestazione La città di Dio. Nel decimo libro non doveva esser considerato un miracolo il fatto che in un sacrificio che Abramo offrì, una fiamma venuta dal cielo trascorse tra le vittime divise a metà [de civ. 10,8], perché gli fu mostrato in una visione. Nel libro decimosettimo si afferma di Samuele che non era dei figli di Aronne [de civ. 17,5]. Era preferibile dire: Non era figlio di un sacerdote. Infatti era piuttosto costume F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 259 garantito dalla legge che i figli dei sacerdoti succedessero ai sacerdoti defunti; tra i figli di Aronne si trova appunto il padre di Samuele, ma non fu sacerdote. Né si deve considerare tra i figli, nel senso che discendesse da Aronne, ma nel senso che tutti gli appartenenti al popolo ebraico son detti figli di Israele. L'opera comincia così: Gloriosissimam civitatem Dei. Trad. D. Gentili, dall’ed. de civ., Roma, Città Nuova, 1997. [BCTV] August., epist. 212. Indicazioni di Agostino per la pubblicazione del De civitate. Agostino invia cristiani saluti a Firmo, signore egregio e degno di onore oltre che venerabile figlio. Come ti avevo promesso, ti ho inviato i libri su La città di Dio, che mi avevi chiesti con immensa premura, dopo che li ho riletti; cosa questa che ho fatto sì con l'aiuto di Dio, ma dietro le preghiere di Cipriano, tuo fratello germano e figlio mio, così insistenti come io avrei desiderato mi fossero rivolte. Sono ventidue quaderni (2) ch'è difficile ridurre in un solo volume; se poi vuoi farne due volumi, devi dividerli in modo che uno contenga dieci libri e l'altro dodici. Eccone il motivo: nei primi dieci sono confutati gli errori dei pagani, nei restanti invece è dimostrata e difesa la nostra religione, quantunque ciò sia stato fatto anche nei primi dieci, dov'è parso più opportuno, e l'altra cosa sia stata fatta anche in questi ultimi. Se invece preferisci farne non solo due ma più volumi, allora è opportuno che tu ne faccia cinque volumi, di cui il primo contenga i primi cinque libri nei quali si discute contro coloro i quali sostengono che, alla felicità della vita presente, giova il culto non proprio degli dèi ma dei demoni; il secondo volume contenga i seguenti altri cinque libri i quali confutano coloro che credono debbano adorarsi, mediante riti sacri e sacrifici, numerosissimi dei di tal genere o di qualunque altro genere, in grazia della vita che verrà dopo la morte. Allora i seguenti altri tre volumi dovranno contenere ciascuno quattro dei libri seguenti. Da noi infatti, la medesima parte è stata distribuita in modo che quattro libri mostrassero l'origine della Città di Dio e altrettanti il suo progresso, o come abbiamo preferito chiamarlo, sviluppo, mentre i quattro ultimi mostrano i suoi debiti fini (3). Se poi, come sei stato diligente a procurarti questi libri, lo sarai anche a leggerli, comprenderai, per la tua esperienza personale, anziché per la mia assicurazione, quanto aiuto potranno arrecare. Ti prego di degnarti volentieri di dare, a coloro che li chiedono per copiarli, i libri di quest'opera su La città di Dio, che i nostri fratelli di costì a Cartagine ancora non hanno. A ogni modo non li darai a molti, ma solo a uno o al massimo a due; questi poi li daranno a tutti quanti gli altri. Inoltre, il modo con cui darli, non solo ai fedeli cristiani tuoi amici che desiderano istruirsi, ma anche a quanti siano legati a qualche superstizione, dalla quale potrà sembrare che possano essere liberati per mezzo di questa nostra fatica in virtù della grazia di Dio, veditelo da te stesso. lo farò in modo - se Dio lo vorrà - di scriverti spesso per chiederti a quale punto sei giunto nel leggerli. Istruito come sei, non ignori quanto giovi una lettura ripetuta per comprendere quel che si legge. In realtà non v'è alcuna difficoltà di comprendere o è certo minima quando esiste la facilità di leggere, la quale diventa tanto maggiore quanto più la lettura è ripetuta, di modo che mediante la continua ripetizione [si capisce chiaramente quello che, per mancanza di diligenza] (4), era stato duro da intendere. Mio venerabile figlio Firmo, signore esimio e degno d'essere onorato, ti prego di rispondermi per farmi sapere in qual modo sei arrivato a procurarti i libri Sugli Accademici* (5) scritti da me poco dopo la mia conversione, poiché in una lettera precedente l'Eccellenza tua mi ha fatto credere che ne era a conoscenza. Quanti argomenti poi comprenda l'opera scritta nei ventidue libri lo indicherà il sommario che ti ho inviato (6). Trad. L. Carrozzi, Roma, NBA 23, 1974. Lettera 212/A. Scritta nel 426. Agostino invia a Firmo i 22 libri. de La città di Dio con un riassunto generale e uno particolare a ciascun libro, indicandogli a chi darli a copiare (1). Questa lettera è stata pubblicata per la prima volta da C. Lambot, Lettre inédite de S. Aug. relative au «De civitate Dei», in Revue Bénédictine, 51 (1939), pp. 109-121. Il presente testo è tratto da Sant’Agostino, Lettere, vol. 3°, Roma 1974: NBA 23, 532-535. Traduzione di Luigi Carrozzi. (2) Un «quaderno» era composto di quattro fogli ripiegati e riuniti insieme. Cf. Possidio, Vita Azrg., ed. M. Pellegrino, Alba 1955, p. 229, nota (2). (3) Chi vuol pubblicare il De civitate Dei, rispettandone la struttura interna, occorre che lo faccia in un volume o due e in cinque. E’ infatti un'opera in due parti e in cinque sezioni. (4) Tra parentesi quadre si è messa la ricostruzione congetturale, fatta dal Goldbacher, di alcune parole scomparse nel testo latino. (5) Cf. Retract. 1, 1, 1: PL 32, 555; De Trinit. 15, 12, 21: NBA, IV. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 260 (6) Il Breviculus è un sommario della materia svolta nei singoli libri della Città di Dio, anzi i sommari dei singoli capitoli d'ogni libro: esso è pubblicato nelle edizioni critiche di quell'opera e costituisce un «indice» generale degli argomenti trattati. Note di D. Gentili, dall’ed. de civ., Roma, Città Nuova, 1997. [BCTV] Conf., 2,4- 8-10 Il furto delle pere Confessiones IntraText CT Furtum certe punit lex tua, domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem delet iniquitas: quis enim fur aequo animo furem patitur? nec copiosus adactum inopia. et ego furtum facere volui, et feci, nulla conpulsus egestate, nisi penuria et fastidio iustitiae et sagina iniquitatis. nam id furatus sum, quod mihi abundabat et multa melius; nec ea re volebam frui, quam furto appetebam, sed ipso furto et peccato. arbor erat pirus in vicinia nostrae vineae, pomis onusta, nec forma nec sapore inlecebrosis. ad hanc excutiendam atque asportandam nequissimi adulescentuli perreximus nocte intempesta, quousque ludum de pestilentiae more in areis produxeramus, et abstulimus inde onera ingentia non ad nostras epulas, sed vel proicienda porcis, etiamsi aliquid inde comedimus, dum tamen fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret. ecce cor meum, deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. dicat tibi nunc ecce cor meum, quid ibi quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi malitia. foeda erat, et amavi eam; amavi perire, amavi defectum meum, non illud, ad quod deficiebam, sed defectum meum ipsum amavi, turpis anima et dissiliens a firmamento tuo in exterminium, non dedecore aliquid, sed dedecus appetens. La legge tua, Signore, punisce, senza discussione, il furto: lo p unisce anche la legge scritta nel cuore degli uomini che nemmeno l'iniquità cancella: nessun ladro infatti sopporta con indifferenza di essere derubato: neanche il ricco da chi è spinto dal bisogno. Ebbene, io volli commettere un furto, e lo feci non costretto da indigenza, ma da mancanza e da intolleranza del senso di giustizia, dall'esuberanza del malvolere. Ciò che rubai, io lo avevo largamente, di qualità molto migliore; né volevo godere di quello a cui tendeva il furto, ma proprio del furto e del pecca to. Contiguo al nostro podere era un pero carico di frutti, non allettanti affatto né per bellezza né per sapore. Dopo aver protratto il gioco, secondo la nostra pessima usanza, fino a tarda ora nelle piazze, nel cuor della notte la trista combriccola di noi ragazzacci si recò a scuotere quell'albero e a depredarlo: e ne portammo via un gran carico, non per mangiarne a sazietà, se pure ne assaggiammo, ma per darne in pasto persino ai maiali: nostro unico piacere fu quello di fare ciò che non era lecito, per ché ciò ci piaceva. Eccolo, il mio cuore, o Dio, ecco quel mio cuore che ti ha mosso a pietà dal fondo dell'abisso. Ti dica ora questo mio cuore che cosa lo movesse ad essere cattivo senza alcun vantaggio, a non aver una ragione di malizia se non la malizia stessa. Torbida malizia: ed io la amai; amai la mia rovina, amai la mia caduta; non ciò per cui cadevo, ma proprio la caduta; io, anima malvagia che mi sradicavo dal tuo fermo sostegno per la rovina, non correndo dietro ad alcunché con disonestà, ma alla disonestà per se stessa. Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974. August., Conf., 3,1,1. [IntraText]. Il cuore di un adolescente Veni Karthaginem, et circumstrepebat me undique sartago flagitiosorum amorum. nondum amabam, et amare amabam, et secretiore indigentia oderam me minus indigentem. quaerebam quid amarem, amans amare, et oderam securitatem et viam sine muscipulis, quoniam fames mihi erat intus ab interiore cibo, te ipso, deus meus, et ea fame non esuriebam, sed eram sine desiderio alimentorum incorruptibilium, non quia planus eis eram, sed quo insanior, fastidiosior. et ideo non bene valebat anima mea, et ulcerosa proiciebat se foras, miserabiliter scalpi avida contactu sensibilium. sed si non haberent animam, non utique amarentur. amare et amari dulce mihi erat, magis si et amantis corpore fruerer. Venam igitur amicitiae coinquinabam sordibus concupiscentiae, candoremque eius obnubilabam de tartaro libidinis, et tamen foedus atque F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 261 inhonestus, elegans et urbanus esse gestiebam abundanti vanitate. rui etiam in amorem, quo cupiebam capi. deus meus, misericordia mea, quanto felle mihi suavitatem illam et quam bonus aspersisti, quia et amatus sum, et perveni ad vinculum fruendi et conligabar laetus aerumnosis nexibus, ut caederer virgis ferreis ardentibus zeli et suspicionum et timorum et irarum atque rixarum. Mi recai a Cartagine quando da ogni parte l'animo mio era sconvolto dagli amori disonesti come una caldaia in ebollizione. Non amavo ancora e bruciavo dal desiderio di amare, e per questa interi ore indigenza odiavo me stesso meno indigente di quanto ero. Assetato d'amore, andavo cercando un oggetto da amare, aborrendo da una via sicura e senza insidie. E avevo fame, dentro me, di un cibo spirituale, di Te, mio Dio; ma quella fame non mi dava stim oli nè desiderio di cibo incorruttibile, e non già perché ne fossi sazio, ma perché quanto più digiuno, tanto più ne ero nauseato. Perciò l'anima mia era inferma, piagata, si gettava al di fuori, miseramente avida di sfregarsi al contatto delle creature sensibili. Ma anch'esse non le avrei amate se non avessero avuto anima. La dolcezza di amare e di essere amato era per me molto maggiore se andava unita al possesso del corpo dell'amante. Inquinavo così la vena dell'amicizia con le lordure della concupiscenz a, ne offuscavo il candore con l'alito diabolico della libidine, e, ciò nonostante, sozzo e disonesto qual ero,.nella. mia immensa vanità volevo apparire fine e di belle maniere. E andai a precipizio verso quell'amore di cui bramavo la catena. O mio Dio, o mia misericordia, di quanta amarezza, nella tua bontà, aspergesti quel piacere: fui amato, segretamente raggiunsi il legame del possesso, lieto mi lasciai avviluppare da vincoli tormentosi, fino ad essere battuto dalle verghe incandescenti della gelosia, dei sospetti, dei timori, degli odi, delle risse. Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974. August., Conf. 8,12. [IntraText]. Tolle lege! (cf. Semi III,268) Ubi vero a fundo arcano alta consideratio traxit et congessit totam miseriam meam in conspectu cordis mei, oborta est procella ingens, ferens ingentem imbrem lacrimarum. et ut totum effunderem cum vocibus suis, surrexi ab Alypio - solitudo mihi ad negotium flendi aptior suggerebatur - et seccessi remotius, quam ut posset mihi onerosa esse etiam eius praesentia. sic tunc eram, et ille sensit: nescio quid enim, puto, dixeram, in quo apparebat sonus vocis meae iam fletu gravidus, et sic surrexeram. mansit ergo ille ubi sedebamus nimie stupens. ego sub quadam fici arbore stravi me nescio quomodo, et dimisi habenas lacrimis, et proruperunt flumina oculorum meorum, acceptabile sacrificium tuum, et non quidem his verbis, sed in hac sententia multa dixi tibi: et tu, domine, usquequo? usquequo, domine, irasceris in finem? ne memor fueris iniquitatum nostrarum antiquarum. sentiebam enim eis me teneri. iactabam voces miserabiles: quamdiu, quamdiu cras et cras? quare non modo? quare non hac hora finis turpitudinis meae? Dicebam haec, et flebam, amarissima contritione cordis mei. et ecce audio vocem de vicina domo cum cantu dicentis, et crebro repentenis, quasi pueri an puellae, nescio: tolle lege, tolle lege. statimque mutato vultu intentissimus cogitare coepi, utrumnam solerent pueri in aliquo genere ludendi cantitare tale aliquid, nec occurebat omnino audisse me uspiam: repressoque impetu lacrimarum surrexi, nihil aliud interpretans divinitus mihi iuberi, nisi ut aperirem codicem et legerem quod primum caput invenissem. audieram enim de Antonio, quod ex evangelica lectione, cui forte supervenerat, admonitus fuerit, tamquam sibi diceretur quod legebatur: vade, vende omnia, quae habes, da pauperibus et habebis thesaurum in caelis; et veni, sequere me: et tali oraculo confestim ad te esse conversum. itaque concitus redii in eum locum, ubi sedebat Alypius: ibi enim posueram codicem apostoli, cum inde surrexeram. arripui, aperui et legi in silentio capitulum, quo primum coniecti sunt oculi mei: non in comissationibus et ebrietatibus, non in cubilibus et inpudicitiis, non in contentione et aemulatione, sed induite dominum Iesum Christum, et carnis providentiam ne feceritis in concupiscentiis. nec ultra volui legere, nec opus erat. statim quippe cum fine huiusce sententiae, quasi luce securitatis infusa cordi meo, omnes dubitationis tenebrae diffugerunt. Tum interiecto aut digito aut nescio quo alio signo, codicem clausi, et tranquillo iam vultu indicavi Alypio. at ille quid in se ageretur -- quod ego nesciebam -- sic indicavit. petit videre quid legissem: ostendi, et adtendit etiam ultra quam ego legeram, et ignorabam quid sequeretur. sequebatur autem: infirmum vero in fide recipite. quod ille ad se rettulit mihique aperuit. sed tali admonitione firmatus est, placitoque ac proposito bono (et congruentissimo suis moribus, quibus a me in melius iam olim valde longeque distabat), sine ulla turbulenta cunctatione coniunctus est. inde ad matrem ingredimur, indicamus: gaudet. narramus, quemadmodum gestum sit: exultat et triumphat, et benedicebat tibi, qui potens es ultra quam petimus aut intellegimus facere, quia tanto amplius sibi a te concessum de me videbat, quam petere solebat miserabilibus flebilibusque gemitibus. convertisti enim me F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 262 ad te, ut nec uxorem quaererem nec aliquam spem saeculi huius, stans in ea regula fidei, in qua me ante tot annos ei revelaveras: et convertisti luctum eius in gaudium, multo uberius, quam voluerat, et multo carius atque castius, quam de nepotibus carnis meae requirebat. Quando infine dalle misteriose profondità del cuore una severa meditazione ebbe spurgata ed ammucchiata davanti alla mia visione interiore tutta quanta la mia miseria, scoppiò una fiera procella apportatrice di un profluvio di pianto. E, per dar libero sfogo ad esso e ai singhiozzi che lo accompagnavano, mi alzai e, poiché la perfetta solitudine mi pareva più adatta al bisogno di pia ngere, mi allontanai da Alipio quel tanto che mi rendesse non grave la sua presenza. Così ero: ed egli ne ebbe l'intuizione: credo anche di aver detto qualche cosa che tradiva nel suono della voce il nodo del pianto; e così mi ero alzato. Egli rimase là dove eravamo stati seduti, profondamente stupito. Io mi gettai a terra, non so come, sotto un albero di fico, lasciai libero corso al pianto, che proruppe a guisa di torrente dagli occhi, accetto tuo sacrificio. E parlai, parlai a lungo, non proprio con queste parole, ma certo con questi sentimenti: « E Tu, Signore, fino a quando? quando, o Signore, avrà fine la tua collera? Oh, dimentica i miei peccati antichi! ». Sentivo di essere ancora legato. Mandavo gemiti imploranti pietà: « Fino a quando, fino a quand o: domani, domani? Perché non subito? Perché in questo stesso istante non finirla con la mia vergogna? ». Parlavo e piangevo, gonfio il cuore di amarissima contrizione. Ed ecco dalla casa vicina mi giunge canterellata una voce - di bambino o di bambina, non so - che ripeteva a guisa di ritornello: « Prendi, leggi; prendi, leggi ». Di colpo, il volto si muta: e il mio pensiero va ricercando attentamente se quella sia una delle cantilene che i fanciulli sogliono ripetere in qualche loro giuoco; ma non ramment o affatto di averla già udita. Frenai il corso delle lagrime, mi alzai, sicuro che quella voce non era altro che un ordine del cielo di aprire il libro e di leggere il primo capitolo che mi capitasse sotto gli occhi. Avevo poco prima sentito raccontare di Antonio sl che da una lettura del Vangelo a cui per caso assisteva, come se essa fosse stata indirizzata a lui personalmente, aveva ricevuto l'invito: « Va', vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e segu imi », e che era stato istantaneamente convertito a Te da quella parola divina. Pertanto, tutto eccitato, ritornai là dove Alipio stava seduto, e dove avevo posto il volume dell'Apostolo nell'atto di alzarmi. Lo afferrai, lo apersi e, in silenzio, lessi il primo versetto che mi cadde sotto gli occhi: « Non nella crapula e nell'ubriachezza, non nelle impudicizíe del letto, non nella discordia e nell'invidia: rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo, e non prendetevi cura della carne nelle concupiscenze ». Non volli leggere altro, né altro occorreva. Subito, appena finito il versetto, come per una luce rassicurante infusa nel mio spirito, tutte le tenebre dell'incertezza scomparvero. Chiusi allora il libro, tenendovi il dito o non so quale altra cosa come segno, e con volto ritornato sereno ormai del tutto, misi al corrente Alipio. Questi alla sua volta mise me al corrente di quello che si stava svolgendo in lui, del che io non mi ero accorto, in questo modo: volle vedere il brano che avevo letto, ed io gliel o mostrai: ma egli pose mente anche più in là di quello che io avevo letto e che ancora ignoravo. Seguivano queste parole: « Se poi qualcuno è debole nella fede, porgetegli la mano ». Queste egli applicò a se stesso, e me lo disse. Ma un tale ammonimento servì a confermarlo in quella santa risoluzione che, del resto, era pienamente conforme ai suoi costumi nei quali era tanto e da tanto tempo migliore di me: mi si unì, così, senza alcuna esitazione e senza lotte interne. Rientriamo in casa, dalla madre: gliene do l'annuncio; ella ne gioisce. Al racconto particolareggiato, esulta come di un trionfo ed innalza benedizioni a Te, « che nel tuo operato vai tanto oltre le nostre richieste e la nostra visuale »: vedeva bene che Tu le avevi concesso nei miei riguard i assai più di quanto soleva chiederti tra gemiti e pianto. Mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie, né ad altre speranze mondane, saldo in quella regola di fede in cui le ero stato mostrato da Te tanti anni prima. Tramutasti il suo dolore in una gioia ben più intensa di quella che aveva desiderato, più dolce e più casta di quella che si sarebbe potuta aspettare da nipoti nati dalla mia carne. Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974. August., Civ. Dei, 1 praef. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 263 Trad. e nota di D. Gentili, Roma, Città Nuova 1997. [BCTV] August., Civ. Dei, 14,28 e 15,4. [Migne]. Le due città. CAPUT XXVIII.—De qualitate duarum civitatum, terrenae atque coelestis. De Civ. Dei, 14, 28 (Migne) Fecerunt itaque civitates duas amores duo; terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, coelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui [(a) [0436] In libro undecimo de Genesi ad Litteram, n. 20, opus de Civitate Dei his verbis pollicebatur: «Hi duo amores, quorum alter sanctus est, alter immundus; alter socialis, alter privatus . . . distinxerunt conditas in genere humano civitates duas . . . De quibus duabus civitatibus latius fortasse alio loco, si Dominus voluerit, disseremus.»] . Denique illa in se ipsa, haec in Domino gloriatur. Illa enim quaerit ab hominibus gloriam: huic autem Deus conscientiae testis, maxima est gloria. Illa in gloria sua exaltat caput suum: haec dicit Deo suo, Gloria mea, et exaltans caput meum (Psal. III, 4) . Illi [1 [0436] Sola editio Lov., Illa.] in principibus ejus, vel in eis quas subjugat nationibus dominandi libido dominatur: in hac serviunt invicem in charitate, et praepositi consulendo, et subditi obtemperando. Illa in suis potentibus diligit virtutem suam: haec dicit Deo suo, Diligam te, Domine, virtus mea (Psal. XVII, 2) . Ideoque in illa sapientes ejus secundum hominem viventes, aut corporis aut animi sui bona, aut utriusque sectati sunt; aut qui potuerunt cognoscere Deum, non ut Deum honoraverunt, vel gratias egerunt; sed evanuerunt in cogitationibus suis, et obscuratum est insipiens cor eorum: dicentes se esse sapientes, id est, dominante sibi superbia in sua sapientia sese extollentes, stulti facti sunt; et immutaverunt gloriam incorruptibilis Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis, et volucrum, et quadrupedum, et serpentium: ad hujuscemodi enim simulacra adoranda vel duces populorum, vel sectatores fuerunt: et coluerunt atque servierunt creaturae potius quam Creatori, qui est benedictus in saecula (Rom. I 21-25) . In hac autem nulla est hominis sapientia, nisi pietas, qua recte colitur verus Deus, id exspectans praemium in societate sanctorum, non solum hominum, verum etiam Angelorum, ut sit Deus omnia in omnibus (I Cor. XV, 28) . Due amori fondano le due città XIV. (2b) Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l'amor di sé fino all'indifferenza per Iddio, alla celeste l'amore a Dio fino all'indifferenza per sé. Inoltre quella si gloria in sé, questa nel Signore. Quella infatti esige la gloria dagli uomini, p er questa la più grande gloria è Dio testimone della coscienza. Ouella leva in alto la testa nella sita gloria, questa dice a Dio: Tu sei la mia gloria anche perché levi in alto la mia testa. In quella domina la passione del dominio nei suoi capi e nei pop oli che assoggetta, in questa si scambiano servizi nella carità i capi col deliberare e i sudditi con l'obbedire. Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al sua Dio: Ti amerò, Signore mia forza. Quindi nella città terrena i suoi filosofi che vivevano secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri persieri e fu lasciato nell'ombra il loro cuore sto lto perchè credevano di essere sapienti, cioè perché dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria sapienza. Perciò divennero schiocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire l'immagine dell'uorno soggetto a morire o d i uccelii e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani della massa. Così si asservirono nel culto aílu creatura anzichè o al Creatore che è benedetto per sempre. Nella città celeste invece l'unica filosofia dell'uomo è la religione con cui Dio si adora convenientemente, perché essa attende il premio nella società degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, affinché Dio sia, tutto in tutti. Trad. D. Gentili, La Città di Dio, Roma, Città Nuova, 1975. (in Simonetti-Prinzivalli) August., De Civ. Dei, 15,4 (Migne). La città terrena De terrenae civitatis vel concertatione, vel pace. F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 264 Terrena porro civitas, quae sempiterna non erit (neque enim cum in extremo supplicio damnata fuerit, jam civitas erit), hic habet bonum suum, cujus societate laetatur, qualis esse de talibus rebus laetitia potest. Et quoniam non est tale bonum, ut nullas angustias faciat amatoribus suis, ideo civitas ista adversus se ipsam plerumque dividitur litigando, bellando, atque pugnando, et aut mortiferas, aut certe mortales victorias requirendo. Nam ex quacumque sui parte adversus alteram sui partem bellando surrexerit, quaerit esse victrix gentium, cum sit captiva vitiorum. Et si quidem cum vicerit, superbius extollitur, etiam mortifera [2 [0440] Editi, etiam sic mortifera. Abest, sic, a manuscriptis.] ; si vero conditionem cogitans casusque communes, magisque accidere possunt adversis angitur, quam eis quae provenerint [3 [0440] Ms. 2051, provenerunt. M.] secundis rebus inflatur, tantummodo mortalis est ista victoria. Neque enim semper dominari poterit permanendo eis quos potuerit subjugare vincendo. Non autem recte dicuntur ea bona non esse, quae concupiscit haec civitas, quando est et ipsa in suo genere humano melior. Concupiscit enim terrenam quamdam pro rebus infimis pacem: ad eam namque desiderat pervenire bellando. Quoniam si vicerit, et qui resistat non fuerit, pax erit, quam non habebant partes invicem adversantes, et pro his rebus quas simul habere non poterant infelici egestate certantes. Hanc pacem requirunt laboriosa bella; hanc adipiscitur quae putatur gloriosa victoria. Quando autem vincunt [0441] qui causa justiore pugnabant, quis dubitet gratulandam esse victoriam, et provenisse optabilem pacem? Haec bona sunt, et sine dubio Dei dona sunt. Sed si, neglectis melioribus, quae ad supernam pertinent civitatem, ubi erit victoria in aeterna et summa pace secura, bona ista sic concupiscuntur, ut vel sola esse credantur, vel his quae meliora creduntur, amplius diligantur; necesse est miseria consequatur, et quae inerat augeatur. 4. Inoltre la città terrena non sarà eterna perché quando sarà condannata all'estremo supplizio non sarà più una città. Ha però in questo mondo il suo ideale, della cui partecipazione trae diletto nella misura che se ne può trarre da questi ideali. E poiché è un ideale che non elimina difficoltà a coloro che lo perseguono, questa città è spesso in sé dilaniata da contestazioni, guerre e battaglie alla ricerca di vittorie che sono apportatrici di morte e certamente di effimera durata. Infatti, se nel suo interno una razza qualunque insorgerà con la guerra contro un'altra razza, la città si adopera di essere dominatrice dei popoli, sebbene sia prigioniera dei vizi. Se poi, nel caso che vincesse, si esalta con maggiore orgoglio, diviene anche apportatrice di morte; se invece riflettendo sulla situazione e sugli avvenimenti di ogni giorno si angustia per quelli avversi, che possono accadere, più di quanto si esalti per quelli propizi che l'hanno favorita, la vittoria è soltanto di effimera durata. Non potrà infatti dominare in permanenza sui popoli che ha assoggettato con la vittoria. Però non è ragionevole pensare che non sono ideali quelli che ambisce questa città, giacché essa stessa nella categoria delle cose umane è un bene migliore. Vuole infatti raggiungere una pace a favore di ideali meno nobili e desidera di approdare ad essa con la guerra. Se vincerà e non vi sarà chi oppone resistenza, ci sarà la pace che non potevano conseguire le razze che si contrastavano e contendevano in una miserabile penuria per beni che non potevano avere in comune. Guerre tormentose cercano la pace, la raggiunge una vittoria ritenuta dispensiera di fama. Se sono vincitori coloro che combattevano per una causa più giusta, non si può dubitare che c'è da rallegrarsi per la vittoria e che ne proviene una pace auspicabile. Sono valori e senza dubbio dono di Dio. Ma talora messi da parte gli ideali più alti che appartengono alla città di lassù, dove la vittoria sarà stabile nell'eterna e somma pace, si ambiscono gli ideali di quaggiù perché sono ritenuti unici o preferiti a quelli che sono da ritenere più nobili, In tal caso necessariamente segue la crisi e aumenta se era già in atto. Trad. D. Gentili, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV] August., de Civ.Dei, 5, 21. (Migne) L'impero romano è stato voluto da Dio (cf. Semi, III,282) CAPUT XXI.—Romanum regnum a Deo vero esse dispositum, a quo est omnis potestas, et cujus providentia reguntur universa. Quae cum ita sint, non tribuamus dandi regni atque imperii potestatem, nisi Deo vero, qui dat felicitatem in regno coelorum solis piis; regnum vero terrenum et piis et impiis, sicut ei placet, cui nihil injuste placet. Quamvis enim aliquid dixerimus, quod apertum [0168] nobis esse voluit; tamen multum est ad nos, et valde superat vires nostras, hominum occulta discutere, et liquido examine merita dijudicare regnorum. Ille igitur unus verus Deus, qui nec judicio, nec adjutorio deserit genus humanum, quando voluit, et quantum voluit, Romanis regnum dedit: qui dedit Assyriis, vel etiam Persis, a quibus solos duos deos coli, unum bonum, F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 265 alterum malum continent litterae istorum: ut taceam de populo Hebraeo, de quo jam dixi, quantum satis visum est, qui praeter unum Deum non coluit et quando regnavit. Qui ergo Persis dedit segetes sine cultu deae Segetiae, qui alia dona terrarum sine cultu tot deorum, quos isti rebus singulis singulos, vel etiam rebus singulis plures praeposuerunt; ipse etiam regnum dedit sine cultu eorum, per quorum cultum se isti regnasse crediderunt. Sic etiam hominibus; qui Mario, ipse Caio Caesari; qui Augusto, ipse et Neroni [(a) [0168] Binos conjungit, alterum bonum, alterum malum: crudelis Marius, clementissimus C. Caesar; optimos princeps Augustus, pessimus Nero.] ; qui Vespasianis, vel patri vel filio, suavissimis imperatoribus, ipse et Domitiano crudelissimo: et ne per singulos ire necesse sit, qui Constantino christiano, ipse apostatae Juliano: cujus egregiam indolem decepit amore dominandi sacrilega et detestanda curiositas, cujus vanis deditus oraculis erat, quando fretus securitate victoriae, naves, quibus victus necessarius portabatur, incendit; deinde fervide instans immodicis ausibus, et mox merito temeritatis occisus, in locis hostilibus egenum reliquit exercitum, ut aliter inde non posset evadi, nisi contra illud auspicium dei Termini, de quo superiore libro diximus (Cap. 29) , Romani imperii termini moverentur. Cessit enim Terminus deus necessitati, qui non cesserat Jovi. Haec plane Deus unus et verus regit et gubernat ut placet: et si occultis causis, numquid injustis? 21. Stando così le cose, dobbiamo attribuire il potere di con cedere il dominio regio e ímperiale soltanto al vero Dio che dà la fclicità nel regno dei cieli solamente ai fedeli e il regno terreno tanto, ai fedeli che agli infedeli, come piace a lui al quale non piace l'ingiustizia. Quantunque abbia esposto qualche concetto che mi è sembrato chiaro, è tuttavia difficile per me e supera di molto le mie capacità umane trattare argomenti inaccessibili alla ragione e valutare con indagine scientifica le benemerenze degli imperi. Il solo vero Dio che non cessa di giudicare e aiutare la razza umana ha concesso, quando ha voluto e nella misura in cui ha voluto, l'impero ai Romani. Lo ha concesso anche agli Assiri e anche ai Persiani, sebbene da costoro, come riferiscono i loro documenti, fossero adorati soltanto due dei, uno buono e uno cattivo. Non parlo del popolo ebraico, di cui ho già parlato sufficientemente, come mi è sembrato opportuno, il quale anche nel periodo in cui ebbe il regno, adorò un solo Dio. Dunque il Dio, il quale diede ai Persiani le messi indipendentemente dal culto della dea Segezia, il quale diede i prodotti del suolo indipendentemente dal culto dei tanti dèi che i Romani hanno preposto singolarmente ai singoli prodotti o anche più per ciascun prodotto, ha concesso ai Persiani anche il dominio indipendentemente dal culto degli dei mediante il quale i Romani ritengono di averlo ottenuto. Altrettanto si dica per gli individui. Sempre il medesimo Dio ha concesso il dominio a Mario e a Caio Cesare, ad Augusto e a Nerone, ai primi due Flavi, padre e figlio, che furono imperatori molto miti e al crudele Domiziano e, per non nominarli tutti, al cristiano Costantino e all'apostata Giuliano. Una sacrilega e detestabile superstizione causata dalla passione del dominio trasse in errore il nobile temperamento di questo imperatore. Applicatosi infatti ai bugiardi oracoli di tale superstizione, fidente nella sicurezza della vittoria, fece incendiare le navi da cui era trasportato il vettovagliamento necessario; in seguito attaccando ardentemente con gravi rischi e caduto per colpa della propria audacia, lasciò l'esci cito sfornito di mezzi in territorio nemico. Esso non sarebbe pututo scampare se a dispetto dell'auspicio del dio Termine, di cui ho parlato nel libro precedente, non fossero ridotti i confini del l'impero romano. Così il dio Termine che non aveva ceduto a Giove cedette all'ineluttabile. Evidentemente questi fatti li dispone e ordina il Dio uno e vero secondo un suo disegno e sembra con ragioni giuste, anche se occulte. Trad. D. Gentili, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV] Letture critiche. M. von Albrecht, Lingua e stile Lo stile d'Agostino non può essere compreso senza interessarsi della particolare musicalità di questo dottore della Chiesa. Essa non si esplica soltanto nell'analisi retorica di passi paolini per periodi e cola (doctr. christ. 4, 7 , 11-13), ma anche nella sorprendente confessione del Santo, che la bellezza della salmodia lo avvince a volte piú del contenuto (conf. 10, 33, 49 sg.); il ruolo positivo che la musica ebbe nella sua conversione è peraltro da lui sottolineato nel medesimo passo; l'introduzione del canto chiesastico da parte di Ambrogio lo ha già personalmente coinvolto in un'epoca in cui ancora lo lasciavano freddo reliquie e miracoli (conf. 9, 6, 14 - 7, I6). Un gusto smodato per i suoni si manifesta nelle prediche, pronunciate perlopiú in brevi frasi ad effetto. Per la verità Agostino cerca qui un'espressività di tipo popolare: «melius in barbarismo nostro vos intellegitis, quam F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 266 in nostra disertitudine vos deserti eritis» (in psalm. 36, serm. 3, 6); ma questa stessa affermazione programmatica è altamente stilizzata in senso retorico: è tutt'altro che «latino popolare»! Ornamento principale di tale «prosa rimata» sono ripetizioni di vocaboli ed omoteleuti, che preparano lo stile delle prediche di età successive. Nei passi riusciti non si tratta di semplice gioco retorico, ma di una veste appropriata per verità paradossali. La molteplicità dei registri linguistico-stilistici che Agostino ha a disposizione è pressoché illimitata. Anche all'interno di una stessa opera esistono differenze stilistiche. Le Confessiones - anche e proprio nelle parti lirico-contemplative - recano fra l'altro l'impronta essenziale della dizione della Bibbia - qua e là addirittura della sua sintassi. L'artistica abbondanza che domina in molte parti della medesima opera cede sovente il posto alla concisa concretezza ed al rigore logico - come nelle discussioni filosofiche. La ricchezza di mezzi espressivi ricorda Cicerone. Discutibili, ma storicamente interessanti sono i tentativi poetici di Agostino. Secondo la sua stessa testimonianza l'orecchio africano non era piú in grado a quell'epoca di distinguere le brevi dalle lunghe. Egli tiene conto di questo fatto e nel suo salmo antidonatista diviene cosí l'antesignano della piú tarda poesia non quantitativa. Lo stile delle Epistole mostra l'autore ancora sotto un altro aspetto. Agostino scrive di rado di faccende personali, come quando chiede a Valerio, vescovo d'Ippona (21), un periodo di preparazione, o quando racconta delle proprie prediche sul digiuno (29); perlopiú affronta da titolare di un ufficio i problemi del suo prossimo. Nello stile epistolare spira perlopiú una freddezza distaccata, anche nei confronti di un discepolo come Nebridio (epist. 10). Ciò che Agostino apprezza particolarmente nei propri corrispondenti e che può strappargli perfino toni cordiali sono l'apertura mentale, la curiosità intellettuale e l'aspirazione alla verità; ciò appare nell'epistola (19) a Gaio, che è insieme una lettera d'accompagnamento ad un fascio di propri scritti. Sensibilmente piú ricca è ad esempio l'orchestrazione dell'epistola a Paolino (31), piena di cortesia e senza risparmio di superlativi. Nonostante le affermazioni retoriche che al nostro gusto appaiono esagerate, s'intravede qui un vero e proprio rapporto umano. Con questo stile fiorito contrasta l'aridità e la durezza della lettera a Macrobio (106), che vuol ripetere il battesimo ad un suddiacono (409 d. C.). Qui parla il vescovo fornito d'autorità. Le frasi sono della massima concisione possibile (noli). Unico ornamento sono le ripetizioni di vocaboli; esse accentuano l'insistenza fino all'inesorabilità. Di effetto sardonico è l'invito al destinatario a voler dunque battezzare lui, il vescovo (aprosdóketon). Non meno brusca è l'epistola 26: il rimprovero ad un giovane poeta sarebbe degno del vecchio Tolstoj: «curi il tuo stile e trascuri la tua anima». Simili antitesi sono la veste confacente al rigorismo quasi «stoico» che Agostino esercita nel decimo libro delle Confessiones anche nei confronti del suo stesso amore per la musica; nel De doctrina christiana avvertiamo peraltro toni piú blandi. Sono cosí caratterizzati tre moduli stilistici del discorso agostiniano: lo stile contemplativo della discussione filosofica, orientato prevalentemente in senso razionale; la gradevole dizione della conversazione urbana, che fa appello a sentimenti amichevoli e delicati; e l'imperiosa maniera espressiva del titolare d'ufficio, che deve imporre la propria volontà. Ad essa è vicino, come ulteriore varietà, il fioretto dello scritto polemico, cosí come al primo tipo possono associarsi le epistole didattiche. In tutti e tre i generi stilistici si esprime una personalità che sa celare il proprio intimo e si rivela solo quel tanto che si conviene all'occasione del momento. La volontà ed anche la capacità d'istruire gli altri sono dappertutto manifeste; ma l'autore è troppo riservato per esporsi - cosa che può sorprendere nell'autore delle Confessiones. Lo stile liricamente mosso delle Confessiones, nel quale s'inseriscono senza sutura versi dei Salmi ed inni ambrosiani, è dunque solo una fra le molte opzioni di cui Agostino può disporre. Nel complesso perfino il rigore didattico viene alla ribalta con maggior decisione. Per quanto riguarda l'evoluzione diacronica, Agostino da vecchio riprova soprattutto espressioni pagane da lui in precedenza impiegate: fortuna, omen, Musae. Di contro accoglie solo a rilento vocaboli specificamente cristiani come salvator, exorcisare. Il carattere scarsamente spontaneo delle lettere dipende dal fatto che Agostino parla alla maggior parte dei destinatari da maestro o da direttore di coscienza, una funzione didattico-psicologica che è in accordo con la sua professione secolare, ma anche con la sua vocazione religiosa. Ancor prima di venire a conoscenza del monachesimo, egli si propone come ideale una comunità di amici uniti dai medesimi intenti, dapprima ammantata di principi ciceroniani, poi platonico-pitagorizzanti;l'umiltà e l'ascesi cristiana sono in fecondo conflitto con l'elevata coscienza del proprio carattere eletto e con un atteggiamento di supremazia prelatizia orientato probabilmente su Ambrogio. Le peculiarità del modo di scrivere agostiniano sono rivelate dal confronto con Cicerone. In rapporto alle condizioni in cui operano gli antichi scrittori, alla loro maniera di utilizzare le fonti, al loro gusto per gli excursus e gli exempla - ma soprattutto alla pratica viva dello scambio intellettuale nel dialogo con gli amici! appaiono nei maggiori prosatori latini certe libertà di composizione. C'è però una differenza decisiva: il processo mentale ciceroniano appare in larga misura già concluso al momento della composizione e la forma produce un effetto per cosí dire «plastico»; Agostino fa partecipare il lettore all'evolversi del proprio pensiero - in maniera piuttosto «musicale». Nell'uno la meditazione precede la F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 267 redazione scritta, che acquista il carattere di un'«esposizione»; la prosa dell'altro (certamente non meno ponderata!) è essa stessa meditazione ed unisce «ricerca» ed «insegnamento». Sintomatica è la frequenza di proposizioni interrogative per ampi brani, per esempio nel De genesi ad litteram. Da una retorica prevalentemente «avvocatesca» dell'età repubblicana si è sviluppata nella tarda antichità una retorica del processo d'apprendimento, del dialogo interiore e del monologo. Non è questo l'ultimo elemento sul quale si fondano la vivacità ed il calore della parola agostiniana, che fanno entrare immediatamente il lettore all'interno del processo intellettuale. M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1708-11. Scheda. La letteratura di catechesi. F. Cocchino CATECHESI. Una volta proclamato il kerygma, compito delle comunità cristiane fu quello di preparare i futuri credenti mediante una istruzione completa ed essenziale che ampliasse e approfondisse al tempo stesso gli elementi dell'annuncio propriamente detto. Tali istruzioni vengono chiamate «catechesi» (Egeria, Peregr.) dal verbo katechèo [greco] = insegnare a viva voce, dove però l'insegnamento non è altro che l'eco di una parola che è già stata detta: quella di Dio. In tal senso la catechesi è in primo luogo il riecheggiare della parola di Dio mediante la voce del catechista. Nei testi neotestamentari, particolarmente Act e lettere paoline, si trovano numerosi passi che potrebbero definirsi vere e proprie c., dove l'annuncio cristologico si accompagna alle testimonianze veterotestamentarie e costituisce la base su cui fondare la vita cristiana nei suoi aspetti liturgici, morali, comunitari. Sulla scia della tradizione giudaica si collocano alcune opere quali la Didachè, l'Epistola di Barnaba, la parte centrale dell'Epistula Apostolorum (databili tra il II e il III sec.) che più direttamente si presentano come c. utilizzando, specie per la parte morale, la dottrina delle «due vie» e, per ciò che concerne 1'AT, raccolte di Testimonia che mostrano quanto fosse essenziale, in questo tipo di opere, il collegamento, mediante la Scrittura, tra l'antica e la nuova alleanza. Con Ireneo e Tertulliano, il genere catechetico entra più organicamente a far parte dei generi letterari. La Demonstratio del primo e il De baptismo del secondo, espongono in forma di c. le varie tappe della storia della salvezza facendo largo uso della tipologia per interpretare in senso cristologico-sacramentale i dati veterotestamentari. Anche la Passio Perpetzrae è stata considerata, nella parte relativa alle «visioni», una c. sacramentale. Ippolito parla di una istruzione che veniva impartita per tre anni ai catecumeni da un dottore (Trad. Ap. 17-18), e da Eusebio (HE V, 9) abbiamo notizie riguardanti l'attività catechetica che si svolgeva ad Alessandria. Sappiamo così che verso il 180 Panteno era diventato rettore di una scuola catechetica, il didaskaleion, probabilmente già esistente o, secondo alcuni studiosi, continuazione in ambito cristiano di quella giudaica. La c. impartita nel didaskalcion sarebbe stata di contenuto prettamente esegetico, diretta a catecumeni e a già battezzati ma non aliena dall'entrare in discussione con le opinioni di eretici e filosofi. Dopo Panteno, Clemente e poi Origene avrebbero preso la direzione della scuola. Le notizie offerte da Eusebio sono state fatte oggetto di studio per valutarne l'attendibilità, che comunque sembra sufficientemente provata. Il duplice carattere di esposizione dottrinale mediante 1'esegesi scritturistica e di presentazione e confutazione delle eresie, rimarrà nota costante delle catechesi successive. Echi della c. origeniana di contenuto esegetico si trovano nelle omelie su Le. XXI, 4; XXII, 6. Nel IV sec., la c., come esposizione sintetica e ordinata delle verità della fede, veniva impartita durante la quaresima in preparazione immediata al battesimo e agli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana che erano conferiti durante la veglia pasquale. In tal modo diventa esplicito il legame strettissimo che nella c. unisce la Bibbia cori la liturgia. Nella settimana di pasqua, i neofiti ascoltavano le cosiddette c. mistagogiche, che spiegavano più estesamente il significato dei sacramenti ricevuti. Questa spiegazione veniva data dopo il conferimento dei sacramenti in quanto essi, come eventi, andavano prima di tutto vissuti e poi approfonditi nel loro significato dottrinale (Ambr., De myst. 1; Cir. di Ger., Catech. XIX, 1). Sono giunte a noi le c. predicate da Cirillo di Gerusalemme nel 348: una Protocatechesi a cui fanno seguito 18 c. dette degli «illuminati» concernenti rispettivamente la preparazione morale, la penitenza e la misericordia di Dio, il battesimo, una sintesi dogmatica, la fede e i vari elementi del Simbolo (Catech. VI-XVIII). Vi sono poi 5 c. mistagogiche: (e prime due sul battesimo, la terza sulla confermazione, la quarta e la quinta sull'eucaristia; si discute sull'attribuzione di queste a Cirillo o non piuttosto a Giovanni, suo successore come vescovo di Gerusalemme. Un'altra serie di c. è costituita dalle 8 istruzioni predicate dal Crisostomo ad Antiochia verso il 388: di queste le prime due sono rivolte a quelli che si erano iscritti per la preparazione immediata al battesimo (I, 2) sintetizzando, la prima, il significato profondo del rito e, la seconda, analizzando in dettaglio F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 268 le singole cerimonie (esorcismi, unzioni, lavacro). Le altre sono invece rivolte ai neofiti e a tutta la comunità che li accoglieva e di cui ormai essi facevano parte: viene spiegato il sacramento dell'eucaristia (III, 12-19) per passare poi alla parte morale secondo gli impegni della nuova vita derivanti dal battesimo (IV, 12-16): la testimonianza (IV, 17-24), la moderazione (V, 1-14), la continua conversione (V, 24-27), la costanza nell'ascolto della dottrina (VI, 1-7), la venerazione delle reliquie dei martiri (VII, 1-11), la preghiera e l'elemosina (VII, 25-27), il modo di impostare la giornata (VIII, 16-25). Anche di Teodoro di Mopsuestía abbiamo una serie di 16 omelie catechetiche di cui le prime 10 spiegano il Simbolo e l'undicesima il Pater, mentre le altre, mistagogiche, trattano del battesimo (12-13), dell'unzione (13), dell'eucaristia (1>-16) e della confessione (16): quest'ultima è presentata come necessaria al fine di partecipare all'eucaristia solo nel caso di peccati gravi che devono essere confessati al sacerdote in segreto. Si è incerti sulla data in cui sarebbero state pronunciate: o ad Antiochia verso il 390 o a Mopsuestia verso il 392-428. Ambrogio ci ha lasciato varie piste su cui seguire la sua opera di catecheta, in primo luogo alcune omelie a carattere esegetico, esplicitamente rivolte ai catecumeni (De Abr. I, 4,23; De Elel. 21,79; 22,83-84). Ci troviamo in presenza di quella istruzione sulla storia della salvezza che costituiva fin dagli inizi uno dei contenuti principali di ogni c. (cfr. in questa linea Girol. In Matthaeum dove sono numerosissime le allusioni ai catecumeni). In altre opere (De symb.; De myst.; De sacram.), Ambrogio svolge i temi tipici della c. spiegando il Simbolo ai catecumeni e riservando ai neofiti, durante la settimana di Pasqua, la spiegazione, mediante il metodo tipologico, dei sacramenti ricevuti. Il De sacramentis V, 19-30 è dedicato al commento delle petizioni del Pater; si dimostra così l'uso, nella chiesa di Milano, di riservare questa preghiera al periodo post-battesimale, contrariamente a quanto avveniva in Africa dove Tertullíano, Cipriano, Agostino testimoniano l'uso della traditio e redditio del Pater nell'ultima settimana del periodo di catecumenato. Durante la traditio del Pater, la preghiera insegnata da Gesù veniva spiegata in ciascuna delle sue petizioni per essere poi imparata a memoria dal battezzando che poteva così obbedire al comando di pregare sempre (Lc 18,1). La consegna del Pater dopo quella del Simbolo stava a significare l'unificazione tra fede da professare e vita quotidiana da vivere nel segno della preghiera. Il Pater, considerato come riassunto del vangelo (Tertull., De orat. 9; Agost., F.pist. 130) fu commentato in prospettiva catechetica da Tertulliano (o. c.), Cipriano (De dom. orat.), Ambrogio (De sacr. V, 19-30), Agostino (Sermones 5659), Gregorio di Nissa (Orat. dom. 1-5). Con Agostino, le testimonianze sulla c. cristiana del IV sec. si ampliano. Il suo trattato De catechizandis rudibus ci informa sulla metodologia che veniva seguita quando l'uditorio era composto da persone che per la prima volta si trovavano di fronte all'annuncio di fede: non si tratta dunque di una c. per la immediata preparazione al battesimo. Poiché «metodo» e «contenuto» sono però inseparabili, si trovano in quest'opera numerosi richiami all'oggetto specifico di cui si deve occupare la c.: la storia della salvezza vista nella sua unità e continuità con al centro l'evento della risurrezione (cfr. su questo stesso schema Egeria, Peregr. 4G). Scendendo più in dettaglio, Agostino enumera le tappe che di tale storia vanno presentate e approfondite e che, per ciò che riguarda 1'AT, sono: creazione, diluvio, alleanza con Abramo, Davide, ritorno dall'esilio (De catecl), rud. 39); stupisce di non trovar menzionato l'esodo, anche se i richiami a questo evento sono numerosi. La lettura è in chiave tipologica in modo che il mistero di Cristo e della chiesa è sempre presente e per evidenziare che se Cristo occupa il posto centrale, la chiesa dimostra nella liturgia che la storia della salvezza continua nel tempo. Se il De catech. rud. offre, oltre al metodo, í contenuti in sintesi della c., Agostino si occupa più direttamente di questi in altre opere. L'Encbiridion contiene la spiegazione del Simbolo e del Pater per terminare con l'esposizione dei precetti morali. Il sottotitolo è De Fide, spe et caritate ed è infatti nell'ottica delle tre virtù che sono sviluppati rispettivamente i tre temi. Se 1'Enchiridion è una c. diretta a una persona colta, il De agone christiano ha tutto l'aspetto di una c. rivolta a persone semplici dove la spiegazione del Simbolo è inserita nel contesto della lotta contro il diavolo ed è occasione per confutare varie eresie, soprattutto quelle a carattere eristologico. Manichei (c. 4), modalisti (c. 14), ariani (c. 16), gnostici (c. 17), doceti (c. 18), montanisti (c. 28), donatisti (c. 29), lucíferiani (c. 30) vengono così ordinatamente presentati a seconda dell'elemento di fede proposto dal Simbolo e a cui, con le loro dottrine, si opponevano. Sempre per confutare le dottrine professate dagli eretici, ma rivolgendosi questa volta non più ai «semplici», bensì ai vescovi africani riuniti in concilio nel 393, Agostino riprende l'esposizione del Simbolo approfondendo ogni singolo enunciato nel De fide et symbolo: vera e propria traccia per successive c. . Si può pertanto osservare come l'uso della c. con Agostino si vada differenziando a seconda dell'uditorio a cui la c. stessa è diretta e a seconda della necessità di approfondirne gli elementi quando, per il sorgere di eresie o di controversie dottrinali, questi potevano non essere più sufficientemente chiari. Proprio per rispondere a quest'ultima esigenza, di una, cioè, maggiore chiarificazione dei temi di fede proposti nel Simbolo e suscettibili di diverse interpretazioni da parte di eretici, Rufino di Aquileia scrisse intorno al 404 un Commento al simbolo, opera destinata più che ai catecumeni, ai catechisti e dove, insieme ad una puntuale spiegazione di ciascuna espressione, viene ricordato il canone dei libri scritturistici (c. 35-36) e un elenco delle eresie (c. 37). Segno non ultimo della ormai raggiunta diffusione del cristianesimo in tutti i livelli, sociali e culturali, in modo da rendersi necessario l'uso di diverse modalità per presentare la fede, pur nella sostanziale uniformità dei contenuti, è 1'Oratio catechetica magna scritta dal Nisseno verso il 385 per un pubblico di intellettuali neoplatonici bisognosi di un discorso particolarmente sistematico. Su come si F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 269 svolgeva la c. a Gerusalemme verso la fine del IV sec. siamo dettagliatamente informati dalla Peregrinatio di Egeria: storia della salvezza, Simbolo e riti sacramentali erano tutti spiegati prima nel senso letterale e poi secondo quello spirituale. A tali istruzioni erano ammessi durante la quaresima solo coloro che dovevano essere battezzati a Pasqua e i già battezzati. Omelie esplicitamente di genere catechetíco sono quelle di Cromazio di Aquileía rivolte ai catecumeni intorno alla festa di Pasqua; testimoniano l'uso ancora radicato di battezzare nella veglia pasquale (Serm. 17; cfr. Leone M., Serm. 43,60), mentre i continui riferimenti allo Spirito santo indicano l'esigenza di adattare la c. alla situazione dottrinale del momento: nel caso di Cromazio era viva la lotta contro i pneumatomachi (Serm. 18; 18a; 14, l; 34). Anche le omelie di Pier Crisologo, pronunciate a Ravenna durante la quaresima (Serm. LVI, 3; LX, 2) nella prima metà del V sec. per spiegare il Simbolo ai catecumeni, testimoniano l'uso di battezzare a Pasqua e la persistenza della disciplina arcani che proibiva di mettere per iscritto la formula del Simbolo affinché non andasse nelle mani di eretici e infedeli (Serm. LVI; LIX; LXI). La c. si dimostra attenta nell'adattarsi alla situazione storica e dottrinale ma sempre sulla base della Scrittura che è presa a sostegno dei singoli enunciati di fede. M. Sauvage, Cathéchèse et lai'cat. Participation des laìts au ministère de la Parole, Paris 1962; J. DaniélouR. Du Charlat, La catechesi nei primi secoli, Torino 1969 (con bibl.); H.M. Riley, Cbristian Initiation (in Cirillo di Ger., Giovanni Crisost., Teodoro di NI., Ambrogio), Washington 1974; G. Venturi, Problemi dell'iniziazione cristiana Nota bibliogr.: EphemLiturg 88 (1974) 241- 270 (ampia bibliografia); V. Grossi, Il contesto battesimale dell'oratio dominìca nei commenti di Tertulliano, Cipriano, Agostino: Augustinianum 20 (1980) 205-220. F. Cocchini, s.v. Catechesi, DPAC, 1, col. 622-27. Scheda. Il dialogo. P.F. Beatrice DIALOGO. Il genere letterario del d., molto diffuso nelle antiche letterature classiche, godette di una certa fortuna anche presso gli autori cristiani dei primi secoli. a) Le origini del d. cristiano non sono del tutto chiare. Molto probabilmente esso ha preso forma dall'incontro di precedenti forme espressive sub-letterarie come ad es. le dispute rabbiníche intorno all'interpretazione della Legge ebraica, la diatriba cinico-stoica e le controversie riportate nella primitiva letteratura cristiana delle Praxeis (cfr. Pseudo-Clementine). Il più antico d. cristiano di cui si abbia notizia, ma che è andato perduto, è appunto una controversia tra il giudeo Papisco ed il giudeo-cristiano Giasone sull'interpretazione dell'AT, ed è dovuto all'opera di Aristone di Pella (ca. 140 d.C.). Il più celebre Dialogo con Trifone giudeo di Giustino (verso il 155) riprende anch'esso questo schema controversistico, conferendogli però una più elevata dignità letteraria grazie agli evidenti richiami platonici, specialmente al Protagora. La forma letteraria del d. sarà in seguito più volte ripresa tanto nelle polemiche antigiudaiche quanto nelle polemiche antipagane. Il d. apologetico trova il suo esemplare più famoso nell'Octavius di Minucio Felice (ca. 200 d.C.), dove si sente la presenza ciceroniana del De natura deorum, ma non va dimenticato 1'Apokritikòs di Macario Magnete (V sec.). b) È importante notare come sul d. cristiano letterariamente elaborato non abbiano praticamente lasciato traccia né la ricca produzione dialogica dell'età imperiale (Plutarco, Luciano, Ateneo, Macrobio) né il famoso precedente biblico del libro di Giobbe. Gli autori cristiani letterati si rifanno esclusivamente a Platone e a Cicerone, specialmente quando sentono il bisogno di confrontarsi con i modelli del d. filosofico classico per utilizzarlo ai fini della creazione del d. filosofico cristiano. In questo campo eccellono soprattutto i nomi di Gregorio di Nissa con il Dialogo sull'anima e la risurrezione (direttamente ispirato al Fedone platonico) e, naturalmente, Agostino con i d. filosofici della giovinezza, i quattro d. di Cassiciacum (Contra Academicos, De beata vita, De ordine, e i Soliloyuia, una novità in senso assoluto) e, dopo il battesimo, il De quantitate animae, il De magistro, il De libero arbitrio e il De musica. A1 d. cristiano strettamente filosofico bisogna però attribuire altre opere come il Libro delle leggi dei paesi di Bardesane di Edessa, il d. di Gregorio Taumaturgo Sull'impassibilità e la passibilità di Dio e, infine, la Consolatio Pbilosophiae di Severino Boezio. c) Ma il d. filosofico nel quale l'autore cristiano cerca di elaborare risposte razionali autonome dalla rivelazione, anche se con essa integrantesi, costituisce una parentesi nella più vasta produzione di d. di carattere preminentemente teologico che trovano spazio nelle innumerevoli controversie dottrinali tra ortodossi ed eretici. Ad Origene si debbono due d. sulla risurrezione ed un Dialogo con Eraclide e i vescovi suoi colleghi sul Padre, sul Figlio e sull'anima. Metodio d'Olimpo è autore di diversi d. teologici nei quali riesce a temperare l'intenzione polemica nelle forme letterarie esigenti del d. platonico: il Simposio delle dieci vergini, opera ricca di spunti antiencratiti; l'Aglaofonte sulla risurrezione, dialogo antignostico e antiorigeníano; í1 dialogo antignostico Sul libero arbitrio; il De lepra. Dopo Metodio, il dialogo controversistico assume forme sempre più asciutte con il Dialogo di Adamanxio, antignostico, e gli Acta F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 270 Archelai di Egemonio, contro il manicheismo (interessante la presenza del giudice esterno in queste polemiche tra cristiani). Si moltiplicano, tra IV e V sec., i dialoghi antiariani e antimacedoniani, aderenti alla forma della disputa orale realmente avvenuta (ad es. i sette dialoghi ps. atanasiani); d. teologici scrivono Girolamo, contro luciferiani e pelagiani, e Cirillo di Alessandria, contro ariani e nestoriani; Nestorio scrive un'autodifesa in forma di d., il Libro di Eraclide, mentre Teodoreto di Ciro polemizza contro i monofisiti con il d. Eranistes. In una lettera a Diedero, Basilio di Cesarea aveva chiaramente espresso la sua preferenza per quel genere di d. nel quale, senza nulla concedere alle grazie del d. platonico, ma piuttosto sulle orme di Aristotele e Teofrasto, l'autore cristiano esponesse, con stile semplice e chiaro, le obiezioni degli avversari e le risposte che esse esigono, al fine di compiere opera utile all'edificazione della fede comune (Ep. 135,1). d) Forse trascrisse i vangeli e le lettere apostoliche in forma di d. Apollinare di Laodicea, in seguito all'editto di Giuliano del 362, mentre Giovanni Crisostomo riveste con la tecnica dialogica la sua meditazione Sulsacerdozio cristiano. Alla utilizzazione del d. ricorrono anche scrittori di biografie agiografiche come Palladio di Elenopoli, autore del Dialogo sulla vita di San Giovanni Crisostomo, Sulpicio Severo con i Dialoghi di argomento martiniano, Gregorio Magno con i Dialoghi sulle vite e i miracoli dei santi italiani tra i quali eccelle Benedetto da Norcia. e) Dal d. letterario, la cui presenza è abbastanza discontinua nell'ambito della produzione cristiana antica, è da distinguere il genere delle cosiddette «domande e risposte» (erotapokrrseis), come quelle riportate nelle Quaestiones et responsiones ad orthodoxos dello Ps. Giustino, o nei Dialoghi dello Ps. Cesario di Nazianzo o negli Amphilochia di Fozio. In questo genere, che ha indubbiamente influito anche sulla struttura delle Regole basiliane e sulle Collationes di Giovanni Cassiano (schema monastico), la risposta segue alla domanda in maniera definitiva ed esaustiva poiché l'autorità del maestro o della guida spirituale non lascia spazio al proseguimento della discussione che caratterizza invece il dialogo vero e proprio. f) Non più che un accenno si può fare in questa sede al d. «gnostico» o «di rivelazione», nel quale alle dispute tra gli apostoli e i discepoli del Signore e alle domande poste al rivelatore risuscitato segue immancabilmente la risposta chiarificatrice che pone fine alla discussione stessa. Questo genere del d. di rivelazione presenta qualche affinità con coeve formule e tematiche ermetiche. Rl1Ch 3,928-955 (Dìalog); 6,342-370 (Erotapokrzseis); M. Hoffmann, Der Dìalog Gei den christlìchen Schrzftstellern der ersten vier Jahrhunderte (TU 9G), Rerlin 1966; BR Voss, Der Dialog in der frzihcbristlichen Literatur (Studia et Testimonia antiqua 9), Miinchen 1970; P. Perkins, The Gnostic Dialogue. Ibe Early Church and the Crisis of Gnosticism, New York 1980. P.F. Beatrice P. F. Beatrice, s.v. Dialogo, in DPAC, 1, col.939-42. Scheda – I commentari biblici. M. Simonetti COMMENTARI BIBLICI. Rispetto alle Quaestiones, raccolte di interpretazioni di passi biblici di particolare interesse, e alle Omelie, prediche illustrative di passi biblici letti durante le funzioni liturgiche, il Commentario biblico si può definire come opera dedicata all'illustrazione sistematica di un intero libro della Bibbia o di una sezione organica di esso, e composta interpretando il testo sacro versetto per versetto. In ambito giudaico, un commentario di questo tipo fu il pesher di cui si sono scoperti a Qumràn vari esempi; ma poiché i primi C. cristiani datano al II sec. inoltrato, cioè ad un tempo in cui la chiesa si è ormai profondamente ellenizzata, i modelli di questi testi cristiani andranno piuttosto ricercati nell'ambito dell'attività letteraria greca. Qui, schematizzando, possiamo distinguere due tipi di C.: uno è di carattere grammaticale-letterario, e per lo più consiste in brevi spiegazioni apposte a margine dei testi di poesie e prosa studiati a scuola, di carattere vario, storico antiquario grammaticale retorico; l'altro tipo è il commentario filosofico, in cui l'esegeta illustra il testo di un filosofo illustre (Platone, Aristotele, ecc.) con grande ampiezza e in modo spesso molto personale: ricorderemo di questo genere i Commentari platonici di Proclo. Il più antico C. cristiano di cui abbiamo notizia, il Commento a Giovanni dello gnostico Eracleone, composto circa alla metà del II sec., dai frammenti che ci sono giunti doveva constare di brevi spiegazioni, poco più che glosse, che illustravano in modo non sistematico il IV vangelo. Il suo modello andrà perciò ravvisato nel commentario pagano di tipo grammaticale. Più o meno lo stesso carattere presentano i C. di Ippolito (fine II/inizio III sec.) a Daniele, Cantico, ecc., anche se l'interpretazione appare più diffusa di quanto non doveva essere in Eracleone. Invece i C. di Origene (a Giovanni, Matteo, Cantico, ecc.) sono di estensione ben più grande, fino a comprendere anche molti libri (33 su Giovanni, 10 sul Cantico), e sembrano avvicinarsi al tipo F. D’Alessi © 2002 F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente 271 del commentario filosofico, forse anche per tramite di Filone, le cui opere sono in massima parte C. a passi della Genesi e dell'Esodo arieggianti appunto questo tipo di commentario profano. Dopo questi primi esemplari, nella grande fioritura dei C. b. scritti a partire dal IV sec. in Oriente e, con ritardo di più di mezzo secolo, in Occidente, riscontriamo esempi dell'una e dell'altra forma, ormai svincolati dai modelli profani e aderenti soltanto, nello schema che abbiamo descritto, alle specifiche tendenze interprètative dei vari autori. In linea di massima il C. d'ambiente antiocheno, a tendenza letteralista, è piuttosto breve e spedito, mentre quello di scuola alessandrina, privilegiando l'interpretazione di tipo allegorico, è di solito molto più diffuso. In Occidente soprattutto il De Genesi ad litteram di Agostino si avvicina per ampiezza di commento a questo tipo di opera. Vario poteva essere anche il modo di composizione. I C. di Ambrogio, p. es.,