LA SINTESI DELLE PROTEINE In che modo l’informazione contenuta sotto forma di sequenze nucleotidiche nel DNA e nell’RNA si traduce nella sequenza amminoacidica delle proteine? Esperimenti preliminari con RNA sintetici a sequenza monotona hanno aperto la strada alla decifrazione del codice. 55 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Processo di sintesi delle proteine 1) Attivazione degli amminoacidi e formazione degli amminoacil-tRNA 56 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com L’inizio della sintesi proteica richiede l’interazione della subunità minore con un amminoaciltRNA carico e con l’mRNA (anche, in vitro, sotto forma di una singola tripletta ribonucleica). Utilizzando tutte le triplette ribonucleotidiche e tutti i tRNA esistenti legati ad amminoacidi radioattivi, è stato decifrato il codice genetico, stabilendo la corrispondenza tra amminoacidi e triplette. 57 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Nirenberg e Ochoa hanno studiato la formazione di complessi d’inizio combinando tutte le 64 diverse triplette ribonucleotidiche con i 20 diversi amminoacil-tRNA. Ciascuna miscela di reazione è stata poi fatta passare attraverso un filtro che trattiene i complessi d’inizio. Se un amminoacil-tRNA radioattivo entra a far parte del complesso, in quel punto il filtro sarà radioattivo e quindi darà un segnale in autoradiografia. Esito dell’autoradiografia Il segnale in nero indica la presenza di radioattività sul filtro, quindi una corrispondenza tra codone e anticodone. Tre triplette ribonucleotidiche non permettono la formazione di complessi d’inizio con nessuno degli amminoacil-tRNA disponibili, segno che a queste triplette non corrisponde alcun amminoacido e che vengono utilizzate come segnali di punteggiatura (termine della traduzione). Alcuni amminoacil-tRNA carichi con lo stesso amminoacido riconoscono triplette diverse, ma una tripletta specifica sempre lo stesso amminoacido. TABELLA DI CORRISPONDENZA CODONI – AMMINOACIDI 58 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com I fattori d’inizio interagiscono con la subunità minore del ribosoma. Il complesso Subunità minore-IF1 e IF2-GTP si associa con l’mRNA ed il tRNA iniziatore, mentre IF3 viene rilasciato. La subunità maggiore si associa al complesso e recluta il tRNA carico corrispondente al secondo codone sull’mRNA. I fattori IF1 ed IF2 vengono rilasciati, con idrolisi del GTP in GDP + Pi. Si forma il legame peptidico tra il gruppo carbossilico della Met ed il gruppo amminico della Gly. 59 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Avviene uno scorrimento che rende di nuovo disponibile il sito A ad accettare un tRNA corrispondente al terzo codone dell’mRNA. Distacco del tRNA scarico. L’allungamento della catena proteica è mediato da fattori detti di allungamento (Elongation Factors) con idrolisi di GTP. Nessun tRNA corrisponde al codone UAG. Nel sito A entra un fattore di rilascio (RF). 60 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il fattore di rilascio induce il disassemblaggio del ribosoma ed il distacco della catena polipeptidica. STRUTTURA E TRASCRIZIONE DEI GENI EUCARIOTICI Negli eucarioti, il compartimentalizzazione. · · · · flusso dell’informazione PROCARIOTI DNA libero nel citoplasma Unico cromosoma circolare Geni organizzati in operoni Sintesi di mRNA e proteine praticamente simultanea · · · · genetica è reso più complesso da EUCARIOTI DNA racchiuso nel nucleo Numerosi cromosomi lineari Geni non organizzati in operoni Sintesi di mRNA nel nucleo, sintesi proteica nel citoplasma su ribosomi liberi e associati al RE 61 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Struttura del gene eucariotico Cellule di ovidotto di pollo sintetizzano grande quantità di ovalbumina, pertanto contengono corrispondenti quantità di mRNA specifico per l’ovalbumina nel citoplasma. E’ possibile frammentare il DNA nucleare e identificare in elettroforesi i frammenti capaci di ibridizzare con l’RNA dell’ovalbumina. Se si recupera il frammento contente per il gene per l’ovalbumina, lo si fa ibridare con l’mRNA specifico per l’ovalbumina e si osservano le molecole al ME, si ottengono figure di ibridazione come quelle che seguono: (trascritto primario) Misurando la lunghezza delle regioni appaiate e quelle delle anse di DNA a singolo filamento, ci si accorge che non si tratta di un artefatto, ma che questi parametri sono costanti in tutte le figure di ibridazione che si osservano. Prelevando l’RNA dal nucleo non ci sono anse. Prima si pensava che la sequenza codificante degli eucarioti fosse continua. DNA nucleare à regioni espresse: esoni Regioni del DNA rappresentate nell’mRNA maturo Regioni del DNA non rappresentate nell’mRNA maturo à regioni intercalari: introni Di conseguenza, negli eucarioti non c’è colinearità tra le sequenze nucleotidiche del DNA e quelle dell’mRNA maturo. 62 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Se l’esperimento di ibridazione viene effettuato utilizzando l’RNA appena sintetizzato nel nucleo invece dell’mRNA citoplasmatico, si osserva che esso è molto più lungo rispetto all’mRNA maturo e che c’è colinearità con il DNA nucleare. Nell’mRNA maturo: · vengono eliminati gli introni; · viene aggiunto all’estremità 5’ un nucleotide detto 7-metil-guanosina (7-MG), che si lega 5’-5’. La 7-MG protegge l’mRNA dalla degradazione e favorisce l’aggancio dei ribosomi; · vengono aggiunte alcune adenine ad opera della poli-A-polimerasi. La stabilità della molecola è correlata alla coda di poli-A. Conclusioni I geni degli eucarioti sono organizzati diversamente da quelli dei procarioti: · nel DNA degli eucarioti sono presenti regioni molto estese che non vengono rappresentate negli RNA maturi che si trovano nel citoplasma cellulare; · i geni degli eucarioti sono discontinui e presentano: ü regioni codificanti à esoni (a ogni esone corrisponde un dominio funzionale) ü regioni non codificanti à introni (hanno la massima variabilità) · il prodotto immediato della trascrizione negli eucarioti è un RNA che contiene sia le sequenze corrispondenti agli esoni, sia quelle corrispondenti agli introni, e viene chiamato trascritto primario; · il trascritto primario subisce diverse modificazioni prima di venire esportato in direzione del citoplasma dove verrà tradotto: la più evidente di queste modificazioni è la rimozione delle sequenze che corrispondono agli introni; · i geni umani sono circa 30.000 e producono circa 1 milione di proteine: questo è permesso dalla loro discontinuità. 63 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com ESPRESSIONE GENICA, DIFFERENZIAZIONE, SPLICING In ciascuno stadio dello sviluppo vengono espressi geni particolari, alcuni dei quali codificano proteine costitutive, prodotte anche in altri stadi, altri proteine stadio-specifiche. Nero: geni costitutivi Rosso: attivatori trascrizionali Verde: geni strutturali stadio-specifici In pratica, in corrispondenza di ogni stadio di sviluppo o di differenziazione, vengono espressi geni che portano alla sintesi di un repertorio eterogeneo di proteine, alcune delle quali fungono da attivatori trascrizionali che regoleranno in modo positivo o negativo l’espressione genica nello stadio successivo. Ne risulta un’attivazione genica sequenziale che può spiegare l’andamento apparentemente programmato dei processi di sviluppo e di differenziazione. Coordinazione dell’espressione genica negli eucarioti Contrariamente a quanto accade nei procarioti, dove più geni strutturali codificanti enzimi che appartengono ad una stessa via metabolica sono raggruppati insieme, negli eucarioti è comune che geni codificanti subunità diverse di una stessa proteina oligomerica siano codificati su cromosomi differenti: ad esempio, la molecola dell’emoglobina è un tetrametro di due catene α e due catene β. Le catene α sono codificate in una regione del cromosoma 16 dell’uomo, mentre le catene β sono codificate su geni localizzati sul cromosoma 11. Nell’uomo i geni che codificano le subunità degli anticorpi sono localizzati sui cromosomi 14 (catene pesanti), 2 e 22 (catene leggere). Perché non vi sia sintesi in eccesso delle diverse subunità che costituiscono queste proteine, l’espressione dei geni che le codificano deve essere accuratamente regolata, tenendo conto che i geni sono localizzati addirittura su cromosomi differenti: nelle cellule eucariotiche non esistono operoni. 64 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com In queste situazioni, la sintesi degli mRNA sarà coordinata se i geni in questione condividono le stesse sequenze di regolazione e quindi reclutano gli stessi attivatori trascrizionali. Il tasso di sintesi dei geni strutturali sotto il controllo di questi promotori sarà quindi paragonabile e così le quantità relative delle diverse catene polipeptidiche. Splicing alternativo o differenziale dei trascritti primari A partire da uno stesso gene, è possibile che vengano prodotte proteine che hanno sequenze amminoacidiche differenti, in quanto durante lo splicing del trascritto primario vengono inclusi o esclusi determinati esoni. In alcuni casi è stato dimostrato che tessuti diversi esprimono preferenzialmente isoforme diverse del prodotto genico. 65 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com RISPOSTE CELLULARI AGLI STIMOLI ESTERNI 1. Trasduzione dei segnali da parte di recettori ancorati alla membrana Nel corso dell’embriogenesi e della differenziazione, la comparsa sequenziale di attivatori trascrizionali stadio-specifici può spiegare lo sviluppo di un processo che sembra accuratamente programmato. Le cellule modificano il proprio metabolismo, l’espressione genica e il loro comportamento in risposta a stimoli esterni. 66 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Le cellule riconoscono ligandi specifici attraverso proteine di membrana dotate di attività recettoriale. Ipotesi su come la cellula modifichi il proprio metabolismo in risposta a questa interazione: A) il primo messaggero esercita il proprio effetto penetrando all’interno della cellula (ormoni steroidi e tiroidei); B) il primo messaggero resta sulla superficie cellulare e induce variazioni intracellulari attraversi un effetto indiretto. Osservazione al microscopio dell’autoradiografia: si evidenzia che i grani sono solo sulla superficie della cellula e non all’interno. Pertanto, il primo messaggero esercita il suo effetto senza penetrare all’interno delle cellule. 67 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 68 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il materiale recuperato dalle due colonne di affinità viene sottoposto ad elettroforesi in gel di poliacrilammide-SDS. Nella corsia A si osserva un’unica banda colorata, che corrisponde alla molecola del recettore. Se ne deduce che, quando le cellule non vengono stimolate dal ligando, il recettore non è associato ad altre proteine. Nella corsia B si osservano 3 bande: 1. quella delle proteine accoppiate al recettore; 2. quella del recettore; 3. quella del ligando. Se ne deduce che, nelle cellule esposte al ligando, il recettore cambia conformazione ed interagisce con altre componenti cellulari. 69 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Distacco del ligando. Ritorno del recettore alla conformazione originaria. Interazione della subunità α della proteina G con un effettore, l’enzima adenil ciclasi, e conseguente attivazione dell’enzima, con produzione di AMP ciclico a partire da ATP. 70 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 71 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 72 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 73 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 74 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 75 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com 76 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com In sintesi Nel caso di recettori accoppiati insieme a proteine G, l’interazione del ligando con il recettore induce in questa molecola una transizione conformazionale che si trasmette al dominio citoplasmatico, il quale può interagire con la subunità α della proteina G legata al GDP. Ciò attiva la proteina G, che lega con maggiore affinità il GTP, ed il trimero si dissocia. La subunità α legata al GTP diventa affine per l’enzima adenil ciclasi, che produce AMP ciclico in seguito a questa attivazione. L’AMP ciclico interagisce con le subunità regolatrici della proteinchinasi A (PKA), inducendo in queste una transizione conformazionale che libera le subunità catalitiche, capaci di strappare un gruppo fosforico all’ATP, trasferendolo sugli amminoacidi serina e treonina di proteine presenti nel citoplasma che hanno affinità con la PKA. Alcune proteine Gα hanno affinità per un effettore diverso, l’enzima fosfolipasi C (PLC). Questo lega il fosfolipide di membrana fosfatidil-inositolo bifosfato (PIP2) e lo scinde nei suoi componenti: · Diacil-glicerolo (DAG) · Inositolo trifosfato (IP3) · · · Distacco dal ligando. Ritorno del recettore alla conformazione originaria. Interazione della subunità α della proteina G con un effettore, l’enzima fosfolipasi C, e conseguente attivazione dell’enzima, con scissione del PIP2 in DAG e IP3. 77 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com L’IP3 interagisce con una proteina che si trova sulle membrane del RE, e che funge da canale del Ca2+, determinando in questa una transizione conformazionale che rende la membrana permeabile allo ione. RECETTORI CATALITICI In qualche caso non sono state rinvenute proteine G associate a recettori (ad esempio, nei recettori per fattori di crescita). 78 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il materiale recuperato dalle due colonne di affinità viene sottoposto ad elettroforesi in gel di poliacrilammide-SDS. Nella corsia A si osserva un’unica banda colorata, che corrisponde alla molecola del recettore. Se ne deduce che, quando le cellule non vengono stimolate dal ligando, il recettore non è associato ad altre proteine. Nella corsia B si osservano 2 bande: 1. recettore; 2. ligando. Recettori catalitici: meccanismo d’azione 79 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com In sintesi Anche nel caso dei recettori catalitici, l’interazione del ligando con il recettore induce in questa molecola una transizione conformazionale che si trasmette al dominio citoplasmatico, il quale espone il dominio catalitico, precedentemente criptico. L’attività catalitica consiste nell’idrolisi dell’ATP in ADP e fosfato, che viene trasferito in corrispondenza dei residui di tirosina di proteine citoplasmatiche in grado di interagire con il recettore. 80 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com DENATURAZIONE E RINATURAZIONE DEL DNA – Principi ed applicazioni diagnostiche L’aumento della temperatura scinde i legami a idrogeno tra le due basi complementari. I due filamenti si separano. La denaturazione del DNA induce un aumento dell’assorbanza a causa della maggiore esposizione delle basi azotate al solvente e quindi alle radiazioni (effetto ipercromico). La Tm (temperatura di fusione) è la temperatura alla quale il 50% delle molecole si trova allo stato denaturato. G+C è più stabile e resistente ad alta temperatura. Andamento dell’assorbimento della radiazione luminosa all’aumentare della lunghezza d’onda da parte di campione di DNA denaturato: ASSORBIMENTO Sotto i 200 nm la radiazione luminosa viene assorbita da tutte le molecole. 200 nm 260 nm [λ]à 81 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Se il DNA deriva da un organismo complesso ed è stato sottoposto a frammentazione, una diminuzione brusca della temperatura non determina la rinaturazione di tutte le molecole: i frammenti autocomplementari faticano a ritrovarsi nella soluzione. Solo un abbassamento graduale della temperatura fa sì che si abbia una rinaturazione completa, con cinetica analoga a quella di denaturazione. I filamenti si ritrovano più o meno velocemente a seconda che le sequenze in essi contenute siano molto, mediamente o poco ripetute. Curva di rinaturazione del DNA negli eucarioti à La struttura tridimensionale del DNA può essere considerata il risultato di un compromesso tra: · forze repulsive dovute alle cariche negative dei gruppi fosforici associati allo scheletro di zucchero-fosfato; · forze attrattive dovute ai legami a idrogeno che uniscono le basi che si fronteggiano all’interno della molecola (3 legami a idrogeno tra C e G, 2 tra A e T) e a quelle di impilamento che s’instaurano in senso verticale tra le basi che si trovano all’interno della molecola del DNA a doppio filamento. La presenza di ioni Na+ nella soluzione contenente il DNA determina una parziale riduzione delle forze repulsive a causa della neutralizzazione delle cariche negative associate ai gruppi fosforici. Ciò determina una prevalenza delle forze attrattive dovute ai legami a idrogeno e quindi una maggiore stabilità della molecola a doppio filamento. In conseguenza di ciò, sarà sufficiente una limitata complementarietà tra due filamenti per garantire la formazione di strutture a doppio filamento, anche non completamente complementari tra loro. Viceversa, in assenza di ioni Na+, solo una zona di estesa complementarietà garantisce un numero di legami a idrogeno sufficiente a stabilizzare la struttura a doppia elica. Da tutto ciò deriva che la Tm del DNA dipende anche dalla forza ionica del tampone in cui il DNA si trova, oltre che dal contenuto in G+C. 82 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Applicazioni a scopo diagnostico – metodo Southern blot DNA proveniente da una regione del genoma di HIV marcato in vitro con un isotopo radioattivo (32P) à SONDA MOLECOLARE Filtro con DNA di 10 soggetti diversi DNA proveniente da cellule di un soggetto non infettato da HIV DNA proveniente da cellule di un soggetto infettato da HIV (contiene DNA di origine virale) 83 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com La sonda molecolare identifica il DNA dei soggetti che contengono sequenze del genoma virale come conseguenza di un’avvenuta infezione DNA RICOMBINANTE – Principi e applicazioni FENOMENO DELLA RESTRIZIONE Alcuni ceppi batterici sono immuni dall’infezione da parte di batteriofago, in quanto contengono enzimi capaci di degradare il DNA fagico (enzimi di restrizione), senza che venga danneggiato il DNA dell’ospite batterico. Si è scoperto che i batteri modificano il proprio DNA attraverso la metilazione, rendendolo così insensibile all’azione degli enzimi di restrizione. 84 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Eco R1: Escherichia coli restriction enzyme 1. Taglia il DNA in corrispondenza di una precisa sequenza palindromica. L’enzima taglia i due tipi di DNA in modo asimmetrico, tra la G e la A della sequenza palindromica. In conseguenza del taglio vengono generate estremità coesive in entrambe le molecole di DNA. Le estremità coesive di molecole di DNA di diversa origine possono appaiarsi tra loro dando origine, se vengono saldate covalentemente dall’enzima ligasi, a molecole di DNA ricombinante. 85 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il clonaggio dei geni: genoteche di cDNA 1. Preparazione degli RNA messaggeri 2. Retrotrascrizione degli RNA messaggeri Si utilizza l’enzima trascrittasi inversa, una DNA polimerasi RNA-dipendente, purificato a partire da retrovirus, per produrre molecole di DNA a doppio filamento complementari agli mRNA cellulari (cDNA). L’uso della RNAsi H (Hybridized) permette di degradare parzialmente l’RNA messaggero. 86 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com L’uso della DNA polimerasi I di E. coli e della DNA polimerasi del fago T4 permette di giungere alla sintesi di molecole di DNA a doppio filamento. Il risultato finale è una popolazione di frammenti di DNA complementari agli mRNA espressi dalla cellula al momento dell’estrazione, vale a dire una GENOTECA DI cDNA. I cDNA contengono dunque esclusivamente le sequenze nucleotidiche presenti negli mRNA; sono pertanto privi di introni, se gli mRNA di partenza erano di origine eucariotica. Questo li rende utili nel caso in cui si voglia far produrre una proteina umana in un ospite batterico, che notoriamente non è in grado di effettuare le reazioni di splicing che provvedono a rimuovere dal trascritto primario le sequenze trascritte a partire dagli introni. Viceversa, le sequenze di DNA derivate direttamente dal genoma nucleare sono comprensive degli esoni e degli introni, e possono essere utili nel caso in cui si desideri risalire all’organizzazione dei geni e alla loro localizzazione, anche a scopo diagnostico. I PLASMIDI I plasmidi sono piccole molecole di DNA batterico extracromosomico, dotate di un’origine della duplicazione e di un numero limitato di geni. I primi plasmidi ad essere stati identificati sono i cosiddetti fattori di fertilità (fattori F), che contengono geni codificanti una proteina strutturale del pilus, un’appendice specializzata che permette nei batteri fenomeni di parasessualità (scambio di DNA durante la coniugazione). I batteri che portano un fattore F vengono chiamati F+ e nel corso della coniugazione si comportano da donatori, quelli che non lo portano vengono chiamati F- e si comportano da riceventi. Coniugazione: passaggio del DNA plasmidico dal ceppo F+ al ceppo F- durante la replicazione del fattore F. Nei plasmidi utilizzati per il clonaggio genico sono stati inseriti geni per la resistenza ad antibiotici come l’ampicillina e la tetraciclina. Inoltre, all’interno del gene per la resistenza alla tetraciclina sono state inserite sequenze dette polylinker, che contengono molteplici siti di restrizione per enzimi diversi. Ciò permette di inserire all’interno del gene per la resistenza alla tetraciclina sequenze di DNA esogeno. 87 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Trasformazione con plasmidi Si mescola il DNA plasmidico (tagliato con l’enzima di restrizione adatto) con il DNA genomico tagliato con lo stesso enzima o con il cDNA al quale sono stati aggiunti i linkers in corrispondenza delle estremità. Il plasmide può richiudersi su se stesso (A), oppure richiudersi includendo l’inserto (B). TetR ripristinato Plasmide richiuso su se stesso TetR inattivo TetR inattivo TetR inattivo Plasmidi contenenti i diversi inserti La miscela contiene tutte le possibili combinazioni plasmide/DNA estraneo, vale a dire il plasmide richiuso su se stesso e plasmidi contenenti le diverse molecole di DNA derivanti dal taglio del DNA genomico con enzimi di restrizione, oppure dei cDNA estratti da un determinato tipo di cellula. Questa preparazione viene utilizzata in esperimento di trasformazione su batteri sensibili all’ampicillina e alla tetraciclina. 88 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Dopo aver trattato i batteri con la miscela di DNA, si effettua il piastramento in presenza di ampicillina, per permettere la crescita di tutti i batteri che hanno incorporato il plasmide, sia esso richiuso su se stesso, sia esso ricombinante. In tutti i casi, i batteri avranno ricevuto il gene che conferisce loro la resistenza all’ampicillina. I batteri che non hanno incorporato il plasmide muoiono. TetR attivo TetR inattivo Batterio trasformato con il plasmide richiuso: resistente sia ad ampicillina, sia a tetraciclina. Batterio trasformato con il plasmide contenente l’inserto: resistente ad ampicillina, ma sensibile a tetraciclina. Entrambi i tipi di batteri crescono in presenza di ampicillina: ciascuna cellula dà origine ad un clone distinto. Tutte le cellule del clone hanno all’interno lo stesso tipo di plasmide (originale o ricombinante). 89 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Piastra madre (solo ampicillina) Piastra figlia (ampicillina + tetraciclina) I batteri contenenti il plasmide con l’inserto vengono identificati confrontando la piastra figlia con la piastra madre (sono quelli che non crescono in tetraciclina, raffigurati come “fantasmi”). Per recuperarli, vengono prelevati dalle posizioni corrispondenti sulla piastra madre. Possono così essere coltivati in modo da produrre colture massive. Identificazione dei cloni contenenti l’inserto desiderato 90 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com CLONAGGIO IN VETTORI DI ESPRESSIONE Metodologie che permettono l’espressione delle sequenze clonate. E’ così possibile inserire nel plasmide anche molecole di DNA ad estremità tronche. Tagliando il DNA del plasmide ricombinante con l’enzima di restrizione che riconosce il linker, è possibile recuperare l’inserto e clonarlo all’interno di un plasmide di espressione. Nei vettori di espressione, le sequenze esogene vanno inserite a valle di un promotore che controlla la trascrizione. Ad esempio, il plasmide qui a sinistra esprime la proteina β-galattosidasi sotto il controllo del promotore lac e della proteina repressore. Inoltre, all’estremità 3’ del gene lacZ è presente un sito di restrizione che permette l’inserimento di DNA esogeno. 91 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il gene esogeno viene inserito, nel corretto registro di lettura, al 3’ del gene Z. Il polipeptide estraneo viene sintetizzato dalla cellula batterica sotto forma di molecole di β-galattosidasi più lunghe rispetto alla norma, chiamate, con un termine generale, proteine di fusione. A: proteine purificate dal ceppo che porta il plasmide non ricombinante. B: proteine purificate dal ceppo che porta il plasmide ricombinante (hanno maggior peso molecolare, dovuto alla presenza della sequenza amminoacidica esogena. La proteina esogena può essere agevolmente recuperata a partire dalla proteina di fusione, se a monte della sequenza codificante si sono inseriti, ad esempio, nucleotidi che codificano un sito sensibile alla proteolisi da parte di diverse proteasi (ad es., Fattore VIII della coagulazione). Un notevole vantaggio insito nell’uso dei vettori di clonaggio che portano alla sintesi di proteine di fusione consiste nella possibilità di purificare velocemente la proteina di fusione mediante tecniche di immunoaffinità: infatti, disponendo di un unico anticorpo contro la β-galattosidasi, è possibile sfruttarlo per purificare qualsiasi polipeptide espresso “in coda” alla β-galattosidasi. Anticorpi anti β-galattosidasi possono essere utilizzati per identificare e purificare proteine di fusione differenti a partire da estratti batterici. 92 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com E’ possibile utilizzare vettori che permettono l’espressione di geni anche in cellule eucariote. I vettori in questione possono essere prodotti in grande quantità in sistemi batterici, e successivamente usati per trasformare cellule di organismi eucarioti. Per potersi duplicare negli eucarioti, e per potersi esprimere in queste cellule in modo adeguato, devono essere dotati di sequenze di replicazione specifiche e di marcatori selezionabili che conferiscono resistenza ad inibitori attivi sugli eucarioti, oltre che di sequenze enhancer, di splicing e di poliadenilazione (i batteri non sono in grado di compiere la glicosidazione). Struttura generica di un vettore “navetta” per l’espressione in eucarioti Questi vettori “navetta” permettono di utilizzare AmpR ed ori batterico finché ci si trova in un sistema procariotico, nelle fasi di produzione massiva del plasmide. Quando il vettore viene legato all’inserto e usato per trasformare cellule eucariote, vengono utilizzate le sequenze specifiche, cioè ori eucariotico, promotori ed enhancer, oltre ad eventuali siti di poliadenilazione. 93 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com SEQUENZIAMENTO DEL DNA Supponiamo di dover determinare la sequenza nucleotidica di un inserto clonato in un vettore plasmidico noto. Per semplicità, viene indicato solo uno dei due filamenti. Si dispone di una preparazione di DNA ricombinante costituita da una grande quantità di DNA. Conoscendo la sequenza dell’ intero plasmide, è possibile utilizzare un primer che è complementare alla regione del plasmide a monte dell’inserto di cui si vuole determinare la sequenza nucleotidica. Questo primer deve essere marcato all’estremità 5’ con il fosforo radioattivo (32P). La strategia di sequenziazione prevede di effettuare una reazione di sintesi di DNA in presenza di DNA polimerasi, dei 4 dNTP e di didesossinucleotidi trifosfati (ddNTP), utilizzando come stampo il DNA del plasmide ricombinante. Il concetto è di far avvenire la reazione di sintesi in 4 provette diverse, ciascuna delle quali contiene tutto quanto è necessario per la polimerizzazione, ma anche una piccola quantità di uno dei 4 ddNTP. Nelle molecole in cui viene incorporato il ddNTP al posto del dNTP, la sintesi si arresta in quanto manca un’estremità 3’OH disponibile per l’aggiunta di ulteriori desossinucleotidi. dNTP ddNTP Vengono quindi allestite 4 provette diverse nelle quali fare avvenire la reazione di polimerizzazione: in ciascuna di esse viene aggiunto un diverso ddNTP, in concentrazione ridotta rispetto al corrispondente dNTP. 94 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com La sintesi inizia in tutte le provette. Il primo nucleotide da aggiungere è un dTTP. Nella provetta che contiene anche il ddTTP, la DNA polimerasi aggiungerà ad alcuni frammenti in crescita il ddTTP al posto del dTTP. In questi frammenti la sintesi si arresterà, in quanto viene a mancare un’estremità 3’OH disponibile per ulteriori aggiunte. Questi frammenti avranno una lunghezza di 20 (il primer) + 1 nucleotide, e saranno radioattivi. Negli altri frammenti, e nelle provette in cui non c’era il ddTTP, la sintesi procederà verso il nucleotide successivo. Nella provetta contenente il ddTTP verranno generati frammenti radioattivi che terminano tutti con T e che avranno lunghezza crescente, a seconda di dove, nella molecola di stampo, sono posizionate le adenine. 95 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Nella provetta contenente il ddATP verranno generati frammenti radioattivi che terminano tutti con A e che avranno lunghezza crescente, a seconda di dove, nella molecola stampo, sono posizionate le timine. Nella provetta contenente il ddCTP verranno generati frammenti radioattivi che terminano tutti con C e che avranno lunghezza crescente, a seconda di dove, nella molecola stampo, sono posizionate le guanine. 96 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Nella provetta contenente il ddGTP verranno generati frammenti radioattivi che terminano tutti con G e che avranno lunghezza crescente, a seconda di dove, nella molecola stampo, sono posizionate le citosine. Autoradiografia del gel In ciascuna delle quattro provette saranno quindi presenti frammenti radioattivi di diversa lunghezza. Se si separano i frammenti mediante elettroforesi e il gel viene sottoposto ad autoradiografia, si otterrà un tracciato come quello qui a destra. Procedendo dal basso (frammento più piccolo) verso l’alto, basta leggere sotto quale corsia si trovano via via frammenti che differiscono tra loro di un singolo nucleotide. Questa è la sequenza nucleotidica di un filamento del DNA dell’inserto. 97 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com CICLO CELLULARE In risposta ai fattori di crescita, le cellule possono uscire dallo stato di quiescenza (G0) ed entrare nella fase G1 del ciclo cellulare. Nella fase precedente al punto di restrizione R, se si tolgono gli stimoli, la cellula entra in una fase di quiescenza. Analisi di popolazioni cellulari in citofluorimetria Ci sono delle molecole che si inseriscono nel DNA e al laser danno fluorescenza: la cellula 4n darà fluorescenza doppia rispetto alla cellula 2n. Contando le microgocce si può capire quante cellule sono in fase S, G1, G2. 98 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Inizio fase S (2n) Metà fase S (2<n<4) Nelle diverse fasi del ciclo cellulare, le cellule hanno diverso contenuto in DNA. Utilizzando una sostanza fluorescente che si lega al DNA, è possibile separare cellule che si trovano in fasi diverse del ciclo cellulare. Fine fase S (4n) Numero di cellule Fase G1 (2n) Contenuto in DNA Uso degli eterocarionti Gli eterocarionti vengono usati per indagare sui fattori che controllano il ciclo cellulare. Transizione verso la fase S grani autoradiografici nucleo di cellula in fase S che incorpora precursori del DNA cellula in fase G1 quiescente per sintesi di DNA fusione Eterocarionte Anche il nucleo in fase G1 va incontro precocemente alla fase S se esposto al citoplasma di una cellula già in fase S 99 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Transizione verso la fase M cromosomi condensati Cellula in fase M con condensazione cromosomica Cellula in fase G1 o G2 fusione Eterocarionte Anche il nucleo in fase G1 o G2 va incontro precocemente alla condensazione della cromatina se esposto al citoplasma di una cellula già in fase M Questi esperimenti indicano che fattori presenti nel citoplasma di cellule in una determinata fase del ciclo cellulare possono indurre la transizione precoce alla fase S o alla fase M in nuclei in fase G1 o G2. 100 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com à Marcatura delle proteine in cellule in fase G1 mediante incorporazione di amminoacidi marcati per tre ore à Rimozione del tracciante e ricoltivazione in presenza di amminoacidi non marcati Analisi elettroforetica ed autoradiografica delle proteine prodotte durante l’esposizione al tracciante in cellule seguite nei cicli successivi. L’analisi elettroforetica ed autoradiografica effettuata seguendo le proteine marcate rivela la presenza di proteine stabili e di altre che compaiono e scompaiono ciclicamente, in corrispondenza di fasi particolari del ciclo cellulare. Queste ultime vengono dette cicline. Late G1 G1-S S G2 G2-M M Early G1 Late G1 G1-S S G2 Le cicline si associano a proteinchinasi specifiche del ciclo cellulare, le cyclin-dependent kinases (cdk); in particolare è stata studiata la p34 (PM = 34.000). Complesso ciclina-chinasi attivo Studiando nel dettaglio le proteine in grado di associarsi alle cicline si è dimostrata l’interazione con proteinchinasi particolari che vengono attivate in seguito alla formazione del complesso. 101 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Soglia di concentrazione di ciclina per la formazione del complesso con le cdk. Le cicline vengono accumulate progressivamente fino a raggiungere una concentrazione tale da permettere la formazione del complesso attivo con le cdk, che hanno concentrazione costante durante in ciclo. La durata della fase G1 dipende quindi dall’affinità relativa tra la ciclina G1 e la cdk. Cellule mutanti in cui l’affinità è diminuita raggiungono maggiori dimensioni, avendo una fase G1 più lunga, e viceversa (es.: mutanti del lievito). Dipendenza delle fasi del ciclo cellulare da complessi ciclina-chinasi Diverse cicline si associano ad un numero limitato di cdk e controllano i diversi eventi che hanno luogo lungo le fasi del ciclo cellulare. 102 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Le cdk devono essere a loro volta fosforilate da chinasi specifiche, oltre ad interagire con le cicline, per essere attivate. Fosforilazione di proteine coinvolte nella progressione lungo il ciclo cellulare La famiglia di fattori trascrizionali E2F controlla l’espressione di geni coinvolti nella sintesi del DNA. Cellula in fase G1 precoce osservata in immunofluorescenza dopo esposizione ad un anticorpo specifico per la proteina E2F: la fluorescenza è citoplasmatica. Cellula in tarda fase G1 osservata in immunofluorescenza dopo esposizione ad un anticorpo specifico per la proteina E2F: la fluorescenza è nucleare. Conclusione: la transizione da tarda fase G1 a fase S richiede la traslocazione nucleare di E2F. La p105, che mantiene la E2F nel citoplasma per tutta la fase G1, è uno dei substrati del complesso ciclina-cdk. 103 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Il complesso ciclina-chinasi fosforila la Rb p105. La E2F controlla la trascrizione degli enzimi necessari per la trascrizione del DNA. Le drastiche modificazioni che hanno luogo durante la mitosi (scomparsa dell’involucro nucleare, condensazione della cromatina, organizzazione delle fibre del fuso) sono dovute ad eventi di fosforilazione controllati da un complesso ciclina-chinasi specifico della fase M. I nucleosomi sono ottameri di istoni. Anche la condensazione della cromatina dipende dalle cicline. 104 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Le lamìne danno origine ad una struttura tridimensionale quando non sono fosforilate. Fosforilazione delle lamìne, disgregazione dell’intreccio che sostiene l’involucro nucleare. Durante il passaggio dalla metafase all’anafase i cromosomi vengono disgregati in due cromatidi. 105 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com Al termine della fase S, il DNA non va incontro ad un nuovo ciclo di replicazione perché la DNA polimerasi non trova uno o più fattori (licensing factors) che le indichino i punti di inizio della duplicazione. à Cellula in fase G1 precoce: mancano gli enzimi per la duplicazione del DNA Cellula in tarda fase G1: gli enzimi per la duplicazione del DNA vengono sintetizzati e trasportati nel nucleo in seguito all’azione di E2F e si localizzano in corrispondenza dell’LF già ancorato ai punti d’inizio della duplicazione. I LF possono interagire con la cromatina solo durante la fase M precedente. Se l’LF non venisse degradato, il DNA verrebbe replicato più volte. Nell’embrione, durante la fase di segmentazione, la fase S dura di più e la fase G1 scompare. La cellula si segmenta senza aumento del citoplasma; la ciclina viene espressa sempre a livelli elevati. 106 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com RETINOBLASTOMA Il retinoblastoma è un tumore infantile causato da un difetto del gene Rb, situato sul cromosoma 13. Il cromosoma è presente nella forma materna e paterna; se i cromosomi di una cellula presentano il gene Rb mancante o non funzionante si ha il retinoblastoma, nelle forme sporadica o familiare. Forma sporadica Deriva da 2 mutazioni sullo stesso gene nella stessa cellula, evento che ha una probabilità per ogni cellula di 10-14. Dato che le cellule di ogni retina sono nell’ordine di 106, la probabilità di avere una forma sporadica di retinoblastoma è di 10-8. Forma familiare Si ha in soggetti portatori di una mutazione di uno dei due cromosomi 13. La probabilità che una mutazione colpisca l’altro cromosoma è più elevata: 10-7 per cellula. Dato che le cellule di ogni retina sono nell’ordine di 106, la probabilità è di 10-7 x 106 = 0,1 = 10%. Nella forma familiare il tumore è frequentemente bilaterale. Nelle fotografie scattate con il flash, i soggetti affetti da retinoblastoma presentano pupilla bianca. 107 PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com