Un percorso mistagogico: Durante PRIMA DURANTE DOPO Unità Fedeltà Amore Indissolubilità 8. La ministerialità degli sposi nella celebrazione. Gli sposi, nell'esprimere il loro consenso, sono ministri della grazia di Cristo. Essi vivono compiutamente la loro ministerialità partecipando in modo attivo ai diversi momenti della celebrazione. Nell'adattamento sono state messe in evidenza le diverse possibilità con cui gli sposi sono coinvolti in prima persona nell'azione rituale. In particolare ciò si attua con la loro partecipazione alla processione al fonte per la memoria del Battesimo, con la venerazione del Vangelo, con la scelta di formule diverse per esprimere il consenso e per invocare la benedizione e con la presentazione delle offerte all'altare. Se dunque è vostra intenzione unirvi in Matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete davanti a Dio e alla sua Chiesa il vostro consenso. Alla presenza di Dio e davanti alla Chiesa qui riunita, datevi la mano destra ed esprimete il vostro consenso. Il Signore, inizio e compimento del vostro amore, sia con voi sempre. Gli sposi si danno la mano destra. PRIMA FORMA Io N., accolgo te, N., come mia sposa/o. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. VECCHIA FORMA Io N., prendo te, N., come mia sposa/o e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Passare da «prendere» ad «accogliere» sposta in primo piano l'aspetto di «dono» del sacramento, pur non attenuando affatto l'aspetto di «compito». La formula dialogata del consenso poi porta entrambi a formulare la promessa solenne insieme, ad una voce, espressione di volontà univoca e di reciproco riconoscimento. SECONDA FORMA N., vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti? Sì, con la grazia di Dio, lo voglio. Noi promettiamo di amarci fedelmente, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di sostenerci l’un l’altro tutti i giorni della nostra vita. TERZA FORMA N., vuoi accogliere N. come tuo sposo/a nel Signore, promettendo di essergli/le fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo/a e onorarlo/a tutti i giorni della tua vita? Accogliere significa che l'altro non è un possesso. È Dio che consegna gli sposi l'uno all'altra, ed essi «si ricevono» dalle mani stesse del Creatore. Parlare di accoglienza significa parlare di impegno e di responsabilità perché la promessa sfida il tempo, anche quello del "deserto" e della prova. L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita col patto coniugale, cioè con l’irrevocabile consenso personale. E così, dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, nasce, anche davanti alla società, un istituto che ha stabilità per ordinamento divino; questo vincolo sacro ordinato al bene sia dei coniugi e della prole sia della società, non dipende dall’arbitrio umano. Perché è Dio stesso l’autore del matrimonio, dotato di molteplici beni e fini; tutto ciò è di somma importanza per la continuazione del genere umano, per la perfezione personale e il destino eterno di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana. Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l’uomo e la donna, che per il patto coniugale «ormai non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la raggiungono. Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità. Gaudium et Spes, 48 Can. 1056 - Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento. Can. 1057 § 1. L’atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana. § 2. Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio. ACCOGLIENZA DEL CONSENSO 74. Il sacerdote, stendendo la mano sulle mani unite degli sposi, dice: Il Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa e vi ricolmi della sua benedizione. L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce. Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito mandar via la propria moglie per un motivo qualsiasi?» Ed egli rispose loro: «Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: "Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne"? Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l'uomo non lo separi». Mt 19,3-6 La frase del Signore si inquadra fra due espressioni caratteristiche. Essa è preceduta da una domanda di tipo «tecnico»: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». I farisei non domandano se è lecito ripudiare la propria moglie, cosa che considerano scontata, ma se è lecito ripudiarla «per qualsiasi motivo». Con ciò vogliono sapere l'opinione di Gesù in merito a una questione molto discussa nelle scuole rabbiniche, probabilmente per poterlo poi accusare di rigorismo o di lassismo e quindi screditarlo di fronte all'opinione pubblica. Gesù, invece, cambia la domanda e la pone su un piano molto più elevato, riferendosi alla legittimità del ripudio. La risposta del Signore è drastica: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». Essi gli dissero: «Perché dunque Mosè comandò di scriverle un atto di ripudio e di mandarla via?» Gesù disse loro: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda via sua moglie, se non in caso di pornéia, e ne sposa un'altra, commette adulterio». Mt 19,7-9 Di fronte a questa risposta così decisa e definitiva, i farisei domandano a Gesù una spiegazione della ragione storica della legge di Mosè. Perché Mosè si è dimostrato più tollerante di Cristo? E Gesù chiarisce: per la durezza di cuore degli israeliti, ma soggiunge, «da principio non fu così», come per dire che Lui veniva a ristabilire l'antica legge divina in tutta la sua purezza. I discepoli gli dissero: «Se tale è la situazione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene prender moglie». Ma egli rispose loro: «Non tutti sono capaci di mettere in pratica questa parola, ma soltanto quelli ai quali è dato. Poiché vi sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; vi sono degli eunuchi, i quali sono stati fatti tali dagli uomini, e vi sono degli eunuchi, i quali si sono fatti eunuchi da sé a motivo del regno dei cieli. Chi può capire, capisca». Mt 19,10-12 Non ci può essere dubbio: siamo di fronte a un precetto positivo di tipo giuridico. Lo conferma la frase che i discepoli, un po’ sbigottiti, rivolgono al Signore: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Sono parole che si possono capire solo ammettendo che la frase di Gesù sia stata pronunciata - e intesa dai discepoli - in un senso assolutamente precettivo, e non esortativo. Or quanto alle cose di cui mi avete scritto, è bene per l'uomo non toccar donna; ma, per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto; lo stesso faccia la moglie verso il marito. La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; e nello stesso modo il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie. Non privatevi l'uno dell'altro, se non di comune accordo, per un tempo, per dedicarvi alla preghiera; e poi ritornate insieme, perché Satana non vi tenti a motivo della vostra incontinenza. Ma questo dico per concessione, non per comando; io vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io; ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio; l'uno in un modo, l'altro in un altro. Ai celibi e alle vedove, però, dico che è bene per loro che se ne stiano come sto anch'io. Ma se non riescono a contenersi, si sposino; perché è meglio sposarsi che ardere. Ai coniugi poi ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito (e se si fosse separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito); e che il marito non mandi via la moglie. 1Cor 7,1-11 Il testo di san Paolo aggiunge una nuova conferma a quanto è stato detto. Infatti nel capitolo 7 della Lettera ai Corinzi l'Apostolo distingue accuratamente fra ciò che egli stesso consiglia e ciò che il Signore dice. Egli – Paolo consiglia ai non sposati e alle vedove di rimanere tali e, se non sanno vivere in continenza, di risposarsi. E il Signore invece, non Paolo, a ordinare di non separarsi e, nel caso ci si separi, di non risposarsi. Il significato di porneia orienta la riflessione: alcuni vogliono vedervi la fornicazione nel matrimonio, cioè l'adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile; così le Chiese ortodosse e protestanti. Ma in questo senso ci si sarebbe aspettati un altro termine, moicheia. Sembra più verosimilmente che porneia indichi i matrimoni contratti tra ebrei e pagani, che erano proibiti secondo il Levitico. Ma tali unioni erano considerate illegittime, alla pari delle unioni incestuose e pertanto non davano origine ad un matrimonio, ma ad un concubinato. Allora non il permesso di divorziare in seguito all’adulterio, ma l’affermazione indiretta che si tratta di falsi matrimoni. Ma agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha una moglie non credente ed ella acconsente ad abitare con lui, non la mandi via; e la donna che ha un marito non credente, s'egli consente ad abitare con lei, non mandi via il marito; perché il marito non credente è santificato nella moglie, e la moglie non credente è santificata nel marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi. Però, se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono obbligati a continuare a stare insieme; ma Dio ci ha chiamati a vivere in pace: perché, tu, moglie, che sai se salverai tuo marito? E tu, marito, che sai se salverai tua moglie? 1Cor 7,12-15