I R A P P O R T I C O N G L I A LT R I : V I V ER E I N S O C I E TÀ Maria Teresa Dainotti Madre Teresa di Calcutta TEMI Nata nel 1910 a Skopje (ex Iugoslavia, ora Macedonia) da genitori albanesi, suora in India dal 1928, Madre Teresa di Calcutta avvertì d’improvviso, irresistibile, la «seconda vocazione», quella che la spinse a lasciare il confortevole convento per andare tra gli «ultimi»: lebbrosi, malati terminali, orfani abbandonati nella spazzatura. Priva di risorse, armata solamente di una fede eroica, la piccola, esile suora, perennemente avvolta nel semplice sari bianco orlato d’azzurro, riuscì a creare un grande, efficiente ordine religioso con ramificazioni in tutto il mondo. Premio Nobel per la pace (1979), Madre Teresa di Calcutta è considerata un simbolo del nostro tempo per la sua profondissima carità e la totale dedizione di sé in favore dei bisognosi e sofferenti ed è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II nel 2003. 1. inerti: immobili. 2. immane: enorme, immenso. 3. Kali: nella religione indiana, dea in cui sono personificate le forze oscure e distruttive della natura. È raffigurata con quattro o più braccia. 4. sari: la veste femminile indiana, costituita da una stoffa variopinta che si porta drappeggiata intorno alla persona. 1 Tra le opere di Madre Teresa la più conosciuta forse e certo la più popolare è l’opera di raccolta e assistenza dei moribondi abbandonati. Non uno di questi miseri fu abbandonato da Madre Teresa. Ma presto divennero tanti. Alcuni li scoprì lei di persona nei primi giorni del suo vagabondaggio d’amore, mucchi di stracci inerti1 in desolata attesa della fine; altri glieli andò segnalando la pietà di gente impotente a trovare rimedi. Occorreva, e subito, un luogo dove radunarli e curarli, passando dall’uno all’altro soccorrevole e pietosa. Madre Teresa riflette: le due stanze offerte dalla famiglia Gomez sono insufficienti; e quanto spreco di spazio vi è nell’India dai contrasti violenti in cui i palazzi e i tuguri si sfiorano, dove i palazzi sono stati costruiti col solo scopo di mostrare magnificenza e di sfidare i secoli, e i tuguri sono tra i più miseri che mente umana possa concepire! Un giorno, trova abbandonata in un vicolo una povera inferma qua e là rosicchiata da topi e formiche. Con il cuore colmo di disperato amore, la trasporta in un ospedale. La solita difficoltà: non c’è posto. E scatta un’idea. Subito si presenta con umile audacia alle autorità governative preposte all’immane2 compito dell’assistenza. «Non potrei trasportare i miei assistiti nei locali per pellegrini del Kalighat?» Nel tempio della dea Kali3? La sorprendente richiesta suscita stupore e perplessità. Ma il sorriso della piccola suora è fiducioso, disarmante e fa riflettere. Dopotutto, quella suora si mostrava rispettosa delle credenze indiane e diceva che sarebbe stata felice di portare i suoi assistiti in un tempio di devozione indù. Perché dunque respingere l’offerta d’aiuto di questa suora disinteressata, che si è fatta indiana fra gli indiani anche nel rozzo sari4 che indossa? Il suo dire leggermente inceppato esprime un’ansia d’amore cui non si resiste, il suo viso segnato di fatica pare splendere di luce... Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education I R A P P O R T I C O N G L I A LT R I : V I V ER E I N S O C I E TÀ 5. indugio: esitazione. 6. sovvenzione: aiuto TEMI in denaro. 7. profanazione: sacri- legio. 8. netti: in modo chiaro e deciso. 9. alacre: sollecita, ope- rosa. 10. fetide: puzzolenti. 11. si arrovellano: si danno da fare con accanimento. 12. astiosi: pieni di rabbia. 13. declina: peggiora. 2 Senza troppo indugio5 il permesso è accordato. L’autorità non farà dunque opposizione, ma per quanto riguarda l’attuazione pratica del progetto, veda lei, la suora stessa, come vincere l’inevitabile ostilità e gli impedimenti dei sacerdoti di Kali e dei suoi fedeli. Se ci riesce, le sarà anche data una sovvenzione6. Le resta da fare il passo più difficile, e coraggiosamente risolve di compierlo subito. È incalzata dall’amore e dalla necessità e poi... non c’è senso ad aspettare: Madre Teresa è concreta e la sua volontà illuminata d’amore, scattante. Avanti, in nome di Gesù! Aiutata certo da qualche volonteroso che non ha resistito al suo sorriso e alla sua energia, la Madre, rispettosa ma fermissima, trasporta i casi più urgenti nelle due vaste sale destinate a dormitorio per i pellegrini di Kali, una per gli uomini e una per le donne, e inizia la sua opera salvifica. I sacerdoti del tempio e molti fra i fedeli sono paralizzati per lo stupore al primo momento. Ma presto le loro proteste salgono alle stelle e la loro indignazione si gonfia come una montante marea minacciosa. È inaudito! È una profanazione7 introdurre malattia e morte nel recinto del sacro tempio. Non è assolutamente possibile che quella piccola suora tranquilla e sorridente abbia ottenuto il permesso di contaminare un tempio indù. Via, bisogna mandarla via. Si ricorre all’autorità: ma come... come si può osare... Nei sacri recinti... la dea non permette... si vendicherà... I funzionari preposti all’assistenza rispondono netti8: «Benissimo. Fate però voi ciò che fa Madre Teresa!». I sacerdoti si ritirano sconfitti, stupiti di esserlo, incapaci di provvedere. Osservano ostili, insensibili alla luce d’amore che irradia dalla figura della suora, alacre9, attiva, gentilmente curva e protettiva sui suoi prediletti. La vedono, indiana fra gli indiani nel vestito, nel linguaggio, nell’atteggiamento, mangiare in una ciotola la stessa minestra che prepara infaticabile per i suoi protetti. La vedono lavare con cura poveri corpi putrefatti e cancerosi, compiere serena i servizi più umili, ripulire senza ribrezzo, con infinito amore, le piaghe più fetide10, le ulcerazioni più orrende. La vedono soffrire con quelli che non riesce a salvare, la vedono risplendere a ogni lento e sicuro recupero. Li ama i suoi poverissimi, li protegge, dona loro la felice meraviglia di sentirsi desiderati, poiché è lei che prova riconoscenza per avere il privilegio di prodigarsi. Essi, i sacerdoti di Kali, rimangono ostinatamente ciechi, asserragliati nel loro fanatismo, e si arrovellano11 per riuscire a spuntarla, astiosi12 e maldisposti ogni giorno di più, spesso minacciosi... Ma un giorno... uno dei preti più accesi nell’osteggiare Madre Teresa si ammala e rapidamente declina13. All’ospedale, presto. Non è accettato: non c’è posto. Si prova in un altro, in un altro ancora: niente da fare. Il male del poveretto si profila impietoso, infettivo e disgustante: nessuno vuole occuparsene. Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education R A P P O R T I C O N G L I A LT R I : V I V ER E I N S O C I E TÀ TEMI I 14. cardiotonici: farmaci che aumentano le contrazioni del cuore. È l’abbandono dunque? La fine? Madre Teresa spalanca il suo cuore se possibile anche di più, prepara un giaciglio, inizia amorevoli cure, infaticabilmente lotta perché questo suo figlio non muoia e viva. L’ostilità dei sacerdoti del tempio si muta presto in ammirazione, l’ammirazione in cooperazione volonterosa. E poi, bisogna proprio dirlo: quella piccola suora non chiede conversioni dell’ultima ora e tratta tutti allo stesso modo, con estremo amore: indù, musulmani, cristiani, parsi, sikh, ebrei... Ha rispetto per tutti anche nel rito estremo e non cambia nulla di ciò che è tradizionale per ciascuno... Ed ecco allora sorgere la prima «Nirmal Hriday», la casa rifugio per i morenti abbandonati. L’opera avviata si sviluppa rapidamente: gli studenti di medicina cominciano ad andare ogni sabato a sbarbare i morenti e a rendere loro umili servizi, e alcune signore di alta casta vengono regolarmente a lavare poveri corpi insozzati dal male. Una sera una poveretta viene portata con un’ambulanza alla Nirmal Hriday. Mucchio informe e maleodorante, è deposta su uno dei pochi giacigli vuoti. Da dove viene? Estratta forse da un gran mucchio di rifiuti come non di rado è capitato? Da un fossetto di acqua fetida dove è crollata esausta? Da un giaciglio lurido dove se ne stava abbandonata da giorni? Madre Teresa, quella sera è presente nella casa dei morenti, e accorre. Solleva con amore i pochi stracci che ricoprono un fisico devastato. Signore Iddio, che pietà! Che storia di patimenti narra quel povero corpo scarno, pieno di piaghe che corrodono la scura pelle avvizzita. Rapida e attenta, Madre Teresa provvede a una pulizia sommaria e a una prima disinfezione. Ma le condizioni della povera donna che forse è giovane appaiono disperate e l’occhio esercitato della Madre se ne accorge presto con lucida pena. Meglio tentare di rianimare subito con cardiotonici14, un brodo tiepido e tanto amore. La misera mormora in un soffio: «Perché fai questo?». «Perché ti voglio bene...» dice piano Madre Teresa con il cuore gonfio d’amore e di pietà. Una luce di incredula gioia si riverbera dall’interno su quel viso scavato, dove la morte ha già impresso il misterioso segno della sua scelta. «Oh, dillo ancora!» «Perché ti voglio bene» ripeté la Madre con ferma dolcezza. «Dillo ancora, dillo ancora.» La morente stringe le mani della Madre e l’attira a sé, per sentire, per sentire tante volte ancora, beata mentre la vita sfugge, le più belle, le più care parole del mondo. (da Madre Teresa di Calcutta, EMI, Bologna, rid. e adatt.) 3 Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education