Madre Teresa di Calcutta e l'Univertità Cattolica
Come tutte le cose belle, ideate dal Buon Dio, l’amicizia tra l’Università Cattolica e madre
Teresa di Calcutta nacque da una “ combinazione”: in uno dei quartieri pià poveri di Roma,
Primavalle, le Missionarie della Carità aprirono, nel 1980, una Casa di accoglienza per ragazze
madri, chiamata Casa Allegria.
Il quartiere è molto vicino al Policlinico Gemelli e, per affrontare i problemi dell’assistenza di
gestanti e bambini, madre Teresa si rivolse al Rettore dell’Università Cattolica, il prof. Lazzati.
Nell’incontro, presenti due suoi collaboratori, Beniamino Andreatta e mons.Giovanni Marra, ora
arcivescovo di Messina, la Madre chiese aiuto per le ragazze madri e per i bambini: la
gravidanza, il parto, la fase neonatale necessitavano di interventi medici domiciliari,
ambulatoriali e di emergenza.
La descrizione di quell’incontro è stata recentemente fatta dal dott. Pallanch nell’ultimo
numero di “Presenza”: “Alle richieste della Madre, Lazzati si disse in grado, come Università e
con il sostegno dell’Istituto Giuseppe Toniolo, di accogliere e farsi carico, anche sul piano
economico, dei ricoveri (va ricordato che la legislazione di allora limitava l’assistenza sanitaria
agli stranieri, e in particolare agli extracomunitari, campo di elezione dell’interesse della
congregazione di madre Teresa).
Sul problema della “assistenza domicilare” e ambulatoriale, Lazzati, con franchezza, dovette
ammettere che un’attività interna di tipo volontaristico non era programmabile per il personale
del Gemelli e che neanche un Rettore poteva imporla.
Suggerì tuttavia di prendere contatti con il Servizio Stampa, per avere l’indicazione di un
medico disposto a farsi carico a trovare una soluzione al caso. Il Servizio Stampa segnalò il
Dott. Giuseppe Noia, giovane Ricercatore dell’Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica e
assistente dei professori Adriano Bompiani e Salvatore Mancuso”.
Nel 1981, nominato assistente da poco, mi stavo attivando per fare qualcosa sul piano del
volontariato e mi era già capitato di incontrare, in Pronto Soccorso e in Sala parto, gestanti
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accolte nelle casa di via S.Igino Papa (Casa Allegria), accompagnate dalle suore Missionarie
della Carità, sempre sorridenti.
Continua il racconto del dott. Pallanch:«Nel gennaio del 1981 il preside della Facoltà di
Medicina, prof. Antonio Sanna, invitò il Consiglio di Facoltà a solennizzare il ventesimo di
fondazione della Sede di Roma della Cattolica con eventi che richia­massero all’opinione
pubblica, e in particolare ai giovani studenti, la missione peculiare di questa istituzione, alla
quale proprio lo stesso anno capitò la ventura di curare papa Giovanni Paolo II, dopo l’attentato
del 13 maggio. Propose quindi di intitolare la Facoltà, emblematicamente, al suo fondatore,
Agostino Gemelli, medico, scienziato, francescano; e di aprire l’elenco delle lauree honoris
causa con il nome simbolo di madre Teresa di Calcutta. Il Consiglio di Facoltà approvò
all’unanimità le pro­poste. A proposito di madre Teresa, il prof. Sanna scrisse nel suo volume di
memorie (Un tratto di strada, novembre 1987, f.c.):
“Nel ventennio della sua fondazione, la Facoltà di Medicina e chirur­gia dell’Università
Cattolica del S.Cuore ha voluto, all’unanimità, pro­porre il conferimento della prima laurea
honoris causa a madre Teresa di Calcutta.
Donna di una forza irresistibile, alimentata dalla ricchezza delle sue doti spirituali e umane,
ha fatto della sua vita dono a servizio dei più poveri tra i poveri. Ai bambini abbandonati,
distrutti dalla malattia e dalla fame, agli indigeni moribondi, a quegli esseri privi di qualsiasi
diritto che sono i ‘paria’, a quanti sono vittime di una società disumana, ai corpi sofferenti dei
lebbrosi e di coloro che non hanno speranza di guarigione ha cercato in ogni modo, superando
resistenze e difficoltà, di portare il sollievo della medicina applicata e dell’Assistenza offerta con
l’amore più disinteressa­to. ‘So che quando tocco le membra di un lebbroso che emana fetore
da ogni parte, sto toccando il corpo di Cristo, come quando prendo il Suo Corpo sacramentale
nell’Eucarestia’.
Ai poveri, ai moribondi quotidianamente raccolti nelle ‘Nirmal Hri­day’, ai lebbrosi ospitati nel
paese di ‘Shanti Nagar’, da lei edificato nei dintorni di Calcutta, madre Teresa ha offerto la sua
esistenza, i mezzi ricevuti da ogni parte e i numerosi premi che le sono stati conferiti: dal
Premio Nobel per la pace, al Premio Schweitzer, al Premio Giovanni XXIII, al Premio
Templeton, al Premio Nehru, a tanti altri.
Proporre il conferimento della prima laurea honoris causa a madre Teresa di Calcutta, che, più
che un esempio, — disse Follerau — è un simbolo dell’amore; a questa donna straordinaria, di
fronte alla quale —disse Indira Gandhi — ci sentiamo un po’ umiliati e vergognosi di noi stessi;
a questa grande realizzatrice di opere di bene; significa rendere omaggio ad una vita
interamente dedicata alla sofferenza umana; significa ricordare i valori etici che debbono
guidare la missione del medico e del paramedico; significa riaffermare i principi ispiratori della
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Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica; significa additare un modello lievitan­te per tutti.
Scriveva Leone Tolstoi: ‘Come una fiamma ne accende un’altra e migliaia di fiamme si ritrovano
accese, così un cuore ne accende un altro e migliaia di cuori si accendono e si infiammano’ ”.
Per dar seguito alla proposta di Sanna, occorreva il consenso di madre Teresa, necessario per
l’iter ministeriale e per l’organizzazione della “se­duta di laurea”. Al prof. Sanna — e proprio
nella mattinata del 13 maggio del ‘81, poche ore prima dello storico attentato in piazza San
Pietro—, che la incontrò, a nome del rettore Giuseppe Lazzati, nella residenza romana del
Celio, madre Teresa dichiarò di accettare l’onore, perché lo riteneva capace di far scaturire
benefici per i poveri. Con un patto. La comunità dell’Università Cattolica si impegnava a
stimolare i suoi membri alla carità e alla solidarietà verso i più diseredati. Una piccola
annotazione di stile. Per venire alla laurea, madre Teresa sarebbe dovuta partire da Calcutta.
Non poteva sottrarre ai poveri la somma per il biglietto aereo per Roma. E chiese, subito e con
molta disinvoltura, il prepagato.
Memorabile la cerimonia del conferimento della laurea, in Audito­rium, il 10 dicembre 1981, da
parte del rettore Giuseppe Lazzati e con la partecipazione dell’intero corpo accademico e di una
enorme folla, che, dopo i discorsi del prof. Lazzati e la lettura del messaggio personale del
Papa, ascoltò commossa le parole di madre Teresa: “Chiediamo alla Madonna, la Madre di
Gesù, così pura, così immacolata, di darci la forza di amare il Signore, come Lei lo ha amato,
così da poterlo servire nei poveri e nei malati.
..”
.
Quando seppi che sarebbe stata conferita la laurea honoris causa a madre Teresa di Calcutta,
mi proposi di parteciparvi per conoscere da vicino questo meraviglioso personaggio.
Fu così che incontrai la realtà della Madre, la grande testimone della vita e della sua dignità. Il
10 dicembre, in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte della Facoltà di
Medicina della nostra Università, all’interno dell’Auditorium eravamo tanti: con mia madre cercai
una saletta dove potei assistere alla cerimonia, attraverso un moni­tor televisivo.
Avevo la sensazione di vivere un momento particolare, perché potevo finalmente conoscere
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questa suora che, caso unico nella storia, aveva ricevuto il Nobel per la pace non per particolari
meriti politici o diploma­tici nei confronti di nazioni in conflitto, ma per aver aiutato l’uomo
morente a riconciliarsi con Dio, per aver dato amore e cibo ai più poveri tra i poveri, per aver
difeso con coraggio e autorità i bambini non nati, cioè gli ultimi.
Le veniva riconosciuto, caso straordinario per una cultura che quasi mai parla il linguaggio di
Dio, di aver lavorato per la pace vera, l’unica pace vera che è in Dio.
La laurea honoris causa fu conferita con queste motivazioni:
«A AGNESE GONXHA BOJAXHIU (madre Teresa di Calcutta), donna di una fede in Cristo
semplice e irresistibile, alimentatrice della ricchezza delle sue alte doti spirituali e umane, ha
fatto della sua vita dono al servizio dei più poveri tra i poveri, dei lebbrosi, degli indigenti
moribondi, dei bambini colpiti dalla malattia o distrutti dalla fame e di quanti non hanno
speranza di guarigione. Sublime esempio di cristiana dedizione all’uomo, tradotto in una
creativa intraprendenza per l’attuazione di grandiosi piani rivolti al servizio dei più sofferenti e
abbandonati conferiamo “honoris causa” il titolo e i diritti di Dottore in Medicina e Chirurgia».
Il prof. Lazzati poi, aggiunse: «L’iniziativa appare particolarmente felice. Essa assurge, infatti, al
valore di un gesto emblematico, mediante il quale la Facoltà di Medicina e chirurgia intende
indicare il senso ultimo del proprio sforzo di studio e di ricerca nei diversi campi della scienza: il
senso cioè di un servizio all’uomo che, animato dall’amore, non si ferma al corpo, ma raggiunge
lo spirito, per suscitarvi la fiamma della speranza nel mondo trascendente dei valori cristiani.
Forse in nessuna scienza come in quella medica appare, con stringente evidenza, il suo
essere legata al servizio dell’uomo, un servizio che in ogni suo momento tanto più acquista
senso quanto più si accende di amore.
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A tale punto che, ove non soccorra o soccorra in minima parte la scienza, l’Amore già vale a
recare a chi soffre per il corpo malato un sollievo che non sempre la scienza, da sé, vale a
recare. Madre Teresa di Calcutta ne è esempio — tanto più luminoso quanto più nemico di
chiasso — agli occhi stupiti di un mondo che una volta di più, attraverso di Lei, riscopre la
potenza di un Amore — una Carità per usare il termine teologico — che è capacità di amare
come ama Dio.
Riteniamo vero dono di Dio l’averLa oggi fra noi nella sua umile, fulgente semplicità ed è fatto
carico di significato il poterLa di qui in avanti, grazie all’atto che ci accingiamo a compiere,
considerarLa mem­bro della nostra grande famiglia — la famiglia della Università Cattolica del
Sacro Cuore, la Università, cioè che, in forza dell’aggettivo e del nome che la qualificano, sa di
essere chiamata a rendere testimonianza di come in essa debbano coniugarsi la Carità della
Verità e la Verità della Carità».
Madre Teresa, ringraziando, rispose:
"Io personalmente sono molto indegna di questo riconoscimento, poiché sono solo una
Missionaria della Carità, però lo accetto ad onore e gloria di Dio e a nome di tutti i poveri, i
deboli, gli storpi, i sofferenti, i malati di mente, quelli che non sono amati, lo accetto a nome di
tutti costoro e anche a nome di tutti i malati che sono stati guariti in questo ospedale, compreso
il nostro Santo Padre.
Io non sono che uno strumento. La prima volta che mi assegnarono un premio restai molto
sorpresa. Non sapevo se accettare o no. Ma arrivai alla conclusione che dovevo accettare i
premi in nome dei più poveri tra i poveri, come un omaggio reso ai più poveri. In fondo, dandomi
premi, credo che si riconosca l’esistenza dei poveri nel mondo.
Una sera, qui a Roma, quando le nostre suore erano in giro, venne un uomo che sembrava
molto solo. Io lo salutai, gli strinsi la mano, e lui mi disse: «era molto tempo che non sentivo il
calore di una mano umana». Conosciamo davvero i poveri di Roma? Venite a vedere, può darsi
che dobbiamo cominciare nella nostra stessa famiglia. Allora dobbiamo prega­re, perché il frutto
della preghiera è l’approfondimento della fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è
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il servizio".
Continuando affermò:
"Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che qui in Europa non ci sia chi ha fame e chi è
senza vestiti. Non c’è solo fame di pane, ma anche fame d’amore. Non si è nudi solo per
mancanza di un pezzo di stoffa, ma lo si è anche per mancanza di dignità umana. Non si è
senza casa solo perché manca una stanza fatta di mattoni, ma non si ha una casa anche
quando c’è la paura di essere reietti, soli. Per questo dobbiamo pregare. La preghiera ci darà
un cuore puro, e un cuore puro può vedere Dio; quando poi vedremo Dio, allora ci ameremo gli
uni gli altri come Dio ama ognuno di noi".
"C’è poi la grande povertà del mondo di oggi: l’aborto. L’aborto non è altro che la paura del
bambino. Paura di dover nutrire, educare e, soprattutto, amare un’altra creatura, per questo il bambino deve morire".
"E’ bello ricordare che il primo a riconoscere la venuta del Signore sia stato un bambino non
ancora nato. Quando Maria visitò Elisabetta, il bambino sussultò di gioia nel grembo di sua
madre.
Rivolgo perciò una preghiera a tutti i medici di questo ospedale: non lasciate mai che una
madre uccida la propria creatura. Ancora un’altra richiesta: se non c’è nessuno che vuole
questa creatura, la prendo io.
A Primavalle, il Santo Padre ci ha donato dei bei locali dove ogni bambi­no, ogni ragazza madre
è sempre ben voluta. Allora tutti insieme facciamo questo bel proposito: che nella città di Roma
non lasceremo mai morire un bambino senza amore, senza essere desiderato, senza cure.
Questo è il modo migliore per dire grazie al Signore per il bel lavoro già realizzato, che si sta
realizzando e che si realizzerà in questo ospedale. La mia preghiera per voi è che cresciate
nella somiglianza a Cristo, nella vostra compassione e nel potere di guarire che il Signore ha
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posto nelle vostre mani. E pregate per noi, affinché possiamo continuare a fare il lavoro del
Signore con grande amore e senza guastare l’opera sua".
Ritornai a casa con molti pensieri nel cuore e con la sensazione che Qualcuno, quella sera, mi
avesse offerto una possibilità: quella di rendere il mio lavoro ‘grandioso’ pur nella piccolezza
degli atti e delle decisioni, di rendere il mio tempo ‘importante’ pur nella semplicità e quotidianità
della routine giornaliera.
Era come se Qualcuno, attraverso le parole di madre Teresa mi avesse aperto gli occhi verso
un modo di vivere, il mio lavoro di medico, con un gusto speciale per le piccole cose di ogni
giorno.
La gentilezza, il sorriso, la precisione, la gioia, l’interesse per la perso­na, l’impegno scientifico,
la gaiezza, la condivisione, la pazienza erano apparsi all’improvviso come gli elementi
importanti della mia professio­nalità e del mio essere medico cristiano.
Tutto ciò che la gente chiama «umanità» e che non è altro che «Amore».
«Sì» dissi fra me, «penso proprio che sarebbe bello far qualcosa che resta: e, come ha fatto
madre Teresa, anche il più piccolo e nascosto gesto d’amore… resta!!!».
Alcuni giorni dopo vidi aggirarsi per l’ambulatorio una Missionaria della Carità (sister Shalom
era il suo nome) con una paziente di colore, gravida. Mi venne spontaneo chiedere chi stesse
cercando. «Cerco un ginecologo per questa mamma in attesa» ed io risposi: «L’ha già trovato:
eccomi».
Continuiamo il racconto con le parole del dott. Pallanch: «Attorno a mons. Marra e al dott. Noia
con l’incoraggiamento dei professori Bom­piani e Mancuso, e del prof. Giuseppe Segni,
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direttore di Pediatria, si formò in Facoltà il gruppo di amici e di sostenitori delle opere di madre
Teresa a Roma. Vi aderirono, fin dall’inizio, ginecologi, pediatri, ostetri­che, infermiere,
personale amministrativo, avendo come punto di raccor­do l’Avog (Associazione volontari del
Gemelli). Il gruppo si è fatto carico non solo degli aspetti sanitari di Casa Allegria e del
collegamento col Gemelli, ma ha anche fornito un’assistenza ‘sociale’ alle ospiti e ai loro
bambini (ne sono nati da allora oltre 1.000) e promosso iniziative di solidarietà, di
intrattenimento (la festa di Natale, della mamma ecc.).
Il gruppo è ancora attivo e si è integrato nell’Associazione Donum Vitae — è diretta attualmente
da mons. Elio Sgreccia e dal dott. Giuseppe Noia — che segue anche le iniziative delle Pie
Suore della Redenzione e collabora con Casa Betania e il Centro Vita Nuova. Quando si dice
un piccolo seme...».
Nei mesi e negli anni successivi il gruppo di volontari s’incontrava mensilmente, presso la Casa
Allegria, per pregare e discutere i vari e complessi problemi che tale esperienza, di volta in
volta, presentava.
Ogni settimana il Day Hospital Ostetrico riceveva dalle tre alle sei ragazze madri, mettendo a
disposizione la più moderna ostetricia e l’assi­stenza nei reparti e nella Sala parto in caso di
ospedalizzazione. Neonato­logi e pediatri si presero cura dei bambini, anche con visite bimensili
presso la Casa Allegria.
Una particolare attenzione fu usata da parte di tutte le ostetriche, sia quelle dell’accettazione dei
reparti, sia quelle nel Day-Hospital sia nella Sala parto, che le assistevano nel momento
delicato del travaglio. Nel­l’animo delle mamme in attesa e al momento del parto si concentrano
spesso tutte le angosce e le sofferenze: quelle donne, poi, erano per condizione umana, più
povere di affetto, di sicurezza familiare e di futuro, perché spesso raccolte dalle Suore
Missionarie per le strade o sotto i ponti.
L’assistenza ostetrica diventava, quindi, estremamente impegnativa e coinvolgente. Talora la
gravidanza si presentava con problematiche parti­colari (la madre era malata mentale, o
sieropositiva per HIV, alcolizzata, paziente che aveva subito gravi violenze fisiche o agli arresti
domiciliari ecc.): in tali casi l’impegno era più gravoso e tutti i medici della clinica hanno sempre
mostrato professionalità e impegno, dinanzi a queste par­ticolari condizioni di «vita nascente a
rischio».
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Un incontro particolarmente bello è la «festa dei bambini» che si fa ogni anno prima di Natale:
molti collaboratori preparano con grande amore questa festa che comprende, dopo la S.
Messa, un momento ricreativo, con rappresentazioni della nascita di Gesù ideate e fatte dalle
stesse ragazze madri. Seguono poi gli auguri e la consegna dei doni personalizzati alle mamme
e ai bambini. È anche una festa ecumenica perché vi partecipano mamme di più etnie e credi
religiosi (musulmano, copto, ortodosso). È una festa di colori: bambini neri e bianchi che
partecipano col linguaggio universale della vita alla festa.
Una riflessione che mi veniva più volte era questa: le ragazze madri che sperimentano spesso
la desolazione, l’amarezza, l’incertezza del proprio futuro e di quello del loro bambino, che
vivono cioè una povertà, solitu­dine e umiliazione umana, talora spaventosa, accettano la vita,
portano avanti la gravidanza, mentre altre donne che hanno tutto (affetti, posizio­ne economica,
casa e lavoro), la rifiutano.
Questo apparente mistero l’ho capito, pensando alle parole di madre Teresa:
"Credo che una persona attaccata alla ricchezza, che vive preoccupata della ricchezza, in
realtà è molto povera. Se questa persona mette il suo denaro a servizio degli altri, è ricca, molto
ricca".
Mi fu chiaro così che vivere esperienze di umiliazione e di sofferenza ci rende più disponibili
all’accoglienza e a ricevere il dono della vita: lo sperimentare sulla propria carne le condizioni
delle nuove povertà (soli­tudine, abbandono, umiliazione) ci fa capire meglio l’altro e ci apre il
cuore. È un grande insegnamento su come vivere distaccati dai beni, sapendoli usare per il
Regno di Dio.
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"I poveri sono gente meravigliosa. Hanno la loro dignità che possiamo constatare facilmente.
In genere non si conoscono i poveri e per questo non si è capaci di scoprire la loro dignità. Ma i
poveri hanno, prima di tutto, un grande coraggio per condurre la vita che conducono. Si vedono
obbligati a vivere così. La povertà è stata loro imposta. Noi scegliamo la povertà; loro si vedono
costretti ad accettarla".
"Vi dico ancora qualcosa di molto bello. Un giorno due giovani vennero alla nostra casa e mi
diedero una grossa somma di denaro. E io chiesi: “Ma dove avete preso tanti soldi?”. E loro
risposero: “Due giorni fa ci siamo sposati. Prima di sposarci abbiamo deciso di non comprare
abiti per la cerimonia, di non fare la festa, e di dare i soldi così risparmiati a lei.” Ed io chiesi loro
una seconda volta - perché so che in India il giorno del matrimonio è un giorno importantissimo
- : “Ma perché avete fatto questo? E loro dissero: «Ci amiamo così tanto che vogliamo rendere
partecipi della gioia del nostro amore anche i poveri che voi servite».
"E voi avete provato la gioia di amare? In qualità di medici la potete certo provare: vi si offre
una occasione meravigliosa quando il sofferente, il malato si rivolge a voi; in particolare quando
dovete fare un sacrificio per prendervi cura di un malato indigente".
Nel 1985, madre Teresa tornò, come docente, nel nostro Policlinico e tenne una lezione
sulla materia d’insegnamento a lei più propria: il servizio e la carità.
"Leggiamo nel Vangelo che Dio ha tanto amato il mondo da darci Gesù, e ce Lo ha dato tramite
la purissima Vergine Maria. E, il momento in cui Egli entrò nella sua vita, quello fu il giorno della
Prima Comunione della Beata Vergine Maria. Che cosa fece Lei? Andò con tanta premura dalla
cugina Elisabetta per fare il lavoro umile di una serva. Così l’amore di Gesù che era in Lei ha
generato amore di azione, di servizio immedia­tamente. E avvenne qualcosa di molto strano:
quando Maria andò da Elisabetta il piccolo nascituro balzò di gioia nel grembo di sua madre: è
molto strano che Dio si sia servito di un bimbo non ancora nato per proclamare la venuta di
Cristo! E oggi si fa tanto male e si distrugge la pace attraverso l’aborto; perché, in effetti, ogni
bambino nato, o da nascere, è l’immagine di Dio. Perciò, distruggendo, con l’aborto, un
bambino noi distruggiamo la presenza, l’immagine di Dio. Eppure il bambino è tanto prezioso
che Dio stesso dice: «Anche se una madre dovesse trascurare il proprio figlio, io non vi
abbandonerò. Vi ho formati nel palmo della mia mano».
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L’aula Brasca era stracolma di docenti, di studenti, infermieri e perso­ne di ogni età, spinte
dal desiderio di sentire la sua ‘lezione’.
Con una semplicità spaventosa, le sue parole cadenzate avevano il potere di spaccare il
muro della confusione e di aprire spiragli di luce sul comportamento di tutti coloro che
incontrano la sofferenza.
"E voi giovani, domani sarete dei medici. La professione del medico non è soltanto una
professione, ma una vocazione, una missione.
Avete appena sentito il Vangelo dove Gesù dice: «Qualunque cosa voi facciate al più piccolo
dei miei fratelli voi lo fate a me». Qualunque cosa facciate per il malato, per la persona che
soffre, voi lo fate a Gesù. Ed è davvero meraviglioso pensare che voi potete essere dei
contemplativi veri e propri, nel vostro lavoro di medici, perché voi, nel malato toccate Lui, Gesù.
Ecco perché voi avete bisogno di un cuore puro. Avete pure sentito che Gesù ha detto: «Beati i
puri di cuore perché vedranno Dio». Voi, nel vostro ruolo di medici, dovete avere un cuore puro,
per vedere Dio nei malati che voi toccate, e che si rivolgono a voi con grande speranza e con
tanta fiducia. Di che dono stupendo godete voi, ciascuno di voi, nell’essere stati chiamati ad
essere dei medici. Ecco perché la vostra professione è una vocazione, il vostro lavoro è sacro,
è lavoro santo".
Ma la lezione di madre Teresa era tesa ad unire la sofferenza e il malato a Gesù crocifisso e a
dimostrare che il dono di vedere Gesù in ogni uomo che soffre, si può chiedere.
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"Chiediamo alla Vergine di darci un cuore puro affinché noi possiamo vedere il volto di Dio in
ogni malato. Perché qualunque cosa facciate ad essi lo fate a Gesù. «Se voi accogliete un
bambino nel mio nome, voi accogliete me», dice Gesù. E se voi date un bicchiere d’acqua o la
medici­na al più piccolo dei miei fratelli, voi lo date a me. E voi dovete ricordare, in modo
particolare, le parole di Gesù che dice: «Ero ammalato e mi avete visitato» e l’altra bella frase:
«Venite, venite voi benedetti del Padre mio, perché qualunque cosa avete fatto al più piccolo
dei miei fratelli lo avete fatto a me».
Soprattutto, siate gentili e premurosi col povero. Perché il nostro cuore sia sensibile alla
sofferenza noi abbiamo bisogno di pregare. Il frutto della preghiera è il rafforzamento della fede,
il frutto della fede è amore, e il frutto dell’amore è servizio".
Madre Teresa, nel corso della sua lezione, fu molto concreta dinanzi alle domande che le
venivano poste. Un’allieva infermiera disse: «Volevo chiedere una cosa. Noi assistiamo il
malato. Il malato è un uomo e, a volte, muore: come si fa ad aiutare un uomo a morire?».
Madre Teresa:
"Prima di tutto con la preghiera e poi fate in modo che lui senta il minor disagio possibile.
Nell’ora della morte abbiamo particolare bisogno di tanta tenerezza e affetto. Alcune settimane
fa è morta una delle nostre sorelle, che è stata in questo ospedale per tanto tempo. Prima del
suo ritorno a Dio, l’abbiamo riportata al convento. La sua è stata una bella morte, nonostante
soffrisse dei dolori atroci. Il suo amore per Dio, il suo amore per Gesù era molto più grande del
suo dolore, perché lei così viveva un po’ la passione di Cristo. Chiederò a Lei di prendersi cura
in maniera speciale di ciascuno di voi, che studiate in questa Università".
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Un medico le rivolse questa domanda: «Madre, Le vorrei chiedere: cosa può dire un medico
a un malato che non può guarire, che si trova, cioè, nella disperazione?».
Madre Teresa:
"Lei preghi con lui, gli parli dell’amore di Dio, gli faccia sentire che lei è lì accanto a lui: penso
che questo dovrebbe aiutarlo a tornare, in pace, a Dio. Inoltre, se c’è tanto dolore suggerisca al
malato di offrire il suo dolore per la pace nel mondo, perché quella sofferenza è tanto preziosa
agli occhi di Dio per il bene di tutti".
Una studentessa, infine: «Vorrei sapere il suo giudizio sulla situazione di tensione che c’è oggi
nel mondo: guerra tra Iran e Iraq, la situazione in Sudafrica, tutte le guerriglie che ci sono
adesso».
Madre Teresa:
"Dirò che se una madre può uccidere il suo stesso bambino con l’aborto, ciò che rimane è che
altri (estranei) si uccidano fra di loro. Perché l’aborto è la peggiore minaccia alla pace che ci sia.
Certe persone hanno paura delle armi nucleari, delle bombe, perché toccano loro direttamente,
ma l’uccisione di un bambino innocente non fa loro paura e quel bambino non può difendersi:
eppure quel bambino è una meravigliosa presenza fra di noi: è la stessa immagine di Dio. Ecco
perché l’aborto rappresenta la forma peggiore di distruggere la pace, perché nell’aborto si
commettono due delitti: si uccide il nascituro, e si uccide la coscienza della madre".
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Fu una giornata piena: dopo la lezione venne a visitare tutti i reparti dell’Istituto di
Ginecologia, si fermò soprattutto ad accarezzare i bambini del nido e a distribuire delle
medagliette della Madonna Miracolosa alle neo-mamme e a quelle che aspettavano di
diventarlo.
Arrivò in Sala parto: una donna aveva da alcuni minuti dato alla luce una bambina. Volle
vederle, madre e figlia, le benedisse e si fermò a parlare con le ostetriche, ringraziandole.
Quando lei uscì, la donna che aveva da poco partorito disse: «Avevo intenzione di dare il
nome di Lucia alla mia bambina, ma adesso che madre Teresa le ha dato una benedizione, la
chiamerà Benedetta».
Assistevo meravigliato e commosso accompagnandola nel tragitto. Nel­l’incontro con le
persone, la luce particolare degli occhi di ognuno mi faceva percepire quanta gioia questa
Santa donna comunicasse col solo suo sguardo, con la parola e col suo passaggio. E mi
ricordai di Gesù:
« Passò beneficando tutti e tutti volevano vederLo, toccarLo e parlar­Gli».
Quando arrivammo negli ambienti del Day Hospital, dissi alla Madre: «In queste stanze
abbiamo molti incontri con pazienti che chiedono di sapere come sono le condizioni dei propri
bambini, soprattutto in caso di malformazioni o altre condizioni a rischio. In queste stanze
avvengono le decisioni importanti per la salute e la vita stessa di molti esseri umani. Vengono
anche effettuate procedure diagnostiche e terapeutiche rischio­se ma importanti per la vita dei
piccoli pazienti: Le chiediamo una preghiera speciale perché tutti noi si possa servire la Vita».
Madre Teresa si fermò per cinque, lunghissimi, minuti pregando con le mani giunte dinanzi al
proprio viso e con gli occhi chiusi e dicendo alla fine:
"La Madre di Dio vi aiuterà".
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In un’altra sede disse:
"Chiediamo alla Madonna che ci dia un cuore così bello, così puro, così immacolato, un
cuore così pieno di amore e di umiltà perché noi possiamo portare Gesù come lo ha portato Lei
per darLo a noi, così che noi possiamo amare Gesù come Lei lo ha amato e servirLo quando ci
si presenta nell’aspetto ripugnante del povero".
Una persona le chiese: «Madre, Lei avrà sicuramente una vita di carità molto intensa e
certamente ricca di preghiera. Volevo chiederLe come prega, che rapporto ha con Dio?».
Madre Teresa:
"Come parla un bambino a sua madre, a suo padre? Noi siamo figli di Dio. Dobbiamo rivolgerci
a Lui e aprire a Lui il nostro cuore. Ricordate il figliol prodigo e come il padre lo abbracciò,
quando lui finalmente tornò a casa?
Nel gennaio scorso ero in Cina e uno dei grossi esponenti del Governo, un comunista, mi ha
chiesto: «Che cos’è per Lei un comunista?». Io dissi:
«Un figlio di Dio, mio fratello, mia sorella; perché la stessa mano di Dio, per Suo amore, ha
creato lei e ha creato me, per lo stesso scopo: quello di amare e di essere amati. Dunque, non
è difficile pregare».
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Madre Teresa di Calcutta e l'Univertità Cattolica
Il 2 dicembre 1986 fui chiamato da sister Agnel. Erano le 21: «Madre Teresa vuole parlare
con te». Mi presentai con un mio collega, il dottor Virgolino, a S. Gregorio al Celio, per quella
strana ed insolita convocazio­ne. Aspettammo per mezz’ora che la Comunità finisse le
preghiere. Poi incontrammo la Madre: «Voglio parlare con te». Ci lasciarono soli, ma io,
visibilmente emozionato, non riuscivo a capire nulla di ciò che lei diceva. Chiamammo sister
Agnel che iniziò a tradurre in tempo reale: "C’è tanta sofferenza tra la nostra gente proprio qui a Roma. Sono felice di potervi
dire dove incomincia questo amore: è, prima che altrove, nelle nostre famiglie. E di lì potrete
anche portarLo agli altri.
Negli ultimi anni molti giovani medici sono venuti a Calcutta per lavorare con le nostre sorelle, e
abbiamo un centro anche in Etiopia, dove voi potreste fare tanto per i più poveri tra i poveri.
Io pregherò per voi, anche perché Dio ne scelga qualcuno che consacri la sua vita totalmente al
servizio di Gesù, nella cura ai più poveri dei poveri. Ecco perché è necessario pregare.E'
davvero necessario andare avanti al Santissimo Sacramento e adorare Gesù nell’Eucarestia. E'
necessario che voi abbiate un cuore puro per ricevere Gesù nel vostro cuore e dire durante il
giorno: «Gesù che sei nel mio cuore, io credo nel tuo tenero amore per me. Gesù, io ti amo».
La mia preghiera per voi sarà che voi cresciate in santità, attraverso questo grande dono che
Dio vi ha fatto, nell’avervi scelti ad essere il suo Amore, fatto azione nel servizio al malato, al
moribondo, a colui che nessuno ama. E voi pure pregate per loro, affinché noi (nel servirli) non
intralciamo il lavoro di Dio, affinché sia soltanto per la gloria di Dio, tutto ciò che noi facciamo
per quei fratelli.
E, infine, se Gesù venisse a chiamarvi per essere voi il Suo Amore verso il povero, chiedete alla
Vergine Maria che vi aiuti Lei: Lei vi farà da Mamma. Che Dio vi benedica!"
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Ringraziai madre Teresa per quella speciale preghiera e le raccomandai mio padre, senza fare
precisazioni: «Che cosa ha? Un tumore?». Risposi:
«Sì, è un tumore vescicale maligno a lenta evoluzione». «Nessun proble­ma: questa è per te
e questa è per tuo padre» e, consegnandomi due medagliette, aggiunse: «La Madre di Dio
salverà il tuo papà». Sono passati undici anni e il tumore è sempre lì. Pur con qualche
esacerbazione e disturbo, mio padre continua ad avere una vita normale.
Da diversi anni medici e collaboratori di madre Teresa, che espletano la loro attività
lavorativa nel Policlinico Gemelli, hanno partecipato alle professioni delle Suore Missionarie
della Carità. Una biologa, in partico­lare, dott.ssa Alma Boninsegna, ha curato e cura con
grande dedizione il rapporto con le suore, per gli esami, i ricoveri, e anche per tutte le loro
necessità mediche, trovando nel dott. Piero Grasso ed in tutta la Direzio­ne Sanitaria un punto
di riferimento costante per i bisogni di ogni tipo che si sono presentati e si presentano. Anche le
ostetriche (Macchia, Mavilia, Giometti e Cadeddu in particolare) profondono con pazienza e
amore un impegno costante fatto di soluzioni per mille imprevisti, clinici e burocratici che spesso
bisogna affrontare. Il 23 maggio 1996 madre Teresa ritornò per la seconda volta a visitare i
reparti, il Day Hospital e la Sala parto della Clinica Ostetrica.
In quell’occasione (conferimento della cittadinanza romana da parte del sindaco Francesco
Rutelli) eravamo andati, in via Casilina, per invitar­la a tornare nel nostro Policlinico: «Madre,
dal 1981 ad oggi sono nati 1.000 bambini di ragazze madri, ospitate nella sua casa di
Primavalle e assistite dai medici e dal personale della Clinica Ostetrica e della Clinica Pediatrica
del Gemelli: perché non viene a visitarci e a condividere con noi questa gioia?».
Le suore, intorno, dicevano che era impossibile accettare questo invi­to, per i suoi problemi
di salute, ma lei, generosamente, disse: «I will come» («Verrò»). Poi, durante il saluto, mi
disse:
«Ricordati la regola
delle cinque dita»
e con
la mano aperta mi ripetè una frase con cinque parole:
«Io Faccio Tutto Per Gesù».
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Quando ritornò a visitare il Day Hospital, le ricordai che dieci anni prima aveva pregato per tutti
noi e che i frutti di quelle preghiere si erano visti abbondantemente. Le ricordai anche che
quando erano stati inaugu­rati i nuovi ambienti, avevamo telefonato a Calcutta col dott.
Pallanch, chiedendole un aiuto spirituale:
"Nella stessa ora in cui voi, a Roma, inizierete la messa dell’inaugurazione degli ambienti,
tutta la comunità delle mie suore vi ricorderà in un’ora di adorazione al Santissimo
Sacramento".
Quando le mostrai i posti dove venivano effettuate le procedure dia­gnostiche e terapeutiche
invasive, lei si pose in preghiera e ad alta voce disse:
"Signore, fà che tutti coloro che lavorano in questi ambienti, siano illumi­nati ad aiutare,
promuovere e difendere questo dono meraviglioso della vita, che Tu doni a tutti, Tu che sei Via,
Verità e Vita".
L’ultimo incontro con gli amici dell’Università Cattolica, presente anche il Dirigente
amministrativo, dott. Mobilia, è avvenuto nel luglio del 1997 in via Casilina, perché madre
Teresa, dopo l’infarto, aveva ridotto i suoi spostamenti. Ed era una madre Teresa tesa ad
incoraggiare il servizio agli ultimi e a ricordare che il servizio agli ultimi non può subire tagli.
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L’esperienza è stata e continua ad essere come piaceva a madre Teresa: semplice e bella. Si
tocca con mano una verità più volte espressa da madre Teresa: «Nel servire gratuitamente i più
poveri tra i poveri, si riceve molto più di quello che si dà»
. La gratuità è un grande investimento perché si realizzano le parole di Gesù:
«Ogni volta che avrete fatto qualcosa a uno di questi piccoli, l’avrete fatto a me».
Noi medici, inoltre, impariamo molto dal modo di fare delle suore: molta attenzione alle
piccole cose, molta pazienza e gentilezza, molto interesse per la persona, il sorriso perché
«ogni essere umano è prezioso agli occhi di Dio».
"Voi medici, siete dei privilegiati: potete toccare Gesù ventiquattro ore su ventiquattro;
toccarlo in tutta quella gente che viene a voi e che soffre nel corpo e nell’anima".
Questi sono gli insegnamenti che lei ci ha suggerito negli incontri che abbiamo avuto.
Mille bambini sono nati da questo scambio di amore semplice tra la «madre dei poveri» e il
Policlinico Gemelli.
Mille angeli in più per la nostra umanità, malata e incerta a capire il linguaggio di Dio ma che
viene vinta e avvinta dalla carità, poiché...
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«l’amore è un frutto per tutte le stagioni».
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