Prima tappa di un secondo viaggio ultraterreno - PARTY INFERNO da Martino Pinali (Note) il Giovedì 28 marzo 2013 alle ore 13.41 Il gruppo teatrale Forme Lituane torna sulle scene, proseguendo il percorso, iniziato l'anno scorso con i Batraco-Cigni, nel mondo ultraterreno. Meta di questo viaggio non è però (ancora) l'Ade classico, o l'Averno latino, ma l'Inferno cristiano: più precisamente, l'Inferno di Dante Alighieri, la prima cantica della Divina Commedia, una grande prova che terrà impegnati il regista e gli attori del gruppo da qui ai prossimi anni. La difficoltà del testo salta subito all'occhio, e suona quasi un paradosso: può la Commedia diventare un testo teatrale? Può eccome, se si ha al timone un esperto amante dantista, capace di questa trasformazione. È questo il caso di Mirco Cittadini, il quale è un appassionato dell'Alighieri, che ha omaggiato più volte dedicandogli delle lecturae dei canti più e meno famosi. Come è stata possibile, insomma, la drammatizzazione del testo? Il regista si è ispirato all'opera più controversa di una figura del Novecento altrettanto controversa e enigmatica: Pier Paolo Pasolini, con la sua ultima, terribile opera, Salò o le 120 giornate di Sodoma (dantesca è la suddivisione del film in quattro parti: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue). E, sia in De Sade che in Pasolini sono presenti le figure di alcune Narratrici che, come le fanciulle fiorentine del Decameron (Boccaccio stesso amava oltre ogni misura Dante), raccontano le licenziose vicende della loro vita, eccitando la fantasia dei libertini. Il carattere infernale dello spettacolo quindi non è stato raggiunto con l'uso eccessivo di tinte da Grand Guignol, ma trasformando la voragine dell'Inferno in un salotto in cui (sia in De Sade che in Pasolini) le Narratrici ora "deliziano" l'uditorio con i racconti delle punizioni infernali, ora umiliando e sottomettendo le anime dannate, inermi, quasi incapaci di reagire, afflitte da svariati tic autistici (caratterizzazione nata da un produttivo laboratorio teatrale). L'orrore passa da una dimensione visiva (legata indissolubilmente ai reperti artistici che ogni secolo produceva, dalla morte di Dante sino ad oggi) a una dimensione verbale e psicologica: le invisibili pareti di uno scellerato salottino, in cui si consuma un diabolico cocktail party, una sorta di "messa mondana", sono di gran lunga più claustrofobiche e terrificanti della voragine dell'Inferno. L'ultima difficoltà stava nella scelta dei brani da inserire nello spettacolo: si va dagli episodi più famosi e celebrati (Paolo e Francesca, Brunetto Latini, Ulisse) a quelli mento noti e più "ostici" (le mura di Dite e il Messo Celeste, la bolgia dei ladri e le loro metamorfosi, il Cocito). Sono presenti anche versi non danteschi: le introduzioni ai canti dell'anonimo commentatore fiorentino del XIV secolo (pronunciati dalle Narratrici), alcuni brani di liriche stilnoviste, e il finale: un omaggio al già citato film di Pasolini ("Come si chiama la tua ragazza?" - "Beatrice"). Protagonista dello spettacolo, il Dante di Alessandro Gomitolo. Il suo personaggio, per buona parte dello spettacolo, è bendato, a simboleggiare la cecità morale della sua condizione di peccatore e, forse, la volontà di non assistere agli orrori che sente avvenire attorno a sè (per paura o per omertà?): i due momenti in cui gli viene tolta la benda sono nella scena di Ulisse (nel quale si immedesima, nella celebre "orazion picciola": "Considerate la vostra semenza") e nel finale, dove passa da momenti di totale crudeltà verso i dannati intrappolati nel Cocito (la "morte della pietà", motore dello spettacolo) al terrore della morte di fronte a Lucifero. Un Dante che si lascia quasi "influenzare" dall'ambiente che ha attorno, diventando, a sua volta, una sorta di Narratrice maschile: se la discesa nell'Inferno è stata favorita da una sorta di "complicità" di tanti orrori, la salita al Purgatorio e l'ascesa in Paradiso, per questo umanissimo e impaurito peccatore, saranno più difficili che mai. Radicalmente diversa la caratterizzazione del Virgilio di Simone Villaboni. Attingendo alla credenza medievale che considerava Virgilio come uno stregone (addirittura un negromante), il duca segnore e maestro non ha la postura altera e rassicurante delle incisioni di Gustave Doré, ma appare seminudo, anche lui afflitto da tic come le anime dannate, con movenze da bestia (un rimando alle tre fiere del peccato?), e impacciato nel parlare (fioco) per il lungo silenzio. Questo Virgilio sembra, più che obbedire alla volontà di Dio di guidare Dante nei tre regni ultramondani, afferrare la sua preda e portarla nella sua tana: è una guida tutt'altro che rassicurante. Nel corso dello spettacolo si avverte una lenta e progressiva scomparsa della sua figura, annichilito dall'incapacità di imporsi sui diavoli (nella scena delle Mura di Dite e con le Malebranche) e dall'ego del suo allievo che arriva a imporsi fisicamente su di lui e a schiacciarlo: la Ragione che simboleggia non basta a uscire dall'Inferno e a salvarsi dalla dannazione. Impauriti e picchiati, nudi e indifesi, vittime e diavoli dei loro stessi incubi, appaiono i dannati di questo festino scellerato. Giacomo Vicentini si cala molto bene nei panni di Brunetto Latini, primo maestro di Dante, dinnanzi al quale Virgilio tace, ma, impegnato nel suo tormento infernale, la "cara e buona immagine paterna" non ha tempo da dedicare al suo prediletto allievo, se non quando gli preannuncia l'esilio e quando gli chiede la continuazione della sua opera, il Tesoro; efficaci i tic della sua anima dannata, testimone spaesato e spaventato dell'apparizione delle Furie. Michele Bernardi dà voce e corpo al capo dei diavoli Malacoda e al ladro Vanni Fucci: lui e i suoi diavoli non hanno toni crudeli e maliziosi, la loro caratterizzazione giocosa, sorniona e istrionica sembra strizzare l'occhio ai servi della Commedia dell'Arte. Se dunque questo Malacoda strappa qualche risata, il suo Vanni Fucci non può non destare paura: questo superbo dannato, viscido e mellifluo proprio come i serpenti che vagano per la bolgia, è orgoglioso della sua dannazione, come testimonia la sua bestemmia verso Dio; Alessandro Zamperini ("new" entry in FL, ma già presente in R+G, Iliade e protagonista deL'asino d'oro), si è ben impegnato nelle parti di Filippo Argenti (reso vittima della crudeltà di Dante), come efficace e divertente diavolo, e come Ulisse, "il" Dante ante litteram: non guarda alla duplice fiamma nella quale è prigioniero, ma il sguardo è fisso altrove, forse verso la sua vita, quasi a continuare il viaggio che il naufragio e la conseguente sua morte gli hanno impedito di proseguire. Ultimo, ma non meno importante, Alberto Giacomelli (come il suo precedente compagno di scena, precedentemente impegnato negli spettacoli del liceo Montanari), nei taciti panni di Paolo (compagno di pena dell'amata Francesca e complice, con il suo silenzio, della "bugia del bacio"), nelle vesti di carnacialesco diavolo, e come indifeso Bocca degli Abati, traditore di Firenze: la gravità del suo peccato sembra quasi dileguarsi di fronte alla sadica vendetta che fa Dante della sua città, nel calpestarlo e nel "dischiomarlo". Anche il versante femminile, con tutte le ragazze impegnate nei ruoli delle Narratrici, si presenta ben amalgamato e generoso, grazie a un sapiente laboratorio sulle voci e sugli atteggiamenti da dame. Alice Canovi cesella la sua parte con studiata crudeltà, malizia e leggiadria luciferina, aiutandosi con la voce (ora canzonatoria con la "povera" Francesca: "soli eravamo e sanza alcun sospetto"; ora terrificante, nella tremenda scena di Lucifero: "lo 'mperador del doloroso regno" ha fatto tremare il teatro) e con i gesti del corpo (movenze attinte a piene mani dalle dame di Pasolini), costruendo una delle più diaboliche creature della serata; Valentina Forasacco (vera new entry del gruppo) riesce a calarsi con divertimento nella sua parte facendola piacere al pubblico, delineando una Narratrice matronale, languida e compiaciuta di ciò che avviene attorno a sé; Maria Elena Bissoli crea un personaggio gaudente, smaliziato (eccezionale il sillabato della parola "sodomiti") e civettuolo (nella lettura dei "gossip" dei lussuriosi); Ester Bajetta sembra quasi la meno crudele delle sue "colleghe", ma non perde la componente sadica nelle "letture" dei Canti (l'attenzione nel pronunciare parole come "qui" o "vizio"), costruendo un personaggio pacato ma puntiglioso, tranquillo ma complice di tante atrocità. Infine, Angela Castagnaro, oltre ad impersonare una sensuale e provocante Narratrice, tratteggia una dolcissima e dolente Francesca: unica voce femminile tra i dannati dell'intera prima cantica, il suo personaggio sembra risvegliarsi costantemente da un incubo, nella quale lei stessa, smascherando la sua vera identità di dama infernale, getterà il povero Dante. Infine, guest star del gruppo di teatro del Liceo Montanari, Francesco Sartori quale Messo del Cielo, dall'efficace resa scenica e vocale: con l'aiuto di una sola "verghetta" riesce a distruggere le mura di Dite e a spaventare le Narratrici. Un ulteriore cameo "vocale", l'aiuto dell'ex preside del Liceo Montanari Calogero Carità, lettore del celebre incipit dell'Inferno, dell'iscrizione sulla porta del primo regno e della terzina finale. Totalmente modificato il rapporto con le musiche: in scena, accanto al salottino, era presente la band di Paolo Peruzzi (alle percussioni, accompagnato dai validi colleghi Xabier Lopez de Munain Basevi con la viola e Lorenzo Venturi alla chitarra): definire il loro contributo allo spettacolo come "accompagnamento musicale" è troppo poco, perché si sono resi anche loro protagonisti e validi collaboratori alla buona riuscita dello spettacolo (grazie al loro intervento, efficaci la scena dello Stige, il naufragio di Ulisse, e, maestosamente terrificante, Lucifero). Oltre ad essi, Alice, Valentina ed Ester (mentre Maria Elena ed Angela dilettavano il pubblico con la lettura del Canto XI) si sono lanciate in un'interessante, inquietante ed efficace versione di My Funny Valentine di Chet Baker. Di fronte a questo massiccio utilizzo di musica live, pochi gli interventi di musiche registrate, ma degne di nota la colonna sonora di Amarcord di Fellini (per il salotto infernale) e il "Lacrimosa" dal Requiem di Britten (per il Cocito). Scarna ed essenziale la scena (qualche panca per far sedere la Narratrici, un tavolino per i cocktail, e una sorta di "tana", un giaciglio per i dannati) ma, come per Batraco-Cigni, la vera scenografia dello spettacolo era rappresentata da tutti i ragazzi in scena, e dai costumi: i pigiami dei dannati rimandavano alle divise dei prigionieri di campi di concentramento, e i sontuosissimi e magnificenti costumi delle Narratrici sembravano prelevati dalla fantasia di Pasolini per il suo Salò. Dante e Virgilio non appaiono nelle ricche vesti con le quali sono stati immortalati nell'arte dei secoli, ma il primo con una camicia scarlatta e dei pantaloni gialli, e il secondo a petto nudo (mirabile il lavoro di body painting sul corpo). Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, le terzine dantesche non hanno appesantito lo spettacolo, di cui non si è avvertita tanto la durata, quanto una sorta di "crescendo" emotivo di intensità (dall'apertura del sipario all'apparizione luciferina). Il pubblico ha decretato un caldo e affettuoso successo verso lo spettacolo, salutando con benevolenza l'inizio di questo secondo viaggio ultraterreno.