LA RIVISTA DELLA SANITA’ MERIDIONALE SETTEMBRE/OTTOBRE 2011 - NUMERO 4 sudsanità Relazione sullo stato della sanità della regione Calabria nemo sud, centro di riferimento DELLE malattie neuromuscolari Congresso GIEC: i nuovi farmaci per la prevenzione della morte improvvisa ANNO 2 - NUMERO 4 - SETTEMBRE/OTTOBRE 2011 Spedizione in Abbonamento Postale - 4% - art.2 -comma 20/b Legge 662/96 sudsanità SETTEMBRE/OTTOBRE 2011 - NUMERO 4 sudsanità Il Federalismo delle allodole All’inizio era il sogno del riconoscimento delle specificità territoriali, oggi si legge autonomismo, preda dei poteri locali. Sta accadendo, insomma, quello che alcuni temevano. In assenza di una decisa linea di indirizzo da parte del Governo e di affermazione senza incertezze di un ruolo riconosciuto di mediazione e regolazione da parte del Ministero della Salute, si assiste a ciò che ha il sapore di una vera e propria dismissione, che sta coinvolgendo ab imis il sistema sanitario, specialmente nel Meridione d’Italia (Anche se la parola dismissione è tabù e si preferisce utilizzare eufemismi più organici: razionalizzazione, riorganizzazione, più popolarmente, riordino). Gli interventi sono giustificati, come è noto, dal vincolo legislativo del rispetto dei limiti di bilancio e, per le regioni in rosso, dei piani di rientro. Un’azione che tuttora è in corso, sicuramente ancora difficile da valutare nei suoi risultati ultimi, ma che mostra indizi di salute malferma. Se è vero che i grandi progetti di riallocazione delle risorse, a garanzia della migliore qualità ed efficacia del servizio, vanno a rilento, o perché privi di finanziamenti, e quindi momentaneamente parcheggiati, o perché bloccati dall’interdizione degli interessi corporativi. Che da ultimo, poi, la Regione Piemonte si sia aggiunta a quelle meno virtuose in fatto di sanità rivela il carattere trasversale del problema, che minaccia di estendersi anche alle cosiddette regioni modello. Non si riesce, infatti a risolvere ancora con chiarezza il nodo del problema: garanzia e tutela dell’assistenza e ottimizzazione e contenimento dei costi. Questo perché l’azione di riordino non risponde a logiche di sistema e di valorizzazione e liberazione di risorse e professionalità, distribuite e presenti nel territorio, ma all’urgenza di bilancio nel breve periodo, imposta sostanzialmente dal MEF, che sta mostrando i galloni di gendarme della sanità e della salute di tutti noi. Insomma, la manovra federalista rischia, se così procede, di consegnare il più prezioso dei beni collettivi, il sistema sanitario, nelle sue articolazioni regionali, alle fauci di grovigli di interessi, che giocano la loro partita su tavoli molto più succulenti e raffinati di prima. E chi pagherà saranno i cittadini, quelli meno tutelati tra i primi, e la sanità nel suo insieme. Certo, gli assessorati della salute delle regioni sottoposte al rientro, hanno varato piani aggressivi e lucidi di riorganizzazione, ma mille ostacoli e sbarramenti, hanno fatto arenare progressivamente il migliore dei buoni propositi. Prova ne è lo stallo in cui versa la Regione Campania, la lentezza con cui in Calabria si procede alla digitalizzazione, lo stop ai progetti dei PTA in Sicilia. Federalismo potrebbe significare, invece, valorizzazione delle risorse del territorio, chance per fare sistema, imponendo linee di rigore e di coerenza non solo economica, ma di sostegno reale alla diffusione di qualità degli standard di assistenza e cura. Ma così non sembra. Non traspare ancora un’architettura organica, sostenuta da una nuova e diffusa cultura manageriale, capace di scegliere la strada della gestione critica, scommettendo sulla crescita e sviluppo e avviando azioni forti di coordinamento, che tengano a bada le lobbies. Mentre il sistema sanitario continua dunque a navigare verso un futuro incerto, è ancora una volta l’impegno professionale di molti specialisti e medici, la maggior parte anonima e silenziosa, a far tenere la rotta piuttosto che i grandi piani di governo, mancanti di un aspetto fondante: lo scenario di senso delle nuove identità e professionalità sanitarie. SCRIVI ALLA REDAZIONE DI SUD SANITA’ PER COMUNICARE LA TUA OPINIONE, SEGNALARCI EVENTI, FORNIRCI INFORMAZIONI: [email protected] 2 INDICE Liste di attesa, urgenza di informare 04 Errori in sanità 07 Sintesi della Relazione sullo stato della Sanità nella Regione Calabria (2010) 15 L’accoglienza dei minori non accompagnati a Lampedusa: l’esperienza di Save the Children 18 NEMO SUD, il Centro di riferimento meridionale per le Malattie Neuromuscolari 24 Intervista a Luca Cordero di Montezemolo, 26 Ospedale “Luisa Guidotti”: la Terapia Antiretrovirale Altamente Efficace (HAART) 31 Al “Garibaldi” metodiche avanzate di terapia intensiva 35 Messina macroarea per la gestione dell’infarto miocardico acuto 38 GIEC:I nuovi farmaci antiaritmici per la prevenzione della morte improvvisa 40 SUD SANITA’ RIVISTA TRIMESTRALE DELLA SANITA’ MERIDIONALE DIRETTORE RESPONSABILE: MARIO DALL’ANGELO [email protected] DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE: Contrà Ponte Furo 2/B -36100 VICENZA Tel. 0444 1800433 - cell. 3774559599 [email protected] EDITORE: Massimo Caruso - Progetto grafico: Gameroom TESTATA REGISTRATA PRESSO IL TRIBUNALE DI VICENZA Autor. N°1238 del 25-10-2010 Stampa a cura di MACOFIN srl via M.Migliarini, 44/g 00173 Roma - Tel. 0695215240 sudsanità I RISULTATI DEL RAPPORTO AGENAS LISTE DI ATTESA. URGENZA DI INFORMARE Le liste d’attesa sono indubbiamente una delle maggiori criticità per quanto concerne la qualità del servizio che il SSN offre ai cittadini. Come ha segnalato un rapporto Censis del 2010, i cittadini percepiscono le attese per l’accesso alle prestazioni sanitarie come un “nodo problematico”, su cui si concentrano proteste e proposte migliorative. L’Agenas ha pertanto effettuato un’indagine conoscitiva del fenomeno scandagliando il web per verificare le informazioni relative alle liste. La ricognizione è proposta anche come uno strumento per stabilire linee guida per il monitoraggio dei siti, di concerto tra Agenas, Ministero e Regioni. L’indagine nasce dal recepimento di un’esplicita raccomandazione contenuta nel Piano nazionale di Governo delle liste di attesa 2010-2012. La raccolta dei dati è stata effettuata nel periodo tra giugno e settembre del 2010 su 32 Asl e 9 Aziende A.O. e i risultati sono stati diffusi in luglio 2011. Le prestazioni maggiormente considerate Sono le diagnostiche e le visite specialistiche. Ma ci sono anche che forniscono i tempi di attesa di interventi chirurgici o procedure invasive con ricovero ordinario o day hospital: ASL di Teramo e di Empoli; Esami di laboratorio: ASL di Vibo Valentia, BarlettaAndria-Trani ed Empoli; Radioterapia: ASL di Empoli. Il primo dato è quello relativo all’accesso ai dati sulle liste: il 63,33% dei cittadini ha la possibilità di leggerli in quanto residenti in territori, le cui ASL li pubblicano su internet. Le informazioni normalmente disponibili sono quelle relative alla prima data disponibile per l’esecuzione di prestazioni diagnositiche o di visite specialistiche nelle strutture pubbliche. Inoltre, possono essere disponibili dati riguardanti i tempi di attesa calcolati sulla base delle prestazioni effettivamente erogate; i tempi di attesa relativi ad altre tipologie di prestazioni sanitarie, quali interventi chirurgici, prestazioni di radioterapia, esami 4 di laboratorio, refertazione di esami istologici; i tempi di attesa relativi alle strutture private accreditate e alle prestazioni erogate in regime di intramoenia. Oltre all’informazione relativa al tempo d’attesa, vi può essere la possibilità di prenotare immediatamente le prestazioni. I DATI PER REGIONE Per quanto riguarda i siti delle regioni, la percentuale di cittadini che, attraverso di essi, ha potenzialmente accesso alle informazioni sulle liste è il 47,92%. L’analisi per regione rivela grandi dislivelli. La Basilicata, su una popolazione di 594.086 abitanti, consente l’accesso appena all’1,01%. Il Molise, con 320.907 assistiti, dà accesso solo allo 0,55%. Tuttavia, sempre a livello di siti regionali, le due regioni del Sud sono in buona compagnia dal momento che la provincia autonoma di Bolzano, 482.650 abitanti, dà accesso alle liste allo 0,82%; Trento, 502.478, allo 0,86% e la Valle d’Aosta, 123.978, allo 0,21%. In vetta alla classifica c’è, neanche a dirlo, la Lombardia, 9.475.202, con il 16,13%. su uno solo vi sono le liste e raggiunge l’11% della popolazione. I dati delle A.O. La Sicilia però ricupera posizioni quando si passa ai dati riguardanti le Aziende Ospedaliere: su 6 A.O. considerate, 5 hanno i siti e 3 pubblicano le liste, raggiungendo il 60% dei cittadini. Segue la Campania, con 8 A.O. esaminate: 7 hanno il sito, 2 hanno le liste per un 29% di popolazione informata. Anche la Puglia risale: su 6 A.O., 4 hanno il sito, su uno ci sono le liste e serve il 25%. Chiude la classifica la Calabria in compagnia della Toscana: le A.O. di queste due regioni, pur avendo quasi tutte il sito, non pubblicano le liste. La quasi totalità dei siti di ASL e A.O. pubblica il tempo di attesa minimo. Ma un aspetto di diversificazione dei dati forniti è la pubblicazione, su diversi siti, dei tempi medio e massimo. Inoltre l’ASL di Arezzo fornisce il dato del tempo medio e la ASL di Caserta sul tempo massimo delle prestazioni già erogate. I dati delle ASL Le conclusioni del rapporto Agenas Passando ad analizzare i siti delle ASL i dati si fanno più robusti. In particolare, nel Sud si distinguono le Aziende campane: su 7 ASL prese in esame, tutte e 7 sono risultate avere i siti web, di cui 4 dotati di informazioni sulle liste, per una precentuale del 57% di popolazione raggiunta. Abbastanza buona la situazione della Puglia, che, nonostante abbia solo 3 ASL dotate di sito sulle sei prese in considerazione e appena uno pubblichi le liste, raggiunge il 33% dei cittadini. Viene quindi la Calabria, le cui 6 ASL oggetto d’indagine hanno tutte il sito, uno solo dei quali pubblica le liste e serve il 17% dell’utenza. Fanalino di coda la Sicilia, le cui 9 ASP esaminate hanno tutte il sito, ma Il documento dà un giudizio sostanzialmente positivo, ma segnala esplicitamente che alcune zone del paese sono in ritardo e che sanare questa situazione è urgente, dal momento che tra i criteri di comparazione della qualità sanitaria a livello internazionale c’è anche l’ehealth. Una vasta parte del paese e della cittadinanza è raggiunta da informazioni sulle liste d’attesa per via telematica. Si tratta di un pacchetto composto generalmente da: tempo di attesa minimo rilevato ex ante, un numero selezionato di visite specialistiche e prestazioni diagnostiche erogate da strutture pubbliche. sudsanità ERRORI IN SANITA’ Gli sforzi per aumentare e migliorare il servizio sono molteplici. Si cerca di fornire anche dati rilevati ex post, ossia sulle prestazioni già erogate, puntando all’obiettivo di dare indicazioni più precise circa l’effettiva possibilità di accesso alle prestazioni in tempi adeguati alle necessità. Si provvede ad allargare lo spettro dell’informazione a un numero di prestazioni via via crescente, quindi anche a interventi chirurgici, procedure invasive, radioterapia e altri. Si cerca di dare informazioni su tutti gli soggetti pubblici e privati accreditati, che possono erogare le prestazioni oggetto di attesa e su tutti gli ambiti di erogazione, quindi sia istituzionali sia intramoenia. Infine, la possibilità di prenotare on line le prestazione sanitarie sta iniziando a diventare una realtà in alcune zone d’Italia. Nelle Regioni meridionali gli errori sanitari frutto di una crisi sistemica Intervista a Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali M.DA Tabella 1 - Popolazione regionale residente e percentuale di cittadini che potenzialmente possono accedere ai tempi di attesa tramite i siti web regionali sul totale della popolazione nazionale residente. Tabella 7 - Numero totale di Asl, numero di Asl con sito web, numero e percentuale di Asl con sito web che pubblicano i tempi attesa su totale di Asl con il sito web. Tabella 8 - N° di A.O. e n° di A.O. con sito web e n° e percentuale di A.O. con sito web che pubblicano i tempi attesa. Figura 1 - Diffusione in Italia dell’informazione dei tempi di attesa nei siti web di regioni e Asl e percentuale di Asl che pubblica i tempi di attesa sui propri siti web (su totale delle Asl che hanno un proprio sito web). Fonte: Agenas, 2010 6 In Italia abbiamo un buon SSN, tra i migliori al mondo, ma la qualità del servizio sanitario offerto non è omogeneo su tutto il territorio e questo, purtroppo, riguarda, per la maggior parte, le regioni meridionali, segnate da situazioni di carenza qualitativa, accresciuta dal disavanzo di bilancio. Come membri della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli Errori sanitari e le Cause dei disavanzi sanitari regionali, il cui compito non è quello di un organo giudicante, ma di raccolta e analisi di dati, siamo perfettamente consapevoli, che lo stato di carenza non è dovuto ad un solo fattore, ma è il frutto di una crisi sistemica, che coinvolge il personale sanitario, i manager aziendali e i politici. Sono questi i fattori, che, messi insieme, provocano il disagio della Sanità in queste regioni. In pochi casi l’errore sanitario è un errore professionale. Esso è, invece e soprattutto, un errore di sistema e per risolverlo non basta l’azione della Magistratura, ma bisogna risolvere le anomalie funzionali che lo gene- rano. Per questo è auspicanbile che la poltica faccia un passo indietro, anche operandosi per la modifica della normativa che regola la nomina dei Direttori Generali, per spezzare quel circuito vizioso della paura, che spesso impedisce gli operatori sanitari a denunciare apertamente le condizioni di disfunzione in cui lavorano. Per quanto riguarda, poi, i dati raccolti sullo stato del Sistema Sanitario della Regione Calabria, il quadro che emerge, rivela inefficienze, che vanno dal difetto del dato alla mancanza di consapevolezza, che la salute è un diritto e non occasione per operare azioni speculative unite alla tendenza alla moltiplicazione delle strutture ospedaliere. Chi spende di più non è dato che dia un un servizio migliore, né il numero degli ospedali elevato genera un servizio migliore. La Regione Calabria ha speso molto e ha una diffusa presenza ospedaliera, ma detiene il record della mobilità sanitaria. Un importante passo avanti è stato sicura- mente fatto con l’introduzione del contenimento, per Legge, del disvanzo di bilancio con il contemporaneo obbligo di dare vita ad un rigoroso piano di rientro. Un esempio importante di un modello di Federalismo, che vuole abbandonare le logiche di tipo clientelare per avviarne di virtuose. Ma c’è un pericolo e cioé che se la valutazione della qualità del servizio sanitario avviene solo su base contabile i risultati non possono che essere negativi, perché bisogna evitare che, al posto di ridurre gli sprechi, vengano tagliati i servizi. In molti casi, purtroppo, la scelta,che è stata fatta, è stata quella di preferire il taglio dei servizi, che leggo come conseguenza di una condizione di più ampia debolezza di fondo del Sistema Sanitario. Una debolezza che coinvolge lo stesso Ministero della Salute, che sembra essere subalterno alle strategie del MEF. In mancanza di una strategia politica, che non sia solo contabile, dunque, il rischio è che alla fine paghi il cittadino. L’attività della Commissione parlamentare, dunque, oltre ad evidenziare le disfunzioni, là dove si presentano e sono significative, invitano però all’adozione di nuove e più incisive strategie di intervento sanitario, che chiedono il potenziamento della capacità di intervento e di regia del Ministero della Salute, la difesa dei Lea, che non devono essere subalterni ai costi standard, e il bilanciamento del potere del Ministero della Salute rispetto a quello delle Regioni. Ora, il prossimo appuntamento della Commissione parlamentare è a fine ottobre. Saranno, infatti, presentati, i risultati dell’indagine sui punti nascita, che in Italia sono troppi. Ciò, tuttavia, non vuol dire chiususra degli ospedali, ma una loro razionalizzazione, con il progressivo abbandono di quei presidi, poco specializzati a causa dell’esiguo numero di parti annui, e una migliore allocazione delle risorse. Per fare un ultimo esempio, nella sola Palermo c’è un numero di UTIN superiore a quello di tutto il Veneto, ma una sola è l’Unità attrezzata per il trasporto neonatale. M.Ca. 7 sudsanità ERRORI IN SANITA’ Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli Errori sanitari e le Cause dei disavanzi sanitari regionali Sintesi della Relazione sullo stato della Sanità nella Regione Calabria (2010) Giuseppe Scopelliti, presidente Regione Calabria. Agiamo per il miglioramento dell’intero sistema Presidente, Lei ha avvitato un piano di profonda riorganizzazione della sanità nella sua regione, quali i punti qualificanti, gli obiettivi di bilancio e le attese assistenziali? Sin dal nostro insediamento abbiamo avviato un serio studio sullo stato della sanità in Calabria, ritenuto fondamentale per conoscere la reale situazione. C’è da considerare che il nostro lavoro si deve indirizzare all’interno di alcuni parametri indicati dal Piano di Rientro, approvato dalla precedente Giunta, che ci vincolano al rispetto di precise indicazioni, che ci giungono anche dal tavolo ministeriale. Il nostro impegno si indirizza fondamentalmente e prioritariamente a razionalizzare la spesa, tagliando tutti gli sprechi che hanno portato la sanità calabrese al collasso e riorganizzando l’intero settore puntando ad un miglioramento complessivo dell’intero sistema, che deve necessariamente puntare all’efficienza ed alla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Quali strategie ha intenzione di inaugurare per migliorare il livello di fiducia del citta8 dino calabro rispetto al sistema ospedaliero della sua regione? La definizione di un nuovo assetto organizzativo del sistema sanitario regionale da avviare con alcune azioni prioritarie quali la riorganizzazione della rete regionale di assistenza, che si basi su ospedali degni di tale definizione, in grado di dare le giuste risposte al cittadino in termini di qualità e sicurezza; il rafforzamento dell’assistenza territoriale, la riduzione delle liste di attesa e il contrasto alla migrazione sanitaria. Un altro elemento fondamentale sarà una seria riorganizzazione del sistema emergenzaurgenza. Oggi, infatti non esiste un’efficace rete integrata per la gestione di tali situazioni. Considerate, ad esempio, le difficoltà di collegamento della Calabria, è necessario istituire delle reti provinciali, con un forte coordinamento e supervisione regionale, in grado di monitorare la disponibilità di tutti i posti letto e poter indirizzare, nel più breve tempo possibile, il paziente verso il luogo di cura più pertinente alla sua patologia. Dobbiamo altresì valorizzare e restituire la giusta dignità alle professionalità del settore, sia medico che paramedico, puntando a continue e corrette valutazioni di merito, al fine di produrre percorsi di carriera virtuosi basati sulla meritocrazia. La sua regione è sottoposta alla concorrenza sanitaria delle aziende sanitarie delle regioni limitrofe. Quali strategie ha avviato per contenere e ridurre la mobilità sanitaria? Si tratta di un dato che conosciamo benissimo, purtroppo. Nel riassetto organizzativo del Sistema Sanitario Regionale puntiamo con decisione a ridurre al massimo la migrazione sanitaria, che incide notevolmente sul bilancio generale della Regione Calabria, soprattutto per il trattamento di quelle patologie rispetto alle quali il nostro servizio sanitario non è ancora adeguatamente attrezzato. Proprio per questo stiamo adottando delle strategie di cooperazione con strutture all’avanguardia, attraverso programmi finalizzati a governare i flussi extraregionali con evidenti vantaggi sia sul piano della qualità delle prestazioni che su quello organizzativo economico. Tutto ciò, però, non deve incidere sugli investimenti dedicati allo sviluppo scientifico del nostro territorio, per cui abbiamo definito specifici programmi per la ricerca e l’innovazione, valorizzando il rapporto con le Università ed altri organismi scientificamente validi, in grado di far crescere la qualità delle strutture calabresi. Dal punto di vista della qualità del Servizio sanitario, il quadro della sanità calabrese evidenziato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali rileva, anche sulla base delle criticità organizzative emerse da casi di presunto errore sanitario, le seguenti criticità: • La mancanza di un processo di razionalizzazione della rete ospedaliera calabrese con conseguenti gravi inappropriatezze nell’utilizzo delle risorse ed evidenti riflessi sui livelli di assistenza garantiti alla popolazione. • Un tasso di ospedalizzazione molto alto per sopperire, spesso, alla mancanza di risposte assistenziali alternative in strutture di lungodegenza. • Un elevato numero di dirigenti medici rispetto agli operatori del comparto, elevati livelli di retribuzione degli stessi e, in generale, male o sottoutilizzati. Ancor più grave quanto emerge dal punto di vista della situazione finanziaria della Sanità in Calabria, ovvero: • Dati contabili e di bilancio inaffidabili, carenza di un efficiente ed efficace sistema di controllo. • Eccessivo ricorso alle anticipazioni di cassa. • Disarmonia tra programmazione annuale e budget. • Illegittimità nell’acquisto dei farmaci. • Inosservanza delle norme in materia di appalti pubblici. • Mancata utilizzazione di strutture e apparecchi medico-sanitari. • Pagamento di fatture riferibili ad operazioni inesistenti. • Ritardato pagamento ai fornitori. • Illegittimo conferimento di incarichi professionali e consulenze. Infine, l’eccessiva onerosità dell’advisor scelto dal Governo (la Regione Calabria ha corrisposto alla società KPMG la somma di un milione e mezzo di euro). Dati e considerazioni alla base della relazione della Commissione d’inchiesta, sono il frutto di un percorso di indagine iniziato nell’autunno 2009, a seguito del ripetersi, con frequenza, di casi di presunto errore sanitario tali da creare allarme sociale nella popolazione. Nel corso di questi mesi sono state effettuate missioni e sopralluoghi (presso l’Ospedale di Locri e gli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria) e sono stati asoltati gli amministratori locali (l’allora presidente della regione Agazio Loiero, il dirigente generale per la tutela della salute della regione, Andrea Guerzoni e l’attuale presidente, Giuseppe Scopelliti). Contributo fondamentale all’indagine è stato tratto dalla Relazione fornita dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e dall’acquisiszione di atti e documenti dei due tavoli nazionali di controllo (Palumbo e Massicci, relativi, rispettivamente all’aspetto qualitativo ed economico del Servizio sanitario nazionale). Importanti elementi sono, infine, emersi dall’incontro con il Presidente e del Procuratore della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Regione Calabria. l’inadeguatezza di relazioni funzionali fra servizi della stessa azienda e/o di aziende diverse e la mancanza di percorsi assistenziali condivisi tra pronto soccorso e reparti di degenza. La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali istituita nella XVI legislatura ha ritenuto opportuno verificare gli eventuali cambiamenti verificatisi nel settore sanitario in Calabria, anche alla luce delle numerose segnalazioni pervenute, relative a casi di presunta “malasanità”. Da quando la Commissione parlamentare è stata istituita nella XVI legislatura fino al 7 aprile 2011, sono pervenute dalla Calabria 75 segnalazioni su casi di presunti errori sanitari e 14 segnalazioni di criticità di altro tipo, alcuni dei quali risalenti a periodi antecedenti alla costituzione della Commissione. Sulle 89 situazioni coplessivamente segnalate è in corso, con la riservatezza richiesta dalla natura dell’istruttoria, un’attività di approfondimento tecnico, che troverà esauriente riscontro nella relazione di fine legislatura. Qualità dell’offerta sanitaria e criticità emerse dai presunti errori Occorre notare che è stata rilevata una notevole inerzia nell’adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti dei responsabili dei presunti di errori sanitari. In molti casi, da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere della regione ci si è trincerati dietro la mancanza di strumenti contrattuali intermedi tra l’inerzia e il licenziamento. Dall’esame delle segnalazioni, si è avuta conferma delle gravi disfunzioni organizzative che sottendono molti degli episodi di cosiddetta “malasanità”, in particolare: La Commissione incaricata di svolgere un’indagine finalizzata a verificare la qualità dell’assistenza prestata dal servizio sanitario della regione Calabria, istituita dal Ministero della salute nel dicembre 2007 a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza socio economica sanitaria regionale, tra le cause organizzative dei casi di errori sanitari rilevava 9 sudsanità ERRORI IN SANITA’ • Assenza di una rete per la gestione di alcune patologie (ictus, infarto..) • Problemi di comunicazione nella gestione dell’emergenza e dell’elisoccorso • Carenze di gestione del rischio clinico e scarsa diffusione di sistemi di rilevazione di segnalazione degli eventi avversi • Carenza di prevenzione del rischio di infezioni correlate all’assistenza • Carenze relative al percorso nascita • Gestione carente dell’urgenza-emergenza pediatrica • Incompletezza della documentazione sanitaria, con particolare riferimento alla cartella clinica, nonché assenza di protocolli e di percorsi diagnostico terapeutici Riorganizzazione della rete ospedaliera dei servizi di emergenza La mancanza di un processo di razionalizzazione della rete ospedaliera calabrese ha comportato gravi inefficienze nell’utilizzo delle risorse, con conseguente non governabilità dei costi e con evidenti riflessi sui livelli di assistenza alla popolazione. Tra le principali criticità rientra l’alto tasso di ospedalizzazione (225 ricoveri per 1000 abitanti) e la forte concentrazione (60%) di ricoveri tra 0 e 5 giorni, caratterizzati, spesso, da elevata inappropriatezza. Con l’approvazione dei piani di riordino della rete ospedaliera, della rete emergenza-urgenza e della rete territoriale, sono state introdotte le seguenti novità: • riduzione di 1427 unità, nel successivo triennio, del personale; • passaggio da circa 7600 a circa 6400 posti letto; • individuazione di 3 ospedali hub, 1 ospedale universitario, 10 ospedali spoke, 4 ospedali generali, 1 Istituto nazionale di ricovero e cura per anziani (INRCA) Circa 20 sono le strutture di piccole dimensioni, particolarmente inappropriate, da disattivare da ospedali per acuti e da trasformare. Contestualmente, però dovrà essere affrontato il problema della riqualificazione e del riutilizzo del personale e degli ospedali che verranno chiusi o ridimensionati (12 nella prima fase dei 34 esistenti), nonchè il problema delle strutture, il cui valore patrimoniale potrebbe depauperarsi a seguito del declassamento. In questo senso la Commissione è stata destinataria di numerose richieste di conservazione di strutture ospedaliere da parte di diversi territori, tema di escusivo competenza della Regione, alla quale la Commissione ricorda l’esigenza di considerare prioritaria, nell’invarianza dei costi, l’attenzione per la tutela del diritto alla salute e sottolinea la necessità di finalizzare gli interventi del Piano di rientro, oltre che al doveroso recupero del disavanzo, anche al migliore utilizzo possibile delle strutture sanitarie esistenti. ll sistema dell’emergenza territoriale è costituito da 5 Centrali operative (Cosenza, Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e Reggio Calabria) e da 50 postazioni PET dislocate sul territorio provinciale e coordinate dalla corrispondente Centrale operativa. Quello che emerge, è che il Sistema dell’emergenza-urgenza in Calabria, oltre che presentare molti aspetti di obsolescenza e scarsa efficienza, è ancora frazionato in singoli ambiti spesso tra loro non coordinati e risulta utilizzato sovente in modo inappropriato, come risulta ove si consideri che solo ad una ridotta proporzione degli accessi in pronto soccorso segue il ricovero, mentre una elevata proporzione di casi presenta problemi non gravi trattabili in altre strutture. 10 La Situazione finanziaria della sanità regionale Il problema fondamentale che la Commissione si è trovata ad affrontare è stato quello della corretta determinazione dell’entità del disavanzo sanitario della regione Calabria: incertezza del suo ammontare, inattendibilità dei dati forniti, in alcuni casi mancanza. Risulterebbero, inoltre, situazioni di scarsa attendibilità dei dati forniti da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere, anche a causa della mancata attivazione di un sistema informativo efficiente, e un cumulo, sul capitale, degli interessi passivi a causa di una endemica carenza di liquidità delle aziende che, nell’ultimo quinquennio, ha raggiunto quota 77 milioni. Di conseguenza, particolare criticità riguarda il tempo medio per il pagamento dei fornitori di beni e servizi erogati alle aziende ed enti del Servizio sanitario regionale, pari a 778 giorni per i prodotti biomedicali e a 674 giorni per i farmaci. Il peggior dato su tutto il territorio nazionale. Il 19 novembre 2009 è stato approvato il Piano di rientro dal disavanzo sanitario in attuazione del quale l’attuale Presidente della Regione ha dichiarato di poter risparmiare 150 milioni di euro nel 2011 e 250 milioni nel 2012, intervenendo nei settori: • farmaceutica (60 milioni), • personale (25 milioni), • attività della stazione unica appaltante (55 milioni), • ospedalità privata (40 milioni) • ospedalità pubblica (35 milioni). A fronte della carenza di una vera e propria cultura del dato e di capacità manageriali, che caratterizzano il sistema sanitario calabrese, queste le linee di azione indicate dalla Commissione: 1)riorganizzare il sistema informativo contabile della sanità regionale 2)introdurre sistemi di controllo di gestione, anche con l’ausilio di altre regioni “virtuose” 3)realizzare un monitoraggio continuo per il consolidamento dei dati contabili, anche mediante l’azione coordinata dell’assessorato regionale alla sanità e al bilancio; 4)implementare il servizio ispettivo regionale al fine di accertare eventuali responsabilità degli organi di controllo; 5)garantire percorsi di formazione qualificata per la classe dirigente. 6)Costituire un gruppo di lavoro, composto da soggetti facenti capo al Ministero del Tesoro, al Ministero della salute e al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, al fine di elaborare un manuale di principi contabili e di revisione. Una specifica richiesta di chiarimenti, ha riguardato la Fondazione “Tommaso Campanella”, costituita nel 2004 allo scopo di trasformarlo in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) per le patologie oncologiche la cui natura giuridica permane ancora irrisolta con evidenti implicazioni negative derivanti dall’incertezza della qualificazione. Inoltre, come risulta da indagini della Procura regionale della Corte dei Conti, la Fondazione, negli ultimi cinque anni, seppure in assenza di accreditamento, sarebbe stata destinataria di circa 100 milioni di euro da parte della regione Calabria, per effettuare prestazioni oncologiche, senza, tuttavia, conseguire i risultati previsti. 11 sudsanità ERRORI IN SANITA’ Considerazioni conclusive Criticità rilevate dalla Corte dei Conti(2004-2010) Le criticità emerse dall’analisi della Commissione posson o esser sintetizzate, in generale, in un’inefficiente organizzazione per fronteggiare le emergenze sanitarie. A questo contribuisce la presenza di numerosi presidi ospedalieri poco attrezzati (mancanti di sale operatorie o servizi di rianimazione) e un ricorso troppo frequente al trasferimento dei pazienti da una struttura sanitaria all’altra. Accade, talvolta, che il paziente già ospedalizzato venga ulteriormente trasportato in altri presidi con un pericoloso ritardo nel trattamento terapeutico più appropriato. Ad aggravare la situazione contribuisce la mancanza di comunicazione o di coordinamento tra la centrale operativa del 118 e le aziende ospedaliere, che talvolta causa un erroneo trasporto di pazienti in strutture non attrezzate per le patologie da cui sono affetti. Nella sanità calabrese si è sviluppata, nel tempo, una gestione non rispondente agli standard nazionali, caratterizzata, talora, dal prevalere di interessi particolaristici, da mancanza di cultura del dato, assenza di un’amministrazione corretta della spesa, che corrispondesse a criteri di efficacia e di efficienza, atti a garantire ai cittadini l’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità. E’ difficile distinguere con precisione le responsabilità delle Giunte regionali succedutesi dal 2000 al 2010. In questi anni, infatti, si sono registrate situazioni deficitarie, la cui entità è difficile da quantificare, in quanto manca spesso la rintracciabilità delle spese. Questo fa comprendere quanto non sia stato facile fissare degli obiettivi (sia finanziari, sia sociosanitari) non conoscendo, in fase di programmazione, la base di partenza dalla quale calcolarli e valutarli. Costituisce, inoltre, motivo di allarme e conferma di pericolosi condizionamenti malavitosi, facilitati da mancanza di trasparenza, incertezza dei dati e incapacità manageriali, la circostanza che gli organi amministrativi di alcune aziende sanitarie calabresi siano stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Lo stato della sanità in Calabria richiede quindi, in generale, un cambiamento radicale della gestione della cosa pubblica, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali mediante un potenziamento delle attività di controllo che garantisca piena trasparenza di fronte alla popolazione e al Paese. Dal 2004 al 2010, la Procura regionale della Corte dei conti per la Calabria ha depositato 67 atti di citazione in materia sanitaria ed ha in corso due inviti a dedurre. Gli importi di danno richiesti sono stati pari ad 95.339.607 euro, ai quali debbono aggiungersi i finanziamenti alla Fondazione Tommaso Campanella. I maggiori importi di danno richiesti hanno riguardato: Errori sanitari, per i quali la Corte dei Conti interviene con azione di rivalsa nei confronti responsabili quando l’Azienda sanitaria o ospedaliera abbia risarcito il danno a seguito di sentenza di condanna. Da novembre del 2003 l’importo danni richiesti è di oltre 4 milioni di euro, la metà riguardano invalidità verificatesi al momento del parto. Deficit di bilancio delle aziende sanitarie provinciali, con le case di cura private accreditate per prestazioni sanitarie senza corrispondente riduzione dell’importo destinato all’ospedalizzazione pubblica. Importo danni richiesti: 37.321.413 euro. Svolgimento dell’attività extramuraria non autorizzata da parte di medici in rapporto di esclusività con l’azienda. Importo danni Dati di sintesi Abitanti 2.010.000 Medici iscritti agli Albi 14.869 Rapporto medico/abitante 1 a 134 Spesa totale regionale 2.972 milioni di euro Acuzie Spesa regionale per ogni medico 199.000 euro ASP Cosenza 2.383 Spesa annua 1481 euro per abitante ASP Crotone 679 Disavanzo sanitario(dal 2000 al 31.12.2010) 1.046,983 milioni di euro ASP Catanzaro 1.604 Saldo negativo al 31.12.2007 1.610 milioni di euro ASP Vibo Valentia 299 Pagamento dei fornitori dei prodotti biomedicali 778 giorni ASP Reggio Calabria 1.495 Pagamento dei fornitori dei farmaci 674 giorni ASL Locri T otale complessivo 360 Posti letto (2009) per struttura (Pubblico e Privato) 6.820 POSTAcuzie 12 ASP Cosenza 428 ASP Crotone 160 ASP Catanzaro 96 ASP Vibo Valentia 20 ASP Reggio Calabria 52 Totale complessivo 756 richiesti: 495.951 euro. Illegittimità collegate all’acquisto indebito o l’acquisto a prezzi maggiorati di farmaci. Importo danni richiesti: 2.591.689 euro. Mancata utilizzazione di strutture sanitarie ed apparecchiature medicosanitarie acquistate. In particolare, si ricorda la mancata utilizzazione delle apparecchiature destinate allo screening mammografico, caso in cui allo spreco di pubbliche risorse, si aggiunge la ricaduta sulla collettività femminile calabrese, privata della possibilità di sottoporsi a prevenzione tumorale. Importo danni richiesti: 7.154.074 euro Illegittimità negli appalti di gara per l’acquisto di beni e servizi, con un importo danni richiesto di 4.544.135 euro. Illegittimità nella gestione del personale, illegittimi pagamenti o inquadramenti. Importo danni richiesti: 1.833.720 euro. Illegittimità di incarichi professionali conferiti a terzi, ovvero a soggetti estranei all’ente sanitario in presenza di personale aziendale interno idoneo allo svolgimento delle medesime prestazioni. Importo danni richiesti: 8.555.597 euro. sudsanità L’APPROFONDIMENTO Radiografie al polso per stabilire l’età dei minori accompagnati foto di Gianni Cipriani e Massimo Di Nonno Sempre più spesso, per determinare l’età, invece di ricorrere alla collaborazione con le rappresentanze diplomatiche, ove possibile, o meglio alla sistematica presunzione di minore età in attesa di ulteriori accertamenti, si ricorre all’accertamento medico, e, in particolare, all’esame radiografico alle ossa del polso, nonostante la normativa italiana stabilisca che, nell’ambito delle procedure medico-legali, l’esposizione a raggi ionizzanti debba essere giustificata sulla base del beneficio diretto per la salute della persona. Non è facile parlare di minori stranieri e ancor di più se si tratta di minori che arrivano in Italia non accompagnati da un adulto, sia esso un parente o meno. Se provengono da una zona di guerra o “semplicemente” cercano un futuro migliore di quello che avrebbero avuto restando nel loro paese. Sono, infatti, molto eterogenee le motivazioni che spingono i minori ad intraprendere un percorso migratorio: da vere e proprie situazioni di rischio per la propria sopravvivenza, a condizioni di precarietà economica e sociale o di vero e proprio sfruttamento, dai trasferimenti territoriali forzati ai maltrattamenti in ambito familiare, dalla perdita di tutti i parenti adulti o da un progetto condiviso con i propri genitori, che li spingono a tentare l’avventura migratoria nella speranza di fungere da “ancora” per l’insediamento futuro nel nuovo paese di tutto il gruppo familiare. Infine, va ricordato il desiderio di avere accesso ai prodotti di un mercato apparentemente ricco di beni e di risorse. Non sempre e non per tutti la meta è l’Italia, spesso, soprattutto per coloro che fuggono da una situazione di conflitto o da persecuzioni, l’arrivo nel nostro paese è del tutto casuale, frutto di adattamenti progressivi alle opportunità che, di volta in volta, si presentano nel corso del viaggio intrapreso. La ricostruzione delle disposizioni legislative e delle procedure per mezzo delle quali si definisce il “minore straniero” comporta preliminarmente il passaggio attraverso i termini che compongono tale identità: il minore e lo straniero. Termini che vanno considerati uno a completamento dell’altro come condizioni necessarie, ma non sufficienti, per la definizione del soggetto. Il trattamento giuridico, per le diverse sfaccettature che può assumere il fenomeno della migrazione minorile, è posto al confine tra 14 due legislazioni di segno opposto: quella sui minori, ispirata a principi di protezione e sostegno e quella sugli stranieri, nata come legislazione di pubblica sicurezza, improntata su principi di controllo e di difesa. Si tratta quindi di bilanciare due esigenze forti e tra loro contraddittorie: la tutela dell’infanzia e il controllo delle frontiere, in sostanza occorre scegliere tra inclusione ed esclusione. Molte delle norme che riguardano i minori sanciscono la necessità di riconoscere loro, indipendentemente dalla nazionalità e dal fatto che lo status sia quello di immigrato regolare o irregolare, la titolarità di una condizione giuridica particolare, fatta di diritti fondamentali e inviolabili e di “superiori interessi che devono essere tenuti in preminente considerazione” come detta l’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989. La legge italiana in materia di minori stranieri inevitabilmente risente del generale approccio al fenomeno migratorio degli ultimi anni, che oscilla tra il senso di “pericolosa invasione” e quello utilitaristico, che considera gli stranieri soggiornanti nel nostro territorio come strumenti per sopperire alle necessità del mercato del lavoro o per supportare le carenze presenti in ambito sociale, come nel caso dell’assistenza agli anziani. Prevale quindi una visione prettamente economica dei migranti, che inevitabilmente si riflette sul loro status giuridico, in quanto il diritto di soggiorno viene riconosciuto solo quando questi sono lavoratori attivamente occupati e con un reddito sufficiente a garantire il loro mantenimento e quello della loro famiglia. In questo contesto va analizzata anche tutta la mole di disposizioni riguardanti i minori stranieri, che negli ultimi anni ha creato un panorama normativo spesso lacunoso e contraddittorio, incapace di garantire una tutela piena e efficace. La normativa di riferimento, relativa ai minori stranieri, appartiene, infatti, in parte a quella riguardante i minori, per cui vengono applicate le norme generalmente riconosciute dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione (collocamento in luogo sicuro per il minore in stato di abbandono, affidamento disposto dal Tribunale per i Minori, apertura della tutela) in parte alla normativa sull’immigrazione, di competenza del Ministero dell’Interno, in parte ancora alla normativa riguardante specificamente i minori non accompagnati, per i quali è stato istituito il Comitato per i minori stranieri, incardinato presso il Ministero della Solidarietà Sociale. Le segnalazioni della presenza dei minori vengono raccolte in una banca dati (gestita dal Comitato dei Minori) che, tuttavia, coglie uno spaccato del tutto marginale rispetto al numero delle presenze effettive. Infatti, vengono registrati unicamente i minori di 18 anni non accompagnati, non richiedenti asilo (per questi ultimi viene attivata una procedura che fa capo al Ministero dell’Interno e quindi a organismi diversi e nello specifico gli SPRAR) entrati in contatto con le istituzioni volontariamente o altrimenti individuati sul territorio nazionale. Rimane, invece, sconosciuto il numero di coloro che vivono in condizione di irregolarità. Non 15 sudsanità rientrano, inoltre, nella competenza del Comitato le vittime di tratta, i minori sottoposti a procedimento penale, coloro che a prima vista appaiono accompagnati, i minori che hanno presentato domanda di protezione internazionale, i richiedenti asilo, i rifugiati, per i quali, come è stato detto, sono previste competenze istituzionali e procedure diverse. Dal 1° gennaio 2007 sono infine esclusi i minori rumeni – le cui presenze sono molto significative - a seguito dell’ingresso del loro paese nell’Unione Europea. L’identificazione del minore è il momento cruciale per porre in atto tutte quelle azioni volte alla presa in carico della persona e alla ricerca di soluzioni specifiche e individuali, che, “nell’interesse superiore del minore”, possano consentire di emettere un provvedimento di non luogo a procedere al rimpatrio e disporre la sua permanenza in Italia e il conseguente avvio delle misure di protezione e tutela previste dalla legge. Molto spesso i mi- L’APPROFONDIMENTO nori soli in arrivo o presenti nel nostro paese non possiedono alcuna documentazione, o perché nel paese d’origine non esiste alcuna anagrafe o forme analoghe di registrazione, o perché durante il viaggio i documenti sono stati perduti, distrutti o confiscati prima che i minori venissero a contatto con le autorità italiane. In questa condizione si trovano per lo più coloro che sono costretti a fuggire da guerre o persecuzioni personali e le vittime di tratta e sfruttamento. Sempre più spesso, per determinare l’età, invece di ricorrere alla collaborazione con le rappresentanze diplomatiche, ove possibile, o meglio alla sistematica presunzione di minore età in attesa di ulteriori accertamenti, si ricorre all’accertamento medico, e, in particolare, all’esame radiografico alle ossa del polso, nonostante la normativa italiana stabilisca che, nell’ambito delle procedure medico-legali, l’esposizione a raggi ionizzanti debba essere giustificata sulla base del beneficio diretto per la salute della persona. Inoltre, nel referto medico non sempre viene indicato il margine di errore (ben due anni) che permetterebbe l’applicazione del beneficio del dubbio circa l’età dichiarata dal minore e non sempre viene rilasciata copia del referto, che consentirebbe eventualmente di ricorrere contro il provvedimento con cui viene determinata l’età del ragazzo. In sostanza, si fa di una misura eccezionale, come la radiografia del polso, una prassi costante, anziché ricorrere ad un approccio multidisciplinare, possibile grazie all’utilizzo di più metodi combinati, come ad esempio misure antropometriche, parametri auxologici e documentazione iconografica con tecniche di diagnostica per immagini. Sono state delineati dalle organizzazioni impegnate nella realizzazione del Progetto Praesidium III, (co-finanziato dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Mi- nistero dell’Interno e dalla Commissione Europea, con l’obiettivo di migliorare le capacità di accoglienza dei flussi migratori che interessano le località di frontiera sulle coste italiane) ossia dalla Croce Rossa Italiana (CRI), dall’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e da Save the Children, i principi generali e le procedure generalmente applicabili da parte di tutti gli operatori impegnati nell’identificazione dei minori migranti al fine di garantire le capacità di accoglienza dei minori nel rispetto dei diritti loro garantiti dalle norme internazionali e nazionali. In Italia, inoltre, non c’è una normativa specifica rispetto al minore che si trova in condizione di abbandono, ciò significa che anche il minore straniero, che si trova nella condizione di non avere un adulto che ne assume la tutela, viene affidato ai servizi sociali del comune nel quale viene individuato, e da rete, di presa in carico e integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Obiettivo del programma è la creazione di una rete di servizi pubblici locali di pronta accoglienza in grado di implementare gli interventi già in atto e di favorire l’avvio di nuovi progetti, attraverso il perfezionamento delle pratiche relative all’identificazione, alla presa in carico e all’integrazione dei minori non accompagnati. Tutti i comuni che fanno parte della rete sono tenuti a seguire le stesse linee guida predisposte dal comitato dei minori. Non sempre le agenzie coinvolte nel processo sono in grado di trovare rapidamente soluzioni o di lavorare in piena sinergia, con il risultato che anche una piccola disfunzione si ripercuote su tutto il sistema di accoglienza e che i tempi per completare le varie procedure possono subire ritardi con conseguenti ricadute sui diritti dei minori. A volte i tempi si dilatano anche per motivi banali come la mancanza di tutori, cui affidare quel momento l’ente territoriale ne diventa responsabile in base a quanto dispone la L.328/00. L’aumento degli arrivi di minori soli, soprattutto nella fase iniziale del fenomeno della migrazione di minori non accompagnati, ha messo in difficoltà quei comuni non sufficientemente attrezzati ad attivare i servizi di accoglienza e protezione che la legge in ogni caso impone. Nel 2008 è stato elaborato il Programma Nazionale di Protezione minori stranieri non accompagnati finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e realizzato dall’ANCI, che ha consentito di attivare un sistema nazionale, decentrato e in il minore o perché la competenza territoriale del tribunale si estende su territori comunali diversi e il meccanismo di rete rischia di incepparsi. A Catania, ad esempio, tutto ciò si è tradotto nella realizzazione del progetto “L’Incontro” che, utilizzando le strutture delle cooperative Dedalo e Prospettive ( da anni impegnate nel lavoro di tutela dei minori), assicura tale accoglienza. Un progetto ulteriormente stimolato dalla creazione della rete locale per le “Buone prassi per l’accoglienza e l’integrazione sociale dei minori stranieri non accompagnati”, che interviene in favore del minore “nel momento in cui qualunque organo di polizia o altro ente rintraccia un foto di Gianni Cipriani e Massimo Di Nonno 16 minore non accompagnato nel territorio”. A tale rete partecipano oltre ai sindaci dei comuni di Catania, Caltagirone e Palagonia, gli organi che istituzionalmente hanno competenza sui minori: la magistratura minorile, le ASP, l’ufficio provinciale del lavoro, l’ufficio scolastico provinciale, la questura, oltre a numerose agenzie di volontariato attive sul territorio. Secondo Claudio Saita ( coordinatore del gruppo di lavoro MSNA – minori stranieri non accompagnati - del comune etneo) questa iniziativa è significativa sia perché ha consolidato il lavoro di rete, ma soprattutto perché va nella direzione del superamento di un’ottica emergenziale, creando un sistema capace di operare indipendentemente dai finanziamenti esterni, secondo lui destinati ad esaurirsi, e quindi in grado di passare da una logica dell’emergenza a quella dell’ordinarietà. In questo senso, secondo Saita, “Il punto di svolta è rappresentato dall’ attenzione che viene riservata alla figura del mediatore linguistico–culturale, e all’individuazione delle altre figure di sostegno, a partire dalla nomina del tutore, necessarie per mettere il minore nelle condizioni di progettare il proprio futuro”. Il rischio del mancato accesso ai diritti fondamentali è aumentato in seguito all’entrata in vigore della Legge 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) che ha introdotto l’obbligo di denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale che venga a conoscenza della situazione di irregolarità di un migrante e che, di fatto, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di ingresso e soggiorno illegale nello Stato italiano. Questa legge, meglio nota come “pacchetto sicurezza” , aveva reso inoltre più difficile la conversione del permesso di soggiorno dei minori stranieri non accompagnati al compimento della maggiore età anche a causa degli stringenti requisiti necessari per procedere alla conversione del permesso di soggiorno. Erano, infatti, richiesti tre anni di permanenza in Italia e due anni di partecipazione a un programma di integrazione, oltre al requisito dell’apertura della tutela o dell’affidamento. Con la conseguenza che molti minori, giunti in Italia dopo aver compiuto 15 anni, rischiavano di vedere invalidato il loro percorso formativo e di integrazione e di ritrovarsi “clandestini” da un giorno all’altro. Dal 2 agosto (L.129/2011) è legge la nuova norma che consente ai minori che non possono dimostrare di trovarsi in Italia da almeno tre anni e di aver partecipato a un progetto di integrazione per almeno due anni, di ottenere ugualmente un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro o di lavoro subordinato o autonomo al compimento della maggiore età, a condizione che siano affidati o sottoposti a tutela e che abbiano ricevuto un parere positivo alla prosecuzione della 17 sudsanità L’APPROFONDIMENTO loro permanenza in Italia da parte del Comitato minori stranieri. Il punto è che i criteri in base a cui il Comitato per i minori stranieri decide se il minore debba essere rimpatriato o restare in Italia non sono chiaramente stabiliti né dalla legge, né dal Comitato stesso. In base all’orientamento finora adottato dal Comitato, in generale il minore non può essere rimpatriato se il rimpatrio comporta gravi rischi: ad esempio se non si riescono a individuare né i familiari né le autorità del paese d’origine disposte ad assumere l’affidamento del minore a seguito del rimpatrio, o se i genitori hanno tenuto comportamenti gravemente pregiudizievoli nei confronti del minore, o se il minore proviene da un paese in guerra o dove rischierebbe di essere perseguitato. Per rispettare pienamente la Convenzione sui diritti del fanciullo si dovrebbero comunque considerare una serie di fattori, quali la volontà del minore (il minore ha infatti diritto di esprimere la propria opinione e che questa sia debitamente presa in considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità), la volontà dei suoi familiari, le opportunità (di istruzione, assistenza ecc...) disponibili nel suo paese, le condizioni di inserimento (scolastico, lavorativo, relazionale ecc...) del minore in Italia. Tali fattori dovrebbero essere tenuti in conto, benché non in modo rigido e vincolante, per valutare caso per caso quale soluzione risponda maggiormente all’interesse del minore: è quindi fondamentale che il Comitato per i minori stranieri riceva tutte le informazioni relative a questi aspetti dagli operatori che seguono il minore a livello locale, mediante relazioni approfondite e aggiornate. Questa importante disposizione a favore dei minori non accompagnati è contenuta nella legge di conversione del cd “decreto rimpatri” dello scorso giugno che però, in maniera contraddittoria, allunga da 6 a 18 mesi il periodo di “detenzione” nei Centri di identificazione e espulsione (Cie), che spesso accolgono anche minori erroneamente considerati maggiorenni. Si tratta, infatti, di una legge che disciplina la libera circolazione all’interno del nostro territorio di chiunque non sia cittadino italiano e che mantiene nel nostro ordinamento il reato di ingresso e/o soggiorno illegale, prevedendo l’espulsione non solo per chi viene considerato pericoloso ma anche di chi, regolarizzato, non mantenga i requisiti, (principalmente l’ autosufficienza economica) per poter rimanere in Italia. Ancora una volta ci troviamo in presenza di un intervento che tradisce un atteggiamento ostile nei confronti dei migranti e che si muove in una direzione opposta a quella di una normativa capace di promuovere l’accoglienza e l’integrazione dello straniero. 5 accompagnati, distribuiti fra il Centro di Soccorso e Prima accoglienza (CSPA) e la ex base Loran (dove sono circa 100). La gran parte è di sesso maschile, con prevalenza di provenienza dalla Libia e originari da: Nigeria (molte le ragazze), Gambia, Mali, Ghana, Costa D’Avorio, Niger. Dal 20 agosto si sono registrati molti arrivi dalla Tunisia. Tra i 15 e i 17 anni l’età media generale, ma si registra anche la presenza di minori di 12, 13 e 14 anni. Tra i minori accompagnati anche neonati e bambini, prevalentemente tra 1 e 6 anni. Sulla base delle testimonianze che raccogliete al momento dello sbarco, quali sono le motivazioni e i percorsi migratori dei minori che arrivano a Lampedusa? I minori migranti incontrati dagli operatori di Save the Children hanno dichiarato di essere partiti per svariate ragioni: c’è chi vuole chiedere la protezione internazionale, chi dichiara di scappare da tensioni e violenze, da una situazione insostenibile, chi riconosce di aver colto un’opportunità per sfuggire da condizioni di estrema povertà o per migliorare le proprie condizioni di vita. Gran parte dei minori migranti provenienti dalla Tunisia tra febbraio e marzo dichiarava di voler proseguire il proprio viaggio verso la Francia. Bambini in fuga da persecuzioni o per motivi umanitari arrivano a Lampedusa dalla Libia, ma sono originari di Somalia, Eritrea, Sudan e Costa d’Avorio. Alcuni riferiscono di aver attraversato il deserto e viaggiato per vari mesi, persino anni. A causa della guerra in Libia, ci sono anche minori separati dalle loro famiglie o che hanno perso i parenti nel conflitto. Maria Grazia Messina L’accoglienza dei minori non accompagnati a Lampedusa: l’esperienza di Save the Children Continuano senza sosta le attività di assistenza ai migranti che, ancora in queste settimane, arrivano sull’isola. Dal marzo 2008, Save the Children è impegnata nella realizzazione del progetto Praesidium, coordinato dal Ministero dell’Interno. In particolare, l’organizzazione si occupa dei minori stranieri non accompagnati e dei minori migranti in arrivo con le loro famiglie in Italia attraverso la frontiera sud e di monitorare la qualità delle strutture adibite alla loro accoglienza. Nella realizzazione del progetto Praesidium, Save the Children Italia lavora in stretta partnership con l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, UNHCR, l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, OIM, e la Croce Rossa Italiana. Chiediamo a Viviana Valastro, coordinatrice del team Lampedusa di Save the Children, di descrivere l’attività dell’organizzazione e indicare quali risultati sono stati raggiunti. 18 Gli operatori di Save the Children, un mediatore culturale e un consulente legale, sono presenti e operativi a Lampedusa, sul territorio siciliano, in Puglia e in Calabria, sin dalla fase dell’arrivo/sbarco dei migranti. Offrono prima assistenza e supporto ai presunti minori e agli eventuali nuclei familiari. Save the Children ha, inoltre, il mandato di monitorare le procedure di identificazione e accertamento dell’età dei migranti in arrivo via mare e il rispetto degli standard di accoglienza dei minori migranti all’interno delle strutture in cui vengono ospitati. Attraverso sessioni informative di gruppo e colloqui individuali, Save the Children fornisce ai minori non accompagnati informazioni sui loro diritti e sull’iter di protezione e accoglienza previsto per loro in Italia, nonché specifico supporto quando emergono situazioni di particolare difficoltà. Il team di Save the Children, infine, monitora le procedure di trasferimento e le condizioni di accoglienza e di protezione dei minori non accompagnati nelle comunità alloggio in cui questi ultimi vengono trasferiti, attraverso l’utilizzo di strumenti metodologici sviluppati tenendo conto degli standard nazionali e internazionali di tutela dei diritti dei minori. Nell’ambito del progetto Praesidium, Save the Children ha prodotto e reso pubblici 3 rapporti di monitoraggio delle comunità alloggio per minori in Sicilia (2008, 2009 e 2010) e un rapporto di monitoraggio delle comunità alloggio per minori in Puglia e nelle Marche (2010), in cui sono evidenziate le principali criticità rilevate e avanzate proposte di miglioramento del sistema di accoglienza dei minori migranti in arrivo via mare. (www.savethechildren.it) Con Decreto n. 3697 del 27 luglio 2011 il Commissario delegato per l’Emergenza Nord Africa, Prefetto Gabrielli, ha istituito il Gruppo di Monitoraggio e Assistenza (GMA) al fine di monitorare le attività realizzate per l’accoglienza dei migranti provenienti dal Nord Africa e per garantire standard di assistenza omogenei sul territorio nazionale. Save the Children, insieme al Ministero delle Politiche Sociali, si occuperà del monitoraggio delle attività realizzate per i minori non accompagnati e, in particolare, verificherà le condizioni di accoglienza nelle comunità alloggio per minori e nelle strutture di accoglienza temporanea, attivate nel mese di luglio, al fine di andare incontro all’esigenza di decongestionare il CSPA di Lampedusa e la ex Base Loran. Dott.ssa Valastro, quali sono gli ultimi dati sulla presenza dei minori al momento dello sbarco? Al 30 agosto 2011 erano presenti a Lampedusa oltre 225 i minori non accompagnati e Lei ha parlato di “presunti” minori, quale sistema di identificazione viene utilizzato per accertarsi dell’età dei giovani migranti? Tutti i migranti, in arrivo via mare o rintracciati sul territorio, devono essere identificati dall’Ufficio Immigrazione della Questura territorialmente competente. Essere identificato come minore costituisce il presupposto fondamentale per beneficiare delle misure di protezione specificamente previste dall’ordinamento italiano. Per questo motivo il team di Save the Children, nei territori in cui è presente, monitora lo svolgimento delle attività di identificazione dei minori. Le procedure di accertamento dell’età non sono uniformi a livello nazionale e non sempre sono poste in essere nel pieno rispetto dei diritti del minore e della normativa italiana e internazionale vigente. Esami medico-scientifici per accertare l’età di un presunto minore dovrebbero, infatti, essere utilizzati come extrema ratio e quando il ricorso ad altri 19 sudsanità mezzi (non dannosi per il minore e per i suoi cari, quali ad esempio le verifiche consolari, a meno che non si tratti di minori richiedenti asilo, o tali verifiche non possano essere altrimenti dannose per il minore e/o i suoi cari) non abbia dato alcun esito. Sulla base dell’esperienza diretta di Save the Children riteniamo che il ricorso ad esami medici venga effettuato in misura eccessiva e come prassi abituale, senza cha al minore venga richiesto il consenso informato. Spesso l’accertamento è basato su un solo esame medico (che in alcuni casi è un esame radiologico, che espone il presunto minore a un danno, specialmente quando tali accertamenti vengono ripetuti). Inoltre, il margine di errore correlato a questo tipo di esame non è quasi mai indicato nel referto, né una copia del certificato è di solito consegnata al minore. Gli esami vengono condotti per lo più al momento dell’ingresso (o dell’intercettazione sul territorio) del minore e in attesa dei risultati quest’ultimo non è trattato in quanto tale e, di solito, non vengono fornite informazioni sulla possibilità di fare appello contro il risultato di tali esami. I tempi di permanenza all’interno delle strutture di prima accoglienza sono da considerare coerenti con una efficace tutela dei diritti dei giovani migranti? Il periodo di permanenza all’interno del CSPA e della ex Base Loran di Lampedusa varia da 15 giorni ad un mese, ma ci sono stati minori trattenuti nel centro anche per periodi più significativi. Il trattenimento prolungato dei minori in queste strutture non adeguate ad un’accoglienza di più lungo periodo si configura come una limitazione della loro libertà personale. Save the Children ha ripetutamente sollevato tali problemi con le autorità competenti e richiesto l’immediato trasferimento dei minori non accompagnati e di quelli in nucleo familiare sul territorio nazionale, affinché venissero al più presto collocati in comunità per minori che garantiscano standard di accoglienza adeguati. Nei centri di “accoglienza” i minori lamentano di non poter uscire e di non conoscere il loro destino e le stesse motivazioni della detenzione. Spesso dividono gli spazi con gli adulti, in luoghi inadatti ad ospitare minori. Ci sono anche minori ormai prossimi ai 18 anni che non hanno ancora avuto la possibilità di inoltrare la domanda di permesso di 20 soggiorno per minore età. La condizione di incertezza sulla loro sorte comporta evidenti segni di sofferenza e disagio psichico. A volte giungono notizie di risse e atti autolesionistici. Come valuta questa situazione? In effetti, nel periodo di maggiore afflusso di minori, e cioè nel febbraio di quest’anno, la situazione era piuttosto critica e non era stata ancora avviata la procedura che prevede l’utilizzo di strutture “ponte”, in grado di accogliere anche 50 ragazzi per volta. Si tratta di strutture transitorie, e tali devono rimanere, che funzionano come dei bacini per decongestionare situazioni di sovraffollamento che si verificano in periodi particolari, quando gli sbarchi dei migranti si susseguono in brevi periodi di tempo al di sopra delle possibilità di accoglienza dell’isola. Adesso si cerca, anche se ancora con molta difficoltà , di normalizzare queste situazioni di grande complessità, a volte si verifica che gruppi di ragazzi abbiano già un collocamento ma che i tempi si dilatino perché non c’è chiarezza su chi deve farsi carico delle spese di trasferimento. Ma siamo sicuri che non si verificheranno più casi come quelli che hanno riguardato alcune comunità, come è successo anche a Catania, che, pur essendo delle ottime strutture ponte perché in grado di accogliere molti minori ed evitare le situazioni di promiscuità altrimenti inevitabili, sono state considerate come delle vere e proprie comunità di alloggio con il risultato di esasperare e determinare episodi di ribellione fra i giovani ospiti . Dall’inizio della crisi in Nord Africa sono circa 1800 i minori trasferiti nelle comunità alloggio di 12 regioni italiane. A partire dal mese di luglio sono state identificate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali/ D.G. Immigrazione strutture di accoglienza temporanea in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Toscana e, in un mese, vi sono stati trasferiti 465 minori migranti non accompagnati arrivati a Lampedusa. Tali strutture sono volte ad accogliere i minori per un tempo limitato assicurando il rispetto di standard minimi di accoglienza e andando incontro all’esigenza di decongestionare il CSPA di Lampedusa e la ex Base Loran. Esistono differenze di percorsi tra minori non accompagnati e minori non accompagnati richiedenti asilo? Certamente. Un minore non accompagnato può cercare asilo per timore di persecuzioni o per mancanza di protezione dovuta a violazione dei diritti umani, conflitti armati o altri disordini nel proprio Paese di origine. A Lampedusa, Save the Children con l’UNHCR fornisce a tutti minori informazioni sulla protezione internazionale. I minori richiedenti asilo devono essere trasferiti in comunità in grado di offrire loro specifici servizi in considerazione della loro particolare vulnerabilità. Il Sistema nazionale per richiedenti asilo dedica una quota di posti a questi minori. Con una nota del 15 luglio 2011 il Commissario Delegato per l’Emergenza Nordafrica ha stabilito una specifica procedura operativa per minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale secondo che essi manifestino la volontà di chiedere protezione internazionale subito dopo il loro arrivo o successivamente al trasferimento in comunità per minori o in strutture temporanee. La presenza di minori stranieri non accompagnati nel territorio italiano rappresenta un aspetto specifico e particolarmente complesso del fenomeno migratorio, anzi può considerarsi come un emergente e inedito problema sociale, che in futuro tenderà, con ogni probabilità, sempre di più a consolidarsi. Sempre sulla base della vostra esperienza diretta ritenete si possa ancora parlare di emergenza? La disponibilità dei fondi consentirà di affrontare in maniera “ordinaria” questo fenomeno. Il 12 febbraio 2011, il Consiglio dei Ministri italiano ha decretato lo stato di emergenza umanitaria. Conseguentemente, la Protezione Civile può ancora intervenire con misure urgenti per affrontare tale fenomeno. Nella seduta straordinaria della Conferenza Unificata (30 marzo 2011), il Governo si è impegnato ad individuare risorse stabili e pluriennali destinate al sostegno della collocazione dei minori non accompagnati in case famiglia attraverso i Comuni. Successivamente (6 aprile 2011), per dare piena attuazione a tale impegno, nella Conferenza Unificata è stato stabilito che dovesse essere assicurato un finanziamento pluriennale, attraverso la creazione di un Fondo apposito, in favore dei Comuni che avrebbero preso in carico i minori. Con Ordinanza 3933 del 13 aprile 2011, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato autorizzato a corrispondere un contributo ai Comuni che hanno sostenuto o autorizzato spese per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati per complessivi 500 posti pari a €9.800.000. In effetti, il fenomeno migratorio rappresenta un problema ormai strutturale, visto che ancora oggi sono frequenti gli sbarchi di un elevato numero di migranti. Inoltre, il permanere della crisi in Libia crea una situazione di instabilità che potrebbe favorire nuovi arrivi e creare nuove emergenze. Maria Grazia Messina 21 sudsanità Progetto PRAESIDIUM III cri - oim - unhcr - Save the children: accertamento dell’età di minori migranti Introduzione L’accertamento dell’età è costituito dall’insieme di procedure attraverso le quali si cerca di stabilire l’età anagrafica di un individuo. Tale processo è applicato in diversi contesti e riveste particolare importanza nell’ambito dell’identificazione dei minori migranti in Italia, finalizzata all’estensione delle misure di tutela e di protezione previste nell’ordinamento in favore dei minori. I minori migranti in arrivo/presenti sul territorio italiano si trovano spesso in condizioni di grave vulnerabilità, risultando in molti casi sprovvisti di documenti idonei di identificazione che ne attestino inequivocabilmente l’età perché questi sono stati perduti, confiscati, rubati o distrutti prima che essi venissero in contatto con le autorità italiane. In questa situazione si trovano spesso i minori che giungono in Italia perché costretti a fuggire da guerre e persecuzioni personali o coloro che sono vittime di tratta e/o sfruttamento. Si evidenzia inoltre che alcuni minori non sono mai stati registrati all’anagrafe dei rispettivi paesi di origine. La procedura di accertamento dell’età viene disposta, solitamente, dalle autorità di Pubblica Sicurezza, solo in mancanza di documenti validi di identificazione, nel caso in cui vi sia incertezza sulla minore età del migrante. In alcuni casi le segnalazioni relative alla richiesta di determinazione dell’età possono provenire anche da enti e associazioni che individuano sul territorio un minore erroneamente identificato come maggiorenne o non ancora identificato. Obiettivo del documento Con questa nota, le organizzazioni impegnate nella realizzazione del progetto 22 PRAESIDIUM III, congiuntamente con il Ministero dell’Interno, ossia CRI, OIM, UNHCR e Save the Children Italia individuano i principi generali e le procedure generalmente applicabili nel processo di identificazione dei minori migranti. Tali principi e procedure derivano da standard internazionali, in primis la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e nazionali propriamente Progetto Praesidium III CRI - OIM UNHCR - Save the Children citati di seguito. L’obiettivo è quello di fornire una guida chiara e sintetica a tutti gli operatori impegnati nella identificazione dei minori migranti, al fine di garantire il consolidamento delle capacità di accoglienza dei minori, nel rispetto dei loro diritti. Principi generali Superiore interesse del minore e diritto alla partecipazione Standard di riferimento: CRC, artt. 8 e 12; Commento generale n. 6 del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, CRC/GC/2005/6, 01/09/2005, par. 31. • L’accertamento dell’età deve essere sempre effettuato per il fine primario di conseguire il superiore interesse del minore, nel pieno rispetto dei suoi diritti e della sua dignità; • Nel rispetto del principio di partecipazione, il minore deve essere sempre informato, in una lingua che possa capire ed in conformità con il suo grado di maturità, circa: a) il fatto che la sua età può essere determinata mediante l’ausilio di esami medici; b) il tipo di visita medica adoperata, i possibili risultati attesi, e le eventuali conseguenze di tali risultati; nonché c) le conseguenze di un suo rifiuto a sottoporsi a detti esami. Presunzione della minore età Standard di riferimento: Commento generale n. 6del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, CRC/GC/2005/6, 01/09/2005, para. 31; UNHCR, Guidelines on Policies and Procedures in dealing with unaccompanied children seeking asylum, February 1997, Circ. MdI 9/07/2007, D.P.R n.448 22/09/1988, art. 8. • In caso di incertezza circa la minore età, occorre accordare al sedicente minore il beneficio del dubbio e trattarlo come tale; • L’accertamento dell’età deve essere considerato come un processo che non conduce a risultati esatti né univoci ed è pertanto necessario che il margine di errore venga sempre indicato nel certificato medico. La minore età deve essere sempre presunta qualora, anche dopo la perizia di accertamento, permangano dubbi circa l’età del minore. Procedure per l’accertamento Standard di riferimento: Commento generale n. 6 del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, CRC, Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26/6/1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi, Gazzetta ufficiale n. C 221 del 19/07/1997 pag. 0023 – 0027; D.Lgs. 25/2008, UNHCR, Guidelines on Policies and Procedures in dealing with unaccompanied children seeking asylum, February 1997, par. 5.11, a. • L’accertamento deve essere adottato con modalità che siano il meno invasive possibili, rispettando l’integrità fisica e psichica del minore e non deve essere mai eseguito in modo forzato. Tale processo deve prendere in considerazione fattori relativi allo sviluppo fisico e psicologico del minore, nonché fattori e parametri che tengano conto della cultura di provenienza e dell’etnia di appartenenza del minore; • L’accertamento deve avvenire in modo scientifico, sicuro, rispettoso della cultura e del genere del minore; • Qualsiasi esame relativo a tale accertamento non deve essere mai eseguito senza il consenso informato ed esplicito da parte del minore in questione o del suo rappresentante legale. A tale proposito, il minore ha il diritto di ricevere copia del certificato medico relativo all’accertamento dell’età. Gli esami medici devono inoltre essere sempre condotti in un ambiente idoneo ed in un momento opportuno; Progetto Praesidium III CRI - OIM UNHCR - Save the Children • Qualora nell’ambito del processo di identificazione, si renda necessario ricorrere alle procedure di accertamento dell’età, queste devono essere messe in atto da professionisti esperti e competenti, anche in merito alle specificità relative all’origine etnica e culturale del minore. Procedure e provvedimenti per la protezione del minore Standard di riferimento: Circolare del MdI 9/7/2007, Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n.25, Gazzetta Ufficiale n. 40 del 16 febbraio 2008, art. 19, Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26/06/1997, art. 4, UNHCR Linee guida par. 5 e 1. • L’esigenza di accertare le generalità dei cittadini stranieri, inclusi i minorenni sprovvisti di documenti, assume particolare rilevanza atteso che se il minore è erroneamente registrato come maggiorenne, possono essere adottati provvedimenti gravemente lesivi dei suoi diritti quali l’espulsione, il respingimento o il trattenimento in un centro di permanenza temporanea o di identificazione; • Fintantoché non siano disponibili i risultati degli accertamenti, all’immigrato presunto minorenne, dovranno essere applicate le disposizioni relative alla protezione dei minori; • Il rifiuto da parte del minore di sottoporsi agli accertamenti medici per la determinazione dell’età non può comportare il non accoglimento della domanda di asilo. REGIONE SICILIA Un Disegno di Legge per l’integrazione dei migranti “Oggi, nel nostro Paese, vivono oltre 5 milioni di persone di origine straniera. Una buona percentuale di loro vive in Sicilia e fra questi vi sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui, che, tuttavia, solo al compimento del 18° anno di età vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior parte dei casi un lungo percorso burocratico. Comprendo lo stato di difficoltà, che attraversano i migranti in Italia e mi sono sempre battuto in ogni ambito per debellare le disuguaglianze e le ingiustizie. Per fare si che ci sia una piena integrazione dobbiamo impegnarci sempre di più per far si che ci sia una totale integrazione tra cittadini italiani e stranieri e per questo stiamo dando corpo attività ad un disegno di Legge, che prevederà interventi a sostegno dei diritti dei migranti, la creazione di una una Consulta e di un Osservatorio, ma soprattutto il diritto di voto alle Elezioni amministrative”. Andrea Piraino, Assessore Famiglia e Politiche sociali, Regione Siciliana sudsanità Al Policlinico di Messina NEMO SUD, il Centro di riferimento meridionale per le Malattie Neuromuscolari della Regione Siciliana, sarà attivato entro il mese di dicembre. “A Messina esiste da circa 30 anni un Centro per le Malattie Neuromuscolari – dice il responsabile di NemoSud, Giuseppe Vita - che è cresciuto nel tempo grazie ai finanziamenti dell’Università di Messina e di altri enti pubblici e privati ed all’apporto professionale di medici e biologi che hanno compiuto stage di formazione presso i più importanti centri italiani ed esteri. Ciononostante, dopo aver fornito ai pazienti un servizio diagnostico moderno e in linea con le frequenti scoperte in questo campo, ci siamo resi conto che le loro esigenze ed aspettative e quelle delle loro famiglie si erano modificate nel tempo. Era sempre più percepita, infatti, la mancanza di un’assistenza multidisciplinare che tenesse conto nello stesso momento delle problematiche neurologiche, fisiatriche, cardiologiche, respiratorie, etc... L’esempio del Centro NEMO di Milano – prosegue Vita - ci è sembrato un ottimo modello a cui fare riferimento. Una coincidenza di eventi, quali la ristrutturazione di alcuni padiglioni del nostro ospedale e la volontà istituzionale e politica di pensare a sperimentazioni assistenziali che rispondessero realmente alle esigenze dei pazienti, ha poi favorito lo sviluppo del progetto. Come il Centro NEMO di Milano – aggiunge Vita - l’attenzione sarà rivolta soprattutto alle distrofie muscolari, alla sclerosi laterale amiotrofica ed alle atrofie muscolari spinali. Credo, però, che molte altre malattie neuromuscolari potranno trovare un’assistenza adeguata e multidisciplinare, dalle miopatie congenite e metaboliche alle neuropatie periferiche. Infatti, negli ultimi anni sono diventati disponibili nuovi farmaci e promettenti terapie e ciò ha portato ad un crescente impegno del medico nella coordinazione di un team multi-interdisciplinare e con un approccio in cui il paziente è al centro dell’attenzione e dell’assistenza. Il Centro NEMO SUD rappresenterà un centro di eccellenza per la presa in carico e il trattamento dei pazienti neuromuscolari, esempio unico nel centro-sud d’Italia. L’integrazione con il territorio avverrà attraverso le reti associative dell’UILDM, dell’AISLA e di altre associazione di pazienti ed attraverso convenzioni con le Aziende Sanitarie Provinciali e con le Aziende Ospedaliere. Saranno assicurati sinergie di competenze, metodologie e opportunità di innovazione, condivisione di protocolli diagnostico-terapeutici con i servizi territoriali. Abbiamo in mente anche altri progetti, quali per esempio un numero verde per rispondere a tutte le domande dei pazienti non soltanto dal punto di vista medico, ma anche per problemi tecnici legati all’uso degli ausili strumentali, un sistema di teleassistenza e percorsi di formazione, aggiornamento e occasioni di confronto con i caregivers e con i medici di famiglia. Il nostro gruppo di ricerca – conclude Vita - sta conducendo studi clinici finanziati dalla Fondazione Telethon e da altri enti. E sono sicuro che il Centro NEMO SUD sarà l’ambiente ideale per potenziare l’integrazione tra assistenza e ricerca, con l’obiettivo di arrivare alla comprensione dei meccanismi di malattia e all’identificazione di nuove metodiche diagnostiche e strategie terapeutiche”. M.Ca. Il centro ad alta specializzazione, gemello” del Centro Nemo di Milano, avrà una dotazione di 20 posti letto e si proporrà come punto di riferimento per le persone affette da malattie neuromuscolari e per le loro famiglie. L’intera gestione del Centro è stata affidata alla Fondazione Aurora Onlus, ente senza scopo di lucro, di cui fanno parte l’Unione 24 Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM), l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), la Fondazione Telethon, il Policlinico A.O.U. “Gateano Martino” e l’Università di Messina. Il Centro, sostenuto anche dall’Assesorato della Salute 25 sudsanità MALATTIE GENETICHE Intervista a Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Fondazione Telethon Nell’impegno che, fin dalla sua nascita, Telethon ha preso con i familiari dei bambini affetti da una malattia genetica, c’è l’idea che il paziente debba essere messo al centro del progetto. E’ stato perciò naturale, per noi, sposare l’idea dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (Uildm) di creare un centro clinico che, prendendo totalmente in carico i piccoli malati, sollevasse i loro familiari dall’estenuante trafila di passaggi in specializzazioni diverse della medicina, sia per riuscire ad avere semplici controlli periodici che per diagnosi più approfondite e delicate. Così, l’11 luglio scorso, grazie ad un accordo tra Telethon, la Uildm, l’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica e la Regione Sicilia, è nata a Messina la Fondazione Aurora Onlus, che si occuperà della gestione del Centro Clinico Nemo Sud, nuovo punto di riferimento per le persone con malattie neuromuscolari del Sud Italia. Il Centro sorgerà presso il Policlinico AOU “G. Martino” di Messina e l’inaugurazione dovrebbe avvenire entro il 2011. Un traguardo non isolato, né unico. Già nel 2007, presso l’Ospedale Niguarda di Milano, era stato realizzato il primo centro Nemo. Una struttura accogliente e all’avanguardia, dove tutte le migliori competenze di un grande ospedale pubblico, vengono gestite con criteri privatistici e messe a completa disposizione dei pazienti. I due centri sono una risposta ad una necessità chiara e definita: in molte regioni sono assenti strutture ospe26 daliere in grado di fare diagnosi di malattia neuromuscolare, con conseguente disagio dei malati e delle famiglie, che troppo spesso, per ottenere una risposta chiara, sono costretti ad affrontare viaggi di centinaia di chilometri. Inoltre, non sempre la struttura che emette la diagnosi è quella che poi prende in carico il malato, determinando uno stato di sconforto totale nelle famiglie ed un grande disagio da parte di chi, una volta scoperto di avere in casa una malattia gravissima e degenerativa, non sa a chi rivolgersi per le terapie. In questo senso sono quindi fermamente convinto che l’apertura del Centro Nemo Sud rappresenterà un passo fondamentale nella direzione di un sistema sanitario che metta finalmente il paziente al centro delle proprie attività . Un progetto importante, volto a migliorare concretamente la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. E sarebbe bellissimo, per noi di Telethon, poterlo inaugurare a dicembre, durante la nostra tradizionale maratona televisiva di raccolta fondi. L’impegno della Fondazione Telethon ll percorso che porta alla cura di una malattia genetica è molto lungo: potremmo immaginarlo come una scala, in cui il primo gradino è l’individuazione del difetto genetico che causa la malattia. Nel secondo gradino si studiano a fondo i geni-malattia alterati, cercando di comprenderne il funzionamento normale nell’organismo e i meccanismi che, se alterati, portano alla malattia. quali il merito e la trasparenza. Il sostegno dei cittadini italiani, che nonostante la crisi economica nello scorso anno hanno superato ogni record di donazioni, dimostra che l’Italia è pronta per adottare simili concetti. Il problema della scarsità dei fondi è serio, ma ancora più grave è la mancanza di una cultura della meritocrazia e dell’indipendenza. Telethon, in questo senso, copiando i migliori modelli stranieri, può essere un punto di riferimento. E se è vero che la missione di Telethon è ancora ben lontana dall’essere realizzata, è altrettanto evidente come il lavoro di oltre vent’anni abbia dato ottimi frutti e la strada intrapresa sia quella giusta. Lo aveva detto, Susanna Agnelli, presentando la prima maratona televisiva: “ Ci vorranno almeno venti anni per vedere i primi risultati”. Per poi ribadire, tempo dopo, che “Telethon continuerà ad esistere fino a che non scriveremo la parola cura vicino ad ogni malattia genetica”. Grazie a queste informazioni si possono ideare strategie, come nuovi farmaci o terapie genetiche, che compensino il difetto e testare la loro efficacia in modelli cellulari (terzo gradino) o animali (quarto gradino). Infine, è soltanto quando una terapia si dimostra efficace negli animali che si può salire sul quinto gradino della scala, quello della fase clinica, in cui la cura viene sperimentata su gruppi sempre più grandi di pazienti per valutarne sicurezza ed efficacia. Ada-Scid: è la prima malattia ereditaria al mondo ad essere stata curata con la terapia genica. La strategia di cura è stata messa a punto all’HsrTiget di Milano e il primo successo è stato raggiunto nel 2002: da allora 14 bambini affetti sono perfettamente guariti grazie a questa terapia. Grazie a un accordo siglato nell’ottobre 2010 tra Telethon, Istituto scientifico San Raffaele e la multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline la terapia genica per l’Ada-Scid potrà diventare un farmaco a tutti gli effetti ed essere così fruibile da pazienti di tutto il mondo. Amaurosi congenita di Leber: dal 2007 è in corso presso il Children’s Hospital di Philadelphia un trial clinico di terapia genica per una delle forme di questo tipo di cecità ereditaria (quella dovuta a mutazioni nel gene RPE65), che vede coinvolti anche il Tigem e la Seconda Università di Napoli. Ad oggi, i risultati ottenuti su 12 pazienti (di cui 5 italiani) sono molto positivi: il trattamento è risultato sicuro e capace di ripristinare parte delle capacità visive dei pazienti, soprattutto se intrapresa precocemente. Nel 2011 il trial continuerà su altri pazienti, anche italiani, per confermare definitivamente l’efficacia della terapia genica. Sindrome di Marfan: nel 2008 ha preso il via uno studio clinico per valutare l’efficacia di una nuova combinazione di farmaci nella prevenzione del principale rischio per chi soffre di questa malattia genetica che colpisce l’impalcatura del nostro organismo: la rottura dell’aorta. Prevenire la rottura del più importante vaso sanguigno dell’organismo può avere un impatto enorme sulla qualità della vita dei pazienti. Malattia di Pompe: nuovo approccio terapeutico per questa grave malattia metabolica di origine genetica che colpisce i muscoli, in particolare il cuore: è stato dimostrato nel modello animale che affiancando la terapia enzimatica sostitutiva, già disponibile da alcuni anni, con dei farmaci “aiutanti” si può migliorarne notevolmente l’efficacia. Alla luce di questi risultati, prende il via una sperimentazione sull’uomo della terapia combinata. Leucodistrofia metacromatica e sindrome di Wiskott-Aldrich: ha preso il via nel 2010 sta presso l’Hsr-Tiget di Milano il primo trial clinico di terapia genica per queste due gravi malattie genetiche, alla luce dei risultati positivi ottenuti nel modello animale. A beneficio della ricerca è stata siglata, nell’ottobre del 2010, l’alleanza tra Telethon, San Raffaele di Milano e la multinazionale farmaceutica Gsk. Encefalopatia etilmalonica: primo successo di un trattamento farmacologico per questa grave malattia mitocondriale, testato per la prima volta su 5 piccoli pazienti all’Istituto neurologico Besta di Milano. La terapia, relativamente semplice e poco costosa, si è dimostrata capace di attenuare gli effetti devastanti di questa patologia metabolica. Miopatia di Bethlem e distrofia muscolare congenita di Ullrich: la somministrazione di ciclosporina A, farmaco che si era già dimostrato in grado di curare la malattia nel modello animale, ha dato risultati promettenti. In uno studio pilota, il farmaco ha stimolato la rigenerazione muscolare in un piccolo numero di pazienti. I ricercatori sono al lavoro per disegnare uno studio clinico in proposito: un farmaco analogo del- La ricerca scientifica Telethon negli ultimi anni ha avuto una forte accelerazione. Per un gruppo di malattie siamo passati dagli studi di base a quelli di carattere clinico ed esistono concrete speranze che si arrivi alla cura definitiva, nel giro di pochi anni. Si tratta di un’ottima notizia, che alimenta le speranze di tanti pazienti e che dimostra la validità del nostro operato. Una ricerca, quella targata Telethon, riconosciuta come eccellente dalla comunità scientifica internazionale e basata su concetti 27 sudsanità la ciclosporina A ha mostrato in laboratorio di avere gli stessi effetti terapeutici, ma non gli effetti collaterali. Si accorciano dunque i tempi per passare al trial sull’uomo. Distrofia muscolare di Duchenne: attualmente sono in corso studi preclinici per valutare l’efficacia di diversi approcci terapeutici per questa grave malattia neuromuscolare, dalla terapia cellulare a quella farmacologica (con inibitori delle deacetilasi, inibitori della miostatina), oltre alla cosiddetta tecnica dell’exon-skipping. L’indicazione che sta emergendo è che un “attacco da più fronti” è probabilmente la migliore strategia contro questa malattia. Beta talassemia: presso l’Hsr-Tiget di Milano è stata dimostrata l’efficacia della terapia genica con vettori lenti virali in cellule di pazienti talassemici. A beneficio della ricerca è stata siglata, nell’ottobre del 2010, l’alleanza tra Telethon, San Raffaele di Milano e la multinazionale farmaceutica Gsk: entro il 2012 previsto l’avvio della sperimentazione sull’uomo della terapia genica. Il Registro Nazionale Malattie Rare dell’ISS Il Registro Nazionale Malattie Rare è istituito presso l’ISS in attuazione dell’articolo 3 del D.M. 279/2001. Il Registro ha come obiettivi generali di effettuare la sorveglianza delle malattie rare e di supportare la programmazione nazionale e regionale degli interventi per i soggetti affetti da malattie rare (art3). Il Registro mira infatti ad ottenere informazioni epidemiologiche (in primo luogo il numero di casi di una determinata malattia rara e relativa distribuzione sul territorio nazionale) utili a definire le dimensioni del problema; si tratta, inoltre, di uno strumento utile per stimare il ritardo diagnostico e la migrazione sanitaria dei pazienti, supporta- 28 Malattia di Krabbe: dimostrata l’efficacia della terapia genica nel modello animale all’Hsr-Tiget di Milano. Grazie all’accordo siglato con Gsk nell’ottobre del 2010 tra due anni possibile il trasferimento del risultato all’uomo. Mucopolisaccaridosi di tipo II: al Tigem di Napoli curata completamente la malattia nel modello animale, compresi i sintomi cerebrali, grazie alla terapia genica: un passaggio essenziale in vista di un trasferimento di questi risultati sull’uomo. Sindrome di Stargardt: ricercatori del Tigem di Napoli hanno messo a punto una tecnica di trasferimento genico in grado di trasportare anche geni di grosse dimensioni come quello responsabile di questa malattia ereditaria della vista. I numeri dell’intervento Telethon 326 milioni di Euro investiti nei progetti; 1427 ricercatori finanziati; 2266 i progetti Telethon; 454 le malattie finanziate; 7753 articoli scientifici pubblicati; Per info sull’attività di Telethon: www.telethon.it Deficit di fattore VII: dimostrata in laboratorio l’efficacia di un approccio terapeutico altamente innovativo per la cura di questo difetto ereditario della coagulazione del sangue. Somministrando un piccolo segmento di Rna è possibile “ingannare” il macchinario cellulare preposto alla produzione delle proteine e farlo funzionare correttamente nonostante l’errore genetico. re la ricerca clinica e promuovere il confronto tra operatori sanitari per la definizione di criteri diagnostici. L’attività del RNMR è iniziata nel 2001 e, per aumentare la copertura e l’efficienza della raccolta dei dati epidemiologici il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR), a partire dall’inizio del 2007, ha messo in atto una nuova modalità di raccolta dati che include un nuovo software; uno strumento che può essere utilizzato sia dai singoli presidi/centri abilitati alla diagnosi e al trattamento dei pazienti affetti da malattie rare sia dai Responsabili dei Centri di Coordinamento Regionale che coordinano le attività e fanno da tramite tra il CNMR e i singoli presidi/centri. Il software è sviluppato su piattaforma web, di semplice utilizzo, realizzato rispettando gli standard di sicurezza e di riservatezza per il trattamento dei dati sensibili. Il CNMR mette a disposizione il software gratuitamente sia alle Regioni che non hanno ancora attivato un proprio Registro Regionale, sia a quelle che ne sono già in possesso. Il software permette al RNMR di ricevere i dati da ciascun Responsabile del Centro di Coordinamento per la raccolta dei dati epidemiologici. Con tutte le Regioni è stato condiviso e concordato all’interno dell’Accordo StatoRegioni del 10 maggio 2007 un elenco di variabili obbligatorie (data set minimo) da inviare al Registro Nazionale Malattie Rare. Il data set minimo prevede campi obbligatori sia per la parte anagrafica di arruolamento del paziente sia per la parte relativa alla patologia; nella sezione facoltativa del Registro Nazionale Malattie Rare è possibile specificare i criteri diagnostici, gli esami clinici, di laboratorio e strumentali alla diagnosi e al follow-up ed è possibile segnalare il decesso del paziente. L’Accordo Stato-Regioni del 10 maggio 2007 stabilisce anche che le Regioni hanno l’impegno di attivare registri regionali o interregionali sulle malattie rare entro il 31 marzo 2008 e di garantire il collegamento con il RNMR. www.iss.it 29 sudsanità Zimbabwe Intervista ad Alberto Fontana Alberto Fontana, presidente dal 2004 dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM), dalla nascita nel 2007 del Centro Clinico NEMO di Milano è anche alla guida di Fondazione Serena, l’ente che si occupa della gestione del Centro stesso. Alla vigilia della nascita del Centro Clinico NEMO SUD presso il Policlinico di Messina, prevista entro il 2011, di cui la UILDM è tra i soci fondatori, abbiamo incontrato Alberto Fontana e gli abbiamo chiesto di parlarci dell’organizzazione che rappresenta e delle attività che promuove e che la caratterizzano. Presidente, quest’anno la UILDM festeggia i 50 anni dalla propria fondazione (1961-2011). Come è cresciuta in questi anni l’Associazione, che oggi conta circa 13.000 soci, e quali sono attualmente i suoi obiettivi? Nel 1962, a pochi mesi dalla costituzione ufficiale dell’Unione, sulla prima pagina dell’appena nato periodico “Distrofia Muscolare” - che ancora oggi è il nostro giornale nazionale, spedito in Italia e nel mondo - venivano esposti e condivisi con i primi lettori 30 e i soci obiettivi fondamentali quali “Unire tutti in uno sforzo per debellare la distrofia muscolare” e “ dedicare fondi, pubblici e privati, all’istituzione di un Centro Clinico specialistico con laboratori e un qualificato corpo medico, per lo studio e la cura delle malattie neuromuscolari”. Bene, in questi 50 anni abbiamo fatto molto per realizzare quanto si erano prefissi i nostri fondatori e siamo consapevoli di come anche il nostro impegno abbia contribuito a determinare la realtà attuale, che non è perfetta ma è migliore di quanto non fosse all’inizio degli anni ’60. Sono stati 50 anni spesi nella lotta e la difesa di ideali e diritti, umani e civili, primo tra tutti il valore del Diritto alla Salute, sancito dalla nostra Costituzione e impresso in modo indelebile nelle nostre menti e nei nostri cuori. Chiaramente, nonostante i risultati acquisiti, la nostra lotta alle malattie neuromuscolari, sostenendo la ricerca scientifica e l’inclusione sociale delle persone che ne sono colpite e di quelle con disabilità in generale, continua quotidianamente, in ogni momento. Un esempio concreto di questo impegno? Il Centro Clinico NEMO presso il Niguarda di Milano, primo in Italia specializzato esclusivamente sulle malattie neuromuscolari, e il Centro Clinico NEMO SUD presso il Policlinico di Messina sono una realtà apprezzata e di successo la prima, in via di definizione ma ormai molto vicina a un sereno e promettente avvio la seconda. Si tratta di progetti concreti che, giorno dopo giorno, sono in grado di migliorare realmente la qualità della vita delle persone affette da malattie neuromuscolari. Ed è stata la passione che abbiamo messo nella realizzazione del NEMO lombardo a contagiare altri territori, altre persone che operano in questo ambito: figure dall’altissima professionalità caratterizzate, allo stesso tempo, da grande umanità e volontà. Con il Centro Clinico NEMO SUD la UILDM - insieme ad AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), Fondazione Telethon, il Policlinico di Messina e la Regione Sicilia - realizza senza dubbio un altro sogno, proprio nell’anno dei suoi 50 anni e dei 150 del nostro Paese. Un obiettivo raggiunto anche grazie alla generosità degli italiani che durante la nostra Settima Giornata Nazionale, nell’aprile scorso, hanno confermato all’organizzazione la propria fiducia attraverso quelle donazioni che noi a nostra volta abbiamo convogliato in questo progetto. Non penso che in questo 2011 potessimo chiedere di più di quanto abbiamo fatto: unire idealmente l’Italia, da Nord a Sud, e rendere più accessibile, sotto molti punti di vista, l’offerta assistenziale e sanitaria per i cittadini con malattie neuromuscolari e le loro famiglie. All’Ospedale “Luisa Guidotti” un programma di Terapia Antiretrovirale Altamente Efficace (HAART) Da tempo si sente parlare, in ambito di Terzo Settore, Welfare e Volontariato, di sussidiarietà orizzontale. Qual è la sua idea in merito? Proprio quest’anno, per la prima volta, UILDM, AISLA, AriSLA (Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica) e il Centro Clinico NEMO di Milano si sono presentate al Meeting di Rimini “alleate contro le malattie neuromuscolari”, per sensibilizzare su questo tema. Si tratta di un nuovo modello di collaborazione volto esattamente a dare concretezza al principio di sussidiarietà orizzontale, secondo il quale le specificità di ciascuno concorrono al raggiungimento di un unico obiettivo: assistenza e partecipazione, accoglienza, presa in carico globale e ricerca, il tutto per combattere in modo efficace le malattie neuromuscolari avendo come priorità il paziente e la sua famiglia. L’obiettivo con cui è nata questa alleanza, quindi, è mettere questi ultimi, paziente e familiari, al centro di un’azione forte e condivisa, grazie alla sinergia di una pluralità di soggetti che operano singolarmente, ma all’unisono per offrire un aiuto sempre più concreto e per potenziare le possibilità di assistenza e di cura. Questa è, appunto, la sussidiarietà in cui noi crediamo e per cui giorno dopo giorno lavoriamo. Massimo Caruso Quando l’unica classe di farmaci antiretrovirali (ARV) non era in grado di inibire adeguatamente la replicazione del virus HIV, la vita delle persone con HIV/AIDS, ovunque nel mondo, seguiva un’immutabile storia naturale: graduale distruzione del sistema immunitario, inizio della profilassi per prevenire le infezioni opportunistiche. Periodi di benessere alternati a periodi di malattia, fino all’inesorabile declino e morte del paziente. A partire dal 1996, l’avvento di nuovi tipi di farmaci antiretrovirali e il loro uso in differenti combinazioni ha allungato la sopravvivenza delle persone con l’infezione da HIV. Pur non rappresentando una cura definitiva, queste terapie, cronicizzando l’infezione, hanno notevolmente diminuito i tassi di mortalità e morbilità oltre che migliorato la qualità della vita delle persone che vivono con HIV/AIDS. Attualmente, oltre 30 milioni di persone affette dall’infezione da HIV, che vivono in Paesi in via di sviluppo, non hanno la possibilità di condividere questi progressi. L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha calcolato che oltre 6 milioni di persone necessitano immediatamente della terapia antiretrovirale. Per tale motivo, già nel 2000, la UNGASS (United Nations General Assembly Special Session on HIV/AIDS), mobilitando quella che è stata chiamata “grande alleanza globale”, ha espresso la necessità che “il mondo occidentale avverta la pressione morale, sociale, politica ed economica per far sì che le terapie antiretrovirali vengano rese disponibili a tutti e in qualsiasi parte del mondo”. 31 sudsanità Seguendo questo principio, l’OMS, nel 2002, ha pubblicato le Linee guida per le terapie ARV nei Paesi in via di sviluppo che, pur necessitando di continui aggiornamenti, rappresentano il primo punto di riferimento per il trattamento dei pazienti con HIV/AIDS, nei paesi poveri (Scaling up antiretroviral therapy in resource-limited settings: Guidlines for a public health approch; WHO Aprile 2002). A Mutoko (Zimbabwe) opera il servizio sanitario che per primo ha avviato un programma di Terapia Antiretrovirale Altamente Efficace (HAART), per prevenire la trasmissione materno-infantile dell’infezione 32 da HIV (PMTCT-Preventing Mother To Child Transmission of HIV), e ha applicato i protocolli dell’OMS. Si tratta di un progetto di grande rilevanza, se consideriamo che, dai dati forniti da UNAIDS (United Nations Programme on HIV/AIDS) attualmente, in Zimbabwe, le persone con infezione da HIV sono circa 2,3 milioni su un totale di circa 12 milioni di abitanti. E’ stato calcolato che circa il 34% degli adulti sessualmente attivi, con una età compresa fra i 15 e i 49 anni, è infettato e che circa 600.000 persone hanno sviluppato la sindrome da immunodeficienza acquisita. Circa 3800 persone muoiono ogni settimana a causa della malattia, che è cosi salita al primo posto fra le cause di morte nel paese. Circa il 70% dei posti letto negli ospedali è occupato da pazienti con AIDS. L’aspettativa di vita è crollata a 43 anni (35 adesso, secondo le ultime statistiche), mentre la mortalità infantile è più che raddoppiata: 130 morti per 1000 nati vivi. La crescente emergenza, dovuta all’epidemia di HIV/AIDS, è esplosa in un momento in cui il Paese sta attraversando una delle più gravi crisi politiche ed economiche della sua storia, con un sistema sanitario assolutamente inadeguato ad affrontare l’emergenza. Sebbene il Governo dello Zimbabwe abbia risposto positivamente, dichiarando l’epidemia emergenza nazionale e creando un comitato nazionale di emergenza, le maggiori istituzioni finanziare internazionali hanno parzialmente interrotto le relazioni con il Paese, con la conseguente riduzione del supporto finanziario necessario. In questo quadro di estrema gravità opera l’Ospedale “Luisa Guidotti”, Ospedale Missionario Italiano, che dipende sia dal Ministero della Salute dello Zimbabwe che dalla Arcidiocesi locale ed è diretto da Maria Elena Pesaresi, che, nel 2001, ha avviato il primo progetto di terapia per le persone affette da AIDS. L’ospedale è una struttura rurale che dispone di un ambulatorio e di circa 150 posti letto, suddivisi in: reparto uomini, reparto donne, pediatria, chirurgia e maternità ed è fornito di un laboratorio analisi e di un servizio di radiologia. Il bacino d’utenza è piuttosto ampio, comprendendo, in aggiunta alla popolazione che risiede nel distretto (1.400.000 abitanti), anche pazienti provenienti da altre province del Paese. Dal 2002, è in corso un programma di terapia ARV, finanziato principalmente dalla “Associazione Spagnolli- Bazzoni” Onlus di Milano. Dal 2004 il progetto è finanziato anche dalla Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS (LILA) sezione di Catania, che, attraverso il “Progetto Susy Costanzo – Adotta la terapia di una donna africana”, raccoglie i fondi necessari a garantire la sostenibilità alla terapia antiretrovirale delle donne con infezione da HIV inserite nel programma PMTCT. Responsabile del Progetto è il Arturo Montineri, Dirigente medico II Livello di Malattie Infettive - Presidio Ospedaliero Ferrarotto Catania. La Supervisione scientifica è affidata all’ Unità Operativa di Malattie Infettive dell’ Azienda Ospedaliera “V.Emanuele.Ferrarotto-S.Bambino” diretta da Filippo Fatuzzo. A Luciano Nigro, associato di Malattie Infettive dell’Università di Catania e Presidente della LILA di Catania, che lavora periodicamente presso l’ospedale“Luisa Guidotti”, ab- biamo chiesto una descrizione più dettagliata del progetto. Qual è il ruolo della Lila Catania? La LILA contribuisce all’acquisto dei farmaci antiretrovirale per il trattamento delle donne e in particolare all’acquisto dei farmaci per la terapia delle patologie opportunistiche, all’acquisto degli integratori (vitamine, ferro, etc...), al pagamento degli stipendi di alcuni operatori sanitari (counselor, medici, tecnici di laboratorio, infermieri). Contribuiamo a creare le condizioni per permettere a tutte le donne che afferiscono all’antenatal clinic (consultorio familiare) di sottoporsi al test per la ricerca degli anticorpi HIV e alle donne, affette dall’infezione, di partorire in ospedale e di ricevere insieme al neonato la terapia per non trasmettere l’infezione. Dal 2002 tutte le donne gravide che si sono presentate al nostro servizio, circa 2000, sono state testate per l’infezione da HIV. Inoltre, diamo il nostro contributo per estendere la terapia antiretrovirale a tutte le persone che ne hanno bisogno. In totale, dall’inizio del programma ad oggi, sono stati arruolati al progetto 2170 pazienti:1882 adulti e 288 bambini. Di questi circa 1000 sono ancora in trattamento. Quali sono i punti di forza del progetto? Il programma PMTCT consente al bambino di nascere sano senza l’infezione da HIV. Inoltre, poter offrire e garantire la terapia antiretrovirale alle donne dopo il parto consente alle madri la sopravvivenza a lungo termine ed ai bambini di vivere non solo sani, ma anche di non rimanere orfani. L’offerta della terapia fa aumentare il numero di donne che accettano di essere inserite nel programma di prevenzione e ne migliora l’aderenza e l’efficacia. Dal 2002 ad oggi hanno partorito presso il nostro ospedale circa 452 donne anti-HIV positive e tutte queste donne e i loro bambini sono stati trattati con i farmaci antiretrovirali. Come avviene la raccolta di fondi per sostenere il progetto Lila? Il progetto reperisce i fondi per garantire sostenibilità e continuità alle terapie, attraverso campagne di sensibilizzazione e informazione sugli scopi e sui benefici delle terapie e la divulgazione dei risultati ottenuti. Viene utilizzato il meccanismo dell’adozione a distanza della terapia di una donna africana. Abbiamo calcolato che il costo della terapia per ogni donna è di circa 800,00 euro l’anno. Si tratta di una somma relativamente sostenibile secondo il nostro tenore di vita, ma certamente non per quello di una donna africana. Ritiene che debbano essere apportati miglioramenti al programma? Bisogna intervenire sui punti deboli del programma, come la carenza di fondi per l’acquisto dei reagenti per gli esami di laboratorio. Poter sopperire alla periodica mancanza dei farmaci per il trattamento delle patologie opportunistiche (soprattutto le formulazioni per via endovenosa) o alla poca disponibilità di personale per eseguire il counselling. La mancanza di counsellor rappresenta il punto di massima criticità del programma in quanto attualmente al “Luisa Guidotti” c’è solamente un counsellor ed è impossibile che possa seguire bene, da solo, i pazienti in trattamento. Infatti, considerando 1.000 persone in trattamento e considerando un controllo ogni due mesi, si prende contatto con circa 18 pazienti al giorno. Il tempo necessario per il counselling e il controllo medico è almeno di venti minuti, per cui sono necessarie circa sei ore al giorno per svolgere in maniera efficace il servizio. Se a questo si aggiunge il tempo per i casi più gravi, il tempo per informare i partner a mantenersi negativi, il tempo per il counselling alle persone, che chiedono di eseguire il test, il tempo da dedicare ai pazienti non ancora in trattamento ed il tempo richiesto dal PMTCT, si può ben capire che senza un gruppo appositamente dedicato si riduce la qualità del lavoro. E quindi cosa fare? A mio avviso questo dato potrebbe essere migliorato con la creazione di un gruppo formato da almeno un medico, due infermieri e due counsellor. Questo gruppo dovrebbe occuparsi solamente delle persone affette dall’infezione, in terapia antiretrovirale e no, in maniera che le persone possano essere adeguatamente supportate nell’aderenza al trattamento (assumere le compresse ogni giorno), che rappresenta il principale presupposto per far sì che la terapia sia efficace nel tempo e non permettere che il virus diventi resistente. Dunque, è solo un problema di ordine sanitario? Assolutamente no. L’estrema povertà in cui versa almeno l’80% delle persone in trattamento e la conseguente impossibilità di trovare il denaro necessario ad acquistare il biglietto del trasporto per venire in Ospedale, rende ancora più difficile l’aderenza al trattamento. Sarebbe opportuno, anche tenendo conto del momento particolarmente pesante che sta attraversando il Paese, che i farmaci, la visita medica e le prestazioni (la conta dei CD4 e la conta dei linfociti) siano erogati in modo assolutamente gratuito. Come ultima considerazione, mi sento di dire che un programma di terapia antiretrovirale in Africa non affiancato da un programma di alimentazione e dalla distribuzione dei preservativi è un programma monco. Bisogna trattare i malati, ma bisogna anche trattare i sani, cercando di mantenerli tali. E’ impossibile pensare di mettere in trattamento un’intera popolazione. Maria Grazia Messina Per sostenere il progetto: LILA IBAN IT52MO516416906000000124472 causale “Progetto Susy Costanzo” 33 sudsanità CATANIA Al “Garibaldi” metodiche avanzate di terapia intensiva La rianimazione e il trattamento intensivo sono rivolti a pazienti che si trovano in particolari condizioni, e cioè pazienti di cui occorre monitorare i parametri vitali dopo un intervento chirurgico, ovvero soggetti che presentano per vari motivi uno stato d’insufficienza respiratoria, cardiocircolatoria o, infine, cerebrale. La Terapia Intensiva è un ambiente diverso dagli altri reparti ospedalieri. Le persone ricoverate hanno bisogno di assistenza e cure continue da parte di personale specializzato. Sono utilizzati sistemi ad alta tecnologia per monitorare i parametri vitali (cuore, pressione arteriosa, respirazione), e macchinari, altrettanto evoluti, per supportare i vari organi (respiratore automatico per la ventilazione, infusione di farmaci con pompe, emodialisi per il rene, ecc.). Intervista a Sergio Pintaudi, Direttore Rianimazione “Antonella Caruso” dell’Ospedale Garibaldi di Catania. Quali sono gli aspetti più avanzati del reparto da Lei diretto e in che modo la nuova tecnologia supporta i medici e il personale specializzato che si trovano a dover trattare pazienti le cui funzioni vitali non sono sufficienti rispetto al mantenimento della vita stessa? Per sostenere il progetto: LILA IBAN IT52MO516416906000000124472 causale “Progetto Susy Costanzo” 34 Facciamo un piccolo passo indietro. La rianimazione è una branca piuttosto recente della medicina, nasce negli anni ’50 nei paesi scandinavi in seguito a episodi di gravi epidemie infettive che indussero il personale medico a sperimentare, con successo, alcuni principi terapeutici quali la concentrazione dei malati critici in un unico reparto, la somministrazione di attenzioni e di cure costanti ai pazienti, la gestione di protocolli di assistenza respiratoria basati sulla ventilazione artificiale, l’assistenza infermieristica continua, le terapie innovative a carattere integrato, ecc., dando così vita a un nuovo e moderno modo di fare medicina, definito di tipo “interventistico” e “intensivo”. Nel tempo, l’industria si accorse di questo nuovo settore della “buona pratica medica” ed ebbe inizio la fase di sviluppo e di produzione di attrezzature sempre più sofisticate per il monitoraggio e il mantenimento di quelle funzioni vitali aggredite dalle varie patologie e che potevano compromettere la vita del paziente. Può affermarsi, quindi, che la nascita di questa branca della medicina è strettamente correlata allo sviluppo tecnologico, senza il quale non sarebbero stati raggiunti quei traguardi che ci permettono di poter intervenire in tanti delicatissimi casi nei quali la funzione vitale è ridottissima. Ma la cura del malato per il rianimatore, più che per gli altri specialisti, è possibile solo se il paziente viene osservato nella sua unicità di individuo e non come “l’organo” che di volta in volta viene aggredito da una patologia. Il paziente in rianimazione non può offrire alcuna collaborazione al medico che lo cura e perciò nessuna tecnologia può sostituirsi all’attenta osservazione degli aspetti funzionali generali e all’esperienza maturata in reparto. Noi lottiamo ogni giorno per capire quale è il limite della tecnologia che utilizziamo e cerchiamo con ogni sforzo di mantenere alto il grado di umanizzazione della medicina da noi praticata, attraverso l’ascolto, l’osservazione e l’attenzione verso la persona che è affidata alle nostre cure. In cosa consiste il Programma di dimissione domiciliare protetta del paziente cronicizzato non autonomo dal punto di vista respiratorio? Con questa domanda Lei tocca un punto cruciale su ciò che può avvenire dopo la rianimazione. Scopo della rianimazione è superare l’alterazione delle funzioni vitali, scongiurare il pericolo di vita e restituire il paziente allo specialista che dovrà continuare o completare l’opera iniziata prima della crisi. In alcuni casi, può anche accadere che il paziente guarito venga dimesso direttamente dalla Rianimazione e possa tornare alla propria vita di relazione con tutte le sue funzioni vitali perfettamente reintegrate. Ma può anche accadere che tale restitutio sia solo parziale, con ridotte o assenti capacità funzionali. In questi casi poter contare su ausili che possano consentire, anche in ambiente diverso da quello ospedaliero, la normale attività respiratoria, è un importante traguardo che la tecnologia ci consente di raggiungere. La domanda che mi pongo è invece un’altra ( e penso ai casi di gravi traumatizzati che hanno recuperato totalmente le loro capacità intellettive ma non l’autonomia motoria, oppure a chi, al contrario, per effetto di una prolungata ipossia cerebrale ha perduto ogni capacità cognitiva): in quali casi è opportuno proseguire in ambiente domiciliare un’assistenza al paziente le cui condizioni sono irreversibili, come nel caso dello Stato Vegetativo Persistente e/o Permanente con alimentazione ed idratazione artificiale o di pazienti vigili, coscienti, ma in stato di dipendenza ventilatoria meccanica? Mi pongo domande di natura non solo logistica o economica, ma soprattutto di natura etica cui non sempre è facile dare una risposta univoca. L’U.O. dell’Ospedale Garibaldi aderisce al Gruppo Italiano per la 35 sudsanità Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva (Gi.Vi.T.I.) dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e l’attività che vi si svolge viene analizzata e confrontata con quella delle altre rianimazioni presenti nel territorio nazionale, con quali risultati? Per un reparto di rianimazione è indispensabile che si proceda costantemente ad una valutazione del proprio funzionamento in tutti gli aspetti terapeutici e organizzativi; nessun’ altra branca della medicina utilizza strumenti di valutazione così capillari, considerati eccellenti indicatori di qualità. Dalla sua nascita il Gi.Vi.TI promuove e realizza una serie di progetti di ricerca con l’obiettivo di descrivere, analizzare e migliorare la qualità dell’assistenza in Terapia Intensiva in Italia. Il Gi.Vi.TI, raccoglie i dati giornalmente trasmessi da oltre 150 reparti di terapia intensiva in tutto il territorio nazionale e li compara tra di loro, restituendo dei report aggiornati al semestre che ci aiutano ad intervenire sugli eventuali problemi individuati all’interno del reparto. L’Unità Operativa di rianimazione che Lei dirige, è sede del centro di riferimento regionale per i potenziali donatori di organi e tessuti. Negli ultimi anni, secondo le statistiche del Centro Nazionale Trapianti, è raddoppiato il numero dei donatori di organi in Italia, e anche la Sicilia, e in particolare la provincia Etnea, comincia a fare la sua parte. Può dirmi se in questo periodo si può ancora parlare di trend in crescita rispetto al numero dei donatori? Noi abbiamo iniziato l’esperienza dei Trapianti solo nel 1986, grazie alla volontà e all’intraprendenza del mio maestro il Prof. Luigi Coscarelli, il cui impegno era stato in precedenza determinante per la nascita dello stesso reparto di rianimazione, ma da allora consideriamo questa attività come fondante in quanto si lega al concetto di continuità assistenziale, che consiste nel trasferire la cura dal paziente in rianimazione, che abbiamo assistito al massimo delle nostre possibilità e capacità, ad un paziente sconosciuto che beneficerà della nostra attività di prelievo di organo, migliorandone o assicurandone la qualità di vita. Si tratta, in buona sostanza, di trasformare l’inevitabile sconfitta che per ogni rianimatore è rappresentata dalla morte del proprio paziente in una occasione di vita per un paziente che non abbiamo conosciuto, né conosceremo mai. Per quanto riguarda il trend delle donazioni può dirsi che segue un andamento a macchia di leopardo. Il prelievo degli organi è indicatore di qualità per l’intera struttura ospedaliera, richiede una organizzazione che impone altissima efficienza e piena e 36 continua funzionalità di laboratori di analisi, radiologia, cardiologia, medicina trasfusionale, neurologia, neurochirurgia, chirurgia generale, ecc. In questo quadro assume un evidente rilievo il Progetto del Dipartimento di Emergenza ubicato al centro della città di Catania che, data la particolare collocazione , potrebbe servire per affrontare anche eventuali grandi eventi a rischio sanitario. Quali sono le tradizionali attività di sensibilizzazione dei cittadini sull’importanza della donazione e come sono veicolate le campagne informative su questo delicato tema? Ritiene ci siano ancora degli ostacoli di natura culturale o religiosa alla diffusione della cultura della donazione degli organi? Esistono programmi di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema della donazione degli organi sia a livello nazionale che locale. Le associazioni di settore sono importantissime per diffondere e veicolare i messaggi sull’importanza e il valore della donazione, penso all’AIDO (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule), all’A.N.E.D. ( Associazione Nazionale Emodializzati) che lavorano egregiamente e alle quali assicuriamo la nostra collaborazione come professionisti. Anche il Centro regionale Trapianti ha prodotto video e altri strumenti per favorire la diffusione del concetto di donazione di organo. Ma il vero cambiamento culturale è spesso derivato dalla sensibilità e dall’interesse dimostrato su questi argomenti dai mass media. Oggi è difficile che una persona non conosca termini come morte cerebrale, cadavere a cuore battente e ciò grazie all’accresciuta informazione che si fa su questi temi. I trapianti rappresentano spesso l’unica possibilità di cura per malattie gravi e irreversibili a carico di rene, fegato , cuore, polmoni, tessuti corneali. In questi casi, un semplice atto di disponibilità alla donazione rappresenta un gesto di grande solidarietà e di responsabilità sociale, che a volte riesce a dare un senso alla fine tragica di chi lo compie e che può servire a salvare la vita di chi lo riceve. Attualmente le modalità per esprimere la volontà di donare sono le seguenti: la compilazione anche on line del tesserino blu del Ministero della Salute che deve essere conservato insieme ai documenti personali, la registrazione della propria volontà presso la ASL di riferimento o il medico di famiglia; una dichiarazione scritta che il cittadino porta con sé con i propri documenti. A questo proposito il Decreto legislativo 8 aprile 2000 ha stabilito che qualunque nota scritta che contenga nome, cognome, data di nascita, dichiarazione di volontà (positiva o negativa), data e firma, è considerata valida ai fini della dichiarazione e l’atto olografo dell’AIDO o di una delle altre associazioni di settore. Qual è la relazione che s’istaura con i parenti del defunto, quale approccio è usato per avvicinarsi al dolore dei familiari e com’è formulata la richiesta di consenso alla donazione? Partiamo dalla considerazione che il potenziale donatore è innanzitutto un nostro paziente, per il quale abbiamo speso tutto il potenziale professionale e tecnologico di cui disponiamo per farlo evolvere verso la guarigione. Non è da un semplice colloquio che può derivare la disponibilità al trapianto ma dal modo con cui l’intera struttura si è posta nei confronti del paziente e dei suoi familiari, se si è riusciti a creare un rapporto di piena fiducia anche la risposta alla donazione sarà conseguente. Il fattore tempo è sempre determinante nel campo della rianimazione e affinché l’accettazione alla donazione o alla sua non opposizione sia tempestiva occorre che vi sia tra la struttura, nel suo insieme professionale e umano, e il donatore e i suoi familiari una relazione di reciproca attenzione e riconoscimento. Detto questo, avere a disposizione un numero maggiore di professionalità in organico aiuta a creare più vantaggiosi presupposti perche possano determinarsi le migliori condizioni di intervento. distinguere tra potenziali donatori segnalati e donatori effettivi, la differenza è dovuta a molteplici fattori dove il dato fondamentale è dato dall’opposizione alla donazione. Come avviene l’assegnazione dei singoli organi e come viene individuato il paziente che potrà beneficiarne? Gli organi solidi trapiantabili sono il rene, il cuore, il fegato, il polmone, tutto l’intestino e il pancreas. A questi si aggiungono alcuni tipi di tessuti quali le cornee, i segmenti di osso, le cartilagini, i segmenti vascolari, le valvole cardiache e la pelle. Gli organi prelevati vengono trapiantati ai pazienti selezionati tra tutti quelli iscritti in una lista di attesa gestita dai Centri Regionali Trapianti. La selezione del ricevente è effettuata in base a criteri oggettivi e trasparenti (compatibilità clinica ed immunologica) che favoriscono la massima riuscita del trapianto. I tessuti prelevati vengono conservati in banche appositamente attrezzate prima di essere utilizzati sul ricevente. Ritiene che vi siano risorse sufficienti a migliorare la qualità del servizio e ridurre i tempi di attesa per chi solo attraverso un trapianto di organo può migliorare o addirittura garantire le proprie aspettative di vita? Il settore dei prelievi di organi sta subendo la riduzione delle risorse che si verifica anche in altri campi della sanità pubblica. In più la trapiantologia è un settore di nicchia della sanità. Prima ancora dei trapianti la sanità deve affrontare i problemi collegati a lunghe schiere di diabetici, dializzati, persone affette da tumori che attendono risposte efficienti e risolutive sulle proprie condizioni di malati cronici, con costi umani e sociali enormi. Il trapianto degli organi, oltre ad essere una pratica salvavita, può consentire un ritorno in termini di risparmio per l’azienda ospedaliera. Infatti, se prendiamo ad es. un malato di rene il trapianto rappresenta una valida alternativa terapeutica per chi altrimenti dovrebbe sottoporsi a dialisi, una cura efficace, ma molto vincolante, per la quale ogni paziente deve sottoporsi a diverse sedute settimanali di 3-4 ore ciascuna per un numero elevato di anni, con costi altissimi per il sistema sanitario, costi che si limiterebbero alle sole terapie antirigetto nel caso si procedesse ad un trapianto di rene. Per quanto riguarda le liste d’attesa per i riceventi organo è vero che spesso i tempi sono molto lunghi, soprattutto per il polmone. Nel prossimo futuro sarà il ricorso agli organi artificiali che potrà ridurre in parte i tempi, ma ritengo non potrà esserci mai un vero abbattimento delle richieste di trapianto e delle relative liste d’attesa, perché aumentando la capacità di curare patologie finora escluse dal trapianto aumenterà la richiesta. Questa considerazione è legata all’evoluzione della ricerca scientifica che, facendo aumentare le capacità di cura, induce a maggiori aspettative di vita e quindi ad un aumento di richieste terapeutiche. Maria Grazia Messina Esiste anche la possibilità che la donazione avvenga tra viventi, per lo più genitori e/o fratelli. Ritiene possa parlarsi di un aumento di questo particolare tipo di donazione e per quali organi è possibile questo genere di trapianto? La donazione tra viventi è possibile solo per alcuni organi, fegato, rene e da qualche tempo anche polmone. Non esiste un primato tra i due tipi di donazione perché l’unica cosa che conta è la funzionalità del singolo organo destinato al trapianto. La particolarità di questo particolare tipo di donazione è che spesso vi si ricorre in via vicaria, per carenza di donazione da cadavere. Per cui è sempre bene potenziare al massimo la cultura della donazione. Quanti prelievi di organi vengono eseguiti ogni anno? Gli indicatori di qualità ci dicono che in un ospedale in cui è presente, oltre al reparto di rianimazione, un reparto di neurochirurgia la media è di un prelievo per posto letto, ma il numero effettivo di prelievi eseguiti varia al variare delle condizioni di efficienza in termini di risorse e di sensibilità sia della popolazione che degli operatori. Infatti occorre 37 sudsanità Messina macroarea per la gestione dell’infarto miocardico acuto 38 Da gennaio 2012 anche la Sicilia si avvarrà di una rete organizzativa territoriale, che permetterà di ridurre i tempi di intervento sui pazienti colpiti da IMA (Infarto Miocardico Acuto), attraverso una diagnosi in tempo reale e che consenta di indirizzare i traumatizzati verso il centro più idoneo, dove eseguire l’Angioplastica primaria. Si tratta di un nuovo sistema che sarà supportato da ambulanze dotate di personale specializzato nel trattamento dei pazienti colpiti da infarto e attrezzate con idonee apparecchiature, con le quali trasmettere immediatamente il tracciato elettrocardiografico ai centri di emodinamica dislocati sul territorio regionale. Il cerchio sarà completato dalla rete del 118 e dai Pronto Soccorso. Il progetto porta un nome eloquente: “Rete per l’infarto miocardico acuto in Sicilia” con il quale l’assessorato regionale si propone di garantire l’assistenza in rete agli infartuati, offrendo loro un uguale accesso alle cure, indipendentemente dalla localizzazione geografica e dalla distanza dal centro più idoneo al trattamento, ottimizzando i percorsi diagnostico-terapeutici dei pazienti con infarto miocardico e migliorandone la prognosi. In Sicilia, circa 12 mila persone vengono colpite annualmente da infarto, su un totale di 50 mila casi registrati su tutto il territorio nazionale. A volte, si superano i tempi ottimali di intervento, che permetterebbero di stabilizzare il paziente in tempo breve, nonostante siano presenti su tutto il territorio isolano numerosi centri di eccellenza per il trattamento dell’IMA. Attualmente soltanto le strutture sanitarie di Messina e provincia sono in grado di assicurare tempi brevi per l’esecuzione dell’ Angioplastica Coronarica Primaria, procedura regina per ridurre la mortalità e le recidive di infarto e ictus rispetto alle tradizionali cure farmacologiche. Il programma della Rete regionale fa parte di un piano triennale. La macchina organizzativa è già stata avviata e, dopo l’approvazione lo scorso mese di giugno di un Decreto Assessoriale, si appresta ad entrare nella fase cruciale di operatività. Sono già state individuate 4 macroaree, che potranno agire sia autonomamente o in sinergia tra di loro. La prima comprende le province di Palermo e Trapani. La seconda, quelle di Catania, Ragusa e Siracusa. La terza, Caltanissetta, Agrigento ed Enna, mentre l’intera provincia di Messina, sarà territorio autonomo, ed avrà come referente Rosario Grassi, direttore di Cardiologia e UTIC dell’AOOR Papardo-Piemonte, coordinatore di uno staff di specialisti composto da: Gaetano Sutera, Rosario Evola, Mara Gioffre’ e Santo Conti. Il modello gestionale della Rete IMA è quello Hub & Spoke, dove per Hub si intendono i centri ad elevato standard di qualità, dotati di Terapia Intensiva Coronarica, emodinamica operativa H 24 e terminale per la telemedicina. Per Spoke, quelli periferici che assicurano l’assistenza nei casi di minore grado di complessità. La Sicilia è anche Regione target del progetto nazionale ed oggetto di valutazione dei valori costo-efficacia dell’applicazione della Rete IMA da parte dell’Università Bocconi di Milano. Antonio Genovese Focus Cardiologia AOOR “Papardo Piemonte” La U.O. Di Cardiologia del Papardo è una delle cardiologie siciliane con maggior volume di attività. Ogni anno sono circa 1.800 i cardiopatici ricoverati, circa un terzo dei quali con sindromi coronariche acute (infarto miocardico e angina instabile). Oltre 500 sono i cardiopatici assistiti in regime di Day Hospital. Vengono eseguite circa 1.300 coronarografie e 750 interventi di angioplastica coronarica e oltre 150 esami angiografici e interventi di angioplastica su vasi arteriosi periferici. Circa 150 sono gli interventi d’impianto di pacemaker e di defibrillatore. Di particolare prestigio, tra i primi in Sicilia, è il programma per l’impianto di protesi valvolari per via transcutanea, senza la necessità di intervento cardochirurgico. Tale approccio per il trattamento delle valvulopatie, attualmente riservato ai pazienti anziani, che vengono giudicati inoperabili per l’eccessivo rischio cardochirurgico, sarà esteso nei prossimi anni anche ai pazienti meno giovani. Presso la U.O. di Cardiologia vengono eseguite anche indagini diagnostiche non invasive. Sono oltre 30.000, i pazienti, non solo della Provincia di Messina, che, a vario titolo, vengono annualmente assistiti presso la U.O di Cardiologia. 39 sudsanità IL CONTRIBUTO SCIENTIFICO GIEC. I nuovi farmaci antiaritmici per la prevenzione della morte improvvisa Figura 1. Fattori coinvolti nella complessa catena di eventi che possono portare alla morte cardiaca improvvisa Figura 2. Incidenza di morte cardiaca improvvisa in rapporto all’età, nella popolazione generale(A) e nei soggetti con meno di 50 anni(B). CAD= cardiopatia ischemica; CMP= cardiomiopatia; ED= malattia elettrica primitiva o“canalopatie” Francesco Fedele, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche; “Sapienza” Università di Roma; Policlinico “Umberto I”. Introduzione La morte cardiaca improvvisa (MCI) può essere definita come “morte naturale secondaria a cause cardiache preceduta da un’improvvisa perdita di conoscenza entro 1h dall’esordio della sintomatologia acuta; l’evento si può presentare anche in presenza di cardiopatia preesistente ma la tempistica e la modalità della morte sono inattese”. La fibrillazione ventricolare è la causa più frequente di MCI e rappresenta l’evento finale di un ampio e complesso spettro di eventi che interagendo tra di loro a differenti livelli (substrato anatomico e/o genetico, innesco aritmico e fattori di modulazione) favoriscono la sua insorgenza (figura 1). 40 L’incidenza, che varia tra lo 0.36- e l’8/1000 per anno, e l’eziologia della MCI sono fortemente correlate all’età della popolazione. Infatti, mentre la patologia coronarica rappresenta l’eziologia dominante nei pazienti con età superiore ai 50 anni, le cardiomiopatie e le malattie elettriche primitive (le cosiddette “canalopatie” ) sono tipiche dell’età giovanile (Figura 2). La lotta alla MCI, iniziata nei primi anni 80, si è basata storicamente su agenti farmacologici con prevalenti proprietà antiaritmiche. Tale approccio, ponendo i suoi fondamenti su un assunto errato, cioè che la MCI era la massima espressione della patologia aritmica del cuore, era destinato a fallire. Infatti, nu- merosi trials randomizzati hanno successivamente dimostrato che l’utilizzo di agenti farmacologici anti-aritmici nella prevenzione della MCI non è utile, anzi è spesso dannoso. Sebbene, il più recente dei nuovi farmaci antiaritmici, il dronedarone, sembrerebbe in grado di ridurre il rischio di morte cardiaca da tutte le cause, sono necessari tuttavia ulteriori evidenze scientifiche per validarne la sua reale efficacia. Nel 1996 con la pubblicazione dello studio MADIT, una pietra miliare della cardiologia, si è cambiata radicalmente la strategia di prevenzione della MCI, infatti questo studio ha per la prima volta dimostrato che l’utilizzo dei defibrillatori impiantabili (ICD) riduce drasticamente la mortalità per fibrillazione ventricolare nei pazienti con severa disfunzione ventricolare sinistra. Questo dato è stato successivamente confermato da ulteriori trial randomizzati che hanno anche dimostrato l’efficacia dell’ICD in tutte le patologie associate ad un alta incidenza di fibrillazione ventricolare (Tabella 1). Questi dati, recepiti anche dalle linee guida, hanno aperto una serie di nuove problematiche: 1) di selezione dei pazienti, attualmente le indicazioni si basano prevalentemente sull’utilizzo del valore della frazione di eiezione cardiaca, parametro che favorisce un uso eccessivamente estensivo dell’ICD; 2) di natura farmaco-economica, considerando gli elevatissimi costi dei devices; 3) di morbilità pro-aritmica; 4) di malfunzionamento meccanico dell’ICD. È però importante sottolineare come , l’ICD interrompe l’aritmia ma non blocca l’innesco della stessa. Ad oggi, gli unici farmaci, che si sono dimostrati efficaci nel ridurre l’insorgenza di aritmie maligne e quindi il numero di morti improvvise, è rappresentato dalle molecole che rallentano i processi di rimodellamento cardiovascolare e che svolgono il loro effetto antiaritmico agendo sul substrato ezio-patogenetico. Suddetti farmaci, denominati anche “ non-antiarrhythmic drugs”, appartengono alle seguenti classi: 1) beta-bloccanti; 2) molecole che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone; 3) le statine. Poiché questi farmaci sono gli unici con documentata efficacia nella prevenzione della MCI ed al contrario dei tradizionali antiaritmici sono ben tollerati, rappresentano ad oggi la “first line therapy” nella lotta alla MCI e devono essere assolutamente utilizzati anche nei pazienti portari di ICD per ridurre l’incidenza di aritmie e degli shock erogati. In realtà, anche se l’utilizzo di queste molecole è supportato da una robusta letteratura scientifica e raccomandato dalle linee guida sono spesso sottoutilizzati e sotto-dosati. In considerazione delle problematiche ancora aperte e delle necessità terapeutiche nel trattare la prevenzione della MCI è fondamentale far riferimento alle prospettive rappresentate da “nuovi approcci farmacologici”. Schematicamente tratteremo in tale contesto: 1) di vecchi farmaci antiaritmici utilizzati modernamente per il trattamento delle emergenti malattie elettriche primitive o “canalopatie”; 2) dei reali far- maci innovativi utilizzati per il trattamento di cardiopatie strutturali che possono condurre all’insorgenza di morte cardiaca improvvisa. 1.“Vecchi” farmaci per “nuove” malattie . Le malattie ereditarie aritmogene a “cuore sano” colpiscono per lo più giovani ed in buona salute e sono considerate una delle più comuni cause di morte cardiaca improvvisa nei giovani atleti. Queste condizioni includono la sindrome del QT lungo (LQTS), la sindrome del QT corto (SQTS), la sindrome di Brugada e la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica. I pazienti affetti da queste patologie vengono nella stragrande maggioranza dei casi trattati in prevenzione primaria con l’impianto di un ICD. Tuttavia esistono numerosi problemi, di natura sia psicologica che tecnica, legati per lo più alla giovane età di questi pazienti. Per tale motivo, negli ultimi anni la ricerca ha compiuto un enorme sforzo per individuare strategie terapeutiche alternative portando alla riscoperta di farmaci ormai abbandonati nella pratica clinica quotidiana. In questo scenario la chinidina, un alcaloide contenuto nella corteccia di piante della china, si è dimostrata particolarmente utile in pazienti giovani affetti da sindrome di Brugada e dalla sindrome del QT corto. In accordo con le linee guida della seconda Consensus Conference sulla sindrome di Brugada, l’utilizzo della chinidina rappresenta una valida alternativa all’ICD nei pazienti asintomatici con pattern di Brugada spontaneo. Ancor più importante è il ruolo della chinidina nella sindrome del QT corto (SQTS) una patologia geneticamente determinata di recente descrizione, caratterizzata da un intervallo QTc corto, fibrillazione atriale parossistica e tachicardie ventricolari mortali. Nei pazienti sintomatici con storia familiare di MCI l’ICD è la terapia di scelta. Tuttavia nei pazienti asintomatici alcuni autori hanno valutato l’impatto di alcuni farmaci antiaritmici ( Sotalolo, Ibutilide, Flecainide, Chinidina ) sul prolungamento dell’intervallo QT, in tal senso solo la Chinidina si è dimostrata efficace. Pertanto, nei pazienti più giovani può essere utilizzata come “bridge” all’impianto di un ICD. 41 sudsanità Alti farmaci, in particolar modo i beta-bloccanti, trovano largo impiego nel trattamento di alcune malattie ereditarie aritmogene come la sindrome del QT lungo (LQTS) e la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica. Nelle tre più comuni forme di LQTS (LQTS1, 2 e 3) la terapia con betabloccanti, costituisce la terapia di prima linea, a causa del loro effetto protettivo attraverso il blocco adrenergico che riduce il rischio di sviluppare eventi aritmici maggiori. Tra questi i più utilizzati sono il propanololo e il nadololo. Questi stessi farmaci rappresentano, anche la terapia di scelta della tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (CPVT), una patologia geneticamente determinata molto rara, caratterizzata da tachicardie ventricolari pericolose per la vita scatenate da stimolo adrenergico (stress fisico o emozionale). Tuttavia, circa un 30% di recidive di tachicardia ventricolare si verifica anche in corso di terapia betabloccante. Per tale motivo la ricerca si sta indirizzando verso nuove soluzioni terapeutiche basate sull’uso del verapamil e della flecainide. 2. Ranolazina : un nuovo approccio per i l trattamento di “vecchie” problematiche La Ranolazina, un derivato piperazinico, è un nuovo agente antianginoso in grado di ridurre in maniera significativa la frequenza degli episodi ischemici e di migliorare la tolleranza allo sforzo nei pazienti con angina cronica stabile, senza ridurre in maniera significativa i valori di frequenza cardiaca e di pressione arteriosa sistemica. La ranolazina sembra ridurre l’incidenza degli episodi ischemici tramite l’inibizione della corrente tardiva del sodio (late INa) nelle cellule cardiache impedendo così l’accumulo intracellulare di sodio e di conseguenza il sovraccarico intracellulare di calcio, durante la fase di ripolarizzazione cardiaca. Infatti, in diverse patologie, tra cui l’ischemia miocardica o l’insufficienza cardiaca, la corrente tardiva del sodio è aumentata all’interno dei miociti ventricolari, ciò provoca un aumento della concentrazione intracellulare del sodio. L’accumulo intracellulare di sodio, porta ad un aumento della concentrazione del calcio citosolico all’interno dei miociti ventricolari che può alterare in maniera significativa il rilasciamento diastolico e favorire l’instabilità elettrica, prolungando il potenziale d’azione cardiaco e/o provocando il rilascio spontaneo di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Questa catena di eventi, creando un substrato elettrico(dispersione dei periodi refrattari) ed agendo come trigger (depolarizzazione precoce o tardiva) favorisce l’innesco di aritmie ventricolari maligne. Riducendo la corrente tardiva del sodio ed il sovraccarico di calcio intracellulare , si ritiene che la ranolazina riduca tali squilibri ionici intracellulari che si generano durante eventi ischemici, migliorando la performance diastolica ventricolare e mostrando un potente effetto antiaritmico. Inoltre, Schram et al. hanno dimostrato che ranolazina inibisce la corrente rapida e lenta del K (IKr; IKs), e la corrente del Ca (ICa). L’inibizione della corrente IKr provoca un prolungamento del potenziale d’azione cardiaco ed un modesto incremento del QT. Anche se questi effetti potrebbero avere conseguenze pro-aritmiche, tuttavia, a dosaggi fisiologici, sembra che la ranolazina non provochi l’isorgenza di aritmie ventricolari maligne. La spiegazione più probabile è dovuta al fatto che l’azione della ranolazina sul blocco dei canali IKr è controbilanciato dal suo effetto sull’inibizione della corrente tardiva del sodio (late Ina). I presupposti teorici dell’uso della ranolazina e del suo effetto antiaritmico sono stai confermati clinicamente dai risultati del MERLIN-TIMI-36 e più recentemente sono state ben focalizzate in un recente ed elegante editoriale di Eckhardt. Tabella 1) Principali trials randomizzati sull’utilizzo del defibrillatore come strategia di prevenzione della morte cardiaca improvvisa. 42 43