Bacaffà e il debterà irriverente Nicky Di Paolo, foto di Alberto Vascon Dal 1 721 al 1730 regnò in Etiopia il re Bacaffà che aveva la capitale del suo regno a Gondar e il palazzo dove abitava si trovava all’interno della antica cittadella costruita da Fassiladès. Il negus Bacaffà era noto per la sua indescrivibile violenza e per la disumana crudeltà con le quali agiva non solo nei confronti dei nemici dell’Abissinia ma anche verso i suoi sudditi e spesso senza una ragione apparente. Bacaffà tuttavia era anche noto per il suo interesse verso le scienze e in particolar modo verso la medicina e la chimica; era scontato che un uomo come lui non potesse, a quei tempi, ignorare l’alchimia e lo studio del potere delle erbe, fino a praticare la stregoneria. Non aveva inibizioni, anche se i suoi esperimenti non di rado finivano per causare la sofferenza e la morte di parecchi suoi sudditi. Il popolo quindi temeva e allo stesso tempo odiava Bacaffà anche se non poteva fare a meno di riconoscere la sua intraprendenza. Infine un personaggio di tale fatta non poteva non essere di conseguenza anche molto superstizioso. Il ghebbì di Gondar - Monti della Corte, I castelli di Gondar, 1938 1 A tale proposito si racconta che in un momento del suo regno questo negus decise di custodire con gran cura nel suo castello un bellissimo montone bianco convinto che nel capo di questo animale egli potesse trasferire tutte le sue cattive azioni. Va ricordato che questa idea del sovrano abissino non era poi tanto originale; infatti, fino a poche decine di anni prima, in molte parti dell’Etiopia erano molte le persone che allevavano nella loro casa un caprone affinché i diavoli che albergavano nel loro corpo fossero spinti a trasferirsi in quello dell’animale che, per far funzionare la cosa, doveva essere trattato con ogni riguardo e nutrito con i cibi migliori. Quando l’animale diventava vecchio, doveva essere sostituito in tempo, prima che morisse; infatti se il caprone fosse improvvisamente deceduto avrebbe apportato al padrone dell’animale grandi disgrazie perché l’uomo si sarebbe ritrovato di colpo addosso tutti i peccati scaricati nel tempo nel capo dell’animale. Il negus Bacaffà credeva a questa superstizione e allo scopo si era procurato un magnifico montone che teneva con tutte le cure; lo aveva adornato con monili preziosi preparati apposta per lui e ricoperto con sete finissime, giunte dall’estremo oriente. Il montone, con tanto di insegne imperiali e agghindato sfarzosamente, andava libero in giro per la cittadella ricevendo erba e granaglie dagli abitanti, timorosi dell’imperatore. Il montone di Bacaffà visse tranquillo per molti anni fino a quando un debterà, (studente di teologia e diacono) furbo e burlone, capitato nella cittadella, vide il montone girovagare con tanta ricchezza addosso e fu preso da un impeto di bramosia. Detto fatto la notte seguente attirò il montone in un posto buio e lo sgozzò derubandolo di tutto l’oro e pietre preziose che aveva addosso. Non contento, scrisse a Bacaffà una missiva nella quale decantava la bontà della carne del suo montone e lo ringraziava del piccolo tesoro. Il negus Bacaffà fu preso da una crisi isterica e ordinò a tutte le guardie della cittadella di indagare e scovare il colpevole per poterlo strozzare con le sue mani, ma fu tutto inutile in quanto il debterà era molto furbo e non aveva lasciato alcuna traccia. Il castello di Bacaffà 2 Mentre l’imperatore cercava di trovare un modo per incastrare il debterà, uno dei suoi generali che aveva compiuto una missione al confine con il Sudan, portò in dono al suo sovrano un bellissimo cammello, animale che fino ad allora non si era mai visto nella città di Gondar rappresentando quindi una interessante novità; per le persone superstiziose poi, questo animale rappresentava uno spirito benefico in quanto si credeva che le donne sterili che passavano di corsa per tre volte sotto l’addome del cammello divenivano improvvisamente feconde. L’imperatore e i suoi maghi decisero che quel cammello poteva sostituire il vitello scomparso e, dopo averlo agghindato con gioielli e stoffe preziose, lo lasciarono libero di girare per la città dove di nuovo gli abitanti fecero a gara per offrire al cammello imperiale tutto ciò che avrebbe gradito il reale proprietario. Tutto andò bene fino a quando il debterà non si trovò di fronte il cammello di Bacaffà e, stuzzicato da un diavolo tentatore, senza pensarci troppo attirò il pacifico animale, in una notte senza luna, all’interno di un recinto e qui lo sgozzò, seppellì il corpo e trafugò tutto ciò che c’era di prezioso. Quando il negus venne a sapere che anche il cammello era sparito ebbe una tale crisi di nervi che tutti tremarono, familiari e consiglieri, per la paura di dover fare da capri espiatori; tutti i suoi cortigiani si diedero subito da fare per riuscire in qualche maniera a identificare il colpevole e dopo ore di discussione decisero di attirare in un tranello colui che osava beffarsi dell’autorità imperiale. Nella cittadella di Gondar viveva in quel tempo una ricca signora che disgraziatamente aveva un figlio ammalato di un male cronico contro il quale nulla riuscivano le cure degli stregoni; questi ultimi avvicinarono la povera madre e le fecero capire che il figlio sarebbe guarito se avesse mangiato carne di cammello. Quando lei obiettò che non c’erano cammelli da quelle parti gli stregoni le raccomandarono di bussare a tutte le porte della città offrendo molto oro e gioielli per un po’ di carne di cammello, assicurando che lei in questo modo l’avrebbe trovata. L’offerta di tutta quella fortuna offuscò anche questa volta la mente del debterà che non ce la fece a rimanere tranquillo quando venne a sapere che per un po’ di carne di cammello avrebbe avuto indietro una notevole quantità d’oro e di gioielli; quando toccò a lui essere visitato dalla madre dell’infermo disse alla donna che il mattino successivo avrebbe avuto la carne di cammello per il suo figliolo. Il debterà a metà notte si levò e si recò dove era sepolta la carogna del cammello, staccò un pezzo di carne e il mattino dopo era pronto a consegnarlo alla madre del giovane malato. Il debterà, però, allorché vide quanto oro e gioielli aveva portato la donna, capì che il baratto non era realistico e fu certo di trovarsi di fronte ad un tranello tesogli dalla corte del re. Senza pensarci troppo uccise la donna e la seppellì assieme ai resti del cammello. Quando la donna non tornò a corte il negus e i suoi consiglieri capirono di essere stati una volta ancora raggirati, anche se in questo frangente c’era l’aggravante che il debterà non si era riguardato di compiere un delitto. Bacaffà se la prese con i consiglieri che erano sicuri della riuscita del piano, ma costoro, onde evitare le ire reali, presentarono subito all’imperatore un altro tranello: considerato che l’oro e i gioielli annebbiavano la coscienza del bandito, fecero cospargere con delle minuscole verghe d’oro, che a quel tempo sostituivano le 3 monete, il selciato di una via adiacente al castello di Bacaffà. Nel contempo fecero affiggere e leggere un bando che proibiva a tutti di toccare le piccole barrette d’oro, pena la condanna a morte. La via dorata fu piantonata da guardie scelte, certi che il bandito per bramosia o per galanteria avrebbe tentato di portar via i piccoli pezzi d’oro. Il negus non era però tranquillo e decise di rimanere lui stesso sveglio durante la notte ad osservare di persona, da un piccolo finestrino, la via cosparsa d’oro: voleva a tutti i costi arrestare il malandrino, anche se cominciava a nascere in lui una certa curiosità e un velato interesse per quell'individuo che la faceva in barba a tutta la sua corte. I castelli di Gondar visti dalla collina di Tigrè Meccehà Nella via cosparsa d’oro la gente passava, si soffermava ad ammirare i pezzetti del giallo metallo, ma nessuno tentava di raccoglierli, sicuri che l’imperatore avrebbe fatto impiccare immediatamente chi li avesse anche solo sfiorati. Anche il debterà andò a curiosare e fu subito facile preda di una delle sue frenesie; c’era un bel po’ di oro, ma voleva anche, una volta per tutte, dimostrare di essere più bravo e più astuto di tutta la corte imperiale, re compreso. Pensò a lungo su come fare a impadronirsi di quel tesoro senza farsi catturare. L’impresa sembrava impossibile, poi, alla fine, ebbe l’ispirazione e decise di applicare uno strato di cera sotto la suola delle sue scarpe e poi percorse più volte quella strada cambiando sempre di abito per non dare nell’occhio. Quando, dopo molte ore di inutile attesa e osservazione, Bacaffà diede ordine di rimuovere le piccole 4 verghe preziose, fu con grande stupore che si resero conto che la maggior parte dell’ oro era sparito. Le ire dell’imperatore si riversarono ancora una volta sui suoi consiglieri che si affrettarono a riunirsi per ridiscutere il grave caso. Uno di questi fece notare che la persona che cercavano era sicuramente dotata di una notevole intelligenza e di un’astuzia non comune e sapeva scrivere; quindi secondo lui il ricercato poteva essere solo un debterà, restringendo enormemente il campo delle loro ricerche. Invitarono quindi il re ad allestire un banchetto per tutti i debterà della città offrendo cibo ben salato, niente acqua ma bevande alcoliche in grande abbondanza. Conoscendo la tendenza dei debterà a ubriacarsi con facilità e fra i fumi dell’alcol a vantarsi delle loro cattive azioni, i consiglieri reali speravano che il lestofante si sarebbe confidato con qualcuno. Frammisti ai debterà sarebbero state presenti molte spie di corte pronte a recepire qualsiasi discorso sospetto. Debterà ad una cerimonia religiosa Anche questa volta il negus accettò di mettere in atto il piano dei suoi consiglieri sperando di smascherare l’uomo che riusciva a tenerlo sulla corda ma che in fondo al suo cuore cominciava ad ammirare. Il grande banchetto ebbe luogo all’interno del castello e furono servite deliziose pietanze ben saporite e una quantità spropositata di idromele e di birra. La festa, iniziata a metà del giorno, proseguì fino alle prime ore della notte; il re era preoccupato che il buio potesse aiutare a nascondere un eventuale malintenzionato e ordinò quindi alle sue spie di tagliare un orecchio a chiunque si fosse vantato dei reati che avevano beffato la corona e, al contempo, fece in modo che nessuno potesse uscire dal castello. 5 Il debterà, che aveva dovuto partecipare al pranzo per non destare sospetti, non essendoci acqua da bere, dovette dissetarsi con la birra e l’idromele e anche lui, come gli altri, si ubriacò e cominciò a vantarsi delle sue gesta. Una spia, ben camuffata, ascoltò le confessioni del debterà e, senza esitare, con un affilato coltello, gli tagliò un orecchio e di corsa andò dal re portando la lieta novella; il monarca non vedeva l’ora che giungesse il mattino per poter far trascinare di fronte a lui tutti i debterà e poter così smascherare quello a cui mancava un orecchio. Il terribile dolore causato dal taglio dell’orecchio aveva però fatto passare subito al depterà la sbronza e gli ci volle poco a capire il nuovo tranello teso dalla corte; fu preso dall’angoscia di essere scoperto, ma non gli ci volle molto a riprendere il controllo e a decidere il da farsi. Mentre l’imperatore festeggiava il successo dell’impresa, lui cominciò a tagliare a tutti gli altri debterà ubriachi un pezzo d’orecchio e lavorò così bene che nessuno si svegliò. Il mattino dopo, di buon’ora, i tamburi reali chiamarono a raccolta il popolo che accorse in massa per sentire cosa aveva da dir loro il re; questi raccontò al popolo le malefatte del debterà che si celava fra tutti i suoi colleghi rinchiusi nella sala delle feste. Il boia era pronto per impiccare il reo, essendo tutti ormai certi del facile arresto di quel lestofante. Ad un gesto del re, vennero fatti uscire dalla sala, uno alla volta, tutti i convitati che furono fatti poi sfilare di fronte ad una tribuna dove, assieme alla corte, sedeva il sovrano, pronto ad additare di fronte al popolo colui che aveva osato sfidarlo. Bastarono pochi secondi per capire che tutta la corte era stata nuovamente beffata, essendo riuscito il reo a far saltare il piano per arrestarlo. Questa volta il re non si infuriò ma fu sopraffatto da un impeto di riverenza verso quel suddito tanto lestofante, ma anche tanto intelligente, e parlò al popolo dichiarando la sua sconfitta e invitando il colpevole dei reati a farsi avanti assicurando che non sarebbe stato punito ma al contrario sarebbe stato invitato a prendere il posto di consigliere di corte. Il discorso del re era accorato ma nessuno si fece avanti. Deluso dagli eventi, Beccafà fece ritorno al suo alloggio e lui stesso raccattò un foglio che era stato fatto passare sotto la porta della sua camera: “ Sono colui che cerchi, pranzo ogni giorno con te, ma non mi vedi”. Quelle poche parole umiliarono il sovrano; lui pranzava sempre solo e lo scritto del debterà voleva fargli credere che lui era capace di rendersi invisibile, capacità che Bacaffà, con tutti i suoi maghi, la sua scienza e i suoi mezzi, non era mai riuscito ad avere. Una frase dei suoi camerieri che gli ripetevano spesso era “Vostra maestà ha un buon appetito, mangia per due“, gli permise di fare chiarezza. Infatti Bacaffà mangiava ben poco ed era molto magro e consapevole della sua disappetenza. Bastò fare seguire con attenzione il cibo portato dalle cucine fino al desco del re, per scoprire il rapido debterà che lesto come una saetta faceva sparire buona parte del pranzo del re riponendolo dentro un’ampia tasca posta sotto la veste. Bacaffà alla fine quindi catturò il debterà, ma non osò fargli del male ritenendolo protetto da qualche angelo o demone; lo convinse invece a lavorare per lui dandogli un incarico importante nelle sedute notturne che il re teneva sulla cima di una torre. Dopo poco tempo Bacaffà fu trovato strangolato nella stanza dove praticava l’alchimia con stregoni, medici e medium. La porta era 6 chiusa dall’interno e il debterà era sparito. Il popolo, che identificava il debterà con il diavolo, fu certo che fosse stato il giovane a uccidere il re. Saitàn, chiesa della Trinità a Gondar 7