Sud Sudan, Suor Maria e la sfida sanitaria di Wau
Il nome “SUDAN” deriva dall'arabo Bilad as-Sudan, che vuol dire "Paese dei Neri", poiché gli arabi così chiamavano i
territori confinanti col Sahara meridionale, le cui popolazioni erano appunto di colore.
«Ricordo sempre quanto mi ha detto il marito di una paziente che di notte doveva scappare coi gemellini lattanti per mettersi al
sicuro: «Finché voi suore siete qui, so che Dio non ci ha abbandonato e per noi prima o poi un futuro ci sarà». Di storie così la
trentina suor Maria Martinelli ne ha vissute tante. Da quasi tre decenni la religiosa formatasi nella Congregazione delle
Missionarie comboniane, per cui ha fatto professione religiosa nel 1987, è al servizio dell’Africa e delle sue genti.
Forte di una laurea in Medicina, suor Maria ha viaggiato in lungo e in largo nel continente. Fino ad arrivare nel 2008 a
Wau, nell’attuale Sud Sudan. «Guardando alla mia storia – racconta – non sono certo mancate difficoltà e tensioni,
proprio perché legata alla storia dei popoli con cui ho condiviso un pezzetto di vita. In Uganda erano gli anni in cui il
movimento dell’Lra seminava terrore nella nostra zona; in Etiopia ho vissuto il periodo di smarrimento e cambiamento
dopo la caduta di Menghistu; nei miei primi anni in Ciad era ancora in corso una ribellione nel Sud e mi capitava spesso
di
dover
soccorrere
feriti;
qui
in
Sud
Sudan
sappiamo
come
vanno
le
cose».
Il Sud Sudan è considerato dall’Onu agli ultimi posti per indice di sviluppo. Nel 2008 suor Maria vi arriva per avviare
una scuola per infermieri professionali. «Malta, mattoni e tantissima pazienza – riassume suor Maria – un’avventura
esaltante con le sue sfide e soddisfazioni, da cui è uscita una scuola di qualità». A un certo punto inizia un’altra sfida,
quella del S. Daniel Comboni Hospital di Wau, «una risposta al bisogno immenso di servizi sanitari accessibili nella
regione».
La ristrutturazione dell’ospedale è iniziata a novembre 2009 e sta terminando ora. Già dal 2011, peraltro, è in funzione
il servizio di ambulatori per esterni, con farmacia, medicazioni, piccola chirurgia, radiologia e prevenzione maternoinfantile. I numeri sono già importanti: nel 2013 ci sono state 3.965 ammissioni, di cui la maggior parte di maternità,
mentre i servizi ambulatoriali hanno curato oltre 45mila malati, tra cui 14mila bambini, e sono state effettuate 6.800
visite prenatali. «I pazienti vengono anche da lontano e tra loro molti sono quelli che vivono in povertà».
Insieme a suor Maria ci sono un fratello comboniano, le Francescane missionarie per l’Africa e la Ong Aispo, che, per
sostenere l’ospedale, ha lanciato una campagna di raccolta fondi (con testimonial Albano) attraverso un sms solidale al
45595, attivo fino a domenica. L’obiettivo è di fornire farmaci, piccole attrezzature sanitarie e combustibile. Lo staff
sanitario di Aispo si occuperà inoltre di formare il personale locale e gli studenti dell’Università di Infermieristica di
Wau. Ad allarmare è soprattutto il tasso di mortalità infantile (6,8%) e di mortalità materna (2%), tra i più alti del
mondo. Su mille bimbi nati vivi, ben 68 non arrivano a compiere un anno, a fronte di soli 3 casi in Italia.
Dati allarmanti che rispecchiano la situazione complessiva di un Paese in cui anni di conflitti armati hanno causato
fame, povertà e gravi carenze in ambito sanitario. «Ho visto la speranza avere la meglio sulla follia della violenza –
conclude suor Maria –. Ed è questa speranza che mi ha guidata e mi fa guardare ora al Comboni Hospital come segno
di impegno».
Suor Maria al lavoro nell'ambulatorio di Wau
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"Sono diventata suora dopo la laurea in medicina. Poi ho scelto di andare dove c'era bisogno di me."
La «medichessa» contro l'Aids
Suor Maria, 18 anni d'Africa e 5400 interventi chirurgici Guida un
organismo internazionale che lavora con l'Onu di Giorgio Dalbosco
TRENTO.
Disarmante. Suor Maria Martinelli è di una semplicità d'animo e di una forza di carattere che ammutoliscono.
Da un anno e mezzo è la coordinatrice del gruppo Aids dell'organismo internazionale cui aderiscono tutte le
congregazioni religiose maschili e femminili. Da qualche mese è anche membro del direttivo della coalizione globale
delle donne e l'Aids. Viene da un'esperienza africana durata 18 anni come chirurgo con cui ha fatto più bene lei di tutti
i rosari recitati nel mondo. E' una donna dal viso bello, bello, forse perché molto semplice. Porta un caschetto di
capelli neri grossi come spaghetti in cui affiorano, ormai abbondanti, fili argentei. Ma sotto quel caschetto e sotto una
fronte ampia brillano occhi scuri, intelligentemente buoni e severi, qua e là vagamente, perfino ironici, quasi un
suggello ad una visione realistica del mondo. Veste una gonna di jeans, una maglia bianca su cui, appeso ad una collana,
affiora un grosso crocefisso, l'unico segno religioso di questa suora comboniana, sorella di otto anni più giovane del
famoso cardiochirurgo trentino Luigi. Ma oltre ad essere medico (o, forse, lei preferisce essere chiamata medichessa),
ha fatto contemporaneamente il muratore, l'imbianchino, l'insegnante, il primario di ospedale, l'autista, l'ingegnere
civile. Adesso, per l'Aids, frequenta gli uffici al mondo che contano, Onu in primis.
Ad occhio e croce gli avversari non li doma, li persuade. Non ama i voli pindarici, preferisce essere concreta.
Mi racconta un po' di tutto ciò a Calceranica nella cucina di casa di sua madre, donna trapiantata di cuore da suo figlio
Luigi (una storia toccante) che se ne sta seduta accanto alla finestra ad ascoltarla. Maria, quel ''suor'' da preporvi non
mi suona affatto, mi prepara il caffè parlandomi come fossi un amico di sempre. Accenna alla sua vita alternando
cronaca a riflessioni, ricordi di emozioni a spunti di autoironia. I suoi genitori, dopo due maschi, Luigi e Paolo, hanno
avuto anche lei, nel 1957.''Mi aspettavano in grazia. Boh'', se la ride socchiudendo gli occhi scuri dietro gli occhiali alla
moda. Dopo aver custodito il segreto per lungo tempo - dagli anni mediani del liceo scientifico fino a quelli di metà
università a Pavia - un bel giorno, proprio qui in questa cucina, ha deciso di svelare il segreto alla sola mamma. Le si è
avvicinata e, spiegandole che in Africa c'era estremo bisogno di medici, con cautela le ha confidato che, una volta
laureata o, forse, ancora prima, avrebbe fatto la suora missionaria. Ha pattuito con la mamma, visibilmente rattristatasi,
che al papà - in quel periodo influenzato - l'avrebbe detto più in là, in altra occasione.
E nel 1989, dopo la laurea, i primi voti e la specializzazione a Liverpool in medicina tropicale, è andata in Etiopia con il
compito di supervisore dei dispensari della diocesi del Sud, di formatore degli infermieri e consulente dei casi clinici
più gravi. Si è sobbarcata grandi fatiche, è andata incontro a pericoli, girando con un fuoristrada anche per centinaia di
chilometri. Più si guarda questa donna e più si capisce che ha fatto tutto con naturalezza, senza sentirsi mai un'eroina.
''Mannò. mannò. Davanti a certe disgrazie non ci si fa una corazza - mi spiega con fermezza - guai a farsela Si
perderebbe il senso dell'umano. La razionalità è necessaria nell'organizzare il lavoro, ma la gente, in Africa, ha bisogno
anche di relazionalità, anche di una pacca sulle spalle''. ''La solitudine? La paura di essere abbandonata da Dio davanti a
tante miserie e dolori?''.
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Allarga le braccia: ''Ho sentito forte la solitudine professionale, quello sì. Molto forte ho sentito quella
emotiva, soprattutto nei casi di difficile soluzione. Sai, sei sola... Ho sentito l'impotenza davanti al carico di lavoro e
alla mancanza di personale. Ma, mi si creda, viene sempre in soccorso la comunità, il suo senso forte che tutto
addolcisce. ''Sprizzano serenità quegli occhi scuri. Anche quando racconta di essere stata richiamata dai superiori in
Italia, a 35 anni, nel 1992, di aver dovuto andare in Svizzera a studiare il francese per poter andare, poi, a voti
perpetui, in Ciad a costruire, praticamente dal nulla, un ospedale, l'unico esistente per una popolazione sparsa su 7000
chilometri quadrati. Lì avrebbe fatto il primario e il chirurgo. Dapprima ha fatto però il muratore,
l'ingegnere,l’imbianchino.
Sei mesi dopo in pompa magna vi è stata l'inaugurazione alla presenza anche del nunzio apostolico. Sorride e
aggiunge:''Era l'otto marzo 1994, festa di San Giovanni di Dio, patrono degli ospedalieri e... la festa della donna. Sai, un
ospedale nato tutto al femminile, altro che no.'', redarguisce con finta severità la mia insensibilità all'importanza della
data. Disarmante, davvero. Ha eseguito in undici anni 5.400 interventi chirurgici maggiori in una struttura in cui non
c'era nemmeno il telefono, (suo fratello Luigi gli ha regalato quello satellitare nel 2000), con la preoccupazione
familiare della mamma strappata alla morte con il trapianto eseguito dal figlio all'ultimo momento, con gli strascichi
della guerra locale, con un dittatore del Ciad del tipo - dice - ''ora pro nobis''. E, adesso, garantisce: ''Avanti con l'Aids,
una lotta a tutto campo, dialogando con l'Onu attraverso l'Unaids, con strategie realistiche, mica fumose, che
prevedono la sistematicità nell'ambito curativo, preventivo, educativo, pastorale, cura degli orfani, assistenza della
famiglia, il rispetto delle donne. ''E me lo garantisce con quei suoi occhi quieti che infondono tanta stima”.
TORTA SALATA CON ZUCCA E COMPOSTA D CILIEGIE
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IMMAGINI DI WAU
Sr Maria Martinelli,comboniana, medico chirurgo e pediatra
Capanne del “quartiere delle gazzelle” di Wau
Giovani di Wau
Bambini di strada
Bambini di Wau
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suor Maria Martinelli e la sfida sanitaria di Wau